l`area del golfo di policastro in epoca greco-romana

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l`area del golfo di policastro in epoca greco-romana
Fernando La Greca
L’AREA DEL GOLFO DI POLICASTRO
IN EPOCA GRECO-ROMANA
!
Tabula Peutingeriana, con particolare della Lucania antica
Fernando La Greca
L’AREA DEL GOLFO DI POLICASTRO
IN EPOCA GRECO-ROMANA
Il territorio di Torraca presenta scarse testimonianze archeologiche
per l’epoca greco-romana, ma soltanto perché non sono stati mai
effettuati scavi sistematici. Non si tratta di una caso isolato: molte
località del Cilento meriterebbero indagini approfondite, ma la cronica
mancanza di risorse fa sì che il poco disponibile sia indirizzato verso i
siti maggiori, Paestum e Velia.
Eppure, gli scavi fortuiti in loc. Madonna dei Cordici nel 1982
facevano intravedere un importante insediamento indigeno di fine V –
inizio IV secolo a.C., a ridosso di una città greca sulla costa nel sito di
Sapri, dotata di un porto naturale, alla quale le fonti permettono di
attribuire il nome di Scidro.
La città, successivamente, dovette cadere nelle mani dei Lucani e
poi diventare colonia latina con nome di Vibo (dando il suo nome al
golfo), infine municipio e colonia romana con nome di Caesariana o
Cesernia. La grande villa di Santa Croce, lungo la costa, evidenzia gli
stretti e costanti rapporti esistenti tra la fascia costiera e l’interno, con
insediamenti minori e coltivazioni intensive, senza trascurare le vie di
collegamento con aree più distanti.
Per tutto ciò, la storia antica di Torraca non può essere disgiunta da
quella dell’intera area territoriale del Golfo di Policastro. Questa
rivestiva una notevole importanza nel mondo antico, sia in connessione
ai porti naturali del Bussento e di Sapri, sia in connessione alle valli
fluviali sfruttate per la produzione agricola ma anche per i collegamenti
verso l’interno per il Vallo di Diano, attraverso il valico di Sanza. Altri
agevoli collegamenti mettevano in comunicazione questa area a nord
con la zona di Elea-Velia e a sud con la valle del Noce e il territorio del
Lao, dal quale si poteva passare al versante ionico e alla piana di Sibari.
La continuità abitativa è attestata dall’archeologia fin dalla
preistoria; per l’epoca greco-romana, ai ritrovamenti archeologici si
affiancano alcune testimonianze letterarie ed epigrafiche, certamente di
estremo interesse, pur se limitate.
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1. Nell’area sono stati identificati molti insediamenti preistorici, dal
paleolitico al neolitico: c’è una notevole densità di abitati lungo la costa,
in grotta; importanti sono le grotte di Camerota e di Praia a Mare7. Più
scarse le testimonianze relative all’età del bronzo e all’età del ferro, ma
probabilmente solo per la mancanza di indagini sistematiche.
In particolare, nella Grotta di Mezzanotte ad est di Sapri, e nella
vicina loc. Chiappaliscia, sono stati individuati giacimenti paleolitici;
sempre nel comune di Sapri, nella Grotta Cartolano, è stata segnalata la
presenza di testimonianze dell’età del bronzo8. Nella località Carnale di
Sapri, su un’altura, sono state rinvenute ceramiche d’impasto della
media età del bronzo, relative ad un insediamento agricolo-pastorale;
tale ceramica evidenzia rapporti culturali con l’insediamento della
Grotta del Noglio presso Porto Infreschi9.
Nell’insieme, la documentazione preistorica e protostorica può
essere definita “una tenebra interrotta da improvvisi sprazzi di luce”: è quasi
impossibile tracciare un quadro complessivo, ma i singoli siti dei
ritrovamenti, sprazzi di luce, sono preziose fonti di conoscenza, sia pure
lacunose, per determinate epoche o culture10.
2. In età arcaica, l’elemento più evidente dell’intera area è
l’insediamento indigeno di Palinuro, del VI sec. a.C., attestato anche da
monete con la leggenda doppia PAL-MOL, insediamento che si
interrompe alla fine del secolo per la presenza eleatica11.
Altre testimonianze di questo periodo vengono da Policastro, con
una fortificazione arcaica in mattoni crudi del VI sec., e anche qui con
monete a leggenda doppia, e relative a un insediamento indigeno
enotrio12: si tratta di alcune monete incuse d’argento datate al 550 circa
a.C., con la leggenda SYRINOS / PYXOUS13.
Plinio cita per la Lucania interna la popolazione dei Sontini14, che è
stata attribuita alla città di Sontia o Sanza; sembra che i Sontini abbiano
emesso in passato delle monete, con la scritta SO15. L’area del Golfo era
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Vd. GRECO G. 1990b, p. 16; LA TORRE – COLICELLI 1999.
Vd. FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 36.
9 Vd. FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 34.
10 Vd. ARCURI – TORRE 1998.
11 Vd. GRECO G. 1990b, p. 17.
12 Vd. GRECO G. 1990b, p. 17.
13 Vd. BREGLIA 1954; GALLO 1996.
14 Plinio il Vecchio, Nat. hist., III, 11, 98.
15 Vd. BREGLIA 1954.
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agevolmente collegata con il Vallo di Diano proprio attraverso la via
naturale per Sanza, e appare altamente probabile l’esistenza di un
insediamento arcaico a Sanza al di sotto del paese medioevale16. Nei
pressi di Sanza, in loc. Sirippi, sono state ritrovate tombe e ruderi di una
villa romana17.
Infine, a Sapri le ceramiche di fine VI sec. trovate alle falde della
collina del Timpone sembrano confermare l’ipotesi di chi localizza qui
una città greca arcaica, subcolonia dei Sibariti, di nome Scidro
(Skidros)18: Erodoto racconta che i Sibariti, dopo la distruzione della loro
città (fine VI sec.), andarono ad abitare nelle loro colonie Lao e Scidro19.
L’ubicazione di Scidro è discussa; generalmente si localizza nell’area del
Golfo, ma appare probabile che occupasse il sito della moderna Sapri.
