Scarica il pdf completo

Transcript

Scarica il pdf completo
Paolo Borzatta e Valeria Viganò
IL GLOBO DI SHANGHAI
Una tesi di laurea scritta nel 2030, sulla
storia della globalizzazione
Diario di uno studente del Politecnico di
Milano, sede distaccata di Shanghai
2000 - 2001
PREFAZIONE Dopo una carriera universitaria e poi manageriale, sono da oltre 18 anni consulente di strategia
aziendale. In questo ruolo ho avuto il modo di vivere e lavorare in molti paesi, compresi gli Stati Uniti
e la Cina. In tutti questi anni e in queste esperienze ho sempre notato il contrasto tra il molto che le
aziende italiane potrebbero fare nel mondo e il poco che di fatto fanno. Questa differenza mi ha
sempre amareggiato e allo stesso tempo incuriosito. Me ne sono sempre chiesto il perché. Nel
tempo ho imparato che la risposta è complessa e riguarda più in generale come noi affrontiamo
la sfida della globalizzazione e come di conseguenza (non) la “sfruttiamo” come un’opportunità
per crescere e per arricchirci, prima di tutto culturalmente e socialmente e poi anche
economicamente.
Una parte della risposta è che in prima luogo il nostro “sistema Italia”, a confronto con quello degli
altri paesi, funziona malissimo. A questo proposito occorre però dire che molti, pur concordando
con questa diagnosi, non si rendono compiutamente conto di quale livello di inefficienza abbia
raggiunto l’Italia. Al momento in cui scrivo questa prefazione sono appena reduce da
un’ennesima esperienza di inefficienza. Ho comperato lo spazio di questo sito prima via internet e
poi con una telefonata. Ho quinid ricevuto una e-mail il contratto da firmare, cosa che ho fatto, e
l’ho prontamente rinviato via fax. Ho immediatamente pagato il canone con un bonifico
elettronico tramite la mia banca. Tempo totale mezz’ora, senza spostarmi dal mio studio. Ebbene
ora devo aspettare giorni fintanto che il bonifico non venga accreditato perché, avendo fatto un
bonifico elettronico, non ho prove (non avendo ricevute cartacee) sufficienti per attivare il sito. So
che sembra un ‘ danno’ minore, ma queste inefficienze devono essere moltiplicate per i miliardi di
volte che interagiamo tra di noi: allora si può capire l’impatto di questo problema, specie se ci si
confronta con ‘sistemi paese’ in cui questo non avviene. È un’intera mentalità (e non solo dello
stato e del parastato) che non è abituata all’efficienza: il che comporta un costo enorme non solo
economico, ma anche di competitività. Si tenga conto che queste sono anche barriere alla
creatività e alla voglia di cambiamento. Tutto ciò che ci rende difficile il fare, ci impedisce vieppiù
il cambiare o l’intraprendere, soprattutto il nuovo. Forse ci sfugge che il nuovo (le idee e i concetti
nuovi si accumulano sulle idee e sui concetti vecchi e sperimentali) e anche di ricchezza sociale
perché inventiamo nuovi modi di vivere e di interagire più rispettosi delle nostre libertà e dei nostri
desideri. Non ci sono solo ovviamente questi piccoli contrattempi, ci sono anche i (solo
apparentemente più) grandi temi: le infrestrutture, la flessibilità, la burocrazia, i lacci e i lacciuoli e
così via. Di questo però molto si è già scritto.
Ma non basta, in secondo luogo c’è anche una mancanza di voler crescere di molte aziende
italiane. Se molte aziende sono piccole e spesso deboli è sicuramene perché l’ambiente è ostile,
ma anche e soprattutto perché non c’è voglia di competere per crescere, di osare e di rischiare.
In ventiquattro anni di esperienza manageriale e consulenziale ho visto che quando un’azienda
italiana vuole crescere ce la può fare brillantemente. La domanda che consegue da questa
constatazione è perché l’imprenditore italiano è meno ambizioso dei suoi colleghi stranieri. Questo
è uno dei temi dominanti di questo romanzo perché il futuro che ci attende richiederà ambizione e
“visione strategica”.
Alle spalle di tutto questo ci sono, in terzo luogo, responsabilità più ampie, non solo della classe
politica e della classe imprenditoriale, ma anche di un’intera cultura che ha fatto del non
confronto (ovvero della scorciatoia per aggirare il confronto) il proprio pilastro fondamentale. Si
noti che confronto è spesso sinonimo di competizione.
Quando ho deciso di scrivere, con valeria Viganò, questo romanzo (perché di romanzo si tratta)
avevo ben chiaro il mio obiettivo. Desideravo tentare di attirare l’attenzione degli imprenditori, dei
manager, dei consulenti e degli studenti di management, dei politici, ma anche di più grande
pubblico interessato alle sorti del nostro paese, su questi temi. Ho anche pensati che un ennesimo
saggio a poco sarebbe servito. Gia molti ne sono stati scritti e ben più autorevoli. Volevo invece
provare a far riflettere, almeno per un attimo, su dove andremo a finire se continuassimo così. L’ho
1
fatto pensando che descrivendo un possibile mondo nel 2030, in cui l’Italia è in posizione di
perdente, potessi invitare tutti noi a pensare. Spero anche che, essendo un romanzo, il lettore,
subissato di informazioni e messaggi su questi temi, possa essere più incuriosito a leggere qualcosa
di meno arido di un saggio o di una opinione professionale. Inoltre poiché la temuta perdita di
competitività trae probabilmente origine da fattori culturali profondi, abbiamo, Valeria ed io,
creduto opportuno analizzare non solo le pure variabili economiche e manageriali.
Nel descrivere questo mondo e i trent’anni che ci separano da esso ho anche voluto provare a
suggerire alcune piccole indicazioni, sulla base della mia esperienza professionale, su come il
“sistema Italia” e le sue aziende soprattutto (alle quali primieramente mi rivolgo) possano agire per
contrastare la temuta decadenza. Va detto che si può anche scegliere la decadenza.
Il mondo che descriviamo con Valeria è un mondo che crediamo possibile. Non è
necessariamente quello più probabile, né tantomeno il frutto di una estrapolazione “scientifica”.
Però forse vi ci possiamo riconoscere e dirci: “Oddio, ma stiamo andando veramente lì o sono
soltanto le fantasie pessimistiche di Borzatta e Viganò?”.
Noi le abbiamo scritte sperando che rimangano solo fantasie pessimistiche.
Paolo Borzatta
Milano, 5 giugno 2000
Immaginare il futuro mondiale del 2030 è una sfida. L’abbiamo affrontata sui due fronti che ci
riguardano, quello macrocosmico del pianeta economico e quello miscocosmico della vita
individuale. A me è toccato questo aspetto che, in verità, è estremamente appassionante.
Cercare di intuire quali saranno gli aspetti psichici e affettivi dell’essere umano del futuro ha
rappresentato una bella riflessione sul passato e sul presente. Ho cercato di dimostrare che i miti
antichi sono ancora presenti, amore, morte, gelosia, affermazione di sé sono facce dell’uomo da
quando sono nati il pensiero e la consapevolezza e ancora funzionano. Il presente è un oggi che
perpetua e innova, in continua alternanza, un tempo difficile perché di trapasso. È cambiata la
comunicazione, l’etica, l’identità sessuale, e pensiamo che continueranno a modificarsi
velocemente. Ecco perché nel nostro mondo futuribile del 2030 gli uomini e le donne saranno altro
e medesimo nello stesso momento. Ma quale altro e quale medesimo? Nella storia del nostro
protagonista il domandarsi sarà l’opzione mai abbandonata. Ho cercato di tracciare caratteri
plausibili, appartenenti a culture differenti con tradizione lontane come quella cinese, che parlano
però la stessa lingua della tecnologia. Ho pensato anche che, sebbene indispensabile, la
tecnologia non debba disintegrare il cuore umano e che questo palpiti ancora, che le emozioni
tanto bistrattate e temute al presente possano essere recuperate in futuro in modo positivo. Spero
che questa idea vi piaccia.
Valeria Viganò
Roma, 8 giugno 2000
2
CAP 1: LE ORIGINI DELLA GLOBALIZZAZIONE “Ma poi che cosa è questa globalizzazione? Cazzo, ho voluto farci una tesi sopra, ma poi non so rispondere a questa domanda!”. Carlo è incazzato, anche se in realtà avrebbe dovuto essere felice perché dieci minuti prima anche il prof. Chen Qin Tai aveva dato il suo parere positivo alla tesi di Carlo: 'Alternative realistiche alla globalizzazione dell'economia: il caso Italia', con il sottotitolo fortemente accademico: 'Le ipotesi che non si sono realizzate e l'influenza del management a livello micro, dal punto di vista della teoria della complessità' . Ce ne aveva messo per convincere Chen Qin Tai1, suo professore e tutor a Shanghai, a farsi dare questa tesi. In teoria sarebbe dovuta bastare la decisione di Giulio Sartori2, il suo professore e tutor a Milano. Carlo non aveva ben capito perché, ma il parere del professore cinese aveva invece molto peso. L'ultimo triennio in Cina, anche se formalmente era solo uno scambio culturale, di fatto gli era subito sembrato, da piccoli segni e segnali, come il periodo chiave della sua carriera universitaria. Il potere di influenza della facoltà cinese era di gran lunga più elevato di quanto venisse dichiarato. Anche Zhou Li Sun, il pro-­‐rettore residente a Milano per ufficialmente prendersi cura degli studenti cinesi che venivano in Italia per un anno o due, era indicato dalla voce popolare come altrettanto potente (se non di più) del rettore italiano. Giulio Sartori aveva molto appoggiato Carlo ad affrontare il tema della globalizzazione come un 'case study' di antropologia moderna. Ma Chen Qin Tai aveva opposto molte obiezioni al fatto che si applicasse la teoria della complessità all'insieme completo delle ipotesi possibili di globalizzazione con un'analisi anche del livello micro, dando inoltre una forte priorità a un caso particolare: l'Italia. Globalizzazione e teoria della complessità Nel corso della storia umana la riduzione delle barriere geografiche e politiche ha sempre aumentato le possibilità di sviluppo (dei commerci, degli scambi culturali, ecc.), ma ha sempre anche aumentato la complessità del sistema. L’impero romano per la sua estensione, per la quantità dei suoi sudditi, per la sua eterogeneità, era molto più complesso di quanto lo fossero i regni, spesso ‘tribali’, che lo hanno seguito nell’alto medioevo. Quando un sistema, qualunque esso sia, aumenta la sua complessità sappiamo che si avvicina la caos. Ne uscirà per ‘cristalizzarsi’ in una configurazione (‘stato’3) con un sistema di ordinamento diverso da quello precedente. Può anche ‘congelarsi’ in una situazione molto meno complessa di quella di partenza. In altre parole, in questo caso, il sistema non regge il livello di complessità raggiunto, non trova una soluzione ordinatrice che permetta di reggere tale livello di complessità e così ‘decade’ in un sistema più semplice. Un esempio sono proprio i secoli bui seguiti all’impero romano. Quando negli anni ’90 del ventesimo secolo, la continua apertura del mondo a maggiori scambi e maggiori traffici, facilitata dai miglioramenti tecnologici nella comunizione e nei trasporti, ne aveva sicuramente aumentato la complessità, il sistema mondiale si è avvicinato al confine del caos. Secondo Carlo, nell’ipotesi di ricerca alla base della sua tesi, le configurazioni (gli ‘stati’) possibili (a parte quella avvenuta che lui vive) in cui si sarebbe potuto essere cristalizzato il mondo durante la transizione alla globalizzazione, avrebbero potuto essere molte. Lui ritiene che valga la pena di studiare tutti questi stati possibili. Carlo vuole anche cercare di capire a livello micro (ad esempio il livello della gestione delle aziende) quali meccanismi sono scattati 1 Professore di teoria dei sistemi complessi alla Jiao Tong University di Shanghai, distaccato alla facoltà di ingegneria gestionale dei sistemi complessi del Politecnico di Milano di Shanghai. 2 Professore di antropologia moderna alla facoltà di ingegneria dei sistemi complessi del politecnico di Milano. 3 Qui ‘stato’ non deve essre inteso come stato politico, ma come una delle configurazioni possibili del sistema. per far emergere lo ‘stato’ vincente. È poi vero, si chiede inoltre Carlo, che è avvenuta una cristallizzazione con un ordinamento superiore, come la scienza ufficiale dice, o si è ancora ‘on the edge of chaos’ vieppiù prossimi ad uno sconvolgimento planetario? Il motivo per cui Chen Qin Tai era contrario non gli è ancora chiaro. A parte questo, il non saper rispondere chiaramente alla domanda su che cosa sia la globalizzazione gli toglie parte del piacere di avere ottenuto la tesi che voleva. “Che cosa direbbe il nonno se fosse qui? Come definiva lui la globalizzazione? Da dove devo cominciare?” … “Nonno Luigi era così convinto che gli industriali italiani avrebbero potuto scegliere altre strade più coraggiose, ma anche più redditizie. Ed era stato così dispiaciuto vedendo che poi queste strade non erano strade scelte e queste non scelte avevano portato ad un lento declino dell'economia italiana. Se vedesse oggi che il suo nipotino si mette ad investigare sul che cosa si sarebbe potuto fare lo renderebbe sicuramente felice. Molto felice.” … “Ma come definiva lui la globalizzazione? Lui diceva che era uno stato della mente: chi vedeva il mondo come proprio territorio e chi vedeva due parti: il proprio mercato domestico e l' 'estero' .” … “Io ho sempre ragionato sull'ipotesi di lavoro che la globalizzazione, per usare una parola in auge agli inizi del millennio, sia stata il processo che ha portato molte aree economiche del mondo ad essere fortemente integrate e facilmente raggiungibili da qualunque azienda, grande o piccola che sia.” … “Ma questa è solo un'ipotesi di lavoro. Devo riuscire a darne una definizione più chiara e più caratterizzante.” … “In fin de conti il genere umano ha sempre cercato di espandersi. E' sufficiente questa tendenza all'espansione per caratterizzare un fenomeno macro socioeconomico che avrebbe, secondo quanto mi diceva il nonno, cambiato significativamente il panorama politico, economico e sociale dell'intero mondo?” … “Ecco, sarà bene partire dalla storia. Come diceva il nonno: è sempre bene partire dalla storia, per poi dimenticarla”. Appena arrivato nel suo appartamentino nella vecchia zona sud di Puxi, vicino alla pagoda Long Hua, Puxi e la pagoda Long Hua (La magnificente pagoda del dragone) Shanghai è tradizionalmente divisa in due parti dal fiume Pu che l’attraversa molto grossolanamente lungo Nord-­‐Sud. Puxi (Zona a ovest di Pu) e Pudong (Zona a est di Pu). Pudong è una zona relativamente più nuova, cominciata a costruire nel 1980 come zona moderna e di sviluppo della vecchia Shanghai, allora tutta localizzata a Puxi. A Pudong si trova il potentissimo centro finanziario della città che domina, alla pari di New York, i mercati finanziari del mondo. A Puxi, nella zona nord, si trova il centro politico attorno alla Piazza del Popolo. Nella zona sud di Puxi ci sono i vecchi quartieri popolari dell’epoca industriale. Si trovano appartamentini a basso prezzo e c’è ancora il sapore di vecchia Cina che tanto piace a Carlo. Sapore che in realtà sta sparendo perché la municipalità si Shanghai ha deciso di radere al suolo il quartiere Long Hua per costruirvi il nuovissimo centro politico-­‐economico che, per il livello di tecnologia e di lusso, dovrà essere il simbolo della supremazia politico economica che la Cina si è oramai conquistata. Il centro sarà costituito da tre enormi ziqquart alti 1770 metri l’uno immersi in un parco splendido di enormi proporzioni. Carlo si stravacca sul suo divano preferito, di fronte al muro proiettante. Mettendosi comodo dice. “Dai Ghigo4! Cominciamo una bella ricerca nel Grid5 sulla storia della globalizzazione!” 4 Ghigo: nome che Carlo ha dato al suo personal assistant computerizzato. 5 Grid: nuovo sistema di comunicazione a griglia che connette tutto il mondo. Versione molto più potente del Web che ha soppiantato nel 2012. Fu messo a punto al CERN di Ginevra, che vi cominciò a lavorare nel marzo del 2000 per il grande esperimento di collisione adronica (LHC) che richiedeva un’enorme potenza di calcolo raggiungibile solo con una rete di grandi computer. Il muro si illumina e mentre si forma l'immagine piena di nuvole rosa in movimento a spirale, che Carlo aborrisce, ma che Ghigo ama, Ghigo dice: “Carlo, vuoi una ricerca letterale sulla parola o una più ampia sul fenomeno, indipendentemente da come veniva chiamato?”. “No. La parola, me l'hai già detto quattro mesi fa, comparve per la prima volta, nella lingua inglese, nel 1944 con il significato di 'l'atto di rendere qualcosa globale in estensione o in applicazione' .” … “No, dimmi del fenomeno!” Sul muro proiettante compare un grande grafico delle cinque prospettive del fenomeno globalizzazione. Le cinque prospettive della globalizzazione 1. Prospettiva etnica: il panorama delle persone che danno vita al continuo mutare del mondo in cui vivono 2. Prospettiva tecnologica: la conkigurazione globale delle tecnologie che si muovono ad alta velocità attraverso barriere sempre meno elevate Prospettive della globalizzazione Organizzazione del lavoro locale e transazionale 3. Prospettiva kinanziaria: la griglia globale di trasferimenti di capitale e di speculazione valutaria 4. Prospettiva comunicazionale: la distribuzione delle capacità di produrre e disseminare informazioni compreso il grande repertorio di immagini e narrativa generato da queste capacità 5. Prospettiva ideologica: le ideologie degli stati e le contro-­‐ideologie dei movimenti attorno a cui gli stati nazione hanno organizzato le loro culture politiche Organizzazione politica degli stati locale e transnazionale Grafico basato sui concetti elaborati dall’antropologo Arjun Appadurai – Indiana University – Anni ’90 “Ghigo, quindi le cinque prospettive (etnica, tecnologica, finanziaria, comunicazionale e ideologica) si mescolano in modo complesso per determinare sia l'organizzazione del lavoro che quella politica degli stati nazionali sia a livello locale che transnazionale?” “Carlo, sai che sono stupido e che non so rispondere a domande di concetto.” “Scusami Ghigo. Che cosa sappiamo dell'evoluzione storica di queste dimensioni?” “Se si guarda alla globalizzazione in senso lato, sappiamo che è un istinto del genere umano. Da quando è comparso in Africa circa nel 7.000.000 a.C., l'uomo non ha fatto altro che spandersi per il mondo. Ha presto raggiunto la Mesopotamia e successivamente nel 1.000.000 a.C. ha raggiunto l'India e la Cina e poi l'Europa (500.000 a.C.). Nel 40.000 a.C. aveva cominciato ad espandersi in Oceania. Poi nel 10.000 a.C. ha raggiunto le Americhe. Dopo questa prima globalizzazione delle tribù di cacciatori-­‐raccoglitori (così allora era organizzata la società umana), sorgono (ca. 10.000 a.C.) le organizzazioni statali basate sull'agricoltura (in Mesopotamia e poi in Europa) che permettono l'accumulo di scorte e quindi di capitale per pagare scienziati e guerrieri. Gli scienziati creano la tecnologia, i guerrieri la sfruttano. Così negli ultimi tredicimila anni, le società umane, con superiorità tecnologica, si sono ri-­‐espanse in tutto il mondo, globalizzando di fatto (con la forza delle armi e della tecnologia) il modello organizzativo statale sorto in Mesopotamia e poi messo a punto in Europa. Tutte queste cose, Carlo, le trovi in un vecchio libro che ti avevo già citato: 'Armi, acciaio e malattie' scritto da Jared Diamond nel 1998 che gli fruttò un premio Pulitzer.” “Sì, lo so, me l'hai già detto e ho anche letto il libro. La mia proposta di tesi l'ho proprio basata su quel libro. Anzi adesso mi fai venire in mente che forse è proprio per questo motivo che il prof. Chen Qin Tai si opponeva alla mia tesi. Il governo cinese è sempre stato ufficialmente contrario alla teoria, sposata da Diamond, della nascita dell'uomo solo in Africa. Il governo cinese ha speso capitali per cercare prove della teoria dell'evoluzione simultanea, secondo la quale l'uomo è nato quasi contemporaneamente in Africa e in Cina6.” “OK, ci sono poi stati, Ghigo, altri grandi movimenti che si possano chiamare di globalizzazione?” “Sì Carlo. Un lavoro fondamentale dell'antropologo J. J. Clarke, pubblicato nel 2011 da Amazon Science Publishing House Inc., ha mostrato in modo convincente che fenomeni di globalizzazione sono stati presenti in modo ripetuto nel corso della storia del genere umano. Anzi Clarke ipotizza che ci sia un andamento ciclico molto marcato con oscillazioni tra forti movimenti di globalizzazione e forti movimenti di chiusura. Puoi pensare, Carlo, alla grande espansione di alcuni imperi dell'antichità che hanno comportato non solo l'espansione di una cultura forte in vastissimi territori, ma anche una forte liberalizzazione degli scambi e delle 'libertà politiche' . Pensa poi all'epoca delle grandi scoperte geografiche nel '400 e '500. Pensa infine all'epoca mercantilistica alla fine dell'ultimo millennio. L'Europa, in una larga accezione, non aveva praticamente barriere doganali all'interno e commerciava liberamente con tutto il mondo.” “Ma allora, Ghigo, che cazzo contraddistingue l'ultima ondata di globalizzazione, che ci ha portato a come siamo oggi, da quelle precedenti?” “Concettualmente niente. E' solo un fatto di salto isoquantico. In altre parole per la prima volta nella storia del genere umano l'intensità dei flussi di comunicazione e di scambio hanno raggiunto valori elevatissimi che influiscono in modo diretto su percentuali molto elevate delle popolazioni mondiali. Ovviamente c'è stato un forte incremento tecnologico, quando quarant'anni fa circa le telecomunicazioni sono state rivoluzionate dal basso costo della potenza di calcolo elettronico e della trasmissione ottica. Questo 'breakthrough' tecnologico diede origine a una prima versione molto primitiva del Grid: si chiamava Web.” “Ma allora, se nulla di nuovo c'è stato sotto il sole, perché il nonno dava una così grande importanza a 'quel' fenomeno di globalizzazione?” così pensa Carlo mentre dice a Ghigo: “Dai, sono stanco, basta con la ricerca. Fammi vedere come sta andando la partita Shanghai-­‐
