In ricordo di Mandiaye N`Diaye
Transcript
In ricordo di Mandiaye N`Diaye
17 giugno 2014 In ricordo di Mandiaye N'Diaye Lucia Cominoli Fu proprio con la storia di Mandiaye N'Diaye e del Takku Ligey Théâtre che nel 2011 decisi di cominciare a raccogliere piccoli sprazzi di poetiche, voci e esperienze che all'occorrenza del momento potessero avvicinare i lettori di BandieraGialla al gioco teatrale e ai suoi prodigi. Mi sembrava che la sua più di altre fosse la testimonianza immediata di un fare artistico capace di coniugare dentro di sé disciplina, bellezza e impegno in direzione di un miraggio con cui cambiare il destino di tanti: il sogno di costruire un teatro nella Savana. Questo sogno Mandiaye lo ha portato avanti nella vita e nel suo teatro, il Takku Ligey Théâtre (letteralmente "lavorare insieme"), dentro e fuori dal suo paese, il Senegal e in particolare nel villaggio d'origine, Diol Kadd, nei pressi di Dakar, dove tornò dopo aver acquisito l'arte dell'attore a Ravenna da Marco Martinelli, regista del Teatro delle Albe, alla cui porte giunse alla fine degli anni Ottanta ancora costretto sulle spiagge come vu cumprà. La sua avventura la potete ripercorrere per intero qui, nel racconto di Marco Martinelli e soprattutto sullo splendido libro di Linda Pasina "Takku Ligey: un cortile nella Savana", dal 2008 braccio destro della compagnia e cara amica. Lo scorso 9 giugno Mandiaye N'Diaye ci ha lasciato aprendo nel mondo teatrale quel vuoto che di solito si riserva ai maestri. Io lo conobbi nel 2009, a Milano, nella sede dell'Associazione Olinda, l'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, dove all'epoca presentava l'ultimo spettacolo Sundiata, scritto in collaborazione con un amico illustre, lo scrittore Gianni Celati, che del loro incontro ci raccontò anche in Avventure in Africa (Feltrinelli, 1998 e 2000). Di quel dialogo sotto gli alberi ricordo soprattutto la sua faccia tonda e allegra, la velocità del suo gesto, la fede cieca nella sua cultura e l'arte del sogno: "bisogna sempre pregare per sognare, ricordatelo", mi disse. Con un po' di commozione condivido ora con voi quella conversazione, per ricordare Mandiaye attraverso i suoi occhi, che ci conduce nelle storie di un mondo che dal mito non si è mai separato. Precedono le sue parole quelle di Gianni Celati, composte a conclusione dello spettacolo. Inno di Niani (La capitale di Sundiata) “Quante battaglie nel cuore dell'uomo Una ne finisce e tre ne cominciano Battaglie tra madri e battaglie tra figli Ognuno vuole quello che non ha Ognuno ha solo il nulla che lo aspetta Il vuoto in cui sarà sepolto tra le radici d'un baobab ma qui un uomo nuovo, di nome Sundiata con la forza della calma e della determinazione guidato dai suoi griot che sapevano il suo destino fondò nella sua città natale, la città di Niani fondò un suo impero sulla savana l'impero dell'alto Mali, l'impero dei Mandinga Io canto la sua storia gloriosa che fu senza ombra canto le imprese di sua madre la donna bufala Pensate uomini quale grande impero fondò dall'alto Mali fino alla capitale del Ganha cosa resta di tutto questo, se non il fiato d'una storia? Ma in questo inno di Niani, capitale di Sundiata voi vedete dispiegarsi il primo impero degli imperi prima che nessun re comandasse sugli uomini. Ecco, il mondo è finalmente uscito dal caos. Le tenebre del passato si sono dissipate. E noi evochiamo la storia di Sundiata il grande Nato nella città di Niani, imbattibile fino alla morte La savana porta con sé il miraggio di ogni avvenire nelle piante che germogliano senza che nessuno le semini così va il destino degli uomini, come le piante nella savana cresciute dalla nuda terra come gli uomini primordiali noi speriamo che il futuro non sia troppo duro per noi e per le nostre anime che cercano di avere il cuore in pace speriamo che l'orizzonte della savana, il grande nyaye ci guidi come ha guidato Sundiata re del Mali della vallata del Niger”. Gianni Celati, 10 giugno 2009. L'intervista La storia, la vita e le straordinarie peripezie del grande sovrano africano Sundiata Keita sono state il centro