Banche-imprese: lo scontro,Cemento, tanto e brutto,Turismo
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Banche-imprese: lo scontro,Cemento, tanto e brutto,Turismo
Banche-imprese: lo scontro - Le banche sono bravissime, quando c’è la pioggia (un’azienda è in difficoltà) ti tolgono l’ombrello. Col sole (quando i risultati hanno il vento in poppa) te ne offrono troppi di ombrelli. Il luogo comune degli imprenditori per aprire una riflessione tra chi presta danaro e chi lo va a prendere per far crescere il benessere personale e quello della comunità dove vive. Tempestività nella risposta. Valore delle condizioni. Capire i bisogni di chi fa impresa. Capacità decisionale. Avere lo stesso interlocutore. E servizi innovativi. In ordine di importanza, e con sorpresa, è cosa chiedono alle banche gli imprenditori. Alberto Brighi Alberto Brighi, titolare di una bella azienda di stampaggio di materie plastiche, presidente di Api (Associazione della piccola e media industria della provincia di Rimini), argomenta, con la sua solita verve da polemista pungente: “Il mio rammarico è che le banche locali non riescono a mettersi in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se non lo dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere delle opportunità a vantaggio delle grandi banche, seppur con tutti i limiti che hanno questo verso la piccola e media impresa. Intendo, che il sistema di valutazione delle banche è sempre lo stesso; perché al loro interno non c’è l’organizzazione con la capacità di vedere l’azienda come l’entità che produce reddito. Voglio fare un esempio concreto. Un’impresa che non innova, che non fa piani, che non tenta nuovi mercati, che non fa formazione è vista allo stesso livello di chi fa innovazione, produce piani di sviluppo, qualifica i propri collaboratori e cerca di internazionalizzarsi. Questo approccio non stimola l’innovazione del territorio e non si è in grado di leggere i processi di cambiamento”. “Questi temi – continua Brighi – li riporto in continuazione quando mi capita di parlarne con i responsabili delle nostre banche locali. Lo dico con apprensione e amarezza. Tutte difficoltà registrate dagli imprenditori. Mi piacerebbe che i piani di sviluppo su uno spazio temporale di 3-4 anni fossero valutati, guardati. Invece, gli danno un’occhiata sì e no e si vanno a soffermare sui capitali che possono essere messi a garanzia del prestito”. Brighi affonda la critica. Nelle banche abbiamo rappresentanze non all’altezza del dinamismo del nostro territorio; non ci si pone il problema di capire dove può andare questa provincia; registriamo richieste e aspettiamo risposte che sono positive se gli pare. Domanda: la cultura d’impresa, le innovazioni, la formazione sono un valore per la banca o no? Insomma, noi vogliamo banche locali differenti; che abbiano la capacità di interagire col suo territorio. Le locali dovrebbero essere in prima fila e non ci sono. E credo che negli ultimi anni tale situazione sia anche peggiorata”. Luigi Sartoni Ad Alberto Brighi replica Luigi Sartoni, direttore generale della Banca Popolare Valconca dal ’91. Argomenta: “La banca è un’impresa che fa banca. La formazione, l’innovazione, il libro dei sogni, i progetti, sono legittimi, ma non per questo la banca, senza garanzie, li debba finanziare. Credo che per tali scopo ci voglia un fondo pubblico, lo Stato, le Regioni, le Province, oppure un consorzio privato. Non capisco per quali ragioni la mia azienda debba finanziare le tue idee senza garanzie. Possono essere splendide, ma non è il mio ruolo. Tuttavia una banca locale come la nostra si pone delle autoregolamentazioni, messe per iscritto nel nostro statuto, tendenti a favorire le imprese del territorio, escludendo la mera speculazione. La nostra attenzione verso le imprese, a tutte le imprese, deve rispondere a un quadro di oggettività e al fatto che il denaro prestato debba essere restituito”. A chi gli chiede come valuta, a partecipazione bancaria al capitale delle aziende private, risponde Sartoni: “Non le vedo; dobbiamo essere terze rispetto alle imprese e viceversa: le imprese terze rispetto alle banche. Fatto 100, il business delle banche per metà è fatto dai risparmiatori (coloro i quali portano i soldi), per un quarto di prestiti alle aziende e per un quarto al privato consumatore. Si dice che gli imprenditori debbano sedere nei consigli di amministrazione degli istituti di credito, ma perché no i risparmiatori? Nelle banche ci sono anche i rappresentanti degli imprenditori, ma per un’esperienza dico che l’imprenditore è portato a vedere tutto come un affare; mentre la banca dovrebbe avere gli orizzonti più alti e di mira gli interessi generali. Noi banca abbiamo sempre appoggiato gli interessi dei clienti anche al di là dei numeri, purché verificato la correttezza, la serietà e l’impegno personale. Sono più le imprese salvate, quando dall’altra parte c’è un interlocutore affidabile. Si parla spesso di confronti con l’estero. Negli stati Uniti i crediti sono finalizzati rispetto alle cose per le quali si chiedono. E se non paghi dopo 90 giorni sei sofferente e dopo 180 giorni scattano le esecuzioni immobiliari. In Italia, in caso di fallimento si rientra in possesso dei soldi dopo quasi 9 anni. Insomma, i soldi di Sartoni me li posso giocare anche coi cavalli, quelli che Sartoni amministra no”. Manlio Maggioli Manlio Maggioli, tra i maggiori imprenditori del Riminese, presidente della Camera di Commercio. Argomenta: “In ogni segmento di mercato ci sono gli operatori che si comportano bene e altri un po’ meno e questo avviene anche nel mondo del credito. La fotografia del credito del nostro territorio è fatta da molte banche, nazionali e locali: le une sono complementari alle altre. Le grandi assistono le medie e grandi imprese; mentre le locali seguono le piccole e le medie. Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo danno col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse stato la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è avvenuto. Credo che gli imprenditori debbano saper improntare un buono rapporto col mondo del credito: loro fanno i loro interessi e noi i nostri; insomma, c’è un confronto continuo ma questo fa parte del gioco del mercato”. “Per entrare nel capitale delle imprese – continua Maggioli – ci vogliono professionalità specifiche; pretendere che una piccola banca entri nel capitale dell’impresa è più utopia che concretezza: non ci sono gli estremi. Quanto alla rappresentanza degli imprenditori nei consigli delle banche, penso che siano discrete; un peso maggiore gioverebbe a noi e a loro. Si può sempre fare meglio, ecco. Un buon imprenditore deve dare fiducia alla banca, attraverso un curriculum serio, una bella storia e idee chiare sullo sviluppo futuro: senza avventure ma con coraggio”. Alberto Martini La replica arriva da Alberto Martini, direttore generale di Banca Carim, arrivato a Rimini oltre cinque anni fa dopo esperienze in Cariverona e nel Gruppo Banca Popolare di Vicenza e già ‘riminese’ nel cuore e nel pensiero. Dice: “E’ un luogo comune l’immagine della banca che concede credito quando non se ne ha bisogno mentre lo nega nei momenti di difficoltà. Un’azienda di credito, soprattutto se a vocazione principalmente locale come Carim, mette in atto le azioni a tutela dei propri crediti solo quando le situazioni non hanno più prospettiva di evoluzione positiva e soprattutto quando tra banca e cliente è venuto meno il rapporto di fiducia. Non credo infatti che a Carim possa essere imputato di aver abbandonato imprenditori in difficoltà, penso anzi che si siano sempre cercate le soluzioni più idonee per uscire dai momenti di crisi anche in presenza di un progressivo disimpegno degli altri istituti di credito, perché il fine ultimo della nostra banca è sempre quello di risolvere le situazioni nell’interesse di tutti. Va detto invece che la relazione banca/cliente, oggi più che mai ed anche in adesione allo spirito di Basilea 2, deve essere improntato alla massima trasparenza e fiducia reciproca, con uno scambio continuo di notizie; solo conoscendo appieno le realtà, e con ciò intendo i contesti, i progetti, il management, i collaboratori, i consulenti esterni, la banca può fornire un’assistenza adeguata e professionale. E’ un po’ come il rapporto medico-paziente; per formulare una precisa diagnosi e per prescrivere una buona cura il medico deve conoscere tutto del paziente. E le garanzie di capitali richieste alle imprese? Martini: “Quando vengono presentate idee supportate da buoni piani industriali e finanziari non esitiamo ad esaminarle con grande attenzione e favore. Mi piace ricordare, al proposito, che Carim è uno sponsor convinto della bella iniziativa ‘Nuove idee, nuove imprese’ e che molte delle attività che abbiamo assistito nella fase di ‘start up’ sono oggi delle realtà pienamente affermate. Certo non nascondo la difficoltà nel valutare iniziative in settori nuovi o quando non c’è conoscenza della storia del soggetto economico di riferimento. Bisogna sempre tenere presente che la banca è un intermediario: le somme che noi prestiamo sono quelle che ci sono state affidate per la custodia e l’amministrazione da clienti verso i quali è nostro preciso dovere operare con oculatezza ed attenzione.” “Quanto poi all’ingresso di una banca nel capitale delle imprese, voglio ricordare che esistono istituzioni create ad hoc, quali le merchant bank. Peraltro anche queste ultime incontrano difficoltà nel sostenere i progetti industriali a loro sottoposti; anche Carim si avvale della collaborazione di merchant bank e negli ultimi 5 anni ha valutato numerose proposte: nessuna di queste è andata a buon fine. Questo perché anche la mentalità degli imprenditori deve cambiare; bisogna abbandonare il concetto di ‘gestione familiare’ ed approcciare concetti più manageriali. Ancora oggi gli imprenditori accettano con grande difficoltà l’idea che chi finanzia il capitale dell’azienda ha poi il diritto, ed anche il dovere, di prendere parte attivamente alla vita della società occupandosi anche della sua amministrazione e direzione. Nonostante ciò, sono convinto che molte aziende della provincia, peraltro assai ricca di belle realtà imprenditoriali, potrebbero affacciarsi, già ora, al mercato borsistico”. Marco Celli Marco Celli, titolare di Cem Industrie (impianti per spillatura), presidente di Cna Piccola Industria, a suo modo è un rivoluzionario. Dice: “Lo scorso aprile ho presentato il nostro Piano di sviluppo industriale alle banche del nostro territorio. Le ho invitate in azienda; l’ho fatta visitare ed illustrato dove vogliamo andare nei prossimi anni, senza dimenticare il come. E’ stato molto positivo. Al di là del mio caso personale, più in generale agli istituti di credito si chiede un salto di qualità e di mentalità. Di essere più elastiche e non limitarsi a prestatori di danaro, come avveniva un tempo e avviene ancora oggi. Ci devono affiancare con i finanziamenti in progetti concreti e realistici, magari anche entrando nel capitale. Per una corretta valutazione delle imprese, si devono dotare di strutture capaci di ben valutare che cosa viene loro richiesto. Fuori, in economie più mature, già questo avviene. Sono del parere che gli accordi di Basilea 2 possano aiutare sia gli imprenditori, sia le banche, a dissipare le ragioni e i dubbi delle due parti. In concreto: ci sarà un po’ di pulizia di mercato. Le banche hanno ragione a diffidare degli imprenditori furbi, ma attente ‘indagini’ facilmente li possono smascherare. Penso che gli imprenditori nei consigli di amministrazione degli istitui bancari possano essere da stimolo”. Adriano Aureli Adriano Aureli, uno dei titolari dell’Scm, 500 milioni di euro di fatturato, presidente di Confindustria Rimini: “Come industriali chiediamo alle banche professionalità, competenza e supporto alla crescita delle aziende. Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come avviene negli Usa e in molti altri paesi. Ci auguriamo che nel futuro, come lasciano sperare anche le linee tracciate da Basilea2, la tendenza s’inverta; in questo modo si creeranno? più occasioni di sviluppo per l’economia. Quanto dell’ingresso nel capitale della piccola e media impresa da parte delle banche, il giudizio è positivo. Ritengo si tratti di un segno che va nella direzione della crescita del tessuto economico, sia dal punto di vista delle imprese che delle banche. Si tratta di uno strumento che permette alle aziende di crescere, consolidarsi ed internazionalizzarsi”.? “Il mio rammarico è che le banche locali non riescono a mettersi in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se non lo dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere delle opportunità a vantaggio delle grandi banche” Alberto Brighi “Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo danno col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse stato la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è avvenuto” Manlio Maggioli “Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come avviene negli Usa e in molti altri paesi” Adriano Aureli “La banca è un’impresa che fa banca. La formazione, l’innovazione, il libro dei sogni, i progetti, sono legittimi, ma non per questo la banca, senza garanzie, li debba finanziare. Credo che per tali scopo ci voglia un fondo pubblico”. Luigi Sartoni “La restituzione. Si agisce quando non c’è più nulla da fare, quando oramai non c’è più nessun rapporto fiduciario e di credito. Quando l’azienda non ha più nessun futuro” Alberto Martini “Lo scorso aprile ho presentato il nostro Piano di industriale alle banche del nostro territorio. Le ho in azienda; l’ho fatta visitare ed illustrato dove andare nei prossimi anni, senza dimenticare il come. molto positivo” Marco Celli sviluppo invitate vogliamo E’ stato Banche locali, sono rimaste in sei La prima a nascere fu la Cassa di Risparmio di Rimini nel 1840. Poi, nelle canoniche, seguirono le Rurali e le Banche Popolari Scopo: combattere l’usura UN PO’ DI STORIA – Nel Riminese sono sopravvissute 6 banche locali: la Cassa di Risparmio di Rimini, la Banca Popolare Valconca e 4 casse rurali: Banca di Credito Cooperativo di Gradara, la Banca Valmarecchia, Banca di Rimini e Banca Malatestiana. Carim La prima ad essere fondata, su spinta del papa Gregorio XVI, fu la Carim il 5 agosto del 1840 con un capitale di 2.000 scudi, ripartito in 100 azioni da 20 scudi ciascuna. Vi partecipò la parte più illuminata della società civile riminese, con lo scopo di “promuovere lo spirito di previdenza tra le classi più umili come mezzo di riscatto sociale”. Da allora l’attività della Carim si è intrecciata a tutti gli avvenimenti economici più significativi della città. Dopo il 1920, inizia l’espansione nel territorio provinciale. La prima filiale è a Sant’Arcangelo di Romagna. Seguirono Verucchio nel ’22, con l’assorbimento della locale Cassa di Risparmio, Riccione nel ’23 e, via via negli anni successivi, Morciano, Coriano, Cattolica, Bellaria, Miramare, Viserba, San Giovanni in Marignano, Montescudo. Oggi la Carim ha dimensioni interregionali e copre 6 regioni (Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise). Il suo capitale sociale è controllato per oltre il 70% dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, dove sono presenti gli “eredi” dei primi 100 soci. Banca Popolare Valconca – Antonio Ciuffoli (commerciante di granaglie), Carlo Forlani (commerciante di cocci e terraglie morcianese), Giuseppe Mancini (tabaccaio morcianese), Marino Vanni (agricoltore morcianese), Donato Grassi (proprietario terriero di Montefiore), Filippo Vannucci (commerciante di Coriano), Sante Garuffi (agricoltore di Pianventena) insieme a 5 parroci capitanati da quello di Morciano, Alessandro Ceccarelli, davanti al notaio Alfredo Nanni di San Giovanni il 13 agosto del 1910 fondano la Banca Cooperativa Morcianese: quella che diventerà la Banca Popolare Valconca. Lo scopo si legge nell’articolo 2 dello Statuto: “…la banca ha il fine di raccogliere i piccoli risparmi degli operai, agricoltori e commercianti, renderli fruttiferi e fare sovvenzioni, allo scopo di promuovere il miglioramento morale ed economico…”. Il capitale sociale era di 5.000 lire e fu sottoscritto da 48 soci. Il primo direttore generale fu don Alessandro Ceccarelli. Mentre la prima presidenza è affidata a Marino Vanni. La sede è presso la casa del parroco di Morciano. E lì restò fino a dopo la Prima guerra mondiale. Quando fu preso in affitto un locale in via Marconi. Nel 1924, inaugurazione il 29 marzo, ha la propria sede: nel palazzo dove oggi si trova la filiale di Morciano. Gli anni passano. La Banca si rafforza. Si allarga. Nel 1948 acquisisce la Banca Cooperativa di Saludecio. Mentre nel 1958 c’è la fusione con la Banca Cooperativa di Mondaino ed il cambio del nome: Banca Popolare Valconca. Banca di Gradara La scintilla che accese i destini della Cassa di Gradara potrebbe ispirare le storie di Andrea Camilleri. “Cerca di non dare nell’occhio… avvicina Gabaren, el Ross, Mingaron e Badil e dì loro di passare parola agli altri… di venire… ma alla spicciolata… questa sera alla Benedizione, nel Coro,. dietro l’altare. Terminata la Funzione attardatevi, e quando la gente si è alzata e via ha voltato le spalle per uscire, voi tutti, sempre con calma e indifferenza, attraverso la porticina del coro, salite in cucina dove non tarderò a raggiungervi per mettervi al corrente della ultime decise novità; quello che mi raccomando è di non dare nell’occhio: una indiscrezione, un passo falso, potrebbero mandare all’aria i nostri piani…”. “Così, o quasi, don Raffaele disse sottovoce a Valeriano, il sagrestano che gli aveva appena servito Messa. Il colloquio si svolse, come si dice, alla chetichella nella sagrestia della chiesa di Santa Sofia, entro le mura della Terra di Gradara in quel lontano 8 dicembre 1910, festa della Madonna”. Le memorie sono di Delio Bischi, veterinario, nonché storico di Gradara e non solo. Banca Valmarecchia Sede a Corpolò, la Banca di Credito Cooperativo Valmarecchia Venne fondata nel 1972 dall’unione delle casse rurali di Vergiano di Rimini, Corpolò e Villa Verucchio. La prima radice è nella canonica di Vergiano nel 1906. Banca di Rimini Nasce nel 1921 come Cassa Rurale Interparrocchiale di S. Fortunato, S. Andrea dell’Ausa e S. Gaudenzo di Rimini a sostegno dei più poveri e bisognosi. Oggi come ieri, la Banca, con i suoi 15 sportelli, è un sicuro punto di riferimento della provincia di Rimini ed i dati di bilancio ne confermano il suo radicamento nel tessuto sociale ed economico. Banca Malatestiana Nasce dalla fusione, il 1° ottobre del 2002, di due banche di credito cooperativo: la San Vito e Santa Giustina (fondata nel 1914) e quella di Ospedaletto (1917). Entrambe erano sorte negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale, sulla spinta dell’azione sociale della Chiesa promossa dalla Rerum Novarum. Vanzini: banca, impresa, banca Lavorato al Rolo. Poi direttore generale all’Aeffe. Infine, nel consiglio di amministrazione di Bpv e Carim Conoscitore sia delle logiche di chi fa banca, sia dell’imprenditore. Quando lavorava nell’istituto di credito prima dell’affidamento visitava l’azienda per cercare di capire. Gli prestarono con una telefonata, dalla sera alla mattina, 50 milioni di euro L’INTERVISTA – Questa bella testimonianza del rapporto tra banca e impresa è stata pubblicata la scorsa primavera in Cna Piccola Industria Magazine della provincia di Rimini. Gianfranco Vanzini da giovane ha lavorato al Rolo. Poi è stato direttore generale dell’Aeffe (alta moda). Prima ha fatto parte del consiglio di amministarzione della Banca Popolare Valconca. Oggi, invece, siede nel consiglio d’amministrazione della Cassa di Risparmio di Rimini. – Dirigente di banca. Dirigente di azienda. Di nuovo consigliere di banca. Gianfranco Vanzini è uno dei maggiori esperti di cose economiche nella provincia di Rimini e non solo. Venticinque anni fa venne chiamato alla direzione generale dell’Aeffe (Alberta Ferretti). Allora l’azienda fatturava pochi milioni di euro; quando l’ha lasciata i ricavi erano di alcune centinaia di milioni (marchi: Alberta ferretti, Moschino, Pollini, Velmar). Si dice che gli abbiano concesso un credito di 100 miliardi in un quarto d’ora: sulla parola. Ha molte carte in regola per riflettere ed argomentare. Prima di approdare nell’alta moda, lavorava al Rolo: banche. La sua carriera: direttore di filiale a Cattolica e direttore del portafoglio a Cesena e Reggio Emilia; con facoltà di concessione di mutui e prestiti. Oggi, siede nel consiglio di amministrazione della Carim. Sposato, tre figli, cattolico da Dieci Comandamenti, a chi gli chiede il segreto della vita, risponde: “Rispettare gli altri e dire la verità in faccia, senza paura e con educazione. L’arma vincente, oltre alla professionalità, è il buon senso”. Dicono che seppur impegnato trovasse tempo anche per ricevere dei giovanotti un po’ invadenti. Uno di costoro passava davanti l’azienda, chiedeva di Vanzini. Si beveva sempre il caffè e si facevano quattro chiacchiere. Buone letture e vis polemica aperta: quasi fino al litigio, sempre con argomentazioni, le sue caratteristiche. Con stretta di mano finale. Ecco la sua riflessione. “Mi sono trovato a decidere molto più di oggi; a noi del consiglio della Carim le pratiche di fido giungono già con i pareri positivi e negativi. Poi bisogna dire un sì ed un no finale. Quando dovevo decidere io usavo una serie di piccoli accorgimenti. Andavo sempre a visitare l’azienda alla quale dovevo rilasciare mutui ed affidamenti. Oltre, alle carte, ero curioso di vedere che cosa producessero e come lo facessero. E’ stato un momento di grande esperienza: imparato un sacco di cose. Ritengo che si imponga la fiducia tra imprese e banche. Chi chiede il denaro deve dare all’istituto di credito tutte le informazioni. La banca deve valutare l’attendibilità e decidere se è affidabile, oppure no. Se l’impresa non è affidabile, va instaurato un dialogo. Nel caso in cui il progetto è buono, e mancano i soldi, ci vogliono le garanzie; per la ragione che il danaro è dei clienti. Credo che anche gli ombrelli da sole, dare i soldi quando non servono, siano comunque utili e meno urgenti di quelli da pioggia. Spesso oltre all’ombrello sufficiente, alle imprese servirebbe una ristrutturazione robusta ed un aumento di capitale. Noi abbiamo un malvezzo. L’imprenditore italiano tende a nascondere i suoi beni e spesso utilizza i beni dell’aziende a titolo personale; credo che sia un retaggio storico. Tale andazzo rende le nostre imprese poco patrimonializzate e un po’ asfittiche. Nove volte su dieci avviene che se l’imprenditore vuole i soldi, gli viene chiesto di essere il primo a rischiare ed a credere in se stesso. Altro punto sono le merchant bank, le banche d’affari, che sono sul mercato per guadagnare. In genere la banca d’affari, crede all’idea, entra in azienda, spesso comanda, la capitalizza. Da piccola ed inefficiente, la fanno diventare media e ben organizzata. Infine, si vende. Ma questa riflessione è facile da fare sulla carta, ma difficile da concretizzare. Credo che la banca d’affari abbia un ruolo forte quando l’azienda ha solo esigenze finanziarie, dovuta alla cosiddetta crisi di crescita. Invece, se l’azienda è un malato grave, tutto è di difficile soluzione, anche per una banca di affari. Conclusione chiara per entrambe: banche ed imprese si devono reciprocamente stimare. E cercare di collaborare, ognuno col proprio ruolo, al meglio”. Cemento, tanto e brutto di Francesco Toti – Il troppo e brutto cemento sparso nei 20 comuni della provincia di Rimini negli ultimi 20 anni sono una delle civiltà che lasceremo in eredità. Sull’argomento è scesa in campo anche la curia riminese, con sonore bordate contro le scelte della politica. La portata di tanto grigiume la si può ammirare dall’alto; senza contare tutte le implicazioni sociali (il posto brutto abbruttisce la mente) ed economiche (il costruito è nelle solide mani della cosiddetta speculazione) che fa lievitare i prezzi costringendo il cittadino a lasciare in eredità al figlio oltre alle quattro mura anche il relativo mutuo. Si pone la domanda: di chi la