Banche-imprese: lo scontro,Cemento, tanto e brutto,Turismo

Transcript

Banche-imprese: lo scontro,Cemento, tanto e brutto,Turismo
Banche-imprese: lo scontro
- Le banche sono bravissime, quando c’è la pioggia (un’azienda
è in difficoltà) ti tolgono l’ombrello. Col sole (quando i
risultati hanno il vento in poppa) te ne offrono troppi di
ombrelli. Il luogo comune degli imprenditori per aprire una
riflessione tra chi presta danaro e chi lo va a prendere per
far crescere il benessere personale e quello della comunità
dove vive.
Tempestività nella risposta. Valore delle condizioni. Capire i
bisogni di chi fa impresa. Capacità decisionale. Avere lo
stesso interlocutore. E servizi innovativi. In ordine di
importanza, e con sorpresa, è cosa chiedono alle banche gli
imprenditori.
Alberto Brighi
Alberto Brighi, titolare di una bella azienda di stampaggio di
materie plastiche, presidente di Api (Associazione della
piccola e media industria della provincia di Rimini),
argomenta, con la sua solita verve da polemista pungente: “Il
mio rammarico è che le banche locali non riescono a mettersi
in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se non lo
dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere delle
opportunità a vantaggio delle grandi banche, seppur con tutti
i limiti che hanno questo verso la piccola e media impresa.
Intendo, che il sistema di valutazione delle banche è sempre
lo stesso; perché al loro interno non c’è l’organizzazione con
la capacità di vedere l’azienda come l’entità che produce
reddito. Voglio fare un esempio concreto. Un’impresa che non
innova, che non fa piani, che non tenta nuovi mercati, che non
fa formazione è vista allo stesso livello di chi fa
innovazione, produce piani di sviluppo, qualifica i propri
collaboratori e cerca di internazionalizzarsi. Questo
approccio non stimola l’innovazione del territorio e non si è
in grado di leggere i processi di cambiamento”.
“Questi temi – continua Brighi – li riporto in continuazione
quando mi capita di parlarne con i responsabili delle nostre
banche locali. Lo dico con apprensione e amarezza. Tutte
difficoltà registrate dagli imprenditori. Mi piacerebbe che i
piani di sviluppo su uno spazio temporale di 3-4 anni fossero
valutati, guardati. Invece, gli danno un’occhiata sì e no e si
vanno a soffermare sui capitali che possono essere messi a
garanzia del prestito”.
Brighi affonda la critica. Nelle banche abbiamo rappresentanze
non all’altezza del dinamismo del nostro territorio; non ci si
pone il problema di capire dove può andare questa provincia;
registriamo richieste e aspettiamo risposte che sono positive
se gli pare. Domanda: la cultura d’impresa, le innovazioni, la
formazione sono un valore per la banca o no? Insomma, noi
vogliamo banche locali differenti; che abbiano la capacità di
interagire col suo territorio. Le locali dovrebbero essere in
prima fila e non ci sono. E credo che negli ultimi anni tale
situazione sia anche peggiorata”.
Luigi Sartoni
Ad Alberto Brighi replica Luigi Sartoni, direttore generale
della Banca Popolare Valconca dal ’91. Argomenta: “La banca è
un’impresa che fa banca. La formazione, l’innovazione, il
libro dei sogni, i progetti, sono legittimi, ma non per questo
la banca, senza garanzie, li debba finanziare. Credo che per
tali scopo ci voglia un fondo pubblico, lo Stato, le Regioni,
le Province, oppure un consorzio privato. Non capisco per
quali ragioni la mia azienda debba finanziare le tue idee
senza garanzie. Possono essere splendide, ma non è il mio
ruolo. Tuttavia una banca locale come la nostra si pone delle
autoregolamentazioni, messe per iscritto nel nostro statuto,
tendenti a favorire le imprese del territorio, escludendo la
mera speculazione. La nostra attenzione verso le imprese, a
tutte le imprese, deve rispondere a un quadro di oggettività e
al fatto che il denaro prestato debba essere restituito”.
A chi gli chiede come valuta, a partecipazione bancaria al
capitale delle aziende private, risponde Sartoni: “Non le
vedo; dobbiamo essere terze rispetto alle imprese e viceversa:
le imprese terze rispetto alle banche. Fatto 100, il business
delle banche per metà è fatto dai risparmiatori (coloro i
quali portano i soldi), per un quarto di prestiti alle aziende
e per un quarto al privato consumatore. Si dice che gli
imprenditori debbano sedere nei consigli di amministrazione
degli istituti di credito, ma perché no i risparmiatori? Nelle
banche ci sono anche i rappresentanti degli imprenditori, ma
per un’esperienza dico che l’imprenditore è portato a vedere
tutto come un affare; mentre la banca dovrebbe avere gli
orizzonti più alti e di mira gli interessi generali. Noi banca
abbiamo sempre appoggiato gli interessi dei clienti anche al
di là dei numeri, purché verificato la correttezza, la serietà
e l’impegno personale. Sono più le imprese salvate, quando
dall’altra parte c’è un interlocutore affidabile. Si parla
spesso di confronti con l’estero. Negli stati Uniti i crediti
sono finalizzati rispetto alle cose per le quali si chiedono.
E se non paghi dopo 90 giorni sei sofferente e dopo 180 giorni
scattano le esecuzioni immobiliari. In Italia, in caso di
fallimento si rientra in possesso dei soldi dopo quasi 9 anni.
Insomma, i soldi di Sartoni me li posso giocare anche coi
cavalli, quelli che Sartoni amministra no”.
Manlio Maggioli
Manlio Maggioli, tra i maggiori imprenditori del Riminese,
presidente della Camera di Commercio. Argomenta: “In ogni
segmento di mercato ci sono gli operatori che si comportano
bene e altri un po’ meno e questo avviene anche nel mondo del
credito. La fotografia del credito del nostro territorio è
fatta da molte banche, nazionali e locali: le une sono
complementari alle altre. Le grandi assistono le medie e
grandi imprese; mentre le locali seguono le piccole e le
medie. Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo
danno col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse
stato la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è
avvenuto. Credo che gli imprenditori debbano saper improntare
un buono rapporto col mondo del credito: loro fanno i loro
interessi e noi i nostri; insomma, c’è un confronto continuo
ma questo fa parte del gioco del mercato”.
“Per entrare nel capitale delle imprese – continua Maggioli –
ci vogliono professionalità specifiche; pretendere che una
piccola banca entri nel capitale dell’impresa è più utopia che
concretezza: non ci sono gli estremi. Quanto alla
rappresentanza degli imprenditori nei consigli delle banche,
penso che siano discrete; un peso maggiore gioverebbe a noi e
a loro. Si può sempre fare meglio, ecco. Un buon imprenditore
deve dare fiducia alla banca, attraverso un curriculum serio,
una bella storia e idee chiare sullo sviluppo futuro: senza
avventure ma con coraggio”.
Alberto Martini
La replica arriva da Alberto Martini, direttore generale di
Banca Carim, arrivato a Rimini oltre cinque anni fa dopo
esperienze in Cariverona e nel Gruppo Banca Popolare di
Vicenza e già ‘riminese’ nel cuore e nel pensiero.
Dice: “E’ un luogo comune l’immagine della banca che concede
credito quando non se ne ha bisogno mentre lo nega nei momenti
di difficoltà. Un’azienda di credito, soprattutto se a
vocazione principalmente locale come Carim, mette in atto le
azioni a tutela dei propri crediti solo quando le situazioni
non hanno più prospettiva di evoluzione positiva e soprattutto
quando tra banca e cliente è venuto meno il rapporto di
fiducia. Non credo infatti che a Carim possa essere imputato
di aver abbandonato imprenditori in difficoltà, penso anzi che
si siano sempre cercate le soluzioni più idonee per uscire dai
momenti di crisi anche in presenza di un progressivo
disimpegno degli altri istituti di credito, perché il fine
ultimo della nostra banca è sempre quello di risolvere le
situazioni nell’interesse di tutti.
Va detto invece che la relazione banca/cliente, oggi più che
mai ed anche in adesione allo spirito di Basilea 2, deve
essere improntato alla massima trasparenza e fiducia
reciproca, con uno scambio continuo di notizie; solo
conoscendo appieno le realtà, e con ciò intendo i contesti, i
progetti, il management, i collaboratori, i consulenti
esterni, la banca può fornire un’assistenza adeguata e
professionale. E’ un po’ come il rapporto medico-paziente; per
formulare una precisa diagnosi e per prescrivere una buona
cura il medico deve conoscere tutto del paziente.
E le garanzie di capitali richieste alle imprese? Martini:
“Quando vengono presentate idee supportate da buoni piani
industriali e finanziari non esitiamo ad esaminarle con grande
attenzione e favore. Mi piace ricordare, al proposito, che
Carim è uno sponsor convinto della bella iniziativa ‘Nuove
idee, nuove imprese’ e che molte delle attività che abbiamo
assistito nella fase di ‘start up’ sono oggi delle realtà
pienamente affermate. Certo non nascondo la difficoltà nel
valutare iniziative in settori nuovi o quando non c’è
conoscenza della storia del soggetto economico di riferimento.
Bisogna sempre tenere presente che la banca è un
intermediario: le somme che noi prestiamo sono quelle che ci
sono state affidate per la custodia e l’amministrazione da
clienti verso i quali è nostro preciso dovere operare con
oculatezza ed attenzione.”
“Quanto poi all’ingresso di una banca nel capitale delle
imprese, voglio ricordare che esistono istituzioni create ad
hoc, quali le merchant bank. Peraltro anche queste ultime
incontrano difficoltà nel sostenere i progetti industriali a
loro sottoposti; anche Carim si avvale della collaborazione di
merchant bank e negli ultimi 5 anni ha valutato numerose
proposte: nessuna di queste è andata a buon fine. Questo
perché anche la mentalità degli imprenditori deve cambiare;
bisogna abbandonare il concetto di ‘gestione familiare’ ed
approcciare concetti più manageriali. Ancora oggi gli
imprenditori accettano con grande difficoltà l’idea che chi
finanzia il capitale dell’azienda ha poi il diritto, ed anche
il dovere, di prendere parte attivamente alla vita della
società occupandosi anche della sua amministrazione e
direzione. Nonostante ciò, sono convinto che molte aziende
della provincia, peraltro assai ricca di belle realtà
imprenditoriali, potrebbero affacciarsi, già ora, al mercato
borsistico”.
Marco Celli
Marco Celli, titolare di Cem Industrie (impianti per
spillatura), presidente di Cna Piccola Industria, a suo modo è
un rivoluzionario. Dice: “Lo scorso aprile ho presentato il
nostro Piano di sviluppo industriale alle banche del nostro
territorio. Le ho invitate in azienda; l’ho fatta visitare ed
illustrato dove vogliamo andare nei prossimi anni, senza
dimenticare il come. E’ stato molto positivo. Al di là del mio
caso personale, più in generale agli istituti di credito si
chiede un salto di qualità e di mentalità. Di essere più
elastiche e non limitarsi a prestatori di danaro, come
avveniva un tempo e avviene ancora oggi. Ci devono affiancare
con i finanziamenti in progetti concreti e realistici, magari
anche entrando nel capitale. Per una corretta valutazione
delle imprese, si devono dotare di strutture capaci di ben
valutare che cosa viene loro richiesto. Fuori, in economie più
mature, già questo avviene. Sono del parere che gli accordi di
Basilea 2 possano aiutare sia gli imprenditori, sia le banche,
a dissipare le ragioni e i dubbi delle due parti. In concreto:
ci sarà un po’ di pulizia di mercato. Le banche hanno ragione
a diffidare degli imprenditori furbi, ma attente ‘indagini’
facilmente li possono smascherare. Penso che gli imprenditori
nei consigli di amministrazione degli istitui bancari possano
essere da stimolo”.
Adriano Aureli
Adriano Aureli, uno dei titolari dell’Scm, 500 milioni di euro
di fatturato, presidente di Confindustria Rimini: “Come
industriali chiediamo alle banche professionalità, competenza
e supporto alla crescita delle aziende.
Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad
oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato
delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come
avviene negli Usa e in molti altri paesi. Ci auguriamo che nel
futuro, come lasciano sperare anche le linee tracciate da
Basilea2, la tendenza s’inverta; in questo modo si creeranno?
più occasioni di sviluppo per l’economia.
Quanto dell’ingresso nel capitale della piccola e media
impresa da parte delle banche, il giudizio è positivo. Ritengo
si tratti di un segno che va nella direzione della crescita
del tessuto economico, sia dal punto di vista delle imprese
che delle banche. Si tratta di uno strumento che permette alle
aziende di crescere, consolidarsi ed internazionalizzarsi”.?
