L`enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti

Transcript

L`enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti
Università degli Studi di Verona
Facoltà di Scienze della Formazione
Dipartimento di Arte, Archeologia, Storia e Società
L’enigma della memoria collettiva.
Politica, istituzioni, conflitti
The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts
L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts
Abstract delle sessioni parallele
1
Teoria della memoria sociale e collettiva
Theory of Social and Collective Memory; Théorie de la mémoire collective et sociale
(Chair: Teresa Grande, Università della Calabria)
La memoria mediatizzata degli eventi pubblici. Un magazine della
contemporaneità
Olimpia Affuso, Università della Calabria (I)
Nessun ricordo individuale è possibile se non è sorretto dalla memoria collettiva. Ovvero dal
contesto sociale e dalle categorie con cui si definisce la realtà esterna al soggetto e si stabilisce una
certa interpretazione del passato [Cfr. Halbwachs 1950; 1925]. Tra tali categorie, fondamentale è il
linguaggio: la memoria infatti si struttura socialmente e culturalmente [Assmann, 1978] attraverso
processi simbolici mediati da pratiche narrative [Namer 1987].
Memoria e narrazioni risultano così strettamente interrelati. Ciascuno ricorda in quanto partecipa
ad un processo comunicativo, in relazione agli altri ed ai loro racconti, grazie alle interazioni
necessarie per convalidare tali racconti come plausibili e rilevanti [Jedlowski 2002].
Se l’appropriazione del passato avviene entro pratiche comunicative e narrative, i mezzi di
comunicazione vi svolgono un ruolo considerevole. Indagare tale ruolo è l’obiettivo di questo
contributo, nell’idea che i media, tramite continue rimediazioni [Bolter, Grusin 2003],
selezionando e ribadendo eventi memorabili e orientando le idee sulla realtà, influiscano sulla
costruzione del passato significativo per una collettività e sulla stabilizzazione delle memorie1.
Come archivi, come fornitori di ricordi, come narratori essi intrecciano le nostre esperienze con
effetti sul nostro modo di ricordare [Silverstone 1999]. Insieme a ciò va osservato che, data la
multivocità semantica dei testi mediali, ai diversi contenuti è attribuito senso in processi di
interpretazione correlati al background di chi fruisce [Hall 1980]. Contemporaneamente, i testi cui
ciascuno accede tramite i mezzi di comunicazione di massa sono quelli selezionati e offerti dal
sistema produttivo, politico e culturale, nell’universo simbolico e nella sfera pubblica. E non
mancano processi intenzionali di costruzione sociale delle memorie, in cui l’insieme dei media può
produrre dimenticanze volute. La definizione del passato rilevante e la costruzione della memoria
collettiva avvengono dunque in arene di interpretazioni e discorsi sul passato e sulla realtà che
sono negoziali, e spesso conflittuali. Queste arene sono sfera pubblica, in senso habermasiano, e le
memorie che vi si costruiscono sono memorie pubbliche, insiemi di immagini pubblicamente
discusse [Jedlowski 2007]. Ma queste arene sono anche simili alla semisfera di Lotmann [1985]
dove le memorie si formano attraverso processi narrativo-testuali, come insiemi di immagini
collettivamente immaginate. Nella semiosfera l’elaborazione della realtà e del passato si lega al
potere dei media di incrociare le interpretazioni dei gruppi non solo sul piano del discorso, ma
anche su quello dell’immaginario. La memoria che origina da queste sfere, pubbliche e semiotiche,
è la memoria-magazine. E’ una memoria che si conforma al suo mediatore, il testo mediale, e che
si ricompone di volta in volta, nel rapporto mutevole tra i vari discorsi e racconti che circolano
nella
società
e
le
attività
fruitive
e
interattive
dei
soggetti.
1
Il contributo si baserà sui risultati della ricerca di dottorato pubblicati in Affuso, Roma, 2010.
2
L’approche pragmatique et compréhensive de la mémoire sociale dans l’étude de
phénomènes sociaux de mémoire actuels
Carole Lemee, Université Bordeaux 2 (F)
L’étude des faits sociaux de mémoire s’est considérablement intensifiée ces vingt cinq dernières
années. Parallèlement, du côté des situations sociales, nous assistons à une augmentation sans
précédent des phénomènes sociaux de mémoire. La prolifération de ces phénomènes qui, dans
nombre de cas, se jouent désormais à l’échelle de la globalisation et dont certains des effets
participent à l’instauration de formes de gouvernance internationale portant spécifiquement sur
rapports histoire-mémoire, constitue l’une des caractéristiques majeures de l’actuelle modernité.
Face à ces faits, une relecture des travaux de M. Halbwachs et d’autres contributeurs s’impose. En
effet, la sociologie de la mémoire classique, privilégiant l’étude de la mémoire de la société à celle
de la mémoire dans la société, s’avère inapte à saisir ce qui participe à et de l’alimentation de ces
phénomènes sociaux de mémoire, de leur déploiement, et de leurs modes de fonctionnement
récursif. Les instruments de compréhension créés dans la première moitié du XXe siècle sont
notamment rétifs à l’étude de phénomènes sociaux pluripolaires et réticulaires, à la saisie des
pratiques sociales de mémoire elles-mêmes et à leur caractère distributif, à la problématique des
processus de subjectivation et de critiques sociale, ainsi qu’à celles des diverses formes d’agir
social ressortant à ces pratiques ou émargeant d’elles.
Aux prises d’un côté avec le fait que les études portant sur des faits sociaux de mémoire ne
sauraient constituer un bastion où ce qui a été dépassé depuis longtemps dans d’autres champs
d’étude devrait s’y trouver anachroniquement transposé, et de l’autre avec la complexité
pluridimensionnelle de ce qui se déroule concrètement dans les situations sociales, cette
communication propose de montrer, à partir d’un travail ethnographique de terrain mené depuis
plus de vingt ans, qu’il est possible de tisser les voies d’une approche pragmatique et
compréhensive de la mémoire dans la vie sociale. Ceci, en mettant en dialogue certains des
apports de l’héritage halbwachsien avec ceux en particulier de M. Weber, de G. Simmel, d’A.