colpa? Si è chiesto ad alcuni prestigiosi architetti della provincia come mai si costruisce tanto e brutto. Che cosa fare per limare questo motivo di fondo di questo particolare periodo della storia locale. Nello speciale forum: Maurizio Castelvetro (Cattolica), Augusto Bacchiani (Riccione), Davide Uva (Morciano), Gianfranco Giovagnoli (Rimini), Euro Maioli (Misano), Giovanna Mulazzani (Gabicce Mare). Giovanna Mulazzani, architetto in Gabicce Mare: “Amplierei il concetto ad una realtà sovra localistica in quanto del bel ‘costruire’ si sono perse le tracce anche nel resto del nostro territorio e sempre di più le esperienze di edifici, piani urbanistici e particolareggiati che caratterizzano il paesaggio per la loro qualità, sono esempi unici che il più delle volte non riescono a fare scuola. Diventano parti di città o di quartiere anomale rispetto alla bassa qualità dilagante. Esempi da pubblicare su Casabella! Da noi, nella nostra provincia, il regime dei suoli è governato principalmente dalla rendita che si trasforma poi in principio generatore di moltissimi progetti o parti di città e questa non è quasi mai compatibile con la qualità del progetto. La cultura progettuale è cambiata da quando alcuni imprenditori hanno visto che l’investimernto immobiliare è di facile e veloce guadagno; che la richiesta di alloggi è da anni la forma di investimento principale dei risparmi. Ma come ho specificato all’inizio questo non è un problema solo nostro. Da noi però, essendo le rendite di posizione molto elevate, gli interessi in ballo sono proporzionali e quindi il fenomeno è molto evidente. Quali conseguenze sulla nostra vita? Credo conseguenze importanti soprattutto per i lavoratori del settore come i professionisti che devono rispondere ad esigenze lontane dalla qualità del progetto. Una nuova cultura dovrebbe essere quella della ecosostenibilità di cui tanto si parla ma poco si applica; cultura che considera il paesaggio come patrimonio collettivo che può produrre ricchezza (penso a certe esperienze della Toscana) senza il massimo sfruttamento. Un concetto che vorrei qui sottolineare a cui penso sempre di più nello svolgimento della mia professione, è quello della ‘voglia di lentezza’. Nelle lezioni americane Calvino ha introdotto questo concetto come non più appartenente alla cultura moderna e di cui però sentiamo la necessità. La lentezza dei ritmi comporta soprattutto la possibilità di soffermarsi a pensare e anche, perché no, a modificare un progetto che non ci piace. Significa poter indugiare sulle immagini che possono essere trasferite nel progetto mediante un processo di confronto con la committenza con la speranza che una nuova cultura si ingeneri. Ma questo è un lusso che non è oggi consentito a nessuno, mentre io credo che questa sarebbe la vera rivoluzione”. Franco Vico, architetto in Cattolica: “Non credo che si stia costruendo troppo e male, credo invece che troppo spesso le nuove costruzioni siano carenti di una reale qualità; le città della nostra costa, ad esclusione di Rimini, godono ancora di un’età relativamente giovane: non hanno subito quel lento processo di aggregazione e stratificazione per giungere sino a noi, né hanno una tradizione culturale del costruire legata al luogo che avrebbe potuto indicare una strada compositiva. Le responsabilità Vorrei sottolineare come alla definizione dello spazio di una città concorrano tanto i pieni dei fabbricati quanto i vuoti urbani, e che nella formazione e percezione dello spazio urbano assumono notevole importanze anche gli arredi, gli spazi pubblicitari, l’illuminazione pubblica, il verde ecc.. Questo significa che le responsabilità vanno suddivise. Da una parte la politica: l’errore probabilmente è stato quello di normare, attraverso i vari strumenti urbanistici, una continua estensione della ‘periferia’ che si è allargata senza soluzione di continuità lungo tutta la costa e all’interno, senza ipotizzare punti di aggregazione in cui ricreare nuovi effetti di centralità urbana; è come se le pubbliche amministrazioni avessero abbassato la guardia nel perseguire la più desiderabile qualità della città e degli interessi collettivi. Si è persa insomma, da parte politica, ‘l’arte del costruire la città’. Dall’altra parte la sfera tecnica: sono indubbie le responsabilità di noi progettisti (tutti inclusi), del decadimento della qualità dovuta alla propensione alla routine e soprattutto alla ricerca empatica del consenso di una committenza che, d’altra parte, rimane sempre più votata al massimo profitto – preferendo stilemi e progetti per i quali l’obiettivo primario sia il raggiungimento del massimo di edificabilità con la minima spesa, allontanandosi così dai bisogni reali di qualità dell’abitare. La verità è che in questo modo, nella definizione del prodotto finale, entrano in gioco con prepotenza troppi elementi che relegano in fondo alla classifica le qualificazioni estetiche e qualitative, troppo spesso considerate superflue, ma che in realtà costituiscono il primo livello di percezione di uno spazio, e dalle quali dipende il grado di sfruttamento e godimento dello stesso. Le conseguenze Le nostre cittadine non sono brutte o degradate, sono incoerenti e frammentate. Le conseguenze di tale frammentarietà potrebbero a mio avviso portare al decadimento e all’incuria, sia nella sfera privata che in quella pubblica; le ripercussioni sono ovviamente a discapito dei cittadini. La conseguenza estrema è la perdita dell’identità di appartenenza. Ma senza estremizzare, è ormai conoscenza diffusa che la ‘frequentazione’ del brutto è sicuramente mancanza di stimolo per la mente e conseguente mancanza di crescita; va inoltre considerato che questo andrà a costituire insegnamento e quindi base culturale per le generazioni future. Da un punto di vista meramente economico poi, non sempre una minor qualità significa abbattimento dei costi, perché il costo di un edificio, o comunque di un intervento edilizio in genere, compresi gli arredamenti, va calcolato su tutto il periodo di vita dell’intervento e in base alla rispondenze di questo alle esigenze per cui viene realizzato. In realtà le possibili conseguenze di una cattiva progettazione o pianificazione sono estremamente estese e vanno considerati sia gli aspetti economici, quelli estetici e se vogliamo psicologici, ma anche quelli di rispetto e valorizzazione del patrimonio culturale, sociale, e naturale che nelle nostre città costituiscono ricchezza principale più che in altre zone; proprio perché terra di turismo che dell’accoglienza fisica fa la propria ragion d’essere. Che cosa fare per invertire tale tendenza? Innanzi tutto a livello ‘estensivo': credo che la consapevolezza e l’orgoglio di far parte integrante di una comunità dovrebbe spingere la volontà di controllo su tutto ciò che di questa società ha funzione rappresentativa, in modo particolare quindi l’ambiente e gli spazi in cui questa società si muove e opera. Poi a livello ‘intensivo': semplicemente insegnando ad apprezzare le cose belle e che la qualità della vita di ognuno dipende in grandissima parte dalla qualità del mondo in cui ognuno di noi si muove, e che tale qualità complessiva è frutto della qualità di ogni singola azione e oggetto. Del resto credo che la comunità abbia già in potenza la capacità di trovare e sviluppare le soluzioni più adeguate, ovviamente il mezzo deve essere l’esercizio attento e corretto dell’architettura in tutte le sue molteplici applicazioni. Abbiamo comunque buone opportunità per creare centri di eccellenza che possano stimolare il dibattito e il confronto; penso alle numerose aree su cui sarebbe possibile intervenire, magari in piena libertà creativa, realizzando elementi di grande carattere urbano generatori di nuove esperienze e magari di nuovi riferimenti. Infine, non trascurerei affatto la funzione che svolge il tempo e che molti annoverano come l’unico vero architetto”. Gianfranco Giovagnoli, architetto in Rimini: “L’elevata densità insediativa, la forte occupazione del suolo, il degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche urbanistiche e territoriali incentrate nei decenni passati sulla crescita esponenziale indefinita. Un modello, governato dal mercato e dalla rendita immobiliare e finanziaria, che ha consentito il raggiungimento di un acritico “benessere diffuso”, senza misurarsi sul depauperamento delle risorse ambientali e naturali, sulla qualità di vita dei cittadini, sulla qualità dell’ambiente urbano. Ci troviamo di fronte ad una crisi della politica che ha saputo solo assecondare istanze provenienti da alcune parti forti della società locale finalizzate a politiche di crescita, invece di promuovere politiche di sviluppo incentrate sulla sostenibilità come interesse di tutta la collettività locale. I progettisti hanno rappresentato, ma rappresentano ancora, figure appiattite solamente sulla ricerca di incarichi, senza esprimere importanti contributi progettuali in qualità di esperti nella costruzione della città. La forte densità insediativa costiera e dei territori intravallivi (l’occupazione del suolo dal dopoguerra ad oggi cresce circa del 500%, la densità edilizia sulla fascia costiera è nel 2005 di 1.074 ab/Kmq.) costituisce una fortissima pressione sul territorio e sull’ambiente. Oggi le città della nostra provincia presentano elevate emissioni di inquinanti e sostanze nocive in atmosfera, elevati livelli di inquinamento da rumori, elevata produzione di rifiuti, scadente qualità ambientale delle acque superficiali, perdita di biodiversità, consumi energetici rilevantissimi. Ciò non può non ripercuotersi anche sulle condizioni sociali e di salute dei cittadini. Assumere consapevolezza che la crescita economica non rappresenta più un indicatore del benessere di una società, potrebbe favorire la promozione di un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità, sulla riduzione della nostra impronta ecologica, su processi partecipativi che coinvolgano nelle decisioni tutti i cittadini. I temi imprescindibili, da affrontare oggi, per una riqualificazione del territorio provinciale sono la ricostituzione degli ecostitemi naturali, l’arresto immediato di ulteriore occupazione del suolo, il decongestionamento edilizio delle città costiere e la ricostituzione di un patrimonio di aree libere verdi, la riorganizzazione del ciclo delle acque, la riduzione e il recupero dei rifiuti, la riduzione delle emissioni di CO2 e il ricorso a fonti energetiche rinnovabili”. Davide Uva, architetto in Morciano: “Vorrei partire da un discorso di natura prettamente economica, per poi approdare a considerazioni architettoniche, ambientali e territoriali. Nella fase di stagnazione che negli ultimi anni ha caratterizzato l’economia del nostro paese, il settore delle costruzioni ha mostrato dinamiche fortemente espansive. L’attenzione degli investitori per le costruzioni ed il mercato immobiliare risale alla fine degli anni ’90 e beneficia della fase espansiva dei mercati borsistici e dell’euforia dei guadagni facili che l’avevano alimentata. In seguito lo scoppio della bolla speculativa della “neweconomy”, avvenuta nel 2000, e la costante riduzione dei tassi di interesse bancari, hanno favorito quella che vorrei definire ‘febbre’ del mattone. La debolezza delle alternative di investimento in termini di remunerazione del capitale e l’incertezza di un clima economico e politico, nazionale ed internazionale, hanno portato le famiglie e gli investitori a perseguire l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni abitative e patrimoniali immobiliari. Gli effetti di questo complesso e nuovo interesse al ‘mattone’, all’investimento edilizio, si sono concretizzati in un incremento sorprendente, nel giro di pochi anni, delle compravendite e dei prezzi dei prodotti immobiliari, sino a raggiungere nel nostro paese livelli mai toccati in passato. Il boom dei prezzi immobiliari ha raggiunto tali livelli di guardia tanto da far pensare sempre più ad una nuova e pericolosa bolla speculativa. Dovrei specificare inoltre che l’incremento degli scambi e soprattutto dei prezzi del mercato immobiliare non