“Il mio rammarico è che le banche locali non riescono a
mettersi in sintonia con le imprese del nostro territorio. Se
non lo dovessero fare nei prossimi anni, potrebbero perdere
delle opportunità a vantaggio delle grandi banche”
Alberto Brighi
“Circa la leggenda metropolitana dell’ombrello che te lo danno
col sole e che lo tolgono con la pioggia; se così fosse stato
la nostra economia non si sarebbe sviluppata così come è
avvenuto”
Manlio Maggioli
“Le banche italiane, per un loro fattore strutturale, fino ad
oggi sono state propense a valutare le aziende più dal lato
delle garanzie che dal punto di vista dei progetti, come
avviene negli Usa e in molti altri paesi”
Adriano Aureli
“La banca è un’impresa che fa banca. La formazione,
l’innovazione, il libro dei sogni, i progetti, sono legittimi,
ma non per questo la banca, senza garanzie, li debba
finanziare. Credo che per tali scopo ci voglia un fondo
pubblico”.
Luigi Sartoni
“La restituzione. Si agisce quando non c’è più nulla da fare,
quando oramai non c’è più nessun rapporto fiduciario e di
credito. Quando l’azienda non ha più nessun futuro”
Alberto Martini
“Lo scorso aprile ho presentato il nostro Piano di
industriale alle banche del nostro territorio. Le ho
in azienda; l’ho fatta visitare ed illustrato dove
andare nei prossimi anni, senza dimenticare il come.
molto positivo”
Marco Celli
sviluppo
invitate
vogliamo
E’ stato
Banche locali, sono rimaste in sei
La prima a nascere fu la Cassa di Risparmio di Rimini nel
1840.
Poi, nelle canoniche, seguirono le Rurali e le Banche Popolari
Scopo: combattere l’usura
UN PO’ DI STORIA
– Nel Riminese sono sopravvissute 6 banche locali: la Cassa di
Risparmio di Rimini, la Banca Popolare Valconca e 4 casse
rurali: Banca di Credito Cooperativo di Gradara, la Banca
Valmarecchia, Banca di Rimini e Banca Malatestiana.
Carim
La prima ad essere fondata, su spinta del papa Gregorio XVI,
fu la Carim il 5 agosto del 1840 con un capitale di 2.000
scudi, ripartito in 100 azioni da 20 scudi ciascuna. Vi
partecipò la parte più illuminata della società civile
riminese, con lo scopo di “promuovere lo spirito di previdenza
tra le classi più umili come mezzo di riscatto sociale”. Da
allora l’attività della Carim si è intrecciata a tutti gli
avvenimenti economici più significativi della città. Dopo il
1920, inizia l’espansione nel territorio provinciale. La prima
filiale è a Sant’Arcangelo di Romagna. Seguirono Verucchio nel
’22, con l’assorbimento della locale Cassa di Risparmio,
Riccione nel ’23 e, via via negli anni successivi, Morciano,
Coriano, Cattolica, Bellaria, Miramare, Viserba, San Giovanni
in Marignano, Montescudo. Oggi la Carim ha dimensioni
interregionali e copre 6 regioni (Emilia Romagna, Marche,
Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise). Il suo capitale sociale è
controllato per oltre il 70% dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Rimini, dove sono presenti gli “eredi” dei primi
100 soci.
Banca Popolare Valconca
– Antonio Ciuffoli (commerciante di granaglie), Carlo Forlani
(commerciante di cocci e terraglie morcianese), Giuseppe
Mancini (tabaccaio morcianese), Marino Vanni (agricoltore
morcianese), Donato Grassi (proprietario terriero di
Montefiore), Filippo Vannucci (commerciante di Coriano), Sante
Garuffi (agricoltore di Pianventena) insieme a 5 parroci
capitanati da quello di Morciano, Alessandro Ceccarelli,
davanti al notaio Alfredo Nanni di San Giovanni il 13 agosto
del 1910 fondano la Banca Cooperativa Morcianese: quella che
diventerà la Banca Popolare Valconca. Lo scopo si legge
nell’articolo 2 dello Statuto: “…la banca ha il fine di
raccogliere i piccoli risparmi degli operai, agricoltori e
commercianti, renderli fruttiferi e fare sovvenzioni, allo
scopo di promuovere il miglioramento morale ed economico…”. Il
capitale sociale era di 5.000 lire e fu sottoscritto da 48
soci. Il primo direttore generale fu don Alessandro
Ceccarelli. Mentre la prima presidenza è affidata a Marino
Vanni. La sede è presso la casa del parroco di Morciano. E lì
restò fino a dopo la Prima guerra mondiale. Quando fu preso in
affitto un locale in via Marconi. Nel 1924, inaugurazione il
29 marzo, ha la propria sede: nel palazzo dove oggi si trova
la filiale di Morciano.
Gli anni passano. La Banca si rafforza. Si allarga. Nel 1948
acquisisce la Banca Cooperativa di Saludecio. Mentre nel 1958
c’è la fusione con la Banca Cooperativa di Mondaino ed il
cambio del nome: Banca Popolare Valconca.
Banca di Gradara
La scintilla che accese i destini della Cassa di Gradara
potrebbe ispirare le storie di Andrea Camilleri. “Cerca di non
dare nell’occhio… avvicina Gabaren, el Ross, Mingaron e Badil
e dì loro di passare parola agli altri… di venire… ma alla
spicciolata… questa sera alla Benedizione, nel Coro,. dietro
l’altare. Terminata la Funzione attardatevi, e quando la gente
si è alzata e via ha voltato le spalle per uscire, voi tutti,
sempre con calma e indifferenza, attraverso la porticina del
coro, salite in cucina dove non tarderò a raggiungervi per
mettervi al corrente della ultime decise novità; quello che mi
raccomando è di non dare nell’occhio: una indiscrezione, un
passo falso, potrebbero mandare all’aria i nostri piani…”.
“Così, o quasi, don Raffaele disse sottovoce a Valeriano, il
sagrestano che gli aveva appena servito Messa. Il colloquio si
svolse, come si dice, alla chetichella nella sagrestia della
chiesa di Santa Sofia, entro le mura della Terra di Gradara in
quel lontano 8 dicembre 1910, festa della Madonna”. Le memorie
sono di Delio Bischi, veterinario, nonché storico di Gradara e
non solo.
Banca Valmarecchia
Sede a Corpolò, la Banca di Credito Cooperativo Valmarecchia
Venne fondata nel 1972 dall’unione delle casse rurali di
Vergiano di Rimini, Corpolò e Villa Verucchio. La prima radice
è nella canonica di Vergiano nel 1906.
Banca di Rimini
Nasce nel 1921 come Cassa Rurale Interparrocchiale di S.
Fortunato, S. Andrea dell’Ausa e S. Gaudenzo di Rimini a
sostegno dei più poveri e bisognosi. Oggi come ieri, la Banca,
con i suoi 15 sportelli, è un sicuro punto di riferimento
della provincia di Rimini ed i dati di bilancio ne confermano
il suo radicamento nel tessuto sociale ed economico.
Banca Malatestiana
Nasce dalla fusione, il 1° ottobre del 2002, di due banche di
credito cooperativo: la San Vito e Santa Giustina (fondata nel
1914) e quella di Ospedaletto (1917). Entrambe erano sorte
negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale,
sulla spinta dell’azione sociale della Chiesa promossa dalla
Rerum Novarum.
Vanzini: banca, impresa, banca
Lavorato al Rolo. Poi direttore generale all’Aeffe. Infine,
nel consiglio di amministrazione di Bpv e Carim
Conoscitore sia delle logiche di chi fa banca, sia
dell’imprenditore. Quando lavorava nell’istituto di credito
prima dell’affidamento visitava l’azienda per cercare di
capire. Gli prestarono con una telefonata, dalla sera alla
mattina, 50 milioni di euro
L’INTERVISTA
– Questa bella testimonianza del rapporto tra banca e impresa
è stata pubblicata la scorsa primavera in Cna Piccola
Industria Magazine della provincia di Rimini. Gianfranco
Vanzini da giovane ha lavorato al Rolo. Poi è stato direttore
generale dell’Aeffe (alta moda). Prima ha fatto parte del
consiglio di amministarzione della Banca Popolare Valconca.
Oggi, invece, siede nel consiglio d’amministrazione della
Cassa di Risparmio di Rimini.
– Dirigente di banca. Dirigente di azienda. Di nuovo
consigliere di banca. Gianfranco Vanzini è uno dei maggiori
esperti di cose economiche nella provincia di Rimini e non
solo. Venticinque anni fa venne chiamato alla direzione
generale dell’Aeffe (Alberta Ferretti). Allora l’azienda
fatturava pochi milioni di euro; quando l’ha lasciata i ricavi
erano di alcune centinaia di milioni (marchi: Alberta
ferretti, Moschino, Pollini, Velmar). Si dice che gli abbiano
concesso un credito di 100 miliardi in un quarto d’ora: sulla
parola.
Ha molte carte in regola per riflettere ed argomentare. Prima
di approdare nell’alta moda, lavorava al Rolo: banche. La sua
carriera: direttore di filiale a Cattolica e direttore del
portafoglio a Cesena e Reggio Emilia; con facoltà di
concessione di mutui e prestiti. Oggi, siede nel consiglio di
amministrazione della Carim. Sposato, tre figli, cattolico da
Dieci Comandamenti, a chi gli chiede il segreto della vita,
risponde: “Rispettare gli altri e dire la verità in faccia,
senza paura e con educazione. L’arma vincente, oltre alla
professionalità, è il buon senso”.
Dicono che seppur impegnato trovasse tempo anche per ricevere
dei giovanotti un po’ invadenti. Uno di costoro passava
davanti l’azienda, chiedeva di Vanzini. Si beveva sempre il
caffè e si facevano quattro chiacchiere. Buone letture e vis
polemica aperta: quasi fino al litigio, sempre con
argomentazioni, le sue caratteristiche. Con stretta di mano
finale. Ecco la sua riflessione.
“Mi sono trovato a decidere molto più di oggi; a noi del
consiglio della Carim le pratiche di fido giungono già con i
pareri positivi e negativi. Poi bisogna dire un sì ed un no
finale. Quando dovevo decidere io usavo una serie di piccoli
accorgimenti. Andavo sempre a visitare l’azienda alla quale
dovevo rilasciare mutui ed affidamenti. Oltre, alle carte, ero
curioso di vedere che cosa producessero e come lo facessero.
E’ stato un momento di grande esperienza: imparato un sacco di
cose.
Ritengo che si imponga la fiducia tra imprese e banche. Chi
chiede il denaro deve dare all’istituto di credito tutte le
informazioni. La banca deve valutare l’attendibilità e
decidere se è affidabile, oppure no. Se l’impresa non è
affidabile, va instaurato un dialogo. Nel caso in cui il
progetto è buono, e mancano i soldi, ci vogliono le garanzie;
per la ragione che il danaro è dei clienti.
Credo che anche gli ombrelli da sole, dare i soldi quando non
servono, siano comunque utili e meno urgenti di quelli da
pioggia. Spesso oltre all’ombrello sufficiente, alle imprese
servirebbe una ristrutturazione robusta ed un aumento di
capitale.
Noi abbiamo un malvezzo. L’imprenditore italiano tende a
nascondere i suoi beni e spesso utilizza i beni dell’aziende a
titolo personale; credo che sia un retaggio storico. Tale
andazzo rende le nostre imprese poco patrimonializzate e un
po’ asfittiche. Nove volte su dieci avviene che se
l’imprenditore vuole i soldi, gli viene chiesto di essere il
primo a rischiare ed a credere in se stesso.
Altro punto sono le merchant bank, le banche d’affari, che
sono sul mercato per guadagnare. In genere la banca d’affari,
crede all’idea, entra in azienda, spesso comanda, la
capitalizza. Da piccola ed inefficiente, la fanno diventare
media e ben organizzata. Infine, si vende. Ma questa
riflessione è facile da fare sulla carta, ma difficile da
concretizzare. Credo che la banca d’affari abbia un ruolo
forte quando l’azienda ha solo esigenze finanziarie, dovuta
alla cosiddetta crisi di crescita. Invece, se l’azienda è un
malato grave, tutto è di difficile soluzione, anche per una
banca di affari. Conclusione chiara per entrambe: banche ed
imprese si devono reciprocamente stimare. E cercare di
collaborare, ognuno col proprio ruolo, al meglio”.
Cemento, tanto e brutto
di Francesco Toti
– Il troppo e brutto cemento sparso nei 20 comuni della
provincia di Rimini negli ultimi 20 anni sono una delle
civiltà che lasceremo in eredità. Sull’argomento è scesa in
campo anche la curia riminese, con sonore bordate contro le
scelte della politica. La portata di tanto grigiume la si può
ammirare dall’alto; senza contare tutte le implicazioni
sociali (il posto brutto abbruttisce la mente) ed economiche
(il costruito è nelle solide mani della cosiddetta
speculazione) che fa lievitare i prezzi costringendo il
cittadino a lasciare in eredità al figlio oltre alle quattro
mura anche il relativo mutuo. Si pone la domanda: di chi la
colpa? Si è chiesto ad alcuni prestigiosi architetti della
provincia come mai si costruisce tanto e brutto. Che cosa fare
per limare questo motivo di fondo di questo particolare
periodo della storia locale.