Nelle fonti antiche vi è solo un altro brano che riguarda Scidro, nel
lessico di Stefano Bizantino, dove Scidro è detta città dell’Italia, e il suo
etnico è Skidranòs, come riporta lo storico Lico di Reggio nella sua opera
su Alessandro20. In questa citazione si è visto il passaggio per Scidro del
condottiero Alessandro il Molosso (chiamato da Taranto contro i
Sanniti) nel 334 a.C.; se ne deduce inoltre che Scidro avesse un porto: il
Molosso giunge in Italia con una piccola flotta, con la quale si sposta
lungo le coste, e dopo aver combattuto in Puglia passa sul Tirreno per
prendere i Sanniti alle spalle, prima toccando Scidro e poi sbarcando
presso la città amica di Poseidonia.
3. L’unica sicura colonia greca attestata dalle fonti per il Golfo di
Policastro è Pissunte, in greco Pyxous, la romana Buxentum, oggi
Policastro Bussentino21.
Il nome è ripreso da una pianta abbondante in questi luoghi, il
bosso, in greco pyxos, in latino buxus, da cui Buxentum. La pianta, con
molteplici e importanti usi22 nel mondo antico, si trova raramente allo
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FRACCHIA – GUALTIERI 1990, pp. 43-44. Vd. EBNER 1982, II, pp. 552-554.
GRECO PONTRANDOLFO – GRECO 1981, p. 148; FUSCO 1992.
18 Vd. GRECO G. 1990b, p. 17; FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 34.
19 Erodoto, VI, 21.
20 Stefano Bizantino, Ethnica, ad v. Skidros.
21 Su Pyxous / Buxentum vd. NATELLA – PEDUTO 1973; EBNER 1982, II, pp. 330-346;
JOHANNOWSKY 1992; GALLO 1996.
22 Il bosso è una pianta sempreverde delle buxacee, alta da 2 a 4 m, molto longeva (vive
fino a 600 anni), con parecchi usi, attestati dalle fonti antiche. Nel giardinaggio era
usato per creare e modellare siepi, ad es. “scrivendo” a grandi lettere i nomi dei
proprietari. In medicina era usato per le proprietà della corteccia e delle foglie
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stato spontaneo, ma nel Cilento “cresce nelle zone più interne, sulle sponde
del fiume Bussento, soprattutto nei pressi di Caselle in Pittari e alle falde
meridionali del Cervati”23.
Appare probabile che la coltivazione e il commercio di tale pianta
sia stata una delle fonti della ricchezza del territorio bussentino
nell’antichità. In epoca romana si indicò con buxus la pianta, e con
buxum la materia lignea usata per le varie lavorazioni24. Secondo Plinio
il Vecchio, “Il legno di bosso è fra i più pregiati (...); pregevole per una certa
qual silenziosità, per la robustezza e il colore giallo chiaro. L’albero vero e
proprio si usa anche nell’allestimento dei giardini. Ve ne sono tre specie (...); la
terza specie, infine, è detta nostrana, di origine selvatica, credo, ma ingentilita
dalla coltivazione. (...) pianta sempreverde, si presta bene ad assumere forme
svariate con la potatura. (...) Il bosso predilige le zone fredde ed esposte al sole;
al fuoco oppone la stessa resistenza del ferro”25.
La città di Pyxous fu fondata, secondo un rapido accenno di Diodoro
Siculo26, nel 471 a.C.: mentre ad Atene cadeva in disgrazia e veniva
espulso Temistocle, l’artefice della vittoria contro i Persiani, “In Italia
Micito, signore di Reggio e di Zancle (Messina), fondò la città di Pissunte”.
La fondazione non era casuale, ma rientrava nei progetti dei tiranni
di Reggio, prima Anassilao, morto nel 476, e poi Micito, reggente a
nome dei figli minori di Anassilao27: la politica reggina mirava ad
un’espansione verso nord, nella Magna Grecia, in alleanza con Taranto e
a spese delle popolazioni indigene, in concorrenza con Siracusa. Ma solo
due anni prima, nel 473, Reggio e Taranto erano state duramente
sconfitte dagli Iapigi, popolo indigeno della Puglia, ed i soli caduti
reggini ammontarono a tremila28.
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(diuretiche, depurative, antisettiche, febbrifughe, sudorifere); ma la prudenza è
opportuna, in quanto contiene anche alcaloidi. Si usava poi come sostituto del luppolo
nella birra. Il legno è molto denso e pesante, resiste al fuoco, ai tarli, addirittura affonda
nell’acqua, ed è indeformabile; veniva usato per lavori di ebanisteria, destinati a
durare: strumenti musicali e di altro genere, attrezzi da cucina, armi, piccoli mobili,
cassette portatili ad es. per medicamenti, meccanismi vari, modelli geometrici e plastici
architettonici, tavolette cerate per scrivere e modelli di lettere ed altri oggetti di studio a
scuola, anelli. Vd. BONI – PARRI 1977, p. 125.
23 DE SANTIS – LA PALOMENTA 2008, p. 52.
24 Flavio Caper, De ortographia, p. 100.
25 Plinio il Vecchio, Nat. hist., XVI, 28, 70-71 (traduz. di F. Lechi).
26 Diodoro, XI; 59, 4.
27 Diodoro, XI; 48, 2.
28 Diodoro, XI, 52; Erodoto, VII, 170, 3; Aristotele, Polit., 1303a.
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Evidentemente la fondazione di Pyxous rispondeva alla medesima
politica di espansione, ma questa volta sul Tirreno, in un’area che
doveva sembrare allora più tranquilla, abitata dagli indigeni Enotri29,
che già avevano assorbito molti elementi della cultura greca; l’area
inoltre era controllata dai Focei di Elea, città da considerarsi amica di
Reggio, come la vicina Poseidonia30. Tutti questi elementi facevano
sperare in un rapido sviluppo della nuova città.
Il verbo usato da Diodoro (ektise) è stato interpretato non con il
significato di “fondare”, ma con quello di “occupare” pacificamente una
città preesistente. È possibile peraltro che i coloni di Micito si siano
insediati in una località già indicata con il nome Pyxous e già abitata in
precedenza, da popolazioni greche o indigene gravitanti nell’area una
volta controllata da Sibari. Una ulteriore conferma è stata vista in due
voci del lessico di Stefano Bizantino31: “Pyxis, città degli Enotri
nell’interno, riportata da Ecateo nella descrizione dell’Europa; l’etnico è Pyxios.