di una riflessione che ha accompagnato per lungo tempo l'intero gruppo del Takku Ligey Théâtre. Perché scegliere di continuare ancora a rivelare e cantare qui e soprattutto in Senegal i segreti di questo antichissimo mito? La scelta è stata agli inizi quasi casuale, poi l'approccio è mutato. Leggendo il testo mi sono accorto di alcuni aspetti, anche teatrali, ancora molto diffusi in Senegal. Quella di Sundiata è la storia di un mito abbastanza complesso. La complessità di questa storia tuttavia arricchisce anche la sua multiformità. Ritrovando nella lettura determinati personaggi di cui ho sentito raccontare, anche negli spettacoli di quartiere e di piazza, ho visto subito le scene della storia comparire di fronte a me in maniera lampante. Proseguendo ho successivamente riconosciuto rimandi anche a tante altre fiabe di cui ho sentito raccontare da mia nonna e da mia zia. Allora mi sono detto: " ok, ottimo, sarà difficilissimo ma proviamo a partire da questo mito e a lanciare dei messaggi." Così con la compagnia e Linda abbiamo iniziato a scrivere e dato avvio a una lunga ricerca. Volevamo però che lo spettacolo non si traducesse unicamente in racconto ma che ci fossero dei legami forti con la realtà in cui viviamo, quella senegalese in particolare, nella sua vita sociale e politica. Sundiata, per esempio, affronta il problema dei ragazzi di strada, perché il protagonista non è altri che un re in persona mandato in esilio alla nascita. Ricordo il dialogo a cui un giorno ho assistito a tal proposito tra una cooperativa italiana e l'Unicef su un progetto contro la violenza sui minori, nell'ottica quindi di dare valore all'infanzia e di togliere i bambini dalla strada. Volevano affidare a me la direzione di uno spettacolo per sensibilizzare i genitori e soprattutto gli insegnanti della scuola coranica che secondo loro sono coloro che a Dakar mandano i bambini a chiedere l'elemosina ai semafori. Ho preferito lasciar perdere. Se l'intento era senza dubbio nobile è partito comunque dagli investimenti del Ministero degli Affari Esteri, dell'Europa e dell'Onu da cui anche la cooperazione italiana attinge, in altre parole, dagli uffici occidentali. Combattere un fenomeno del genere non significa a mio parere regolarizzarlo secondo un metodo occidentale che finirebbe così per imporsi a una società che non è ancora matura né pronta a usare tali metodi sull'educazione e sul rapporto con in bambini. Anche l'organizzazione della famiglia è completamente diversa e questo ovviamente è un fattore che incide. In questi casi, se si vuole ottenere qualcosa, è per me assolutamente essenziale partire dalle radici, dalla cultura. Capire cioè qual'è veramente il problema che si nasconde dietro il fenomeno diffuso, perché non credo che un genitore in Senegal abbia voglia di far nascere un bambino per poi buttarlo per strada, non fa parte della cultura, anzi da noi vige piuttosto la famiglia allargata. Si tratta di problemi delicati che credo vadano risolti con dei mezzi diversi rispetto alle risorse economiche, a partire piuttosto dalla comunicazione, dal saper cioè dialogare con le famiglie tanto per cominciare e comunicare con loro.Il teatro può fare molto in questo senso così come riprendere una storia conosciuta dalla cultura senegalese come quella di Sundiata Keita, bambino bandito e poi eroe che è riuscito dopo una simile avventura a riconciliare tutti i paesi dell'Africa Occidentale e a distribuire i diritti a ognuno con quello che li aspettava. Sundiata affronta anche altri temi importanti e fondanti della cultura senegalese come la poligamia e lo sradicamento delle nuove generazioni che sta attraversando le nostre città e villaggi, uno dei problemi, quest'ultimo, che mi coinvolge di più. Ascoltare gli anziani, pensare a come si sono sacrificati gli antenati prima di noi per darci una vita come quella che noi ora nel bene e nel male stiamo godendo e vivendo sono i valori su cui siamo cresciuti e che stiamo mano a mano perdendo. Siamo noi che dobbiamo lavorare e costruire per noi, per il nostro oggi.Un giovane senegalese subisce oggi la pressione