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GAZZETTA VENERDÌ 25 MAGGIO 2012
42
Vie FESTIVAL2012
AcuradiRedazione Altrevelocità
di Lucia Oliva
In quella che un tempo veniva
definita la mezza età, poteva accadere di essere assaliti dalle domande sul senso della propria
vita, spesso prigioniera di una
routine stritolante lavoro-famiglia, in grado di macerare anche
i più magnificenti e selvaggi sogni di gloria giovanili. È questa
la condizione con cui si confronta il regista Ivo van Hove, che ha
aperto la nuova edizione del Festival Vie con il suo ultimo lavoro, "Mariti", ancora in scena
questa sera al Teatro Storchi di
Modena alle ore 21.
L'artista belga è da tempo
uno dei protagonisti della scena
teatrale europea: da qualche anno è residente ad Amsterdam,
dove dirige la compagnia olandese Toneelgroep, da cui provengono gli attori che vedremo
in scena allo Storchi.
La rotta artistica di van Hove
incrocia quella di Emilia Romagna Teatro Fondazione grazie al
Progetto Prospero, di cui l'ente
emiliano-romagnolo è uno dei
promotori. Si tratta di un progetto di formazione e circuitazione
in cui le opere e gli artisti selezionati hanno la possibilità di
portare il loro lavoro in tutte le
strutture internazionali partner
di Prospero, confrontandosi
con diversi contesti culturali e
sociali. Così, dopo il debutto a
Rennes nello scorso febbraio e
dopo aver toccato Berlino, Lisbona e Liegi, quella di Modena
è la prima occasione italiana
per assistere a questa creazione
e conoscere il lavoro di van Hove.
La peculiarità del regista belga è quella di mettere a confronto il mezzo teatrale con quello
cinematografico, portando in
scena una personale rilettura e
traduzione di film che toccano
questioni importanti della condizione umana, e a cui il teatro è
in grado di restituire un tipo diverso di vita.
In particolare, negli ultimi anni sono state le opere cinematografiche dello statunitense John
Cassavetes a colpire l'immaginazione dell'artista, di cui ha già
creato il riallestimento scenico
di "Opening Nights" e "Faces".
È ora la volta di un film del 1970,
"Mariti", all'epoca interpretato,
a fianco del regista stesso, anche dagli strepitosi Ben Gazzara
e Peter Falk. Il pretesto narrativo è piuttosto semplice: dopo la
notizia della morte di un amico,
tre uomini di mezza età, Ben, Archie e Harry, decidono di passare del tempo insieme in una mini vacanza a Londra. Si tratta
Due immagini dello spettacolo Mariti prodotto da Teatro Prospero grande appuntamento d’apertura per Vie
Sesso, bugie e video-tape
Il cinema dentro il teatro
Alle 21 di questa sera al Teatro Storchi ultima replica di "Mariti" di Van Hove
LA SEGNALAZIONE
Burrows e Fargion di nuovo a Modena, questa sera con un doppio appuntamento
della più classica dimensione di
evasione, quattro giorni di libertà in cui permettersi desideri altrimenti proibiti, mettendo in
pausa la propria quotidianità da
tutti i consueti affanni. Ma ciò a
È una collaborazione che dura
ormai da più di dieci anni quella
tra il coreografo inglese Jonathan
Burrows e il compositore italiano
Matteo Fargion. Dopo numerosi
successi già presentati nelle
precedenti edizioni di Vie, i due
artisti ripropongono a Modena
"Speaking Dance", opera del
2006, e "Counting To One
Hundred", creato nel 2011.
Entrambi gli spettacoli saranno in
scena questa sera al TeTe Teatro
Tempio alle 18.30 e alle 19.30 (in
replica domani rispettivamente
alle 16.30 e alle 17.30).
Una forte intesa, l'utilizzo di
scenografie scarne ed essenziali,
un linguaggio del corpo minimale
fatto di gesti e azioni più che di
una vera e propria danza: questi
gli ingredienti fondamentali delle
loro opere che conquistano e
stupiscono lo spettatore.
"Speaking Dance" è un gioco di
movimenti sincronici o casuali,
una "non-danza" attraverso la
quale gli artisti, seduti oppure in
piedi, creano un unicum in cui la
musica viene letta attraverso il
corpo e la voce veicola parole,
canzoni popolari, suoni assurdi e
inaspettati. "Counting To One
Hundred" completa una trilogia
di duetti già presentati a Vie nel
2007 e debutta per la prima volta
in Italia questa sera. L'elemento
chiave del linguaggio di Burrows e
Fargion è la loro sottile comicità
che riesce sempre a coinvolgere e
divertire il pubblico.
Martina Galvani
cui si sfugge è sempre in grado
di raggiungerci e, come da copione, tra alcol, donne e gioco
d'azzardo emergono le questioni più importanti dell'esistenza,
quelle che definiscono che cosa
si è e che cosa, invece, si vorrebbe essere.
Al di là del percorso esistenziale dei tre uomini, l'originalità
di questo lavoro si condensa nel
trattamento della materia cine-
matografica, portata sulla scena
nell'essenzialità della sua impalcatura emozionale. I caratteri e i
turbamenti dei tre protagonisti
sono infatti affidati alle capacità
dei tre attori, le cui improvvisa-
zioni intorno ai personaggi hanno costituito la base della scrittura drammaturgica di van Hove, mentre a indossare le diverse identità femminili troviamo
una sola attrice, qui alle prese
con un universo maschile sconfortante e disperato.
Ma non è solo il lavoro psicologico di costruzione del personaggio o la cesellatura della
scrittura scenica a trasportare lo
spettatore nel mondo immaginato da Cassavetes più di quarant'anni fa: proprio come il regista cinematografico, van Hove fa un grande uso della soggettiva, dotando ogni attore di una
piccola telecamera con cui tagliare la scena secondo una prospettiva personale, e riproporre
così anche attraverso il video il
proprio singolare punto di vista.
Immagini e parole per entrare
nella mente di questi tre mariti,
nella loro irrefrenabile fuga verso la libertà e la scoperta di sé.