Basi di numerazione, sistema binario, in

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Basi di numerazione, sistema binario, in
Numerazione in basi alternative
Basi di numerazione, sistema binario, insiemi frattali
1
Numerazioni alternative
Consideriamo un generico numero intero positivo, per esempio X =
763.
X = 7 × 102 + 6 × 101 + 3 × 100
Se pero’ la base di numerazione non fosse 10, ma 9, la rappresentazione 763
porterebbe al numero
7 × 92 + 6 × 9 + 3 = 624 ( espresso in base 10 ) .
Come esprimere 763 (in base 10) nella base 9? O in qualsiasi altra
base?
Procedimento per divisioni:
763 : 9 = 84, resto 7; ultima cifra a destra =7.
84 : 9 = 9, resto 3; penultima cifra a destra =3.
9 : 9 = 1, resto 0; terz’ultima cifra a destra =0.
1 : 9 = 0, resto 1; prima cifra=1
Conclusione: 7639 = 1037.
Infatti: 7 × 90 + 3 × 91 + 0 × 92 + 1 × 93 = 763 (in base 10).
Come si rappresenta il numero 763 in base 2 (cioe’ solo
con 0 e 1?)
Stessa procedura, ma piu’ lunga...):
1
763 : 2 = 381, resto 1; 381 : 2 = 190, resto 1; 190 : 2 = 95, resto 0;
95 : 2 = 47, resto 1; 47 : 2 = 23, resto 1; 23 : 2 = 11, resto 1; 11 : 2 = 5, resto 1;
5 : 2 = 2, resto 1; 2 : 2 = 1, resto 0; 1 : 2 = 0, resto 1.
Riportiamo tutti i resti da dx a sx: 1011111011.
Infatti:
1+1×2+0×4+1×8+1×16+1×32+1×64+1×128+0×256+1×512 = 763
2
Creazione di codici
Le rappresentazioni in basi diverse da 10 permettono di codificare dei messaggi in
maniera da renderli praticamente indecifrabili, se non si conoscono le chiavi (cioe’, le
basi) usate per la codifica. Per esempio, supponiamo di voler crittografare la parola
grillo: sostituendo ogni lettera con il suo numero d’ordine nell’alfabeto italiano,
troveremo il numero 7169101013. Ora possiamo divertirci a rappresentare questo
numero in base 7: fatti i conti, troviamo 342441232064. Riportiamo ora questo
numero (letto come se fosse in base 10) alla base 9: si trovera’ 1181808530058.
Ancora, leggendo questo numero come se fosse in base 10, puo’ essere riportato alla
base 7: 151245213521352. Ora, se si riceve questo numero come messaggio, e non si
sa nulla delle basi utilizzate per ricavarlo, sara’ piuttosto difficile ricuperare da qui
il numero originario 7169101013 e di conseguenza la parola grillo.
I moderni strumenti di codifica sono naturalmente molto piu’ sofisticati, e usano
come basi dei numeri di almeno 14 cifre, per cui diventa estremamente difficile andare
per tentativi: e questo rende abbastanza sicure le trasmissioni telematiche anche di
dati riservati riguardanti per esempio conti bancari, prodotti industriali, obiettivi
militari etc.
2
A titolo di esercizio, proponiamo un piccolo enigma: usando lo stesso procedimento di codifica descritto prima, con le basi 7,9,7 nello stesso ordine, abbiamo
codificato un messaggio di tre parole. Il messaggio codificato é il seguente:
20646353514 3000401561 560642362.
Procedendo a ritroso, si decifri la frase originale.
3
Rappresentazioni di numeri positivi minori di 1
Sia x ∈ [0, 1] (per es. x = π4 ). In base 10, x ha una rappresentazione
del tipo
x = 0.a1 a2 a3 ...,
ove ciascuna cifra ai e’ un numero intero compreso fra 0 e 9. Per es.
π
= 0.7853981635...
4
Questa scrittura significa che
5
3
9
8
1
6
3
5
7
8
π
=
+ 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 + ...
4
10 10
10
10
10
10
10
10
10
10
Possiamo rappresentare lo stesso numero in una base k diversa da 10,
usando solo cifre comprese fra 0 e k − 1: per esempio, si potrebbe
scrivere il numero
π
4
in base 2, usando solo le cifre 0 e 1.
Per fare cio’, dividiamo [0, 1] nei due sottointervalli [0, 21 ] e [ 12 , 1].
Certamente
π
4
appartiene a uno dei due: quello di destra. Allora
prendiamo come prima cifra decimale il numero 1.
(Se invece il nostro numero fosse nell’intervallo di sinistra (come
per es.
π
8)
avremmo scelto come prima cifra 0).
3
Per individuare la seconda cifra, dividiamo in due parti l’intervallo
che conteneva il nostro numero (nel nostro caso l’intervallo [ 12 , 1] verrebbe suddiviso in [ 21 , 34 ] e [ 34 , 1]), e vediamo in quale dei due cade π4 :
ancora quello di destra (sia pure per poco). Allora la seconda cifra
decimale e’ ancora 1 (sarebbe stata 0 nell’altro caso). Se proseguiamo
cosi’, ci accorgiamo che la terza cifra e’ 0, in quanto, tra gli intervalli
[ 43 , 87 ] e [ 78 , 1], quello che contiene il nostro numero é il primo. Continuando in questo modo, scopriamo via via tutte le cifre decimali in
base 2 del numero π4 : le prime 12 sono 1, 1, 0, 0, 1, 0, 0, 1, 0, 0, 0, 0.
Un discorso analogo si puo’ fare per la rappresentazione dei numeri
in base 3. Per rappresentare un generico numero x ∈]0, 1[ in base tre,
intanto si divide [0, 1] in tre sottointervalli tramite i punti di suddivisione
1
3
e 23 , indi si controlla in quale dei tre cade x: se cade in [0, 13 [,
la prima cifra e’ 0, se x ∈ [ 31 , 23 [, allora la prima cifra e’ 1, e nel terzo
caso la prima cifra e’ 2. Per determinare la seconda cifra, si divide in
tre parti il sottointervallo ove cade x, e si procede come prima: se x
sta nel primo intervallo (da sinistra), la seconda cifra e’ 0, se cade nel
secondo intervallo la seconda cifra e’ 1, altrimenti sara’ 2. Se procediamo cosi’, avremo anche la rappresentazione di
π
4
in base 3: le prime
21 cifre sono 2, 1, 0, 0, 1, 2, 1, 1, 2, 2, 2, 2, 2, 1, 0, 0, 1, 2, 1, 2, 1...
Un procedimento pratico per trovare la rappresentazione di un numero frazionario positivo x (in qualunque base a) é il seguente: intanto
si separa la parte intera di x (cioe’ quella che precede la virgola) da
quella decimale, e si rappresenta la parte intera con il metodo detto
4
prima. Per quanto riguarda la parte decimale, che e’ un numero y
compreso fra 0 e 1, si inizia naturalmente con 0, e poi si moltiplica y
per a: il risultato e’ certamente compreso fra 0 e a, e la parte intera di
questo risultato (compresa fra 0 e a − 1) e’ la prima cifra decimale, da
scrivere a destra di 0. Chiamiamo con y1 questa cifra, e continuiamo;
per trovare la seconda cifra, sostituiamo y con y − ay1 : questo e’ di
nuovo un numero compreso fra 0 e 1, e quindi, moltiplicato per a,
fornisce un risultato (ay − a2 y1 ) compreso fra 0 e a, e la parte intera di
questo prodotto e’ la seconda cifra decimale, da affiancare alla destra
di y1 . Detta y2 tale cifra, si sostituisce y −ay1 con y1 −ay2 , e si procede
come prima. Dopo alcuni passi, avremo trovato y = 0.y1 y2 y3 ...yk , in
modo che la quantita’ y − ay1 − a2 y2 − a3 y3 − ... − ak yk , se moltiplicata
per ak+1 , dia un risultato compreso fra 0 e a.
Facciamo un esempio pratico: rappresentiamo il numero 2π in base
5, fino alla quinta cifra dopo la virgola. Intanto, scriviamo π nella sua
rappresentazione decimale usuale:
2π = 6.2831853071...
e separiamo la parte intera (6) dalla parte decimale, 0.2831853071....
La parte intera si rappresenta in base 5 con la scrittura 11, cioe’
1 + 1 × 5. Dunque la rappresentazione di 2π in base 5 inizia con
”11,, e prosegue poi dopo la virgola con la rappresentazione della
parte decimale (che tecnicamente prende il nome di mantissa). Per
rappresentare la mantissa prima di tutto la si moltiplica per 5:
0.2831853071... × 5 = 1.4159265359...
5
Il numero trovato ha come parte intera 1, e quindi scriveremo 1 come
prima cifra dopo la virgola.
Ora, si prende in esame la mantissa dell’ultimo numero trovato,
cioe’ 0.4159265359..., e la si moltiplica di nuovo per 5:
0.4159265359... × 5 = 2.079632680...
La parte intera di questo numero é 2, e allora 2 é la seconda cifra dopo
la virgola.
Andando avanti, troveremo
079632680 × 5 = 0.3981634,
numero che ha 0 come parte intera, e quindi la terza cifra dopo la
virgola sara’ 0.
Ancora, abbiamo
.3981634 × 5 = 1.990817,
e ora 1 e’ la parte intera: la quarta cifra dopo la virgola e’ 1.
Terminiamo con la quinta cifra: si ha 0.990817 × 5 = 4.954085,
quindi la quinta cifra e’ 4.
Dunque, la rappresentazione di 2π in base 5 inizia cosi’: 11, 12014....
Ora, se svolgiamo il calcolo: 1 × 51 + 1 × 50 + 1 × 5−1 + 2 × 5−2 + 0 ×
5−3 + 1 × 5−4 + 4 × 5−5 troviamo come risultato 6.28288, abbastanza
vicino al valore preciso di 2π.
La rappresentazione decimale dei numeri frazionari, in qualsiasi
base venga effettuata, presenta il problema di riconoscere il numero
6
originario a partire dalla sequenza di cifre che lo rappresentano: per
esempio, la rappresentazione 020202020202...in base 3 a che numero
corrisponde?