Pyxous, città della Sicilia, fondazione di Micito; il colono è detto Pyxountios”.
L’erudito bizantino qui pone Pissunte erroneamente in Sicilia, ma la
citazione del fondatore Micito ci assicura che si sta parlando della città
fondata nel 471. Il riferimento doppio, accanto ad un’altra Pyxous o
Pyxis nel territorio degli Enotri, ripresa dall’antico scrittore Ecateo di
Mileto vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C., viene interpretato
come il ricordo dell’antica città pre-esistente ai coloni di Micito e
rientrante nella sfera d’influenza di Sibari.
Dunque, la caduta di Sibari ad opera di Crotone, alla fine del VI
secolo, fece sì che vaste aree dell’Italia meridionale una volta soggette ai
Sibariti fossero contese fra le principali città della Magna Grecia. Di qui
l’iniziativa di Micito nel Golfo di Policastro, ad occupare o ripopolare
una città forse già abbandonata.
La colonia di Pyxous, come afferma esplicitamente il geografo
Strabone descrivendo le coste dell’Italia meridionale, ebbe scarsa
fortuna32: “Dopo Palinuro seguono un promontorio, un porto ed un fiume, che
hanno tutti e tre lo stesso nome, Pyxous. Micito, reggente di Messina in Sicilia,
vi inviò una colonia, ma quelli che vi si stabilirono allora, tranne pochi, presto
l’abbandonarono”. La città dunque fu quasi subito abbandonata dai
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Vd. Erodoto, I, 167 per gli Enotri nella zona di Elea.
Vd. Erodoto, I, 166-167.
31 Stefano Bizantino, Ethnica, ad vv. Pyxis / Pyxous.
32 Strabone, VI, 1, 1.
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coloni, e vi rimasero solo in pochi. Si è ritenuto che la zona sia stata
occupata dai Lucani verso la fine del V secolo, costringendo gli abitanti
alla fuga. In effetti, nelle fonti antiche non si parla più di questa città,
che però è continuata, come vedremo, dalla romana Bussento.
Una recente interpretazione di due iscrizioni identiche, alla base
della calotta di un elmo di tipo corinzio, e su un gambale, rinvenuti ad
Olimpia, datati a fine VI – metà V secolo a.C., e dedicati dai Reggini per
una vittoria militare, sembra chiarire questa vicenda: si tratta di una
dedica per una vittoria dei Reggini sugli Eleati. Evidentemente la
fondazione di Pissunte guastò i rapporti fra Reggio ed Elea, e si venne
alle armi; in un primo tempo ebbero la meglio i Reggini, ma col tempo
prevalsero gli Eleati, forse alleandosi con le popolazioni indigene
(stanziate a Roccagloriosa), e i Reggini furono costretti ad andarsene33.
Il brano di Strabone più sopra riportato tuttavia indica il sito solo
con il suo nome greco. Ai suoi tempi (Strabone scrive all’epoca di
Augusto) Pyxous era il nome di un fiume, l’odierno Bussento, e di un
promontorio, probabilmente l’odierna Punta degli Infreschi. Infine,
curiosamente, questo nome non è dato ad una città, ma ad un porto
(limèn), che doveva trovarsi sulla riva sinistra del Bussento presso
l’antica foce.
Seguendo Strabone, la città di Pyxous sembrerebbe essere città
diversa, infine ridotta ad un semplice porto, mentre la romana Buxentum
appare in epoca augustea, come si dirà, quale città di una certa
floridezza.
4. Il mondo indigeno enotro-lucano, pur arretrando inizialmente a
seguito della crescente presenza greca sulla costa, è comunque ben
presente nell’area tra V e IV sec., con il significativo insediamento di
Roccagloriosa, e con una serie di insediamenti minori “disposti quasi a
corolla all’interno del golfo di Policastro”34, prendendo alla fine il
sopravvento anche sulle città costiere.
Dal V secolo a. C. fino agli inizi del III fiorisce il frurion o fortezza
lucana di Roccagloriosa, poi abbandonata con l’arrivo dei Romani. Gli
scavi archeologici35 hanno restituito mura, strade, edifici d’abitazione e
sacri, iscrizioni, tombe a camera principesche con ori e vasi di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Vd. CORDIANO 1995.
Vd. GRECO G. 1990b, p. 18.
35 Vd. GUALTIERI – FRACCHIA 1990; GUALTIERI – FRACCHIA 2001; GUALTIERI 2001.
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produzione pestana. Importante è un frammento bronzeo con iscrizione
osca, datata al 300 a.C., relativa a una legge della città, e con riferimento
a magistrati chiamati meddices. Il sito di Roccagloriosa è legato ad un
mercato o centro di raccolta e scambio di beni, e ad uno sfruttamento
intensivo dello spazio agrario nel IV e nel III sec.; le indagini
archeologiche hanno attestato una economia agricola basata sulla
policoltura, con un ruolo preminente occupato dalla coltivazione della
vite. Inoltre, l’analisi dei dati faunistici su un campione di ossa presenta
un panorama articolato, con un 30% di bovini e un 16% di suini36.
Molto significativi sono i ritrovamenti di Torraca: in località
Madonna dei Cordici, collina con vista su Sapri, nel 1982 durante lavori
stradali furono scoperte e purtroppo in gran parte distrutte alcune
tombe a cassa in tegole di fine V / prima metà del IV secolo; fra i
materiali recuperati, una cuspide di lancia, un coltello, una kylix attica di
fine V sec., vasi a vernice nera tra cui un frammento figurato di cratere,
frammenti di un cinturone di bronzo di tipo sannitico37. Tutto ciò
evidenzia “una diffusa occupazione del territorio da parte di comunità lucane
che, già negli anni finali del V sec. organizzano forme articolate di sfruttamento
del territorio usufruendo attivamente dei traffici coloniali lungo la costa e
occupando quelli che erano i territori delle città coloniali di Scidro e Pixunte”38.