Schütz, de l’Ecole de Chicago, de l’anthropologie dynamiste et de celle réflexive qui intègrent la
question des stratifications sociales et celle des variations d’échelles, ainsi enfin qu’avec les
apports de la Micro storia italienne. L’ensemble, dans la confrontation aux faits sociaux de
mémoire ethnographiés et à ce que leur analyse permet de mettre en exergue. La recherche
anthropologique menée repose sur des observations participantes réalisées in vivo. Elle est
conduite dans différents pays (Europe occidentale, centrale, balte, et balkanique ; Etats-Unis ;
Israël), et porte sur la question des rapports histoire-mémoire renvoyant à la période de la
Seconde guerre mondiale où se pose façon centrale la problématique de la gestion historicomémorielle des violences extrêmes dont génocidaires ayant été commises.
Plus encore que de réviser l’approche de M. Halbwachs qui relève de contextes épistémologiques
précédents, nous sommes face à la nécessité d’élaborer des instruments de compréhension et des
méthodes de travail s’ajustant aux conditions socioculturelles actuelles, aux formes de
structuration sociale en vigueur de nos jours dans les espaces sociaux (privés, publics,
institutionnels, et non institutionnels), ainsi qu’aux grandes caractéristiques qu’ont nombre de
phénomènes sociaux de mémoire venant toujours davantage secouer nos sociétés en leurs
niveaux micro et macro-sociaux.
3
Ricostruzioni di memoria: verso una “memoria globale”?
Lorenzo Latella, Maura de Bernart, Università degli Studi di Bologna (I)
Nella recente letteratura sulle dimensioni sociali della memoria si sono succedute diverse stagioni
e diverse approcci. È risultato progressivamente evidente che la memoria collettiva – in generale,
e specie quando si tratta di memoria di eventi traumatici collettivi come la Shoah (il genocidio
nazista degli Ebrei), i Porrajmos (il genocidio nazista degli Zingari), le guerre mondiali e altri – è
sempre “ricostruita”, e costituisce quindi oggetto di studio in sé, oltre che nel suo rapporto con le
realtà fattuali di riferimento.
In tale succedersi di passaggi, quello dalla sociologia della memoria di E.Zerubavel alla sociologia
culturale e del trauma di J.Alexander, ad esempio, ha rivelato tutta la “fallacia naturalistica” che
può segnare l’approccio sociologico alle ricostruzioni di memorie collettive.
Sociologicamente si sa ormai che ogni memoria collettiva viene culturalmente ricostruita, spesso
alternando fasi diverse nel tempo, a partire da istanze di tipo politico o istituzionale ma non solo,
attraverso i più vari canali (dai monumenti ai musei alle arti, dalle manifestazioni pubbliche a
internet), e in maniere più o meno conflittuali o condivise. La sfida è comprendere cosa significhi
davvero “culturalmente”. Si tratta di ascrivere le memorie a determinate formazioni culturali o
politiche o istituzionali “pre-esistenti”, o piuttosto di ricostruire i processi culturali che generano
“comunità di memoria” alla maniera delle “descrizioni spesse” di C.Geertz? E, in secondo luogo,
queste “comunità di memoria”, in vario rapporto con le formazioni di diverso tipo pre-esistenti,
tendono a chiudersi ai confini o piuttosto ad aprirsi in direzione di una “universalizzazione morale”
(J.Alexander), e dunque di una “memoria globale”?
In questa sede ci si sofferma su tali interrogativi e si cerca di affrontarli sia considerando parte
della recente letteratura americana, europea e non solo, sia rivisitando alcune indagini empiriche
effettuate dagli scriventi e da altri.
Si tratta di indagini relative a:
a)
I rapporti intergenerazionali all’interno e all’esterno dei mondi familiari;
b)
i rapporti interculturali nella vita quotidiana in alcune realtà a forte concentrazione
di immigrazione ovvero nell’esperienza di alcune minoranze;
c)
i rapporti di carattere trans-nazionale tra memorie comuni o simili (esempio: il lutto
nell’esperienza ebraica, ruandese e palestinese) ricostruite più o meno “a distanza”.
L’obiettivo di questo lavoro è mettere in evidenza quali fattori sociali e politici, ma anche culturali
ed esistenziali - almeno nelle situazioni considerate - concorrono oggi a determinare l’uno o l’altro
esito e dunque, in prospettiva, lasciano intravedere l’acutizzarsi di chiusure e conflitti o invece
l’estendersi di una rinnovata coscienza e memoria della comune umanità “globale”.
4
Memorie veloci
Ciro Pizzo, Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa" di Napoli (I)
Le difficoltà della memoria contemporanea e il dibattito apertosi circa le dinamiche odierne della
memoria collettiva e della memoria sociale sembrano collegati alla trasformazione dei luoghi di
vita e di relazione degli individui e alla ridefinizione delle gerarchie tra i gruppi all’interno del
contesto sociale.
Gli ambienti di vita e di lavoro sono oggi molto individualizzati e scompaiono i grandi luoghi dove
possono sedimentare esperienze di vita collettive un gran numero di persone. Si va verso una
individualizzazione della memoria personale e della propria traiettoria di vita, con una accentuata
segmentazione dei gruppi e una ricomposizione multipla delle appartenenze, che impedisce la
sedimentazione di esperienze di vita e l’investimento di luoghi come luoghi simbolo di convivenza
e quindi di identità e memoria collettiva.