Chongqing. Spero che il mio Shanghai glielo metta nel culo!”. Al momento che le due squadre si materializzano nel tele-­‐ologramma luminoso al centro della stanza, Carlo comincia a rilassarsi. In un balzo è davanti alle immagini tridimensionali dello stadio. Si infila velocemente le palline acustiche nei padiglioni delle orecchie e già se la gode. Lo speaker gli urla le formazioni, mentre gli spettatori simulati agitano le bandiere. Chi andrebbe più veramente allo stadio oggi? L'ultima volta che suo padre teneva le sue piccole mani da bambino mentre si faceva largo sugli spalti era la notte dei tempi. La notte ormai di un secolo andato e la notte vera perché i riflettori si erano rotti e tutti si erano fermati prima della gigantesca rissa che il buio propiziava, perché l'immunità garantita era l'ideale per quei tifosi di merda che si sprangavano alla cieca. Volavano seggiolini e luccicavano i coltelli mentre i giocatori alla rinfusa e a caso cercavano il tunnel degli spogliatoi. "La battaglia del secolo, Ghigo" Carlo si 6 Ci si riferisce qui soprattutto al ‘grande balzo in avanti’ (vedi J. Diamond, op. cit.) che avvenne circa 100.000-­‐
50.000 anni fa in Africa (probabilmente) e generò l’uomo dotato di linguaggio. rivolge istintivamente verso il suo più caro amico, che odiava le partite e si è addormentato in stand-­‐by. "La battaglia del secolo" sussurra di nuovo Carlo, " non so come ci siamo salvati il culo, ma quando ci siamo trovati fuori, mio padre ed io, respiravamo come due pescatori di perle, prima che non ce ne fossero più, né di perle né di pescatori naturalmente" La partita è appena cominciata in un boato quando Ghigo, con uno sbadiglio bofonchia "ehi, vieni qui, è arrivata posta". "Ci dò un'occhiata dopo, non distrarmi" "E' di Monica" Carlo emette un interminabile sospiro che press'a poco conteneva: la seccatura di essere disturbato, l'ansia di sapere cosa gli diceva, il peso della colpa che lui giustamente provava. Decide di aspettare l'intervallo della partita. Davanti ai suoi occhi ora c'è il viso di Monica che gli parla, gli occhi arrossati, il tono dolente. Dio quante volte l'ha vista in questo stato? Imbambolato aveva fissato i capelli biondi e lisci, gli occhi verdi e la dolcezza complessiva dei suoi tratti. La distanza li sta uccidendo. Hanno un bel dire che i punti del globo sono ormai indifferenziati. La lontananza, gli anni che sta passando in Cina a far finta che l'oriente è occidente perché certe regole sono uguali. Certo non è più Shakespeare e i suoi messaggeri a cavallo, ora Monica lo sta guardando e lui ha attivato la telecamera, così se vuole anche lei lo guarda. E' tutto un guardare e basta ormai, non si tocca, non si odora, questa è Shangai signori le puzze vengono spedite via, e tu Monica sei davvero altrove. Glielo sta dicendo, "esiste ancora un'altrove, amore". La parola amore gli esce tentennnante. Sa di essere colpevole, sa anche la colpa ma sente che non aveva altre scelte. Sta per raccontare a Monica i suoi dubbi, è la resa dei conti quando lo schermo si scompone dentro uno scroscio terribile del temporale che avvolge i grattacieli che vede dalla finestra della sua piccola casa di Puxi. Una cappa orrenda e una pioggia fittissima che non smetterà per giorni, ormai ci è abituato al clima così sgradevole. L'inverno gelido, l'estate caldissima e piovosa. Ghigo stabilisce la temperatura ideale dentro casa, stiamo da decenni adattando la natura a noi. E quella ci sputa in un occhio. Ha qualche minuto per pensare prima che Monica riappaia. Ma Monica non riappare più, ha staccato, ritirato collegamento e lettera, come se davvero l'avesse stracciata e buttata nel fuoco di un camino rinascimentale. Ghigo un giorno gli ha chiesto perché pensa sempre al passato remoto, a secoli di un millennio che è già fuggito. Carlo aveva risposto che sua madre l'aveva cresciuto così, nonostante suo padre e i suoi vizi, le sue droghe, il suo pensare che la vita è un soffio, il suo morire per una malattia che è stata la tragedia di due decenni e che oggi non esiste più. Non morirebbe più suo padre oggi, non sarebbe più punito della sua vita sregolata, come quello stronzo di prete aveva sentenziato, senza che nessuno lo richiedesse, al funerale. Carlo pensa che l'aids non c'è più e che le religioni invece si sono ingrandite come pavoni in parata. E se i musulmani sono metà della popolazione italiana, i cattolici sono metà continente africano. Belle migrazioni, pensa. Ogni volta che ci pensa Carlo fatica a comprendere come i cinesi facciano coesistere non solo due religioni, confucianesimo e taoismo, ma due modi di Confucianesimo Il confucianesimo è una scuola di pensiero filosofico assurta a culto religioso. Fu fondata da Confucio nel quarto secolo a.C. Il principio ordinatore dell’universo è l’armonia alla quale deve tendere l’uomo attraverso il culto del divino e degli antenati, il rispetto degli altri e dei superiori, la cultura e la pratica della virtù. La struttura sociale a cui fa riferimento è la famiglia e anche lo stato deve assumerne la forma. Sensibile alla gerarchia il confucianesimo dà all’imperatore il mandato celeste per governare secondo appunto il principio dell’armonia. Nella storia cinese si sviluppa durante la dinastia Han a cavallo del primo millennio dopo Cristo e basandosi sui Cinque Classici scritti da Confucio, perpetuò lo stato lo stato burocratico e gerarchico mantenendo lo status quo, tanto è vero che fu adottato e appoggiato dai poteri che governarono in Cina per tutta la durata dell’impero cinese. Fu osteggiato solo nel 1912 quando la rivoluzione nazionalista lo bandì. Ma è tuttora radicato nella società cinese. Taoismo Scuola filosofica cinese incentrata sul concetto del Tao (con anche il significato di Via), cioè dell’eterno divenire delle cose nell’alternanza di yin e yang, forze opposte ma inseparabili. Il taoismo si contrappone al confucianesimo che rappresenta il razionalismo, il giudizio, il senso etico, la ritualità rigida e sostiene invece la mente immaginativa e intuitiva, l’introspezione e la spontaneità in comunione con la natura. Il più famoso testo taoista è il Tao Te Ching, testo filosofico attribuito a Lao Tse. Il concetto del Tao sfugge per definizione. È l’eterno fluire e insieme unicità immutabile. Il Tao non chiede applicazione alla dottrina, ma continuo adattamento al divenire delle cose, e all’uomo si chiede di sentirsi parte di questo perenne movimento della vita che è rappresentato simbolicamente dal Tao stesso. intendere la vita. Guarda Ghigo che di nuovo sonnecchia. Si connetterà con Monica domani, prima, zanzare atomiche permettendo, deve incontrare qualcun altro. Adesso c'è il secondo tempo di Shanhgai-­‐Chongqing. Sono ancora 0-­‐0. CAP 2: L’EVOLUZIONE DELLA GLOBALIZZAZIONE “Carlo devo ordinare dell'altro per cena?”. Appena Ghigo parla, Carlo smette di consultare il suo e-­‐book 1 . Vi ha immagazzinato oltre 3700 testi e documenti sulla storia della globalizzazione, scaricati dal Grid e dalla libreria online del Poli2. Dice: “Scusami, mi ero distratto, non avevo finito di ordinare. Sì, voglio anche una mezza anatra di Pechino: assicurati però che l'anatra sia di quelle allevate apposta e che nel miele ci abbiano messo lo zenzero!” Armeggia ancora un po' con l'e-­‐book, solleva la testa con aria incazzata e dice ancora: “Ieri, Ghigo, sulla globalizzazione non me l'hai detta tutta. La transizione alla situazione attuale non è stata morbida: che mi dici di Seattle 1999?” “Carlo, sei tu che hai smesso, volevi vedere la partita Shanghai-­‐Chongqing.” … “Comunque Seattle 1999 è stato il momento di massima tensione nello sviluppo della globalizzazione così come la intendiamo oggi. In quell'anno c'era la riunione di apertura di un nuovo round di negoziazioni tra gli Stati del mondo per ulteriormente liberalizzare gli scambi mondiali e dare più potere all'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Molte organizzazioni di varia natura (ambientalisti, oppositori dei cibi transgenici, difensori dei consumatori, movimenti politici per la difesa del sud del mondo, ecc.) si coalizzarono con i rappresentanti dei paesi più poveri, che si sentivano manipolati dalle potenze egemoni (U.S.A., Europa, Giappone). Il tutto esplose in una forte protesta di piazza che di fatto mandò a pallino la riunione. L'analisi successiva degli eventi dimostrò che l'intera riunione era stata mal gestita dai paesi che avrebbero dovuto avere maggiori responsabilità e soprattutto maggiore considerazione, almeno psicologica, dei paesi meno forti. Inoltre un'approfondita ricerca successiva dimostrò che molte delle critiche erano infondate.” Gli effetti della globalizzazione Secondo l’articolo di S. Carruba “La globalizzazione aiuta (anche) i poveri” – pubblicato su Il Sole-­‐24 Ore del 5 maggio 2000 – basato sui risultati di una ricerca del Global Business Policy Council, della società di consulenza A.T. Kearney, che ha esaminato la performance di 34 Paesi nel periodo 1978-­‐1997. Come la ricerca risponde alle principali obiezioni dei manifestanti di Seattle contro la globalizzazione: La globalizzazione rende più poveri. FALSO: Negli anni esaminati, i Paesi che si sono globalizzati con maggiore energia (Argentina, Cile, Cina, Ungheria, Filippine) hanno avuto tassi di crescita del 7%. Quei Paesi con minor indice di globalizzazione (Egitto, Indonesia, Malaysia, Messico, Turchia) hanno avuto tassi di sviluppo minori di due o tre punti. 1 E-­‐book: libro elettronico con enorme capacità di immagazzinamento di testi. Sembra un normale libro in formato A5, è molto leggero e comodo. 2 Poli: nomignolo affettuoso dato dagli studenti al Politecnico di Milano. La globalizzazione penalizza la moneta. FALSO: I tassi di cambio nominali dei Paesi più globalizzati sono stati premiati dai mercati internazionali. La globalizzazione aumenta i divari di reddito. VERO: Nel periodo esaminato l’eguaglianza dei redditi si è deteriorata nei paesi che si sono più fortemente globalizzati. La globalizzazione condanna i più poveri. FALSO: Nonostante l’aumento del divario tra i redditi, gli effetti positivi dello sviluppo hanno più che compensato l’effetto negativo di una distribuzione meno equa. La globalizzazione ha ridotto il livello della povetà assoluta. Solo in Asia il livello di povertà assoluta si è ridotto del 60% e il 10% più povero della popolazione ha visto aumentare il reddito da 494 dollari a 785. La globalizzazione riduce gli spazi di libertà. FALSO: I paesi più globalizzati hanno visto espandersi in misura significativa le libertà politiche. La globalizzazione aumenta la corruzione. VERO: Nei Paesi più globalizzati la corruzione è cresciuta di oltre il 40%. [NdR: non è per caso che dove non c’è danaro e crescita non c’è òp strumento e il motivo per corrompere?]. La globalizzazione minaccia l’ambiente. VERO e FALSO: I Paesi più globalizzati riducono notevolmente l’inquinamento batterico delle acque, ma sul lungo periodo aumentano le emissioni dannose. La globalizzazione costringe apolitiche restrittive che penalizzano il Welfare. FALSO: I Paesi più globalizzati hanno, nel periodo esaminato, più che raddoppiato la spesa pubblica per sanità, alloggi, sicurezza sociale e istruzione. “Ma poi che successe dopo? Ghigo, prima di rispondere dai più luce alla stanza e sui muri cambia il panorama. Fammi vedere Seattle com'era a quei tempi.” Con la luce brillante di una tipica mattinata sulle coste settentrionali del Pacifico, compaiono sui muri le immagini di Seattle alla fine dell'ultimo secolo. Ghigo intanto continua: “La lezione fu imparata. Negli anni successivi i meccanismi decisionali di alcune organizzazioni transnazionali (WTO, Fondo Monetario, Banca Mondiale) vennero modificati, forse più nella forma che nella sostanza. Fu di fatto consolidata un'oligarchia Stati Uniti, Unione Europea e Giappone a cui si è poi aggiunta la Cina. Fu poi lanciata una grande campagna di pubbliche relazioni internazionali, guidata da Stati Uniti e Unione Europea, e dopo vari incontri intermedi, il round negoziale fu chiuso tra la soddisfazione di tutti nel 2004 a Johannesburg. I meccanismi decisionali erano stati più complessi e formalmente più 'democratici', ma le decisioni prese erano in linea con l'agenda di Seattle 1999.” … “D'altro canto il processo verso la globalizzazione era inarrestabile: troppi vantaggi economici derivavano a tutti.” “Allora, perché il nonno era così convinto che molto era cambiato?” “Carlo, non puoi chiedere a me quello che devi scoprire tu!” “Intanto, Ghigo, dimmi dell'Italia”. “Secondo il nonno il mondo, con la globalizzazione, era cambiato – non sapeva bene nemmeno lui se in meglio o in peggio – ma l'Italia non aveva saputo approfittarne. Dimmi quindi com'era la situazione dell'Italia all'alba del millennio e come è cambiata in questi trent'anni.” Per rispondere Ghigo sceglie una serie di grafici degli indici di competitività più significativi. Indici di competitività RANKING IN BASE AL PIL (PPP: Purchasing Power Parity) Il continuo differenziale di crescita ha fortemente penalizzato il posizionamento, in termini di ranking assoluto, dell’Italia. In altre parole il PIL dell’Italia ha sì continuato a crescere, ma sempre meno dei sistemi paese con cui compete. I media e la classe politica hanno sempre continuato ad accontentarsi di tassi si crescita positiva dicendo “Perché ci lamentiamo, in fin dei conti siamo bravi quasi quanto gli altri paesi”. Il problema è quel “quasi” che sull’arco di trent’anni ha pesato drammaticamente. RANKING IN BASE ALL’INDICE DI COMPETITIVITÀ IMD I problemi, mai risolti, di mancanza di infrastrutture, di corruzione elevata, di ambiente poco favorevole all’attività imprenditoriale, di ritardi nella giustizia (e altri) hanno inciso profondamente nella classifica di competitività stilata annualmente dall’IMD di Ginevra. INDICE DI COESIONE SOCIALE (IMD) La mancanza di un chairo “progetto paese” condiviso, con obiettivi sufficientemente condivisi sulla direzione da seguire hanno pesato sulla classifica IMD. NUMERO DI COMPUTER PER 1000 ABITANTI (WORLD BANK) L’arretratezza del sistema educativo italiano e la bassa propensione agli investimenti della classe imprenditoriale hanno pesantemente inciso sulla diffusione delle tecnologie avanzate facendo, di fatto, regredire l’Italia a confronto con gli altri paesi. Suona il campanello, Carlo apre. E' il ragazzino della rosticceria con l'anatra laccata. Carlo apparecchia e comincia a mangiare. L'anatra laccata è uno dei capolavori della cucina cinese e Carlo la adora. Le anatre sono allevate apposta per sviluppare una pelle delicata che poi, quando è cucinata, diventa croccante e viene servita all'interno di crespelle calde insieme a una speciale salsina e verdure fresche tagliate a fiammiferi. L'elemento che richiede arte è la laccatura: richiede una grande maestria in fase di stesura, di asciugatura (una notte intera) e soprattutto durante la cottura, quando non bisogna assolutamente forare la pelle delicata che è stata staccata dalla carne sottostante con una delicata e difficile soffiatura d'aria nell'intercapedine con la carne. Mentre golosamente divora le crespelle, guarda agli indici proiettati e dice: “Cazzo, che tonfo! Abbiamo perso su tutti i fronti. Ma, Ghigo, questo è un dato medio! Ci saranno dei settori o delle nicchie in cui siamo fortemente migliorati?” “La risposta purtroppo è no. Pensa che a fine millennio l'Italia era forte nei prodotti cosiddetti del 'made in Italy'. Abbiamo perso terreno anche lì. Le nostre aziende migliori sono state comperate da francesi, americani, tedeschi e perfino cinesi. Oggi nel settore della pelle, nel mondo, i leader sono i cinesi che hanno comperato tutte le nostre aziende migliori. Hai presente il caso Satchi vero?…”. Il caso Satchi “Satchi” è il marchio posseduto e sviluppato dalla “citi-­‐Tat Leather Co. Ltd”, una delle aziende create dal governi cinese negli anni ’80 per sviluppare l’industria leggera. Negli anni ’80 capisce con preveggenza l’importanze della distribuzione e costruisce in Cina, rapidamente e prima della concorrenza, una rete di negozi monomarca per vendere prodotti in pelle fatti in Cina, ma di stile italiano. Il successo è tale che in poco tempo l’azienda è molto ricca e si può permettere di comperare vero design italiano arrivando infine a commissionare ad aziende italiane prodotti fatti su suoi disegni e commercializzati in Cina con il marchio (così peraltro vero) “made in Italy”. Nel 2001 l’azienda va in borsa e diventa rapidamente una blue chip cinese. Dalla pelle, il marchio Satchi viene poi usato per lanciare anche prodotti di abbigliamento e una linea total look di abbigliamento sia femminile che maschile. All’inizio del millennio il marchio “Satchi” è molto forte. Nel 2009 acquista una piccola azienda italiana di calzature. Nel 2012 acquista varie aziende in Italia e in Francia. Nel 2024 diventa l’azienda leader mondiale, nella fascia media, di prodotti in pelle e abbigliamento. Ha 53 stabilimenti in vari paesi del mondo e gestisce il più affollato sito nel Grid per prodotti in pelle. Di fatto i suoi designer sono i trendsetter nei prodotti in pelle e in iperfibre non tessute. “Sì, l'ho presente…ma, Ghigo, l'Italia è ancora forte nelle piccole e medie aziende. Tutti ce le invidiano.” “Hai ragione, ma un dato interessante, che praticamente nessuno ha pubblicato, è il fatto che in questi ultimi trent'anni si sono formati centinaia di network internazionali di piccole e medie aziende riproducendo in modo virtuale i 'distretti industriali' che avevano caratterizzato l'Italia prima dell'economia digitale…” “Ghigo, ma questo lo sanno tutti! Non è vero che non l'ha pubblicato nessuno! L'ho visto perfino in un articolo su una rivista femminile che aveva scaricato Monica l'ultima volta che ero in Italia.” “Non mi hai lasciato finire! Tutti sanno, è vero, che le aziende italiane hanno formato centinaia di distretti virtuali globali. Quello che pochi sanno è che in questi distretti virtuali, nella stragrande maggioranza, c'è sempre un'azienda leader 'primus inter pares' che ha la 'guida strategica' del network. Nel 87,3% dei casi, l'azienda leader non è italiana, ma tedesca, giapponese o taiwanese.” “Oddio! Ma perché una debàcle così forte? Il nonno aveva proprio ragione.” “Carlo, questo non lo so. E' l'obiettivo della tua tesi.” Carlo pensa. Fa fatica a focalizzare la situazione. Quale è il cambiamento avvenuto negli ultimi trent'anni. Si tratta di andare indietro nel tempo, prima della sua nascita. Com'era il mondo nel 2000 e come è oggi nel 2030. Che cosa è cambiato?. Ci pensa un po', poi dice a Ghigo: “Adesso ti detto un rapportino. Il titolo è: 'Confronto tra la situazione geopolitica nel 2000 e nel 2030'”. Confronto tra la situazione geopolitica nel 2000 e nel 2030 2000 2030 Potenza egemone Potenza sfidante Potenza emergente Stati Uniti Stati Uniti d’America Stati Uniti d’America. Però fortemente attaccati dalla Cina. Europa Cina. Sfida gli Stati Uniti sia a livello politico che sociale. Unione Europea (15 stati) Seconda potenza economica (1° in termini di PPP-­‐