è solamente un fenomeno italiano, ma un fenomeno che ha interessato l’insieme dei paesi industrializzati. Fatte queste precisazioni dovremmo analizzare se tutto questo ‘fervore’ e ‘operosità’ edilizia abbiano prodotto realmente migliori condizioni abitative, migliori servizi e infrastrutture, e quindi migliori qualità della vita e qualità architettonica. Di fronte a realizzazioni riuscite, abbiamo assistito, troppo spesso, a scelte deludenti e ad un uso poco corretto del territorio con insediamenti di natura intensiva, anche in situazioni sensibili dal punto di vista ambientale. Abbiamo assistito, troppo spesso, ad opere incongrue, a costruzioni dalla dubbia qualità architettonica e funzionale non riconoscibili per idealità, originalità, estetica, cultura ed innovazione. Si dovrebbe, a mio avviso, instaurare un organico sistema di rapporti in cui realtà pubbliche e private, enti locali e istituzioni interagissero per il bene comune, per la crescita culturale e qualitativa della collettività. Occorrerebbe inoltre una classe politica preparata e di qualità che fosse dotata delle competenze necessarie. Troppo spesso in passato sono state fatte scelte che hanno compromesso definitivamente larghe parti del territorio. Scendendo nel dettaglio della nostra realtà locale, soprattutto quella costiera, come non menzionare tutto ciò che è avvenuto negli anni sessanta, uno sviluppo disomogeneo ed arbitrario frutto di errate politiche urbanistiche, uno ‘scempio’ architettonico ed un uso indiscriminato del territorio tanto che oggi è stato coniato un nuovo termine: ‘riminizzazione’, che è già entrato nel vocabolario collettivo, inteso in senso dispregiativo, per indicare un modello di sviluppo selvaggio e senza regole. Ed è anche vero che spesso certe realizzazioni sono frutto di scelte avvenute da parte di una committenza miope, non preparata, che ha sempre anteposto e privilegiato i piccoli interessi di ‘bottega’ a scelte più ardite, più innovative ed edificanti. Non meno responsabilità hanno i progettisti che, stretti nella morsa committenza – norme burocratiche, hanno spesso favorito opere dalla cui lettura si evince che l’aspetto fondamentale, architettonico ed ambientale, è passato spesso in secondo piano. Va menzionato inoltre che fra questi, soprattutto in passato, il dibattito e la progettazione architettonica è stata portata avanti da figure professionali anomale, prive di quelle conoscenze e specializzazioni specifiche. Frank Lloyd Wright sosteneva, già quasi un secolo fa: ‘Io dichiaro che è giunta per l’architettura l’ora di riconoscere la sua natura, di comprendere che essa deriva dalla vita e ha per scopo la vita come oggi la viviamo, di essere quindi una cosa intensamente umana’. Quindi non più spazi,forme architettoniche, funzioni, decorazioni slegate dalla vita, ma tutto strettamente connesso ad essa. Una vita intesa nel senso più pieno del termine: naturale e spirituale, individuale e come partecipazione alla civiltà. La vera architettura è sempre in divenire rispetto all’uomo, al luogo e al tempo. Oggi, in una civiltà in pieno rinnovamento, è necessaria un’architettura organica contemporanea adeguata alle nuove condizioni dell’uomo e della natura. L’ambiente non è un luogo amorfo nel quale l’uomo si trova collocato, ma un sistema complesso che si mantiene tramite il funzionamento delle sue componenti in una condizione di omeostasi tale da consentire la vita al suo interno. Pertanto l’ambiente non è il luogo in cui l’uomo vive, ma è il sistema a cui appartiene, di cui fa parte e di cui condivide le sorti. Il territorio ha peculiarità sue proprie che l’uomo deve riconoscere, rispettare e prevedere quando opera scelte sociali ed economiche e che non può sottovalutare per non dare origine a forme di ‘rigetto’. Il territorio ha subìto negli ultimi tempi una trasformazione radicale: da risorsa naturale a sfruttamento. Il territorio infatti è il bene più prezioso che una comunità possiede. Il suo uso e il suo sfruttamento permettono una vita più o meno di qualità e le comunità che non hanno saputo proteggere il proprio ambiente hanno dovuto pagare prezzi altissimi sia per quanto riguarda le persone sia per le risorse materiali. E’ necessario quindi riuscire a definire un giusto equilibrio tra la necessità di crescita e la necessità di salvaguardia e tutela dell’ambientale. Per citare un esempio, l’assalto alle zone dell’entroterra e collinari, cha ha colpito nell’ultimo decennio, ha causato il formarsi di nuclei abitativi che hanno perso, in parte, la loro funzione storica di rappresentare una comunità ben precisa, diventando invece degli agglomerati anonimi e dei quartieri ‘dormitorio’, aumentando quindi quel perverso meccanismo sociale di disinteresse per il territorio in cui si vive e di disimpegno sociale. Occorrono quindi delle azioni di tutela e valorizzazione del territorio indirizzate a promuovere un uso durevole e sostenibile in cui le risorse ambientali (e quelle economiche e sociali) siano utilizzate senza compromettere la futura qualità e capacità di rinnovarsi. Uno sviluppo veramente armonico e durevole deve interpretare le domande del futuro (ad esempio la domanda di servizi e di qualità ambientale, saper continuamente rivedere e rinnovare la proprie strategie, riqualificare le condizioni territoriali, infrastrutturali, dei servizi, ecc., che lo sorreggono. Occorre quindi ribadire l’importanza di uno sviluppo improntato sulla qualità piuttosto che sulla quantità come purtroppo è avvenuto fino ad ora. Futuro Occorre, a mio avviso, promuovere e sviluppare la ‘cultura del territorio’, stimolare la coscienza critica nelle trasformazioni ed una certa sensibilità nella salvaguardia e tutela dell’ambiente, della cultura e delle tradizioni. Ritengo che la cultura del territorio debba avere una importantissima funzione di sollecitazione e di indirizzo verso lo sviluppo delle comunità locali, sulla capacità di creare relazioni sociali e sulla qualità della vita, sulla gestione delle risorse architettoniche, ambientali e culturali. La cultura del vivere il proprio territorio dovrebbe essere connaturata in tutti gli individui, pertanto implica un processo formativo ed educativo. Architetti, paesaggisti, ambientalisti ed economisti, tramite le loro conoscenze, dovrebbero interagire maggiormente per individuare modelli di sviluppo sociale ed economico che favoriscano un’economia sostenibile la quale non comprometta l’ecosistema in cui è inserita. Dovrebbe essere un approccio interdisciplinare che abbia come obiettivo il giusto rapporto tra la tutela del territorio e l’economia cercando di escludere il prevalere di quest’ultima. Inoltre, ‘cultura del territorio’ significa anche il tentativo di organizzare e di tradurre in termini progettuali, mettendo da parte i campanilismi che spesso affiorano soprattutto nella nostra realtà, il recupero del senso del luogo che va affiorando sempre più prepotentemente come bisogno di identità ed appartenenza. Quell’identità ed appartenenza che dovrebbe diventare sempre più attiva e non delegata. Da qui discende il ruolo delle istituzioni, i primi soggetti chiamati in causa in questa fase di coordinamento tra le varie componenti: economiche, sociali, private, ecc. ecologiche, Nel nostro sistema, così complesso, la pianificazione purtroppo esige nuovi approcci: la sfida della complessità, come ricorda Morin, può essere affrontata con successo tramite una maggiore complessità, ovvero una maggiore ideazione di risposte multiple ed intelleggibili”. Maurizio Castelvetro, architetto in Cattolica: “Quello che noi definiamo ‘brutto’ è in verità ‘bello’ per chi lo costruisce, per chi lo compra e per chi ci abita. In verità si tende a chiamare ‘bello’ ci? che si avvicina al modello televisivo e sociale, che da noi significa l’incrocio tra il cottage di campagna, il tempio imperiale e la villa hollywoodiana e concentrati in 50 mq. di spazio. La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un principio etico – non solo estetico – condiviso e, siccome viviamo in tempi di etica confusa, viviamo in mezzo alle imitazioni a basso costo ed al caos che vengono spacciati per bellezza. Brutto è ciò che è falso: ciò che vuole apparire senza essere non è bello ma solo vistoso, presuntuoso, sgraziato. Siamo tutti responsabili, ma più di tutto sono il consumismo e la cosidetta ‘cultura di massa’. I geometri fanno il loro mestiere, costruire; gli architetti sono costretti a ragionare come i geometri (e in molti casi lo sono nei fatti); i committenti guardando molto la televisione sono convinti di sapere cosa vogliono; i costruttori considerano il territorio un terreno di caccia, anche di frodo; i politici rappresentano queste categorie, e quindi spesso si adeguano. Causa ed effetto si mescolano alimentandosi a vicenda. Occorrerebbe una concezione di ‘bellezza di massa’ che è quella che storicamente è più vicina al design di oggetti che all’architettura: un secolo fa esisteva una idea di ‘decoro’ nella borghesia italiana che si traduceva nei tanti villini che abbiamo anche sulla Riviera. Oggi invece il feticcio del denaro, del successo e dell’apparenza sta assumendo dimensioni allarmanti e ridicole, proporzionalmente allo spessore dei cornicioni negli edifici ed al numero di archi e colonnine. Dal mio punto di vista stiamo assistendo ad un vero e proprio decadimento culturale e di valori, travestito da apoteosi e difesa di una presunta identità tribale. Non ci sono ricette semplici in una società complessa: grandi questioni e piccoli comportamenti personali hanno pari rilevanza. Perché sarebbe sano e utile dare spazio al dibattito ed al confronto; mettere al primo posto la Natura e non il Cemento; amare i dettagli; rivedere una idea malata di sviluppo che coincide oggi solo con l’aumento del reddito e della rendita; ‘votare’ i progetti esaminati dalle Commissioni Edilizie, con lo stesso criterio con cui ciò avviene nelle competizioni sportive; creare invece di copiare; considerare l’identità di ogni edificio ed imparare a rispettarla, perché parla di chi siamo noi”. ARCHITETTURA Giovanni Gandolfi, premio alla qualità Morto nel 2004, romano trapiantato a Rimini, è stato uno dei protagonisti dell’architettura riminese Quattro sezioni: architettura, pianficazione, paesaggistica, conservazione. Opera vincitrice: Centro servizi di Riccione – Giovanni Gandolfi è morto nel 2004. Per ricordarne la figura l’ordine degli architetti ha istituto il premio biennale di architettura contemporaneo “Giovanni Gandolfi”. Per dargli forza e prestigio, è stato realizzato con il Collegio dei costruttori e la Provincia di Rimini. Romano di origine, professore all’università “la Sapienza” di Roma, Gandolfi arriva a Rimini negli anni Cinquanta. Progetta molto, puntando alla qualità. Tra i suoi molti lavoro: i quartieri Peep di San Giuliano e Marecchiese, la banca nella centrale via Garibaldi di Rimini. Il Premio ha 4 sezioni: architettura (vincitore: progettista Stefano Matteoni; costruttore: Consorzio Artigiani Riminese; committente: Centro Servizi Srl – Riccione), pianificazione; paesaggistica; conservazione (Progetti vincitori ex aequo: “Il fascino barocco – Chiesa S. Bernardino Rimini”, progettista: Armando Baccolini; costruttori: Imprese Edili Benzi Costantino; Arcangeli Giuseppe Rimini; committente: Provincia Minoritica di Cristo Re – Bologna. “Consolidamento Pieve Santa Cristina – Rimini”; progettista: Federico Foschi; costruttore: Impresa Edile SCR Italia s.r.l. Pesaro; committente: Diocesi di Rimini – Rimini). La commissione che ha scelto era composta da: Marco Zaoli (presidente), Gianni Braghieri, Marcello Balzani, Massimiliano Sirotti, Giuseppe Bellei Mussini e Raffaele Mussoni. “Il regime dei suoli è governato dalla rendita che si trasforma poi in principio generatore di moltissimi progetti o parti di città” Giovanna Mulazzani “E’ come se le pubbliche amministrazioni avessero abbassato la qualità della città e degli interessi collettivi. La politica ha perso ‘l’arte del costruire la città’ Franco Vico “Il degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche urbanistiche e territoriali