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Erica Maggioni
(dottoranda di ricerca, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; tutor: Prof. Enrico Reggiani)
“In times like these”: Yeats, la Prima Guerra Mondiale e la scelta del silenzio
Ricorre nel 2015 il 150° anniversario della nascita di William Butler Yeats, uno dei maggiori poeti di lingua
inglese nella transizione tra diciannovesimo e ventesimo secolo. Si commemora nello stesso periodo
un’altra grande ricorrenza, il centenario della Prima Guerra Mondiale, inaugurato già nel 2014 con
numerose iniziative e pubblicazioni, in Gran Bretagna più che altrove. Viene quindi spontaneo domandarsi
come i due anniversari siano intersecati; come un grande personaggio, sempre partecipe della vita del suo
tempo quale Yeats, si sia rapportato con l’evento che sconvolse il Novecento; e, soprattutto, come la sua
poesia lo abbia elaborato e commentato. L’interesse per la politica e l’attualità nazionali, concretizzatosi
anche in una partecipazione attiva – Yeats fu eletto senatore del Free Irish State nel 1922– è tratto
distintivo dell’autore e ispira una parte significativa della sua produzione novecentesca: si pensi - tra le altre
- a The Rose Tree, Sixteen Dead Men, Meditations in Time of Civil War. In particolare, il legame dell’autore
con le tumultuose vicende della sua Irlanda a inizio secolo è ben noto e tuttora una delle poesie più
conosciute del bardo è Easter 1916, riflessione elegiaca su un episodio cruciale della storia per
l’indipendenza del paese. Tuttavia, non altrettanto noto è se e come il poeta si espresse sul primo conflitto
mondiale. La risposta risiede in un testo di soli sei versi:
I think it better that in times like these
A poet’s mouth be silent, for in truth
We have no gift to set a statesman right;
He has had enough of meddling who can please
A young girl in the indolence of her youth,
Or an old man upon a winter’s night.1
Questa breve poesia è il manifesto del consapevole distacco, della “studied indifference2” che caratterrizza
il rapporto di Yeats con la Grande Guerra: significativamente nata non da una personale volontà di
esprimersi sull’argomento, ma da una richiesta esterna, è per questo semplicemente intitolata On Being
Asked For a War Poem. La poesia nella versione riportata qui sopra fu pubblicata nel 1919 nella raccolta
yeatsiana The Wild Swans at Coole ed è in realtà una leggera rielaborazione di A Reason for Keeping Silent,
scritta appunto su richiesta nel 1915. L’invito era giunto dall’amico scrittore Henry James, a sua volta
invitato da Edith Wharton a partecipare ad un’antologia di poesie, musica, illustrazioni, denominata The
Book of the Homeless e destinata a raccogliere fondi per i rifugiati di guerra. Il volume, pubblicato nel 1916,
vide i contributi di noti autori quali Thomas Hardy, Jean Cocteau, Joseph Conrad, artisti come Léon Bakst e
Auguste Rodin, compositori del calibro di Igor Stravinsky.
Il messaggio di Yeats è chiaro e formulato in un stile da discorso diretto proprio come se il poeta stesse
rispondendo a chi gli chiedeva di scrivere qualcosa di argomento bellico. L’uso dell’espressione “in times
like these”, nella sua reticente e malinconica intensità, contestualizza la riflessione in un momento storico a
sé che racchiude tutta la singolarità di una guerra senza precedenti e, al tempo stesso, uguale a tutti gli altri
1
Kendall, Tim (ed.) Poetry of the First World War: An Anthology. Oxford: Oxford University Press, 2013. 22
Perloff, Marjorie. "Easter, 1916. Yeats’s First World War Poem." Kendall, Tim (ed.) The Oxford Handbook of British
and Irish War Poetry. Oxford: Oxford University Press, 2009. 227
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1
momenti bui della storia. In tempi come questi, spiega il poeta con una metonimia che rende concreto il
pensiero, meglio che “la bocca di un poeta stia in silenzio”. Interessante anche la prima versione del testo
che, con piglio ancora più diretto, leggeva “I think it better that at times like these/ We poets keep our
mouths shut3”. La motivazione addotta, “for in truth/ We have no gift to set a statesman right”, richiama la
sempre aperta questione del ruolo del poeta nella vita pubblica. E’ suo compito intervenire, cercare di
muovere le coscienze, influenzare l’opinione dei governanti? Se lo sono chiesti in tanti da Platone in poi.