Purchasing Power Paruty). Poco potere politico e militare Italia Quinta potenza industriale mondiale. È sempre in ritardo e vista con sospetto dai propri partner. Riesce èerò a stare dietro al ‘gruppo’. Ha un forte potenziale a livello economico. Cina Paese con forte fierezza e determinazione per il futuro. Economicamente debole, anche se con grandi prospettive. Ha un chiaro desiderio di giocare il proprio ruolo di potenza regionale in Asia. Giappone Partner degli Stati Uniti. Debole a livello geopolitico. Sub-­‐continente in lentissimo affrancamento dalla povertà. India Cina Potenza militare Cina economica, politica e Sud-­‐est asiatico Paesi in forte crescita economica, con gravi ritardi politici. Australia e Oceania America Latina Aggregata ai paesi industrializzati Africa e Oriente L’Africa è il continente più in crisi. Di fatto in regresso rispetto al passato. Molte delle guerre aperte nel mondo Medio In lento progressivo miglioramento rispetto agli anni della disfatta economica. Sono ancora la potenza egemone. Hanno sempre problemi sociali gravi (violenza, crimine, sette religioni estremiste, ecc.) che non riescono a risolvere. Soprattutto non sono credibili come modello di riferimento per il futuro: in particolare l’estremismo religioso cristiano sta fortemente minando il tradizionale pragmatismo della scienza americana. (23 stati) L’Unione Europea ha proceduto nel suo processo di allargamento e di consolidamento e confina direttamente con la Russia. Non è però riuscita ad essere un serio concorrente economico e (soprattutto) politico degli Stati Uniti. È l’eterno secondo (anche se primo in termini di PPP) ed è anzi in via di scavalcamento da parte della Cina. Se l’Unione Europea giocasse bene le sue carte, potrebbe però essere il principale contendente della Cina in futuro: una diarchia Cina-­‐Unione Europea è un’opzione aperta. Però la debola politica estera europea non sembra in grado di sfruttare questa opzione. Salvo momenti di tensione, ha sempre giocato il ruolo di supporter degli Stati Uniti. È il fanalino di coda degli Stati fondatori dell’Unione Europea, davanti solo alla Grecia e a tutti gli stati co-­‐optati di recente nell’Unione. L’Italia è diventata il paradiso per le vacanze dei ricchi signori del mondo. La classe intellettuale italiana è migrata negli altri paesi europei, negli Stati Uniti o in Cina. Poi esiste la classe “produttiva” (i figli degli imprenditori dello storico “Nord-­‐Est”) dislocata a gestire fabbriche e prodotti (nei paesi della “cintura” attorno al mondo “più globale” del resto) oppure gli alberghi, di proprietà straniera, che gestiscono l’immane flusso turistico in Italia (tutto gestito da società di proprietà non italiana). La Cina (con HK, Macao e Taiwan) è oggi di fatto l’astro emergente. La dirigenza cinese è riuscita a compiere quello che aveva già fatto il Kuoming Tang a Taiwan: una transizione morbida alla democrazia. C’è già stata un’elezione democratica. Il loro modello economico, copiato dagli Stati Uniti, ha dato ottimi frutti. Il grande elemento vincente è stato invece il sistema sociale. La presenza di una “regola” (la tradizione confuciana) che impone il rispetto formale delle gerarchie, pur lasciando libero l’individuo di essere ciò che più crede nel “suo” mondo, ha permesso di superare gli scogli della transizione alla democrazia. L’influsso taoista ha invece plasmato il profondo pragmatismo (lasciare la natura esprimersi così come è) sia macro che micro. “Svizzera dell’Asia’. Debole a livello geopolitico Forte miglioramente rispetto alla situazione di inizio millennio. Però ancora troppo impegnata nello sviluppo per poter giocare un ruolo geopolitico. L’area si è molto sviluppata economicamente, ha però speso molte energie per gestire e risolvere, spesso in maniera insoddisfacente, i problemi della crescita politica. Aggregata ai paesi industrializzati È in progressivo miglioramento rispetto al 2000, ma è sempre impegnata in “riflessioni sul proprio ombelico” e non riesce ad esprimere un ruolo mondiale. La Spagna vi ha conquistato posizioni di assoluto rilievo e la utilizza come “propria” area di espansione. Anche gli Stati Uniti continuano ad avere un peso rilevante. L’Africa sta sviluppandosi a macchia di leopardo. Alcuni stati, sotto la leadership (protezione) del Sud Africa si stanno arrivando in un percorso virtuoso di crescita. Altri stati sono oramai distrutti e non se ne vede la possibilità di sanarli. Gli altri stati africani crecano di Russia sono localizzate qui. mettergli un cordone sanitario attorno. Il Medio Oriente dà qualche segnale di miglioramento rispetto agli anni del conflitto caldo con Israele. Non si vedono però sguardi di stabilizzazione. Paese con grandi potenzialità, ma ancora in subbuglio dopo il trauma della caduta dell’Unione Sovietica. I paesi musulmani sono in progressivo lento miglioramento attorno ad alcuni poli di “eccellenza”: Iran, Egitto, Algeria. Il rapporto religione-­‐società civile è in lento progressivo allentamento. È oramai nella situazione dell’America Latina nella seconda metà del secolo precedente: terra di conquista delle potenze straniere che hanno ottenuto, di fatto, dei capisaldi in Siberia, da cui possono esportare materie prime tramite la rotta (aperta con fondi e tecnologia occidentale) di nord-­‐est. Il paese non riesce ad esprimere il potenziale che ha anche se c’è ordine, imposto da una classe dirigente autocratica finanziaria (dietro le quinte) dalla corruzione, dalla criminalità organizzata e dall’occidente. Quando ha finito di dettare dice: “Ghigo manda tutto questo al professor Sartori. Prima di mandarlo tirami fuori un po' di dati sulla situazione politico ed economica dei blocchi mondiali nel 2000 e nel 2029. Voglio supportare le mie conclusioni con qualche dato. Li guarderò stasera. Adesso vado fuori.” Mentre apre la porta per uscire si ferma e dice: “Ghigo, mi stavo dimenticando il biglietto di accompagnamento. Eccolo: 'Caro Prof. Sartori, ho cominciato a buttare giù alcune idee per la mia tesi, Le allego l'ipersintesi della mia visione geopolitica. Vorrei sapere da Lei se sono sulla strada giusta. Se sì, Le invierò poi il documento completo del 1° capitolo. Grazie, con stima…' E fuori pioveva a dirotto. Mentre percorre a grandi passi , quasi voglia fendere e liberare le piccole e sconnesse vie di Puxi, Carlo sente un inebriamento che la pioggia, tamburellando sui suoi vestiti perfettamente impermeabili, contribuisce a ingigantire. Gli sembra di sfidare le ingiurie di un tempo infame per arrivare alla meta. Avrebbe potuto prendere un taxi elettrico, di quelli non inquinanti autorizzati a entrare a Puxi, ma camminare gli faceva bene. Gli si affollano nella testa pensieri, e ridacchia tra sé per la definizione, globali. La sua tesi lo preoccupa, come lo agita Monica e gli anni che sta spendendo in Cina. L'aspetto culturale della faccenda, che sembra il più ininfluente, acquista sempre maggior peso. Anche nelle faccende di cuore. L'altro da sé, nella globalizzazione diventa la rappresentazione dell'altrove, che noi viviamo tanto facilmente ora, come se tutto fosse un enorme pentolone ribollente. Lui ci riflette perché sta andando a trovare l'altro da sé, l'uomo che ha conosciuto tramite Sheng E Mei. La storia, fa due conti, è inevitabilmente iniziata quando lui aveva messo piede qui. Ora la vive perché sente che gli è indispensabile capire. In fondo forse questa è la vera tesi, questa la ricerca. Capire, comprendere, esperire. Suo padre che era inguaribilmente romantico nella sua devastazione da tossico, gli aveva letto quando era neanche adolescente una poesia di un poeta greco. Itaca Quando ti metterai in viaggio per Itaca Devi augurarti che la strada sia lunga Fertile in avventure ed esperienze. O la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo Né nell’irato Nettuno incapperai Se non li porti dentro Se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti Quando nei porti -­‐finalmente e con gioia-­‐ Toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti di ogni sorta, più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca Raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Costantino Kavafis No, non quei greci antichi, uno più moderno, quasi del secolo scorso. Si chiamava Costantino Kavafis. Kavafis Costantino Kavafis nasce ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863 e vi muore il 29 aprile 1933. Trascorre l’infanzia in Inghilterra e poi ritorna a Alessandria dove impara la lingua materna, il greco, che userà nella sua scrittura. Vive per un periodo a Parigi e due anni a Costantinopoli. Ritorna nuovamente ad Alessandria da dove non si muoverà più. Per tutta la vita ricopre un incarico ministeriale e passa in ufficio molte ore della sua giornata. Scrive poesie ma non le pubblicherà mai in un libro. Escono quaderni che fa stampare lui stesso, che contengono poche poesie alla volta, e solo dopo la sua morte l’opera verrà riunita e data alle stampe. Infatti Carlo, di secondo nome, fa Costantino. Gliela aveva letta in uno dei rari momenti lucidi che passava con il figlio. Demandava ai poeti la trasmissione di un concetto e di un'idea. Kavafis non era il primo e non era l'ultimo. Però a pensarci bene, a Carlo Costantino sono rimaste impresse quelle poesie e anche i nomi dei poeti. Una summa succinta di filosofia, l'unica che suo padre fosse stato in grado di organizzare per lui. In realtà Carlo ha sempre avuto chiaro quanto suo padre, a differenza di suo nonno, fosse fuori dalla realtà e dal suo tempo. Cominciava allora, partendo dai due decenni finali del millennio trascorso, un impercettibile cambiamento nelle relazioni del mondo occidentale avanzato. Lentamente una caratteristica più netta delle altre aveva preso il sopravvento, e tutti quelli che volevano sfondare in un campo o nell'altro la applicavano vedendo quali risultati effettivi producesse. “Alle prese con un'accurata anestesia del dolore”, suo padre parlava mentre si fumava l'eroina e gli occhi si appesantivano, “gli uomini e le donne, perché tua madre era proprio di quel genere, avevano trovato un farmaco straordinario.” Poi alzava lo sguardo verso la finestra che dava sulla corte piena di gerani: “Il cinismo” . “Poi, secondo un rituale consolidato, fissava Carlo, che non aveva più di sei anni, se lo tirava vicino e gli sussurrava con un'espressione amara che lui ricorda benissimo, una specie di smorfia contorta, “A me quel farmaco provoca un rigetto, mi fa male insomma, il mio corpo non lo vuole” Carlo rimaneva paralizzato, come tutti i bambini che non capiscono davvero una cosa ma capiscono che è importante. Ne sentono il peso senza saperne il significato. Le parole del suo squinternato e indifeso padre gli sono rimbombate a lungo anche dopo che è morto. E mettendo insieme le lettere non per pensiero analogico ma per suono, riproduce spesso quelle frasi famose anche oggi. Una poi l'ha scannerizzata da un manoscritto trovato tra gli appunti del padre, l'ha affidata a Ghigo e gli chiede di proiettarla ogni volta che questa faccenda della globalizzazione lo induce a un tecnicismo esasperato e le teorie economiche che studia come un matto lo spingono in un mondo matematico. E quando i suoi colleghi italiani, rimasti a Milano, non gli mandano altro che grafici. E Monica, nella sua solida tradizione borghese non gli sottolinea, asfissiandolo, tutti i modi formali che Carlo dovrebbe rispettare, e tutti i desideri ancora evidentemente in auge, di voler costituire un nucleo famigliare come fosse un'azienda. Ecco, allora lui si ferma, mentre la pioggia, proprio come ora, gli vela lo sguardo e si siede in poltrona e dice solo Ghigo per favore… E Ghigo lo accontenta, sospirando: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende”. Blaise Pascal La celebre frase è stata scritta dal filosofo francese Blaise Pascal nel libro “Pensieri” (edizioni Einaudi) e più precisamente nel capitolo “Le ragioni del cuore”. Pascal nascque il 19 giugno 1623 a Clermont nell’Auvergne. Fu matematico, filosofo e scrittore. Orfano di madre fu cresciuto dal padre, frequentando i migliori milieu culturali parigini. Fin da piccolo rivelò grandi doti: a undici anni compone un trattato di acustica, a sedici un saggio sulle coniche e più tardi progetta una macchina calcolatrice. A Parigi dove abitò con la sorella incontra Cartesio. I due ovviamente non si capiscono, antitetiche sono le loro posizioni filosofiche, soprattutto riguardi alla concezione del vuoto, argomento che sarà oggetto di altri studi pascaliani. A parigi frequenta anche ambienti e amici particolarmente disinibiti e si da alla bella vita, ma nel 1654 ha un incidente sul ponte di Neully e la sua vita cambia. Decide di ritirarsi a Port Royal, dove già viveva con la sorella. L’aspetto sacro e religioso prende il sopravvento nella sua visione morale della vita ma il filosofo non dimentica di essere anche scienziato e continua a occuparsi di fisica e matematica. Pubblica le Lettere Provinciali e gli Scritti sulla grazia, nel primo attaccando i Gesuiti, nel secodno mostrando forti influenze gianseniste. Decide di scrivere una Apologia della religione cristiana e si batte strenuamente per difendere il Giansenismo dagli attacchi dei poteri ecclesistici e lottando sempre contro di essi. Purtroppo la salute cagionevole palesatasi fin dall’infanzia, non gli lascia scampo e Pascal muore di tumore nel 1662. L’Apologia verrà pubblicata postuma con il nome di “Pensieri”. Dopo aver attraversato il futuro di Shanghai e il parco di Long Hua, Carlo sale i gradini che conducono alla dimora di Fang Wen Bin. L'amico nippo-­‐cinese la chiama così, un luogo dove dimorare, di sosta apparente nell'eterno fluire. Davanti alla grande vetrata appena ombrata da una magnolia che riposa su di un giardino di sabbia a cerchi concentrici destinati a confondersi e sgranarsi nella pioggia che batte costante, Fang Wen Bin lo sta aspettando a braccia conserte. Il suo sorriso è accogliente e accorto, comprensivo e tagliente, forse semplicemente felice. Ma questo Carlo non lo può sapere, tutto ciò che si crede di sapere degli altri è vano, insostanziale. Quando entra nella grande sala e i suoi piedi smettono di scricchiolare sul legno, fermandosi in attesa di un saluto, Fang Wen Bin abbassa il, capo. Carlo fa un passo e saluta con un inchino. La pioggia scema, lunghi rivoli scendono ancora sui vetri. Fang non ha bisogno di paesaggi scelti al computer. La vista dalla collina arriva al fiume. Un raggio obliquo schiarisce la stanza e ritaglia sul pavimento l'ombra dei due uomini. Fang prende una vestaglia e la porge a Carlo. Poi si rimette la sua e i due siedono, l'uno di fronte all'altro su morbidi cuscini, vestiti dell'identica vestaglia rosso fuoco. “Sono mortalmente inquieto Lao3. Fang, e l'aria di Shanghai non mi aiuta.” Esordisce Carlo, senza mezzi termini. Non ha paura di esprimere subito i concetti e le sensazioni che lo investono, e neanche Fang ha paura di parlare. Non ci sono formalismi tra loro, Fang ama il rituale che non intacca la sostanza “Shanghai è febbrilmente ammalata di modernità, Carlo. Per questo hai scelto di viverci. Non ti lamentare quindi” gli replica Fang. “Ma Shanghai è fatta di tante cose per me, cerca di capire! Ho mille dubbi perché ho lasciato qualcosa in Italia e il mio pensiero corre là. Tra poco ci torno e tremo all'idea di cosa troverò, di come sarà mia madre, se sarà invecchiata nonostante la plastica completa che mi ha annunciato. Ogni volta che la incontro, ogni volta Lao Fang, i tratti della sua faccia sono cambiati, nonostante che la cura genica la mantenga comunque giovane. Una volta è la bocca, un'altra gli occhi, poi il collo, i seni. E la madre che mi sorride non ha più quel bel naso aquilino che faceva impazzire papà, né i capelli che mi facevano il solletico quando mi dava il bacio della buonanotte. Lao Fang, la gente si trasforma vivendo e cancella i segni del vivere”. Fang scuote la testa “Irreversibile amico mio.” E, dopo una pausa, “Lo farai anche tu, lo farai quando vorrai ancora conquistare una nuova E Mei, di vent'anni più giovane. Perché il valore vero sarà l'integrità, della verginità abbiamo perso le tracce. Il valore aggiunto sarà l'essere inviolate dal laser. Non dal pene di un uomo.” “Anche Monica l'ha fatto. Invece di un giorno, come nei beautycenter cinesi, ce ne ha impiegati tre, perché sai l'Italia è sempre ultima. Chi avrò davanti? Chi mi bacerà con tanto trasporto, eh?” Delle volte Carlo non accetta le semplici verità di Fang. Per questo si amano, per questo ritorna a trovarlo appena può, per questo adora passare le sere a giocare a W. W W è un gioco basato sulle parole, discendente dell’antico Scarabeo. Si gioca su un flat screen comune per i due giocatori. Lettera dopo lettera, due o più contendenti cercano di comporre 3 Lao: attributo affettuoso che un amico giovane riserva a un amico più anziano (letteralmente significa ‘vecchio’). Un amico più anziano invece chiama Xiao (‘piccolo’) un amico più giovane. parole che appaiono soltante nel dizionario delle lingue in disuso. Ogni giocatore pone una lettera, cercando di depositare o interrompere la costruzione di una o più parole abitualmente concatenate da parte dell’avversario, e nel contempo cerca di realizzarne una lui. In flat screen propone molti trabocchetti lungo la strada. Scomparsa di vocali, immagini al posto delle lettere, tranelli linguistici. Vince la partita chi riesce a comporre la parola prescelta e comunicata solo al flat screen. Le parole devono essere almeno di otto lettere. Si può giocare in inglese o con ideogrammi cinese: in quest’ultimo caso si lavora su un ideogramma complesso e al posto delle lettere si usano i tratti componenti l’ideogramma. Con lui. Sono 170 a 164 ormai, e Carlo sta rimontando Fang. Oggi ha l'occasione per superarlo, e l'amico cinese ha già sistemato il flat screen tra loro. Fang si alza, ha già parlato troppo per oggi. Il silenzio cinese tocca in lui i suoi apici. Carlo capisce che la sua stupida conversazione sull'estetica è conclusa. “Dai, cominciamo” dice a Fang. CAP 3: MA CHE COSA È LA GLOBALIZZAZIONE PER UNA AZIENDA “Carlo, c'è una lettera dal prof. Sartori”, dice Ghighino1 svegliandosi, “che ne faccio?” Carlo sta guardando il Bund. L'ha già fatto centinaia di volte. Ogni volta che ci passa, il vento carico di umanità al lavoro e di umido del fiume, insieme alla vista dei grattacieli di Pudong, gli danno una carica di energia che solo lì, a Shanghai, sul Bund, riesce a ottenere. Ben diverso da Milano. Quando passeggia con Monica, sui Navigli, è invece preso da un senso di calma assoluta con un po' il sapore della convinzione dell'impotenza. Curioso, forse un po' seccato, ma con energia, dice a Ghighino “Dai, leggimela!”. 'Caro Bordone, ho ricevuto il suo messaggio con la breve nota riassuntiva. Anche se non ho nulla da obiettare sul contenuto, sono un po' deluso. Come primo assaggio della sua tesi, lei mi manda uno stiracchiatissimo riassunto, un po' banale, della situazione geopolitica attuale. Mi aspettavo un preludio che andasse diritto al cuore del problema. Quali sono le variabili da analizzare per capire l'arretramento dell'Italia negli ultimi trent'anni di processo di globalizzazione? E' giusto operare a livello macro2 o occorre invece cercare le cause a livello micro3. Questo è il tema su cui lei deve esercitarsi innanzitutto. Un caro saluto, Giulio Sartori' “Più tardi con E Mei non devo sfogarmi, anche se sono incazzato.” -­‐ pensa Carlo -­‐ “Questa è la tipica situazione che lei odia. Quando mi faccio riprendere da un superiore. Per lei è un sintomo di debolezza. Ma che cosa vuole il prof. Sartori? Ho iniziato da pochi giorni e già vuole che mi butti sui temi più difficili. E' sempre stato così. Mi ha sempre spronato a fare le cose difficili subito. E poi, se non ho chiaro il contesto macro, come faccio a capire il micro?” In realtà Carlo è un po' incazzato con sé stesso: sa benissimo che un riassunto della situazione geopolitica è un po' banale. D'altro canto il decidere a quale livello operare gli è difficile. Intanto dice: “Ghighino, per quando arrivo a casa, stasera, fammi trovare un po' di materiale sulla situazione delle aziende italiane durante il processo di globalizzazione. Ah, poi manda un messaggio di ricevuto al prof. Sartori.” Poi, come sempre in questi casi, ritorna con il pensiero a nonno Luigi e a quello che diceva. In fin dei conti questa tesi è un atto di omaggio al tanto amato nonno. “Lui diceva sempre che lo spartiacque tra aziende che hanno capito la globalizzazione e quelle che non l'hanno è prevalentemente un fatto mentale: un diverso stato della mente. Chi ha capito la globalizzazione sa vedere il mondo dall'alto, senza più la dicotomia 'domestico-­‐