Di fine IV – inizi III sec. è una tomba a camera monumentale in
località Laurelli di Caselle in Pittari: la camera, rettangolare e alta oltre
quattro metri, è preceduta da un lungo dromos o corridoio tagliato nel
pendio collinare e dotato di canalette per il drenaggio; la porta era
decorata con capitelli dorici; del corredo sono stati recuperati solo
frammenti di vasi a vernice nera e un balsamario39. Da quest’area
provengono anche moltissimi frammenti di ceramica di IV-III sec., pesi
da telaio, macine40.
Altri insediamenti indigeni sono attestati a Morigerati ed a
Tortorella41.
5. La Lucania viene occupata dai Romani successivamente alla
guerra contro Taranto e Pirro, ma la loro presenza era già consistente
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FRACCHIA – GUALTIERI 1990, p. 56.
JOHANNOWSKY 1983a.
38 GRECO G. 1990b, p. 18.
39 JOHANNOWSKY 1983b; GIUDICE 2005.
40 FRACCHIA – GUALTIERI 1990, p. 53.
41 Vd. GRECO G. 1990b, p. 18; FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 32.
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durante le guerre sannitiche. Poseidonia diventa colonia latina con il
nome di Paestum nel 273 a.C.; scompaiono le fortezze lucane
dell’interno.
Elea-Velia resta formalmente indipendente quale città alleata di
Roma; lungo la costa a sud, fino a Sapri, la presenza di mattoni eleatici
di III sec. documenta un’occupazione metodica, con punti di vedetta che
precorrono le torri costiere medioevali e moderne; è il contributo che
Velia dà a Roma come alleata navale nella guerra contro i Cartaginesi,
che minacciano azioni di pirateria42.
Lungo la costa sorgono anche importanti ville romane quali centri
di produzione agricola, vere e proprie aziende che sfruttano il lavoro
degli schiavi e si specializzano in pochi prodotti altamente redditizi per
il mercato (olio, vino, grano, frutta, fiori, ortaggi): sono note le ville
costiere di Tresino presso Agropoli (quella più antica, in quanto
fortificata), di Licosa, di Sapri.
L’area del Golfo di Policastro viene inquadrata fra le popolazioni
soggette a Roma, con l’obbligo di fornire truppe. Ciò risulta chiaramente
da un brano di Silio Italico, che nel suo poema epico sulla seconda
guerra punica ricorda le truppe alleate provenienti dalla Lucania; in
particolare, viene menzionata la gioventù di Bussento (Buxentia pubes),
“armata di robuste clave prive di scorza”43. Poiché Bussento al tempo della
guerra punica non era stata ancora fondata, bisogna pensare ad una
“anticipazione” o licenza poetica di Silio; in ogni caso, appare
importante il riferimento al territorio come fornitore di truppe alleate di
italici valorosi e forti, che scendono in battaglia addirittura armati di
clave. Da una parte queste popolazioni italiche sono considerate ancora
selvagge, lontane dalla civiltà, dall’altra se ne apprezza il valore
guerriero. Anche in un altro brano di Silio sembra si parli di Bussento, e
in particolare dei suoi campi (Buxentia rura)44, ma non tutti gli editori
sono concordi.
La romanizzazione dell’area si completa nel tempo, con città,
colonie, ville, insediamenti, strade, ponti, strutture, e numerosissime
sono le testimonianze archeologiche del periodo romano, anche
nell’interno: citiamo ad es. il ponte romano di Rofrano, in opus
quadratum, a suggerire una viabilità capillare nel territorio.
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Vd. DE MAGISTRIS 1995; GIUDICE 2006.
Silio Italico, VIII, 582-583.
44 Silio Italico, IX, 204-205.
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6. Buxentum fa parte del gruppo di colonie romane fondato agli inizi
del secondo secolo a.C., in seguito alla seconda guerra punica,
combattuta sul suolo dell’Italia contro i cartaginesi di Annibale. Si tratta
delle colonie di Pozzuoli, Volturno, Literno, Salerno, Bussento e
Siponto. Come è noto, le colonie romane erano costituite da piccoli
insediamenti, a forma di accampamento militare, presidiati da circa 300
coloni con le loro famiglie, ciascuno con un piccolo lotto di terra; lo
scopo principale era quello di controllare la costa e segnalare il
passaggio di flotte nemiche. Appare evidente lo scopo di rafforzare le
coste dell’Italia, in periodo di pace, per segnalare subito, con sistemi di
comunicazione ottici a distanza, l’attacco di eventuali flotte cartaginesi.
Il territorio è stato confiscato ai Lucani ribelli dopo la guerra contro
Annibale, ed è diventato disponibile, quale terreno dello stato (ager
publicus), per la divisione in lotti e l’assegnazione ai coloni, oltre che per
la vendita o l’affitto a ricchi proprietari.
La fondazione avviene in più fasi, secondo il racconto di Tito Livio.
In un primo momento, nel 197 a.C., su proposta del tribuno della plebe
Gaio Atinio, si delibera la fondazione delle colonie, ciascuna con
trecento famiglie. Si eleggono quindi i tre magistrati incaricati di curare
la deduzione: Marco Servilio Gemino, Quinto Minucio Termo, Tiberio
Sempronio Longo45.
Quasi sicuramente della deduzione di Bussento fu incaricato
Sempronio Longo, interessato alla Lucania e appartenente alla stessa
famiglia di Tiberio Sempronio Gracco, che durante la guerra contro
Annibale aveva combattuto in Lucania, ed aveva allacciato rapporti di
amicizia e di clientela con i notabili della regione46. Inoltre, a Sapri esiste
una importante iscrizione che ricorda un Lucio Sempronio Prisco, eletto
supremo magistrato (duovir designatus)47 di una colonia non menzionata:
solitamente si ritiene che la colonia sia Buxentum, ma potrebbe esservi
stata anche una seconda colonia nell’area di Sapri, come si dirà più
avanti. Alla famiglia Sempronia viene inoltre attribuita la proprietà
della villa di Santa Croce.
Mentre si stanno espletando i preparativi e si trascrivono sui registri
i nomi dei coloni per Pozzuoli, Salerno e Bussento, avviene un fatto
singolare riguardante il diritto romano e le sue procedure, importante
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Livio, XXXII, 29, 3-4.