Nello speciale forum: Maurizio Castelvetro (Cattolica),
Augusto Bacchiani (Riccione), Davide Uva (Morciano),
Gianfranco Giovagnoli (Rimini), Euro Maioli (Misano), Giovanna
Mulazzani (Gabicce Mare).
Giovanna Mulazzani, architetto in Gabicce Mare: “Amplierei il
concetto ad una realtà sovra localistica in quanto del bel
‘costruire’ si sono perse le tracce anche nel resto del nostro
territorio e sempre di più le esperienze di edifici, piani
urbanistici e particolareggiati che caratterizzano il
paesaggio per la loro qualità, sono esempi unici che il più
delle volte non riescono a fare scuola.
Diventano parti di città o di quartiere anomale rispetto alla
bassa qualità dilagante. Esempi da pubblicare su Casabella!
Da noi, nella nostra provincia, il regime dei suoli è
governato principalmente dalla rendita che si trasforma poi in
principio generatore di moltissimi progetti o parti di città e
questa non è quasi mai compatibile con la qualità del
progetto.
La cultura progettuale è cambiata da quando alcuni
imprenditori hanno visto che l’investimernto immobiliare è di
facile e veloce guadagno; che la richiesta di alloggi è da
anni la forma di investimento principale dei risparmi.
Ma come ho specificato all’inizio questo non è un problema
solo nostro.
Da noi però, essendo le rendite di posizione molto elevate,
gli interessi in ballo sono proporzionali e quindi il fenomeno
è molto evidente.
Quali conseguenze sulla nostra vita?
Credo conseguenze importanti soprattutto per i lavoratori del
settore come i professionisti che devono rispondere ad
esigenze lontane dalla qualità del progetto.
Una nuova cultura dovrebbe essere
quella
della
ecosostenibilità di cui tanto si parla ma poco si applica;
cultura che considera il paesaggio come patrimonio collettivo
che può produrre ricchezza (penso a certe esperienze della
Toscana) senza il massimo sfruttamento.
Un concetto che vorrei qui sottolineare a cui penso sempre di
più nello svolgimento della mia professione, è quello della
‘voglia di lentezza’.
Nelle lezioni americane Calvino ha introdotto questo concetto
come non più appartenente alla cultura moderna e di cui però
sentiamo la necessità.
La lentezza dei ritmi comporta soprattutto la possibilità di
soffermarsi a pensare e anche, perché no, a modificare un
progetto che non ci piace.
Significa poter indugiare sulle immagini che possono essere
trasferite nel progetto mediante un processo di confronto con
la committenza con la speranza che una nuova cultura si
ingeneri.
Ma questo è un lusso che non è oggi consentito a nessuno,
mentre io credo che questa sarebbe la vera rivoluzione”.
Franco Vico, architetto in Cattolica: “Non credo che si stia
costruendo troppo e male, credo invece che troppo spesso le
nuove costruzioni siano carenti di una reale qualità; le città
della nostra costa, ad esclusione di Rimini, godono ancora di
un’età relativamente giovane: non hanno subito quel lento
processo di aggregazione e stratificazione per giungere sino a
noi, né hanno una tradizione culturale del costruire legata al
luogo che avrebbe potuto indicare una strada compositiva.
Le responsabilità
Vorrei sottolineare come alla definizione dello spazio di una
città concorrano tanto i pieni dei fabbricati quanto i vuoti
urbani, e che nella formazione e percezione dello spazio
urbano assumono notevole importanze anche gli arredi, gli
spazi pubblicitari, l’illuminazione pubblica, il verde ecc..
Questo significa che le responsabilità vanno suddivise.
Da una parte la politica: l’errore probabilmente è stato
quello di normare, attraverso i vari strumenti urbanistici,
una continua estensione della ‘periferia’ che si è allargata
senza soluzione di continuità lungo tutta la costa e
all’interno, senza ipotizzare punti di aggregazione in cui
ricreare nuovi effetti di centralità urbana; è come se le
pubbliche amministrazioni avessero abbassato la guardia nel
perseguire la più desiderabile qualità della città e degli
interessi collettivi. Si è persa insomma, da parte politica,
‘l’arte del costruire la città’.
Dall’altra parte la sfera tecnica: sono indubbie le
responsabilità di noi progettisti (tutti inclusi), del
decadimento della qualità dovuta alla propensione alla routine
e soprattutto alla ricerca empatica del consenso di una
committenza che, d’altra parte, rimane sempre più votata al
massimo profitto – preferendo stilemi e progetti per i quali
l’obiettivo primario sia il raggiungimento del massimo di
edificabilità con la minima spesa, allontanandosi così dai
bisogni reali di qualità dell’abitare.
La verità è che in questo modo, nella definizione del prodotto
finale, entrano in gioco con prepotenza troppi elementi che
relegano in fondo alla classifica le qualificazioni estetiche
e qualitative, troppo spesso considerate superflue, ma che in
realtà costituiscono il primo livello di percezione di uno
spazio, e dalle quali dipende il grado di sfruttamento e
godimento dello stesso.
Le conseguenze
Le nostre cittadine non sono brutte o degradate, sono
incoerenti e frammentate.
Le conseguenze di tale frammentarietà potrebbero a mio avviso
portare al decadimento e all’incuria, sia nella sfera privata
che in quella pubblica; le ripercussioni sono ovviamente a
discapito dei cittadini.
La conseguenza estrema
è
la
perdita
dell’identità
di
appartenenza.
Ma senza estremizzare, è ormai conoscenza diffusa che la
‘frequentazione’ del brutto è sicuramente mancanza di stimolo
per la mente e conseguente mancanza di crescita; va inoltre
considerato che questo andrà a costituire insegnamento e
quindi base culturale per le generazioni future.
Da un punto di vista meramente economico poi, non sempre una
minor qualità significa abbattimento dei costi, perché il
costo di un edificio, o comunque di un intervento edilizio in
genere, compresi gli arredamenti, va calcolato su tutto il
periodo di vita dell’intervento e in base alla rispondenze di
questo alle esigenze per cui viene realizzato.
In realtà le possibili conseguenze di una cattiva
progettazione o pianificazione sono estremamente estese e
vanno considerati sia gli aspetti economici, quelli estetici e
se vogliamo psicologici, ma anche quelli di rispetto e
valorizzazione del patrimonio culturale, sociale, e naturale
che nelle nostre città costituiscono ricchezza principale più
che in altre zone; proprio perché terra di turismo che
dell’accoglienza fisica fa la propria ragion d’essere.
Che cosa fare per invertire tale tendenza?
Innanzi tutto a livello ‘estensivo': credo che la
consapevolezza e l’orgoglio di far parte integrante di una
comunità dovrebbe spingere la volontà di controllo su tutto
ciò che di questa società ha funzione rappresentativa, in modo
particolare quindi l’ambiente e gli spazi in cui questa
società si muove e opera.
Poi a livello ‘intensivo': semplicemente insegnando ad
apprezzare le cose belle e che la qualità della vita di ognuno
dipende in grandissima parte dalla qualità del mondo in cui
ognuno di noi si muove, e che tale qualità complessiva è
frutto della qualità di ogni singola azione e oggetto.
Del resto credo che la comunità abbia già in potenza la
capacità di trovare e sviluppare le soluzioni più adeguate,
ovviamente il mezzo deve essere l’esercizio attento e corretto
dell’architettura in tutte le sue molteplici applicazioni.
Abbiamo comunque buone opportunità per creare centri di
eccellenza che possano stimolare il dibattito e il confronto;
penso alle numerose aree su cui sarebbe possibile intervenire,
magari in piena libertà creativa, realizzando elementi di
grande carattere urbano generatori di nuove esperienze e
magari di nuovi riferimenti.
Infine, non trascurerei affatto la funzione che svolge il
tempo e che molti annoverano come l’unico vero architetto”.
Gianfranco Giovagnoli, architetto in Rimini: “L’elevata
densità insediativa, la forte occupazione del suolo, il
degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche
urbanistiche e territoriali incentrate nei decenni passati
sulla crescita esponenziale indefinita. Un modello, governato
dal mercato e dalla rendita immobiliare e finanziaria, che ha
consentito il raggiungimento di un acritico “benessere
diffuso”, senza misurarsi sul depauperamento delle risorse
ambientali e naturali, sulla qualità di vita dei cittadini,
sulla qualità dell’ambiente urbano.
Ci troviamo di fronte ad una crisi della politica che ha
saputo solo assecondare istanze provenienti da alcune parti
forti della società locale finalizzate a politiche di
crescita, invece di promuovere politiche di sviluppo
incentrate sulla sostenibilità come interesse di tutta la
collettività locale. I progettisti hanno rappresentato, ma
rappresentano ancora, figure appiattite solamente sulla
ricerca di incarichi, senza esprimere importanti contributi
progettuali in qualità di esperti nella costruzione della
città.
La forte densità insediativa costiera e dei territori
intravallivi (l’occupazione del suolo dal dopoguerra ad oggi
cresce circa del 500%, la densità edilizia sulla fascia
costiera è nel 2005 di 1.074 ab/Kmq.) costituisce una
fortissima pressione sul territorio e sull’ambiente. Oggi le
città della nostra provincia presentano elevate emissioni di
inquinanti e sostanze nocive in atmosfera, elevati livelli di
inquinamento da rumori, elevata produzione di rifiuti,
scadente qualità ambientale delle acque superficiali, perdita
di biodiversità, consumi energetici rilevantissimi. Ciò non
può non ripercuotersi anche sulle condizioni sociali e di
salute dei cittadini.
Assumere consapevolezza che la crescita economica non
rappresenta più un indicatore del benessere di una società,
potrebbe favorire la promozione di un nuovo modello di
sviluppo basato sulla sostenibilità, sulla riduzione della
nostra impronta ecologica, su processi partecipativi che
coinvolgano nelle decisioni tutti i cittadini. I temi
imprescindibili, da affrontare oggi, per una riqualificazione
del territorio provinciale sono la ricostituzione degli
ecostitemi naturali, l’arresto immediato di ulteriore
occupazione del suolo, il decongestionamento edilizio delle
città costiere e la ricostituzione di un patrimonio di aree
libere verdi, la riorganizzazione del ciclo delle acque, la
riduzione e il recupero dei rifiuti, la riduzione delle
emissioni di CO2 e il ricorso a fonti energetiche
rinnovabili”.
Davide Uva, architetto in Morciano: “Vorrei partire da un
discorso di natura prettamente economica, per poi approdare a
considerazioni architettoniche, ambientali e territoriali.
Nella fase di stagnazione che negli ultimi anni ha
caratterizzato l’economia del nostro paese, il settore delle
costruzioni ha mostrato dinamiche fortemente espansive.
L’attenzione degli investitori per le costruzioni ed il
mercato immobiliare risale alla fine degli anni ’90 e
beneficia della fase espansiva dei mercati borsistici e
dell’euforia dei guadagni facili che l’avevano alimentata. In
seguito lo scoppio della bolla speculativa della “neweconomy”, avvenuta nel 2000, e la costante riduzione dei tassi
di interesse bancari, hanno favorito quella che vorrei
definire ‘febbre’ del mattone. La debolezza delle alternative
di investimento in termini di remunerazione del capitale e
l’incertezza di un clima economico e politico, nazionale ed
internazionale, hanno portato le famiglie e gli investitori a
perseguire l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni
abitative e patrimoniali immobiliari.
Gli effetti di questo complesso e nuovo interesse al
‘mattone’, all’investimento edilizio, si sono concretizzati in
un incremento sorprendente, nel giro di pochi anni, delle
compravendite e dei prezzi dei prodotti immobiliari, sino a
raggiungere nel nostro paese livelli mai toccati in passato.
Il boom dei prezzi immobiliari ha raggiunto tali livelli di
guardia tanto da far pensare sempre più ad una nuova e
pericolosa bolla speculativa. Dovrei specificare inoltre che
l’incremento degli scambi e soprattutto dei prezzi del mercato
immobiliare non è solamente un fenomeno italiano, ma un
fenomeno che ha interessato l’insieme dei paesi
industrializzati.
Fatte queste precisazioni dovremmo analizzare se tutto questo
‘fervore’ e ‘operosità’ edilizia abbiano prodotto realmente
migliori condizioni abitative, migliori servizi e
infrastrutture, e quindi migliori qualità della vita e qualità
architettonica.
Di fronte a realizzazioni riuscite, abbiamo assistito, troppo
spesso, a scelte deludenti e ad un uso poco corretto del
territorio con insediamenti di natura intensiva, anche in
situazioni sensibili dal punto di vista ambientale. Abbiamo
assistito, troppo spesso, ad opere incongrue, a costruzioni
dalla dubbia qualità architettonica e funzionale non
riconoscibili per idealità, originalità, estetica, cultura ed
innovazione.
Si dovrebbe, a mio avviso, instaurare un organico sistema di
rapporti in cui realtà pubbliche e private, enti locali e
istituzioni interagissero per il bene comune, per la crescita
culturale e qualitativa della collettività. Occorrerebbe
inoltre una classe politica preparata e di qualità che fosse
dotata delle competenze necessarie.