estero'. Una sorta di 'noi' (quelli del mercato domestico) e 'loro' (quelli del mercato 'estero').” “In fin dei conti – pensa Carlo – è così anche per le singole persone. Quando diciamo che uno è 'globale' è perché sa vivere dappertutto nel mondo e non ha remore di fronte al diverso: per lui qualunque posto è il suo territorio.” “Ma che cosa è che fa scattare questa diversa posizione? Nelle persone è un fatto di educazione aperta, cultura, mancanza di timore…ma nelle aziende? Quindici anni fa ha avuto successo il libro di Van Kolbius sull'influenza del leader sulla cultura aziendale. Ma è proprio vero che solo il leader fa la differenza? L'approccio sistemico non accetta questa posizione. L'azienda è un sistema complesso immerso in un sistema ancor più complesso. Non può 1 Ghighino: il personal assistant (computer molecolare) di Carlo impiantato nel suo orecchio destro. 2 Macro: a livello dell’intero sistema Italia, inserito o meno nell’intero contesto geopolitico. 3 Micro: a livello delle aziende o delle singole persone. essere solo una variabile, il leader e la sua leadership, a fare la differenza. D'altro canto anche la recente tendenza alle diarchie è una prova del fatto che il mito vankolbiusiano del 'leader maximo' non è proprio una cosa certa.” Diarchia In molte grandi aziende, soprattutto quelle più di successo, cha hanno saputo affrontare elevati livelli di complessità, le principali responsabilità sono affidate non a singole persone, ma a coppie di manager. I due manager, in coppia, condividono esattamente la stessa responsabilità e sono puniti/premiati, in modo uguale, per la loro congiunta risposta agli obiettivi o missione assegnata. Questo comporta, a livello operativo, che i due membri della coppia condividono, in modi solo da loro determinati, tutte le decisioni che prendono. La principale difficoltà di questa soluzione organizzativa risiede ovviamente nel far funzionare all’unisono due personalità diverse. Il principale vantaggio risiede nella possibilità di mescolare sinergicamente competenze e abilità complementari producendo un profilo complessivo di competenze e di attitudini psicologiche che sarebbe altrimenti molto difficile trovare in una persona sola. Questa tendenza si è affermata sempre di più in Cina e negli Stati Uniti a partire dal 2016. Si deve però dire che già nel 1997, Marvin Bower, il mitico (quasi) fondatore della più prestigiosa società di consulenza di managemente alla fine del XX secolo, la McKinsey & Company, aveva ampiamente teorizzato (proponendo anche ‘leadership teams’ con più di due persone) questa soluzione organizzativa e l’aveva descritta nel suo libro ‘The Wild to Lead’. Inoltre questa soluzione organizzatuìiva era stata pioneristicamente sperimentata dalla stessa McKinsey e da altre importanti corporations come Goldman Sachs e The Royal Dutch/Shell Group. Intanto Carlo è arrivato alla 'vecchia città cinese' dove deve incontrare E Mei. La ‘Vecchia Città Cinese’ a Shanghai Nei tempi delle concessioni straniere, a Shanghai, nella zona di Puxi (dove abitavano gli inglesi, i francesi e gli altri stranieri), i cinesi erano confinati in un piccolo quartiere circondato d amura che venivano chiuse di notte. Il quartiere, dopo la nascita della Repubblica Popolare Cinese, era diventato un punto di attrazione dei turisti per le sue stradine caratteristiche (con sapore di ‘vecchia Cina’ per gli stranieri) e per alcuni monumenti come il giardino del Mandarino Yu. Dopo il 1980, al crescere dei flussi di turisti, il governo municipale aveva cominciato a bonificare il quartiere che era, sia per l’età che per la povertà dei manufatti, oramai in uno stato miserevole. La bonifica aveva comportato la distruzione e la ricostruzione della maggior parte degli edifici. Il governo municipale aveva però avuto cura di ricostruire gli edifici esattamente come erano. Anzi si era calcata un po’ la mano nel riprodurre l’immagine di ‘vecchia Cina’ secondo l’immaginario dei turisti stranieri. Nel tempo il quartiere era diventati sempre più un theme park per divertimento riproducente la vita nella Cna del passato. Nel 2007 un forte investimento di un ricco cinese espatriato aveva permesso di installare impianti per la riproduzione virtuale, in scala 1:1, della vita del passato. A partire da questo momento il quartuere era diventato una delle realizzazioni più innovative, a livello mondiale, di parco di divertimenti per adulti. Nel 2030 nella ‘vecchia città cinese’ era possibile fare di tutto in qualche modo collegato alla vita nella Cina del passato. Il massimo della raffinatezza, per i clienti più ricchi, consisteva nel vivere nella (riproduzione) casa del Mandarino Yu come si viveva in Cina all’epoca della dinastia Ming (1368-­‐1644 d.C.). dall’abbigliamento, agli oggetti, al cibo, al ritmo della giornata, tutto concorreva a riprodurre la situazione dell’epoca. Imponenti realizzazioni virtuali riproducevano anche la vista dalle finestre e i rumori. Tutto era interattivo e la parvenza di realtà assoluta. Ad esempio si poteva colloquiare (praticamente in ogni lingua) con i passanti virtuali sulla strada virtuale che si vedeva attraverso le finestre oltre le quali prendevano vira ologrammi tridimensionali. Questo parco di divertimenti un po' lo attrae per i meccanismi sofisticati di riproduzione puntigliosa dell'ambiente di centinaia di anni prima e un po' lo respinge per la sua irrealtà. E Mei cita sempre Confucio4: 'Colui che mette in pratica gli antichi insegnamenti e, ciò facendo, ne impara di nuovi può considerarsi maestro'. Carlo non ha mai capito se E Mei dica sul serio o no. Mentre aspetta E Mei, pregustando il suo sguardo apparentemente timido, ma pieno di intensissima passione, Carlo continua a riflettere sul perché un'azienda diventa veramente globale secondo la definizione del nonno. “Innanzitutto – pensa Carlo – non percepire la dicotomia 'domestico-­‐estero' significa sentirsi in grado di competere ovunque o quantomeno di avere le competenze e le capacità per mettersi in condizione, imparando e migliorandosi, di competere su tutti i mercati geografici in concorrenza con i migliori competitori mondiali. Questo significa che l'azienda ha di fatto accettato la sfida e vuole avere prodotti e servizi di livello qualitativo molto elevato. Significa anche che l'azienda non vuole solo sfruttare una asimmetria5 del mercato per volgerla a proprio vantaggio. Non ha cioè una mentalità meschina di puro sfruttamento di una posizione di rendita. E' indubbio che il leader (o la leadership) conta, ma ci sono in gioco anche altri fattori: le competenza aziendali (degli uomini e dei meccanismi operativi6) che permettono di fare prodotti o servizi altamente competitivi, la “cultura” dell'azienda che premia la qualità e la capacità di “ascoltare” chiunque nell'organizzazione aziendale, la capacità diffusa a tutti i livelli di innovare e forse molti altri. Tutti questi fattori sono importanti per misurarsi con tutti i concorrenti globali.” “Carlo! Hai avuto notizie dal prof. Sartori?” Come tutti i cinesi, E Mei si annuncia con una domanda. Solo che non è lì in persona. E' in comunicazione telefonica attraverso Ghighino. “Scusami sono impegnatissima, non sono riuscita a venire. Dai, ti prego, raggiungimi in ufficio fra mezz'ora, così finisco una presentazione.” Carlo interrompe i suoi pensieri un po' stranito. Stranito perché un po' era soprapensiero e un po' perché è sempre meravigliato dalla capacità di E Mei (delle donne cinesi forse) di andare subito sui temi caldi. E lui che non voleva parlargliene. Stranito, ma anche dispiaciuto perché già si immaginava E Mei con la delicatezza dei suoi lineamenti e della sua pelle. E la sua vita così sottile, che lui già pensava di stringere per attirala a sé per salutarla. Poi un po' di malavoglia: “OK, vengo a prenderti, mi spiace però avevo voglia di vederti adesso, non fra mezz'ora!” “Dai, Carlo, non arrabbiarti.” Dice E Mei dolcissima e Carlo non sa mai se crederle o no. Poi E Mei, senza demordere, ma con tono di chi si prende cura di te, continua: “Ma Sartori l'hai sentito o no?” 4 Confucio “Dialoghi” n.27 5 Asimmetria: termine tecnico per indicare che una parte degli operatori sul mercato a cui ci si riferisce non conosce tutto ciò che conoscono gli altri. Questa mancanza di conoscenza si può sfruttare a proprio vantaggio. Ad esempio un venditore di macchine usate conosce molto di più dell’eventuale acquirente (che è quindi in una condizione asimmetrica rispetto al venditore) i difetti delle macchine che vende. Nascondendoli opportunamente, il venditore puà vendere a un prezzo che altrimenti non spunterebbe. 6 Meccanismi operativi: tutti quei modi di operare (procedure, regolamenti, sistemi informativi e informatici, ecc.) codificati e non che “fanno funzionare” l’azienda facilitando e guidando prevalentemente le comunicazioni tra le persone e le unità organizzative. “Sì, il prof. Sartori mi ha scritto. E' stato un po' vago e mi sprona ad andare più in fretta al cuore del problema.” Mentisce un po' Carlo, ma non riesce ad evitare una sensazione di disappunto nel respiro di E Mei. Lei vorrebbe che lui fosse sempre il primo e non sbagliasse mai. Per questo, per punirla un po' del suo disappunto, dicendole “Scusami, ho un'idea” si rivolge a Ghighino: “Nel materiale che stai raccogliendo inserisci anche dei casi di aziende italiane che hanno avuto successo a livello globale. Stasera ci dò un'occhiata. Così posso decidere se andare in Italia a fare un po' di interviste alla sede centrale di queste aziende. Tanto è più facile riuscire a parlare di persona con qualche amministratore delegato piuttosto che averli in teleconferenza.” E Mei, colpita nel segno, si è subito rabbuiata: ha intravisto lo spettro di Monica. “Carlo, che cosa intendi per successo delle aziende che devo cercare?” dice intanto Ghighino, togliendo un po' a Carlo la soddisfazione di aver messo lui in difficoltà E Mei. “Hai ragione Ghighino. Se hanno avuto successo o no è un giudizio che spetta a me. Sceglimi aziende che negli ultimi 10 anni si siano espanse in almeno 50 nuovi mercati geografici e che abbiano avuto tassi di crescita superiore al 20% annuo negli ultimi 5 anni. Ovviamente la redditività deve essere a posto, con un ROI7, diciamo, maggiore del 15%. Cerca anche di raccogliere dati sul fatto che abbiano un'organizzazione local, multilocal o global. Local, Multilocal, Global Le principali strutture organizzative che un’azienda può prendere, in relazione al suo modo di operare all’esterno, sono riconducibili a tre grandi classi: ‘Local’, ‘Multilocal’, ‘Global’. LOCAL È la struttura organizzativa assunta dalle aziende che operano essenzialmente a livello locale. La struttura non presenta particolari differenziazioni per diverse aree geografiche, tranne che all’interno delle funzioni a contatto con il cliente (commerciale, logistica, servizio) che possono essere strutturate per aree di responsabilità geografiche (ad es.: Nord-­‐ovest, Nord-­‐est, centro Sud e Isole). Può, in alcuni casi, avere una direzione ‘Estero’ per le vendite al di fuori del mercato domestico. MULTILOCAL È la struttura organizzativa assunta dalle aziende che operano su molti mercati geografici nel caso in cui, però, la presenza sui singoli mercati geografici è ‘a sé stante’. In altre parole ogni mercato è trattato come un singolo mercato locale e si sfruttano poco le sinergie tra i avri mercati geografici. 7 ROI: Return On Investment = redditività di tutto il capitale impiegato.
Mercato 6 Mercato 1 Mercato 5 Mercato 2 Mercato 4 Mercato 3 GLOBAL Le aziende che hanno una mentalità veramente globale, anche senza essere presenti su tutti i mercati del mondo, si danno una struttura molto complessa, a rete. In ogni mercato su cui si è presenti ci si organizza in funzione del ruolo che si vuole avere: puramente commerciale, commerciale e produttivo, produttivo, ricerca e svilupo, ecc. Ogni unità è poi collegata a tutte le altre contribuendo in modo sinergico alla presenza sui vari mercati locali. Mercato 6 Mercato 1 Mercato 5 Mercato 2 Mercato 4 Mercato 3 Dai, lavora e non rompere più, devo andare da E Mei.” Poi rivolgendosi a E Mei: “Finisci in fretta, sto arrivando.” Spesso, quando in realtà il suo cervello è trapassato dalle emozioni, Carlo cammina per questa città, estesa in verticale, contando i grattacieli che vengono su come funghi. Una nuova avveniristica torre obliqua spunta dietro le altre e lui non fa altro che immaginarsela piena di uomini e donne che dalla loro postazioni alla consolle, in uffici popolati come alveari, entrano facilmente nelle vite altrui, semplicemente esistendo. Ogni volta che alza gli occhi dalla casa di Fang Wen Bin, osserva dalle finestre sulla collina gli enormi ricettacoli a specchio. Bateson aveva ragione e con lui tutti quelli che dicevano, molti anni fa, che un battito d'ali in un continente può provocare un terremoto dall'altro capo del mondo. Ogni piccola azione di un omuncolo che prende l'ascensore pneumatico e percorre lunghi corridoi di moquette e accende il suo computer, si ripercuote sul resto del mondo. Carlo era un ragazzino ma aveva capito subito che c'era della lungimiranza in Bateson. Un piede dopo l'altro si avvicina a Mei. Cammina perché gli piace e non usa, appena può, né la metropolitana monorotaia, né i taxi volanti. Cammina perché ha miracolosamente il tempo concessogli dagli impegni della ragazza in carriera che lo attrae. Tra la folla gode della materialità che la virtualità gli sottrae un poco ogni giorno. Perché gli piacciono gli odori di fritto e sente brani di discorsi familiari che sui mezzi di trasporto non ci sono più. I go-­‐
between, che viaggiano a duecento all'ora, come li chiamano i cinesi, al pari degli altri luoghi pubblici, sono inondati da un aroma emesso da piccole bocchette che oscura gli odori cattivi. Ricambio d'aria, dicono, piacevolezza del tragitto sostengono gli amministratori quando qualcuno timidamente ha contestato la puzza di fragola che copre ascelle sudate, profumi esagerati, puzza di corpo umano insomma, quello che nasce dal mescolarsi di uomini in eterno perenne movimento. Tra un negozio e l'altro che espongono prodotti da comprare in rete, da guardare senza toccare perché tanto i commessi non ci sono più, Carlo urta di proposito le persone per carpirne l'essenza fisica, il cinese qualsiasi che gli viene incontro senza neanche vederlo, lo sguardo annebbiato da grafici statistici e i sensi proiettati in un altrove che non è qui. Il cinese x che incrocia Carlo è perso in pensieri sovrapposti, neanche stabilisce lui l'ordine in cui appaiono nella sua mente. Il pensiero si è enormemente velocizzato, considera Carlo fermo a un incrocio affollato, anche di questo deve tenere conto nel capitolo dedicato all'interrelazione della sua tesi. I cinesi poi sono incredibilmente bravi in questo campo, il pensiero sovrapposto è la loro specialità. La facoltà di scienza del Pensiero Presente studia la proporzione e la prevalenza del concetto di passato e futuro presente nella vita di cittadini di mezzo mondo. Studia l'ingerenza che i due ipotetici tempi, l'uno perché reinterpretazione, l'altro perché ipotesi, sull'istante cronometrico designato come presente. Studia la dilatazione dell'istante che deve inglobare i dati che lo precedono e lo seguono. Il preside di facoltà è il padre di E Mei: Sheng Zi Lin. La facoltà ha sede sullo Zatterone, Lo “Zatterone” Lo Zatterone è una grande piattaforma galleggiante dove sono concentrati le facoltà di studi teorici che si occupa esclusivamente di futuro. Facoltà umanistiche si intrecciano a quelle scientifiche senza pestarsi i piedi. Una sorta di accurata, ordinata e razionale rappresentazione del futuro, figlia del caotico ricettacolo di caos e complessità che era alla fine del millennio l’Istituto di Santafè. Con la differenza che sullo Zatterone avviene la formazione delle future grandi menti mondiale. Naturalmente vi si accede tramite il Grid, ma si ha l’opzione di assistere dal vivo alle lezioni. Le lezioni, a differenza degli atenei italiani, sono globali. Chiunque vi può accedere purchè superi un test iniziale che richiede preparazione ma anche fantasia. Anzi forse proprio le domande fantastico-­‐surreali sono quelle che fanno più vittime. Per studiare allo Zatterone il coefficiente immaginativo deve superare la ben nota soglia dei 140 punti. sforna ogni anno migliaia di laureati on line che imparano a concepire la mente come una serie di binari paralleli e cerchi concentrici risultato dell'adattamento dell'uomo al computer, i cinesi eccellono nella sagace divisione mentale di ogni compito che viene concepito e portato a termine simultaneamente. I cinesi sono bravissimi nel pensiero multiplo, Carlo lo riconosce. Quando chiacchiera con Mei sente di avere chances minori, sente che lei è infinitamente più veloce di lui. Non sa se è perché Mei è una donna, anche se effettivamente le donne cinesi oggi sono anni luce davanti ai maschi. Mei è una tostissima, e Carlo annaspa nel seguire i suoi ragionamenti, quando in quei suoi bei tailleur a strappo, un po' rigidi ma di tessuti fantasticamente impeccabili lui si scompone in nuvole di desiderio che hanno ancora il potere di farlo andare su di giri senza le neonpasticche, Le neonpasticche Le neonpasticche sono regolatori dell’umore, approvati dagli istituti sanitari di mezzo mondo, sono consentite in Europa e negli Stati Uniti dove sono stati inventati da un gruppo di chimici, il Dott. Noble, il Dott. C. Brothers, e il vecchio Professor Manoel De la Plata, che hanno vinto il Nobel nel 2028. Non hanno nulla a che vedere con i regolatori di vecchia generazione usati fino al 2010, che basavano il loro effetto sugli scompensi interni all’individuo. I neonfly, questo è la denominazione esatta, al contrario sono in grado di registrare l’umore secondo la posizione dell’individuo in una determinata contingenza, per esempio controllando l’aggressività durante un diverbio o favorendo la socievolezza in situazioni in cui una personalità timida non riesce a esprimersi. L’uso è consigliato a tutte le età, anzi la cura fin dai primi anni dell’infanzia rende il soggetto particolarmente ricettivo al benefico influsso dei neonfly. ma che gli svuotano la testa al punto che i binari scompaiono. E lui ha una sola idea fissa, senza binari. E fissa intensamente Mei che nell'enorme stanza che le è riservata all'ultimo piano del grattacielo Ching, quello dell'esecutivo, lo interroga con occhi di fuoco, fingendo di redarguirlo per la faccenda del Prof. Sartori, e nello stesso attimo attraendolo irresistibilmente. Quando Mei si staglia, in tutta la sua flessuosità, contro le pareti mutevoli che come adesso moltiplicano digitalmente il cielo tanto che Mei sembra sospesa a diecimila metri di altitudine, a Carlo sembra di essere in paradiso. Spesso, quando vanno a cena insieme o al multiplex oleografico, Carlo si domanda come potrebbe resistere, se anche lo volesse davvero, non all' esperta di sistemi economici complessi ma alla donna cinese che a letto lo trascina ai vertici del piacere antico, dominandolo o lasciandosi dominare. Ce l'ha di fronte mentre gli parla dei dati di flusso dell'ultima settimana di e-­‐commmerce, e Carlo è rapito dalle lunghe gambe e dai lunghi occhi, dai lunghi capelli neri e abbacinato dal suo sorriso, che Mei gli concede quando sapientemente lo vuole tenere in pugno.Se incredibilmente esiste ancora il concetto di esotismo, E Mei lo incarna. Ora che seduta alla postazione esamina i dati elaborati da Carlo nella più pura efficienza, a lui non gliene importa nulla della tesi, del Professor Sartori e anche di Monica. E Mei è un'altra donna, un essere diverso. Nell' azzeramento di ogni particolarità, nella talvolta finta eguaglianza dell'accesso al potere, nella cancellazione dei picchi di diversità che costituiscono uno dei pilastri della comunicazione globale, c'è quindi una smagliatura, un piccolo neo che segna la mappa del territorio mondiale. Quel segno, nella minuscola vita di un minuscolo essere italiano che vive a Shanghai, è Sheng E Mei. CAP 4: LE AZIENDE CHE CE L’HANNO FATTA: COTONE ROSSO CO. “Dio che decadenza!” pensa Carlo mentre attraversa il collegamento tra lo shuttle con la stazione orbitante europea e l'aeroporto di Malpensa 2000. Lo shuttle e il traghetto spaziale Lo shuttle è il jet speciale di larga capienza che in mezz’ora traghetta i viaggiatori tra gli aeroporti a terra e le varie stazioni orbitanti sopra le principali aree continentali. I viaggi intercontinentali avvengono infatti o tramite traghetto spaziale (velocissimo) o tramite Airbus A3XX (più lento e di tecnologia obsoleta). L’Europa ha fatto agli inizi degli anni 2000 uno sforzo enorme per soppiantare il Jumbo (B747) della Boening e per lanciare l’A3XX con oltre 600 posti, palestra, lettini veri, ecc. L’industria USA l’ha però poi superata con il nuovo concetto dell’utilizzo delle stazioni orbitanti: una su ogni piattaforma continentale. Con questo metodo vari shuttle (del tipo dello storico ‘shuttle spaziale’ della NASA) convogliano dai vari aeroporti di un continente migliaia di passeggeri sulla piattaforma continentale. Da lì un traghetto spaziale enorme, a velocità enorme decine di volte superiore a quella del suono e con costi molto limitati, porta i passeggeri alla piattaforma spaziale di un altro continente, da dove i passeggeri vengono inviati con altre decine di shuttle agli aeroporti di quel continente. Tempo di transito totale inferiore alle due ore. Invece un viaggio intercontinentale su A3XX dura almeno 6 ore (Londra-­‐New York) e spesso molto di più: Milano-­‐New York (8 ore), Londra-­‐Sydney (20 ore), Milano-­‐Pechino (10 ore) ecc. Abituato agli standard dell'aeroporto di Shanghai Pudong, il vecchio aeroporto di Milano denuncia tutta la sua età e soprattutto il fatto di avere pochi fondi da investire in ammodernamento. “Perché poi – pensa Carlo – c'è stata, e forse c'è ancora, questa abitudine di mettere una data nei nomi degli edifici, delle aziende o di varie organizzazioni o entità? E' un modo certo di rendere immediatamente vecchio ciò che invece si vuole qualificare come nuovo e moderno.” Appena fuori, nel mini-­‐uragano tropicale tipico del clima di Milano, con la pioggia a scrosci violentissimi che durerà per tutta la giornata, cerca un taxi a getto, ma non ne trova. Si deve accontentare di un taxi elettrico che impiegherà oltre due ore per portarlo a casa di sua madre, nel centro di Milano. Le poche auto a getto, troppo care per un paese non molto ricco, non riescono a dare quell'atmosfera di vivacità, a cui Carlo è abituato, al traffico milanese che è comunque intenso. Via Sant'Agnese non è molto cambiata dall'ultima volta che era venuto a trovare sua madre. Forse non era neppure molto cambiata negli ultimi trent'anni. Per fortuna è rimasta fuori dall'enorme 'theme park' '-­‐I Longobardi in Italia' che la Walt Disney ha creato nel centro di Milano. Purtroppo la vicina e bellissima piazza Sant'Ambrogio vi è stata inclusa e Carlo quasi ne percepisce, con odio, l'atmosfera fasulla dei parchi dei divertimenti. “Oramai – pensa Carlo – l'Italia è soltanto un parco di divertimenti per gli stranieri”. Anche sua madre non è molto cambiata. Oramai cinquantaseienne, ha come tutte le persone che hanno potuto pagarsi una lunga cura genica, un aspetto da trentenne. L'emozione del rivedersi è sempre forte. L'abbraccio lungo e intenso. Dopo un po', nel salotto antico, arriva anche Stefano, il compagno della madre di Carlo. Stefano non è molto alto, ha un aspetto solido e da cinquantenne, ma ha già settantaquattro anni. E' da molto tempo presidente di Cotone Rosso Co., la grande società di successo nata dal cotonificio di famiglia. “Così Carlo – dice Stefano -­‐ vuoi finalmente sapere di più dell'azienda di famiglia. Mi fa piacere che lassù in Cina vi venga voglia ogni tanto di dedicare un po' della vostra attenzione alle sfigatissime aziende della vecchia Italia.” “Bé, non buttarti poi così giù. Nella lista che mi ha fatto Ghigo delle maggiori aziende di successo italiane voi siete ai primissimi posti. Come avete fatto?” Intanto l'interesse da ricercatore di Carlo si accende: Stefano è uno dei pochi grandi industriali italiani rimasti in Italia. Gli altri o sono diventati manager di grandi aziende straniere o sono emigrati in paesi in cui fosse più semplice costruire grandi aziende. Carlo vorrebbe anche capire perché Stefano è rimasto: forse sua madre è una parte della spiegazione. Il suo fascino e la sua capacità di manovra nella classe dei potenti italiani devono avere ambedue ammaliato