incentrate sulla crescita esponenziale indefinita” Gianfranco Giovagnoli “I progettisti, stretti nella morsa committenza-norme burocratiche, hanno spesso favorito opere dove l’aspetto architettonico ed ambientale, è in secondo piano” Davide Uva “La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un principio etico – non solo estetico – condiviso e, siccome viviamo in tempi di etica confusa” Maurizio Castelvetro Turismo, storia vendere arte e - Aggiungere al solito e classico turismo, quello fatto di spiaggia, sole e discoteca, i negozi di viale Ceccarini, quello più colto, come andare per borghi e città d’arte. Non si sa quale futuro, non si sa se si riuscirà a fare centro, ma la provincia di Rimini si presenta al turista esigente con un partner blasonato, nobile, con i quarti di nobiltà al posto giusto: il Touring Club Italia. Ha portato sui tavoli degli appassionati ben due guide: una verde legata alla provincia di Rimini ed un’altra interprovinciale. Insomma, è soltanto un altro dei tanti turismi al quale il Riminese cerca di dare la caccia in un cambiamento continuo del modo di vivere la vacanza; poche famiglie svernano l’estate al mare, o vi restano 15 giorni. La prima guida, quella verde, che è un autentico distintivo di riconoscibilità e di appartenenza (ragazzi creativi vanno a zonzo per arte e per incontri galanti), si intitola “Rimini e provincia: la Riviera delle vacanze, la Signoria dei Malatesta”. La seconda invece ha per titolo “Malatesta e Montefeltro: itinerari tra Romagna e Marche”. E rientra nel progetto tra le province di Rimini e Pesaro ed ha come denominazione “Terre Malatestiane e del Montefeltro”. Le due operazioni culturali e commerciali effettuate con il mito, i suoi 600.000 abbonati, i suoi 1.300 punti vendita, del Touring Club Italia, sono costate alla comunità 168.000 euro. Hanno prodotto due guide: quella classica verde (acquistate 8.000 copie, 4.000 in italiano e altrettante in inglese) e quella della collana le “Perle d’Italia” (10.000 copie). Per la prima (100.000 euro) i soldi sono stati messi al 40 per cento dalla Provincia, il restante, in parti uguali, da Camera di Commercio, Fondazione Cassa di Risparmio e Comune di Rimini. La seconda (68.000 euro) invece è stata possibile grazie al progetto turistico, Terre Malatestiane e del Montefeltro, finanziato dal ministero. Le due guide, dato il pregio, saranno distribuite in modo selezionato e possono essere acquistate nei 1.300 punti vendita della Touring. Fondato agli inizi del secolo, il Touring è una delle più importanti istituzioni culturali dell’Italia. Pubblica le guide, ha una rivista (i famosi 600.000 abbonati) ed ha educato milioni di italiani al culto delle opere d’arte e dell’ambiente. Nonostante tanto blasone, anche il Touring Club ci ha messo qualche errorino. Uno molto divertente è l’aver confuso il bel campo di cipolle fotografato a San Clemente, con l’aglio, un ortaggio buono ma meno nobile. Massimo Gottifredi è la persona giusta al posto giusto. Presidente dell’Apt (Azienda promozione turistica dell’Emilia Romagna, fino a due anni fa assessore provinciale al Turismo, è un bell’esperto, non meno che persona umile. Delle due guide afferma: “Rappresentano la nostra certificazione di qualità; un territorio che non è solo spiaggia, divertimentificio e parchi tematici, ma anche arte, cultura, storia. Eravamo l’ultima provincia dell’Emilia Romagna a non essere inseriti nelle Guide verdi, ma abbiamo chiuso la falla in modo molto conveniente”. “Le due guide – continua Gottifredi – sono due prodotti diversi. La ‘Malatesta e Montefeltro’ supera i confini territoriali e cerca di mettersi nei panni dei nostri turisti che percepiscono le due realtà come una sola. I legami Verucchio- San Leo e Gradara-Montefiore sono fortissimi, ad esempio. Ancora non siamo pronti, ma i motivi per una promozione unica sono tanti. La Guida Verde doveva essere fatta prima, ma il solo esserci è un riconoscimento di spessore, di possedere valori di livello. E’ informativa e non promozionale e va a riequilibrare come gli altri vedono questa provincia. Abbiamo gioielli architettonici di attrazione internazionale e una rete di castelli unica”. Ma come si presenta il materiale promozionale della nostra provincia? Marco Giovannini, giovane presidente degli albergatori di Riccione: “Direi di buon livello, anche se ci sono delle sovrapposizioni, di marchi, loghi, prodotti, come in altri settori. Ogni assessorato e ogni comune presenta qualcosa. Oltre alla miscellanea, alcune volte difettiamo anche di aggiornamento. Tra i nostri competitori sfornano cose di valore il Trentino, la Toscana, l’Abruzzo, il Veneto. E anche con un filo conduttore”. Maurizio Cecchini, altro giovane, presidente a Cattolica: “Abbiamo punte di eccellenza e debolezza. L’informazione è variegata e complessa; direi che la nostra non è male rispetto ai concorrenti. Partendo dal dato che la Toscana ha materiale superiore al nostro, la strada la possiamo fare. Ci vorrebbe qualcosa al fuori del cartaceo. Le nicchia, come le due guide Touring, sono un enorme potenziale”. di Francesco Toti CURIOSITA’ Bellini, Ghirlandaio, Cagnacci, Centino, Guercino, Cantarini Le opere di artisti di livello assoluto sono conservate nel Museo della Città a Rimini – I pittori di Scuola Riminese del Trecento (Giuliano da Rimini, il maggiore), Giovanni Bellini, Domenico Ghirlandaio, Guido Cagnacci (nato a Santarcangelo e morto alla corte dell’imperatore austriaco), il Centino, il Guercino, Simone Cantarini. Tutti artisti che farebbero da richiamo ai grandi musei del mondo. Nomi che hanno fatto la storia della pittura mondiale e che si possono ammirare al Museo della Città di Rimini, forse il più importante della Romagna. Si contende lo speciale scettro, senza competizione naturalmente, con Forlì. Non solo sono di rango le opere, ma di buona architettura è anche il contenitore. Infatti, l’istituzione culturale si trova nel convento dei Gesuiti (accanto alla chiesa di San Francesco Saverio) in piazza Ferrari. E’ molto probabile che la conoscenza del museo riminese sarebbe stato esaltata se fosse stato collocato negli spazi accanto al Tempio Malatestiano. L’affascinante intreccio avrebbe attirato molti più appassionati e curiosi. Ma tant’è. Ora non resta che farlo conoscere prima ai riminesi, che potranno poi sensibilizzare gli amici forestieri e i tanti turisti che vengono in riviera. In questo la stampa locale non aiuta; è molto più dedicata e sensibile ai fatti di cronaca nera, incidenti stradali e beghe politiche. Progettista l’architetto bolognese Alfonso Torreggiani, l’edificio museale è stato tirato su tra il 1746 e il 1755 come collegio dei Gesuiti. Nel 1773, dopo la soppressione dell’ordine, passò al seminario vescovile che nel 1796 lo vendette ai domenicani. Dal 1797 al 1977 è stato utilizzato prima come ospedale militare poi civile. Museo Civico, col primo nucleo, dal 1981. CULTURA Mondo antico, conferenze con 5.000 appassionati Il ponte di Tiberio, uno dei monumenti antichi più importanti d’Italia – Il prestigioso “tuttoLibri”, supplemento letterario del sabato della Stampa, gli ha dedicato la copertina. Il magazine patinato del Corriere della sera lo ha citato ampiamente. Grossa eco sui mezzi di comunicazione per il Festiva del Mondo antico, in programma a Rimini, Cattolica, Mondaino, Montefiore, San Mauro, Verucchio e San Marino dal 15 al 18 giugno scorso. Alla seconda edizione, se lo è inventato Marcello Di Bella, direttore della biblioteca Gmbalunga di Rimini: “un’immersione nella cultura delle origini con il gusto dei contemporanei”. Hanno assiepato gli incontri con gli intellettuali circa 5.000 appassionati, molti dei quali hanno colto al volo la cultura per passare qualche giornata come ospiti degli alberghi. I temi, svariatissimi (da come giocavano i bambini alle macchine da guerra), affrontati da una novantina di intellettuali. Tempio Malatestiano, nobile tappa Tutti d’accordo: Marino Bonizzato, Giuliano Chelotti, Oscar Del Bianco e Ilio Pulici. E’ la maggior opera d’arte del territorio – Quali opere d’arte della provincia di Rimini un turista dovrebbe assolutamente non perdersi? Lo chiediamo ad alcuni illustri personaggi del Riminese. Marino Bonizzato, architetto in Rimini: “Cinque cose da non perdere per chi raggiunge la nostra costa. 1. lo Spirito dei Luoghi – Seppur fortemente oscurato da menti che privilegiano il materiale all’immateriale, lo si può ancora cogliere, sia nelle pieghe della Città non ancora aperte e dissacrate, sia nei comportamenti, negli occhi e nelle parole di Cittadini consapevoli del proprio ruolo. 2. I Segni dell’Età dell’Oro – Rintracciabili ancora nelle opere compiute dagli Uomini subito dopo la fine della loro felice convivenza con gli Dei, ben custodite nei Musei che costellano il territorio, da Rimini a Verucchio? a Mondaino. 3. L’Arco d’Augusto – Simbolo di un mondo senza barriere, dedicato a un grande che profuse impegno per la pace universale. 4. Il Tempio Malatestiano – Dove l’equipe di geni assoluti – Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio, Piero della Francesca e Matteo de’ Pasti – messa assieme da Sigismondo, seguendo le piste filosofiche di Gemisto Pletone, illustra la formula magica della nascita e dell’evoluzione del mondo. 5. La Darsena di Rimini – Architettura generata da un rapporto amoroso con il Mare, eletta figlia dei Cittadini che, amando ancora, forse potrebbero darle fratelli e sorelle capaci di rappresentare una Città futura migliore”. Giuliano Chelotti, architetto, saludecese impiegato nel Comune di Saludecio, è stato l’artefice di Ottocento Festival, battistrada di qualità per le manifestazioni nate nell’entroterra: “Sicuramente bisogna partire dal Tempio Malatestiano di Rimini. Poi ci sono delle testimonianze seppur ricostruite come Gradara e San Marino. Senza dimenticare l’Arco d’Augusto, il Ponte di Tiberio, la Rocca Malatestiana di Rimini. Non si viene a Rimini per il Tempio, ma per un giro più largo. E poi l’entroterra con i centri storici. Nello specifico: il Museo e la chiesa a Saludecio, piazza Maggiore a Mondaino e le rocche di Montefiore e Verucchio. Chi è qui non può dimenticare le chiese di San Leo, più della fortezza”. I riccionesi Ilio Pulici e Oscar Del Bianco sono le menti del “Block 60″, il negozio più trendy e emporio di bellezza di Riccione. Dicono: “Come non vedere Montefiore, il tempio Malatestiano di Rimini con il Piero della Francesca, Verucchio, San Leo, la Domus del chirurgo sempre a Rimini. Nello speciale tour ci metterei anche la Piadina della Lella in via Covignano”. LA GUIDA Touring, le stelle Due, il massimo, a Rimini e Montefiore. Una a Santarcangelo e Verucchio – Le guide del Touring Club utilizzano le stelle per indicare il valore dell’opera d’arte. Il massimo sono le due stelline. Nella nostra provincia sono state assegnate alla città di Rimini nel suo complesso, al Tempio Malatestiano (due stelle per il Crocifisso di Giotto e l’affresco di Piero della Francesca), al borgo di Montefiore Conca; una stella a Santarcangelo (due al polittico di Jacobello di Bonomo e una al Museo Storico); una stella al borgo di Verucchio (e due al Museo Villanoviano). Inceneritore, capitola? la Provincia - Ampliamento dell’inceneritore di Coriano, la questione si può mettere così: partita tutta aperta, tutta da giocare, con un arcobaleno di sorprese. Dopo una lunga battaglia il presidente della Provincia di Rimini, Nando Fabbri, sembra che abbia l’intenzione di accogliere tutte le richieste (osservazioni al Piano provinciale dei rifiuti) dei comuni di Riccione, Coriano e Misano, sorrette da consiglieri dalle posizioni ferme, non meno che civili: Sandro Pizzagalli e Cristian Conti (Rifondazione comunista), Fabrizio Piccioni (Comunisti italiani), Luigino Garattoni (Verdi), Antonio Padalino (già Italia dei valori, gruppo misto). I consiglieri provinciali diessini invece, almeno ufficialmente, hanno sempre assecondato il presidente Fabbri. La svolta di Fabbri è avvenuta in maggio durante un incontro informale con la maggioranza. Tra l’incudine e il martello l’assessore provinciale all’Ambiente