A questo tipo di domanda si puo’ trovare risposta solo in certi casi:
se il numero rappresentato e’ razionale, allora la cosa e’ possibile, in
qualsiasi base, altrimenti una regola vera e propria non c’e’. Questo
perche’ qualsiasi numero razionale ha una rappresentazione decimale
finita o periodica.
Per esempio, il numero razionale
in base 10:
1
4
1
4
ha una rappresentazione finita
= 0.25, ma ha una rappresentazione periodica in base 3:
1
( )3 = 0.020202...
4
((basta seguire il procedimento precedente).
Viceversa: se un numero frazionario x ha, in base 9, la rappresentazione periodica: x9 = 0.1277777..., chi e’ in realta’ x?
La risposta si ottiene analizzando il significato dell’espressione x9 =
0.1277777... e calcolando una somma infinita: l’espressione significa
infatti
1
2
7
7
7
+
+ 3 + 4 + 5 ...
9 81 9
9
9
e’ presto fatta, e il risultato e’
x=
Ora, l’addizione
1
9
+
2
81
11
81 .
Per l’altra
somma, che invece e’ infinita, si puo’ usare la formula
+∞
X
qn =
n=0
1
,
1−q
valida per ogni numero reale q che sia strettamente compreso fra 0 e
1. Se si vuole dimostrare questa formula (supponendo gia’ di sapere
7
che la somma infinita ha un risultato finito), si puo’ procedere cosi’:
detto S il valore incognito della somma, avremo
S = 1 + q + q 2 + ... = 1 + q(1 + q + q 2 + ...) = 1 + qS.
Da cio’, si deduce subito
(1 − q)S = 1
e quindi facilmente S =
1
1−q .
Per esempio, se q = 21 , allora S = 2;
se q = 13 , allora S = 32 ; se q = 14 , S = 34 ...Insomma, se q =
S=
1
n
allora
n
n−1 .
Quindi, se dobbiamo calcolare la somma
mettere in evidenza il termine
7
93 ,
7
93
+
7
94
+
7
95 ...,
possiamo
e poi scrivere
+∞
7
7
7 X 1 n
7
+
+
...
=
( ) :
93 94 95
93 n=0 9
Applicando la formula troviamo allora
7
7
7
79
7
+
+
...
=
=
.
93 94 95
93 8 648
In conclusione, il nostro numero frazionario x non e’ altro che
11
7
95
x=
+
=
.
81 648 648
Se esprimessimo questo numero in forma decimale (in base 10), avremmo
un altra espressione periodica:
x = .146604938271604938271604938271604938271...
4
Frattali
La numerazione in base 3 fornisce un primo strumento per generare
frattali, e in effetti il primo insieme frattale, il piu’ semplice:
8
L’insieme di Cantor
L’insieme di Cantor, denotato con C, e’ definito come l’insieme di
quei numeri, in [0, 1], la cui rappresentazione ternaria non contiene
alcun 1.
Descrizione
Come sono fatti i numeri x che stanno in C? Poiche’ la prima cifra decimale non e’
1, allora x sta in [0, 13 ] ∪ [ 31 , 1]. Dunque
1
1
C ⊂ [0, ] ∪ [ , 1].
3
3
Ora, se x si trova in [0, 13 ], la condizione che la seconda cifra decimale di x non e’
1 comporta che x sta in [0, 19 ] oppure in [ 92 , 13 ]; mentre, se invece x si trova in [ 23 , 1], la
condizione sulla seconda cifra decimale comporta che x sta in [ 23 , 97 ] oppure in [ 98 , 1].
Pertanto, riassumendo
1
2 1
2 7
8
C ⊂ [0, ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , 1].
9
9 3
3 9
9
O anche
1
2 3
6 7
8
C ⊂ [0, ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , 1].
9
9 9
9 9
9
Passando ora alla terza cifra, vediamo che, ragionando allo stesso modo, si ottiene
C ⊂ [0,
1
2 3
6 7
8 9
18 19
20 21
24 25
26
] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , ] ∪ [ , 1].
27
27 27
27 27
27 27
27 27
27 27
27 27
27
Frattali piu’ evidenti si possono costruire in due (o piu’) dimensioni.
Per esempio, il Triangolo di Sierpinski, denotato con T, si puo’ costruire nel
quadrato [0, 1]2 , escludendo quelle coppie di numeri che, nelle loro rappresentazioni
binarie, hanno entrambi la cifra 1 nella stessa posizione decimale.
In altri termini, per trovare T si deve dividere il quadrato [0, 1]2 in quattro
quadrati di area
1
4
ciascuno, e si deve escludere il quadrato in alto a destra; succes-
sivamente, ciascuno dei tre quadrati rimanenti si deve dividere in 4 quadrati di area
1
,
16
e di questi si deve escludere quello situato in alto a destra; e cosi’ via, all’infinito.
9
5
Il campo Z2
Come abbiamo visto, ogni numero intero o frazionario puo’ essere espresso mediante
la rappresentazione binaria, ossia mediante una sequenza di 0 e 1 (con una virgola se
necessario a dividere la parte intera dalla mantissa). Se occorre, anche le operazioni
tra i numeri si possono svolgere direttamente sulle loro rappresentazioni binarie, pur
di fare attenzione a certe regole.
Per esempio, se devo fare la somma 5 + 7, posso esprimere 5 e 7 in base 2,
ottenendo rispettivamente 101 e 111, e poi posso fare l’addizione mettendo i numeri
in colonna e seguendo formalmente le regole per l’addizione in colonna: ma, poiche’
non possiamo scrivere numeri diversi da 0 e 1, quando ci troviamo a sommare nella
prima colonna da destra 1 + 1, dobbiamo ottenere 10, e quindi si scrive 0 e si riporta
1. Passando alla seconda colonna, bisogna fare 0 + 1, e aggiungere il riporto di 1:
ancora troviamo come risultato 10, e scriviamo 0 riportando 1. Arrivati alla terza
e ultima colonna da destra, dobbiamo sommare 1 + 1 + 1 (compreso il riporto), e
il risultato va scritto 11. Questo si affianca ai due zeri scritti a destra e si ottiene
il risultato in forma binaria: 1100 é proprio l’espressione binaria di 12. Il computer
lavora esattamente cosi’: ogni volta che impostiamo la somma tra due numeri,
essi vengono trasformati nelle loro rappresentazioni binarie, e queste poi vengono
sommate con le regole dette prima. Alla fine, la sequenza binaria trovata come
somma viene ritrasformata nel numero reale che essa rappresenta.
Facciamo un altro esempio: vogliamo calcolare la somma tra 15 e 29. A tale
scopo, scriviamo i due numeri nella loro forma binaia, e mettiamoli in colonna:
avremo


1111
+

11101
=
Procedendo come abbiamo detto prima, la prima colonna da destra fornisce 0, con
riporto. La seconda fornisce 0, e il riporto. La terza fornisce 1 e il riporto, e cosi’ la
quarta. L’ultima colonna da’ 10 come risultato, che si affianca alle cifre precedenti,
e il risultato finale e’ 101100, cioe’ 4 + 8 + 32 = 44.
Naturalmente esistono analoghe regole per le altre operazioni, e i computer le
10
svolgono a velocita’ spaventosa, come sappiamo.
L’ambiente in cui queste operazioni si svolgono e’ piccolissimo: consiste solo
di due elementi, 0 e 1, che debbono sottostare a semplicissime regole di calcolo.
Ma queste regole non sono identiche a quelle degli insiemi numerici piu’ grandi a
cui siamo abituati: in realta’, la moltiplicazione e’ esattamente la stessa, mentre
l’addizione tra questi elementi si differenzia nella regola che 1 + 1 = 0, e solo in
quella. Questo strano campo viene denotato con il simbolo Z2 , ed e’ fondamentale
non solo per la numerazione binaria, ma anche per le sue notevoli implicazioni nella
Logica Matematica e nell’Insiemistica.
Z2 := {0, 1}.
Operazioni
+ 0 1
0
0 1
1
1 0
×
0 1
0
0 0
1
0 1
Regole di calcolo
a + a = 0 (+a = −a); a × a = a, ab ≤ a, ab ≤ b, ab = b ⇔ b ≤ a;
a ∨ b = a + b + ab,
a ∧ b = ab. Ortogonalita0 : a ⊥ b ⇔ ab = 0
1 + a ⊥ a : massimo elemento ortogonale ad a (ax = 0 ⇔ (1 + a)x = x).
Risoluzione di equazioni
a+x=b:
x = a + b.
ax = b ( solo se b ≤ a) : b ≤ x ≤ (1 + a) ∨ b = 1 + a + ab = 1 + a + b.
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Infatti: posto x = b + y, si ha ax = ab + ay = b + ay, per cui ay = 0
e y ≤ 1 + a.
Verifica: Se b ≤ a e b ≤ x ≤ 1 + a + b, allora
ab ≤ ax ≤ a + a + ab = ab, cioe’ ax = ab = b.
In particolare: ax = a ha soluzioni: a ≤ x ≤ 1.
Ancora : ax = ab.
Soluzione: ab ≤ x ≤ 1 + a + ab
12
6
Valori di verita’

 0,
∀A (evento o insieme) V(A) =
 1,
se A e0 falso
se A e0 vero
Corrispondenza in Z2
Ponendo: a = V (A), b = V (B), abbiamo
V(∅) = 0, V(Ω) = 1, A ⊂ B ⇔ V(A) ≤ V(B)
V(Ac ) = 1 + a;
V(A ∩ B) = ab;
V(A \ B) = a + ab;
V(A∆B) = a + b; V(A ∪ B) = a + b + ab.
Esempi di Calcolo
Dimostrare la relazione
A ∪ B = A∆(B \ A) :
V (A∪B) = a+b+ab.
V (A∆(B \A)) = V (A)+V (B \A) = a+b+ab.
Dimostrare la relazione
(A ∪ B)c = Ac ∩ B c :
V ((A∪B)c ) = 1+a+b+ab. V (Ac ∩B c ) = (1+a)(1+b) = 1+a+b+ab.