Stefano. “Mah, vedi, credo sia stata un'intuizione e un po' di fortuna. Nel 2002 conducevo l'azienda con mio fratello: io mi occupavo dell'amministrazione e del marketing, lui del prodotto e della produzione. Eravamo la terza generazione, avevamo preso in mano l'azienda da nostro padre che, a sua volta, l'aveva presa dal suo. L'azienda era grandicella (150 miliardi di Lire dell'epoca) e con un buon nome nel campo dei tessuti di cotone di altissima qualità. Producevamo tutto in Italia. Comperavamo i migliori filati di cotone e esportavamo in quasi tutti i mercati del mondo. L'organizzazione era essenziale. Io stesso giravo con il campionario per visitare i clienti ed i mercati più 'strategici'. L'organizzazione di vendita era molto leggera: in ogni mercato avevamo degli agenti che operavano a provvigione coordinati da tre area manager che viaggiavano in continuazione. L'azienda andava bene, ma cresceva a ritmi molto limitati ed a prezzo di incredibili sforzi.” “Quale è stata allora l'intuizione?” “Una sera, alla televisione di allora, ho visto un documentario sui geni e sulla moltiplicazione cellulare. Mi sono così chiesto se il mio ruolo fosse gestire una piccola azienda, sia pure di successo, o se invece avessi dovuto 'impiantare' la nostra abilità a costruire un'azienda di successo nel settore tessile spargendo i 'cromosomi' in giro per il mondo. In altre parole ho cercato i cromosomi del successo della nostra azienda per vedere come farli attecchire in altre parti del mondo, tenendo conto delle differenze dell'ambiente locale, ma senza stravolgere la formula originaria.” “E questa intuizione come l'hai tradotta in pratica?” “Adesso ti racconto i primi passi, gli altri te li fai raccontare da Bob domani mattina. Per prima cosa decisi che, per un programma di sviluppo, avevo bisogno di soldi: quelli che ci poteva mettere l'azienda e la famiglia non bastavano. Decidemmo così di quotare in borsa a iX1 la nostra società, fummo tra le prime aziende italiane a quotarci alla nuova borsa europea. Il secondo passo fu riconoscere che se volevo dedicarmi allo sviluppo non potevo essere anche il gestore dell'azienda. Cercai così un giovane, molto capace e di orizzonti internazionali da chiamare come amministratore delegato. Trovai Bob, un giovane americano che aveva già avuto esperienze di comando in Europa. Da allora Bob è rimasto alla guida della società capogruppo che si è sempre più configurata come centro strategico pensante e sempre meno come centro produttivo: già nel 2005 avevamo aperto tre stabilimenti produttivi: in India, in Cina e in Egitto. In Italia era rimasta pochissima produzione: c'era però la scuola di formazione del management del gruppo e il centro ricerche e sviluppo. Quest'ultimo però coordinava anche i centri di ricerca in Cina e in India: avevamo infatti capito che molte idee 1 IX è la borsa europea nata nel 2000 dalla fusione delle borse di Londra e di Francoforte. Negli anni successivi ha aggregato quella di Milano e di Madrid. buone ci sarebbero potute venire anche dalle altre sedi. E non solo quelle produttive: anche l'osservatorio moda e prodotti in Asia, a Shanghai, ha dato in questi anni molte buone idee per nuovi prodotti e nuovi approcci. Ma queste cose è meglio che te le fai raccontare da Bob.” “Ah, dimenticavo al momento della quotazione cambiammo anche il nome dell'azienda in 'Cotone Rosso Co.' Lasciando cadere così il vecchio nome di famiglia in omaggio ad una nuova tonalità di rosso che avevamo lanciato con successo.” “Grazie Stefano. – dice Carlo – Ho capito il concetto di spargere i cromosomi, ma non ho capito come hai fatto a mettere in moto un processo di 'moltiplicazione cellulare' per far crescere l'azienda. E poi come hai fatto a costruire un 'sistema nervoso' per controllare tutto il gruppo.” “Chiedi a Bob e poi ne riparliamo. Prima devi assorbire un po' di dati di dettaglio.” Poi rivolgendosi al suo computer molecolare “Stefino, manda un messaggio a Bob di far preparare per Carlo una scheda storica dell'azienda e di fargliela poi avere tramite il suo Ghighino. Dai Carlo, adesso va da Monica che ti aspetta!” Scheda storica di Cotone Rosso Co. -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐Elaborazione di fantasia ispirata a vari casi reali. L’azienda nasce, in Val Seriana (Bergamo) nel 1911, fondata, con la ragione sociale “Cotonificio Pagani e Figli”, da un giovane operaio specializzato che lascia una grande tessitura della zone. Il contatto con alcuni tecnici svizzeri lo fa innamorare delle macchine tessili svizzere e dell’idea di produrre tessuti di alta qualità. Indebitandosi con i famigliari compra i primi telai con i quali avvia la produzione di tessuti di cotone. L’attività ha successo e l’azienda cresce. Nel 1951 il testimone passa al secondo figlio (la primogenita era una figlia e a quei tempi era poco usuale che una donna prendesse il comando dell’azienda). Gli anni del miracolo economico aiutano e l’azienda si afferma sempre di più come uno dei migliori produttori di tessuti per camiceria maschile. Nel 1985 comincia ad entrare in azienda la terza generazione: due fratelli che, prima il più anziano che prenderà in mano la produzione e poi il più giovane, Stefano Pagani, che prenderà in mano il marketing. Nel 1992, alla morte improvvisa del padre, ereditano il comando dell’azienda. Hanno l’intuizione e la capacità di seguire le nuove regole imposte dall’affermarsi della moda italiana e creano un catalogo, suddiviso in più marchi, che è tra i migliori al mondo per ampiezza (oltre 5000 disegni e colori) e per qualità (compreso il mitico 180 doppio ritorto). Alla fine del secolo inizia una prima timida managerializzazione dell’azienda, ma i due fratelli sono sempre il fulcro operativo e direzionale. Lo stesso Stefano segue personalmente i clienti più importanti e apre i mercati più strategici. Con un notevole sforzo anche personale apre moltissimi mercati esteri internazionalizzando significativamente l’azienda. Per aiutarlo in questa attività Luigi Bordone, il nonno di Carlo, che era uno dei pionieri della consulenza di globalizzazione in Italia. È così che conosce la madre di Carlo e se ne innamora. Nel 2002, Stefano ha l’intuizione che fintanto che prosegue a gestire direttamente le attività dell’azienda farà fatica a farla crescere significativamente. Invece lui ha una visione, e l’ambizione, di creare una grande azienda mondiale veramente leader nel settore tessile. Sente che vuole dimostrare a sé stesso e aglia altri di essere “il migliore” e per questo vuole competere a tutto campo su tutto lo scacchiere mondiale. È stufo fi una vita comoda frutto di una ricchezza di provincia. Riassume la sua visione nel motto: ‘World class shirts for the global managers’. Così, in poche parole, riassume la missione internazionale dell’azienda: camicie di altissima qualità – di livello mondiale, avvalendosi di ogni idea e di ogni competenza mondiale – per gli uomini d’azienda che hanno ambizioni globali. Questo motto diventa rapidamente la forza che guida l’espansione internazionale di Cotonificio Pagani & Figli. In poco tempo Stefano quota a iX la società (che fattura €90 milioni) e raccoglie ben €30 milioni sulla base di un aggressivo piano di espansione internazionale. Cambia la ragione sociale in Cotone Rosso Co. in omaggio a un punto di rosso di grande successo della loro ultima collezione. Mantiene un nome italiano per convogliare immediatamente anche all’estero l’immagine di un’azienda italiana. Cerca un manager di formazione internazionale per diventare Amministratore Delegato. Trova Bob Budlong, un americano, con solide esperienze di general management e che già conosceva l’Europa e l’Italia. Libero di dedicarsi allo sviluppo, Stefano comincia a duplicare la formula imprenditoriale che aveva portato Cotone Rosso Co. al successo: innovazione nel prodotto, ampiezza di gamma e alta qualità. Capisce però che per duplicare questa formula deve adattarla ai principali mercati strategici da lui scelti: Europa continentale, Stati Uniti, Cina e India. Comincia a decentrare la produzione per ottenere dei costi più competitivi andando vicino ai luoghi di produzione. Già nel 2003 ha stabilimenti in India, Egitto e Cina. L’idea vincente successiva è quello di aprire due centri di ricerca all’estero: uno in India orientato alla ricerca di nuove tecnologie produttive e uno in Cina per la messa a punto di una collezione asiatica. L’intera cultura aziendale è cambiata. Vinee data una forte attenzione ai segnali provenienti dai mercati strategici e l’intera azienda si adegua. Bob permette a Stefano di raggiungere questo risultato attraverso una maniacale attenzione alla formazione manageriale e all’affermazione di una cultura aperta in tutta l’azienda. Il Grid di allora, chiamato Web, viene utilizzato intensivamente per mettere a punto un sistema informativo interno all’azienda e con tutti i fornitori e clienti ottenendo così una velocità di risposta alle richieste del mercato di gran lunga superiore a quella dei principali concorrenti. Bob Budlong introduce anche, a partire dal 2007 quando le rinnovate tecniche di IA (intelligenza artificiale) basate sugli studi di Hofstadter2 lo permettono, due nuovissime tecniche di management nate in USA (anche se su un vecchio filone europeo inventato da Richard Normann negli ’70 del secolo scorso): •
•
Il GMT – “Global Modelling Technique”: un metodo semiquantitativo per modellizzare i comportamenti dei sistemi complessi aziendali con tutte le sue componenti: economiche, finanziarie, organizzative (strutture, meccanismi, processi), politiche, ecc. I SEGMO – “Socio Economic Global Models”: sono i risultati del GMT; sono modelli alternativi connessi con “tavole degli output” (teoria dei giochi) a seconda delle possibili variazioni della business idea. Tutto si gioca sulla simulazione in tempo reale di varie alternative di decisioni. Nel 2013 l’azienda ha oramai consolidato un modello vincente di penetrazione: i mercati strategici sono penetrati in profondità con notevoli sforzi produttivi e commerciali. Gli altri mercati sono solo coperti per ‘scremare’ gli ordini più interessanti. La struttura globale viene poi organizzata a rete. Ogni elemento della struttura colloquia con gli altri elementi giocando un ruolo più completo e più efficace. Nei mercati strategici vengono anche acquisite partecipazioni di maggioranza in produttori di camicie e di lanciano i primi marchi di prodotto confezionato. Velocemente il Gruppo Cotone Rosso Co. entra in altri segmenti dell’abbigliamento. Con due serie di marchi riesce a coprire sia la fascia alta ‘storica’, ma anche la fascia media che è molto più grande. 2 Douglas R. Hofstadter: ‘Concetti Fluidi e Analogie Creative’ Ed. Adelphi
Nel 2030 l’azienda è oramai presente in quasi tutti i paesi del mondo. Ha 8 stabilimenti produttivi e 3 centri di ricerca e sviluppo. Il fatturato ha raggiunto €12 miliardi. Magari è per somigliare a un'opera d'arte che la gente finge di essere immortale. Certo è un capolavoro quel che ha fatto il chirurgo del corpo di sua madre. Quando Carlo aveva poggiato i bagagli nella sua vecchia stanza immutata, aveva sentito nell'aria chiusa profumo di infanzia. Dalla porta finestra si vedeva lo stesso paesaggio di sempre, le magnolie del giardino interno, il prato curato e un angolo di chiostro. In fondo anche le vecchie nobili case cinesi racchiudevano, cinte da un muro protettivo, cortili e portici. Gli sembra che la ricchezza abbia sempre bisogno di difendersi e mettere al riparo degli sguardi i propri privilegi. Adesso che è seduto sul divano di broccato,sa benissimo di essere un privilegiato. Accende il muro proiettante e decide di optare per il canale informativo. Ha bisogno di sapere del suo paese da chi vive in questo paese. Curiosando tra i titoli scopre che la tremenda tragedia del '28 , l'affondamento di un traghetto sulla Stretto di Messina è ora nelle aule dei tribunali. “Alla buon'ora” si dice, “la giustizia italiana non è cambiata di un millimetro.” “Oh, questa storia dello Stretto ci perseguita!” la voce di sua madre lo prende alle spalle, all'improvviso. “Bè, mamma, qualcuno dovrà pagare per duemilacinquecento morti, no?” “Oh, è tutta colpa di quegli ambientalisti, che tristi poveretti, che hanno boicottato il ponte. Dico io, chi se ne frega di qualche pezzo di ferro piantato nel mare che fa scappare i pesci. E chi li mangia più i pesci pescati così a casaccio, poi. Un pazzo. Io, se non sono garantiti dal marchio, non li compero mai”. La madre è un torrente in piena e Carlo decide di spegnere il video. Mossa sbagliata perché il loro faccia a faccia adesso è totale. Lo capisce tardi proprio mentre dalle labbra turgide e senza rughe, in quegli occhi chiari e pungenti rioperati contro la miopia c'è un nome che conosce bene: Monica. Stavolta non c'è nessuna tiritera, stavolta sua madre lo inchioda all'argomento. Dice proprio così, “l'argomento Monica”. Ne parla come di una pratica inevasa, e anche Carlo sente che aleggia nell'aria l'incongruenza tra le aspettative che tutti nutrono nei suoi confronti e il cambiamento che invece piano piano si è impadronito di lui. Carlo è cambiato, ne ha la certezza esattamente nel momento in cui ritrova ciò che era stato. Un figlio italiano, di una madre stronza che per questo si è salvata e un padre, uomo irrisolto, che giocava a fare l'idealista. E ci è rimasto secco. Secco, Carlo si dice, mentre la madre continua il suo sproloquio di buone maniere, perché secchi sono i morti. Non sa se troverà il coraggio di andare al cimitero, tanto di suo padre rimane solo polvere di ossa, quella uscita dalla cielificatrice elettronica 3 . Fanno così oggi perché dieci anni fa i cimiteri scoppiavano. Chissà se nel futuro restituiranno ai parenti soltanto l'equivalente prefissato di dieci grammi di ossa, oppure la popolazione mondiale farà un bel salto indietro, seguendo il fattore nascite zero. Sua madre, intanto ha terminato. Carlo si alza dal divano con negli occhi il sorriso di suo padre. Quello non glielo possono sbriciolare, sospira. Per andare da Monica, Carlo sceglie il blu. Un abito elegante, addirittura con la cravatta che gli ha prestato Stefano. In Cina nessuno si mette più una cravatta. Si guarda nello specchio dell'ascensore per i due secondi che la cabina impiega a arrivare al piano e proiettarlo nel loft della sua fidanzata. E' in stato confusionale, troppe emozioni da quando è arrivato, e adesso la parte più difficile da interpretare. Monica è lì in piedi con un completo twin set di 3 Macchina che lavora in due fasi. La prima asciuga il cadavere, seccando ogni liquido. La seconda lo sminuzza, con un raggio laser, riducendolo a un mucchietto di granelli. Introdotto dopo l’eccessivo affollamento dei cimiteri a seguito della forte immigrazione da paesi extracomunitari. L’opposizione della Chiesa Cattolica alla cremazione, ha richiesto questa innovazione “tecnologica”. pashmina 4 tortora. I capelli biondi sono come sempre appena sulle spalle, le lentiggini macchiano appena la sua pelle chiara. Rimangono tutt'e due fermi senza sapere cosa fare. Ma per ragioni diverse. Carlo prova impaccio mentre Monica è invasa dalla freddezza con la quale vuole punire il suo fidanzato. Lui istintivamente l'abbraccia come abbracciasse una sorella, lei come se lui fosse l'ultimo essere umano sulla terra. Le prime parole che escono sono pura cortesia. Ma Carlo sente che dall'altra parte c'è un fuoco che cova dentro il gelido involucro. La tavola è imbandita, lui aveva appena accennato a una cena al ristorante ma lei risoluta aveva deciso di ordinare un menù vegetariano, violato soltanto da un fantastico vino francese messo in bottiglia sessant'anni fa. Guarda la data sull'etichetta e pensa che il vino ne sa più di lui, “uno stupido trentenne che cerca di spiegare l'economia mondiale, il presuntuoso”. Frase di Monica, naturalmente, ma non di stasera. Mentre cenano lei evita ogni accenno. Non è parlargli lo scopo ora, l'unica cosa che conta è riaverlo a letto. Mentre sorseggia il vino Carlo alza lo sguardo e lo sa, lo sa benissimo. L'azzurro degli occhi di Monica che lo fissano intensi trasluce, se lo vuole riprendere e non mollarlo più. Si ritrovano sul letto lasciando metà cena in tavola. Quando si sono spogliati in fretta e furia, prima di avvinghiarsi Monica gli dice “Ti amo”. Carlo non risponde, già concentrato sul corpo della sua fidanzata. Le comincia ad accarezzare le gambe lentigginose, il seno grande, dio, è tutto diverso da Mei. Cerca di scacciarla dalla mente mentre bacia Monica senza tregua e lei lo contraccambia, dandosi completamente. Alla fine Carlo riesce a sentire la donna che ha sotto di sé (con Mei, è lui a stare sotto, dominato), adesso che è dentro di lei, e Monica urla fino a che lui non viene nello stesso momento. Carlo ora le è sdraiato accanto, la guarda. Monica ha gli occhi chiusi, i capelli madidi di sudore. Appena lei li riapre, lui chiude i suoi. Lei gli si rannicchia contro, il viso sul ventre di Carlo, la mano sul sesso, e sussurra “ Voglio che mi sposi”. 4 Particolare tipo di lana, leggerissima e caldissima, proveniente dal manto della capra che abitano gli altopiani orientali. CAP 5: COTONE ROSSO C.: LE RAGIONI DEL SUCCESSO Carlo è nel suo letto, il dormiveglia è popolato di sogni frammentati, quando squilla il telefono. Lo lascia squillare più volte poi si ricorda che sua madre è in palestra a fare un ossigeno-­‐ terapia e decide di rispondere. Si sente la bocca impastata, e la testa persa in una bolla di piombo. “Ciao, sono io, ben svegliato.” Il tono di Monica è sveglissimo e deciso. “Ciao” riesce a dire Carlo mollemente. “Pensavo che oggi ho il pomeriggio libero e potremmo vederci”. Carlo sospira un “va bene” stiracchiato. Si è sempre trovato con Monica nella posizione di ubbidire, non a un comando ma a una pretesa, talvolta pimpante altre lamentosa. E' stato sempre così, richieste continue, qualche volta il ricatto, non cambierà mai il loro rapporto. C'è uno strano meccanismo che scatta, è successo dalla prima volta che si sono conosciuti a una festa che aveva dato sua madre, Monica era la figlia della sua migliore amica. Ma quella volta e per qualche mese, l'interesse che Monica provava per lui lo lusingava, lo faceva sentire al centro del mondo. Strana idea per uno che ha studiato all'università come il mondo non abbia centro, ma mille galassie interrelate. Anche Monica aveva a che fare con l'economia ma senza numeri e Borse. Le piaceva studiare la psicologia applicata all'azienda. Strategie di gruppo, ruolo del leader, battaglie motivazionali. Addirittura era convinta che non ci fossero mosse gestionali che non nascessero da pulsioni interiori. Aveva pubblicato studi serissimi praticamente dovunque e due saggi sull'argomento. “Carlo…Carlo ci sei?” Monica lo riporta alla realtà. Si accordano per l'orario, ancora una volta sarà Carlo ad andare a casa di lei. Si tira su dal letto. Ingurgita qualcosa con un po' di caffè e poi studia a fondo la scheda storica dell'azienda. Con l'auto a getto di mamma – una delle poche a Milano – va all'appuntamento con Bob. Cotone Rosso Co. è una delle poche aziende milanesi ad avere sede in un edificio moderno: il grande grattacielo delle ex-­‐Varesine. Così lo chiama la gente. Il nome ufficiale è 'Torre Lombarda' in ossequio al forte movimento localista che era in auge dieci anni prima quando fu costruito. E' un po' pacchiano, anche se sicuramente una delle poche cose moderne a Milano. A Carlo non piace molto, anche se riconosce che sia meglio avere gli uffici lì, piuttosto che in uffici rimodernati all'interno dei vecchi palazzi milanesi. Carlo non ha mai apprezzato quel cercare di fare stare una cosa funzionale, come la sede di una grande azienda moderna, dentro i limiti fisici, operativi e culturali di vecchi palazzi. Gli sembra un po' insultare i vecchi palazzi e allo stesso tempo 'ingessare' la nuova attività: un po' come la vecchia usanza cinese, oramai scomparsa da quasi un secolo, di fasciare i piedi alle donne. Carlo sente un po' fasullo il gusto chic degli impiegati delle aziende milanesi di lavorare negli appartamenti, più o meno patrizi, delle vecchie case del centro di Milano. Inorgoglirsi perché ci si siede nella stanza dove si era seduto il nobile Tal dei Tali è decisamente provinciale. A lui piace invece vivere in un vecchio appartamento: vuole sentire continuità con il passato. Vuole sentire di avere delle radici. Ma lavorare in un vecchio appartamento no. Tanto molto lavoro si fa a casa. Per il lavoro in comune, dove occorre una sede, ci vuole un ambiente moderno e funzionale, pensato per il pieno utilizzo delle nuove tecnologie. “Milano forse anche per questo non è mai diventata una grande piazza europea degli affari.” Così pensa Carlo, ricordandosi di avere più volte letto negli ultimi anni che la 'business community globale' non ama vivere a Milano. E Carlo ricorda ancora l'effetto che gli ha fatto Barcellona, quando c'è andato con Monica tre anni prima. Piena di vita, come Shanghai. Ricca. Piena di auto a getto e di grattacieli. La vera capitale degli affari non solo della Spagna, ma di tutta l'Iberoamerica. Iberoamerica La Spagna dopo la chiusura del periodo franchista ha fatto una selta geopolitica chiave e determinata: ‘riconquistare’, tramite la finanza, il commercio e la cultura, la posizione di preminenza che aveva in America Latina (L’America Meriodionale e i ‘Grandi Carabi’, cioè l’America centrale) ai tempi dell’Impero spagnolo. Il concetto di ‘hispanidad’ e la comunanza linguistica sono state le chiavi di volta ‘culturali’ e ‘ideologiche’ di questa raffermazione di influenza. In termini culturale l’Istituto Cervantes, per la diffusione della cultura spagnola, è stato un fattore chiave del ’combinato-­‐disposto’ messo a punto dalla leadership spagnola. Gli elementi economici di quel ‘combinato-­‐disposto’ sono stati invece: le esportazioni, la finanza e gli investimenti. Gia nel 1998 le esportazioni spagnole verso l’America Latina erano di assoluta preminenza rispetto a quello verso altre aree geografiche. (Europa esclusa). Esportazioni per aree geografiche della Spagna [grafico] L’altra leva, quella degli aiuti bilaterali, è stata pure usata con grande determinazione. Aiuti bilaterali spagnoli [grafico] D’altro canto anche l’analisi degli investimenti diretti della Spagna, mostra questa tendenza strategica ad aumentare l’influenza spagnola in America Latina. Investimenti diretti spagnoli [grafico] È interessante notare come il grande sforzo sia cominciato nell’ultimo decennio del secolo scorso. Lo sforzo ha raggiunto il massimo nel periodo 2007-­‐2015. Dopo questo periodo, avendo raggiunto gli obiettivi voluti, la Spagna ha cominciato a concetrare il proprio sforzo di penetrazione in Asia. Va infine menzionata l’assoluta preminenza assunta dalle banche spagnole in America Latina fin dagli anni ’90 dell’ultimo secolo. Le banche spagnole hanno cominciato ad investire in America Latina quando gli altri paesi erano ancora timorosi di entrare in mercati ‘a rischio’. Già nel 1998 la quota di mercato in Cile, Venezuela e Argentina del Banco Bilbao-­‐Vizcaya-­‐Argentaria e del Banco Central-­‐Hispano Americano erano già superiori a quelle detenute in patria. La Cotone Rosso Co. ha tre piani e 136 persone. Da lì controllano e dirigono tutto il gruppo. CottonOne, il personal assistant computerizzato di Bob, lo accoglie, tramite Ghighino 1 , all'ingresso e lo guida per i corridoi fino all'ufficio di Bob. Un trentenne2 pieno di energia, con 1 CottonOne, il personal assistant computerizzato di Bob, comunica con Ghighino, il computer molecolare di Carlo, e dà a Carlo le istruzioni per arrivare all’ufficio di Bob. Il sistema di sicurezza dell’edificio dà a CottonOne, in tempo reale, la posizione di Carlo nell’edificio. 