Cesarino Romani. Verde, ha portato il Piano in Consiglio. Adriano Torsani, assessore all’Ambiente di Misano, grande sensibilità, argomenta: “Il futuro passa per la raccolta differenziata. Noi nel 2004 eravamo al 12 per cento; siamo passati al 15 l’anno dopo. Adesso ci attestiamo attorno al 20. Il nostro obiettivo è arrivare al 35 entro il 2006, 45 entro il 2008, altrimenti saremo sanzionati dalla legge. Approvata dal governo nell’aprile del 2006, infligge una multa del 20 per cento alle amministrazioni che non raggiungono tale risultato. Multa che i cittadini si ritroveranno poi sulla bolletta. L’obiettivo forte è posto al 2012: differenziare il 65 per cento della raccolta. Con questi risultati da raggiungere, è quindi evidente che si necessita della sensibilità dei cittadini a fare una maggiore raccolta differenziata; da parte sua, il gestore del servizio, Hera, deve mettere in atto progetti che rendano possibile raggiungere l’obiettivo fissato dalla legge. Con questa fotografia, penserei al quarto forno, ma prima di smantellare il terzo ci penserei, anche perché dovranno andare in discarica solo i residui dell’inceneritore e non più l’indifferenziato”. “Poi – continua Torsani – c’è il problema delle nanoparticelle prodotte dagli inceneritori di ultima generazione. A quanto mi risulta sono più pericolose delle emissioni dei vecchi forni; occorre una verifica scientifica dell’Istituto superiore della sanità”. Mario Galasso, assessore all’Ambiente a Riccione, si è battuto con gagliardia contro il Piano provinciale. Argomenta: “Se noi raggiungiamo il 50 per cento di raccolta differenziata, la terza e quarta linea sono più che sufficienti per i fabbisogni provinciali. Il fatto che ci ha mandato in crisi è l’aver incontrato lo studioso di nanoparticelle Stefano Montanari (consigliere di Beppe Grillo). Dimostra, dati scientifici alla mano, che i moderni inceneritori sono peggiori dei vecchi; a temperature elevatissime producono particelle inferiori alle Pm10. Polveri talmente sottili che non riescono ad essere bloccate dalla pelle e che provocano forme tumorali. Partendo da tutto questo, la priorità è spingere sulla raccolta. A questo punto si pone questa domanda: vale la pena costruire il quarto forno? Non sarebbe sufficiente un restyling degli esistenti, che producono particelle più grandi delle Pm10? Riccione, Misano e Coriano hanno chiesto la consulenza scientifica all’Istituto superiore della sanità: indagine epidemiologica e il monitoraggio sulla caduta delle polveri dell’inceneritore partendo dai dati dell’Arpa”. Massimo Pierpaolini, saludecese, consigliere provinciale forzista, che barattò col sorriso sulle labbra il suo voto a favore dell’adozione del piano Fabbri con finanziamenti per 1,5 milioni di euro a favore dell’entroterra. Afferma, sempre con il suo classico sorriso: “La partita è tutta aperta. Ho presentato un’osservazione al Piano dove dico che Raibano ha già dato e dunque va smantellato. Se Galasso, l’assessore di Riccione, vuole fare una guerra a favore dell’ambiente deve far chiudere l’autostrada che inquina molto di più dell’inceneritore. E poi deve far chiarezza nel suo partito; il Piano è stato portato da uno di suoi, Romani. Oggi, il problema non sono i rifiuti civili ma quelli industriali. Ed è anche immorale spedire l’immondizia nelle zone più povere del paese. Voto a favore soltanto se Fabbri mi dà l’assessorato all’Ambiente”. Fabrizio Piccioni, Comunisti italiani: “Prima di ogni scelta va avviata un’indagine dall’Istituto superiore della sanità sugli agenti inquinanti. E vedere se in passato l’inceneritore è stato causa di tumori. Dopo c’è un altro dubbio, se entro il 2012, come dice la normativa europea, bisogna arrivare al 65% di raccolta differenziata, perché spendere 50 milioni di euro per la quarta linea, quando gli esistenti sono già sufficienti. Voglio sottolineare che le nostre osservazioni non sono mediabili; le abbiamo già mediate al momento della presentazione”. Sandro Pizzagalli, consigliere provinciale di Rifondazione, si è battuto con molta forza contro questo Piano provinciale dei rifiuti: “Se le nostre osservazioni dovessero essere rigettate, il nostro voto sarà contrario al Piano. Poi ci sono le microparticelle che cambiano i colori della fotografia”. di Francesco Toti I FATTI LE RAGIONI DI HERA – La società pubblica, con le firme-approvazione di tutti i comuni della provincia di Rimini, a Raibano può costruire il quarto forno e tirare su la centrale elettrica. DIFFERENZIATA – Una comunità di un certo tipo la dovrebbe spingere. Invece, in provincia si arretra. Siamo attorno al 22 per cento. Primo obiettivo: 35 per cento. PIANO PROVINCIALE – Punti del Piano provinciale: costruzione del quarto forno, più raccolta differenziata, apertura di una discarica. Nessuna sicurezza sulla chiusura dei due forni vecchi e di spingere sulla raccolta differenziata. IL PUNTO DI VISTA Rifiuti, Fabbri ha cambiato idea? Il presidente della Provincia aveva spaccato la maggioranza sul voto d’adozione, approvato con Forza Italia. Invece, sembra che abbia cambiato idea – A sentirlo parlare Nando Fabbri, presidente diessino della Provincia di Rimini, è un paladino delle questioni ambientali. Alcune delle sue parole d’ordine: governare il territorio pensando al suo equilibrio, sostenibilità e innovazione, difesa e valorizzazione del paesaggio, qualità al posto della quantità. Invece, un anno e mezzo fa quando l’assise provinciale si pronunciò sull’adozione del Piano provinciale dei rifiuti ci vollero i voti di Forza Italia per l’approvazione. Sulla questione aveva sfilacciato la maggioranza (Rifondazione, Comunisti italiani, Italia dei valori e Verdi contrari) e anche il territorio (Riccione, Misano e Coriano e tutta la Valconca contrari). Senza contare che anche in casa diessina molti avevano votato a favore, ma turandosi e storcendo il famoso naso e per qualcuno, Sandro Tiraferri e Sergio Funelli, si presentava anche l’abusato conflitto di interessi (il primo era, ed è, presidente di Hera, il secondo vi lavorava). Il Piano prevedeva la costruzione della quarta linea dell’inceneritore di Coriano e il mantenimento delle altre tre. In un anno il potentissimo presidente sembra che abbia cambiato idea. La Provincia dovrebbe spingere sulla raccolta differenziata, mentre sulla partita inceneritore anche alla luce delle nuove scoperte scientifiche non si sa più che fare. Fabbri dovrebbe imprimere una svolta allo sviluppo urbanistico e all’assetto del territorio. Una civile raccolta differenziata dovrebbe essere la pietra miliare. Con poco più del 20 per cento, siamo ad una percentuale da paese arretrato, sia per noi stessi, sia per qualificarci come grande potenza turistica europea. CURIOSITA’ A Coriano circa 500.000 euro l’anno di servitù – Per Coriano l’inceneritore è una autentica manna dal cielo. Si trova in un angolo del suo territorio, ma dentro le case dei riccionesi e dei misanesi. Sono loro a sopportarne i cattivi odori e le polveri più o meno sottili. Riceve dalla comunità provinciale, Coriano, circa 500.000 euro l’anno di indennità da servitù da inceneritore. Inceneritori e tumori, quali relazioni Studi epidemiologici condotti dal 1987 al 2003 sotto il controllo dell’Istituto Superiore di Sanità affermano che alcuni sono da associare alle emissioni – Quali relazioni tra gli inceneritori e il tasso dei tumori in una determinata area? Non ci sono dati certi. Scrive il Comitato cittadino Riccione per l’energia pulita: “Le sostanze inquinanti emesse dai forni inceneritori possono causare tumori. Lo affermano gli studi epidemiologici condotti dal 1987 al 2003 sotto il controllo dell’Istituto Superiore di Sanità. Secondo queste ricerche contenute negli annali dell’Istituto Superiore di Sanità (anno 2004) tumori come il carcinoma polmonare, il linfoma non Hodgkin, i sarcomi dei tessuti molli e i tumori dell’infanzia, sono da associare alle emissioni degli inceneritori dei rifiuti. Per questo è indispensabile e urgente attuare un programma di riduzione dei rifiuti mettendo in pratica la strategia ‘rifiuti zero’. Le proposte fatte da tempo dal Comitato Riccione per l’energia pulita alla soluzione del problema dei rifiuti trovano un autorevole appoggio nelle affermazioni del rappresentante del dipartimento di sanità pubblica della Usl di Rimini, Fausto Fabbri il quale, alcuni giorni fa, davanti alla commissione rifiuti della Provincia in merito al progetto di ampliamento dell’inceneritore dei rifiuti di Coriano ha pubblicamente affermato che: 1) ‘l’attenzione rivolta alla riduzione della produzione dei rifiuti, al loro riciclaggio e riutilizzo è inadeguata'; 2) ‘per minimizzare il rischio di danni alla salute della popolazione occorre ridurre al minimo la quantità di rifiuti da incenerire, limitando l’incenerimento ai rifiuti prodotti nella provincia di Rimini'; 3) ‘occorre ridurre al minimo le emissioni in atmosfera particolarmente per le sostanze ritenute a maggior rischio sanitario’. L’area di Raibano è da bonificare dalle emissioni nocive e non da sovraccaricare ulteriormente. Se si attuasse un serio programma di riduzione dei rifiuti, che è possibile sin da ora, per le necessità della nostra provincia non è necessario costruire un’altra linea dell’inceneritore, ma sarebbe sufficiente utilizzare solo la terza. Chiediamo ai politici di anteporre la salvaguardia della salute dei cittadini agli affari di Hera”. NUMERI Rifiuti, se ne producono 240.000 tonnellate l’anno Produzione giornaliera pro-capite di 2,2 kg – I quasi 290.000 abitanti della provincia di Rimini producono rifiuti solidi urbani per circa 240.000 tonnellate l’anno, quasi una tonnellata a testa, con una produzione giornaliera pro-capite di 2,2 kg. Attraverso l’inceneritore di Coriano si ha la capacità di smaltirne 160.000. Il resto lo esporta nella discarica di Sogliano (provincia di Forlì-Cesena). La legge afferma che ogni provincia deve avere una capacità autonoma. Smaltire una tonnellata di rifiuto costa alla comunità circa 120 euro. I cittadini avrebbero nelle mani il potere civile della raccolta differenziata, invece nei cassonetti ci infilano di tutto e di più, come il prato tagliato e le potature. Non sono mancati oggetti che hanno provocato danni per decine di migliaia di euro, come calcinacci e pali di cemento delle viti, ad esempio. I FATTI VOTO PROVINCIALE – Il 14 dicembre 2004 la Provincia di Rimini ha adottato il Piano rifiuti. Hanno votato a favore Ds e Margherita e Massimo Pierpaolini, Forza Italia. Hanno votato contro An, Forza Italia, Pdci, Rifondazione, Gruppo misto (Padalino) e Verdi. Risultato: 13 sì a 11 no. Albergatori, i vecchi ostacolano il turismo? - “Gli albergatori, i vecchi ostacolano il turismo?”