Dimostrare la relazione
(A∆B) ∩ (B∆C) ∩ (C∆A) = ∅ :
V ((A∆B) ∩ (B∆C) ∩ (C∆A)) = (a + b)(b + c)(c + a) =
= (ab + ac + b + bc)(c + a) = abc + ac + bc + bc + ab + ac + ab + abc = 0.
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Risolvere l’equazione
(A ∪ X) ∩ B = X :
A priori : X ⊂ B. V (X) = x. V ((A∪X)∩B) = (a+x+ax)b = ab+x+ax.
ab + x + ax = x, ab = ax = abx.
La soluzione di ab = abx e’ stata gia’ trovata:
ab ≤ x ≤ 1. Ma dobbiamo imporre x ≤ b, per cui ab ≤ x ≤ b
ossia
B ∩ A ⊂ X ⊂ B.
Risolvere l’equazione
A\X =B\X :
V (A \ X) = a(1 + x) = a + ax; V (B \ X) = b(1 + x) = b + bx
Da a+ax = b+bx si trae ax+bx = a+b ossia (a+b)x = a+b
e la soluzione e’
x ≥ a + b cioe0 A∆B ⊂ X.
7
Negazioni di frasi
Vediamo quali regole bisogna seguire per trovare la negazione
logica di una frase. Il principio fondamentale e’ di interpretare
la frase come un evento E (che puo’ essere vero o no), e quindi
14
descrivere la negazione di tale evento (eE in termini di logica
o E c in termini di insiemistica).
A tale scopo sono molto utili le formule di de Morgan, che
qui ricordiamo:
e(A ∨ B) = (eA) ∧ (eB),
e(A ∧ B) = (eA) ∨ (eB),
che possono essere dimostrate attraverso i valori di verita’:
lo facciamo solo per la prima, per la seconda il procedimento
e’ analogo.
V (e(A ∨ B)) = 1+V (A∨B) = 1+V (A)+V (B)+V (A)V (B), e anche
V [(eA) ∧ (eB)] = V (eA)V (eB) = (1 + V (A))(1 + V (B)) =
= 1 + V (A) + V (B) + V (A)V (B).
Dunque, i due eventi hanno gli stessi valori di verita’ e percio’
coincidono.
Vediamo ora la negazione dell’evento A \ B. Abbiamo
e(A \ B) =e(A∧eB) = (eA) ∨ [ e(eB)],
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avendo usato le formule di de Morgan. Ora, tenendo presente
che due negazioni successive si neutralizzano, otteniamo infine
e(A \ B) = (eA) ∨ B.
In termini piu’ discorsivi, possiamo esprimerci cosi’: se non
e’ vero che si verifica A ma non B, allora vuol dire che o
si verifica B, oppure A non si verifica. Per fare un esempio
concreto, potremmo pensare che A sia l’evento faccio merenda
e B sia l’evento mangio la nutella. Allora A \ B vuol dire
faccio merenda senza nutella: negare questa affermazione
equivale a dire che o mangio la nutella, oppure non faccio
merenda, insomma se non mi date la nutella non mangio.
Vediamo allora come si forma la negazione dell’evento (A∆B):
abbiamo
e(A∆B) =e[(A ∨ B) \ (A ∧ B)] =e(A ∨ B) ∨ (A ∧ B),
grazie a quanto detto prima. In termini discorsivi, l’evento
A∆B sta a significare che dei due eventi se ne verifica uno e
uno solo. Per cui, la negazione di questa cosa vuol dire che o i
due eventi si verificano entrambi, oppure nessuno dei due.
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Usando poi le formule di de Morgan, si deduce anche
e(A∆B) = (A ∧ B) ∨ (eA∧eB),
cioe’ negare A∆B equivale a dire che o A e B si verificano
entrambi, oppure non si verifica A e nemmeno B.
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Calcolo Combinatorio
1
Chapter 1
CALCOLO COMBINATORIO
Possiamo introdurre questo argomento esaminando il modus operandi di un computer, sia
nello svolgere operazioni che nel riprodurre immagini, suoni, ecc. Sappiamo infatti che
ogni informazione che il computer riceve viene trasformata in una opportuna sequenza di
0 e 1, piu’ o meno lunga, la quale in genere viene elaborata dalla macchina e ricondotta
ad un’altra sequenza, che poi viene ritrasformata e trasmessa come risutato finale. Per
esempio, se il PC deve svolgere l’addizione 86 + 194, esso prima trasforma i due numeri in
sequenze binarie (86 → 101110 e 194 → 11000010), poi esegue la somma in forma binaria,
ottenendo come risultato la stringa 100011000: questa poi viene ritrasformata in termini
usuali (280), e trasmessa come output. Ora, ci possiamo chiedere: qualé la quantita’ di
informazione che un computer puo’ elaborare? Questo dipende dalla massima lunghezza
delle stringhe (cioe’ delle sequenze di 0 e 1) che esso puo’ immagazzinare: per esempio, una
stringa di 8 elementi (detti bit) viene detta byte e puo’ essere formata in 256 modi diversi,
ossia tutte le sequenze possibili di lunghezza 8 costituite da 0 e 1. Si pensi alla potenzialita’
di un computer che puo’ memorizzare miliardi di byte!
Ma, alla base di tutto, c’e’ un semplice calcolo di tipo combinatorio: ci sono 2N stringhe
diverse che si possono formare disponendo di N posizioni: si parte con due possibilita’ per
la prima posizione, per ciascuna delle quali ce ne sono ancora due per la seconda posizione, e
quindi abbiamo 4 possibilita’ per le prime due posizioni; poi, per ognuna di queste quattro,
ce ne sono ancora due per la terza posizione, e cosi’ via...
2
1.1
Potenze e Disposizioni
Per quanto possa apparire strano a chi ne ha già sentito parlare, il Calcolo Combinatorio
può essere introdotto in maniera molto naturale, tramite le applicazioni tra insiemi finiti.
Definizione 1.1 Supponiamo che A e B siano due insiemi non vuoti. Si dice applicazione
(o funzione) di A in B ogni possibile meccanismo f che associ a ciascun elemento di A
uno e un solo elemento di B. Di solito, se all’elemento a si associa l’elemento b, si scrive
b = f (a).
In simboli, una funzione f del genere viene denotata con la scrittura f : A → B.
Per esempio, la funzione quadrato associa ad ogni numero reale x il suo quadrato x2 . Si
√
puo’ anche definire la funzione radice quadrata, (e denotarla con il simbolo ), ma questa
di solito collega l’insieme dei numeri reali positivi o nulli con se’ stesso. Insomma, non
esistono (come numeri reali) le radici quadrate dei numeri negativi, e non si puo’ scrivere
p
(4) = ±2, perche’ in questo modo al numero 4 si assocerebbero due elementi diversi,
anziche’ uno solo.
Un’applicazione interessante e’ quella che ad ogni numero intero non-negativo n associa
il suo successore, n + 1. Tale funzione si chiama anche shift o, piu’ precisamente, right shift.
Questa applicazione e’ iniettiva, cioe’ a numeri diversi associa risultati diversi: insomma,
se n 6= m, allora certamente n + 1 6= m + 1. Invece la funzione quadrato non é iniettiva,
perché (per esempio) 52 = (−5)2 . In altri termini, una funzione f : A 7→ B e’ iniettiva
se, per ogni scelta di b nell’insieme B, l’equazione f (x) = b ha al massimo una soluzione.
Potrebbe anche accadere che, per qualche b, non ci sia nessuna soluzione: questo succede
se le quantita’ del tipo f (x) non riempiono tutto B, anche facendo variare x in tutto A.
Per esempio, se A = {0, 1} e B = {0, 1, 2, 3}, qualunque funzione di A in B presenta questo
problema, perche’ i valori f (x) sono al massimo 2 (cioe’ f (0) e f (1)), mentre B ha quattro
elementi diversi. Quando invece tutto l’insieme B e’ coinvolto dalla funzione, allora questa
si dice suriettiva.
Riassumendo, data una funzione f : A → B, diciamo che essa e’ iniettiva se, per ogni
b ∈ B, l’equazione f (x) = b ha al massimo una soluzione x ∈ A. Diciamo invece che f é
suriettiva se, per ogni b in B, l’equazione f (x) = b ha almeno una soluzione x ∈ A. Si dice
3
infine che f e’ biiettiva (o anche invertibile), se essa e’ iniettiva e suriettiva, ossia se, per
ogni b ∈ B, l’equazione f (x) = b ha esattamente una soluzione x ∈ A.
Definizione 1.2 Siano A e B due insiemi finiti, poniamo A={a1 , ..., an } e B = {b1 , ..., bm }.
In questo caso, l’insieme di tutte le applicazioni φ : A → B è denotato con B A , e può essere
anche denotato come la potenza B n , n essendo il numero di elementi di A.
Ogni applicazione φ tra due insiemi A e B come sopra può essere individuata perfettamente elencando n elementi di B, in un certo ordine, ed eventualmente anche con ripetizioni.
Cosi’, se A = {1, 2, 3}, e B = {α, β, γ, δ}, l’elenco (α, β, δ) rappresenta quella funzione
che associa α ad 1, β a 2, δ a 3; se avessimo scritto (β, δ, α) cambiando l’ordine, avremmo
rappresentato un’altra funzione, cioè quella che associa β a 1, δ a 2, α a 3.
Scrivendo invece (α, α, γ), avremmo la funzione che associa α a 1, α a 2, e γ a 3. (Notiamo
che, con questi due insiemi, non e’ possibile trovare applicazioni suriettive di A in B, e non
e’ possibile trovare applicazioni iniettive di B in A: tutto cio’ semplicemente perche’ B ha
piu’ elementi di A).
A questo punto, sarà chiaro che l’insieme B A è identificabile con l’insieme di tutte le
terne ordinate di elementi di B (con ripetizioni), insieme che si denota con la potenza B 3 .