Troppo spesso in passato sono state fatte scelte che hanno
compromesso definitivamente larghe parti del territorio.
Scendendo nel dettaglio della nostra realtà locale,
soprattutto quella costiera, come non menzionare tutto ciò che
è avvenuto negli anni sessanta, uno sviluppo disomogeneo ed
arbitrario frutto di errate politiche urbanistiche, uno
‘scempio’ architettonico ed un uso indiscriminato del
territorio tanto che oggi è stato coniato un nuovo termine:
‘riminizzazione’, che è già entrato nel vocabolario
collettivo, inteso in senso dispregiativo, per indicare un
modello di sviluppo selvaggio e senza regole.
Ed è anche vero che spesso certe realizzazioni sono frutto di
scelte avvenute da parte di una committenza miope, non
preparata, che ha sempre anteposto e privilegiato i piccoli
interessi di ‘bottega’ a scelte più ardite, più innovative ed
edificanti.
Non meno responsabilità hanno i progettisti che, stretti nella
morsa committenza – norme burocratiche, hanno spesso favorito
opere dalla cui lettura si evince che l’aspetto fondamentale,
architettonico ed ambientale, è passato spesso in secondo
piano.
Va menzionato inoltre che fra questi, soprattutto in passato,
il dibattito e la progettazione architettonica è stata portata
avanti da figure professionali anomale, prive di quelle
conoscenze e specializzazioni specifiche.
Frank Lloyd Wright sosteneva, già quasi un secolo fa: ‘Io
dichiaro che è giunta per l’architettura l’ora di riconoscere
la sua natura, di comprendere che essa deriva dalla vita e ha
per scopo la vita come oggi la viviamo, di essere quindi una
cosa intensamente umana’.
Quindi non più spazi,forme architettoniche, funzioni,
decorazioni slegate dalla vita, ma tutto strettamente connesso
ad essa.
Una vita intesa nel senso più pieno del termine: naturale e
spirituale, individuale e come partecipazione alla civiltà.
La vera architettura è sempre in divenire rispetto all’uomo,
al luogo e al tempo.
Oggi, in una civiltà in pieno rinnovamento, è necessaria
un’architettura organica contemporanea adeguata alle nuove
condizioni dell’uomo e della natura.
L’ambiente non è un luogo amorfo nel quale l’uomo si trova
collocato, ma un sistema complesso che si mantiene tramite il
funzionamento delle sue componenti in una condizione di
omeostasi tale da consentire la vita al suo interno.
Pertanto l’ambiente non è il luogo in cui l’uomo vive, ma è il
sistema a cui appartiene, di cui fa parte e di cui condivide
le sorti.
Il territorio ha peculiarità sue proprie che l’uomo deve
riconoscere, rispettare e prevedere quando opera scelte
sociali ed economiche e che non può sottovalutare per non dare
origine a forme di ‘rigetto’.
Il territorio ha subìto negli ultimi tempi una trasformazione
radicale: da risorsa naturale a sfruttamento.
Il territorio infatti è il bene più prezioso che una comunità
possiede.
Il suo uso e il suo sfruttamento permettono una vita più o
meno di qualità e le comunità che non hanno saputo proteggere
il proprio ambiente hanno dovuto pagare prezzi altissimi sia
per quanto riguarda le persone sia per le risorse materiali.
E’ necessario quindi riuscire a definire un giusto equilibrio
tra la necessità di crescita e la necessità di salvaguardia e
tutela dell’ambientale.
Per citare un esempio, l’assalto alle zone dell’entroterra e
collinari, cha ha colpito nell’ultimo decennio, ha causato il
formarsi di nuclei abitativi che hanno perso, in parte, la
loro funzione storica di rappresentare una comunità ben
precisa, diventando invece degli agglomerati anonimi e dei
quartieri ‘dormitorio’, aumentando quindi quel perverso
meccanismo sociale di disinteresse per il territorio in cui si
vive e di disimpegno sociale.
Occorrono quindi delle azioni di tutela e valorizzazione del
territorio indirizzate a promuovere un uso durevole e
sostenibile in cui le risorse ambientali (e quelle economiche
e sociali) siano utilizzate senza compromettere la futura
qualità e capacità di rinnovarsi.
Uno sviluppo veramente armonico e durevole deve interpretare
le domande del futuro (ad esempio la domanda di servizi e di
qualità ambientale, saper continuamente rivedere e rinnovare
la proprie strategie, riqualificare le condizioni
territoriali, infrastrutturali, dei servizi, ecc., che lo
sorreggono.
Occorre quindi
ribadire
l’importanza
di
uno
sviluppo
improntato sulla qualità piuttosto che sulla quantità come
purtroppo è avvenuto fino ad ora.
Futuro
Occorre, a mio avviso, promuovere e sviluppare la ‘cultura del
territorio’, stimolare la coscienza critica nelle
trasformazioni ed una certa sensibilità nella salvaguardia e
tutela dell’ambiente, della cultura e delle tradizioni.
Ritengo che la cultura del territorio debba avere una
importantissima funzione di sollecitazione e di indirizzo
verso lo sviluppo delle comunità locali, sulla capacità di
creare relazioni sociali e sulla qualità della vita, sulla
gestione delle risorse architettoniche, ambientali e
culturali.
La cultura del vivere il proprio territorio dovrebbe essere
connaturata in tutti gli individui, pertanto implica un
processo formativo ed educativo.
Architetti, paesaggisti, ambientalisti ed economisti, tramite
le loro conoscenze, dovrebbero interagire maggiormente per
individuare modelli di sviluppo sociale ed economico che
favoriscano un’economia sostenibile la quale non comprometta
l’ecosistema in cui è inserita.
Dovrebbe essere un approccio interdisciplinare che abbia come
obiettivo il giusto rapporto tra la tutela del territorio e
l’economia cercando di escludere il prevalere di quest’ultima.
Inoltre, ‘cultura del territorio’ significa anche il tentativo
di organizzare e di tradurre in termini progettuali, mettendo
da parte i campanilismi che spesso affiorano soprattutto nella
nostra realtà, il recupero del senso del luogo che va
affiorando sempre più prepotentemente come bisogno di identità
ed appartenenza.
Quell’identità ed appartenenza che dovrebbe diventare sempre
più attiva e non delegata. Da qui discende il ruolo delle
istituzioni, i primi soggetti chiamati in causa in questa fase
di coordinamento tra le varie componenti:
economiche, sociali, private, ecc.
ecologiche,
Nel nostro sistema, così complesso, la pianificazione
purtroppo esige nuovi approcci: la sfida della complessità,
come ricorda Morin, può essere affrontata con successo tramite
una maggiore complessità, ovvero una maggiore ideazione di
risposte multiple ed intelleggibili”.
Maurizio Castelvetro, architetto in Cattolica: “Quello che noi
definiamo ‘brutto’ è in verità ‘bello’ per chi lo costruisce,
per chi lo compra e per chi ci abita.
In verità si tende a chiamare ‘bello’ ci? che si avvicina al
modello televisivo e sociale, che da noi significa l’incrocio
tra il cottage di campagna, il tempio imperiale e la villa
hollywoodiana e concentrati in 50 mq. di spazio.
La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un principio
etico – non solo estetico – condiviso e, siccome viviamo in
tempi di etica confusa, viviamo in mezzo alle imitazioni a
basso costo ed al caos che vengono spacciati per bellezza.
Brutto è ciò che è falso: ciò che vuole apparire senza essere
non è bello ma solo vistoso, presuntuoso, sgraziato.
Siamo tutti responsabili, ma più di tutto sono il consumismo e
la cosidetta ‘cultura di massa’.
I geometri fanno il loro mestiere, costruire; gli architetti
sono costretti a ragionare come i geometri (e in molti casi lo
sono nei fatti); i committenti guardando molto la televisione
sono convinti di sapere cosa vogliono; i costruttori
considerano il territorio un terreno di caccia, anche di
frodo; i politici rappresentano queste categorie, e quindi
spesso si adeguano.
Causa ed effetto si mescolano alimentandosi a vicenda.
Occorrerebbe una concezione di ‘bellezza di massa’ che è
quella che storicamente è più vicina al design di oggetti che
all’architettura: un secolo fa esisteva una idea di ‘decoro’
nella borghesia italiana che si traduceva nei tanti villini
che abbiamo anche sulla Riviera.
Oggi invece il feticcio del denaro, del successo e
dell’apparenza sta assumendo dimensioni allarmanti e ridicole,
proporzionalmente allo spessore dei cornicioni negli edifici
ed al numero di archi e colonnine.
Dal mio punto di vista stiamo assistendo ad un vero e proprio
decadimento culturale e di valori, travestito da apoteosi e
difesa di una presunta identità tribale.
Non ci sono ricette semplici in una società complessa: grandi
questioni e piccoli comportamenti personali hanno pari
rilevanza. Perché sarebbe sano e utile dare spazio al
dibattito ed al confronto; mettere al primo posto la Natura e
non il Cemento; amare i dettagli; rivedere una idea malata di
sviluppo che coincide oggi solo con l’aumento del reddito e
della rendita; ‘votare’ i progetti esaminati dalle Commissioni
Edilizie, con lo stesso criterio con cui ciò avviene nelle
competizioni sportive; creare invece di copiare; considerare
l’identità di ogni edificio ed imparare a rispettarla, perché
parla di chi siamo noi”.
ARCHITETTURA
Giovanni Gandolfi, premio alla qualità
Morto nel 2004, romano trapiantato a Rimini,
è stato uno dei protagonisti dell’architettura riminese
Quattro sezioni: architettura, pianficazione, paesaggistica,
conservazione. Opera vincitrice: Centro servizi di Riccione
– Giovanni Gandolfi è morto nel 2004. Per ricordarne la figura
l’ordine degli architetti ha istituto il premio biennale di
architettura contemporaneo “Giovanni Gandolfi”. Per dargli
forza e prestigio, è stato realizzato con il Collegio dei
costruttori e la Provincia di Rimini. Romano di origine,
professore all’università “la Sapienza” di Roma, Gandolfi
arriva a Rimini negli anni Cinquanta. Progetta molto, puntando
alla qualità. Tra i suoi molti lavoro: i quartieri Peep di San
Giuliano e Marecchiese, la banca nella centrale via Garibaldi
di Rimini.
Il Premio ha 4 sezioni: architettura (vincitore: progettista
Stefano Matteoni; costruttore: Consorzio Artigiani Riminese;
committente: Centro Servizi Srl – Riccione), pianificazione;
paesaggistica; conservazione (Progetti vincitori ex aequo: “Il
fascino barocco – Chiesa S. Bernardino Rimini”, progettista:
Armando Baccolini; costruttori: Imprese Edili Benzi
Costantino; Arcangeli Giuseppe Rimini; committente: Provincia
Minoritica di Cristo Re – Bologna. “Consolidamento Pieve Santa
Cristina – Rimini”; progettista: Federico Foschi; costruttore:
Impresa Edile SCR Italia s.r.l. Pesaro; committente: Diocesi
di Rimini – Rimini).
La commissione che ha scelto era composta da: Marco Zaoli
(presidente), Gianni Braghieri, Marcello Balzani, Massimiliano
Sirotti, Giuseppe Bellei Mussini e Raffaele Mussoni.
“Il regime dei suoli è governato dalla rendita che si
trasforma poi in principio generatore di moltissimi progetti o
parti di città”
Giovanna Mulazzani
“E’ come se le pubbliche amministrazioni avessero abbassato la
qualità della città e degli interessi collettivi. La politica
ha perso ‘l’arte
del costruire la città’
Franco Vico
“Il degrado urbano e ambientale sono il prodotto di politiche
urbanistiche e territoriali incentrate sulla crescita
esponenziale indefinita”
Gianfranco Giovagnoli
“I progettisti, stretti nella morsa committenza-norme
burocratiche, hanno spesso favorito opere dove l’aspetto
architettonico ed ambientale, è in secondo piano”
Davide Uva
“La bellezza nasce non dal ‘gusto’ personale ma da un
principio etico – non solo estetico – condiviso e, siccome
viviamo in tempi di etica confusa”
Maurizio Castelvetro
Turismo,
storia
vendere
arte
e
- Aggiungere al solito e classico turismo, quello fatto di
spiaggia, sole e discoteca, i negozi di viale Ceccarini,
quello più colto, come andare per borghi e città d’arte. Non
si sa quale futuro, non si sa se si riuscirà a fare centro, ma
la provincia di Rimini si presenta al turista esigente con un
partner blasonato, nobile, con i quarti di nobiltà al posto
giusto: il Touring Club Italia. Ha portato sui tavoli degli
appassionati ben due guide: una verde legata alla provincia di
Rimini ed un’altra interprovinciale. Insomma, è soltanto un
altro dei tanti turismi al quale il Riminese cerca di dare la
caccia in un cambiamento continuo del modo di vivere la
vacanza; poche famiglie svernano l’estate al mare, o vi
restano 15 giorni.