. Sento la necessità di fare un intervento perché tocca due mondi a cui tengo in particolar modo, quello dell’alberghiero, e quello della famiglia. Il primo articolo mette in luce la frustrazione di un figlio di albergatori che non riesce ad esprimersi come vorrebbe, indicando come il padre, accentratore di decisioni importanti, lasci al giovane ruoli secondari di barista o cameriere. Nell’articolo successivo, si possono leggere varie opinioni che riportano tendenzialmente allo stesso risultato, ma che, a parere di esperti del settore emerge il dato allarmante che sono ormai pochi gli albergatori anziani, e che, la redditività alberghiera è divenuta scarsa, facendo allontanare i giovani dal mestiere tramandato dal genitore. Personalmente ritengo che un lavoro fatto in famiglia possa solo portare dei risultati positivi, ed è una fortuna per un figlio poter continuare il lavoro del padre, salvo che il giovane non dimostri qualità e tendenze diverse. Quando si lavora assieme è naturale che vi siano periodici conflitti, ma dovrà essere ugualmente naturale sorpassarli, digerirli e maturare. Un giovane non può porsi nei confronti del genitore così come il ragazzo del primo articolo, ma in modo completamente diverso, non può puntare il dito, ma deve essere creativo e positivo. Di fatto, perché il genitore comprenda che il figlio può fare bene, dovrà vedere i risultati sul campo. Avere il ruolo di cameriere o di barista all’interno dell’attività o ancora più semplicemente quello di pulire i bagni, non è vergogna, la cosa importante è che quando lo fa il giovane lo faccia nel migliore dei modi. È normale che ci si aspetti il massimo dai figli, se un dipendente fa una cosa ben fatta, doppiamente lo dovrà fare il figlio, se un dipendente lavora 8 ore, 16 dovranno essere quelle del giovane e la qualità di questo lavoro è atteso che venga svolto in modo ineccepibile. Solo con la massima dedizione, facendo il proprio lavoro con la massima qualità, sacrificando le ore libere destinandole alla propria azienda nei momenti di necessità, si guadagna la stima di chi può valutare il tuo operato. Inoltre è dovere del figlio cercare il dialogo con il proprio genitore, per un giovane è più facile comunicare, trovarsi e confrontare, con il dialogo, la dedizione, la qualità dell’operare si potrà sicuramente affrontare la vita famigliare/lavorativa in modo costruttivo, tramutando quella che è oggi insoddisfazione in vantaggio. Il vantaggio consiste nell’avere un’azienda controllata su tutte le parti da membri della stessa famiglia che possono operare nel comune obbiettivo alla crescita ed in questo caso al soddisfacimento della clientela. Quando il genitore avrà la certezza che l’azienda per la quale ha sputato sangue è in buone mani anche in sua assenza, il passaggio generazionale avverrà in modo spontaneo. Sarà il padre a dire al figlio “pensaci tu che io mi riposo” perché è certo che l’azione sarà ben fatta. Gli investimenti? Valutati, analizzati assieme, saranno certamente più sicuri. Le difficoltà? Affrontate assieme si dimezzano. Io condivido da sempre il lavoro con mio padre, con il quale, per capacità o fortuna và tutto a gonfie vele. Egli è stato sempre molto coraggioso nell’affrontare l’innovazione che ho proposto, molto spesso rischiando, ed a volte calzando la mano sui cambiamenti in modo spericolato. Credo che fondamentalmente quello che ci unisce sia stata la mia partecipazione attiva a molti momenti difficili della nostra storia, proprio in quei momenti riusciamo ad esprimere il meglio del nostro affiatamento. Posso immaginare che a volte per un senso di protezione nei confronti dei figli e della proprietà i genitori della famiglia alberghiera possano tendere ad evitare investimenti che riducano i rischi e limitino sofferenze anche economiche in famiglia, questo deve cambiare, investire, anche poco è indispensabile per crescere nella propria attività, i punti fermi indicano una recessione, condividere i sacrifici affiata chi li affronta. Molti alberghi del nostro territorio hanno necessità di freschezza, di tecnologia, ma soprattutto di caratterizzazione, di piccoli elementi di stile, elementi artistici che possano suscitare emozione in chi li visita. In Italia quando i governi capiranno che la forza del paese può passare attraverso le piccole imprese famigliari, allora sì che realmente l’economia riparte in modo che non s’è mai visto. Per quanto mi riguarda mi ritengo fortunato ad avere il padre attivo in azienda, e da lui ho appreso che se mio nonno non ci avesse lasciato presto sarebbe stato tutto molto meglio. di Mario Pascucci – La lettera "Sorriso, qualità di cibo e vini. Bei locali" - “Mi avete chiamato. Se ascoltate la mia progettazione, sono convinto che lavorerete; diversamente non lo so”. La proprietà ha detto va bene. Oggi, l'”Osteria del Mare di Riccione” è uno dei ristoranti più gettonati della città. Tanta sicurezza appartiene a Giorgio Ciotti, progettista intelligente, con studio in uno dei posti più belli del mondo. Si trova a Gradara, in una chiesolina sconsacrata del 1500. Per permettere a sé e agli animi sensibili di apprezzare appieno la bellezza del tetto a carena di nave, ha utilizzato il plexiglas come solaio: bellissimo colpo d’occhio. Morcianese di origine, gradarese-gabiccese d’adozione, sposato, un figlio, passione vera per i prodotti enogastronomici marchigiani e romagnoli, Ciotti ha firmato locali di pregio: “Gradisca” a Cattolica, “Bel sit” e “Eden Rock” a Gabicce Monte, il “Blu In Cafè” e la “Scuderia” a Bologna (locale di proprietà dell’Università). Dalla sua matita sono usciti i tre ristoranti dei giochi olimpici di Torino, riservati ai dirigenti del Toroc, il comitato organizzatore. Il “Lab” di Senigallia, un american bar, forse, è quello che più gli ha dato soddisfazioni perché è stato raccontato dal Corriere della Sera: “ricco di charme e grande gusto”, fu il commento del prestigioso quotidiano. Al momento sta lavorando alla “Terrazza Marconi”, sempre a Senigallia, un altro locale di pregio. Da che cosa devono partire gli operatori turistici? “Il sorriso, sempre, è fondamentale. A questo va assolutamente aggiunta la professionalità, cioè la capacità di saper fare ristorazione, bar, albergo. La qualità di quello che si propone è fondamentale. Ricercare le materie prime eccellenti, per un consumatore sempre più preparato, è basilare”. Nella media come trova le nostre strutture: alberghi, bar, ristoranti? “Il nostro livello medio è da arretratezza; poi ci sono anche strutture qualificate. Il mio principio quando progetto è la massima semplicità, ponderare lo sforzo finanziario affinché l’attività possa creare reddito. E la semplicità è lo spirito fondamentale della nostra cultura. Poi cerco la funzionalità e incuriosire i clienti. Se tali ingredienti sono ben miscelati si ha il bel locale. Voglio anche aggiungere che non è assolutamente vero che per avere il bello bisogna spendere. L’importante è avere le idee e conoscere il giusto fornitore”. Lei progetta da anni e conosce bene le strutture della nostre città, come vede il futuro? “Sono ottimista. Dobbiamo soltanto rimboccarci le maniche e cambiare il modo di concepire il nostro turismo. Cambiato il modo di viverlo; è sufficiente rinnovare le strutture e puntare con forza sulla nostra enogastronomia. Tutte cose, ad esempio, che stanno già facendo i nostri cugini marchigiani nella zona di Ancona. Voglio portare un altro esempio. A Ripe, Anconetano, ho lavorato ad un agriturismo. Ha sette camere; ha puntato sul sorriso e la qualità ed è sempre pieno”. STATISTICA Alberghi, a Rimini il 40% in affitto – A Rimini il 40 per cento degli alberghi sono in affitto; un handicap per la ristrutturazione degli immobili. Spesso il proprietario non investe e l’affittuario neppure. La conseguenza è una decadenza lenta, sia negli spazi, sia nel mobilio. Molti alberghi, quanto a mobilio, perfino in prima linea, sono rimasti agli anni ’60. Mentre a Riccione, Bellaria, Cattolica e Misano la percentuale è più bassa. Spendiamo come Spagna, ma male Francia e - Massimo Gottifredi ha tutti i numeri in testa e li associa in modo intelligente: lo spunto, il significato e anche le conseguenze. Già assessore provinciale al Turismo, vicesindaco a Cattolica (mistero: perché non gli è mai stata assegnata la delega al turismo dal sindaco Pazzaglini che se la tiene ben stretta?), sarà il prossimo grande capo del turismo della Regione Emilia Romagna. Va a sostituire Giuseppe Chicchi, eletto deputato lo scorso aprile. Sposato, due figli, larga esperienza di lavoro in Spagna, ha una grande passione anche per l’enogastronomia e la sa trasmettere come leggerezza. Ad esempio portò l’intellettuale Marc Augé, ospite a Cattolica, per cibi nostrani, da innaffiare col Pinot Nero del San Bartolo (Gabicce Monte-Pesaro); a suo modo una “lezione” per un francese. Il turismo fieristico e congressuale cresce, è in crisi il balneare? “Il balneare è il fondamento anche per il fieristicocongressuale. Ne determina l’appeal e diventa un’attrattiva anche per chi viene qui per fare business. Il nostro turismo fieristico vale circa il 15 per cento delle presenze, ma molto di più come fatturato. Infatti, ogni presenza fieristica spende mediamente tra i 160 e i 170 euro al giorno, contro una spesa media del balneare di 50. Dunque, bisogna moltiplicare per 3,2. Guai, pertanto, se si lasciasse arretrare la vacanza legata alla spiaggia. Voglio portare un’altra riflessione. Oggi, c’è molta attenzione per le città d’arte, ma per il sistema Italia non può essere il tema unico. Il nostro grande numero di presenze è dovuto anche al mare e alla montagna”. I politici snobbano il turismo che vale il 12 per cento del nostro Pil, perché? “Sul turismo tra quello che dicono e quello che fanno c’è una bella differenza. Il politico pensa che il settore turistico non è decisivo per la nostra economia e che può marciare da solo; mentre a parole si dichiara l’esatto contrario. Non è un caso che la marca Italia non è promossa e non è valorizzata neppure come prodotti. E non è un caso che nei programmi elettorali del Polo e dell’Unione di turismo c’era poco e senza mordente. E questo è grave per un paese che deve recuperare quote di mercato”. Trent’anni fa eravamo la prima destinazione turistica mondiale, ora non più, perché “Ci manca la determinazione e la capacità di fare sistema quando serve. Ad esempio la Spagna è un paese dalle individualità molto spiccate, eppure quando è ora di mettersi d’accordo c’è una forte coesione. E loro hanno concretizzato il connubbio tra la politica dichiarata e quella realizzata. Un po’ come i francesi, che operano a livello centrale. E non è neppure un caso che a Bruxelles nel turismo nei posti chiave ci siano gli spagnoli”. Bisogna partire da un ministero del Turismo? “Non è necessario. Diciamo che il turismo deve entrare negli altri ministeri. Perché oltre che accoglienza, è prima di tutto infrastrutture, viabilità, bontà del territorio. E poi anche promozione. E sulla promozione vorrei sfatare il luogo comune che l’Italia investe poco. L’Italia ha un bilancio come quello francese, solo che non riusciamo a fare sistema. Il bilancio dell’Enit è pari a quanto la Francia investe per promuoversi in Italia; solo che dobbiamo aggiungere anche le spese dei nostri enti regionali, mentre oltralpe non è così. Riflessione: siamo incapaci di fare sistema”. Siamo competitivi come prezzi e servizi? “Complessivamente sì. Nel medio periodo, dovremmo reggere il confronto. Solo che oggi dobbiamo mettere le basi per esserlo anche tra 15 anni. Il turista è sempre più esigente; è impensabile continuare a coprire le auto con le lamiere. Dobbiamo elettrificare la mobilità, abbellire le nostre città e il tessuto troppo urbanizzato. Non si può arrivare tra 15 anni senza aver risolto i nostri problemi. Credo proprio che l’innovazione sia una condizione per la sopravvivenza, come per qualsiasi altra attività: e è meglio progettare quando le cose vanno che nella crisi”. Come andare a riprenderci il turismo straniero? “E’ una delle condizioni della nostra sopravvivenza. La loro presenza fa rango, prestigio. Diventare provinciali non è mai bello. E’ chiaro che bisogna continuare a investire sull’estero. E su questo giocano un ruolo forte i voli a basso costo. Solo per il fatto di averli, arrivano più turisti. Un po’ di soldi del pubblico vanno investiti per il trasporto low cost”. Vent'anni di promozione con risultati - Alle spalle vent’anni di promozione in Italia e in Europa, da solo. Un’esperienza che gli potrebbe permettere di scrivere un trattato. Da quest’anno è sui mercati insieme ad un amico. A Pasqua hanno riempito i due alberghi di famiglia, più un terzo in affitto. A giugno ne gestiranno un quarto, sempre in affitto. Giorgio Magi, una quarantina d’anni, è il titolare dell'”Aurora” a Misano Brasile. L’amico è Simone Migani, titolare del “Bristol”. Insieme hanno preso in affitto il “Perla” e il “Roxy”, sempre a Misano. Giorgio Magi: “Per Pasqua abbiamo detto di no ad alcune famiglie; eravamo pieni. E tutto questo grazie alle promozioni effettuate quest’inverno in Piemonte, Lombardia e all’estero: Belgio, Lussemburgo e Francia (Lorena e Alsazia)”. “Fuori – continua Magi – siamo andati con promozioni speciali per Pasqua e le feste primaverili e anche con una proposta per l’estate. In primavera ci si fa conoscere per poi concretizzare l’ospitalità per la vacanza di sole. Quest’inverno abbiamo investito molto in promozione. E la cosa che più mi ha sorpreso che in tanti, sia in