E, coerentemente con questa notazione, gli elementi di questo insieme sono 43 : infatti, se
vogliamo costruire una generica funzione f : A → B, abbiamo esattamente 4 scelte per dire
chi e’ f (1) (massima liberta’ tra gli elementi di B) ; per ciascuna di tali scelte, abbiamo poi
esattamente 4 scelte per dire chi e’ f (2) (ancora, massima liberta’ tra gli elementi di B);
pertanto, per scegliere f (1) e f (2) abbiamo 42 possibilita’ diverse. Per ciascuna di queste
avremo poi ancora 4 possibili scelte per f (3): dunque ci sono 43 possibili funzioni in tutto.
Piu’ in generale, se A contiene esattamente n elementi e B ne ha esattamente m,
l’insieme di tutte le funzioni f : A → B, denotato B A , possiede esattamente mn elementi.
Conclusione: L’insieme BA di tutte le applicazioni di un insieme A costituito da n
elementi, a valori in un insieme B costituito di m elementi, conta esattamente mn oggetti.
Definizione 1.3 Nella situazione descritta nella conclusione precedente, gli elementi di
B A sono detti disposizioni con ripetizioni di m oggetti a n a n .
4
Disposizioni con ripetizioni si possono riconoscere in diverse situazioni: per esempio, se si
volessero giocare al Totocalcio tutte le possibili schedine, per essere sicuri di fare tredici,
si potrebbe considerare che ogni possibile colonna é una disposizione (ovviamente con
ripetizioni) dei tre simboli 1, X, 2. Dunque, il numero complessivo di tutte le colonne
possibili e’ 313 , cioe’ 1594323. Altri esempi si hanno in problemi di allocazione: in quanti
modi si possono collocare 8 palle numerate in 5 contenitori (tutti molto capienti)? Basta
elencare in ordine il contenitore che riceve la palla n.1, poi quello che riceve la n.2, e cosi’
via, fino ad esaurire le 8 palle: si tratta di disposizioni con ripetizioni di 5 oggetti a 8 a
8, e se ne possono trovare 58 . Oppure, in quanti modi si possono distribuire 4 giocattoli
diversi tra 8 bambini (senza escludere che qualche bambino possa ottenere tutti i giocattoli
per se’)? Basta scrivere ogni volta un elenco di 4 bambini, nell’ordine stabilito per i diversi
giocattoli: per es. la disposizione B1 , B5, B5, B8 sta a significare che il bambino B1 riceve
il giocattolo n. 1, il bambino B5 riceve il giocattolo numero 2 e il numero 3, e infine il
bambino B8 riceve il quarto giocattolo. Le disposizioni ora sono 84 . Ancora un esempio:
supponiamo di estrarre a caso delle carte da gioco, da un mazzo di 40 napoletane, con la
regola di rimettere ogni volta a posto la carta estratta, dopo avere annotato di che carta
si tratta. Dopo 10 estrazioni, avremo annotato 10 carte in ordine, qualcuna delle quali
potrebbe anche comparire piu’ volte...Vi sono esattamente 4010 elenchi di questo tipo.
Un altro classico problema in cui intervengono le disposizioni con ripetizioni sono i lanci
di moneta, o di dado. Per esempio, se lanciamo 8 volte una moneta, e ogni volta annotiamo
1 se esce Testa e 0 se esce Croce, quante sono le possibili sequenze di 1 e 0? Chiaramente, si
tratta di disposizioni con ripetizioni di due oggetti (0 e 1) a 8 a 8, e quindi il loro numero e’
28 = 256. Se invece lanciassimo un dado 3 volte, e ogni volta annotassimo la faccia uscita,
quante terne diverse si potrebbero presentare? Chiaramente, qui la risposta e’ 63 = 216.
Passiamo ora alle disposizioni semplici.
Definizione 1.4 Siano A e B due insiemi come sopra, ma stavolta supponiamo che sia
n ≤ m, ossia che A abbia meno elementi di B (o al più, lo stesso numero). Diciamo
disposizioni semplici (cioè: senza ripetizioni) tutte le applicazioni iniettive di A in B. (La
richiesta n ≤ m è dovuta proprio alla necessità di avere qualche funzione iniettiva).
5
L’insieme di tali applicazioni può essere denotato con Dm,n , e ogni suo elemento può
essere descritto, come sopra, mediante una n − upla di elementi di B, in un certo ordine,
ma senza ripetizioni.
Quanti sono gli elementi di Dm,n ? Rifacciamoci all’esempio precedente: A = {1, 2, 3},e
B = {α, β, γ, δ}. Volendo descrivere una generica funzione iniettiva φ di A in B, possiamo
cominciare scegliendo φ(1) : per fare ciò abbiamo 4 scelte possibili. Poi, per ciascuna di
tali scelte, dovremo individuare φ(2) tra gli altri elementi di B, e quindi abbiamo stavolta
3 scelte diverse; per ciascuna delle 4×3 scelte fin qui individuate, abbiamo poi 2 possibili
alternative per l’ultimo valore da scegliere, cioè φ(3). In definitiva avremo 4×3 × 2 possibili
funzioni iniettive. Generalizzando il numero degli elementi di A e di B, si ha:
Conclusione Dm,n contiene esattamente m × (m − 1) × ... × (m − n + 1) =
elementi, e quindi le disposizioni semplici di m elementi a n a n (n ≤ m) sono
m!
(m−n)!
m!
.
(m−n)!
Definizione 1.5 Ricordiamo che la scrittura m! sta a denotare il prodotto dei primi m
numeri interi positivi, e che, in virtù delle precedenti conclusioni, rappresenta il numero di
tutte le applicazioni iniettive φ : A → B, nell’ipotesi che A e B abbiano lo stesso numero
(m) di elementi: in tale situazione, non è difficile osservare che ogni applicazione iniettiva è
anche necessariamente biiettiva, ed è descritta semplicemente elencando tutti gli elementi
di B in qualsiasi ordine: questa operazione dicesi anche una permutazione degli m elementi
di B (un po’ come fare un anagramma della ”parola” αβγδ , con riferimento all’esempio
sopra descritto).
Di conseguenza, il numero m! ci dice quante sono le permutazioni possibili di tutti gli
elementi di B, ammesso che B abbia esattamente m elementi. D’ora in poi, per evitare di
dilungarci troppo nel discorso, adotteremo la scrittura #(B) per denotare il numero degli
elementi dell’insieme B.
Vediamo qualche esempio in cui si possano riconoscere disposizioni semplici. Una situazione tipica si ha nel formare coppie di ballerini: se in una festa da ballo sono presenti
6 uomini e 5 donne, in quanti modi si possono formare 5 coppie di ballerini? La risposta
e’ D6,5 , perche’ ogni volta basta elencare cinque dei sei uomini, nell’ordine con cui sono
6
accoppiati alle 5 donne. Insomma, se le donne sono Anna, Beatrice, Carla, Donata ed Ester, e gli uomini sono Andrea, Bruno, Carlo, Enrico, Francesco, Giovanni, l’elenco (Carlo,
Giovanni, Francesco, Enrico, Bruno) sta a significare che le coppie sono (Anna, Carlo),
(Beatrice, Giovanni), (Carla, Francesco), (Donata, Enrico) e (Ester, Bruno). Ovviamente,
nell’elenco degli uomini non sono ammesse ripetizioni... Una situazione importante si ha
nei problemi di allocazione, dove pero’ la capienza e’ limitata ad un singolo oggetto: se per
esempio si devono inserire 4 palle numerate in 7 scatole, e ogni scatola non puo’ contenere
piu’ di una palla, allora le possibili sistemazioni delle 4 palle sono esattamente D7,4 , in
quanto ogni volta basta scrivere l’elenco delle scatole occupate, nell’ordine stabilito dai
numeri delle palle. Insomma, l’elenco (S3 , S8 , S4 , S2 ) sta a significare che la palla numero 1
e’ nella scatola 3, la palla numero 2 e’ enlla scatola 8, e cosi’ via.
Anche le permutazioni sono spesso adoperate in problemi importanti (e non solo per
gli anagrammi). Per esempio, esse permettono di criptare messaggi: se un messaggio
viene inizialmente codificato mediante una serie di simboli, per un totale diciamo di 100
battute, questo messaggio puo’ essere ulteriormente mascherato attraverso una permutazione delle cento cifre che lo compongono. Poiche’ le permutazioni diverse sono 100! =
93326215443944152681699238856266700490715968264381621468592963895217599993229915
608941463976156518286253697920827223758251185210916864 seguito da 25 zeri, e’ ben difficile che un estraneo possa rintracciare il numero originario senza conoscere quale delle
permutazioni e’ stata adoperata!
1.2
Combinazioni e Formule
Ancora tramite i concetti riguardanti applicazioni tra insiemi finiti, possiamo introdurre le
cosiddette combinazioni, di m oggetti a n a n, sia con ripetizioni che senza. Per i nostri
scopi, ci interesseremo principalmente delle combinazioni senza ripetizioni, per le quali
occorre che sia n ≤ m.
Pero’, prima di entrare direttamente nel merito, conviene che diamo un concetto relativo
alle funzioni tra insiemi astratti.
7
Definizione 1.6 Data una funzione f : A → B tra due insiemi non vuoti A e B, diciamo
codominio di f quel sottoinsieme C ⊂ B degli elementi b per i quali l’equazione f (x) = b
ha almeno una soluzione. In altri termini, il codominio e’ l’insieme di tutti gli elementi
del tipo f (x), per x ∈ A. Di solito, il codominio di una funzione f si denota con f (A).
E’ chiaro che f (A) = B se e solo se f e’ suriettiva. Invece, se consideriamo la funzione
f (x) = x2 con gli insiemi A = B = IR, essa ha come codominio il sottoinsieme [0, +∞[.