La prima guida, quella verde, che è un autentico distintivo di
riconoscibilità e di appartenenza (ragazzi creativi vanno a
zonzo per arte e per incontri galanti), si intitola “Rimini e
provincia: la Riviera delle vacanze, la Signoria dei
Malatesta”.
La seconda invece ha per titolo “Malatesta e Montefeltro:
itinerari tra Romagna e Marche”. E rientra nel progetto tra le
province di Rimini e Pesaro ed ha come denominazione “Terre
Malatestiane e del Montefeltro”.
Le due operazioni culturali e commerciali effettuate con il
mito, i suoi 600.000 abbonati, i suoi 1.300 punti vendita, del
Touring Club Italia, sono costate alla comunità 168.000 euro.
Hanno prodotto due guide: quella classica verde (acquistate
8.000 copie, 4.000 in italiano e altrettante in inglese) e
quella della collana le “Perle d’Italia” (10.000 copie). Per
la prima (100.000 euro) i soldi sono stati messi al 40 per
cento dalla Provincia, il restante, in parti uguali, da Camera
di Commercio, Fondazione Cassa di Risparmio e Comune di
Rimini.
La seconda (68.000 euro) invece è stata possibile grazie al
progetto turistico, Terre Malatestiane e del Montefeltro,
finanziato dal ministero. Le due guide, dato il pregio,
saranno distribuite in modo selezionato e possono essere
acquistate nei 1.300 punti vendita della Touring. Fondato agli
inizi del secolo, il Touring è una delle più importanti
istituzioni culturali dell’Italia. Pubblica le guide, ha una
rivista (i famosi 600.000 abbonati) ed ha educato milioni di
italiani al culto delle opere d’arte e dell’ambiente.
Nonostante tanto blasone, anche il Touring Club ci ha messo
qualche errorino. Uno molto divertente è l’aver confuso il bel
campo di cipolle fotografato a San Clemente, con l’aglio, un
ortaggio buono ma meno nobile.
Massimo Gottifredi è la persona giusta al posto giusto.
Presidente dell’Apt (Azienda promozione turistica dell’Emilia
Romagna, fino a due anni fa assessore provinciale al Turismo,
è un bell’esperto, non meno che persona umile. Delle due guide
afferma: “Rappresentano la nostra certificazione di qualità;
un territorio che non è solo spiaggia, divertimentificio e
parchi tematici, ma anche arte, cultura, storia. Eravamo
l’ultima provincia dell’Emilia Romagna a non essere inseriti
nelle Guide verdi, ma abbiamo chiuso la falla in modo molto
conveniente”.
“Le due guide – continua Gottifredi – sono due prodotti
diversi. La ‘Malatesta e Montefeltro’ supera i confini
territoriali e cerca di mettersi nei panni dei nostri turisti
che percepiscono le due realtà come una sola. I legami
Verucchio- San Leo e Gradara-Montefiore sono fortissimi, ad
esempio. Ancora non siamo pronti, ma i motivi per una
promozione unica sono tanti.
La Guida Verde doveva essere fatta prima, ma il solo esserci è
un riconoscimento di spessore, di possedere valori di livello.
E’ informativa e non promozionale e va a riequilibrare come
gli altri vedono questa provincia. Abbiamo gioielli
architettonici di attrazione internazionale e una rete di
castelli unica”.
Ma come si presenta il materiale promozionale della nostra
provincia?
Marco Giovannini, giovane presidente degli albergatori di
Riccione: “Direi di buon livello, anche se ci sono delle
sovrapposizioni, di marchi, loghi, prodotti, come in altri
settori. Ogni assessorato e ogni comune presenta qualcosa.
Oltre alla miscellanea, alcune volte difettiamo anche di
aggiornamento. Tra i nostri competitori sfornano cose di
valore il Trentino, la Toscana, l’Abruzzo, il Veneto. E anche
con un filo conduttore”.
Maurizio Cecchini, altro giovane, presidente a Cattolica:
“Abbiamo punte di eccellenza e debolezza. L’informazione è
variegata e complessa; direi che la nostra non è male rispetto
ai concorrenti. Partendo dal dato che la Toscana ha materiale
superiore al nostro, la strada la possiamo fare. Ci vorrebbe
qualcosa al fuori del cartaceo. Le nicchia, come le due guide
Touring, sono un enorme potenziale”.
di Francesco Toti
CURIOSITA’
Bellini, Ghirlandaio, Cagnacci, Centino, Guercino, Cantarini
Le opere di artisti di livello assoluto sono conservate nel
Museo della Città a Rimini
– I pittori di Scuola Riminese del Trecento (Giuliano da
Rimini, il maggiore), Giovanni Bellini, Domenico Ghirlandaio,
Guido Cagnacci (nato a Santarcangelo e morto alla corte
dell’imperatore austriaco), il Centino, il Guercino, Simone
Cantarini. Tutti artisti che farebbero da richiamo ai grandi
musei del mondo. Nomi che hanno fatto la storia della pittura
mondiale e che si possono ammirare al Museo della Città di
Rimini, forse il più importante della Romagna. Si contende lo
speciale scettro, senza competizione naturalmente, con Forlì.
Non solo sono di rango le opere, ma di buona architettura è
anche il contenitore. Infatti, l’istituzione culturale si
trova nel convento dei Gesuiti (accanto alla chiesa di San
Francesco Saverio) in piazza Ferrari. E’ molto probabile che
la conoscenza del museo riminese sarebbe stato esaltata se
fosse stato collocato negli spazi accanto al Tempio
Malatestiano. L’affascinante intreccio avrebbe attirato molti
più appassionati e curiosi. Ma tant’è. Ora non resta che farlo
conoscere prima ai riminesi, che potranno poi sensibilizzare
gli amici forestieri e i tanti turisti che vengono in riviera.
In questo la stampa locale non aiuta; è molto più dedicata e
sensibile ai fatti di cronaca nera, incidenti stradali e beghe
politiche.
Progettista l’architetto bolognese Alfonso Torreggiani,
l’edificio museale è stato tirato su tra il 1746 e il 1755
come collegio dei Gesuiti. Nel 1773, dopo la soppressione
dell’ordine, passò al seminario vescovile che nel 1796 lo
vendette ai domenicani. Dal 1797 al 1977 è stato utilizzato
prima come ospedale militare poi civile. Museo Civico, col
primo nucleo, dal 1981.
CULTURA
Mondo antico, conferenze con 5.000 appassionati
Il ponte di Tiberio, uno dei monumenti antichi più importanti
d’Italia
– Il prestigioso “tuttoLibri”, supplemento letterario del
sabato della Stampa, gli ha dedicato la copertina. Il magazine
patinato del Corriere della sera lo ha citato ampiamente.
Grossa eco sui mezzi di comunicazione per il Festiva del Mondo
antico, in programma a Rimini, Cattolica, Mondaino,
Montefiore, San Mauro, Verucchio e San Marino dal 15 al 18
giugno scorso. Alla seconda edizione, se lo è inventato
Marcello Di Bella, direttore della biblioteca Gmbalunga di
Rimini: “un’immersione nella cultura delle origini con il
gusto dei contemporanei”. Hanno assiepato gli incontri con gli
intellettuali circa 5.000 appassionati, molti dei quali hanno
colto al volo la cultura per passare qualche giornata come
ospiti degli alberghi. I temi, svariatissimi (da come
giocavano i bambini alle macchine da guerra), affrontati da
una novantina di intellettuali.
Tempio Malatestiano, nobile tappa
Tutti d’accordo: Marino Bonizzato, Giuliano Chelotti, Oscar
Del Bianco e Ilio Pulici. E’ la maggior opera d’arte del
territorio
– Quali opere d’arte della provincia di Rimini un turista
dovrebbe assolutamente non perdersi? Lo chiediamo ad alcuni
illustri personaggi del Riminese.
Marino Bonizzato, architetto in Rimini: “Cinque cose da non
perdere per chi raggiunge la nostra costa. 1. lo Spirito dei
Luoghi – Seppur fortemente oscurato da menti che privilegiano
il materiale all’immateriale, lo si può ancora cogliere, sia
nelle pieghe della Città non ancora aperte e dissacrate, sia
nei comportamenti, negli occhi e nelle parole di Cittadini
consapevoli del proprio ruolo.
2. I Segni dell’Età dell’Oro – Rintracciabili ancora nelle
opere compiute dagli Uomini subito dopo la fine della loro
felice convivenza con gli Dei, ben custodite nei Musei che
costellano il territorio, da Rimini a Verucchio? a Mondaino.
3. L’Arco d’Augusto – Simbolo di un mondo senza barriere,
dedicato a un grande che profuse impegno per la pace
universale.
4. Il Tempio Malatestiano – Dove l’equipe di geni assoluti –
Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio, Piero della
Francesca e Matteo de’ Pasti – messa assieme da Sigismondo,
seguendo le piste filosofiche di Gemisto Pletone, illustra la
formula magica della nascita e dell’evoluzione del mondo.
5. La Darsena di Rimini – Architettura generata da un rapporto
amoroso con il Mare, eletta figlia dei Cittadini che, amando
ancora, forse potrebbero darle fratelli e sorelle capaci di
rappresentare una Città futura migliore”.
Giuliano Chelotti, architetto, saludecese impiegato nel Comune
di Saludecio, è stato l’artefice di Ottocento Festival,
battistrada di qualità per le manifestazioni nate
nell’entroterra: “Sicuramente bisogna partire dal Tempio
Malatestiano di Rimini. Poi ci sono delle testimonianze seppur
ricostruite come Gradara e San Marino. Senza dimenticare
l’Arco d’Augusto, il Ponte di Tiberio, la Rocca Malatestiana
di Rimini. Non si viene a Rimini per il Tempio, ma per un giro
più largo. E poi l’entroterra con i centri storici. Nello
specifico: il Museo e la chiesa a Saludecio, piazza Maggiore a
Mondaino e le rocche di Montefiore e Verucchio. Chi è qui non
può dimenticare le chiese di San Leo, più della fortezza”.
I riccionesi Ilio Pulici e Oscar Del Bianco sono le menti del
“Block 60″, il negozio più trendy e emporio di bellezza di
Riccione. Dicono: “Come non vedere Montefiore, il tempio
Malatestiano di Rimini con il Piero della Francesca,
Verucchio, San Leo, la Domus del chirurgo sempre a Rimini.
Nello speciale tour ci metterei anche la Piadina della Lella
in via Covignano”.
LA GUIDA
Touring, le stelle
Due, il massimo, a Rimini e Montefiore. Una a Santarcangelo e
Verucchio
– Le guide del Touring Club utilizzano le stelle per indicare
il valore dell’opera d’arte. Il massimo sono le due stelline.
Nella nostra provincia sono state assegnate alla città di
Rimini nel suo complesso, al Tempio Malatestiano (due stelle
per il Crocifisso di Giotto e l’affresco di Piero della
Francesca), al borgo di Montefiore Conca; una stella a
Santarcangelo (due al polittico di Jacobello di Bonomo e una
al Museo Storico); una stella al borgo di Verucchio (e due al
Museo Villanoviano).
Inceneritore,
capitola?
la
Provincia
- Ampliamento dell’inceneritore di Coriano, la questione si
può mettere così: partita tutta aperta, tutta da giocare, con
un arcobaleno di sorprese. Dopo una lunga battaglia il
presidente della Provincia di Rimini, Nando Fabbri, sembra che
abbia l’intenzione di accogliere tutte le richieste
(osservazioni al Piano provinciale dei rifiuti) dei comuni di
Riccione, Coriano e Misano, sorrette da consiglieri dalle
posizioni ferme, non meno che civili: Sandro Pizzagalli e
Cristian Conti (Rifondazione comunista), Fabrizio Piccioni
(Comunisti italiani), Luigino Garattoni (Verdi), Antonio
Padalino (già Italia dei valori, gruppo misto). I consiglieri
provinciali diessini invece, almeno ufficialmente, hanno
sempre assecondato il presidente Fabbri. La svolta di Fabbri è
avvenuta in maggio durante un incontro informale con la
maggioranza. Tra l’incudine e il martello l’assessore
provinciale all’Ambiente Cesarino Romani. Verde, ha portato il
Piano in Consiglio.
Adriano Torsani, assessore all’Ambiente di Misano, grande
sensibilità, argomenta: “Il futuro passa per la raccolta
differenziata. Noi nel 2004 eravamo al 12 per cento; siamo
passati al 15 l’anno dopo. Adesso ci attestiamo attorno al 20.
Il nostro obiettivo è arrivare al 35 entro il 2006, 45 entro
il 2008, altrimenti saremo sanzionati dalla legge. Approvata
dal governo nell’aprile del 2006, infligge una multa del 20
per cento alle amministrazioni che non raggiungono tale
risultato. Multa che i cittadini si ritroveranno poi sulla
bolletta. L’obiettivo forte è posto al 2012: differenziare il
65 per cento della raccolta. Con questi risultati da
raggiungere, è quindi evidente che si necessita della
sensibilità dei cittadini a fare una maggiore raccolta
differenziata; da parte sua, il gestore del servizio, Hera,
deve mettere in atto progetti che rendano possibile
raggiungere l’obiettivo fissato dalla legge. Con questa
fotografia, penserei al quarto forno, ma prima di smantellare
il terzo ci penserei, anche perché dovranno andare in
discarica solo i residui dell’inceneritore e non più
l’indifferenziato”.