Gli archivi cui attingere i discorsi e le relative grammatiche degli habitus disponibili per i vari
individui per socializzare con altri all’interno di cornici più ampie, quelle dei gruppi, diventano
sempre più frammentati e trasversali, con polarizzazioni fortemente dinamiche, che frantumano il
presente comune dei soggetti, rendendo sempre più irriconoscibile la comunità di luogo e tempo
che costituisce il sostrato trascendentale della memoria collettiva.
Centrale la considerazione degli elementi materiali, attorno a cui sedimentano le memorie
individuali e collettive, perché proprio l’anonimato e la ripetibilità dei materiali di costruzione degli
habitat odierni rende impossibile l’interruzione della continuità spazio-temporale e l’ancoraggio di
una memoria condivisa, collettiva, che si incarna in luoghi simbolo, che si riconoscono e si ricostruiscono solo all’incontro della parte materiale con la parte immateriale (l’irripetibile aura) del
gruppo in un dato luogo e in dati momenti.
Con la diffusione di ambienti anonimi, non-luoghi, luoghi che non ammettono radicamenti, siano
essi materiali o immateriali (gli ambienti virtuali), diventa sempre più difficile condividere spazi
materiali o loro narrazioni, aprendo così il campo alla labilità della comunità e delle sue
caratteristiche dinamiche.
In particolare l’invasione di ambienti artificiali e la generale artificializzazione e virtualizzazione dei
luoghi di vita e di socializzazione, visto che gli unici spazi oggi più diffusi sembrano essere quelli di
transito, di passaggio o virtuali tout court, particolarmente accelerata negli ultimi anni, ha portato
sulla scena sociale gruppi socializzati a diverse temporalità e a diverse dinamiche di costruzione di
memoria, oltre che di contenuti delle memorie stesse.
Proprio questo oggi porta a interrogarsi sulle modalità stesse di costruzione delle memorie
collettive e a ripensare come si articolano le memorie individuali e quelle più ampie dei gruppi in
cui si entra, secondo dinamiche sempre più mobili e fluide, costringendo a riconfigurare
continuamente il proprio idem, fondo di ogni identità.
5
L’uso pubblico della memoria
Public use of Memory; Usage public de la mémoire
(Chair: Lorenzo Migliorati, Università degli Studi di Verona)
Memoria privata/memoria pubblica: dinamiche della relazione con il passato
Maria Antonietta Selvaggio, Università degli Studi di Salerno (I)
Il tema della memoria rinvia necessariamente alla complessa relazione che gli individui e le società
intrattengono con il passato, quella “relazione obliqua”(Ferrarotti, 1998) nella quale giocano un ruolo
determinante sia il “ricordo” che l’ “oblio”.
Si propone qui l’analisi di un’esperienza particolare, che presenta i caratteri della riappropriazione del
passato e della istanza di renderlo pubblico, ufficialmente riconosciuto e istituzionalmente fruibile.
Si tratta del caso di un patrimonio di ricordi, rimasto a lungo nel chiuso di spazi familiari e domestici, da
poco resosi pubblicamente disponibile. Il tutto parte dalla riscoperta di un archivio privato,
prevalentemente costituito da fotografie, da cui è nata la mostra foto-documentaria “Da scugnizzi a
marinaretti. L’esperienza della Nave Asilo ‘Caracciolo’ 1913-19128”, frutto di un lavoro di ricerca e di
recupero della memoria solo in parte concluso. L’archivio, di proprietà di Ornella Labriola (figlia di
Arturo Labriola e di Nadina Skortzova) deceduta nel 1991, è pervenuto al Museo del Mare di Napoli
attraverso i discendenti di un “caracciolino”, legato alla signora Giulia Civita Franceschi (la “Montessori
del mare”), direttrice della Nave Asilo, da un rapporto filiale. Dopo la morte della Civita, con Ornella
Labriola curò la custodia della documentazione evitandone la dispersione materiale. Per lunghi anni il
ricordo di un esperimento educativo straordinario rivolto all’infanzia abbandonata di Napoli, e
ammirato a livello internazionale per l’originalità del metodo, è rimasto sepolto nelle pieghe della
memoria privata dei tanti “caracciolini”, sottratto alla memoria pubblica della città e alla storia
nazionale delle pratiche educative. Restituire voci e volti ai protagonisti di questa esperienza esponendone i ritratti, le tracce biografiche, i vissuti – ha generato un diffuso desiderio di rievocazione,
che ha spinto altre famiglie, altri discendenti a farsi avanti con i loro patrimoni di testimonianze. In
questo senso la ricerca sta avendo nuovi sviluppi. Ma quello che qui mi preme sottolineare è il valore
che questo percorso, che adotto come guida, assume dal punto di vista della comprensione delle
dinamiche che danno impulso alla dimensione pubblica della memoria. Parlo di dimensione e non di
uso, distinguendo tra fattori diversi, e intendendo riferirmi a categorie più profonde delle tendenze
congiunturali alla manipolazione del passato. La domanda è: cosa spinge a comunicare la memoria?
Quali ragioni inducono a richiedere riconoscimenti pubblici e valorizzazioni istituzionali dopo lunghi
periodi di reticenze, di rimozioni, di veri e propri oblii? Si potrebbe rispondere che la nostra è l’età o
meglio L’Ère du témoin (A. Wieviorka, 1998). Risposta tautologica se non riesce a spiegare, volta per
volta, le matrici soggettive e contestuali “dell’imperativo di ricordare”. Nel nostro caso è possibile
ipotizzare che abbia avuto un peso la drammatica condizione della città di Napoli: l’inaugurazione della
mostra infatti è avvenuta nel momento più acuto della recente crisi dei rifiuti, in un clima di degrado e
di sfiducia accompagnato dalla ripresa virulenta degli stereotipi più negativi. Né vanno sottovalutate le
speciali potenzialità della fotografia come fonte e stimolo. Le immagini fotografiche non sono state
solo un input per acquisire maggiori informazioni, ma hanno innescato una sorta di urgenza della
trasmissione diretta in particolare alle nuove generazioni. In questo richiamo a rendere pubblicamente
condivisa la vicenda della Nave Asilo si è espressa la volontà di mettere a disposizione e d’investire sul
piano dell’etica civile una “riserva di senso” (Berger - Luckmann, 2010) che assegna alla memoria un
ruolo
rigenerante,
lontano
dai
rituali
delle
retoriche
tradizionali.