PiemonteLombardia, e all’estero conoscessero Misano Adriatico. Io faccio promozione da una ventina d’anni da solo e in gruppo”. A chi gli chiede come si dovrebbe andare fuori, risponde: “Credo che, per ovvie ragioni di dispersione, sarebbe ottimale andare in 8-10 alberghi. Questo non vuol dire, beninteso, che l’associazione di categoria non possa fare delle cose tutti insieme”. Continua la sua riflessione Magi: “Il turismo è molto cambiato negli ultimi anni. Oggi, viviamo in un mondo di professionisti e dunque in nessun mestiere ci si può improvvisare. Ogni cosa deve essere organizzata a programmata nell’arco di alcuni anni. Il volontariato non può più esistere. Misano negli ultimi anni, grazie anche al lavoro dell’amministrazione pubblica, si veda il lungomare, è riuscita a caratterizzarsi. Inoltre, i tanti alberghi ristrutturati e con molti servizi, aria condizionata, Internet in ogni camera, telefono diretto, frigo-bar, casseforti, hanno aiutato”. Un ruolo forte, fondamentale, la può giocare la politica. Magi: “A chi gestisce la cosa pubblica chiediamo una forte collaborazione. L’Enit, il nostro ente del turismo, deve essere più presente alle fiere e lo deve essere con personale preparato. Spesso ho trovato addetti che nulla sapevano dell’Emilia Romagna e non avevano neppure il materiale della riviera romagnola. Sull’altro piano ci siamo anche noi albergatori, che abbiamo davanti a noi due scenari: chi continua deve investire nella struttura e in promozione; chi non se la sente di effettuare i necessari miglioramenti deve smettere”. “Inoltre – chiude Magi – ho notato sul campo e alle fiere che gli stranieri, nove su dieci, vogliono raggiungere la meta turistica in aereo. Mi sono trovato in fiera con Pescara e Caorle e i turisti facevano la fila ai loro banchi per prenotare solo perché nelle loro città arrivavano e voli delle compagnie aeree”. Voli, gli albergatori investono sulla Germania - Massimo Masini, presidente di Aeradria, la società che gestisce l’aeroporto di Rimini, ha compiuto una rivoluzione, vera. E’ riuscito a mettere insieme gli albergatori in una società Riviera di Rimini Promotions che attraverso un’operazione commerciale ha aperto tre tratte dalla Germania su Rimini, investendo 600.000 euro. E le cose stanno anche dando i frutti. Insomma, vale l’adagio contadino prima di raccogliere bisogna seminare. Con ordine. Masini argomenta: “Si è partiti da un’idea forte e semplice: coinvolgere coloro i quali governano il turismo. Così è nata Riviera di Rimini Promotion. In pratica è avvenuto questo. La società ha acquistato 6.000 posti, pagati 100 euro l’uno, che hanno consentito di aprire tre tratte estive dalla Germania (due, Monaco e Colonia) e una dalla Svizzera. I 6.000 biglietti equivalgono a metà aeroplano pieno, con il resto che deve essere venduto dalla compagnia e dalle agenzie. In compenso, l’albergatore offre tutto incluso al cliente, che risarcirà il biglietto con il conto dell’albergo”. Gli albergatori scettici affermano che al massimo, per tutta l’estate, si sarebbero venduti 1.500 biglietti. Invece, a metà aprile ne erano già andati 1.200. Massimo Vannucci, albergatore a Rimini, è l’amministratore delegato di Riviera Rimini di Promotions. Dice: “Siamo molto motivati. I nostri biglietti hanno fatto da scintilla ai voli; senza la nostra iniziativa non ci sarebbe stato nulla. Se le cose dovessero funzionare, come speriamo, nel 2007 cercheremo di effettuare voli da altre città tedesche. E poi tenteremo i nostri bacini storici, Olanda e Scandinavia. In parte la scommessa già l’abbiamo vinta; senza l’iniziativa saremmo svantaggiati rispetto alla concorrenza”. Se la vacanza turistica è raggiungere la mèta in aereo e a basso costo, i segnali sono buoni. Rispetto all’anno scorso ci sono più destinazioni e siglato accordi che dovrebbero dare i frutti. Nuovi voli Siglato accordo con la compagnia inglese low cost Easy Jet (leader del settore con Ryanair), che collegherà d’estate Londra a Rimini. Svizzera – Da maggio a ottobre, due voli settimanali low cost da Zurigo. Scandinavia – Voli settimanali da Copenhagen, Stoccolma, Oslo, Helsinki. Novità di quest’anno Bergen (Norvegia). Russia – D’inverno ci sono 5-6 voli settimanali, che diventano una dozzina d’estate. A Mosca e San Pietroburgo, si aggiungono le città di Rostok, Novisibirsk e Ekaterinburg. Economia in crescita forte quella russa, potrebbe dare grosse soddisfazioni. I voli invernali sono commerciali. I russi fanno incetta di firme dell’alta moda che rivendono in patria. UOMINI Riviera di Rimini, presiede la Baldelli – La rivoluzione tra gli albergatori si chiama Riviera di Rimini Promotions, la società che tenta di riportare i tedeschi a Rimini attrverso i voli aerei e che ha messo sul piatto 600.000 euro, acquistando 6.000 voli da rivendere ai clienti. Presidente Iliana Baldellli Amministratore delegato Massimo Vannucci Consiglieri Ennio Sanese, Antonio Carasso, Maurizio Ermeti, Maurizio Cecchini, Cesare Ciavatta, Fabrizio Agostini, Gasperini Turismo, il balneare è in crisi - Sempre meno turismo secchiello e paletta e sempre più fieristico e congressuale. Con gli stranieri che non ne vogliono sapere di affollare le nostre spiagge e gli italiani che continuano ad arrivare. Questa è la fotografia della stagione turistica 2005 consegnata alla riflessione degli addetti ai lavori e degli operatori chiamati a rimboccarsi le maniche perché sono finiti i tempi in cui bastava aprire porte e finestre per riempire. La frase fatta dell’abbondanza era “Perché, dove vuoi che vadano?”. Il fieristico e il congressuale producono quasi il 25 per cento delle presenze totali. La chiave di lettura è duplice. La positiva afferma che in ogni caso è sempre turismo e, in più, con una maggiore possibilità di spesa. La negativa è che, scorporando la cifra, il balneare, benché maturo, con sempre più concorrenti non riesce né ad essere competitivo, né a richiamare per altre ragioni. E che il pubblico ha investito, mentre il privato si ritrova con strutture vecchie e con poco appeal. Fieristico e congressuale uber alles (sopra tutto). Nel 2005 per la fiera sono giunti 1.044.897 visitatori, più 16,7 per cento rispetto al 2002. La Fiera di Rimini, ricavi propri per oltre 50 milioni di euro, genera movimenti per 500 milioni di euro sul territorio. Purtroppo sulla Fiera ci sono concorrenti tenaci all’orizzonte. Infatti, si sono perse il Festival del Fitness (finito a Firenze), che convogliava 375.000 visitatori e Disma (a Milano), circa 50.000 visitatori. Il numero degli incontri congressuali nel 2005 è cresciuto del 12,3 per cento sul 2004. Nei 3.339 congressi vi hanno partecipato in 684.290, capaci di sviluppare oltre un milione di presenze turistiche; più 2,1 per cento. Un consumato e bravo albergatore è Mario Tebaldi, Cattolica, fino a due anni fa anche assessore al ramo a Cattolica, riflette: “Cattolica e Misano sono lontane per ricevere i benefici del congressuale; dobbiamo fare con quel che abbiamo. Una soluzione è fare promozione insieme. Cattolica ha un buon appeal, ma andare in giro a dire chi siamo e cosa facciamo va sempre bene. Negli ultimi anni non è stata fatta promozione. Ogg il il turismo non si improvvisa, va comunicato. La gente sceglie prima l’Italia, poi la regione, dopo la città e infine l’albergo. Puoi avere anche le maniglie d’oro, ma se non c’è attrattiva nessuno viene. Chi va a gestire il turismo va là perché ha qualocsa in più o perché ha bisogno di mangiare? Io mi accontenterei che fosse 50 e 50. Due anni fa, Berlusconi promise 300 milioni di euro per il turismo. Ne arrivarono solo 30. Credo che la stagione 2006 non sarà peggio del 2005. Ci sono i mondiali di calcio e credo che giungeranno molti tedeschi; l’importante è avere i loro canali televisivi. In loro sta ritornando la fiducia, anche se stanno molto attenti alla spesa. Finora sono stati usati, adoperati”. Marco Giovannini, presidente degli albergatori di Riccione: “Il sistema alberghiero della provincia di Rimini è nella fase del cambiamento. Solo a Riccione negli ultimi 20 anni sono scomparsi 350 alberghi e chi resta sul mercato tende ad avere aperture più lunghe e non soltanto legate al sole. Credo che sia un fenomeno di crescita positiva il fieristico”. Quale stagione nel 2006? Giovannini: “I segnali di Pasqua dicono non male ma sottotono. Mentre nelle fiere alle quali abbiamo partecipato abbiamo questa sensazione: forte attenzione verso le nostre località. Perdiamo gli stranieri perché l’Italia fa poca promozione sui mercati esteri; l’internazionalizazione costa di più ma dà anche stabilità. Noi scontiamo la mancanza di collegamenti aerei. Quest’anno stiamo tornando ad essere al centro dei voli; 4 voli settimanali dalla Germania sono poco cosa contro gli 80 giornalieri per le Baleari, ma è un inizio”. Maurizio Cecchini, presidente degli albergatori di Cattolica, chiede provvedimenti dalle scelte politiche: “Vorremmo essere trattati allo stesso modo dei nostri concorrenti, francesi, spagnoli, portoghesi, altrimenti la competizione sul chi è più bravo ci fa partire con un handicap di 10 metri. Abbiamo un’Iva che ci penalizza di 5 punti. Noi abbiamo bisogno di un ministero del Turismo che non abbiamo, di un ente, l’Enit, che sia in grado di fare promozione in tutto il mondo. Invece, ha un bilancio di 21 milioni di euro, che è quanto spende la Francia per promuoversi in Italia; è la misura dell’insensibilità totale. Poi, vorremmo degli incentivi per rilanciare le nostre imprese. A livello nazionale l’impresa turistica è considerata da tutti la cenerentola. A roma si è sempre pensato che gli alberghi si potessero sostenere da soli. C’è una certa ignoranza che pensa che l’Italia sia solo Venezia, Firenze, Roma. Mentre per l’80 per cento il turismo è rappresentato da imprese in difficoltà. La legge sulle ristrutturazioni è stata completamente svuotata. Non abbiamo un ministero del Turismo; una mancanza che offende chi vuole fare impresa in questo settore. Insomma, basta con le parole, aspettiamo i fatti. Nelle arringhe televisive elettorali non si è parlato per un nano secondo di turismo. Invece, per restare a casa nostra, a Cattolica, attraverso il Piano strutturale, dobbiamo valorizzare l’ambiente, puntare ad una città giardino e liberare il centro dalle automobili. Qualsiasi altra forma di speculazione rischiamo di pagarla per sempre”. di Francesco Toti Tebaldi: “Cattolica e Misano sono lontane per ricevere i benefici del congressuale; dobbiamo fare con quel che abbiamo”. Giovannini: “Il nostro sistema alberghiero è nella fase del cambiamento. A Riccione negli ultimi 20 anni sono scomparsi 350 alberghi” I NUMERI I tedeschi valgono il 24 per cento – Delle quasi tre milioni di presenze straniere i tedeschi guidano la speciale classifica con il 24,5 per cento (meno 13 per cento rispetto al 2004). La loro economia si sta muovendo cosa che dovrebbe aiutare la riviera. Seguono: Francia 11,5 (-2%) Svizzera 11 (-5,5) Benelux 9,7 (7,7) Russia 8,5 (25,9) Scandinavia 5 (8,7) Regno Unito 4 (-9,5) Austria 3,8 (-7,4) Polonia 2,6 (12) Cecchini, presidente degli albergatori di Cattolica, chiede provvedimenti dalle scelte politiche: “Vorremmo essere trattati allo stesso modo dei nostri concorrenti, francesi, spagnoli, portoghesi”. IL FATTO Italia, in 30 anni da primi a quinti Veniamo dietro Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina – Nei primi anni settanta l’Italia era il primo paese turistico al mondo. Dopo 30 anni siamo scivolati al quinto posto. Tra il 1990 ed il 2004 il movimento turistico mondiale è passato da 450 a 750 milioni. Insomma, il turismo segue gli altri settori del Made in Italy: una decadenza lenta. Purtroppo all’orizzonte non si intravede neppure una politica seria. Cioè creare un ministero del Turismo, avere un Enit efficiente, dinamico e con le risorse per promuovere l’Italia nel mondo. L’Enit ha un bilancio di circa 25 milioni di euro, pari a quanto spende la Francia per farsi promozione in Italia. Quote di turismo mondiale: Francia: 9,9 per cento, Spagna: 7,1, Stati Uniti: 6,1, Cina: 5,5, Italia: 4,9. L’inchiesta continua, vedi tutti gli argomenti QUI