Per Yeats però non sembra essere un problema di diritto o dovere, quanto di abilità: noi, egli ammette
facendosi portavoce dei poeti, non abbiamo tale dono, tale talento. Il dono dei poeti è “to please”: dare
piacere, che sia a una “fanciulla nell’indolenza della sua gioventù o a un vecchio in una sera d’inverno”.
Permane qui un’idea di modestia nel ruolo del poeta che ha il potere di allietare due personaggi in fondo
facilmente suggestionabili e inclini all’emozione quali una giovane e un uomo anziano. Traspare
un’autoironia velata anche nel linguaggio informale dell’espressione “has had enough” e ancora di più nella
scelta del verbo “meddling” che significa immischiarsi, intromettersi. Yeats appare qui screditare l’impegno
politico da parte di un poeta come un’interferenza in qualcosa che non gli compete e che lo allontana dalla
sua vera vocazione.
Sicuramente, nello scrivere questi versi, il poeta aveva in mente il fenomeno letterario tipico di quegli anni,
la poesia di guerra: più di duemila britannici si cimentarono nello scrivere poesie sull’argomento, i
quotidiani furono inondati di versi – il Times riferì di avere ricevuto cento poesie in un solo giorno
nell’agosto del 1915 – e numerose antologie furono appositamente assemblate. Una produzione vasta ed
eterogenea che riflette la differente risposta di soldati, ufficiali, civili e donne e che si distingue per il suo
valore sia storico che letterario. Un patrimonio di cui oggi si legge e si ricorda principalmente l’opera di un
selezionato gruppo di soldati-poeti inglesi, Rupert Brooke, Wilfred Owen, Siegfried Sassoon, Isaac
Rosenberg, che trasferirono nelle loro “poesie di trincea” impressioni, esperienze, riflessioni. Sono poesie
che spaziano dal patriottismo più acceso, alla pungente ironia della disillusione, dal terribile resoconto
realistico alla simbolica trasfigurazione. Seppur in numero limitato, anche alcuni irlandesi scrissero poesie di
guerra: tra di essi, Francis Ledwidge. Yeats invece scelse di tacere e come lui fecero altri grandi scrittori del
tempo. “The roster of major innovative talents who were not involved with the war is long and impressive.
It includes Yeats, Woolf, Pound, Eliot, Lawrence, and Joyce- that is, the masters of modern movement4”
scriveva nel 1975 Paul Fussell nel suo influente studio sulla Grande Guerra. Non che questi autori rimasero
del tutto indifferenti al conflitto e alle sue conseguenze: basti pensare al Septimus di Mrs Dalloway o alla
Waste Land eliotiana, ma essi evitarono di fare della guerra il topic della loro scrittura.
Questa presa di posizione da parte di Yeats può sembrare contraddittoria se si considerano la
partecipazione alla vita pubblica e altri suoi testi di argomento politico. Tuttavia, bisogna ricordare che il
poeta manifestò un atteggiamento di diffidenza e rifiuto crescenti nei confronti della violenza e della
faziosità della politica (spesso crudeli e sanguinarie in quegli anni), anteponendo sempre ad entrambe le
implicazioni politico-nazionali del suo lavoro d’artista e la sua personale ricerca in tale prospettiva. Se nel
1918 scriveva "I have no part in politics and no liking for politics, but there are moments when one cannot
keep out of them", negli anni trenta confessa "I have a horror of modern politics…I'm finished with that for
ever5". Inoltre, è proprio la circostanza della Prima Guerra Mondiale a suscitare in lui un particolare
disinteresse e un desiderio di distacco, diversamente dalle questioni nazionali che gli stavano senz’altro più
3
Edith Wharton (ed.) The Book of the Homeless. New York: Charles Scribner’s Sons, 1916. 45
Fussell, Paul. The Great War and Modern Memory. Oxford: Oxford University Press, 1975. 313
5
Citato da Allison, Jonathan. “Yeats and politics”. Howes, Marjorie and Kelly, John (ed.) The Cambridge Companion to
W. B. Yeats. Cambridge: Cambridge University Press, 2006. 188
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a cuore, come l’Easter Rising e la Guerra Civile. Non a caso scrivendo all’amico John Quinn definì il conflitto
mondiale “merely the most expensive outbreak of insolence and stupidity the world has ever seen6” e nella
stessa lettera raccontò un aneddoto su come quel pomeriggio fosse andato al club per leggere le ultime
notizie sulla guerra e fosse invece finito a leggere Keats.