6
La trasmissione della religione attraverso la memoria: il caso dei santuari in Italia
Giovanna Rech, Università degli Studi di Trento (I)
I santuari sono innanzitutto luoghi sacri e santi (Dupront 1987) dove devoti e credenti si recano in
pellegrinaggio e preghiera, tuttavia la trasformazione che ha investito la dimensione religiosa nel
corso dell’Ottocento e del Novecento costringe ad allargare i termini dell’analisi storica (Cracco
2002; Vauchez 2007), ma anche sociologica (Abbruzzese Demarchi 1995). Lo studio delle fonti di
epoca moderna e l’etnografia nel periodo contemporaneo ci ha consentito di identificarli come
luoghi (Augé 1998; Relph 1976) di memoria religiosa (Halbwachs 1971 e 1994). La costruzione di
questi luoghi di culto si muove su un duplice binario: sono un’opera allo stesso tempo concreta e
simbolica cui una società locale, nazionale e sovranazionale approda attraverso un processo di
rielaborazione collettiva che affonda le sue radici in un meccanismo dai tratti paradossali (Rech
2009). Effervescenza popolare (Durkheim 1991) e regolazione ecclesiastica (Isambert 1982) sono
due delle principali forze da sempre in gioco nell’identificare la loro genesi eminentemente
religiosa, ma la scoperta e la reinvenzione (Hobsbawm 1983; Lenclud 1987) così come la
riappropriazione da parte di determinati gruppi sociali ne intercetta una componente politica i cui
tratti sono sfuggenti e palesi in numerose occasioni pubbliche (Violi 1996). Ecco che sul presbiterio
di un santuario possono prendere posto i religiosi con i paramenti festivi accanto ai sindaci con il
tricolore: nel rinnovamento di un secolare voto, la comunità locale religiosa e civile si riunisce
periodicamente. D’altra parte, la retorica in alcuni momenti encomiastica, ma spesso equilibrata e
misurata che viene messa in atto durante questi avvenimenti non dice delle alterne fortune che la
devozione può aver conosciuto nel corso dell’ultimo secolo. L’andamento dell’affezione e della
disaffezione nei confronti di questi luoghi si è rivelato oscillatorio, in una successione di memoria
ed oblio (Augé 1994) che si è giocata sul piano sia religioso che sociale. Possiamo allora osservare
che, da una parte, i santuari sono i correlativi oggettivi della santità che in quel luogo si celebra e si
ricorda con la figura del Santo o della Madonna cui è intitolato l’edificio (Boesch Gajano Scorza
Barcellona 2008), ma l’analisi sociologica ne rileva invece il coinvolgimento in una dinamica di
eclisse e di ritorno del sacro (Acquaviva 1995; Wilson 1979; Bell 1977). La memoria collettiva non è
mai un dispositivo neutro e i processi di selezione delle rappresentazioni, delle pratiche e delle
credenze risponde ad una molteplicità di condizionamenti ed interessi che possono far
comprendere il cambiamento sociale sul medio e breve periodo. Questo contributo intende
esplorare un meccanismo particolare di ricomposizione del credere che passa attraverso il
recupero di una tradizione e di una memoria religiosa. In particolare, abbiamo concentrato lo
studio sulla rilevanza che hanno recentemente acquisito taluni luoghi reputati meta di turismo
religioso non occasionale e non limitato alle celebrazioni liturgiche del Trentino, dove la ricerca
empirica si sta svolgendo.
7
Una composta allegria. La parabola dei funerali di Stato
Ciro Tarantino, Università della Calabria (I)
Le esequie di Stato sono la forma più solenne in cui una collettività nazionale rende pubblico il
processo di selezione su cui si fonda la memoria della propria storia. Questo le rende un luogo di
particolare visibilità di quella dinamica continua e disseminata che, in modo del tutto ordinario,
investe l’intero vivere quotidiano. Chiaramente, ciò che rendono evidente è il lavoro di
attribuzione di senso, tramite il riconoscimento di valore, compiuto a livello istituzionale dal ceto
politico. Si tratta, quindi, di un rito volto alla definizione della cosiddetta storia ufficiale; stessa
posta in gioco che, a un livello certamente inferiore, si compie in ogni scontro toponomastico
ingaggiato in un consiglio comunale. Ma, proprio per questo, sono osservatorio privilegiato per
l’individuazione dei valori e degli ideali di riferimento delle classi politiche e per la valutazione
della loro rappresentatività. Entrambi elementi di un certo interesse in un momento in cui i
princìpi di riferimento nell’agire politico sono sempre meno enunciati e definibili e la
rappresentanza è spesso confusa col consenso. In questo senso, i funerali di Stato sono una vera e
propria wunderkammer istituzionale, in cui riporre ciò che si vuole faccia parte della storia patria
ufficiale.
Da questo punto di vista, allora, la sequenza dei funerali di Stato è, in buona misura, la parabola
stessa dello Stato; del sentire di Stato e dello stato del sentire.
Proprio in questa ottica il caso italiano si presenta, allora, di notevole interesse per le sue
particolari dialettiche del riconoscimento. Basti richiamare, a titolo di esempio: il diffuso consenso
che ha accompagnato la decisione di accordare a Mike Bongiorno i funerali di Stato, nel settembre
2009, il rifiuto degli stessi da parte della famiglia Borsellino, nel luglio 1992, e la decisione di non
prendervi parte assunta dalla famiglia Moro, nel maggio 1978.