“Poi – continua Torsani – c’è il problema delle nanoparticelle
prodotte dagli inceneritori di ultima generazione. A quanto mi
risulta sono più pericolose delle emissioni dei vecchi forni;
occorre una verifica scientifica dell’Istituto superiore della
sanità”.
Mario Galasso, assessore all’Ambiente a Riccione, si è battuto
con gagliardia contro il Piano provinciale. Argomenta: “Se noi
raggiungiamo il 50 per cento di raccolta differenziata, la
terza e quarta linea sono più che sufficienti per i fabbisogni
provinciali. Il fatto che ci ha mandato in crisi è l’aver
incontrato lo studioso di nanoparticelle Stefano Montanari
(consigliere di Beppe Grillo). Dimostra, dati scientifici alla
mano, che i moderni inceneritori sono peggiori dei vecchi; a
temperature elevatissime producono particelle inferiori alle
Pm10. Polveri talmente sottili che non riescono ad essere
bloccate dalla pelle e che provocano forme tumorali. Partendo
da tutto questo, la priorità è spingere sulla raccolta. A
questo punto si pone questa domanda: vale la pena costruire il
quarto forno? Non sarebbe sufficiente un restyling degli
esistenti, che producono particelle più grandi delle Pm10?
Riccione, Misano e Coriano hanno chiesto la consulenza
scientifica all’Istituto superiore della sanità: indagine
epidemiologica e il monitoraggio sulla caduta delle polveri
dell’inceneritore partendo dai dati dell’Arpa”.
Massimo Pierpaolini, saludecese, consigliere provinciale
forzista, che barattò col sorriso sulle labbra il suo voto a
favore dell’adozione del piano Fabbri con finanziamenti per
1,5 milioni di euro a favore dell’entroterra. Afferma, sempre
con il suo classico sorriso: “La partita è tutta aperta. Ho
presentato un’osservazione al Piano dove dico che Raibano ha
già dato e dunque va smantellato. Se Galasso, l’assessore di
Riccione, vuole fare una guerra a favore dell’ambiente deve
far chiudere l’autostrada che inquina molto di più
dell’inceneritore. E poi deve far chiarezza nel suo partito;
il Piano è stato portato da uno di suoi, Romani. Oggi, il
problema non sono i rifiuti civili ma quelli industriali. Ed è
anche immorale spedire l’immondizia nelle zone più povere del
paese. Voto a favore soltanto se Fabbri mi dà l’assessorato
all’Ambiente”.
Fabrizio Piccioni, Comunisti italiani: “Prima di ogni scelta
va avviata un’indagine dall’Istituto superiore della sanità
sugli agenti inquinanti. E vedere se in passato l’inceneritore
è stato causa di tumori. Dopo c’è un altro dubbio, se entro il
2012, come dice la normativa europea, bisogna arrivare al 65%
di raccolta differenziata, perché spendere 50 milioni di euro
per la quarta linea, quando gli esistenti sono già
sufficienti. Voglio sottolineare che le nostre osservazioni
non sono mediabili; le abbiamo già mediate al momento della
presentazione”.
Sandro Pizzagalli, consigliere provinciale di Rifondazione, si
è battuto con molta forza contro questo Piano provinciale dei
rifiuti: “Se le nostre osservazioni dovessero essere
rigettate, il nostro voto sarà contrario al Piano. Poi ci sono
le microparticelle che cambiano i colori della fotografia”.
di Francesco Toti
I FATTI
LE RAGIONI DI HERA
– La società pubblica, con le firme-approvazione di tutti i
comuni della provincia di Rimini, a Raibano può costruire il
quarto forno e tirare su la centrale elettrica.
DIFFERENZIATA
– Una comunità di un certo tipo la dovrebbe spingere. Invece,
in provincia si arretra. Siamo attorno al 22 per cento. Primo
obiettivo: 35 per cento.
PIANO PROVINCIALE
– Punti del Piano provinciale: costruzione del quarto forno,
più raccolta differenziata, apertura di una discarica. Nessuna
sicurezza sulla chiusura dei due forni vecchi e di spingere
sulla raccolta differenziata.
IL PUNTO DI VISTA
Rifiuti, Fabbri ha cambiato idea?
Il presidente della Provincia aveva spaccato la maggioranza
sul voto d’adozione, approvato con Forza Italia. Invece,
sembra che abbia cambiato idea
– A sentirlo parlare Nando Fabbri, presidente diessino della
Provincia di Rimini, è un paladino delle questioni ambientali.
Alcune delle sue parole d’ordine: governare il territorio
pensando al suo equilibrio, sostenibilità e innovazione,
difesa e valorizzazione del paesaggio, qualità al posto della
quantità. Invece, un anno e mezzo fa quando l’assise
provinciale si pronunciò sull’adozione del Piano provinciale
dei rifiuti ci vollero i voti di Forza Italia per
l’approvazione. Sulla questione aveva sfilacciato la
maggioranza (Rifondazione, Comunisti italiani, Italia dei
valori e Verdi contrari) e anche il territorio (Riccione,
Misano e Coriano e tutta la Valconca contrari). Senza contare
che anche in casa diessina molti avevano votato a favore, ma
turandosi e storcendo il famoso naso e per qualcuno, Sandro
Tiraferri e Sergio Funelli, si presentava anche l’abusato
conflitto di interessi (il primo era, ed è, presidente di
Hera, il secondo vi lavorava). Il Piano prevedeva la
costruzione della quarta linea dell’inceneritore di Coriano e
il mantenimento delle altre tre.
In un anno il potentissimo presidente sembra che abbia
cambiato idea. La Provincia dovrebbe spingere sulla raccolta
differenziata, mentre sulla partita inceneritore anche alla
luce delle nuove scoperte scientifiche non si sa più che fare.
Fabbri dovrebbe imprimere una svolta allo sviluppo urbanistico
e all’assetto del territorio. Una civile raccolta
differenziata dovrebbe essere la pietra miliare. Con poco più
del 20 per cento, siamo ad una percentuale da paese arretrato,
sia per noi stessi, sia per qualificarci come grande potenza
turistica europea.
CURIOSITA’
A Coriano circa 500.000 euro l’anno di servitù
– Per Coriano l’inceneritore è una autentica manna dal cielo.
Si trova in un angolo del suo territorio, ma dentro le case
dei riccionesi e dei misanesi. Sono loro a sopportarne i
cattivi odori e le polveri più o meno sottili. Riceve dalla
comunità provinciale, Coriano, circa 500.000 euro l’anno di
indennità da servitù da inceneritore.
Inceneritori e tumori, quali relazioni
Studi epidemiologici condotti dal 1987 al 2003 sotto il
controllo dell’Istituto Superiore di Sanità affermano che
alcuni sono da associare alle emissioni
– Quali relazioni tra gli inceneritori e il tasso dei tumori
in una determinata area? Non ci sono dati certi.
Scrive il Comitato cittadino Riccione per l’energia pulita:
“Le sostanze inquinanti emesse dai forni inceneritori possono
causare tumori. Lo affermano gli studi epidemiologici condotti
dal 1987 al 2003 sotto il controllo dell’Istituto Superiore di
Sanità. Secondo queste ricerche contenute negli annali
dell’Istituto Superiore di Sanità (anno 2004) tumori come il
carcinoma polmonare, il linfoma non Hodgkin, i sarcomi dei
tessuti molli e i tumori dell’infanzia, sono da associare alle
emissioni degli inceneritori dei rifiuti. Per questo è
indispensabile e urgente attuare un programma di riduzione dei
rifiuti mettendo in pratica la strategia ‘rifiuti zero’.
Le proposte fatte da tempo dal Comitato Riccione per l’energia
pulita alla soluzione del problema dei rifiuti trovano un
autorevole appoggio nelle affermazioni del rappresentante del
dipartimento di sanità pubblica della Usl di Rimini, Fausto
Fabbri il quale, alcuni giorni fa, davanti alla commissione
rifiuti della Provincia in merito al progetto di ampliamento
dell’inceneritore dei rifiuti di Coriano ha pubblicamente
affermato che:
1) ‘l’attenzione rivolta alla riduzione della produzione dei
rifiuti, al loro riciclaggio e riutilizzo è inadeguata';
2) ‘per minimizzare il rischio di danni alla salute della
popolazione occorre ridurre al minimo la quantità di rifiuti
da incenerire, limitando l’incenerimento ai rifiuti prodotti
nella provincia di Rimini';
3) ‘occorre ridurre al minimo le emissioni in atmosfera
particolarmente per le sostanze ritenute a maggior rischio
sanitario’.
L’area di Raibano è da bonificare dalle emissioni nocive e non
da sovraccaricare ulteriormente. Se si attuasse un serio
programma di riduzione dei rifiuti, che è possibile sin da
ora, per le necessità della nostra provincia non è necessario
costruire un’altra linea dell’inceneritore, ma sarebbe
sufficiente utilizzare solo la terza. Chiediamo ai politici di
anteporre la salvaguardia della salute dei cittadini agli
affari di Hera”.
NUMERI
Rifiuti, se ne producono 240.000 tonnellate l’anno
Produzione giornaliera pro-capite di 2,2 kg
– I quasi 290.000 abitanti della provincia di Rimini producono
rifiuti solidi urbani per circa 240.000 tonnellate l’anno,
quasi una tonnellata a testa, con una produzione giornaliera
pro-capite di 2,2 kg. Attraverso l’inceneritore di Coriano si
ha la capacità di smaltirne 160.000. Il resto lo esporta nella
discarica di Sogliano (provincia di Forlì-Cesena).
La legge afferma che ogni provincia deve avere una capacità
autonoma. Smaltire una tonnellata di rifiuto costa alla
comunità circa 120 euro. I cittadini avrebbero nelle mani il
potere civile della raccolta differenziata, invece nei
cassonetti ci infilano di tutto e di più, come il prato
tagliato e le potature. Non sono mancati oggetti che hanno
provocato danni per decine di migliaia di euro, come
calcinacci e pali di cemento delle viti, ad esempio.
I FATTI
VOTO PROVINCIALE
– Il 14 dicembre 2004 la Provincia di Rimini ha adottato il
Piano rifiuti. Hanno votato a favore Ds e Margherita e Massimo
Pierpaolini, Forza Italia. Hanno votato contro An, Forza
Italia, Pdci, Rifondazione, Gruppo misto (Padalino) e Verdi.
Risultato: 13 sì a 11 no.
Albergatori,
i
vecchi
ostacolano il turismo?
- “Gli albergatori, i vecchi ostacolano il turismo?”.
Sento la necessità di fare un intervento perché tocca due
mondi a cui tengo in particolar modo, quello dell’alberghiero,
e quello della famiglia.
Il primo articolo mette in luce la frustrazione di un figlio
di albergatori che non riesce ad esprimersi come vorrebbe,
indicando come il padre, accentratore di decisioni importanti,
lasci al giovane ruoli secondari di barista o cameriere.
Nell’articolo successivo, si possono leggere varie opinioni
che riportano tendenzialmente allo stesso risultato, ma che, a
parere di esperti del settore emerge il dato allarmante che
sono ormai pochi gli albergatori anziani, e che, la
redditività alberghiera è divenuta scarsa, facendo allontanare
i giovani dal mestiere tramandato dal genitore.
Personalmente ritengo che un lavoro fatto in famiglia possa
solo portare dei risultati positivi, ed è una fortuna per un
figlio poter continuare il lavoro del padre, salvo che il
giovane non dimostri qualità e tendenze diverse. Quando si
lavora assieme è naturale che vi siano periodici conflitti, ma
dovrà essere ugualmente naturale sorpassarli, digerirli e
maturare.
Un giovane non può porsi nei confronti del genitore così come
il ragazzo del primo articolo, ma in modo completamente
diverso, non può puntare il dito, ma deve essere creativo e
positivo.
Di fatto, perché il genitore comprenda che il figlio può fare
bene, dovrà vedere i risultati sul campo. Avere il ruolo di
cameriere o di barista all’interno dell’attività o ancora più
semplicemente quello di pulire i bagni, non è vergogna, la
cosa importante è che quando lo fa il giovane lo faccia nel
migliore dei modi. È normale che ci si aspetti il massimo dai
figli, se un dipendente fa una cosa ben fatta, doppiamente lo
dovrà fare il figlio, se un dipendente lavora 8 ore, 16
dovranno essere quelle del giovane e la qualità di questo
lavoro è atteso che venga svolto in modo ineccepibile.
Solo con la massima dedizione, facendo il proprio lavoro con
la massima qualità, sacrificando le ore libere destinandole
alla propria azienda nei momenti di necessità, si guadagna la
stima di chi può valutare il tuo operato.