2 Età anagrafica 52. aspetto californiano, lo accoglie e con perfetto accento italiano gli dice: “Ciao Carlo, è un po' che non ci vediamo. Allora, in Cina tutto bene?” Riflessioni di Carlo sul look e sull’età anagrafica Da quando, circa dieci anni fa, abbiamo questa cura genetica per fermare l’invecchiamento – pensa Carlo mentre osserva Bob – non abbiamo ancora sviluppato un lessico corretto per indicare il look della gente. Ci rifacciamo a vecchie categorie concettuali legate all’età anagrafrica e non abbiamo ancora ben razionalizzato le diverse fasi biologiche, in parte slegate dall’età anagrafica, che chi si è sottoposto alla cura genetica attraversa. Inoltre l’allungamento a 112 anni della vita media dell’uomo, realizzatosi nei primi trentanni di questo secolo, complica ancor più il problema. Usiamo veramente una terminologia antiquata e non ce ne accorgiamo. “In Cina sì, ma i problemi li ho qui e non solo di tesi.” Dice Carlo pensando anche alla serata precedente con Monica. “Che problemi hai?” “Mi sono scelto una tesi difficile che in sostanza vuole capire perché l'Italia di oggi è quella che è e non quella che avrebbe potuto essere. O viceversa se vuoi: che cosa avrebbe potuto essere l'Italia. E che cosa avrebbe forse dovuto fare. Per fortuna mi devo limitare al mondo delle aziende e della complessità del loro management. In realtà temo che non mi potrò fermare qui.” “E da me che cosa vuoi? Hai visto la scheda storica che Stefano mi ha chiesto di inviarti?” “Sì, grazie. E' molto completa e non ho particolari domande su quella.” “Volevo invece chiederti qualcosa di più su come avete fatto, secondo ciò che mi ha detto Stefano, a 'moltiplicarvi come cellule' in giro per il mondo.” “Ah, quello è merito di Stefano. Io mi sono concentrato sulla gestione dell'azienda che c'è, Stefano si è sempre occupato dell'azienda che ci sarà. In realtà poi abbiamo sempre lavorato insieme ed io realizzavo operativamente ciò che progettavamo con Stefano.” “OK. Ma che cosa avete fatto?” CottonOne interrompe la conversazione: “Bob, emergenza! C'è un arbitrato in corso negli Stati Uniti. Vuoi dire la tua?” “Scusa Carlo, siediti un momento, sarò subito da te.” Dice Bob, poi si rivolge a CottonOne: “Dai, dammi i dati.” Sul muro proiettante compaiono una serie di dati e Bob comincia ad interagire in inglese con CottonOne. Sullo schermo compare anche un arbitro della Corte Arbitrale di New York che parla per un po' con Bob. Dopo dieci minuti Bob chiude il contatto e si rivolge smagliante a Carlo: “Ce l'abbiamo fatta: l'arbitro ci ha dato ragione. Ecco vedi questo è un punto per la tua tesi. Negli Stati Uniti, come peraltro in Asia e in parti dell'America Latina, si è oramai diffuso da oltre dieci anni l'uso dell'arbitrato virtuale. Chi ha un contenzioso si rivolge, via Grid, alla Corte Arbitrale. Invia, sempre via Grid, tutti i dati che ritiene rilevante. Altri gliene vengono chiesti nel giro di poche ore. Al massimo in un giorno o due l'arbitro decide. Figurati che qui da noi in Europa, con la scusa della certezza del diritto, chiudiamo il contenzioso civile in non meno di tre mesi, a volte anche in due anni.” “Torniamo a noi, che mi stavi chiedendo?” “Che cosa avete fatto tu e Stefano per far moltiplicare l'azienda in giro per il mondo quasi fosse una cellula biologica?” “Prima di tutto Carlo – dice Bob – devi tenere conto che nel 2002, Stefano ebbe l'intuizione che fintanto che avesse proseguito a gestire direttamente le attività dell'azienda, avrebbe fatto fatica a farla crescere significativamente. Invece lui aveva (e ha tuttora) la visione, e l'ambizione, di creare una grande azienda mondiale veramente leader nel settore tessile. Sentì allora che voleva dimostrare a sé stesso e agli altri di essere “il migliore” e per questo voleva competere a tutto campo su tutto lo scacchiere mondiale. Era stufo di una vita comoda frutto di una ricchezza di provincia.” “Il suo pensiero fu: 'Noi siamo tra i più bravi a fare tessuti di cotone perché abbiamo buon gusto e conosciamo benissimo il processo che porta dall'idea al tessuto finito. Occorre “distillare” questa capacità come fosse un olio essenziale e portarla, diluendola nel “liquido (ambiente) locale”, in tutti i paesi del mondo' e sulla base di questa idea lanciò il motto 'Noi vendiamo distillato di cotone a tutti'.” Ricerca motivazionale sulle ragioni dell’imprenditorialità Ricerca condotta su un campione di 10.001 imprenditori (2.627 in Italia, 3.356 negli Stati Uniti e 4.218 in Cina) nel 2007 dalla Zhong Nan Research Ltd. Di Shanghai. Profilo delle motivazioni degli imprenditori dei diversi paesi [grafico] i risultati della ricerca dimostrano che il profilo motivazionale degli imprenditori nei tre paesi è profondamente diverso. La motivazione di Stefano è peraltro anomala nel panorama italiano. “Ma questo motto come poteva interessare gli operativi dell'azienda? Mi sembra un motto arzigogolato.” “Hai ragione, Carlo, ma Stefano chiamò me a dirigere l'operatività dell'azienda e poi io chiamai a mia volta dei responsabili di area geografica. Stefano, con il suo motto, si rivolge a una classe di manager e tecnici, che lui ha creato, che hanno il solo compito di trasferire le capacità dell'azienda in giro per il mondo: 'fare il distillato e diluirlo poi nei vari liquidi locali'. Questo è stato il colpo di genio di Stefano. Tieni presente che altri, in altri settori, l'avevano già fatto da decenni. McDonald's aveva portato a perfezione l'idea di avere un gruppo di manager che giravano il mondo duplicando i loro 'outlets' con relative competenze operative. Ma nel tessile no, lui è stato il primo mentre gli altri si sforzavano di far crescere l'azienda, lui moltiplicava le aziende. Ha applicato con maestria concetti di 'knowledge management' al nostro settore.” Bob parlava pacato, ma con convinzione. Carlo sente che Bob è come affascinato da questa storia e che in una certa misura 'ci crede'. Ancora una volta Carlo si chiede per un attimo come mai l'uomo vuole credere in qualcosa: ha bisogno di dare una 'verniciata di superiorità' a ciò che fa. Anche oggi che le religioni sono meno diffuse che in passato, ci sono segnali da tutti gli angoli della società che l'uomo vuol credere in qualche cosa. La riflessione finisce in un lampo e Carlo, quasi automaticamente, dice: “Ma questa conoscenza come l'aveva accumulata?” "Mah, sai è stato un processo lungo, ma da noi percorso con determinazione. All'inizio Stefano ha messo in piedi un piccolo team di ragazzi giovani che lavorando con lui e con i 'vecchi'manager dell'azienda si sono sforzati di capire quali fossero le vere conoscenze distintive in loro possesso. Tutta questa conoscenza fu memorizzata in un data base molto potente e flessibile su un company-­‐grid (allora si chiamava Intranet) che si continuò ad accrescere negli anni. Il vero punto di svolta fu poi quando cominciando la forte espansione all'estero, Stefano mise in piedi un sistema e una cultura che voleva imparare dall'estero. Tu non sai come siamo stati bravi a raccogliere tutto quanto c'era da raccogliere dalla Cina e dall'India. Imparammo moltissimo sia a livello tecnologico che di attitudini dei consumatori. E' così che diventammo di mentalità veramente globale. Fu per questo motivo che oltre al centro di ricerca e sviluppo qui in Italia (in Val Seriana) abbiamo poi fondato un centro di ricerca sul filato in India e un centro di ricerca sul marketing in Cina." Carlo ascolta con attenzione e si sente a disagio. Quello che Bob gli dice gli sembra così ovvio e razionale. Anche le aziende cinesi che lui conosce bene fanno così. Eppure la stragrande maggioranza degli industriali italiani non ha fatto così. Che cosa lo ha impedito? Questa è la domanda che lo angoscia alla fine della conversazione con Bob. Anche se ora forse l' angoscia è accresciuta dall'attesa dell'incontro con Monica. Quando Carlo riprende l'ascensore pneumatico e entra nell'appartamento con quell'odore gelido, gli sembra un dejà vu. Un solo fattore è cambiato: la sua fidanzata, che non ha affatto lo sguardo erotico dell'altra volta, e non ha preparato nessuna cenetta. Ha un'aria da combattimento, Carlo capisce che questa è la resa dei conti. Deve dire sì o no, darle una risposta che li faccia uscire da uno stato incerto, compromissorio, al limite. “Vieni”, la mano di Monica gli indica il divano. “Siediti”. “Amore, ritrovarti è stato splendido, io non ti ho mai tradito sai, mai in tutti questi anni. E se anche so che tu non puoi adesso rimanere in Italia, che studi là e vivi la realtà più avanzata e potente che ci sia, voglio che ci sposiamo prima che tu parta. Non m'importa se per un po' non avremo la nostra casa, voglio comunque salire il primo step della nostra vita in comune”. “Quale step, Monica! Io parto tra due giorni. Non è possibile sposarci in due giorni.” Carlo viene investito da un'ondata calda, si sente arrossire, il suo difetto fin da quando era piccolo. “Mio padre può aggiustare ogni cosa. Sarà una cerimonia veloce e informale, avremo poi il tempo di fare un ricevimento come si deve e poi una vacanza.”. “Io non credo che…” “Ti ho detto che è tutto pronto se vogliamo, c'è una persona a disposizione per noi domani mattina”. “ Tuo padre l'ha comprato?!” sbotta Carlo, “solo in Italia succedono ancora queste cose, ancora la burocrazia spinge alla corruzione!” “Carlo, questo discorso non c'entra niente. Chi se ne frega! Ora rispondimi per piacere…” La voce di Monica è virata da mansueta a stridula. C'è voluto poco, pensa Carlo, e ci vorrà poco perché arrivi la tempesta. Rimane zitto, le mascelle contratte per la tensione. Monica è seduta di fronte a lui, in un vestito color amaranto, e un velo blu al collo. Il blu le dona, i capelli biondi sembrano schiarirsi. Alle mani porta l'anello di vetro quadrato che lui ha regalato prima di partire per la Cina. Lei fissa Carlo senza mollare la presa. Le dita della mano sinistra giocano con l'anello nella destra, inquiete. Quando nell'ultimo collegamento video lei era scoppiata a piangere, Carlo si era commosso. Ora ripensa alla sua commozione e gli sembra di essere uno stronzo. Solo se piange una donna può avere un uomo? Bella stronzata davvero. Ma questo pomeriggio Monica gli sta facilitando il compito, perché ha smesso i panni della donna sofferente e lo attacca con metodo e efficienza, grazie al discorso ufficiale che gli sta tenendo, inutile tentativo di nascondere la falla che il silenzio di Carlo ha aperto. Carlo prende a prestito la metafora e dice solo “E' naufragato, Monica.” “Cosa? Cosa è naufragato? Cosa stai dicendo?” il tremore le incrina l'ultima domanda. “Noi” La solita commedia degli addii, il solito balletto di frasi, il solito buco che si crea nell'aria, sospeso. Non c'è nulla di originale in un addio, forse è ancora più avvilente per questo, perché alla sofferenza data e ricevuta si aggiunge l'ovvietà, l'universalità che toglie il proprio essere unici. Nella globalità del mondo, Carlo pensa, in questo esatto istante altre migliaia di persone si stanno lasciando, allo stesso identico modo, solo usando un idioma diverso. Questo riempie i suoi occhi di lacrime, i casi della vita, l'impotenza che chiunque prova nel separarsi, che sia il carnefice o la vittima. Mentre Monica si tiene la testa tra le mani, singhiozzando, Carlo intuisce che forse con Mei sarà lui stesso a coprirsi gli occhi pieni di pianto, a vivere l'abbandono di Mei come la più grande delle ingiustizie. CAP 6: LA STORIA EPICA DI NATUZZI S.P.A. Dentro lo spogliatoio li guarda uno a uno, stanno ridendo mentre si infilano magliette e calzoncini. Sono i suoi amici, Giacomo, Muhammad, Paolo, quelli di sempre. Lo spogliatoio è una meraviglia tecnologica. Saune, docce, ossigeno-­‐
terapia, macchine per il massaggio. Paolo ha veramente fatto le cose in grande nella dependance della sua grande villa in Brianza. All'ingresso dello spogliatoio ci sono due immensi vasi Ming. Preziosissimi, e cinesi. Carlo ha un tuffo al cuore, non se l'aspettava un pezzo della sua Cina in mezzo alla piccola-­‐media industria briantea, quella rimasta nana negli sviluppi, quella rimasta indietro, a una gestione padronale. Le chiacchiere prima della partitella, i nomi pronunciati, gli aneddoti lo riacciuffano al presente. Seduto sulla panca di legno, Carlo prova una vertigine, la fluttuazione tra il qui e il là, come se lo spazio fosse più importante del tempo. Non c'è un prima e un dopo, lo scorrere è incessante, i minuti, le ore, i giorni non si separano più, nella velocizzazione. Eraclito ERÀCLITO in greco Hérakleitos, filosofo Greco (Efeso 540 circa – 480 circa a.C.). Nacque da una famiglia i cui antenati avevano regnato su Efeso e dalla quale ereditò funzioni sacerdotali; alla dea Artemide infatti dedicò l’opera in cui espose la sua dottrina filosofica. Secondo una tradizione, avrebbe avuto diretti rapporti politici con il re Dario e questa sarebbe stata la causa della mancata partecipazione di Efeso alla ribellione contro i Persiani delle città greche dell’Asia Minore nel 499 a.C. la poetica profondità delle sue immagini gli procurò il soprannome di Skoteinos (oscuro, tenebroso). Il suo stile potente e ispirato è stato paragonato a quello dei testi religiosi orientali, che egli può aver conosciuto, date le sue cariche sacerdotali; possediamo alcuni frammenti del poema ‘Sulla natura’ (Perìphyseos) scritto in dialetto ionico. Rifacendosi ai filosofi ionici, Eraclito simboleggia tutta quanta la realtà nell’immagine del fuoco, da lui concepito come il fatto originario. ‘Il mondo è unico’, egli afferma, ‘e non è stato creato da nessun dio né da alcun uomo, ma è stato, è e sarà sempre un fuoco eternamente vivente che si accende e si spegne secondo una legge che gli è propria’. Questo elemento originario assume dinamicisticamente le forme più diverse seguendo ‘la via in giù e la via in su’; da una parte del fuoco originario che si condensa deriva il amre, e una parte del mare, morendo, genera la terra; compiuta la via in giù, attraverso il percorso opposto la via in su, i vapori cha salgono dal mare e dalla terra diventano nuvole e si incendiano e ritornano al fuoco. In tal modo tutto cambia continuamente e ogni cosa si trasforma in un’altra. forse aveva ragione, ma l'eterno fluire di cui parla lo viviamo inconsapevoli, Il Tao e la consapevolezza del fluire “Anche se è buffo – pensa Carlo – a come Eraclito fosse stato vicino a Lao Tze con il suo Tao. Solo che, secondo il taoismo, occorre essere consapevooli dell’eterno fluire e non alterarne il corso. Qualcosa di confrontabile al ‘distacco’ propugnato dal buddismo”. nel flusso siamo obbligati a esistere perché non c'è più tempo per fermarsi e guardare indietro, come se un guidatore si distraesse nello schermo retrovisore della macchina e andasse contro un palo. E' per questo, per questo timore di schiantarsi che non si guarda più indietro. Carlo si sta infilando gli scarpini superleggeri, con gli occhi bassi sulla pelle argentea che permette una straordinaria sensibilità al piede e tiri a missile, e pensa alle metafore di suo padre. Ne usava a iosa, erano piccole favole per far capire a un figlio le trame della vita. Era lui l'irregolare di una famiglia tradizionale, forse per questo ha sposato la mamma, per tentare di rimanerle agganciato. “Carlo? Oh oh, svegliati, dai vieni che cominciamo” Muhammad lo tira per un braccio, gli hanno dato la fascia di capitano in segno di benvenuto. Rischiano grosso a farlo giocare in una partita importante del girone di calciotto. Il campo è di un'erba verdissima, rasata alla perfezione. Cosa ben rara al giorno d'oggi in cui le superfici sono altrettanto perfettamente sintetiche. Il resto, mentre corrono sudati fradici e Carlo arranca per mancanza di allenamento, è pura gioia. Che importa adesso mentre lui tira con tutta la sua forza un esterno che si infila nel sette, e urla al cielo, che importa tutto il resto. Adesso non c'è tesi che tenga, non c'è Monica con le sue domande, c'è solo il fiato rotto, le grida degli avversari e dei suoi compagni che lo abbracciano, stringendolo in una morsa di virile solidarietà. Adesso c'è il suo gol e Giacomo che gli scuote la testa, sorridendogli: “Grande!, che colpo, è una specialità cinese?”