8
Ricordi dalla terra di confine. La DDR tra fuga, repressione e Heimat
Barbara Grüning, Università degli Studi di Bologna (I)
La questione dell'uso pubblico della memoria pone in primo piano la problematica a cosa si
riferisca il termine pubblico. Soprattutto a livello empirico, il considerare soltanto alcune delle
accezioni di pubblico, ad esempio in relazione alle istituzioni o ai media, può portare a privilegiare
le narrazioni dominanti del passato a discapito di quelle interstiziali che spesso a torto vengono
fatte ricadere nella sfera del privato.
Il concetto di campo della memoria, strettamente correlato a quello di potere, può aiutare a
comprendere la complessità delle dinamiche che concernono il ricordare, a porre l'attenzione su
coloro che ricordano e a considerare come le memorie collettive riguardo a un passato si formano
in influenza reciproca e, allo stesso tempo, si intrecciano con altre memorie in circolo negli spazi
pubblici, siano essi luoghi fisici (cfr. Cremaschi 2008, Sennett 1991, Amin 2008) o mediati (cfr.
Jedlowski 2005). Il prestare attenzione alle molteplici declinazioni dello spazio pubblico può quindi
aiutare a riflettere sui differenti usi pubblici della memoria, andando oltre la tradizionale
separazione tra privato e pubblico.
A partire da questa premessa si andranno a guardare le differenti memorie sull'ex-confine interno
tedesco. In particolare si analizzeranno le narrazioni dei musei (gestiti da privati, da associazioni o
dalle istituzioni) posti lungo la linea dell'ex-confine, le narrazioni filmiche (in particolare i docudrama), quelle giornalistiche e quelle letterarie.
Il confronto tra le varie narrazioni e prospettive sul passato ha il fine di mettere in luce i nodi
principali, e spesso conflittuali, che riguardano la rielaborazione del passato della DDR, come
quello di repressione, ideologia e Heimat (cfr. Banchelli 2006; Behrens e Wagner 2004). Porgere lo
sguardo alle aree di “ex-confine” obbliga infatti a spostare l'attenzione verso quelle memorie
meno note che, raccontando la vita quotidiana nelle province tedesche orientali durante la DDR,
contrastano il cristallizzarsi delle rappresentazioni dominanti sulla Repubblica Democratica
Tedesca, come costruite dai media o come esperibili nei circuiti turistici della capitale (cfr. Grüning
2010). Inoltre, a una differente angolatura spaziale corrisponde una differente prospettiva
temporale. Queste narrazioni apparentemente marginali, dove il tempo evenemenziale appare
assente o di cui se ne risente solo l'eco, consentono infatti di ripensare al concetto di cesura
storica e alle molteplici relazioni che possono stabilirsi tra passato(i) e presente.
Tale confronto può infine offrire una chiave per riflettere sulle problematiche socio-culturali della
riunificazione tedesca, ponendo al centro il rapporto, anche per il passato, tra tedeschi Orientali e
Occidentali (cfr. Ahbe 2004, 2005; Engler 2005; Grüning 2006).
9
Memorie collettive e valori negli studenti italiani
Elia Cardini, Università degli Studi di Firenze (I)
I presupposti generali da cui parte questa ricerca sono che le memorie e le narrazioni collettive
concorrono a determinare la nozione di Agency presente in una certa cultura e a creare una base
culturale comune su cui fondare i canoni dell’identità generazionale (Mannheim, 1952; Schuman, &
Scott, 1989; Holmes e Conway, 1999). Inoltre poiché i valori e le memorie contribuiscono
congiuntamente a determinare la dimensione simbolica della cultura (Kottak, 1997) è plausibile
ipotizzare che esista un rapporto tra condividere le stesse memorie collettive e condividere gli stessi
valori. Ciò fa sì che l’appartenenza generazionale sia il frutto dell’ intreccio tra memorie collettive e
valori (Cancian, 1976; Tappatà, 2005).
La presenta ricerca si propone di verificare l’ esistenza, all’interno della stessa coorte di studenti
universitari italiani, di una relazione sistematica tra condivisione dei ricordi di eventi collettivi e
condivisione dei valori. Inoltre poiché la letteratura sull’argomento (Chessa, Murre, & Janssen, .2005),
ha mostrato significative differenze tra maschi e femmine quanto al tipo e alla significatività di eventi
ricordati, abbiamo voluto verificare l’influenza del genere sulle variabili prese in esame
I partecipanti a questa ricerca sono 200 studenti universitari nati tra il 1983 ed il 1988. La loro età
oscillava tra I 20 ed I 25 anni.
Sono stati utilizzati due questionari, il primo volto a rilevare le memorie collettive, il secondo i valori.
Nel questionario sulle memorie collettive sono stati proposti 51 eventi accaduti nel periodo in cui i
partecipanti avevano dai 12 ai 18 anni. Ciò in coerenza con quanto dimostrato in letteratura sulla
“reminiscence bump” (Rubin, Rahhal, & Poon,1998). Per ogni evento abbiamo verificato la presenza
del ricordo (memorabilità) e quanto significativo esso fosse per ogni partecipante (livello di
significatività). Per rilevare il sistema valoriale posseduto dai partecipanti abbiamo utilizzato il PVQ
(Capanna,, Vecchione, & Schwartz, 2005), un questionario composto da 40 domande che esplorano 10
valori principali raggruppati secondo quattro sovra dimensioni: “apertura al cambiamento”,
“autotrascendenza” ”autoaffermazione”, “conservatorismo”
Sono emerse sostanziali differenze tra i due generi quanto della significatività degli eventi. Le femmine,
più dei maschi, sembrano essere maggiormente “colpite” da eventi di cronaca nera (es. Omicidio di
Cogne) ed eventi legati alla morte di persone famose (es. Morte di Lady Diana). E’ stata
successivamente compiuta una analisi fattoriale ( metodo Varimax) sui 51 eventi che ha portato ad
individuare 4 fattori principali: il fattore “Politico” (es. Caduta del governo Prodi), il fattore “Cronaca
Nera” (es. Omicidio di Tommaso Onori), il fattore “Catastrofi e “Disastri naturali” (es. Uragano Katrina),
ed infine il fattore “Disponibilità sociale” (Social Surrounding) che raggruppa tutti gli eventi che hanno
avuto maggiore risalto mediatico ( es. Italia campione del mondo di calcio, Attacco alla Twin Towers,
morte di Papa Giovanni Paolo II). L’analisi correlazionale tra fattori delle memorie collettive e valori ha
mostrato che il fattore “politico” correla positivamente con i valori di Autodirezione e Stimolazione
(entrambi appartengono alla sovradimensione: Apertura al Cambiamento), mentre tale fattore correla
negativamente con i valori della Tradizione e del Conformismo (sovradimensione “Conservatorismo”).
