India - Diocesi di Lodi

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India - Diocesi di Lodi
INDIA
Il paese è formato da tre grandi regioni naturali: l'Himalaya, lungo il confine settentrionale; subito sotto
l'Himalaya si distende la pianura del Gange, fertile e densamente popolata; al centro e al sud vi è
l'altopiano del Deccan. Con più di un miliardo di persone su un territorio di quasi tre milioni di kmq,
l’India è quasi un continente. Religione: Induisti, 83%; musulmani, 11 %; sikh 2,5%. Vi sono minoranze a
cristiane e buddhiste. Lingue: ben 400 registrate, tra le quali 18 sono ufficialmente riconosciute, come
l'hindi, il bengali, il tamil o l'urdu. l'inglese è ampiamente utilizzato per ragioni amministrative. Nome
ufficiale: Bharat Juktarashtra. Divisione amministrativa: 25 stati e 7 unioni territoriali. Capitale: Delhi
(New Delhi), 12 milioni di ab.
STORIA
L’attuale penisola indiana vanta un’ineguagliabile storia. Tremila anni prima di Cristo gli abitanti della
valle del fiume Indo (nell'odierno Pakistan) edificarono una grande civiltà, con grandi città, una loro
religione, un sistema originale di scrittura. Dediti all'agricoltura d'irrigazione, svilupparono una prospera
economia e mantennero attivi scambi commerciali tra l'Oceano Indiano e le pendici dell'Himalaya, usando
il fiume Indo come principale mezzo di comunicazione. Dopo cinque secoli, la regione fu devastata da
invasori che sterminarono la popolazione e distrussero la sua civiltà. Verso il XVI secolo a.C. giunsero
ondate di popoli indoeuropei provenienti dall'Afghanistan e a poco a poco conquistarono il subcontinente
indiano. La civiltà che forgiarono, in seguito chiamata “vedica”, si basava su un rigido sistema di caste, nel
quale i conquistatori costituivano la nobiltà dominante (ariana o ayriana significa nobile; da qui il termine
ariano, utilizzato per designare, in modo generico, gli indoeuropei).
I seguaci di Gautama Siddharta (Buddha, 563-483 a.c.) furono promotori di un'unificazione culturale
basata sulla sua predicazione. L’espansione islamica dell'VIII secolo non riuscì a impossessarsi dell'India;
questo avvenne solo quattro secoli più tardi con i turchi di Mahmud di Ghazna. Successive ondate di
popolazioni islamizzate dell' Asia Centrale invasero quindi il subcontinente, fino all'arrivo dei tartari di
Timur Lenk (Tamerlano). Tra il 1505 e il 1525, uno dei suoi discendenti, Babur, fondò l'impero che poi
sarebbe stato conosciuto come quello del Gran Mogol con la capitale a Delhi. Nel 1687, la Compagnia
britannica delle Indie Orientali si installò a Bombay al fine di conquistare metodicamente il territorio
indiano. L'economia indiana fu completamente trasformata: aumentate a dismisura le spese militari,
riorganizzata l’agricoltura, ridimensionato l'artigianato tessile, che fino ad allora esportava stoffe di
eccellente qualità, ma che costituiva un ostacolo alla crescita dell'industria tessile inglese.
Quando, nel 1915, Mohandas K. Gandhi, avvocato educato in Gran Bretagna e con una buona conoscenza
dei metodi coloniali applicati in Sudafrica, ritornò in India, percepì la necessità di superare la stretta
"cooperazione" anglo-indiana. Gandhi cercò di conquistare i musulmani alla causa autonomista, rivalutò la
dottrina indù e diede particolare importanza alla mobilitazione popolare non-violenta. Dopo la seconda
guerra mondiale gli inglesi negoziarono rapidamente !'indipendenza. La penisola rimase divisa in due stati:
da un Iato l'Unione Indiana, dall'altro il Pakistan, che fu creato con il proposito di riunire la popolazione
musulmana in una sola regione (Pakistan e Bangladesh).
Dopo l'indipendenza venne formulato il concetto di non allineamento politico dei paesi in lotta per
l'indipendenza e la piena sovranità e si elaborò una politica di sviluppo fondata sull'idea che
l'industrializzazione avrebbe portato la prosperità. In pochi decenni, l'India conquistò traguardi tecnologici
impensati. Tuttavia non aveva ancora risolto il problema dell'alimentazione della sua popolazione, che
cresce a un ritmo di 15 milioni l'anno.
La crisi economica dell'inizio degli anni 70 colpì duramente l'India. Gli ultimi anni furono contrassegnati
da due orientamenti: da un lato, energici sussulti autonomisti (sikh), fondamentalisti (indù, musulmani),
con spinte nazionaliste ed incidenti di confile (Pakistan); dall’altro la rapida modernizzazione con apertura
del mercato indiano agli investimenti stranieri e ai piani della Banca Mondiale, per farsi accogliere fra le
grandi potenze mondiali.