Inoltre è dovere del figlio cercare il dialogo con il proprio
genitore, per un giovane è più facile comunicare, trovarsi e
confrontare, con il dialogo, la dedizione, la qualità
dell’operare si potrà sicuramente affrontare la vita
famigliare/lavorativa in modo costruttivo, tramutando quella
che è oggi insoddisfazione in vantaggio.
Il vantaggio consiste nell’avere un’azienda controllata su
tutte le parti da membri della stessa famiglia che possono
operare nel comune obbiettivo alla crescita ed in questo caso
al soddisfacimento della clientela.
Quando il genitore avrà la certezza che l’azienda per la quale
ha sputato sangue è in buone mani anche in sua assenza, il
passaggio generazionale avverrà in modo spontaneo. Sarà il
padre a dire al figlio “pensaci tu che io mi riposo” perché è
certo che l’azione sarà ben fatta.
Gli investimenti? Valutati, analizzati assieme, saranno
certamente più sicuri. Le difficoltà? Affrontate assieme si
dimezzano.
Io condivido da sempre il lavoro con mio padre, con il quale,
per capacità o fortuna và tutto a gonfie vele. Egli è stato
sempre molto coraggioso nell’affrontare l’innovazione che ho
proposto, molto spesso rischiando, ed a volte calzando la mano
sui cambiamenti in modo spericolato.
Credo che fondamentalmente quello che ci unisce sia stata la
mia partecipazione attiva a molti momenti difficili della
nostra storia, proprio in quei momenti riusciamo ad esprimere
il meglio del nostro affiatamento.
Posso immaginare che a volte per un senso di protezione nei
confronti dei figli e della proprietà i genitori della
famiglia alberghiera possano tendere ad evitare investimenti
che riducano i rischi e limitino sofferenze anche economiche
in famiglia, questo deve cambiare, investire, anche poco è
indispensabile per crescere nella propria attività, i punti
fermi indicano una recessione, condividere i sacrifici affiata
chi li affronta.
Molti alberghi del nostro territorio hanno necessità di
freschezza,
di
tecnologia,
ma
soprattutto
di
caratterizzazione, di piccoli elementi di stile, elementi
artistici che possano suscitare emozione in chi li visita.
In Italia quando i governi capiranno che la forza del paese
può passare attraverso le piccole imprese famigliari, allora
sì che realmente l’economia riparte in modo che non s’è mai
visto.
Per quanto mi riguarda mi ritengo fortunato ad avere il padre
attivo in azienda, e da lui ho appreso che se mio nonno non ci
avesse lasciato presto sarebbe stato tutto molto meglio.
di Mario Pascucci – La lettera
"Sorriso, qualità di cibo e
vini. Bei locali"
- “Mi avete chiamato. Se ascoltate la mia progettazione, sono
convinto che lavorerete; diversamente non lo so”. La proprietà
ha detto va bene. Oggi, l'”Osteria del Mare di Riccione” è uno
dei ristoranti più gettonati della città.
Tanta sicurezza appartiene a Giorgio Ciotti, progettista
intelligente, con studio in uno dei posti più belli del mondo.
Si trova a Gradara, in una chiesolina sconsacrata del 1500.
Per permettere a sé e agli animi sensibili di apprezzare
appieno la bellezza del tetto a carena di nave, ha utilizzato
il plexiglas come solaio: bellissimo colpo d’occhio.
Morcianese di origine, gradarese-gabiccese d’adozione,
sposato, un figlio, passione vera per i prodotti
enogastronomici marchigiani e romagnoli, Ciotti ha firmato
locali di pregio: “Gradisca” a Cattolica, “Bel sit” e “Eden
Rock” a Gabicce Monte, il “Blu In Cafè” e la “Scuderia” a
Bologna (locale di proprietà dell’Università). Dalla sua
matita sono usciti i tre ristoranti dei giochi olimpici di
Torino, riservati ai dirigenti del Toroc, il comitato
organizzatore.
Il “Lab” di Senigallia, un american bar, forse, è quello che
più gli ha dato soddisfazioni perché è stato raccontato dal
Corriere della Sera: “ricco di charme e grande gusto”, fu il
commento del prestigioso quotidiano. Al momento sta lavorando
alla “Terrazza Marconi”, sempre a Senigallia, un altro locale
di pregio.
Da che cosa devono partire gli operatori turistici?
“Il sorriso, sempre, è fondamentale. A questo va assolutamente
aggiunta la professionalità, cioè la capacità di saper fare
ristorazione, bar, albergo. La qualità di quello che si
propone è fondamentale. Ricercare le materie prime eccellenti,
per un consumatore sempre più preparato, è basilare”.
Nella media come trova le nostre strutture: alberghi, bar,
ristoranti?
“Il nostro livello medio è da arretratezza; poi ci sono anche
strutture qualificate. Il mio principio quando progetto è la
massima semplicità, ponderare lo sforzo finanziario affinché
l’attività possa creare reddito. E la semplicità è lo spirito
fondamentale della nostra cultura. Poi cerco la funzionalità e
incuriosire i clienti. Se tali ingredienti sono ben miscelati
si ha il bel locale. Voglio anche aggiungere che non è
assolutamente vero che per avere il bello bisogna spendere.
L’importante è avere le idee e conoscere il giusto fornitore”.
Lei progetta da anni e conosce bene le strutture della nostre
città, come vede il futuro?
“Sono ottimista. Dobbiamo soltanto rimboccarci le maniche e
cambiare il modo di concepire il nostro turismo. Cambiato il
modo di viverlo; è sufficiente rinnovare le strutture e
puntare con forza sulla nostra enogastronomia. Tutte cose, ad
esempio, che stanno già facendo i nostri cugini marchigiani
nella zona di Ancona. Voglio portare un altro esempio. A Ripe,
Anconetano, ho lavorato ad un agriturismo. Ha sette camere; ha
puntato sul sorriso e la qualità ed è sempre pieno”.
STATISTICA
Alberghi, a Rimini il 40% in affitto
– A Rimini il 40 per cento degli alberghi sono in affitto; un
handicap per la ristrutturazione degli immobili. Spesso il
proprietario non investe e l’affittuario neppure. La
conseguenza è una decadenza lenta, sia negli spazi, sia nel
mobilio. Molti alberghi, quanto a mobilio, perfino in prima
linea, sono rimasti agli anni ’60. Mentre a Riccione,
Bellaria, Cattolica e Misano la percentuale è più bassa.
Spendiamo come
Spagna, ma male
Francia
e
- Massimo Gottifredi ha tutti i numeri in testa e li associa
in modo intelligente: lo spunto, il significato e anche le
conseguenze. Già assessore provinciale al Turismo, vicesindaco
a Cattolica (mistero: perché non gli è mai stata assegnata la
delega al turismo dal sindaco Pazzaglini che se la tiene ben
stretta?), sarà il prossimo grande capo del turismo della
Regione Emilia Romagna. Va a sostituire Giuseppe Chicchi,
eletto deputato lo scorso aprile. Sposato, due figli, larga
esperienza di lavoro in Spagna, ha una grande passione anche
per l’enogastronomia e la sa trasmettere come leggerezza. Ad
esempio portò l’intellettuale Marc Augé, ospite a Cattolica,
per cibi nostrani, da innaffiare col Pinot Nero del San
Bartolo (Gabicce Monte-Pesaro); a suo modo una “lezione” per
un francese.
Il turismo fieristico e congressuale cresce, è in crisi il
balneare?
“Il balneare è il fondamento anche per il fieristicocongressuale. Ne determina l’appeal e diventa un’attrattiva
anche per chi viene qui per fare business. Il nostro turismo
fieristico vale circa il 15 per cento delle presenze, ma molto
di più come fatturato. Infatti, ogni presenza fieristica
spende mediamente tra i 160 e i 170 euro al giorno, contro una
spesa media del balneare di 50. Dunque, bisogna moltiplicare
per 3,2. Guai, pertanto, se si lasciasse arretrare la vacanza
legata alla spiaggia. Voglio portare un’altra riflessione.
Oggi, c’è molta attenzione per le città d’arte, ma per il
sistema Italia non può essere il tema unico. Il nostro grande
numero di presenze è dovuto anche al mare e alla montagna”.
I politici snobbano il turismo che vale il 12 per cento del
nostro Pil, perché?
“Sul turismo tra quello che dicono e quello che fanno c’è una
bella differenza. Il politico pensa che il settore turistico
non è decisivo per la nostra economia e che può marciare da
solo; mentre a parole si dichiara l’esatto contrario. Non è un
caso che la marca Italia non è promossa e non è valorizzata
neppure come prodotti. E non è un caso che nei programmi
elettorali del Polo e dell’Unione di turismo c’era poco e
senza mordente. E questo è grave per un paese che deve
recuperare quote di mercato”.
Trent’anni fa eravamo la prima destinazione turistica
mondiale, ora non più, perché
“Ci manca la determinazione e la capacità di fare sistema
quando serve. Ad esempio la Spagna è un paese dalle
individualità molto spiccate, eppure quando è ora di mettersi
d’accordo c’è una forte coesione. E loro hanno concretizzato
il connubbio tra la politica dichiarata e quella realizzata.
Un po’ come i francesi, che operano a livello centrale. E non
è neppure un caso che a Bruxelles nel turismo nei posti chiave
ci siano gli spagnoli”.
Bisogna partire da un ministero del Turismo?
“Non è necessario. Diciamo che il turismo deve entrare negli
altri ministeri. Perché oltre che accoglienza, è prima di
tutto infrastrutture, viabilità, bontà del territorio. E poi
anche promozione. E sulla promozione vorrei sfatare il luogo
comune che l’Italia investe poco. L’Italia ha un bilancio come
quello francese, solo che non riusciamo a fare sistema. Il
bilancio dell’Enit è pari a quanto la Francia investe per
promuoversi in Italia; solo che dobbiamo aggiungere anche le
spese dei nostri enti regionali, mentre oltralpe non è così.
Riflessione: siamo incapaci di fare sistema”.
Siamo competitivi come prezzi e servizi?
“Complessivamente sì. Nel medio periodo, dovremmo reggere il
confronto. Solo che oggi dobbiamo mettere le basi per esserlo
anche tra 15 anni. Il turista è sempre più esigente; è
impensabile continuare a coprire le auto con le lamiere.
Dobbiamo elettrificare la mobilità, abbellire le nostre città
e il tessuto troppo urbanizzato. Non si può arrivare tra 15
anni senza aver risolto i nostri problemi. Credo proprio che
l’innovazione sia una condizione per la sopravvivenza, come
per qualsiasi altra attività: e è meglio progettare quando le
cose vanno che nella crisi”.
Come andare a riprenderci il turismo straniero?
“E’ una delle condizioni della nostra sopravvivenza. La loro
presenza fa rango, prestigio. Diventare provinciali non è mai
bello. E’ chiaro che bisogna continuare a investire
sull’estero. E su questo giocano un ruolo forte i voli a basso
costo. Solo per il fatto di averli, arrivano più turisti. Un
po’ di soldi del pubblico vanno investiti per il trasporto low
cost”.
Vent'anni di promozione con
risultati
- Alle spalle vent’anni di promozione in Italia e in Europa,
da solo. Un’esperienza che gli potrebbe permettere di scrivere
un trattato. Da quest’anno è sui mercati insieme ad un amico.
A Pasqua hanno riempito i due alberghi di famiglia, più un
terzo in affitto. A giugno ne gestiranno un quarto, sempre in
affitto.
Giorgio Magi, una quarantina d’anni, è il titolare
dell'”Aurora” a Misano Brasile. L’amico è Simone Migani,
titolare del “Bristol”. Insieme hanno preso in affitto il
“Perla” e il “Roxy”, sempre a Misano.
Giorgio Magi: “Per Pasqua abbiamo detto di no ad alcune
famiglie; eravamo pieni. E tutto questo grazie alle promozioni
effettuate quest’inverno in Piemonte, Lombardia e all’estero:
Belgio, Lussemburgo e Francia (Lorena e Alsazia)”.
“Fuori – continua Magi – siamo andati con promozioni speciali
per Pasqua e le feste primaverili e anche con una proposta per
l’estate. In primavera ci si fa conoscere per poi
concretizzare l’ospitalità per la vacanza di sole.
Quest’inverno abbiamo investito molto in promozione. E la cosa
che più mi ha sorpreso che in tanti, sia in PiemonteLombardia, e all’estero conoscessero Misano Adriatico. Io
faccio promozione da una ventina d’anni da solo e in gruppo”.
A chi gli chiede come si dovrebbe andare fuori, risponde:
“Credo che, per ovvie ragioni di dispersione, sarebbe ottimale
andare in 8-10 alberghi. Questo non vuol dire, beninteso, che
l’associazione di categoria non possa fare delle cose tutti
insieme”.
Continua la sua riflessione Magi: “Il turismo è molto cambiato
negli ultimi anni. Oggi, viviamo in un mondo di professionisti
e dunque in nessun mestiere ci si può improvvisare. Ogni cosa
deve essere organizzata a programmata nell’arco di alcuni
anni. Il volontariato non può più esistere. Misano negli
ultimi anni, grazie anche al lavoro dell’amministrazione
pubblica, si veda il lungomare, è riuscita a caratterizzarsi.