Infine sia il fattore Cronaca nera che il fattore Disponibilità Sociale correlano positivamente con i valori
della Tradizione, del Conformismo e della Sicurezza (sovradimensione del “Conservatorismo”).
I risultati iniziali di questa ricerca, sono consistenti con quanto trovato in letteratura. Per quanto
riguarda il genere, essi trovano conferma nelle ricerche di Belleli et. al. (1998) e (Rubin, Schulkind, &
Rahhal, 1999; Janssen , Murre & Meeter 2008;) che dimostrano come le femmine ricordino meno
eventi di tipo politico-economico e più eventi di cronaca dei maschi, questi ultimi sembrano ricordare
meglio eventi economici e sportivi. Per quanto riguarda l’obbiettivo generale della ricerca i risultati
mostrano come valori impostati sul conservatorismo siano maggiormente legati a ricordi collettivi
inerenti fatti di cronaca, mentre i valori centrati sull’apertura al cambiamento sono maggiormente
legati a ricordi connessi con fatti politici.
10
Trauma culturale e ricostruzione del passato
Cultural Trauma and Reconstruction of the Past; Trauma et culture: la reconstruction du passé
(Chair: Luca Mori, Università degli Studi di Verona)
Il passato di fronte: l’archivio e l’ascesi della memoria
Martino Doni, Università degli Studi di Bergamo (I)
«”Memoria”, nel senso antico del termine, […] designa una presenza alla pluralità del tempo e non
si limita dunque al passato». Così De Certeau, quasi di sfuggita, in una nota del suo L’invention du
quotidien (1980). L’intervento che propongo intende definire in termini sociologici il concetto di
trauma collettivo, a partire dalla sua fissazione semantica nella letteratura psicoanalitica, con
particolare attenzione alle dinamiche di relazione tra sintomo e disagio che sono appunto sottese
al trauma (e che anzi ne consentono la ricomposizione ex post, secondo una procedura
genealogica/semeiotica tipica dello sguardo clinico). Una volta individuato il “trauma”, sarà
dunque possibile considerare sia l’aspetto della “patologia” che esso innesca, in particolare
rispetto alla perdita della memoria e dunque alla cancellazione degli eventi scatenanti il trauma
medesimo, sia l’aspetto della “cura”. A questo punto entrano in campo le metodologie della
ricerca sociale che più si attagliano all’individuazione e all’elaborazione dei processi di assunzione,
ritenzione, rimozione o custodia della memoria. Il discorso sociologico consente infatti di non
limitare l’attenzione ai soli ambiti individuali, psicodinamici della memoria, ma di constatarne le
costitutive cornici sociali. Il trauma che si intende sondare è quello delle dittature (fascista prima,
nazional-comunista poi) che hanno segnato in modo indelebile la storia della Romania dal 1940 al
1989. Sintomo del trauma, questa è l’ipotesi, è la museificazione del passato, cristallizzato
all’interno di luoghi paradossali in cui si coltiva, sostanzialmente, l’oblio della propria condizione.
Segno distintivo di una coazione a ripetere angosciosa, il museo “etnografico” diviene ambiente di
rimozione permanente, o presidio di tranquillizzanti ricordi di copertura. Ma nello stesso tempo
esso può anche divenire occasione di rilancio e di riscatto, di cura e di resistenza, là dove il museo
non coltivi memorie atemporali, fluttuanti al di sopra della lacuna del trauma, ma anzi si ponga in
essere contro gli eventi generativi del trauma, nella migliore tradizione freudiana reinterpretata in
chiave collettiva, politica e spirituale. L’intervento si propone di comparare due esperienze museali
in Romania: il museo del sat di Tataruşi e il museo delle icone su vetro di Sibiel. Scopo della
comparazione non è tanto di stabilire quale sia il miglior uso sociale della memoria, come se
quest’ultima si potesse esercitare “a comando”; tuttavia è opportuno quanto meno cercare di
individuare delle piste di ricerca che permettano di comprendere come la “socialità” della
memoria non sia affatto relegata a un passato più o meno bisognoso di essere rivisitato, ma sia
parte integrante dell’esperienza generale del tempo, in quanto tempo vivo, non già reperto
archiviato e reso sterile dall’oggettivazione o dall’oblio.
11
Il 27 gennaio tra memoria e comunicazione
Claudia Hassan, Università di Roma Tor Vergata (I)
A dieci anni dall’istituzione della giornata della memoria in Italia, da più parti si è sentita l’esigenza
di una riflessione sul suo significato e sulla sua capacità di agire in profondità sulla memoria
collettiva.
Si propone nella relazione un’analisi del rapporto tra memoria e media. In particolare s’intende
verificare come la giornata della memoria è percepita, amplificata o negata dai media nel suo
valore e quanto la giornata della memoria abbia assunto un significato vivo e forte o quanto la
commemorazione non ha lasciato spazio nel dare valore alla giornata stessa. Ci si propone di
comprendere quanto una memoria specifica che ha creato un trauma profondo nel cuore
dell’Europa s’innesti proficuamente nel discorso sull’identità. La memoria della Shoah non può
che stare al centro per forza degli eventi della memoria europea contemporanea. Ma a fronte di
questa centralità si è molto discusso del rischio di una monumentalizzazione del giorno della
memoria con il rischio di una banalizzazione dei significati etici e formativi.