Livio, XXIII, 37, 10-11; XXIV, 15; 20; 44, 9; XXV, 1, 5; 15, 18-20; 16-17.
47 CIL X 461.
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perché fa capire quanto i Romani coltivassero questa disciplina,
diventata poi fondamentale negli Stati e nella civiltà moderna. Intanto,
bisogna premettere due considerazioni.
All’epoca, nel secondo secolo a.C., c’era una diffusa richiesta della
cittadinanza romana da parte degli alleati latini ed italici residenti nelle
diverse città dell’Italia, per avere gli stessi diritti dei Romani e non
essere discriminati sul piano economico e sociale. Per ottenere la
cittadinanza, cosa difficile, si tentavano tutte le strade, lecite ed illecite.
In particolare, quando venivano fondate colonie romane, fra i coloni
potevano iscriversi anche italici che non avevano la cittadinanza
romana: era questo un modo sicuro per ottenere l’ambita cittadinanza,
con lo svantaggio di doversi recare in colonia, lontano da Roma, ma con
la certezza di una condizione migliore per sé e per la propria famiglia.
Date queste premesse, è facile immaginare che molti capifamiglia
latini ed italici si iscrissero nelle liste dei coloni di Pozzuoli, Salerno e
Bussento.
Fra questi, dice Livio, vi era un gruppo di latini originari della città
di Ferentino, che nel 195 a.C. “tentarono di far applicare un nuovo diritto”
(novum ius): essi, per il solo fatto di aver dato i loro nomi per la lista dei
coloni, si proclamarono cittadini romani. Ma il senato, appositamente
riunito, giudicò che essi non erano cittadini romani48, e che quindi non
bastava essere inseriti nelle liste nominative: bisognava completare
l’operazione e recarsi fisicamente ad occupare il proprio posto nella
colonia, per poi essere censiti fra i cittadini.
L’anno seguente, nel 194 a.C., vi fu l’effettiva fondazione, ed i
coloni, divisi a gruppi di trecento, presero la strada delle rispettive
colonie, fra le quali Bussento; nello stesso anno Tiberio Sempronio
Longo, uno dei curatori, aveva anche la suprema carica di console49.
Tuttavia, date le premesse e il comportamento dei Ferentinati, che
molto prima già si sentivano cittadini romani, non c’era da aspettarsi, da
parte dei coloni, un grande attaccamento al sito di Buxentum. Infatti,
quando nel 186 a.C. il console Spurio Postumio ritorna a Roma dopo
aver tenuto una serie di processi nelle città dell’Italia meridionale contro
i fedeli del dio Bacco, accusati di congiurare contro lo Stato, annuncia in
senato di aver trovato deserte le colonie di Bussento e di Siponto (in
Puglia).
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Livio, XXXIV, 42, 5-6; vd. sull’episodio SMITH 1954; PIPER 1987.
Livio, XXXIV, 45, 1-2.
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È facile immaginare l’accaduto: al primo censimento utile (i
censimenti si tenevano di solito ogni cinque anni) i coloni di Bussento si
sono recati a Roma per farsi censire tra i cittadini romani, e vi sono
rimasti, perché questo era il loro scopo principale. Si rende necessario
per Bussento e Siponto ripetere tutte le operazioni di deduzione: si
nomina una nuova commissione di magistrati (Lucio Scribonio Libone,
Marco Tuccio, Gneo Bebio Tanfilo), e si accettano le iscrizioni di nuovi
coloni disponibili50. Interessante è la presenza fra i curatori di Marco
Tuccio, cittadino e patrono di Paestum, entrato nella clientela degli
Scipioni, senatore e magistrato a Roma quale edile e poi pretore, a capo
di un esercito e incaricato di far rispettare l’ordine pubblico e le leggi in
Puglia, Lucania e Calabria51.
Probabilmente anche questa volta i coloni di Bussento vanno via,
dopo aver ottenuto la cittadinanza, se lo storico Velleio Patercolo, pur
ritenendo lui stesso dubbiosa la notizia trovata nelle sue fonti, riferisce
che verso il 154-153 a.C. furono inviati nuovi coloni a Pozzuoli, Salerno
e Bussento52.
Come mai i Romani si accorsero solo per caso dell’abbandono della
colonia, a pochi anni dalla fondazione? Probabilmente all’epoca le
colonie romane dal punto di vista militare avevano poco da dire, dato
che Cartagine era stata domata e le guerre si erano spostate in Oriente.
Le coste del mar Tirreno apparivano sicure, e andare in colonia era
qualcosa che ormai interessava di più i singoli coloni, per i vantaggi
economici e politici.
Molti hanno spiegato questi abbandoni come un segno di
decadenza, di crisi economica, di povertà del territorio, che avrebbe
costretto i coloni ad andare via. Tuttavia molti altri indizi ci
testimoniano una costante ricchezza produttiva del territorio e la sua
importanza come sbocco marittimo e commerciale del Vallo di Diano.
Le produzioni più importanti dovevano essere costituite dall’olio, dal
vino, dall’allevamento suino, dalla pece bruzia, dal legname delle
foreste e dal legno pregiato di bosso. Sembra più corretto interpretare
gli abbandoni come un modo per ottenere la cittadinanza romana, con
qualche sacrificio iniziale, da parte di pochi coloni laziali (300) che
vengono a Bussento quasi come militari accampati. La città di Bussento
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Livio, XXXIX, 23, 3-4.
Vd. Livio, XXXV, 41, 9; XXXVI, 45, 9; XXXVII, 2, 1; 2, 6; 50, 13; XXXVIII, 36, 1.
52 Velleio, I, 15, 3.
50
51
!
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tuttavia si svilupperà a poco a poco, nel II e nel I sec. a.C., raggiungendo
una certa floridezza nella prima età imperiale.
7. Nell’area del Golfo di Policastro esisteva, a quanto pare, anche
un’altra città, una colonia latina chiamata Vibo o Vibon, forse ricordata
dal moderno nome di Vibonati; avendo lo stesso nome di Vibo Valentia
in Calabria, è stata molto spesso confusa con quest’ultima città. Le
colonie latine, a differenza di quelle romane, avevano per scopo
principale un massiccio popolamento del territorio ed il suo controllo da
parte di coloni di umili origini e senza risorse, ma per questo disposti a
trasferirsi anche in zone lontane in cambio dell’assegnazione di
consistenti lotti di terra.