Ora, immaginiamo che il nostro insieme B abbia 10 elementi, e chiediamoci: quanti
sono i sottoinsiemi di B che hanno 7 elementi? Per rispondere a questa domanda, intanto
scegliamo un qualsiasi insieme A di 7 elementi, per es. A = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7} e un qualsiasi
sottoinsieme C di B che abbia 7 elementi. Siccome C e A hanno lo stesso numero di
elementi, c’e’ una biiezione f : A → C: anzi, sappiamo gia’ che ce ne sono 7! (e ciascuna di
queste puo’ anche essere pensata come una funzione iniiettiva di A in B). Ora, se cambiamo
C con un qualsiasi altro sottoinsieme C ∗ di B con 7 elementi, vi sono ancora 7! funzioni
iniettive di A in C ∗ , e nessuna di queste e’ compresa fra quelle precedenti. Insomma,
ogni sottoinsieme di B che abbia 7 elementi individua 7! funzioni iniettive di A in B, e
senza nessuna sovrapposizione. Facendo il conto di tutte le funzioni iniettive cosi’ costruite,
si ottiene D10,7 , cioe’ si ottengono tutte le applicazioni iniettive di A in B, raggruppate a
blocchi con 7! funzioni ciascuno. Dunque D10,7 non e’ altro che 7! moltiplicato per il numero
dei blocchi di cui stiamo parlando, e percio’ il numero dei blocchi é
D10,7
7!
=
10!
.
3!7!
Ora, basta
ricordare che ogni blocco di funzioni iniettive corrisponde ad un particolare sottoinsieme di
B che ha 7 elementi: insomma, i sottoinsiemi di B di 7 elementi sono tanti quanti i blocchi!
Questo discorso puo’ naturalmente esser esteso ad insiemi di qualsiasi cardinalita’.
Quindi, se B e’ un insieme di m elementi, e n ≤ m, allora ci sono esattamente
m!
n!(n−m)!
sottoinsiemi di B che hanno n elementi.
Questo discorso puo’ venire riformulato in altri termini, parlando di combinazioni (semplici). Se ci pensiamo bene, un sottoinsieme di B con n elementi si ottiene scegliendo n
oggetti tra quelli di B e scrivendoli uno dietro l’altro in qualsiasi ordine e senza ripetizioni.
E ogni elenco del genere da un insieme di m oggetti viene detto appunto una combinazione
semplice degli m oggetti a n a n.
8
Per esempio, se B fosse l’insieme delle 40 carte napoletane, e scegliessimo contemporaneamente 6 carte dal mazzo, avremmo in mano proprio una combinazione delle 40 carte
a sei a sei. Quante sono queste combinazioni? Esattamente
40!
,
6!34!
cioe’ 3838380.
Definizione 1.7 Dati due numeri interi m e n, con n ≤ m, il numero delle combinazioni
semplici di m oggetti a n a n viene denotato anche con Cm,n e con m
. Questi numeri
n
vengono anche detti coefficienti binomiali, per un motivo che presto sara’ chiaro.
m!
.
(m−n)!n!
Cm,n =
Dai discorsi fatti sinora, si può sintetizzare quanto segue:
le disposizioni con ripetizioni di m oggetti a n a n sono rappresentabili come gli
elementi di B n , ove #(B) = m, e quindi il loro numero è mn ;
le disposizioni semplici di m oggetti a n a n (con n ≤ m) sono rappresentabili come
n − uple ordinate degli m oggetti a n a n, a condizione che nessun elemento compaia più
di una volta, e il loro numero è
m!
;
(m−n)!
le combinazioni semplici di m oggetti a n a n (con n ≤ m), sono rappresentabili
semplicemente come sottoinsiemi (ciascuno con n elementi) dell’insieme B costituito dagli
m oggetti. Il numero Cm,n ci dice quanti sono i sottoinsiemi di B, aventi esattamente n
m!
oggetti: Cm,n = m
= (m−n)!n!
n
(Per convenzione, si pone anche 0! = 1, cosı̀ la scrittura precedente include anche il caso
n = 0).
Possiamo ora elencare alcune formule riguardanti i numeri
m
n
, detti anche coefficienti
binomiali.
Intanto, é chiaro che risulta
m
n
=
m
m−n
Si ha poi facilmente:
m
n
=
m−1 m
n−1 n
quando
n 6= 0.
Un’altra importante relazione é quella che prende il nome dal celebre triangolo di
Tartaglia:
m+1
m
m
=
+
,
n
n
n−1
9
relazione che conduce a un’altra importante formula, nota con il nome di binomio di
Newton:
m
(a + b) =
m X
m
an bm−n .
n
n=0
Non diamo la dimostrazione in dettaglio, ma osserviamo che, per a = b = 1 risulta:
m X
m
m
2 =
n
n=0
Quest’ultima formula puó essere dimostrata indipendentemente, contando i sottoinsiemi
di un generico insieme B con m elementi: vi sono esattamente m
sottoinsiemi con n
n
elementi, per n = 0, 1, ..., m, e quindi, sommando tutti questi numeri, per n che varia tra
0 e m, si ottiene #(℘(B)). D’altra parte, #(℘(B)) puó anche esser calcolato contando
tutte le possibili applicazioni φ : B → {0, 1}: sappiamo che queste sono 2m , e ciascuna puó
venir associata ad un ben preciso sottoinsieme di B, che la individua univocamente, cioé
P
m
l’insieme di quei punti b ∈ B per i quali si ha φ(b) = 1. Dunque, #(B) = 2m = m
n=0 n .
I coefficienti binomiali intervengono in molte formule, alcune delle quali prevedono valori
molto alti sia per m, che per n (ció accade di solito in problemi di probabilitá). In tali casi,
possono essere utili formule di approssimazione, del tipo di quella di Stirling: (v. ultimo
esempio del capitolo 3).
Per esempio, 2n
viene approssimato con
n
n
√4 ,
πn
non appena n superi 8.
Oltre alle combinazioni semplici, si possono anche considerare quelle con ripetizioni :
queste in pratica sono elenchi di m oggetti a n a n, (qui, puó anche essere n > m), anche
con ripetizioni, ma senza possibilitá di cambiare l’ordine.
r
Il loro numero si denota con Cm,n
, e si dimostra la formula:
r
Cm,n
=
m+n−1
n
Facciamo un esempio.
Si sa che in un libro di 100 pagine vi sono 10 errori: in quanti modi questi errori si possono
esser distribuiti lungo le varie pagine?
Per esempio, potremmo scrivere l’elenco (1,1,5,5,58,65,78,78,78,98) per intendere che a
10
pagina 1 vi sono due errori, come a pagina 5, poi c’é un errore a pagina 58, uno a pag.65,
tre a pagina 78, e un altro a pagina 98. E’ chiaro a cosa servono le ripetizioni, e che l’ordine
non ha alcuna importanza: la stessa distribuzione degli errori si avrebbe scrivendo l’elenco
(5,1,78,58,65,98,1,5,78,78).
Un altro modo di descrivere una simile distribuzione di errori consiste nello scrivere, al
posto del numero di pagina, la somma tra il numero stesso e il numero di errori riscontrati
fino a quella pagina (compresa). Cosı́, la lista precedente verrebbe sostituita da:
(3,4,5,6,9,10,11,12,13,...61,63,64,65,66,...69,71,72,73,... 83,86,87,88,...106,108,109,110)
che é una lista di 110 elementi, in ordine crescente (senza ripetizioni) l’ultimo dei quali é
perfettamente inutile (in quanto sarebbe lo stesso per tutte le distribuzioni possibili dei 10
errori nelle 100 pagine).
Ecco cosı́ che le combinazioni con ripetizioni di 100 oggetti a 10 a 10 sono tante quante le
r
combinazioni semplici di 109 oggetti a 10 a 10 (cfr. la formula Cm,n
= m+n−1
).
n
11
Chapter 2
Problemi di Probabilita’ Elementare
1.
In una classe di 24 allievi, tutti nati nello stesso anno (non bisestile), qual’é la probabilita’ che ci siano almeno due ragazzi nati nello stesso giorno?
R.: Le varie date di nascita sono 24, e possono essere ottenute in 36524 modi differenti
(considerando i ragazzi come elementi distinguibili). Tra queste, quelle senza ripetizioni sono D365,24 . Dunque, il rapporto tra queste quantita’ ci dara’ la probabilita’
che non vi siano compleanni in comune. Con l’aiuto di un PC troviamo che tale
probabilita’ e’ circa .4616557421. Allora, la probabilita’ che invece ci siano almeno
due compleanni in comune sara’ data da 1 − .4616557421 ∼ .5383442579.
2.
Supponiamo di lanciare 10 volte una moneta onesta. Qual’é la probabilita’ di osservare 9 teste? E 8 teste? E 4 teste?
R.: I possibili risultati sono 210 . Per osservare esattamente 9 teste, ci sono solo 10
possibilita’ favorevoli: una per ogni posizione in cui esce l’unica croce. Quindi qui
la probabilita’ e’
10
.
1024
Invece per 8 teste le possibilita’ sono di piu’: basta scegliere
l’insieme dei due posti ove escono le due croci; i posti sono 10, e di questi i sottoinsiemi
con due elementi sono 10
= 45. In conclusione, la probabilita’ di osservare esatta2
mente 8 teste e’
45
.
1024
Infine, ragionando analogamente, si trova che la probabilita’ di
(106)
osservare esattamente 4 teste e’ 1024
∼ .205078125.
12
3.
Supponiamo di lanciare un dado onesto 4 volte. Qual’é la probabilita’ di osservare
almeno un 6?
R.: Conviene cercare la probabilita’ del contrario, ossia che non esca nessun 6. Trattandosi di 4 lanci, gli elenchi possibili sono 64 . Quelli per i quali il 6 non esce
mai sono invece 54 (basta escludere il 6 dalle facce...). Dunque, la probabilita’ che
il 6 non esca mai e’ ( 65 )4 = .4822530864, mentre la probabilita’ che ci interessa e’
1 − ( 65 )4 ∼ .5177469136: tutto sommato poco piu’ di 12 ...
4.
Dieci studenti in gita scolastica vanno a fare baldoria una sera. Quando tornano in
albergo, sono talmente ubriachi che s’infilano ciascuno in una camera a caso (delle
dieci a loro destinate). Qual’e’ la probabilita’ che Giuliano e Maurizio dormano nella
propria camera? E qual’e’ la probabilita’ che almeno uno tra Giuliano e Maurizio
dorma nella propria camera?