MISSIONARI LODIGIANI IN INDIA
Fra Pasquale Lamanna - Cappuccino
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FRA PASQUALE LAMANNA: spinese d’adozione, ma dalla tipica tenacia calabrese, appartiene
all’Ordine dei P.Cappuccini. Dopo aver conseguito gli studi umanistici, teologici, nel 1992 viene ordinato
sacerdote ed i primi anni li spende nell’Istituto “La Sacra Famiglia” di Cesano Boscone tra gli
handicappati, ma qualcosa di più forte lo porta a toccare con mano una sofferenza più grande: l’India di
Madre Teresa. Dal 1996 Fra Pasquale offre il suo servizio in India in un cammino di silenzio, preghiera,
amore e pace. La sua esperienza è la testimonianza vivente dell’amore di Gesù per gli ultimi sulla terra. Ma
lasciamo a lui la parola per descriverci questa sua esperienza:
“Non sapevo dove fosse l’India, tanto meno Calcutta. Ne avevo sentito parlare a motivo di Madre Teresa.
Ho letto, e ne ho fatto esperienza, che Calcutta è situata in una delle regioni più fertili ma meno favorite
del pianeta. E’ una regione soggetta a siccità e a grandi inondazioni, a cicloni e maremoti, a terremoti, a
esodi politici e guerre religiose. Per tutte queste ragioni, ondate di profughi a poco a poco hanno
trasformato Calcutta in una enorme concentrazione umana di circa dodici milioni di abitanti,
caratterizzata da un caldo, una umidità, un inquinamento, un rumore e una confusione a volte
insopportabili. In questa metropoli coesistono, non senza tensioni e conflitti, diverse religioni. Moltissimi
dei suoi abitanti sono ammucchiati nelle sue bidonvilles (slum) vivono e muoiono abbandonati sui
marciapiedi, nelle aree delle stazioni, non di rado vicino a mucchi di rifiuti, in lotta quotidiana per il cibo,
l’acqua, un minimo di assistenza sanitaria. La preoccupazione quotidiana è sopravvivere! e per farlo
riutilizzano tutto anche i sacchetti della mia spazzatura. Più di una volta mi sono sentito dire che con i
nostri rifiuti occidentali, migliaia di persone ricaverebbero di che vivere. Molti sono ancora i malati di
lebbra. A Calcutta risiedono sicuramente anche molte persone benestanti e ricche; chi organizza feste e
banchetti e chi muore accanto ad essi. Quante miserie umane, quante contraddizioni che non trovano
quiete e pace! Ma questa è la storia vista con gli occhi degli uomini, ovunque. Io voglio guardare con gli
occhi di Dio e amare con il cuore di Gesù. Fin dal mio arrivo a Calcutta ho fatto esperienza di minorità.
“Siate minori e soggetti a tutti” dice S.Francesco. Non conoscendo l’inglese né alcuna lingua locale ero
costretto al silenzio o a dipendere dagli altri. Dovevo chiedere sempre aiuto, anche per le cose più
semplici e pratiche. Per molti mesi ho pregato e concelebrato la Messa nella cappella della casa di Madre
Teresa, alla sua presenza, anche qui in silenzio. In un lebbrosario, per qualche settimana, comunicavo con
gli occhi, il sorriso, la stretta di mano. Le lingue con cui potevo farmi capire erano quelle dell’amore,
dell’amicizia, del semplice umile servizio (anche il più ripugnante) e della pace. Il dover chiedere mi
avvicinava di più agli altri. Anche i poveri potevano fare qualcosa per me, per aiutarmi! Quando ho capito
che potevo comunicare, anche in modo semplice con i poveri, ho cominciato il mio apostolato per le
strade, le aree delle stazioni, negli slum, negli ospedali. Desideravo fare incontrare Gesù a tutti i poveri,
perché percepissero che, attraverso la mia presenza, Gesù li ama e non sono abbandonati al loro destino.
Nelle comunità di Madre Teresa, con le suore e con coloro che sono cristiani (pochi) vivo il mio
sacerdozio e con tutti un concreto e umile servizio. Nelle case di accoglienza, pulisco, disinfetto i locali,
lavo gli indumenti dei malati, mi occupo dell’igiene degli stessi. Li servo in ogni loro necessità corporale e
spirituale, opero piccole medicazioni o aiuto medici e infermieri quando queste cose sono complesse.
Quando sono per strada o alla stazione, compro del pane, delle uova sode, delle banane per i poveri,
andando in cerca di lebbrosi, malati, persone abbandonate da portare all’ospedale, ai dispensari o nelle
case di Madre Teresa. Porto sempre con me un piccolo kit di pronto soccorso per curare piccole ferite che
infettandosi potrebbero trasformarsi in grosse piaghe per le condizioni igieniche in cui i poveri sono
costretti a vivere.
A Calcutta non sempre mi sento accolto, ma sempre cerco di incontrare la gente, più sul piano dell’amore,
del servizio e della pace che disputando con parole su verità precostituite, anche le più alte, anche religiose.
Non dimentico mai, infatti, che ogni povero è Gesù e, accogliendolo, la mia casa, la mia vita diviene una
dimora per Dio e Lui mio inseparabile amico.
Fra Pasquale Lamanna
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