Inoltre, i tanti alberghi ristrutturati e con molti servizi,
aria condizionata, Internet in ogni camera, telefono diretto,
frigo-bar, casseforti, hanno aiutato”.
Un ruolo forte, fondamentale, la può giocare la politica.
Magi: “A chi gestisce la cosa pubblica chiediamo una forte
collaborazione. L’Enit, il nostro ente del turismo, deve
essere più presente alle fiere e lo deve essere con personale
preparato. Spesso ho trovato addetti che nulla sapevano
dell’Emilia Romagna e non avevano neppure il materiale della
riviera romagnola. Sull’altro piano ci siamo anche noi
albergatori, che abbiamo davanti a noi due scenari: chi
continua deve investire nella struttura e in promozione; chi
non se la sente di effettuare i necessari miglioramenti deve
smettere”.
“Inoltre – chiude Magi – ho notato sul campo e alle fiere che
gli stranieri, nove su dieci, vogliono raggiungere la meta
turistica in aereo. Mi sono trovato in fiera con Pescara e
Caorle e i turisti facevano la fila ai loro banchi per
prenotare solo perché nelle loro città arrivavano e voli delle
compagnie aeree”.
Voli,
gli
albergatori
investono sulla Germania
- Massimo Masini, presidente di Aeradria, la società che
gestisce l’aeroporto di Rimini, ha compiuto una rivoluzione,
vera. E’ riuscito a mettere insieme gli albergatori in una
società Riviera di Rimini Promotions che attraverso
un’operazione commerciale ha aperto tre tratte dalla Germania
su Rimini, investendo 600.000 euro. E le cose stanno anche
dando i frutti. Insomma, vale l’adagio contadino prima di
raccogliere bisogna seminare. Con ordine.
Masini argomenta: “Si è partiti da un’idea forte e semplice:
coinvolgere coloro i quali governano il turismo. Così è nata
Riviera di Rimini Promotion. In pratica è avvenuto questo. La
società ha acquistato 6.000 posti, pagati 100 euro l’uno, che
hanno consentito di aprire tre tratte estive dalla Germania
(due, Monaco e Colonia) e una dalla Svizzera. I 6.000
biglietti equivalgono a metà aeroplano pieno, con il resto che
deve essere venduto dalla compagnia e dalle agenzie. In
compenso, l’albergatore offre tutto incluso al cliente, che
risarcirà il biglietto con il conto dell’albergo”.
Gli albergatori scettici affermano che al massimo, per tutta
l’estate, si sarebbero venduti 1.500 biglietti. Invece, a metà
aprile ne erano già andati 1.200. Massimo Vannucci,
albergatore a Rimini, è l’amministratore delegato di Riviera
Rimini di Promotions. Dice: “Siamo molto motivati. I nostri
biglietti hanno fatto da scintilla ai voli; senza la nostra
iniziativa non ci sarebbe stato nulla. Se le cose dovessero
funzionare, come speriamo, nel 2007 cercheremo di effettuare
voli da altre città tedesche. E poi tenteremo i nostri bacini
storici, Olanda e Scandinavia. In parte la scommessa già
l’abbiamo vinta; senza l’iniziativa saremmo svantaggiati
rispetto alla concorrenza”.
Se la vacanza turistica è raggiungere la mèta in aereo e a
basso costo, i segnali sono buoni. Rispetto all’anno scorso ci
sono più destinazioni e siglato accordi che dovrebbero dare i
frutti.
Nuovi voli
Siglato accordo con la compagnia inglese low cost Easy Jet
(leader del settore con Ryanair), che collegherà d’estate
Londra a Rimini.
Svizzera – Da maggio a ottobre, due voli settimanali low cost
da Zurigo.
Scandinavia – Voli settimanali da Copenhagen, Stoccolma, Oslo,
Helsinki. Novità di quest’anno Bergen (Norvegia).
Russia – D’inverno ci sono 5-6 voli settimanali, che diventano
una dozzina d’estate. A Mosca e San Pietroburgo, si aggiungono
le città di Rostok, Novisibirsk e Ekaterinburg. Economia in
crescita forte quella russa, potrebbe dare grosse
soddisfazioni. I voli invernali sono commerciali. I russi
fanno incetta di firme dell’alta moda che rivendono in patria.
UOMINI
Riviera di Rimini, presiede la Baldelli
– La rivoluzione tra gli albergatori si chiama Riviera di
Rimini Promotions, la società che tenta di riportare i
tedeschi a Rimini attrverso i voli aerei e che ha messo sul
piatto 600.000 euro, acquistando 6.000 voli da rivendere ai
clienti.
Presidente
Iliana Baldellli
Amministratore delegato
Massimo Vannucci
Consiglieri
Ennio Sanese, Antonio Carasso, Maurizio Ermeti, Maurizio
Cecchini, Cesare Ciavatta, Fabrizio Agostini, Gasperini
Turismo,
il
balneare
è
in
crisi
- Sempre meno turismo secchiello e paletta e sempre più
fieristico e congressuale. Con gli stranieri che non ne
vogliono sapere di affollare le nostre spiagge e gli italiani
che continuano ad arrivare. Questa è la fotografia della
stagione turistica 2005 consegnata alla riflessione degli
addetti ai lavori e degli operatori chiamati a rimboccarsi le
maniche perché sono finiti i tempi in cui bastava aprire porte
e finestre per riempire. La frase fatta dell’abbondanza era
“Perché, dove vuoi che vadano?”.
Il fieristico e il congressuale producono quasi il 25 per
cento delle presenze totali. La chiave di lettura è duplice.
La positiva afferma che in ogni caso è sempre turismo e, in
più, con una maggiore possibilità di spesa. La negativa è che,
scorporando la cifra, il balneare, benché maturo, con sempre
più concorrenti non riesce né ad essere competitivo, né a
richiamare per altre ragioni. E che il pubblico ha investito,
mentre il privato si ritrova con strutture vecchie e con poco
appeal.
Fieristico e congressuale uber alles (sopra tutto). Nel 2005
per la fiera sono giunti 1.044.897 visitatori, più 16,7 per
cento rispetto al 2002. La Fiera di Rimini, ricavi propri per
oltre 50 milioni di euro, genera movimenti per 500 milioni di
euro sul territorio. Purtroppo sulla Fiera ci sono concorrenti
tenaci all’orizzonte. Infatti, si sono perse il Festival del
Fitness (finito a Firenze), che convogliava 375.000 visitatori
e Disma (a Milano), circa 50.000 visitatori.
Il numero degli incontri congressuali nel 2005 è cresciuto del
12,3 per cento sul 2004. Nei 3.339 congressi vi hanno
partecipato in 684.290, capaci di sviluppare oltre un milione
di presenze turistiche; più 2,1 per cento.
Un consumato e bravo albergatore è Mario Tebaldi, Cattolica,
fino a due anni fa anche assessore al ramo a Cattolica,
riflette: “Cattolica e Misano sono lontane per ricevere i
benefici del congressuale; dobbiamo fare con quel che abbiamo.
Una soluzione è fare promozione insieme. Cattolica ha un buon
appeal, ma andare in giro a dire chi siamo e cosa facciamo va
sempre bene. Negli ultimi anni non è stata fatta promozione.
Ogg il il turismo non si improvvisa, va comunicato. La gente
sceglie prima l’Italia, poi la regione, dopo la città e infine
l’albergo. Puoi avere anche le maniglie d’oro, ma se non c’è
attrattiva nessuno viene. Chi va a gestire il turismo va là
perché ha qualocsa in più o perché ha bisogno di mangiare? Io
mi accontenterei che fosse 50 e 50. Due anni fa, Berlusconi
promise 300 milioni di euro per il turismo. Ne arrivarono solo
30.
Credo che la stagione 2006 non sarà peggio del 2005. Ci sono i
mondiali di calcio e credo che giungeranno molti tedeschi;
l’importante è avere i loro canali televisivi. In loro sta
ritornando la fiducia, anche se stanno molto attenti alla
spesa. Finora sono stati usati, adoperati”.
Marco Giovannini, presidente degli albergatori di Riccione:
“Il sistema alberghiero della provincia di Rimini è nella fase
del cambiamento. Solo a Riccione negli ultimi 20 anni sono
scomparsi 350 alberghi e chi resta sul mercato tende ad avere
aperture più lunghe e non soltanto legate al sole. Credo che
sia un fenomeno di crescita positiva il fieristico”.
Quale stagione nel 2006? Giovannini: “I segnali di Pasqua
dicono non male ma sottotono. Mentre nelle fiere alle quali
abbiamo partecipato abbiamo questa sensazione: forte
attenzione verso le nostre località. Perdiamo gli stranieri
perché l’Italia fa poca promozione sui mercati esteri;
l’internazionalizazione costa di più ma dà anche stabilità.
Noi scontiamo la mancanza di collegamenti aerei. Quest’anno
stiamo tornando ad essere al centro dei voli; 4 voli
settimanali dalla Germania sono poco cosa contro gli 80
giornalieri per le Baleari, ma è un inizio”.
Maurizio Cecchini, presidente degli albergatori di Cattolica,
chiede provvedimenti dalle scelte politiche: “Vorremmo essere
trattati allo stesso modo dei nostri concorrenti, francesi,
spagnoli, portoghesi, altrimenti la competizione sul chi è più
bravo ci fa partire con un handicap di 10 metri. Abbiamo
un’Iva che ci penalizza di 5 punti. Noi abbiamo bisogno di un
ministero del Turismo che non abbiamo, di un ente, l’Enit, che
sia in grado di fare promozione in tutto il mondo. Invece, ha
un bilancio di 21 milioni di euro, che è quanto spende la
Francia per promuoversi in Italia; è la misura
dell’insensibilità totale.
Poi, vorremmo degli incentivi per rilanciare le nostre
imprese. A livello nazionale l’impresa turistica è considerata
da tutti la cenerentola. A roma si è sempre pensato che gli
alberghi si potessero sostenere da soli. C’è una certa
ignoranza che pensa che l’Italia sia solo Venezia, Firenze,
Roma. Mentre per l’80 per cento il turismo è rappresentato da
imprese in difficoltà. La legge sulle ristrutturazioni è stata
completamente svuotata. Non abbiamo un ministero del Turismo;
una mancanza che offende chi vuole fare impresa in questo
settore. Insomma, basta con le parole, aspettiamo i fatti.
Nelle arringhe televisive elettorali non si è parlato per un
nano secondo di turismo.
Invece, per restare a casa nostra, a Cattolica, attraverso il
Piano strutturale, dobbiamo valorizzare l’ambiente, puntare ad
una città giardino e liberare il centro dalle automobili.
Qualsiasi altra forma di speculazione rischiamo di pagarla per
sempre”.
di Francesco Toti
Tebaldi: “Cattolica e Misano sono lontane per ricevere i
benefici del congressuale;
dobbiamo fare con quel che abbiamo”.
Giovannini: “Il nostro sistema alberghiero è nella fase del
cambiamento. A Riccione negli ultimi 20 anni sono scomparsi
350 alberghi”
I NUMERI
I tedeschi valgono il 24 per cento
– Delle quasi tre milioni di presenze straniere i tedeschi
guidano la speciale classifica con il 24,5 per cento (meno 13
per cento rispetto al 2004). La loro economia si sta muovendo
cosa che dovrebbe aiutare la riviera.
Seguono:
Francia 11,5 (-2%)
Svizzera 11 (-5,5)
Benelux 9,7 (7,7)
Russia 8,5 (25,9)
Scandinavia 5 (8,7)
Regno Unito 4 (-9,5)
Austria 3,8 (-7,4)
Polonia 2,6 (12)
Cecchini, presidente degli albergatori di Cattolica, chiede
provvedimenti dalle scelte politiche: “Vorremmo essere
trattati allo stesso modo dei nostri concorrenti, francesi,
spagnoli, portoghesi”.
IL FATTO
Italia, in 30 anni da primi a quinti
Veniamo dietro Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina
– Nei primi anni settanta l’Italia era il primo paese
turistico al mondo.
Dopo 30 anni siamo scivolati al quinto posto. Tra il 1990 ed
il 2004 il movimento turistico mondiale è passato da 450 a 750
milioni. Insomma, il turismo segue gli altri settori del Made
in Italy: una decadenza lenta. Purtroppo all’orizzonte non si
intravede neppure una politica seria. Cioè creare un ministero
del Turismo, avere un Enit efficiente, dinamico e con le
risorse per promuovere l’Italia nel mondo. L’Enit ha un
bilancio di circa 25 milioni di euro, pari a quanto spende la
Francia per farsi promozione in Italia.
Quote di turismo mondiale: Francia: 9,9 per cento, Spagna:
7,1, Stati Uniti: 6,1, Cina: 5,5, Italia: 4,9.
L’inchiesta continua, vedi tutti gli argomenti QUI