R.: Le stanze possono essere scambiate in 10! modi diversi. Di questi ce ne sono 9!
nei quali Giuliano azzecchi la camera giusta, e altrettanti per Maurizio. Se si vuole
che entrambi trovino la camera giusta, allora le possibilita’ a favore sono 8!, e quindi
la probabilita’ e’
8!
10!
=
1
.
90
La probabilita’ che almeno uno dei due indovini la sua
camera e’ ottenuta contando le possibilita’ favorevoli a Giuliano, sommate a quelle
favorevoli a Maurizio, meno quelle favorevoli a entrambe (perche’ contate due volte
nel calcolo precedente): quindi la probabilita’ risultante e’
9!+9!−8!
10!
=
17
90
∼ .188888888.
In situazioni del genere, e’ piuttosto complicato calcolare la proabilita’ dell’evento
”‘nessun ragazzo indovina la propria camera”’: la risposta rigorosa e’
1
1
1
1
1
1
− + − ... +
∼ .
2 3! 4! 5!
10!
e
Il riferimento a
1
e
non e’ casuale: se il numero dei ragazzi aumentasse all’infinito, la
probabilita’ che nessuno trovi la camera giusta avrebbe come valore limite proprio 1e .
13
5.
Si lancia una moneta onesta 12 volte, e ogni volta si vince un euro se esce testa, ma
si perde un euro se esce croce. Qual’é la probabilita’ che dopo i 12 lanci abbiamo
vinto complessivamente 2 euro? Oppure siamo a 0? oppure siamo a -1?
R.: Se dopo i dodici lanci siamo a 0, vuol dire che sono uscite esattamente 6 teste
(12)
e 6 croci. La probabilita’ sara’ allora 2612 ∼ .2255859375. Per essere invece a −1,
bisognerebbe che le croci siano una piu’ delle teste: ma allora la somma tra numero
di teste e numero di croci sarebbe un numero dispari, mentre dev’essere 12, naturalmente. Dunque, dopo 12 lanci non e’ possibile che siamo a −1. Infine, la situazione
decsritta nel primo quesito equivale a richiedere che le teste siano 2 piu’ delle croci,
e, siccome la somma tra numero di teste e numero di croci dev’essere 12, l’unica
possibilita’ e’ che siano uscite esattamente 7 teste. Dunque la probabilita’ cercata e’
(127)
∼ .193359375.
212
14
Cardinalita’ e Successioni
Abbiamo visto nei seminari precedenti l’importanza delle applicazioni tra insiemi finiti,
specialmente nel Calcolo Combinatorio. In particolare, abbiamo visto che due insiemi finiti
A e B hanno lo stesso numero di elementi se e solo se esiste un’applicazione biiettiva di A
in B (o equivalentemente di B in A).
Questo punto di vista permette di stabilire una graduatoria anche tra gli insiemi infiniti,
e quindi stabilire se, tra due insiemi infiniti, uno é piu’ infinito dell’altro oppure no.
Definizione 0.1 Una definizione alquanto curiosa è quella di insieme infinito: noi siamo
abituati a considerare questa nozione come intuitiva, ma in Matematica non ci si accontenta
di questo, e allora si dice che un insieme A è infinito se si può trovare un insieme B⊂ A,
con ∅ =
6 B 6= A, in modo che esista un’applicazione biiettiva φ : B → A.
Per farsi un’idea della situazione, si pensi ad A = IN, e B = P, insieme dei numeri pari
non negativi: una biiezione φ : P → IN è per esempio data da φ(p) = p2 , ∀p ∈ P.
Ancora, dati due insiemi A e B (finiti o infiniti), si dice che A è più potente di B se
esiste un’applicazione iniettiva J : B → A. (In parole povere, più potente significa con
un maggior numero di elementi, intendendo anche maggiore o uguale). Questa definizione
sembra ovvia, se gli insiemi sono finiti, ma diventa interessante se gli insiemi sono infiniti. Si
dice poi che i due insiemi sono equipotenti (ossia che hanno lo stesso ”numero” di elementi),
se esiste una biiezione φ : A → B. Un fatto importante è espresso dal seguente teorema,
dovuto a Bernstein. Benché l’enunciato sembri esprimere un fatto ovvio, la dimostrazione
rigorosa, basata sulle definizioni precedenti, non é affatto facile, e noi la ometteremo.
Teorema 0.2 Dati due insiemi A e B, se A è più potente di B, e B è più potente di A,
allora A e B sono equipotenti.
A questo punto potrebbe sorgere un dubbio: finchè si lavora con insiemi finiti, tutto sommato non si è fatto nulla di nuovo, anzi si è reso più complicato un concetto cosı̀ ”naturale”
1
come quello di numero. Dunque questo discorso dice qualcosa di nuovo solo nel caso di
insiemi infiniti. Tuttavia, già la definizione di insieme infinito ci fa capire che è ”molto
facile” costruire biiezioni tra insiemi infiniti, anche tra un insieme come IN e una sua
”metà”: e se ”tutti” gli insiemi infiniti fossero equipotenti? Avremmo fatto un bel buco
nell’acqua! In realtà, le cose non stanno cosı̀, e in effetti c’è un modo molto semplice per
costruire, dato un insieme infinito qualunque A, un insieme B che è più potente di A, e
non equipotente ad A: basta scegliere B = ℘(A), cioè l’insieme di tutti i sottoinsiemi di
A. Nel prossimo teorema, di cui riportiamo la dimostrazione solo per maggiore chiarezza,
si evidenzia questo fatto.
Teorema 0.3 Dato un qualunque insieme A, esiste un’applicazione iniettiva J : A →
℘(A), ma i due insiemi non sono equipotenti.
Dimostrazione.
Ponendo J(x) = {x}, per ogni x ∈ A, è evidente che J è
un’applicazione iniettiva, di A in ℘(A). Proviamo ora che non può esistere alcuna biiezione φ : A → ℘(A). Infatti, se una tale biiezione φ esistesse, potremmo considerare il
seguente sottoinsieme H ⊂ A :
H = {x ∈ A : x ∈ φ(x)}.
Possiamo vedere facilmente che H è non vuoto: infatti, siccome φ è biiettiva, al sottoinsieme A di A corrisponde un elemento x ∈ A tale che φ(x) = A, e allora x ∈ φ(x).
Anche il complementare H c è non vuoto: siccome φ per ipotesi è suriettiva, esiste anche
un y ∈ A tale che φ(y) = ∅, e allora chiaramente non può essere y ∈ φ(y). Ora, veniamo
all’assurdo. Siccome H c è un sottoinsieme di A, e φ è biiettiva, c’è sicuramente un elemento
a ∈ A tale che φ(a) = H c . Ora, necessariamente dev’essere a ∈ H, oppure a ∈ H c . Ma,
se a ∈ H, si deve avere a ∈ φ(a), per la definizione stessa di H. Dunque, se a ∈ H, si
deve avere a ∈ φ(a) = H c , impossibile. Resta l’alternativa a ∈ H c : ma, per definizione di
H, se a ∈ H c , ossia a ∈
/ H, non può essere a ∈ φ(A) = H c ! Dunque, anche se a ∈ H c ,
arriviamo ad una contraddizione. In conclusione, a non può stare nè in H, nè in H c , e
questo è assurdo.
2
Le considerazioni finora svolte diventano un po’ più concrete, quando si comincia a
lavorare con gli insiemi infiniti che conosciamo meglio: IN, , Z, Q, IR : si può dimostrare che
IN, Z, e Q hanno la stessa cardinalità, e questa è la più piccola tra le cardinalità infinite.
Invece, IR ha cardinalità strettamente maggiore: infatti, IR ha la stessa cardinalità di
℘(IN ). Questo fatto può essere spiegato, ripensando alla rappresentazione binaria dei
numeri reali: ossia, ogni numero reale può essere espresso come una successione infinita
di zeri e uni , cioè come un elemento di {0, 1}IN . Ma anche ogni elemento di ℘(IN ) può
essere espresso come un elemento di {0, 1}IN : infatti, se A ⊂ IN , possiamo ”scorrere”
gli elementi n di IN , segnando uno se n ∈ A, zero se n ∈
/ A. Alla fine, avremo una
sequenza di zeri e uni, che caratterizza perfettamente l’insieme A : per esempio, la sequenza
(0111001101001...) caratterizza l’insieme {1, 2, 3, 6, 7, 9, 12...}, avendo iniziato a scorrere da
0 (che non appartiene ad A, perchè il primo elemento della sequenza è 0), e poi via via
tutti gli altri.
Altre importanti applicazioni sono le successioni : una successione in un insieme A è
una generica applicazione φ : IN → A. Di solito, data una tale successione , si preferisce
scrivere an al posto di φ(n), e si usa la scrittura (an ) per rappresentare l’intera successione.
Per esempio, ( n1 ) è la successione che, ad ogni intero positivo n, associa il numero reale (o,
se si preferisce, razionale) n1 .
A volte, le successioni vengono anche definite per ricorrenza, ossia si assegna il valore
a0 , e poi si dà una ”legge di passaggio”(detta appunto ”legge di ricorrenza”) da an ad an+1 :
in questo modo, nota a0 , la legge di ricorrenza ci permette di ricavare a1 ; da questa si ricava
poi a2 , e cosı̀ via, all’infinito.
Possiamo porre per esempio: a0 = 1, an+1 =
an
.
2
Otteniamo cosı̀ la successione di numeri:
1, 21 , 14 , ..., e in generale si puo’ concludere che an =
1
.
2n
Ancora, si potrebbe porre: a0 =1, e dare la legge: an+1 = an + 1/(n + 1). Si ottiene cosı̀
la seguente successione di valori: 1, 1+1, 1+1+1/2, 1+1+1/2+1/3, etc. In genere, quando
una successione è definita per ricorrenza, non si può pretendere di trovare un’espressione
elementare del termine generale an . E infatti, nell’ultimo esempio che abbiamo dato, non
siamo arrivati a un’espressione per an .