. Carlo ride della battuta scema, ma certe volte la scemenza che appartiene al gioco lo toglie da ogni incombenza e responsabilità. Mentre ritorna nel cerchio di centrocampo per riprendere il gioco, è certo che anche loro hanno sentito la sua mancanza. Hanno vinto tre a zero, sono primi nel girone, e quindi in semifinale. Negli spogliatoi è un susseguirsi di pacche sulle spalle e abbracci tra uomini nudi. Fang capirebbe cosa vuol dire questo primitivo radunarsi, senza troppe parole, piuttosto grida di eccitazione per una vittoria, questo trionfo del corpo ritornato al Pleistocene, quando gli ominidi emettevano suoni gutturali e comunicavano toccandosi? Pleistocene È il primo periodo del neozoico durato da 2.000.000 a 11.000 anni fa. È caratterizzato da oscillazioni nelle temperatura delle glaciazioni. In Europa le quattro principali fasi sono conosciute con il nome di Gunz, Mindel, Rissi e Wurm che seguono la fase denominata Donau. Nel Pleistocene si verifica l’estinzione dei mammut, dei mastodonti, di alcuni felidi e la definitiva scomparsa in Europa di elefanti, ippopotami e rinoceronti. Mentre compaiono e si diffondono i primi ominidi, nostri predecessori. “Carlo giochi ancora come un dio!” Muhammad gli tira un pugno per scherzo. “ Guarda, non credevo nemmeno io di farcela fino in fondo”. Carlo si schernisce. “Certo ridotto a vedere quei pipponi dello Shanghai…!” si intromette Giacomo. Ridono tutti, Carlo compreso. Fuori è notte fonda, stanno tornando a Milano sulla fuoriserie a getto di Paolo. In realtà Milano si è estesa fino a qui, brillano le luci e diventano scie luminose quando la macchina accelera vertiginosamente. Carlo sta tornando a casa quando il video di bordo segnala un messaggio. Paolo lo va a leggere e compare il viso di Monica. Carlo ha un sussulto. “Ehi Carlo, C'è la tua fidanzata che ti reclama.” “Dille che non ci sono, che sono andato via con Giacomo”, risponde Carlo agitato. “ma scusa hai una fidanzata così carina e non ci vuoi parlare? Allora hai una per le mani…avete capito, ragazzi, c'è una cinesina nella vita di Carlo”. La verità, pur detta così, è la verità e lo coglie come un pugno dato sul serio. “Dicci come si chiama, Carlo, che poi lo diciamo a Monica!” insiste Paolo. “Cazzo mi avete rotto i coglioni! Non ho voglia di parlarle e basta!” Per un attimo cala il silenzio poi Paolo si connette con Monica. Gli esce una voce seria e compita “Eh, Monica mi dispiace moltissimo ma Carlo lo accompagna Giacomo, e lui non si può connettere. Vuoi lasciargli detto qualcosa?” Il tono di Monica è deluso, “ ma mi aveva detto che lo riportavi tu… Va bene, digli solo di passare qui quando arriva… sai… parte domani e…, no, nient'altro, grazie Paolo” I quattro rimangono zitti, solo Muhammad ha il coraggio di rivolgersi a Carlo. “Ti ha chiesto di sposarvi e tu hai preso tempo, vero?” “No, le ho risposto no.” Paolo accelera di nuovo, imbarazzato. “ Bè sappi che anche a noi non ci piace un cazzo che tu sia là, in mezzo a quei cinesi furbacchioni di merda, falsi come Giuda. A me hanno fregato una percentuale su un affare che mi cambiava la vita” dice Paolo che sbircia il monitor con le quotazioni di borsa. “Ma va a fan culo, Paolo, se fai già una vita da pascia', di che cazzo ti lamenti?” Muhammad è sempre arrivato dietro a Paolo, Carlo lo sa, in tutto. Quando scende dall'auto li abbraccia uno a uno, abbracciando insieme i loro difetti e i loro pregi. Anche a lui mancheranno molto. Alla mattina gli amici sono lontani: fisicamente e mentalmente. Sul primo aereo per Bari, Carlo dormicchia e pensa all'incontro con il sig. Natuzzi. La 'sua' azienda, la Natuzzi Inc. in realtà è un colosso mondiale quotata Natuzzi Inc. Le Industrie Natuzzi vengono fondate nel 1959 dal sig. Pasquale Natuzzi a Santeramo in Colle, vicino a Matera. Fin dall’inizio hanno prodotto divani in pelle per la casa. Per evitare i problemi della corruzione italiana, Natuzzi si rivolge molto presto al mercato americano. Su questo mercato, che per molti anni è il suo solo mercato di sbocco, raggiunge rapidamente la leadership. I suoi prezzi bassi, la sua qualità, il suo sapersi adattare ai gusti americani coniugati alla maniacale attenzione ai costi e all’innovazione produttiva, sono le chiavi del successo. Il motto dell’azienda è ‘Democratizzare il divano in pelle’. Nel 1993, quando le altre aziende di mobili italiane erano ancora immerse nella nebbia della Val Padana, l’azienda si quota alla borsa di New York. A fine anni ’80 inizia l’espansione internazionale dell’azienda, aggiungendo nuovi mercati a quello nordamericano. L’internazionalizzazione e l’espansione mondiale diventano il principale motore. Agli inizi del nuovo millennio la Natuzzi Inc., si confronta con l’apertura di nuove sedi produttive. La prima è in Cina, avendo capito l’importanza del nuovo mercato. La Cina affre anche un’ottima opportunità per produrre a basso costo con ottima qualità sfruttando la grande precisione manuale della manodopera cinese. Diventa cosìla ‘piattaforma asiatica’ da cui espandersi con maggiore vigore in Asia e anche negli Stati Uniti. Nello stesso periodo comincia a produrre anche complementi di arredo, per poi man mano aggiungere altri tipi di mobili. Nel 2020 la Natuzzi Inc. produce quasi l’intera gamma di mobili residenziali. Nel 2030 la Natuzzi Inc. ha 6 stabilimenti produttivi in Europa, Asia e Sud America. Ha anche centri di ricerca sul designe sui emtodi produttivi in Asia e in Europa. (Informazioni tratte dal sito aziendale www.natuzzi.com) alle Borse di New York, di Shanghai e a quella europea iX1. Produce tutti i tipi di mobile, anche se il suo prodotto storico è il divano in pelle. Già nonno Luigi gli parlava spesso della Natuzzi. Carlo ricorda sempre la storia che il nonno amava raccontare per dimostrare la pochezza di molti imprenditori italiani a fine secolo. A metà anni ottanta, nel corso di un incarico di consulenza per alcuni produttori di mobili della Brianza, aveva suggerito di cercare di capire quali fossero le chiavi di successo dell'emergente Natuzzi, già allora, anche se ancor piccola, fortemente in espansione e orientata allo sviluppo internazionale. Era già evidente che la Natuzzi stava mettendo a punto un nuovo 'business model' con anche una diversa ambizione. Alcuni dei clienti di nonno Luigi, allora importanti industriali del mobile, esclamarono sdegnati: “Non vorrà mica che impariamo da un 'tappezziere2' di Bari!”. Già dieci anni dopo la Natuzzi era l'azienda di mobili più grande in Italia e fatturava 5 volte quello che fatturava il secondo produttore italiano. Quelli che avevano così esclamato avevano chiuso o erano praticamente fuori gioco. Business Model Il ‘business model’, schematicamente rappresentato nella figura seguente, è assenza della strategia di un’azienda. Mercato e concorrenti Stakeholders ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Prodotto e servizi Beneeici promessi/attesi verso/dagli stakeholders È la sinstesi di come un’azienda progetta, in modo coerente: ü Il mercato che intende servire (e quindi i concorrenti con cui si misura) ü Il prodotto (e/o i servizi) che intente proporre a quel mercato ü Gli attori che interagiscono con l’azienda e di cui deve tenere conto (‘stakeholders’) come: investitori, abitanti dei luoghi dove l’azienda è insediata, ‘business community’, politici e autorità locali, ecc. ü I benefici che promette o attende a/da quegli ‘stakeholders’ ü L’organizzazione che l’azienda si dà per gestire tutte le attività e le relazioni precedenti: risorse umane e fisiche, struttura produttiva e tecnologica, modi di operare dell’azienda, psicologia delle persone che vi operano, cultura aziendale, ecc. L'atterraggio non è morbido, un po' perché c'è vento forte dal mare e un po' perché gli aerei che la Star Alliance Europe Group Ltd. impiega sulle tratte interne periferiche dell'Europa sono vecchi e malandati. Inoltre non hanno i computer paralleli ottici3 che permettono viaggi su “un cuscino d'aria” in ogni condizione. Sul Milano-­‐Bari c'è ancora il pilota umano e si sente. 1 Si veda nota al Cap. 4 2 Con riferimento al fatto che la Natuzzi produceva divani imbottiti, tradizionalmente fatti nel passato da artigiani tappezzieri. 3 Sono computer il cui cuore è di luce per permettere velocità di elaborazione molto elevate. Se ne usano più di uno in parallelo per avere una sicurezza totale. Il computer-­‐hostess invita i passeggeri a sbarcare e li ringrazia. Carlo si scrolla la sonnolenza del primo mattino, sbadiglia ed esce. Appena fuori dal 'finger' Carlo si trova all'interno di un'immensa grotta con stalattiti e stalagmiti giganti. Di fianco al gate è già pronta una vettura di una monorotaia per andare al grande théme park delle Grotte di Castellana. “Cazzo – pensa Carlo – la Disney fa sempre le cose in grande. Ma rompono proprio i coglioni! Non puoi neanche sbarcare dall'aereo che ti assalgono.” Lui esce in fretta dalla grotta di cartapesta e prende un taxi, di quelli vecchi a benzina, per andare a Sant'Eramo dove ha sede la Natuzzi Inc. Intanto Ghighino chiede di mettere in linea qualcuno della Natuzzi e Carlo acconsente. “Sig. Carlo Bordone buongiorno e benvenuto! Sono Aisha Hasan dell'ufficio PR della Natuzzi Inc. Il sig. Natuzzi desidererebbe incontrarla non a Sant'Eramo, ma sulla sua barca. La prega pertanto di chiedere al taxista di portarla al porto privato.” Carlo è contento. Non aveva proprio voglia di farsi oltre cinquanta chilometri su una vecchia scassata macchina a benzina. “Così sei il figlio della compagna del mio amico Stefano?” lo apostrofa il sig. Natuzzi in cima al barcarizzo del suo imponente tre alberi. Sessant'anni4 ben portati, in un look modernissimo il sig. Natuzzi sorridendo accoglie Carlo. “Allora come vanno le cose al centro del mondo? Hai visto il nostro nuovo mega store 'Gan Pi She Chi5' al centro di Pudong? Ti è piaciuto?…” Carlo blocca il flusso inarrestabile delle domande dicendo in fretta: “Sì, sì. E' molto bello. Ho anche provato l'esperienza di vivere in uno splendido salotto in pelle con stupende ragazze cinesi virtuali che danzavano solo per me. E poi, grazie per avere trovato del tempo per me.” Il sig. Natuzzi porta Carlo in un breve giro della barca e poi si siedono in un mega salotto in pelle al centro del quadrato. I colori sono avveniristici e tutto indica efficienza e perfezione. Il muro proiettante è enorme e si capisce che da lì il sig. Natuzzi coordina tutto il suo impero. “Allora, Carlo, che cosa vuoi sapere?” poi si rivolge al suo personal assistant computerizzato: “Luidilui interrompi i contatti per dieci minuti.” “Sissignore” risponde Luidilui. “Vede sig. Natuzzi, sto facendo una tesi sul declino dell'Italia a seguito della globalizzazione e sto cercando di capire che cos'altro si sarebbe potuto fare per evitare questo declino. Per lei ho due domande: come ha fatto a far diventare la 'sua' Natuzzi Inc. una così grande azienda e perché lei ci è riuscito e moltissimi altri industriali italiani no?” “Mah, vedi, ci ho pensato tante volte anch'io e sono arrivato ad una conclusione molto semplice. La ragione delle ragioni è che ero stufo di sentirmi un cittadino di serie B, uno del Sud, di quel Sud che al tempo dell'ormai lontano miracolo economico italiano -­‐ tu neanche sai che cosa sia -­‐ era svillaneggiato e usato come serbatoio di manodopera per i lavori da operaio. E se uno vuole il rispetto deve accettare la sfida: competere e conquistare. E soprattutto bisogna muoversi. Molti anni dopo ho ritrovato quel concetto in una vecchissima poesia cinese della dinastia Han che finisce così: 'Moglie cara, non posso restare:/Presto sarà troppo tardi./Se si comincia a invecchiare/Non si può più rimandare/Sempre a domani '”… “Però credo giusto darti anche una spiegazione più tecnica, più vicina al management, così almeno come la vedo io.” Il cancello dell’Est Uscii dal Cancello dell’Est – 4 Novantadue per l’anagrafe 5 In cinese significa ‘Prova la lussuria della pelle’
Non credevo mai di tornare – Ma ritornai al cancello, col cuore pieno di pena. Nella madia non c’era un chicco di riso; Sulle grucce non un mantello appeso. Presi la spada allora E scesi verso il cancello, Mia moglie e il mio bambino Mi tiravano indietro e piangevano. “Altri vogliono diventar ricchi e grandi; Io voglio solo divider con te la mia pappa: Lassù ci abbiamo le onde azzurre del cielo – Quaggiù il visino giallo di questo bimbo”. “Moglie cara, non posso restare: Presto sarà troppo tardi. Se si comincia a invecchiare Non si può più rimandare Sempre a domani”. Anonimo cinese (I secolo a.C.) Dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) (Traduzione tratta da ‘Liriche Cinesi’ – Einaudi – 1963, a cura di Giorgia Valesin “Vedi – continua il sig. Natuzzi – io avevo una tremenda voglia di crescere. Dopo i primi passi mi sono subito rivolto agli Stati Uniti, perché ho capito che lì trovavo il mercato e imparavo molto in termini di management.” “Così ho anche realizzato che dovevo riassumere in un concetto semplice le mie idee. Dall'esperienza americana ho imparato molto. A quell'epoca, negli Stati Uniti un divano in pelle a due posti costava più di mille dollari. Pensai che così solo poche persone se lo potevano permettere. Se fossi riuscito a venderlo a meno di cinquecento dollari, avrei potuto raggiungere la classe media americana che era numericamente molto consistente. Sfruttando i bassi costi della manodopera italiana e alcuni metodi produttivi che avevo in testa ci riuscii e fu un grande successo. Sintetizzai così la mia idea nel motto 'Democratizzare il divano in pelle ' che da allora fu il grido di battaglia della Natuzzi….” “Cazzo! – Ohps, scusi la parola -­‐ Ma è bellissimo – interviene eccitato Carlo – in tre parole lei ha riassunto un'intera 'mission globale6' In questo modo ha definito il prodotto (il divano in pelle), il cliente (chi deve poter beneficiare della democrazia, ovvero la classe media), il modo (abbassare i costi), l'ampiezza del mercato (tutto il mondo che ha bisogno di beneficiare della democratizzazione). Inoltre in un certo senso dà anche uno 'scopo' all'agire della Natuzzi Inc. Tutto il personale sa così chiaramente per che cosa deve 'combattere'”. “Sì, è vero, -­‐ dice Natuzzi – questo motto ha dato una tremenda motivazione a tutto il personale. Ha chiarito bene le idee e ha permesso di concentrare tutte le energie su un chiaro e condiviso obiettivo aziendale.” “Ovviamente abbiamo poi tradotto questa missione in modo coerente in scelte organizzative precise. L'esperienza americana mi ha molto giovato…” 6 La ‘mission globale’ è una breve proposizione che riassume in modo chiaro che cosa un’azienda intende fare, come intende competere, dove intende andare e quali valori intende affermare. Più queste cose sono chiare, ben definite e più ben caratterizzano un’azienda dai propri concorrenti, tanto più una ‘mission globale’ è uno strumento competitivo efficace che permette di focalizzare le energie manageriali e psicologiche dell’intera azienda. Il sig. Natuzzi, resta pensieroso. La barca rolla un po', ci deve essere qualche onda in porto. Anche Carlo tace. “Come mai – pensa – questi concetti così semplici non sono stati seguiti anche da altri industriali”. Dopo un po', il sig. Natuzzi rompe il silenzio, esce dai suoi pensieri sui suoi successi di quando era giovane: “Così, capisci Carlo, perché pochi altri industriali italiani mi hanno seguito. La discriminazione che avevo subito mi aveva reso voglioso di una revanche. Gli imprenditori del Nord, per tante ragioni, non avevano questa voglia di riscatto. E poi il non aver avuto la scuola dura di operare nel professionalissimo mondo manageriale americano non gli aveva insegnato nulla sul come gestire le aziende in modo non artigianale. Pensa che io ho quotato la mia azienda alla borsa di New York alla fine del secolo scorso, quando le altre aziende del mobile non avevano né la dimensione, né la mentalità neanche per potersi quotare alla Borsa di Milano.” “Per motivi anagrafici io mi sono spesso confrontato con la seconda generazione degli industriali del mobile. Mentre i fondatori, spesso operai e falegnami, che avevano fondato l'azienda di famiglia per diventare ricchi, erano duri e determinati, i figli – con i quali io mi misuravo – erano troppo ricchi e viziati per avere grandi ambizioni. Il loro ideale era 'spremere' l'azienda di famiglia come una gallina dalle uova d'oro per potersi permettere le Ferrari e il golf…” CAP 7: UN CASO AMERICANO: HFE CO. La bevanda energetica che Carlo sta trangugiando ha un colore azzurro pallido e un sapore drogato. Il bar dell'aereo orbitale è ovattato e le hostess lo percorrono a passi felpati. Appollaiato su un trespolo Carlo beve e guarda il cielo. Ha staccato Ghighino, non ne può più dei messaggi di sua madre e di quelli di Monica. Incessanti. Perché le donne sono fatte così, perché di tutti i mutamenti che hanno attraversato, sono rimaste immuni dalla negazione di quella protezione diffusa che si espande nella vita degli uomini. Sua madre e Monica lo seguono passo passo, con costanza irritante e confortante allo stesso tempo. Se la maternità oggi è un optional tecnico e si può essere madri anche a sessant'anni, se è diventata una faccenda di immissione di spermatozoi pilotati e produzione di ovuli a comando, nondimeno il senso di protezione non si è affievolito. Come un bisogno ancestrale di occuparsi della specie, una fusionalità che ancora persiste, persiste anche in cuori aridi. Sua madre gli ha parlato di una possibile gravidanza e di un figlio con Stefano. A Carlo sono venuti i brividi all'idea di un fratello. Ma ancora di più ha tremato all'idea, propostagli da Monica, di diventare padre. Il bar è provvisto di una vetrata che sospende il velivolo in cielo. Businessman retrogradi in doppiopetto giacca e cravatta, Carlo ride della loro divisa che gli ricorda tanto un imprenditore italiano che aveva costruito, suo padre glielo diceva sempre, il suo impero sull'arroganza e la corruzione, stanno discutendo di investimenti nella produzione di ortofrutticoli ricavati dalla spazzatura. Si allontana di qualche passo, trova un angolo con divani blu dove è a debita distanza dagli altri. Ordina un'altra bibitona azzurra e si accomoda sorridendo tra sé. E' in volo da tre ore e tra poco arriverà ad Atlanta. Ha lo stomaco i subbuglio, forse per la velocità molto più alta del suono del suo aereo orbitale o, forse, perché sta tornando alla sua vera vita, quella che si compie nel presente e nel presente soltanto. Appena partito ha consultato l'agenda dei suoi appuntamenti, quella comunicazione con Sartori che lo attanaglia, poi si è stufato di guardare il suo schermo personale a bordo, e adesso è lì, a osservare le nuvole. Pensa che la coltre che sovrasta la frenesia del mondo è meravigliosa e tale resterà per sempre. In un'era nella quale innumerevoli cose scompaiono, sostituite da innumerevoli altre, le nuvole rimangono certezza. Sul letto di morte suo padre, poco prima di spirare, coperto di croste purulente, aveva chiesto a Carlo di recitargli una poesia. Ha sempre fatto così, una poesia per ogni accadimento, per dargli un nome e rifletterci su. E' incredibile come Carlo le abbia stampate in mente. Ma oggi, in questo preciso istante, con l'impalpabile e inconsistente etereo che i suoi occhi non smettono di divorare, cercando forme riconosciute, un trenino, il continente africano, il profilo di Mei nel bianco che scorre lungo la vetrata, eccole le parole che tornano. Quando suo padre si era ammalato, quando aveva saputo della malattia, gli aveva citato dei versi e Carlo, ogni volta che la vita si svela, ne ricorda dei pezzi. La sua vita non sarebbe la stessa senza questa memoria. “ Vedi, gli alberi sono, le case che abitiamo reggono. Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia. E tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta, un po' come si tace una speranza ineffabile”. Rilke Versi tratti dalla seconda delle Elegie Duinesi di R. M. Rilke. Iniziate nel 1911 nel castello di Duino di cui era ospite il poeta costituiscono l’opera più importante di Rilke. Questi era nato a Praga nel 1875 morendo a Montreux nel 1926. La sua vocazione letteraria precoce lo distoglie dalla carriera militare e gli fa conoscere Lou Andreas Salomè, futura allieva di Freud, e il filosofo Nietzsche, e da entrambi sarà fortemente influenzato. Escono le prime raccolte poetiche e Rilke compie i primi di molti viaggi che caratterizzano la sua vita. Si reca in Russia con la Salomè e conosce Tolstoj, vive poi a Worspede dove si sposa infelicemente con la scultrice Clara Westhoff, per poi trasferirsi a Parigi dove lavora con Rodin. Scrive Nuove Poesie, e i Quaderni di Malte Laurids Brigge. Torna a viaggiare tra il 1910 e il 1913 in Europa meridionale e in Africa. Scrive le Elegie Duinesi, Sonetti a Orfeo e Poesie Estreme. Muore in Svizzera di leucemia. Rilke svolge un ruolo fondamentale nella poesia del novecento trovandosi a cavallo di due epoche, traghettando dal romanticismo a una dimensione più complessa e filosofica, confrontandosi angosciosamente con la Grande Guerra. In punto di morte i versi che Carlo fu in qualche modo costretto a recitargli, non sapendo neppure cosa suo padre era in grado di capire, assomigliavano a questi: 'We are such stuff as dreams are made of, and our little life is rounded with a sleep1'. Carlo non ha più letto poesie. Ci sono state incontri notturni con Fang, che senza sapere niente del padre di Carlo, gli aveva letto a voce alta alcuni componimenti poetici cinesi. E Carlo fu sorpreso nel sapere che un compositore del novecento, Gustav Malher li aveva usati per una serie di lied. Fang lo sorprendeva spesso. Era un uomo, si può azzardare, ermetico. Ma estremamente spiritoso, anzi le ironie servivano a svelare una parte della sua personalità. Carlo non si annoiava mai con lui, perché Fang sapeva restituire tempo al tempo. Carlo da un ultima sorsata alla sua bibita, si sente rinfrancato e non ha paura di affrontare dentro di sé i ricordi. Preferisce i ricordi infantili e i ricordi di chi gli è lontano. Le nuvole cambiano consistenza, adesso, mentre sorvola l'Atlantico e comincia a intravedere una parvenza di costa americana, ora non sono più panna ma un mare di latte senza un vuoto né una sbavatura. Potrebbe stendersi sopra la compattezza del tappeto che arriva fino all'orizzonte. Solo due persone nella vita hanno restituito tempo al tempo. Suo padre e Fang. Gli altri corrono insensatamente in cerca di certezze che non bastano mai e mai potrebbero bastare. Non è a quelle certezze che Carlo pensa. E' un mondo dove si deve mantenere il contatto, la lontananza è virtualmente vinta, paradossalmente ingigantita dentro le persone. Due persone, sua madre e Monica sembrano correre contro il tempo e contro la lontananza. La materia di cui sono fatte le donne, che nel novecento hanno smesso la lentezza e similmente agli uomini hanno cominciato a trangugiare senza masticare. Fang lo rimprovera spesso perché mangia troppo velocemente. Carlo sa che è pura compulsione a un continuo movimento che non prevede pause. Aerei, mezzi di trasporto di ogni genere, fibre ottiche, comunicazione vivono su ciò che è chiamato tempo reale. In tempo reale. Qual è il tempo reale si chiede Carlo. Forse addirittura potrebbe inserire nella tesi una postilla, una note in calce, piccola e dimenticata, sul concetto di tempo reale. Sartori pigia sul tasto della scientificità, dell'elaborazione matematica dei sistemi economici globali e non gli aggrada alcuna diserzione. Carlo vorrebbe invece dare una valutazione più complessiva della globalizzazione, molteplice, come scriveva Calvino, considerando le qualità del futuro millennio. Proprio quello che Carlo percorre a vele spiegate, perché anche la rapidità era una qualità del terzo millennio. L'aereo comincia a rallentare con dolcezza. Tra poco arriverà alla stazione orbitale. E così accadrà per un altro velivolo e un altro ancora. Capita spesso di incrociarsi, i cieli sono pieni come autostrade durante un esodo estivo. Il bar si popola per un posto davanti alla vetrata durante l'atterraggio. I bambini pensano di essere nel loro videogioco preferito e simulato. Per loro è difficile capire la differenza. La grande finestra è occupata da teste grandi e piccole, la capacità di stupore dell'infanzia è difficile da cancellare. Carlo si alza dalla sua comoda poltrona blu. Fa un cenno di saluto alla sua hostess preferita, la russa che ha incontrato lungo altri tragitti della compagnia. Rientra al suo posto ma non accende il terminale. Anche Ghighino dorme. Carlo chiude gli occhi e si addormenta secondo le istruzioni 1 Versi di William Shakespeare, pronunciati da Prospero nelle battute finali de La Tempesta.