dell'Occidente da una parte, dell'Islam dall'altra e dall'Animismo dall'altra parte ancora, è quindi sospeso in aria come un albero senza radici perché non ha strumenti per adattarsi all'Occidente, non si riconosce totalmente nell'Islam e anche la sacralità dell'Animismo sta scomparendo. Anche il ruolo del griot, il custode della tradizione orale e del mito è cambiato, non è più solo il maestro che forma la tua identità culturale e la mette in relazione con gli altri è qualcuno che si è adattato alla nuova società...lo trovi in università, nella vita politica e tra i cantori del Corano. La mancanza di riferimenti e d'identità è il segno più profondo della crisi che il paese sta attraversando negli ultimi anni. Per questo dobbiamo ricominciare a raccontarci. Sundiata è stato rappresentato a Diol Kadd, in Senegal e in Europa. A che pubblico pensavi di rivolgerti quando hai cominciato a dare vita al progetto? Ho pensato al pubblico dai 7 ai 70 anni, cioè a un pubblico universale. Sundiata è uno spettacolo pronto per essere visto da chiunque. A partire dall'aspetto musicale..la musica fa vibrare i corpi, così come i corpi fanno suonare la musica. Per venire incontro al pubblico abbiamo anche fatto lo sforzo di imparare l'italiano, pur mantenendo alcune parole in wolof. Se penso alle prove che abbiamo fatto nel nostro villaggio, mi viene in mente un cortile pieno di gente, così come accade qui a Milano, in questi giorni di repliche. Per noi dialogare con le altre culture è fondamentale e questa storia noi la vorremmo trasmettere a tutte le razze, sessi e età che esistono. Com'è nata in questa direzione la collaborazione con Gianni Celati? Tutto è cominciato nel 2003, quando Gianni venne a Ravenna ad assistere a Sogno di una notte di mezz'estate del Teatro delle Albe. Nel secondo atto del sogno c'è un bosco, popolato dagli invisibili, gli spiriti cioè, che qui sono stati interpretati tutti da ragazzini senegalesi. Tra loro c'erano anche i miei figli e figli di amici. Io ero Oberon il loro...(sorride) cane probabilmente...ma anche capo. Quel giorno prima delle prove ci ha visto nel cortiletto del Teatro Rasi mentre stavamo giocando a calcio. Perché oltre le prove bisogna anche farli divertire ogni tanto e ci piaceva giocare a calcio prima dell'inizio dello spettacolo. Lui rimase lì a guardarci senza dirci niente. Finito lo spettacolo ha voluto parlarmi, dicendomi che aveva in mente un film su una squadra di calcio, che siete voi, mi disse, dove tu sei il capo ma anche Oberon, partendo su un pullmann da Ravenna per andare a fare questa partita con dei ragazzi napoletani in un quartiere napoletano. Dopo l'attacco degli Americani all'Iraq durante il quale Gianni era in America fu preso dalla depressione e aveva immaginato un asceneggiatura in cui il protagonista-scrittore sarebbe andato in Africa a cercare uno stregone che potesse curarlo dai mali dell'Occidente. Parlando con me e dei reciproci sogni cambiò idea e decise di venire con me a Diol Kadd e di filmare le prove del mio spettacolo allora in atto che riprendeva il Pluto di Aristofane. Le cose si sono incrociate e ne è nato un documentario. Il testo del Pluto è stato così scritto quando lui era lì, a quattro mani, in gran parte da Gianni, steso in wolof e poi tradotto.Nel caso di Sundiata, con la collaborazione di Linda Pasina, invece, che ci tengo a nominare, il lavoro è stato tutto il contrario. Abbiamo lavorato insieme, con lei e i ragazzi della compagnia sull'idea scenografica, sulla drammaturgia e sulla messa in scena. La fortuna di avere Linda così appassionata al mestiere del teatro è un contributo che mi permette di non pensare a tutto ma avere più cervelli che ruotano intorno allo stesso argomento. Mentre prima la mia difficoltà era di essere solo e di avere solo la parola "sì" dalla mia ora la fortuna è stata quella di avere qualcuno capace di di dire "no" e ascoltarlo ti fa riflettere nella fase di creazione. Dopo aver riscritto e tradotto il testo sentivamo tuttavia ancora il bisogno della fantasia di Gianni. Così glielo abbiamo mandato lasciandogli la libertà più assoluta