3
Un altro esempio interessante é la successione dei numeri di Fibonacci; i termini sono i
seguenti:
1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, ...
ognuno dei quali risultando dalla somma dei due precedenti. Dunque, per definire esaurientemente tale successione occorrono due punti iniziali: a0 = 1 e a1 = 1, e poi la legge di
ricorrenza:
an+1 = an + an−1 ,
valida per n > 0.
Abbiamo gia’visto alcuni esempi di successioni, sia definite mediante una formula diretta
che esprime il termine generale an in funzione di n, sia definite per ricorrenza . In genere,
comunque, una successione potrebbe non esser definita su tutto IN , ma da un certo n in
poi: per esempio, la legge an =
1
n(n−1)(n−2)
è definita solo per n ≥ 3, e di conseguenza
s’intende che il dominio è {3,4,...}. Quasi sempre questo ci basterà. Approfittiamo di
questa occasione per introdurre una locuzione: quando una certa proprietà, riguardante i
numeri interi, è verificata da un certo n in poi, si dice che essa vale definitivamente. Ad
esempio, la disuguaglianza n2 ≥ 3n vale definitivamente, infatti è verificata per n = 0, per
n = 3, e per tutti gli n successivi a 3. Vedremo presto che è molto importante stabilire che
certe disuguaglianze valgono definitivamente : citiamone alcune.
√
2n < n2 , n2 < 2n , 2n < n!, n14 > e−n , ln n < 12 n, ... Per dimostrare queste e
altre relazioni é molto utile il principio di induzione: se si vuole dimostrare che una certa
proprietá (P), riguardante i numeri interi, vale da un certo N in poi, si procede in due
passi:
1) prima, si dimostra che (P) é vera per N ;
2) poi, assumendo che (P) sia giá stata dimostrata per un certo n ≥ N , la si dimostra
per n + 1.
A titolo di esempio, dimostriamo che la proprietá 2n < n! sussiste da un certo N in
poi. Con poche prove, si vede che essa non vale per 1, per 2, per 3, ma vale per n = 4.
Proviamo ora che essa vale per ogni n ≥ 4: il primo passo, cioé provare la (P) per N = 4,
é giá fatto; supponiamo allora che la (P) valga per un certo n ≥ 4, e verifichiamola per
4
n + 1: 2n+1 = 2 · 2n < 2 · n! < (n + 1) · n! = (n + 1)! Con pochi passaggi, dunque, abbiamo
provato che anche n + 1 verifica la proprieta’ annunciata (supponendo che n la verifichi):
per il principio di induzione, cio’ basta per concludere che, per ogni n ≥ 4, si ha 2n < n!
Un’altra utile relazione, che si puó dimostrare per induzione, riguarda la somma dei primi
n numeri interi: si ha: 1 + 2 + ... + n =
Ancora:
Pn
i=1
i2 =
2n3 +3n2 +n
,
6
e
Pn
i=1
n2 +n
,
2
valida per ogni intero positivo n.
2
i3 = ( n 2+n )2 valide per ogni n > 0.
Anche le successioni definite per ricorrenza possono tralasciare alcuni numeri interi:
per esempio, si potrebbe porre: a5 = 35 , e an+1 =
1
.
an +1
I primi 5 termini della successione
, 21 , 34 , ... Si capisce ora
non sono definiti, ma non importa: si comincia con 35 , poi c’è 85 , 13
8 13 21
facilmente qual è il termine successivo, e quello dopo ancora, e cosı̀ via, ma non è immediato
(per ora) capire se questi numeri si avvicinano sempre più a qualcosa, e anche a che cosa:
√
proviamo a confrontarli con la famosa proporzione divina ϕ =
5+1
2
= 1. 618 03?
Facendo i conti (meglio se con una calcolatrice), si puo’ notare che, magari lentamente, i
nostri termini si avvicinano sempre più al valore che abbiamo indovinato. Presto sveleremo
l’arcano: per il momento, limitiamoci ad osservare che la successione che stiamo studiando
deriva da quella dei numeri di Fibonacci: 1,1,2,3,5,8... in cui ogni nuovo termine é la somma
dei due che lo precedono. Infatti, la successione (an ) precedente non é altro che la sequenza
dei rapporti tra ciascun numero di Fibonacci e quello immediatamente precedente, a partire
dal quinto.
Un altro esempio interessante è il seguente: poniamo
1
2
q0 = 2; qn+1 = (qn + ).
2
qn
(Abbiamo usato la scrittura qn perchè i termini di questa successione sono tutti razionali).
I valori che tale successione assume sono: 2, 32 , 1.4166, 1.414215, 1.414213...: sembra proprio
√
che ci avviciniamo a 2 (numero notoriamente irrazionale)! Qui possiamo provare a dare
una spiegazione decisiva: se i termini della nostra successione si avvicinano tutti a un valore
α, a un certo punto qn e qn+1 saranno sempre più vicini tra loro, al punto che il computer
non sarà più in grado di distinguerli: avremo cioè raggiunto un valore q, tale che, calcolando
5
1
(q
2
+ 2q ), si ottiene praticamente ancora q. Allora q risolve l’equazione q = 21 (q + 2q ), il che
porta a q 2 = 2...
√
Adesso, si vede chiaramente anche come funziona l’esempio precedente:
soluzione accettabile dell’equazione q =
1
q+1
5−1
2
è l’unica
.
Come abbiamo visto, spesso il limite di una successione definita per ricorrenza si puo’
ricavare risolvendo un’equazione. Ma spesso i termini del discorso si possono anche invertire: insomma, a volte una successione definita per ricorrenza puo’ servire a calcolare,
magari approssimativamente ma rapidamente, la soluzione di qualche equazione ostile ai
soliti metodi.
Per esempio, supponiamo di dover risolvere l’equazione cos x = x. Chi abbia un po’ di
dimestichezza con i grafici della funzione coseno e della retta y = x, vede facilmente che c’e’
un punto d’incontro (uno solo), e questo si trova tra 0 e π2 . Ma, se lo si vuole individuare
facilmente, si puo’ impostare la seguente successione (an )n :
a0 = 0, e, per ricorrenza, an+1 = cos an .
I termini successivi di questa successione sono: 0, 1, .5403023059, .8575532158, .6542897905,
.7934803587, .7013687737, .7639596829, .7221024250, .7504177618, .7314040424, .7442373549,
.7356047404, .7414250866, .7375068905, .7401473356, .7383692041, .7395672022, .7387603199,
.7393038924, .7389377567, .7391843998, .7390182624, .7391301765, .7390547908, .7391055719,
.7390713653, .7390944074, .7390788860, .7390893414, .7390822985, .7390870427, .7390838470,
.7390859996, .7390845496, .7390855263, .7390848684, .7390853116, .7390850131, .7390852141,
.7390850787, .7390851699, .7390851085, .7390851499, .7390851220, .7390851408, .7390851281,
.7390851367,... Ecco, gli ultimi termini scritti coincidono per parecchie cifre dopo la virgola,
e quindi possono essere usati come una buona approssimazione della soluzione cercata.
Tuttavia la maggior parte delle successioni definite per ricorrenza hanno un comportamento molto più difficile da comprendere. Facciamo un paio di esempi cattivi.
Esempi
1) Poniamo a0 = 35 , an+1 = 4an (1 − an ) (successione logistica).
Qui, la situazione è
assai diversa: anche scrivendo i primi 18 termini, i valori che si ottengono sono del tutto
6
caotici, e danno l’idea che non si avvicinano a nulla (e cosı́ é, infatti). Eppure, l’equazione
x = 4x(1 − x) ha come soluzioni i numeri 0 e 34 .
2) Poniamo: a0 = 1, an+1 = an + 2n1+n . Qui, si può vedere subito che la successione (an ) è
1
monotona crescente, e inoltre : an+1 = 1+ 11 + 13 + 16 + 11
+...+ 2n1+n ≤ 1+1+ 21 + 14 +...+ 21n ≤ 3
per ogni n. Dunque, è prevedibile che il sup degli an sia il limite che cerchiamo: infatti
è proprio cosı̀, e lo si può controllare valutando i primi 10 o 12 termini della successione.
Ma trovare esplicitamente una semplice espressione per tale numero non è cosa facile. E
non serve a nulla provare ad impostare l’equazione x = x +
1
2n +n
: da una parte questa
dipende da n, e dall’altra non ha certo soluzioni pensando n fisso.
In conclusione, possiamo osservare che le successioni hanno comportamenti di tutti i
tipi: ci sono addirittura dei casi estremi, di successioni che riempiono tutto Q! (ricordiamo
che Q è numerabile, cioè ha la stessa cardinalità di IN )
Pertanto, è importante esaminare attentamente almeno alcuni tipi di successioni, che
si comportano abbastanza bene, e che hanno particolare importanza sia nella Matematica,
sia nelle sue applicazioni.
0.1
Serie
Il concetto di serie in Matematica si introduce allo scopo di dare un senso all’idea di
sommare infiniti numeri; a prima vista, l’argomento appare piuttosto tecnico, e anche
difficile, ma le applicazioni sono straordinariamente vaste e a volte conducono a risultati
sorprendenti.
Tanto per dare un esempio significativo, ricordiamo un celebre problema di Filosofia
classica: il ”paradosso di Achille e la tartaruga”.
Il problema si puo’ formulare come segue: Achille pié veloce viene sfidato a una gara
di corsa da una tartaruga, notevolmente piu’ lenta di lui; per fissar le idee, supponiamo
che la velocitá di Achille sia di 10m/sec, e quella della tartaruga sia di 0.1 m/sec. L’unica
concessione che la tartaruga chiede é di poter partire con 10 m di vantaggio. Il ”paradosso”
vorrebbe che Achille, partendo 10 m piu’ indietro, non possa mai raggiungere l’animale:
infatti, egli impiegherá 1 secondo a coprire i 10 metri iniziali, ma nel frattempo la tartaruga
7
avrá percorso 0.1 metri, e quindi sará ancora davanti a lui. Achille impiegherá pochissimo
tempo per percorrere questi 0.1 metri, ma intanto la tartaruga avrá fatto un altro piccolissimo percorso, e quindi sará ancora davanti a lui... E questo si puo’ (almeno in teoria)
protrarre all’infinito. Il paradosso é generato dal fatto che, seguendo questo ragionamento,
si presume che i piccolissimi intervalli di tempo impiegati ogni volta da Achille, sommati
insieme, diano un tempo infinito, e quindi il pié veloce non raggiunga mai la lenta bestiola.