Grande sostenitore dell’esistenza della città di Vibo in Lucania è
stato nel Settecento il barone Giuseppe Antonini, che ha raccolto e
commentato le fonti relative53. Pietro Ebner ed altri studiosi hanno
ritenuto di escludere l’ipotesi dell’Antonini, in quanto le prime
testimonianze medioevali su Vibonati chiamano tale insediamento in
modi diversi, che fanno escludere una derivazione: casalis Libonatorum,
Bonatorum, Bonati, Li Bonati, e solo in epoca moderna Vibonati54. Ma tutto
ciò non sembra avere a che fare con la città antica: la questione non è
sulle origini di Vibonati, ma sull’esistenza o meno nella zona di una
città romana di nome Vibo.
Passiamo alle fonti su Vibo. Nel 70 a.C. Cicerone, dopo un’inchiesta
in Sicilia sulle malefatte del governatore Verre, ritorna in tutta fretta a
Roma per il giorno del processo, navigando su una piccola
imbarcazione tra Vibone e Velia (a Vibone Veliam), fra mille pericoli55,
legati forse al passaggio del capo Palinuro, ma forse anche alla presenza
nella zona di schiavi fuggitivi appartenenti al disciolto esercito di
Spartaco, sconfitto nel 71 da Crasso proprio in Lucania.
Nel 58 a.C. Cicerone, costretto all’esilio, si reca a Vibone, nella villa
(fundus) di un suo amico, Vibio Sicca56; poi è costretto a lasciare l’Italia, e
raggiunge in fretta Turi e Brindisi per imbarcarsi verso la Grecia57.
Nell’interpretazione dell’Antonini, per spiegare la particolare rapidità
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
ANTONINI 1795, vol. I, pp. 419-428.
EBNER 1982, II, pp. 740-744.
55 Cicerone, Verr. Sec., II, 40, 99.
56 Su Sicca vd. RUOPPOLO 1988.
57 Cicerone, Ad Att., III, 2-4; Pro Planc., 40-41, 96-97.
53
54
$>! !
degli spostamenti di Cicerone, la villa di Sicca doveva trovarsi in
Lucania, nel territorio dell’odierna Vibonati.
A sostegno di questa tesi, l’Antonini cita Livio, il quale parla della
fondazione della colonia latina di Vibone nel 192 a.C., con 4000 famiglie,
affermando che il suo territorio era vicino al Bruzio (Bruttiorum proxime),
e che i Bruzi l’avevano strappato ai Greci58. Alla colonia fu data, come
solitamente accadeva, un’aristocrazia “artificiale” con 300 cavalieri, che
ricevettero 30 iugeri di terra ciascuno, circa otto ettari. Ai fanti, in
numero di 3700, ne fu data la metà, 15 iugeri, circa quattro ettari. I
magistrati che curarono la deduzione furono Quinto Nevio, Marco
Minucio, Marco Furio Crassipede.
L’Antonini cita inoltre anche Plutarco, il quale nella vita di
Cicerone, ricordando la sua presenza nella villa di Sicca a Vibone, pone
questa località in Lucania59. L’Antonini riporta anche una cronaca di
Montecassino, nella quale si pone in Lucania la città di Vibone
(Vibonam)60.
In effetti, anche altre fonti sembrano attestare l’esistenza della Vibo
lucana, diversa da Valentia in Calabria. Se Cicerone chiama Vibo la città
sul Golfo di Policastro, chiama poi Valentini e non Vibonenses gli abitanti
di Vibo Valentia61, attestando che il nome principale di quest’ultima
doveva essere proprio Valentia. A conferma, Velleio pone al 239 a.C. la
fondazione della colonia di Valentia (quella in Calabria)62; Pomponio
Mela, risalendo il Tirreno, cita di seguito, come due città diverse,
Hipponium e Vibon63; Cicerone giunge a casa di Sicca a Vibo anche nel 44
a.C., viaggiando con il mare in bonaccia e attraversando a forza di remi
il golfo (sinus) Pestano e il golfo Vibonense64; Plinio il Vecchio fa
rientrare Buxentum nel Sinus Vibonensis, dove si trovano le “isole
Itacesie” proprio di fronte a Vibo (contra Vibonem)65, ma pone Hippo,
chiamato Vibo Valentia, solo dopo molte altre città verso sud, e nel golfo
di Terina (sinus ingens Terinaeus)66. Testimonianze dubbie sono quella di
Livio che ricorda un’escursione della flotta cartaginese nell’ager
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Tito Livio, XXXV, 40, 5-6.
Plutarco, Cic., 32, 2.
60 Chron. Casin. Epit., p. 353 Muratori.
61 Cicerone, Verr. sec., 2, 40; 5, 40 e 158.
62 Velleio, I, 14, 8.
63 Pomponio Mela, De chor., II, 4, 68.
64 Cicerone, Ad Att., XVI, 6.
65 Plinio il Vecchio, Nat. hist., III, 7, 85.
66 Plinio il Vecchio, Nat. hist., III, 5, 72-73.
58
59
!
$"!
Vibonensis nel 218 a.C.67, e di Cesare, che parla di un attacco del
pompeiano Cassio nel 49 a.C. alla flotta cesariana, in parte ancorata e in
parte a secco nel porto di Vibo68.
Senza stare a distinguere quale fonte sia nel giusto e quale no, è
probabile che vi fosse una certa confusione fra gli stessi scrittori antichi,
di fronte a due insediamenti relativamente vicini e con lo stesso nome.
Comunque, il territorio del Golfo di Policastro è molto vasto, e la sola
Buxentum, con trecento famiglie iniziali, appare povera cosa rispetto alle
possibilità della zona. Così, seguendo Livio, è possibile che nel 192, a
soli due anni dalla fondazione di Buxentum colonia romana, sia stata
fondata qui la colonia latina di Vibo, colonia di popolamento, con 4000
famiglie. La nuova città latina dovette sorgere sul sito della greca Scidro,
antica colonia sibarita che, dopo il passaggio di Alessandro il Molosso,
probabilmente venne travolta dalle popolazioni sannitiche dell’interno.