Negli anni vari studiosi si sono interrogati sulla reticenza di Yeats nei confronti della Grande Guerra,
individuando in genere nell’irlandesità del poeta la ragione del suo distacco: Giorgio Melchiori ha scritto
che tale guerra “was not the concern of an Irish nationalist – it was only another proof of the general
disintegration7” e analogamente Tim Kendall ha recentemente osservato che essa “was neither his own nor
his country’s quarrel8”. Il rapporto della stessa Irlanda con la Prima Guerra Mondiale è complesso e
problematico, proprio perché strettamente legato alle vicende di politica interna del paese. Elizabeth
Cullingford ha identificato nell’attegiamento yeatsiano una ben calibrata strategia politica, che vede il
poeta opporsi a John Redmond, leader dell’Irish Parliamentary Party9. Quest’ultimo, rassicurato dal
governo inglese sulle possibilità di ottenere l’Home Rule alla fine della guerra, aveva incoraggiato i giovani
irlandesi ad arruolarsi e partire al fronte per affiancare il British Army. Fran Brearton riconosce nella Prima
Guerra Mondiale la peggior manifestazione dell’imperialismo e vede Yeats opporsi ad essa proprio in
quanto “the Great War was the industralists’ war, a war fought by people remote from Yeats’ ideal society
of artists, aristocrats, and peasants10.”
Indubbiamente, Yeats non voleva essere associato ad una guerra che non condivideva e tantomeno voleva
che la sua poesia fosse inglobata in quell’ondata di versi propagandistici che stava invadendo l’Inghilterra
tra il 1914 e il 1915, anno di composizione di A Reason for Keeping Silent. D’altra parte, anche la seconda
fase della war poetry, quella della pity di Owen o della satira di Sassoon, non lo interesserà. Conferma ne è
la sua decisione di escludere i poeti di guerra dall’antologia The Oxford Book of Modern Verse 1892–
1935 che curò nel 1936 e nella cui prefazione scrisse “passive suffering is not a theme for poetry11”. On
Being Asked For A War Poem è allora anche un modo per dissociarsi dalla categoria e il cambiamento di
titolo sottolinea ancora di più tale intento. Di fronte alla Grande Guerra, Yeats sceglie la strada che ritiene
più giusta per sé, quella del silenzio. Un silenzio interrotto soltanto da questi pochi versi che egli ci tiene a
precisare sono “the only thing I have written of the war or will write12”.
6
In una lettera a John Quinn, 24 giugno 1915. Citato da Foster, Roy. W. B. Yeats: A Life, ii: The Arch-Poet. Oxford:
Oxford University Press, 2003, 5.
7
Melchiori, Giorgio. The Whole Mystery of Art: Pattern Into Poetry in the Work of W.B.Yeats. Westport: Greenwood
Press, 1979. 63
8
Kendall, Tim (ed.) Poetry of the First World War: An Anthology. 21
9
Cullingford, Elizabeth. Yeats, Ireland and Fascism. New York: New York University Press, 1981. 86
10
Brearton, Fran. The Great War in Irish Poetry. Oxford: Oxford University Press, 2000. 45
11
Yeats, W.B. ‘Introduction’, in Yeats, W.B. (ed.), The Oxford Book of Modern Verse, 1892–1935. Oxford: Clarendon
Press, 1936. xxxiv
12
Allan Wade (ed.) The Letters of W. B. Yeats. London: Rupert Hart-Davis, 1954. 600
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