Ma proviamo a calcolare questi minimi intervalli di tempo: il primo, come abbiamo
visto, é 1 sec. Il secondo intervallo sará 0.01 sec.: é infatti questo il tempo che gli occorre
per fare 0.1 metri. In 0.01 secondi, la tartaruga ha intanto percorso 0.001 metri, e allora il
terzo intervallo di tempo sará 0.0001 sec. Dunque, se indichiamo con tn il generico intervallo
1 n−1
di tempo, avremo: tn = ( 100
) , n=1,2,...
Sommando i vari tn , si ha:
X
tn = 1 +
1
1
+
+ ... = 1.01010101...
100 10000
per definizione stessa del numero reale periodico 1.010101...
Quindi, non é vero che il tempo complessivo impiegato da Achille sia infinito: espresso
in secondi, tale tempo é meno di 1.02.
E’ ora giunto il momento di dare qualche definizione precisa.
Definizione 0.4 Data una successione (an ) in IR, si chiama serie associata a tale succesP
sione, e si denota con
an , la seguente successione (sn ) :
sn = a0 + ... + an ,
per ogni n = 0, 1, ...
I termini sn vengono anche detti somme parziali, o ridotte della successione data (an ).
In contrapposizione, il termine an é detto termine generale della serie.
Si puo’ facilmente notare che la successione (sn ) é definita per ricorrenza:
s0 := a0 ,
sn+1 = sn + an+1 ,
per n > 0.
8
Per esempio, se si ha an = n per ogni n, la somma parziale sn = a0 + a1 + ... + an é
data da: sn = 0 + 1 + 2 + ... + n =
n(n+1)
.
2
(Si vedano le formule provate in precedenza per induzione). Chiaramente, la successione
(sn ) tende a +∞.
Ancora, se an = 10−n per n = 0, 1, ..., allora si ha: s0 = a0 = 1; s1 = 1 + 0.1 = 1.1; s2 =
1.11; s3 = 1.111, etc.
In quest’ultimo caso, possiamo vedere facilmente che la successione sn ha come limite
il numero (periodico) 1.1111... =
10
.
9
Infatti, 10
− sn ≤ 10−n per ogni n.
9
Un ultimo esempio, apparentemente innocuo, é il seguente: an = (−1)n , n = 0, 1, 2...
Avremo allora: s0 = 1, s1 = 0, s2 = 1, s3 = 0, etc. Vediamo quindi che sn questa volta
non ammette limite: la cosa puo’ sembrare strana, perché, sommando gli an , si potrebbe
P
essere tentati di raggrupparli a due a due, ottenendo
an = (1 − 1) + (1 − 1) + (1 − 1)...
con la prevedibile conclusione (errata) che la somma complessiva sia nulla.
Perché errata? Perché un bastian contrario potrebbe divertirsi a sommare cosı́:
P
an =
1 + (−1 + 1) + (−1 + 1) + (−1 + 1) + ... con l’altrettanto prevedibile (e sbagliata) conclusione
che la somma totale sia 1.
Da quanto abbiamo visto, data una serie
P
an , la successione (sn ) puó avere diversi
comportamenti. La prossima definizione classifica le serie, a seconda di tale comportamento.
Definizione 0.5 Data una serie
P
an , essa viene detta convergente se la successione (sn )
ammette limite finito, S. In tal caso, il numero S é detto la somma della serie, e si scrive
P
anche:
an = S.
P
Qualora invece (sn ) tenda a +∞ (oppure −∞ rispettivamente) la serie an viene detta
divergente a +∞ ( o a −∞ rispettivamente).
Infine, se la successione (sn ) non ammette limite, la serie
o anche indeterminata.
9
P
an é detta essere oscillante
0.2
Alcune serie fondamentali
Iniziamo con le cosiddette serie telescopiche: si tratta di serie della forma:
X
an =
X
(bn − bn+1 )
ove (bn ) sia una successione il cui andamento sia noto.
P
Per esempio, la serie
ln (1 + n1 ) é di tale tipo: infatti,
ln (1 +
n+1
1
) = ln
= ln (n + 1) − ln n.
n
n
In tal caso, é bn = − ln n.
Se si calcola la somma parziale n-esima di una serie telescopica, si trova:
sn = a0 + a1 + ... + an = b0 − b1 + b1 − b2 + ... + bn − bn+1 = b0 − bn+1 .
Dunque, il comportamento della successione (sn ) é chiaro, non appena si conosca il
limite della successione (bn ).
Cosı́, nell’esempio precedente, (ove si ponga a0 = 0), la serie é divergente a +∞.
Un altro esempio utile é il seguente:
X
X 1
1
1
=
( −
).
n(n + 1)
n n+1
1
(Qui, supponiamo che n vada da 1 a ∞). La serie stavolta converge, essendo sn = 1 − n+1
,
e la somma é 1.
Un altro tipo di serie, particolarmente importante, é quello delle serie geometriche,
P n
cioé le serie del tipo
q , ove q é un fissato parametro reale. Per tali serie, si conosce
l’espressione delle somme parziali: si ha infatti, per q 6= 1
1 + q + q 2 + ... + q n =
1 − q n+1
1−q
mentre per q = 1 si ha ovviamente sn = n + 1.
Dunque, tutto dipende dal numero q, detto la ragione della serie.
Ora, appare chiaro che una serie geometrica, di ragione q, risulta
divergente, se q ≥ 1,
10
convergente, se |q| < 1,
indeterminata, se q ≤ −1
(basta ricordare il limite della successione (q n ), giá studiata a suo tempo).
In particolare, se |q| < 1, risulta:
∞
X
qn =
n=0
Per esempio, la serie
P
1
2n
ha per somma
1
.
1−q
1
1− 12
= 2.
Osserviamo che queste formule riguardano le somme per n che va da 0 a ∞: si puó
P
q
n
dedurre facilmente, per sottrazione, che ∞
n=1 q = 1−q , sempre per |q| < 1.
Piú in generale, risulta
∞
X
q n = q k + q k+1 + ... = q k (1 + q 2 + ...) =
n=k
qk
1−q
per k intero naturale arbitrario.
Un’interessante applicazione delle serie geometriche si ha nella rappresentazione frazionaria dei numeri decimali periodici: per esempio, il numero x = 1.3333... coincide con la
frazione 43 . Infatti, tale numero periodico si puo’ scrivere come una serie:
x = 1 + 3(
1
1
1
1 10
1
+
+
+ ...) = 1 + 3(
)=1+ .
10 100 1000
10 9
3
Questo spiega quella formulina che si insegna nelle scuole medie per trasformare un numero
periodico in una frazione equivalente. Una tra le serie piu’ importanti é quella armonica,
P1
cioe’
, cioe’ 1 + 21 + 13 + 41 + ... Sembrerebbe che, aggiungendo ogni volta un termine
n
sempre piu’ piccolo, la somma complessiva debba convergere. Invece in questo caso non é
P1
cosi’: facciamo vedere che la serie armonica
é divergente.
n
Tale serie puo’ essere scritta:
1+
1 1 1 1
+ + + ...,
2 3 4 5
ed é ovviamente maggiorante della serie
1 1 1
+ + ...,
2 4 6
11
che denoteremo con
P
bn . Ovviamente, la serie armonica
P
1
n
é anche maggiorante della
serie
1 1
+ + ...,
3 5
P
che denoteremo con
dn . Se per assurdo la serie armonica convergesse, entrambe le serie
P
P
bn e dn convergerebbero, per confronto; e chiaramente, dette A, B e D rispettivamente
P
P
le somme della serie armonica, della serie bn e della serie dn , sarebbe A = B +D. Ora,
1+
é anche evidente che dev’essere A = 2B, e quindi B = D. Tuttavia, confrontando le serie
P
P
bn e dn , si vede chiaramente che risulta Tn > Sn + 12 , ove Tn denota la somma parziale
P
P
di
dn e Sn la somma parziale di
bn : ne segue che dev’essere D > B + 12 :impossibile.
Vediamo ora alcuni interessanti esempi di serie convergenti, e qual’é la loro somma.
Esempi 0.6
+∞
X
nxn :
n=0
n
Se gli addendi fossero solo x , la serie sarebbe geometrica, e convergerebbe a
1
1−x
quando
|x| < 1.
Qui pero’ possiamo scrivere
P
nxn = x
P
nxn−1 = x
P
D(xn ). Da qui si puo’ dedurre
che, sempre per |x| < 1:
+∞
X
nxn = xD
n=0
2. La serie
1
x
=
.
1−x
(1 − x)2
+∞
X
1
n2
n=1
π2
.
6
P1
(Si confronti con la serie armonica
).
n
P xn
, per x ∈ IR. (Serie esponenziale). Questa serie e’
3. Consideriamo la serie
n!
é convergente, e la somma é
sempre convergente, per ogni x, e la sua somma é ex . Per avere un’idea di questo risultato,
scriviamo la serie esponenziale in questo modo:
1+x+
x2 x3 x 4
+
+ ...
2
3!
4!
e facciamo la derivata ad ogni termine:
0+1+x+
12
x2 x3
+ ...
2
3!
Come sappiamo, una delle proprieta’ tipiche della funzione ex é che essa coincide con la
sua derivata...
4. La serie
+∞
X
(−1)n
n=0
1
1 1 1
= 1 − + − + ...
n+1
2 3 4
converge, ed ha come somma il numero ln 2. (anche qui, si confronti con la serie armonica).
5. Le serie
+∞
X
sin nx
n=0
n!
e
+∞
X
cos nx
n=0
n!
sono convergenti per ogni x, e la prima ha come somma la funzione f (x) = ecos x sin(sin x),
mentre la seconda ha per somma la funzione g(x) = ecos x cos(sin x).
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