Sapri, Santa Croce, resti di villa romana sulla costa (foto R. Pellecchia)
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
67
68
Livio, XXI, 51, 5-6.
Cesare, Bell. civ., III, 101.
$#! !
Sapri, resti di ambiente della villa romana (foto R. Pellecchia)
A Vibo, dunque, doveva corrispondere Sapri, e le numerose
testimonianze romane da Sapri, con carattere di monumentalità e di
dislocazione su una vasta area, testimoniano “una vera e propria fioritura
di questo sito che sembra configurarsi con un impianto a carattere urbano”69.
La villa romana di Santa Croce a Sapri, con una superficie di circa
7000 mq, si data tra la fine del periodo repubblicano e la tarda età
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
69
FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 38.
!
$$!
imperiale; forse apparteneva alla famiglia dei Sempronii. Si conserva una
struttura a pianta circolare, disposta a terrazze sul pendio collinare su
imponenti sostruzioni a volta, con vari ambienti adiacenti, e resti vari di
murature tutt’intorno; ad essa era pertinente il complesso delle
“Cammarelle”, ambienti a volta sul mare considerati depositi dell’antico
porto, di cui è visibile un tratto di molo. Molte sono le strutture
sommerse nell’area antistante. Già l’Antonini, nel ’700, parlava di teatro,
strutture termali, bagni, mosaici e acquedotti. Nel 1928 una relazione
dell’ing. Magaldi descrisse dettagliatamente i resti allora visibili, anche
con planimetrie. Tratti dell’acquedotto si conservano in loc. S. Martino e
in loc. Ospedale, dove si rinvenne anche il cippo di Lucio Sempronio
Prisco70.
Sapri, iscrizione di Sempronio Prisco, con trascrizione (CIL X 461)
Questo cippo funerario da Sapri, del I sec. d.C., menziona il duovir
des(ignatus) Lucio Sempronio Prisco71, e attesta che la colonia (Vibo) era
retta da magistrati annuali, i duoviri, tipici delle colonie latine; forse la
città ricevette anche una colonia di veterani al tempo delle guerre civili.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
70 Vd. FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, pp. 32-34; ANTONINI 1795, vol. I, pp. 428-435;
MAGALDI 1928; BRACCO 1981a, p. 119-121.
71 CIL X 461. Vd. GUZZO 1991.
$3! !
L’iscrizione porta un buon sostegno all’ipotesi della colonia di Vibo, e
non occorre attribuire il personaggio, come è stato fatto, a Blanda o a
Bussento.
Ricerche recenti nell’area della villa romana di Santa Croce a Sapri72
hanno stabilito che il livello del mare in epoca storica era più basso
dell’attuale di circa 1,80 m. La linea di costa tuttavia presentava qui un
andamento particolare, e mentre il molo e i locali della villa oggi
sommersi erano allora all’asciutto, l’area successiva del lungomare, che
oggi ospita edifici abitativi moderni, costituiva allora una piccola
insenatura marina.
Molte altre zone di Sapri rivelano testimonianze romane. In loc.
Carnale di Sapri si conservano i resti di una struttura a pianta quadrata
in opus latericium, e un tratto di strada lastricata. In loc. Acqua delle
Vigne si conservano i resti di un monumento funerario forse connesso
ad una villa rustica73.
Sapri, loc. Carnale, strada romana (da A sud di Velia, 1990)
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
72
73
TOCCACELI 2003.
Vd. FIAMMENGHI - MAFFETTONE 1990, p. 35.
!
$9!
Sapri, molo romano in un disegno del 1819 del tenente Blois (da Schmiedt, 1969)
8. Frattanto Buxentum fra l’età augustea e la metà del I sec. d.C.
vede la monumentalizzazione dell’impianto urbano, con edifici
pubblici, la sistemazione del foro, la costruzione di un macellum o
mercato coperto, ed una serie di iscrizioni dedicatorie per la famiglia
imperiale; nell’insieme, la città mostra numerosi segni di vitalità, come
importante centro amministrativo del territorio e centro commerciale
allo sbocco del Vallo di Diano, legato al porto74. Quest’ultimo era alla
foce del fiume Bussento, (nell’antichità arretrata di circa 4 km rispetto
all’attuale), sul terrazzo marino di riva sinistra a sud-ovest di
Policastro75. La presenza di dediche per membri della famiglia GiulioClaudia (per Livia moglie di Augusto e madre di Tiberio, qui chiamata
Iulia, e per Germanico)76 è spiegata in connessione a proprietà imperiali
nella zona, o in relazione ad assegnazioni coloniarie ai veterani di
Augusto. Sono presenti numerose ville nel territorio, con importanti
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
GUALTIERI 2003, pp. 104-110; BRACCO 1981b; BRACCO 1983.
SCHMIEDT 1966, pp. 322-324.
76 CIL X 459-460.
74
75
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attestazioni archeologiche, come ad es. un rilievo tardo-repubblicano di
produzione regionale affine a rilievi coevi del Vallo di Diano77.
Nel Liber Coloniarum il territorio di Bussento (ager Buxentinus) è
posto nel Bruzio (Provincia Brittiorum)78, e si accenna ad una
assegnazione dei lotti ai coloni fatta in epoca graccana o triumvirale, per
i veterani.
Nel I secolo d.C. il geografo Pomponio Mela, descrivendo le località
costiere della Lucania, ricorda Buxentum tra Blanda e Velia79. La
contemporanea descrizione di Plinio il Vecchio ricorda per la Lucania,
dopo Palinuro, il fiume Melpes (Lambro), la città fortificata di Bussento
(oppidum Buxentum), corrispondente alla greca Pissunte (Graeciae Pyxus),
quindi il fiume Lao, presso il quale vi fu un oppidum con lo stesso nome;
di qui inizia il litorale del Bruzio, con la città fortificata di Blanda80.
Nel II secolo d.C. il geografo Claudio Tolomeo pone Boùxenton in
Lucania tra Velia e la costa del Bruzio81.
Nel II-III secolo d.C. lo scrittore Ateneo, attingendo dalle opere del
medico e dietologo Galeno (II sec. d.C.), in un elenco di vini italici
apprezzati per le loro qualità terapeutiche, ricorda il vino di Bussento
(Buxentinos), simile a quello Albano, aspro e digestivo82.