di entrare dove voleva. Lui decise di non modificare nulla di ciò che lesse e ha composto invece la poesia finale che ora chiude la storia. Un riassunto del racconto nel miglior stile poetico e teatrale che si poteva fare. Il nostro legame ormai si è saldato, in me come punto di riferimento e lui dall'altra parte dice la stessa cosa, questa sua presenza nel villaggio, la pace del villaggio che gira gli ha ridato vitalità. La speranza che anche dal nulla si può arrivare, creare e crescere. Proprio in questi giorni stavamo pensando insieme a un nuovo spettacolo, di cui lui mi ha proposto il testo e se ci vorrà dare ancora la sua scrittura noi ne saremo molto felici. Nei tuoi spettacoli spicca sempre il richiamo a una figura esterna, generalmente legata al mondo della comunicazione, presente in veste giornalistica o documentaria, in chiave, spesso, fortemente ironica. In Pluto avevamo l'attore del Teatro delle Albe Alessandro Renda, qui un estroso giornalista senegalese...C'è in questo la volontà di gettare l'occhio proprio su chi sempre si pone come osservatore? Come gli occidentali per esempio, spesso sospesi tra falsi sentimentalismi e gusto antropologico... (sorride) Questo è vero ma qui è più semplice. Sono cose che lavorando arrivano. Sundiata è un lavoro sulla magia e sulla magia non deve esserci ironia anche se è vero che in Africa come in occidente la credenza sta calando ma è anche vero che forse è attraverso l'ironia che la magia può arrivare...All'inizio dello spettacolo c'è la figura di un intellettuale, che si legge proprio all'inizio del testo che noi non abbiamo modificato. Un giornalista, in questo caso, che va a girare fino in fondo il Mali per scoprire nuove storie e incontrare il griot. Mi serviva una figura che dialogasse con il griot e che creasse in questo modo una voce narrante. Il personaggio che ho preso a riferimento è in realtà un giornalista e animatore satirico, Sila Mugnal, famosissimo in Senegal, protagonista della radio FM di Dakar. Quasi tutti in Senegal, quando si svegliano, alle nove di mattina, accendono la radio per ascoltare le sue stupidaggini e battute, fa veramente ridere. Sila ha creato una radio per la tradizione locale ed è anche direttore dell'"Observateur" il giornale più letto di tutto il paese. E' una persona capace di dialogare con e su i griot, perché maestro supremo, parte degli "invidiati", la famiglia cioé dei griot artisti, in cui sono compresi cantanti, danzatori, genealogisti, fabbri e sarti...Una sorta di compagnia?Sì, più o meno sì...Nel Pluto invece c'é la presenza di Alessandro Renda, unodegli attori come dicevi del Teatro delle Albe, che è stato con noi a Diol Kadd per l'Ubu buur, il nostro grande spettacolo con Marco Martinelli, girando le riprese durantele prove da cui, come sai, è stato tratto un video. Alessandro è una figura già di per sé molto abituata ad ironizzare, a prendere in giro tutti coloro e tutto quello che gli è intorno e da noi lo faceva sempre, girando di qua e di là conla sua telecamera. Inserire la sua presenza nel Pluto comunque è stata una scelta casuale, è stato uno dei ragazzi attori a farci venire quest'idea quando un giorno, durante le prove, per scherzare ha scritto sulla sua maglietta "Alessandro Renda" e tra l'altro aveva in mano proprio una telecamera! La cosa semplicemente ci ha divertito e abbiamo deciso di lasciarla nello spettacolo, al di là di altre possibili chiavi di lettura. Quali sono i progetti futuri del Takku Ligey Théâtre? Proseguire nella nostra crescita artistica e di gruppo, ampliare il lavoro che già stiamo facendo in ambito agricolo e di turismo responsabile, aprendo il nostro cortile di Diol Kadd a turisti e visitatori che desiderino conoscere la cultura senegalese dall'interno e partecipare alla vita del villaggio. Mi piacerebbe poi lavorare su Dakar, liberare la città dal concetto di teatro come soap-opera o sceneggiato, portare la nostra cultura, quella vera dei nostri antenati intesa come magia e fatta di valori e significati tra i nostri giovani e nel mondo in relazione e in scambio con e le altre culture. Grazie