Contro il rischio di una memoria “idolatrica”, che annullerebbe il senso della storia e renderebbe la
Shoah come la rappresentazione metafisica di un male assoluto indicibile, occorre restituire al
momento celebrativo il suo spessore critico di formazione e conoscenza.
La memoria non può dimenticare la storia e il livello emotivo, simbolico del discorso non può
prescindere da quello conoscitivo Il dovere di memoria non può sostituirsi al lavoro della memoria,
quindi alla sua costruzione, al suo rapporto con la storia. Il troppo di memoria riguarda
l’ossessione della ripetizione, molto diversa da una memoria critica (cfr. Ricoeur).
In gioco non vi è solo la memoria degli eventi passati, ma anche la nostra capacità di
rappresentare il futuro.
Il Giorno della memoria alla sua origine indicava un forte investimento per la costruzione di una
coscienza pubblica fondata sul rapporto con la storia. Al fondo il vero problema culturale non
riguarda ciò che sappiamo, ma i mutamenti che questo sapere innesta sulle mentalità.
Il patrimonio di tracce del passato, che ognuno di noi può conoscere o cui ognuno di noi può
entrare in contatto, è enormemente cresciuto anche parallelamente alla crescita dell’offerta
mediale. Questa crescita è tale da poter generare effetti di afasia emotiva. I mass media
producono grandi riserve di memorie comuni. La nostra quotidianità è permeata dei ricordi
dipendenti dai media La sfera pubblica è in sé stessa una forma di memoria sociale. La memoria
pubblica è la memoria della sfera pubblica. E ha una funzione molto importante: è il luogo di
confronto delle diverse memorie collettive. Come la sfera pubblica nella modernità è diventata
una sfera pubblica mediata, allo stesso modo la costruzione della memoria pubblica si ritrova in
parte sulla scena mediata. E qui si evidenzia ancora di più un nodo problematico della memoria. La
sua natura contenziosa. La memoria come oggetto di controversia. Non basta avere memorie
comuni, ma occorre anche dare interpretazioni comuni. Il quadro interpretativo decide quale
memoria viene formata e da chi. Quindi in questo ambito si situa la questione cruciale
dell’elaborazione collettiva della shoah. Dopo la shoah nulla poteva essere più come prima.
La shoah è stata a lungo rimossa. Proprio negli studi sulla stampa si vede la quasi totale assenza
del tema dei campi dal dopoguerra fino ai primi anni 50. Dopo una lunga rimozione la shoah è
diventata una sorta di mito di fondazione di quello che l’Europa e il mondo non vorrebbero che si
ripetesse. La memoria della shoah ha finito per riempire un vuoto identitario e di
appartenenza.L’erosione della memoria di Auschwitz ha come conseguenza l’erosione del tabù.
Oggi il legame tra identità e memoria, è al centro del dibattito culturale e filosofico. I problemi che
credevamo risolti non lo sono affatto e chiedono di essere ripensati
12
Una narrazione plurale. La memoria collettiva dell’esodo dall’Istria, Dalmazia e
Fiume attraverso tre generazioni
Antonella Pocecco, Università degli Studi di Udine (I)
Sulla vicenda dell’esodo degli italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia alla fine del Secondo conflitto
mondiale, cospicui e articolati sono gli studi di valenza storiografica, memorialistica e letteraria,
mentre una sorta di “silenzio troppo rumoroso” ha contraddistinto le scienze umane (in primo
luogo la sociologia). Tralasciando le ragioni sottostanti, è indubbio che le suggestioni offerte da
un’analisi della memoria collettiva dell’esodo offra a pieno titolo la possibilità di verificare
empiricamente alcuni concetti legati alle dinamiche ed alle patologie della stessa.
L’esodo è infatti costituito da una pluralità di voci, in cui vicende storico-politiche globali si
fondono e si confondono in un mosaico di esperienze singole, ciascuna dotata di una propria
unicità. Ogni storia singolare, ogni narrazione, trova conferma nello sradicamento forzato di una
collettività, nella negazione dell’identità, ma ne precisa costantemente i contorni, vi aggiunge o vi
modifica qualcosa. Ecco perché la memoria collettiva dell’esodo non può essere pienamente
capita se non la si accetta in quanto trama di biografie individuali, in cui le logiche interpretative
risiedono nel susseguirsi storico degli eventi e – a livello simbolico – nel significato di una diaspora
lacerante.
Rilevante in tal senso è stata una ricerca sul campo, realizzata dall’Istituto di Sociologia
Internazionale di Gorizia (ISIG), sui “ricordi, valori e futuro degli esuli”, il cui disegno prevedeva
l’analisi dei dati ottenuti da questionari, interviste in profondità e focus group rivolti a tre campioni
distinti, sia a livello generazionale (esuli di prima generazione, di seconda e di terza), che a livello
geografico (esuli rimasti in Italia, esuli emigrati in Argentina e Canada).
Riferendomi al concetto di “genealogia simbolizzata” (Candau 2002, 167), mi sono avvalsa
preliminarmente di alcuni presupposti interpretativi, non dandoli per scontati, cercando piuttosto
una loro verifica nelle parole di testimoni diretti e dei loro discendenti. In tal senso, mi sono
proposta di rinvenire:
- il senso tragico di una storia familiare, che si inserisce però in una dimensione narrativa più
ampia (la dimensione collettiva dell’esodo dall’Istria, dalla Dalmazia e Fiume) con una sua
specificità euristica;
- la percezione dell’evento-rottura come cesura concreta nell’esistenza di ciascuno, lacerazione
che si deposita nella divisione del ricordo fra un “prima” ed un “dopo”, e che ha
determinato/determina il percorso biografico di ciascun individuo in termini identitari;
- la forza della memoria collettiva contrapposta a quella dell’oblio e la sua trasmissione attraverso
le generazioni.