Va ricordato anche l’accenno agli ottimi vini lucani fatto da Plinio,
con riferimento ai vini della zona di Turi, di Grumento e di Lagaria,
usati anche come specialità medicinali83. La produzione romana di vino
sembra continuare una specializzazione di questo territorio già attestata
in epoca greca e lucana84.
Le fonti successive su Bussento sono tarde, ma comunque ci parlano
di una città importante, divenuta sede vescovile: il vescovo Rustico di
Bussento partecipa ai sinodi romani del 501 e del 50285. Ma nel 592, forse
in seguito ad attacchi dei Longobardi, la città è priva di vescovo, e una
lettera di papa Gregorio Magno invita il vescovo Felice di Paestum,
temporaneamente ad Agropoli, a visitare le sedi vescovili vacanti di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Vd. GUALTIERI 1996.
Liber Coloniarum, I, p. 209 L, 19-20.
79 Pomponio Mela, De chorogr., II, 4, 69.
80 Plinio il Vecchio, Nat. hist., III, 5, 72. Vd. FUSCO 1992.
81 Tolomeo, Geogr., III, 1, 8-9
82 Ateneo, I, 48, 27a.
83 Plinio il Vecchio, Nat. hist., XIV, 6, 69.
84 GUALTIERI 2003, p. 159; vd. VANDEMERSCH 1994.
85 Acta Synhodi, a. 501, p. 435 M; a. 502, p. 454 M.
77
78
!
$;!
Velia, Bussento e Blanda lungo la costa86. E’ solo un’ipotesi che possa
essere di Bussento (Buxentinae Ecclesiae) il subdiacono Quadragesimo,
ricordato da Gregorio Magno, che pascola un gregge di pecore presso
un monte chiamato Argentario87. Un altro vescovo di Bussento, di nome
Sabbatius, è attestato per il concilio romano lateranense dell’anno 649,
cui partecipa anche il vescovo di Blanda Paschalis88.
9. Bussento e le altre città del Golfo di Policastro sono elencate
anche negli itinerari antichi, e in particolare negli itinerari costieri lungo
il Tirreno da Reggio a Roma. Questi itinerari, risalenti all’epoca
imperiale romana, e ritrascritti da autori medioevali, ci tramandano
anche il nome di centri minori. Nell’Anonimo Ravennate (VII sec.), le
città costiere dell’area che ci interessa sono, da sud a nord, Blandas
(Blanda, ossia Paleocastro di Tortora), Cessernia, Buxentum (Bussento),
Bellias (Velia); un secondo elenco, con qualche variante di trascrizione,
aggiunge il sito di Veneris (Blandas, Cesernia, Veneris, Boxonia, Bellias)89.
Gli stessi toponimi del Ravennate sono riportati identici da Guido
Pisano (XII sec.)90. Dunque, fra Blanda (presso Praia a mare) e Bussento
vi erano altri due insediamenti costieri antichi, Cesernia e Veneris, sui
quali sono state fatte varie ipotesi. Per Veneris, si è pensato ad un piccolo
insediamento portuale (Scario?) una volta controllato dai Focesi di EleaVelia, e da Plinio chiamato Portus Parthenius Phocensium91.
Cesernia dovrebbe corrispondere al sito di Sapri-Vibo; si è anche
proposto di correggere Cesernia con Caesariana, centro riportato negli
Antonini Augusti Itineraria (III sec. d.C.), lungo la via Capua-Reggio, fra
Marcelliana nel Vallo di Diano e Nerulo in Calabria92. La colonia di Vibo
dunque, forse in seguito a nuove deduzioni di coloni, i veterani di
Cesare o di Augusto, dovette cambiare nome in Caesariana,
successivamente mutato in Cesernia, località riportata anche nella Tabula
Peutingeriana, una copia medioevale della mappa dei percorsi stradali
romani di epoca imperiale.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Gregorio Magno, Epist., II, 43.
Gregorio Magno, Dial., III, 17. Probabilmente Buxentinae è da correggere in
Volcentinae (di Volci) o in Bisentinae (di Bisenzio), località della Toscana.
88 Vd. KEHR 1935, p. 371.
89 Anonimo Ravennate, Cosmogr., IV, 32; V, 2.
90 Guido da Pisa, Geographica, 32; 74.
91 Plinio il Vecchio, Nat. hist., III, 5, 72.
92 Antonini Aug. Itiner., 110, 2-4.
86
87
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Temi per una
STORIA DI TORRACA
testi di
Fernando La Greca - Amedeo La Greca
Antonio Capano - Antonio Migliorino
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____________________________________________________
FERNANDO LA GRECA - AMEDEO LA GRECA - ANTONIO CAPANO - ANTONIO MIGLIORINO
TEMI PER UNA STORIA DI TORRACA
© 2010 Edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento
Via N. Bixio 59 - Acciaroli (SA) - Tel. 0974/904183
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3! !
INDICE
Il pensiero delle vecchie generazioni
Il pensiero delle nuove generazioni
5
7
Premessa
9
L’area del golfo di Policastro in epoca greco-romana
Bibliografia
19
39
Luci nel buio del Medioevo
49
Tracce del monachesimo bizantino
54
Alle origini di Torraca
63
Un luogo di antichissima frequentazione
69
I Còrdici: una memoria arcaica
75
Primi palpiti di vita di un borgo sorto per esigenze strategiche 83
!
San Fantino l’Egumeno o il Grande
Tre santi di nome Fantino
Altri spunti iconografici
La questione del terzo san Fantino
I luoghi di san Fantino l’Egumeno
Note biografiche su san Fantino l’Egumeno
La cappela di San Fantino a Torraca
87
87
94
105
113
115
134
Aspetti dell’Età modena
Note sulle successioni feudali
Il catasto onciario
Agli inizi del XIX secolo
Il catasto provvisorio (1816)
Appendice: documenti
147
147
153
161
174
187
Fonti per la storia di Torraca:
I documenti dell’Archivio di Stato di Salerno
Presentazione
Documentazione di provenienza statale
Documentazione di provenienza non statale
233
233
236
283
Indice delle illustrazioni
285
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