L’intero percorso analitico si è trasversalmente focalizzato sulle pratiche sociali della memoria
dell’esodo, le manifestazioni materiali tramite cui si effettua la rimemorazione, la difesa e la
proiezione della memoria stessa. Esse si fondano su:
- i processi ordinari di comunicazione (nel significato attribuito al concetto di narrazione);
- l’appartenenza al gruppo, come consapevolezza dell’orientamento dei contenuti della
rappresentazione sociale (anche in un’ottica generazionale nel senso di trasmissione) e di funzione
identitaria (riconoscibilità di sé come membro di una comunità);
- il ruolo del linguaggio: si tratta del “linguaggio naturale”, cioè al linguaggio del quotidiano (in
opposizione al linguaggio formale della commemorazione istituzionalizzata), nonché del linguaggio
concepito come creatore di realtà simboliche per l’individuo.
13
Il terrorismo globale come performance culturale
Giovanna Russo, Università IULM di Milano (I)
Questo lavoro intende rileggere il terrorismo globale come una nuova modalità per evidenziare
strategie di significati della memoria della cultura contemporanea. Fare esperienza della tragedia,
impone di rileggere il passato alla luce di un nuovo modo di esperire la cultura che si rivela nella
sua sostanziale dimensione pubblica, comunicativa e drammaturgica: ovvero, performance.
L’evento dell’11 settembre 2001 a New York è l’esempio di un terrorismo che ha espresso la sua
violenza non solo in termini fisici e strumentali, piuttosto come azione simbolica in un campo
performativo. Oggi siamo consapevoli che quell’evento ha modificato il corso della storia.
Questo studio vuole comprendere, a distanza di anni, quali siano oggi gli effetti del trauma
culturale vissuto dal pubblico di questa performance; quali nuovi significati per la memoria e la
cultura contemporanea. L’ipotesi è che il terrorismo globale sia una forma di performance
culturale che attinge dal dramma sociale e trasforma i partecipanti secondo modalità teatrali.
A tal fine, è in atto una ricerca sul campo di stampo prettamente qualitativo (uso di tecniche
etnografiche ed interviste in profondità) nello stato di New York volta a mettere a confronto le
visioni di due tipi di spettatori: i primi, sono individui che hanno vissuto direttamente l’evento,
oggi gravati da Post Traumatic Stress Disorder, disturbo che colpisce chi è stato vittima o
testimone diretto di avvenimenti altamente pericolosi, e che impedisce di uscire dal trauma. I
secondi, sono soggetti che invece hanno vissuto l’evento attraverso il filtro dei media.
Seguendo la teoria di Alexander (2006), il nostro scopo è mettere in luce le interpretazioni di
entrambi questi soggetti, intese come contro-performance che ancora oggi definiscono il nuovo
immaginario della memoria e del terrorismo globale.
14
Memoria e traumi culturali: il terremoto del 1980 in un comune campano
Emiliana Mangone, Università degli Studi di Salerno (I)
Il paper nasce da riflessioni che si sono consolidate attraverso studi e ricerche realizzate negli
ultimi anni inerenti l’area geografica del cratere centro del sisma del 1980 che colpì la Campania e
la Basilicata. Con questi lavori non si é voluto solo indagare sulla memoria storica di quel
fenomeno, delle ferite ancora aperte nei non pochi casi, ma di ciò che rimane come segno di una
cultura, di un luogo, di radici che affondano lontano nel tempo di una comunità che ha conservato
per secoli saldo equilibrio e una propria identità. Quei “vecchi comuni” che ricostruiti a valle
hanno perso buona parte della loro vita: “un bel corpo senz’anima”, in molti casi.
La ricerca “Laviano Restituita”, oggetto del paper, si fonda sull’idea che sia ancora possibile la
“restituzione di un’anima” alla popolazione di Laviano attraverso il recupero della memoria
collettiva a partire dalla ricostruzione virtuale in 3D interattiva e del plastico architettonico del
paese ad uno stato antecedente il sisma del 1980 e rafforzare in tal modo il senso di appartenenza
territoriale. In tale direzione il rapporto tra memoria, identità e appartenenza è molto stretto
poiché quest’ultima si sostanzia come elemento attivo di affermazione e di riconoscimento:
l’appartenenza è un sentimento attivo di legame, che implica attaccamento emozionale, e quindi
sviluppa una lealtà a un qualcosa cui si appartiene, il che produce integrazione oggettiva e
soggettiva.
Il progetto di ricerca “Laviano Restituita”, che vede il coinvolgimento di più ambiti disciplinari, si
fonda sull’attuazione di un processo di partecipazione della comunità di Laviano che si configura
come “buona pratica” nell’ambito tecnologico-culturale per il recupero della memoria collettiva
attraverso la narrazione del ricordo, individuale o collettivo, della propria abitazione distrutta dal
sisma andando ad attribuire alla memoria un ruolo fondamentale nel processo di riproduzione
culturale e di sviluppo.
In tal modo non solo si tenta di far superare lo “choc culturale” dovuto alla “sostituzione” del
“vecchio paese” con una “new town” che niente ha a che fare con la comunità pre-sisma, ma si
vuole porre il risultato della ricerca al servizio dello sviluppo della cultura in un duplice significato:
- favorendo la ricerca, la conoscenza, il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione e fruibilità del
patrimonio culturale e di memoria considerato come elemento di identificazione per la
popolazione di Laviano ma anche come forza attrattiva per l’esterno e possibile occasione di
sviluppo;
- favorendo, come processo di sviluppo della cultura, l’appropriazione o la ri-appropriazione di
questi beni e di queste realtà cariche di valori e di memorie, da parte della popolazione locale.
15