guidate di induzione al sonno di una voce femminile che lo risveglierà quando l'aereo avrà attraccato. La sede della HFE – Heart For Everybody Co. sta dove c'era il vecchio Peach Tree Center. L'intero quartiere, simbolo della rinascita di Atlanta alla fine del vecchio millennio, è stato sostituito dall'enorme ziqquart della HFE. Con i suoi 970 metri di altezza è uno degli edifici più alti al mondo. Anche uno dei più moderni. Solo i materiali impiegati, per reggere le enormi pressioni a terra sono quanto di più innovativo la tecnologia americana offra. HFE – Heart For Everybody Co. La HFE – Heart For Everybody Co. è figlia del terzo millennio, nasce infatti alla fine dell’anno duemila, quando il Presidente di allora, Bill Clinton, decise di liberalizzare la ricerca sulla clonazione umana. Il giovano laureato Carl Simon decise di continuare, in un proprio start-­‐up, il lavoro iniziato con la sua ricerca di dottorato sulla creazione di organi per trapianti e cominciò a lavorare alla costruzione in laboratorio di tessuti cardiaci e poi addirittura di interi cuori umani. Il successo fu così strepitoso che nel 2006 era così ricco, ‘post-­‐economico’ come si usava dire allora, che si ritirò dall’azienda. Prima di ritirarsi si assicurò di lasciare al comando una diarchia, concetto che era allora molto innovativo. Negli anni successivi l’azienda continuò la sua espansione mondiale e nel 2030 è praticamente presente in tutto il mondo con tutta una serie di prodotti e di servizi specializzati per i trattamenti delle malattie cardiovascolari. Il successo dell’azienda viene attribuito dagli analisi a pochi essenziali fattori: ü Prodotti molto competitivi, i migliori nel loro campo ü Una missione, ‘Heart For Everybody’, semplice e potente ü Un uso diffuso degli strumenti manageriali più innovativi basati sull’utilizzo delle tecnologie più avanzate: con questa strumentalizzazione l’azienda è riuscita a prendere sempre delle decisioni migliori di quelle dei concorrenti. L’azienda è presente in quasi tutto il mondo non solo a livello commerciale, ma anche con molte unità produttive e soprattutto con molti centri di ricerca. L’azienda è nota per avere costruito una cultura fortemente transazionale che motiva tutte le nazionalità a sentirsi parte del team ed a contribuire al meglio. HFE è uno dei migliori esempi di strutture a rete in cui le varie unità, commerciali, produttive e di ricerca, colloquiano direttamente migliorandosi l’un l’altra. Il giubbotto antiproiettile dà un po' fastidio a Carlo. Ma le regole sono ferree. La municipalità di Atlanta impone a tutti coloro che transitano in aree pubbliche di indossarne uno. Dopo i devastanti rimborsi economici pagati nel 2019 ai parenti dei 1273 passanti uccisi da un folle, proprio in Peach Tree Square, che con un cannoncino leggero a puntamento automatico laser, comperato sul Grid, aveva fatto fuori tutti coloro che si trovavano sulla piazza, la municipalità di Atlanta aveva imposto a tutti il giubbotto antiproiettile. “Certo che la tecnologia ha fatto passi da gigante, – pensa Carlo – questo giubbotto è leggerissimo e lascia passare anche un po' d'aria. Ma, cazzo, in questo clima piovoso del sud è comunque uno strazio.” Dall'uscita della metropolitana all'ingresso della HFE sono solo duecento metri, ma il sole caldo con l'umido della pioggerellina fine e continua danno fastidio. Comunque Carlo gode nel vedere il brulichio di auto a getto atterranti sullo ziqquart. Comincia a risentire l'energia della Cina. Dentro, il fresco dell'aria condizionata e il robot specializzato che gli toglie delicatamente il giubbotto, appena trapassa il varco di sicurezza, gli danno un immediato sollievo. Anche W4, il personal assistant computerizzato di William Peabody Quarto, con cui lui ha appuntamento, lo accoglie prontamente tramite Ghighino. “Sig. Bordone benvenuto! Il sig. Peabody è occupato ancora per dieci minuti. Se non le dispiace l'accompagno alla caffetteria così può bere qualche cosa.” “Grazie W4. Va bene, ho proprio voglia di qualcosa di fresco.” La caffetteria, al penultimo piano, offre una vista incredibile. Lusso dei lussi è presidiata da umani che servono gli ospiti in maniera impeccabile. La bibita è davvero gradevole e Carlo, tanto per passare il tempo, attacca bottone con un signore seduto al tavolino accanto. “Scusi, non sono di Atlanta, ma che cosa sono quei dinosauri, laggiù a circa un chilometro in quel bel parco?” “E' il più grande parco creazionista degli Stati Uniti…” Il movimento creazionista negli Stati Uniti Il movimento creazionista nasce negli Stati Uniti alla fine dellos corso millennio. In realtà le varie sette religiose americane fondamentaliste avevano sempre osteggiato la teoria dell’evoluzione e mal accettavano l’idea di una discendenza dell’uomo dalla scimmia. L’affermazione fondamentale alla base di questo movimento è infatti che la Bibbia deve essere presa alla lettera. Quindi la Terra fu creata da Dio tra quattromila e seimila anni fa. Tutto fu creato in sette giorni e gli animali furono creati così come sono. Il primo reale passaggio da atteggiamento bizzarro, basato su false credenze, di una minoranza di fanatici a qualcosa di più importante avvenne nel 1998 quando lo stato del Kansas approvò una legge per proibire l’insegnamento della teoria dell’evoluzione nelle scuole. In pochi anni il numero di stati che approvarono leggi analoghe fu elevato. All’inizio del 2000 già 21 stati avevano approvato leggi altrettanto oscurantiste. La chiave legale per far passare queste leggi fu il fatto che non esiste una prova certa della teoria dell’evoluzione (anche perché nessuno potrà mai andare milioni di anni indietro per constatare l’evoluzione della specie) e che quindi questa teoria è materia d’opinione. Tale lo è anche la teoria creazionista e quindi nelle scuole non si può imporre un’opinione contro un’altra. In teoria queste leggi autorizzavano l’insegnamento di ambedue le teorie. In realta il fenomeno era ancora più grave. Infatti molti insegnanti americani, per evitare discussioni con i genitori fanatici creazionisti, evitavano accuratamente di toccare il tema. Il secondo grave scandalo fu raggiunto quando ambedue i candidati presidenziali, George W. Bush e Al Gore, durante la campagna presidenziale per le elezioni del 2000, dichiararono, per attirare i voti dei fondamentalisti religiosi, che ‘le scuole devono essere libere di insegnare il creazionismo fra le altre teorie scientifiche’. Il ‘brodo di coltura’ di questo movimento era il tradizionale settarismo religioso di molti americani, l’affluenza di una società che non aveva molti ideali da perseguire e una legislazione che difendeva ad oltranza il diritto di opinione. Questi elementi avrebbero potuto essere contrastati se la allora maggioranza positivista fosse scesa in campo per difendere i propri valori e risultati scientifici. Questo non accadde. Pochi avevano voglia di rischiare nergie e conflitti per difendere le loro idee e preferirono godersi i risultati raggiunti. Questo fenomeno pone in realtà difficili e inquietanti domande su dove l’uomo può effettivamente andare e quali destini gli siano riservati. Una forte percentuale di persone, colte e affluenti, cittadini dello stato più potente e più avanzato della storia dell’umanità, soggiacciono a teorie oscurantiste senza basi scientifiche. Come conseguenza si ebbe una rapida prolificazione delle teorie creazioniste. Si crearono anche degli interessi economici importanti: scuole, case editrici, predicatori, ecc. che rendevano sempre più difficile mettere in ridicolo il movimento. Nel marzo del 2000 fu finanziato in Kansas il primo ‘thème park’ creazionista. Scopo del parco era di divertire (facendo soldi) e allo stesso tempo propagando la teoria. L’elemento più spettacolare del parco era la parte dedicata ai dinosauri. Grandi riproduzioni robotizzate in dimensione naturale di questi animali vivevano in un parco che riproduceva le condizioni del loro habitat. All’ingresso c’era la scritta: ‘Costruiti in sei giorni’. Questi ‘thème park’ proliferarono e uno enorme fu aperto ad Atlanta nel 2021 per celebrare il fatto che tutti gli stati americani avevano bandito per legge la teoria evoluzionista. Sull’onda del rifiuto della teoria dell’evoluzione, si ebbe anche revival di molte teoria oscurantiste. Il difetto genetico all’origine della criminalità e dell’omosessualità. La ‘verità’ dei valori morali cristiani: il matrimonio per tutta la vita, il ruolo della donna, ecc. Tutto un complesso di idee che giustificava sempre più alcuni problemi oggettivi della società americana come la diffusione delle armi e la pena di morte. Non finisce la frase che W4 interviene: “Sig. Bordone, il sig. Peabody l'attende. Mi segua per favore.” Carlo ringrazia lo sconosciuto e, pur senza avere capito la risposta, segue W4. Due piani più sotto William Peabody Quarto è già in piedi, dietro alla sua immensa scrivania e lo accoglie con un sorriso aperto. L'abbigliamento casual high-­‐tech stride un po' con i mobili in stile 'old-­‐america'. “Carlo, posso chiamarti così?, sono lieto di conoscerti. Il tuo professore Chen Qin Tai, che è nel nostro Consiglio di Amministrazione, mi ha parlato molto bene di te. Allora tu stai studiando la globalizzazione. Come mai in Cina e non a New York?” Carlo sorride dentro di sé. Gli americani non hanno ancora ben digerito il fatto che la Cina è una potenza simile alla loro e per molti versi davanti a loro. A Shanghai, pensa Carlo, i giubbotti antiproiettile non si usano. E molta della biotecnologia della HFE viene proprio dalla Cina. Comunque risponde diplomaticamente: “Sa, volevo fare un'esperienza anche di Asia. E poi a New York avevo già fatto una stage durante il liceo. Comunque grazie per avermi ricevuto.” “Sì, sto facendo una tesi sulla globalizzazione e in particolare sulle ragioni del ritardo dell'Italia. Sono qui perché vorrei capire come il management americano ha portato le aziende degli Stati Uniti ad una posizione di assoluta preminenza a livello globale. Poi so che lei si occupa di SEGMO2. E' una tecnica che mi affascina e vorrei capirne di più. Non si preoccupi di dirmi di voi, ho già scandagliato a fondo il Grid e credo di avere tutte le informazioni. So anche che lei è responsabile della simulazione strategica di tutto il gruppo e che il suo potere è molto alto: probabilmente lei sarà uno dei due prossimi C.E.O.3”. “Carlo, grazie per il potere che mi attribuisci e per l'augurio di far parte della Diarchia, ma la strada è ancora lunga.” “Comunque comincio a rispondere alle tue domande partendo dai SEGMO che conosco molto bene perché li gestisco io.” “W4 mostra il SEGMO corrente.” Diarchia In molte grandi aziende, soprattutto quelle più di successo, che hanno saputo affermare elevati livelli di complessità, le principali responsabilità sono affidate non a singole persone, ma a coppie di manager. I due manager, in coppia, condividono esattamente la stessa responsabilità e sono puniti/premiati, in modo uguale, per la loro congiunta risposta agli obiettivi o missione 2 I SEGMO – “Socio Economic Global Models”: sono i risultati del GMT; sono modelli alternativi connessi con “tavole degli output” (teoria dei giochi) a seconda delle possibili variazioni della business idea. Tutto si gioca sulla simulazione in tempo reale di varie alternative di decisioni. Il GMT invece – “Global Modelling Technique” – è un metodo semiqualitativo per modellizzare i comportamenti dei sistemi complessi aziendali con tutte le sue componenti: economiche, finanziarie, organizzative (strutture, meccanismi, processi), politiche, ecc. 3 C.E.O. significa Chief Executive Officer, l’equivalente dell’Amministratore Delegato in Italia. assegnata. Questo comporta, a livello operativo, che i due membri della coppia condividono, in modi solo da loro determinati, tutte le decisioni che prendono. La principale difficoltà di questa soluzione organizzativa risiede ovviamente nel far funzionare all’unisono due personalità diverse. Il principale vantaggio risiede della possibilità di mescolare sinergicamente competenze e abilità complementari producendo un profilo complessivo di competenze e di attitudini psicologiche che sarebbe altrimenti molto difficile trovare in una persona sola. Questa tendenza si è affermata sempre più in Cina e negli Stati Uniti a partire dal 2016. Si deve però dire che già nel 1997, Marvin Bower, il mitico (quasi) fondatore della più prestigiosa società di consulenza di management alla fine del XX secolo, la McKinsey&Company, aveva ampiamente teorizzato (proponendo anche ‘leadership teams’ con più di due persone) questa soluzione organizzativa e l’aveva descritta nel suo libro ‘The Wll to Lead’. Inoltre questa soluzione organizzativa era stata pioneristicamente sperimentata dalla stessa McKinsey e da latre importanti corporations come Goldman Sachs e The Royal Dutch/Shell Group. Sui tre muri proiettanti, che fino a quel momento avevano mostrato scene idilliache di campagna con le mucche che pascolavano, compaiono tutta una serie di alberi decisionali e una tabella dei principali indicatori di performance della HFE. Il vetro che dà sull'esterno si oscura. Musica classica cinese della dinastia Tang viene diffusa. La musica classica della dinastia Tang riesce a rilassare e allo stesso tempo a tenere all'erta. Carlo trova che sia una scelta perfetta. “Ecco vedi – comincia William Peabody Quarto – qui ci sono tutte le variabili rilevanti per la gestione strategica dell'azienda. Un ERP4 molto diffuso permette di convogliare su questo sistema tutte le più importanti variabili gestionali dell'azienda. Inoltre un sistema complesso di ricerca continua sul Grid e presso altri fornitori specializzati di informazioni permette di avere in tempo quasi reali informazioni anche sulla concorrenza, sui clienti, sui fornitori e sull'ambiente esterno rilevante più in generale. “Ma che cosa vi ha spinto – chiede Carlo -­‐ a mettere in piedi, prima di altri, un sistema così complesso e allo stesso tempo così potente?” “Vedi, quando abbiamo iniziato, la tecnologia ci aiutò molto: l'uso di piattaforme ERP integrate e di data base integrati cominiciava ad essere possibile, ma ciò che fece la differenza fu la filosofia gestionale del nostro fondatore, Carl Simon.” “Lui diceva che un'azienda è un sistema complesso che deve essere gestito valorizzando la sua complessità e non semplificandola troppo. Diceva inoltre che come il cervello umano non si basa mai su un processo singolo per ottenere un risultato, così anche il sistema informativo-­‐decisionale ('la gestione della conoscenza') di un'azienda deve essere basato su circuiti multipli e alternativi per raggiungere lo stesso risultato. Fu così in grado, con grandi investimenti, di mettere in piedi un sistema gestionale di grande efficacia e molto innovativo.” William Peabody Quarto è molto impegnato e il tempo disponibile per Carlo passa rapidamente. Altri 'executive' della HFE rispondono alle sue domande nelle ore successive e stanco, verso sera, Carlo ritorna al suo albergo. Il taxi a getto sorvola il parco che aveva visto al mattino, quello con le statue dei dinosauri. E Carlo decide di visitarlo. Fa scendere il taxi, compra il biglietto ed è dentro. E' subito in un grandissimo auditorium circolare, completamente buio, seduto in una comodissima poltrona, ben distante da quelle degli altri spettatori, molto reclinata che lo 4 ERP: Enterprise Resource Planning. Piattaforma software che permette la rilevazione costante delle variabili gestionali di un’azienda. induceva a guardare verso l'alto. Per oltre venti minuti viene trasmessa solo musica celestiale. Che invita alla meditazione e al raccoglimento. Carlo si sente benissimo. I suoi pensieri si calmano. Si rilassa. E' tranquillo e leggermente trasognato. “In principio Dio creò il cielo e la terra...5” Una voce possente in GSS6 interrompe la musica mentre allo stesso momento un ologramma tridimensionale si materializza sopra le teste degli spettatori. E' di dimensioni spettacolari. Mostra la nascita del mondo. Un Big Bang rapidissimo che si materializza in pianeti oscuri… “Sia la luce!7…” E la luce è. I pianeti si illuminano in maniera abbacinante e si zoomma sul firmamento e poi sull'acqua che si materializza e poi… così via ripercorrendo la nascita del mondo secondo la Bibbia. Carlo è abbacinato, stupito, attratto, estasiato, drogato, eccitato, ammaliato, catturato dallo spettacolo. Il suo senso critico è praticamente nullo. Quello che vede lo prende in modo totale. Vapori di neonfly ad effetto rapido transdermico invadono l'auditorium. Le neonpasticche Le neonpasticche sono regolatori dell’umore, approvati dagli istituti sanitari di mezzo mondo, sono consentite in Europa e negli Stati Uniti dove sono stati inventati da un gruppo di chimici, il Dott. Noble, il Dott. C. Brothers, e il vecchio Professor Manoel De la Plata, che hanno vinto il Nobel nel 2028. Non hanno nulla a che vedere con i regolatori di vecchia generazioe usati fino al 2010. Che basavano il loro effetto sugli scompensi interni all’individuo. I neonfly, questo è la denominazione esatta, al contrario sono in grado di registrare l’umore secondo la posizione dell’individuo in una determinazione contingenza, per esempio controllando l’aggressività durante un diverbio o favorendo la socievolezza in situazioni in cui una personalità timida non riesce a esprimersi. L’uso è consigliato a tutte le età, anzi la cura fin dai primi anni dell’infanzia rende il soggetto perticolarmente ricettivo al benefico influsso dei neonfly. Nella mezz'ora successiva viene ripercorsa la parte iniziale della Genesi. E tutti sentono che quella è La Verità. Poi tutti fluiscono all'esterno, nel parco primordiale dove vivono i dinosauri robotizzati. La scritta 'Costruiti in sei giorni' campeggia all'ingresso. E tutti, dopo il trattamento con neonfly, la sentono come una delle verità ultime. Carlo passa le seguenti due ore visitando vari luoghi illustranti la Bibbia. E' affascinato dalla spettacolarità del tutto. Ma c'è qualcosa di più. Si sente bene, sicuramente i neonfly transdermici che vengono vaporizzati dappertutto contano, ma non solo quelli. Qualcosa gli toglie come un peso. Il messaggio alla base del tutto è: ' se credi in tutto questo avrai risolto le tue inquietudini'. E a Carlo questo piace. Monica e E Mei sono lontane. Il padre con le lacerazioni che aveva creato nel suo animo di bambino non esiste più… Solo sul taxi a getto, rientrando all'albergo, il giubbotto antiproiettile è come un tarlo che comincia a mettere in dubbio la pace raggiunta. Poi anche un altro pensiero si insinua. Non dice forse il Tao che la Verità Ultima è insondabile e inconoscibile? Che il vero saggio non esercita il raziocinio per sondare ciò che non è sondabile? Il saggio invece si limita ad osservare questo eterno fluire e, al massimo, 'aiuta' e 'agevola' questo scorrere. Intanto il rispetto dell'ordine formale confuciano lo aiuta a non sprecare energie in inutili e dannose ribellioni. E' forse per questo che in Cina non ci sono 5 Bibbia: Gen, 1, 1 6 GlobalSurroundSound
7 Bibbia: Gen, 1, 3
dibattiti sulle grandi verità e tutti tendono a vivere meglio e a raggiungere la ricchezza? In questo modo non nascono neanche i parchi creazionisti. Domande, domande, domande. E a Carlo viene in mente una vecchia poesia di un poeta anonimo tedesco di inizio millennio che aveva scoperto dopo la morte di suo padre, ma che gli sarebbe piaciuta tanto. Rumori – Silenzio Rumori – Il cupo rullare del sesso Lo stridio delle mascelle che macinano La tortura ammazzante reciproca Il frusciar delle sete su lunghi scaloni in salita L’urina e il sudore che scende travolgendo fard e mascara Silenzio – Dall’ultima novità nel Pleistocene Chi non trova risposte se le costruisce Chi fa domande trova silenzio da due milioni di anni (Poeta tedesco anonimo – 2007) CAP 8: LE LEZIONI DA TRARRE DA QUESTI CASI E' abituato, abituato a fare viaggi transoceanici con tappe intermedie. Ma fermarsi ad Atlanta se non gli è costato in termini fisici, visto che del jet lag non c'è più nemmeno l'ombra con le nuove freefly che ti danno ogni volta che la card di volo prepagata viene registrata elettronicamente secondo destinazione, gli ha fatto pagare un prezzo mentale. Prima di scendere a casa, nella sua adorata Puxi, ha ingurgitato una neon, perché l'umore era a terra. Gli succede ogni volta che torna da Milano. Quando è sceso al terminal 57 di Shanghai ha scoperto che avevano già inaugurato lo scivolo, un sistema multimediale che porta nel centro della città simulando una visita turistico-­‐commerciale dove i cinesi hanno ricostruito virtualmente ciò che esiste realmente fuori da questa calotta di lunghezza sterminata. Carlo ha solo voglia di rientrare a casa, lavarsi per bene, e poi scendere al food in fondo alla strada e guardare Mei negli occhi. Da quando usa Unbeard, la lozione che permette di farsi la barba ogni due settimane, la faccia liscia che sta guardando nello specchio della camera bagno, lo avvicina al cinese medio che è glabro. Carlo la usa anche per il corpo, trova che la pelle olivastra e liscia che abita questo paese sia esteticamente più apprezzata. Almeno a Mei piace così. Monica invece sembrava perplessa quando lo aveva guardato nudo, senza un pelo. Ma per lei non era momento di esprimere perplessità. A Carlo rimbomba in testa il No! che le ha gridato. Mei, Mei. Ghighino la chiama ma trova soltanto la casella messaggi. Contrariato, perché lei sapeva dell'orario di ritorno e lo snobba, Carlo varca la soglia del ristorante e si siede a un tavolo da solo. Altri sono soli come lui. Cerca di decifrarli, ma è impossibile al giorno d'oggi capire quel'è la collocazione lavorativa, sociale, quali le idee partendo dall'abbigliamento. In Italia sì, distingueva ancora qualcosa, il gusto del lusso e del particolare manteneva in vita un briciolo di tradizione che Monica incarnava alla perfezione. Ma qui, se non erano le divise di quel dittatore, sì Mao Tse Tung, che aveva azzerato ogni differenza partendo dall'esteriorità, poco ci manca. Ai cinesi, pensa Carlo, piace l'uniformità, nell'uniformità trovano quella mimetizzazione di cui bisognano per trafficare incessantemente senza dare nell'occhio. Se Carlo considera i dettami, le strategie, le tattiche che governano gli affari nel mondo è perfettamente consapevole della perfezione, dell'abile segretezza che hanno spinto come un maremoto i cinesi al top. Qui si sostituiscono pezzi del corpo umano deteriorati con altri nuovi e sani senza che nessuno si accorga di nulla. La manipolazione genica è prassi diffusa. L'Italia è anni luce distante, il suo mondo scientifico è ancora ostacolato dalla Chiesa cattolica che dal secolo scorso ha reso la sua posizione intransigente, eleggendo papi e governi sempre più conservatori. I Cinesi hanno saputo manipolare le loro religioni in funzione della produttività, del mercato, hanno aggiornato la Versione del Verbo. I cattolici, se possibile, sono andati a ritroso. Laddove non c'è presente, Carlo riflette trangugiando croccanti noodles con gamberi transgenici di ottima qualità, si è obbligati a scegliere: passato o futuro. In Italia come sempre si tenta un compromesso, ma quell'equilibrio di due opposti che fa stare in bilico l'altalena sta cedendo al centro. Proprio il perno che ha tenuto in piedi e paralizzato il paese nel secolo scorso, quello delle guerre mondiali. Guerre mondiali, Carlo ride tra sé. Oggi le grandi potenze consentono solo scaramucce in posti lontani dove esercitare le armi più sofisticate e far fare un po' di pratica a uomini e mezzi. Scelgono un angoletto del continente africano, dicono che ha un'importanza strategica, mettono gli uni contro gli altri e poi le fanfare tuonano, e lancia in resta i nostri paladini globali vanno a testare l'efficienza dei muscoli. Insomma un po' di palestra, non solo simulazioni su basi matematiche. L'unico pericolo, l'unico tasto stonato sono i miliardi di musulmani, tenuti a bada dalla recessione del petrolio, e i miliardi di cattolici raccattati e convertiti con un'opera di proselitismo che come un fantasma si aggira tra i simulacri telematici per sconfiggere quella vita media che si è assestata sui 120 anni. Senza morte sicura e inaspettata la chiesa cattolica va in frantumi. Solo con il giogo della morte, della colpa e della resurrezione nel pentimento, quegli scalmanati muovono popoli interi, soggiogando i più deboli e poveri, decimati cinquant'anni fa dall'Aids, come suo padre, ma riprodottisi esponenzialmente e velocemente grazie alla propria prolificità. Le chiese che nutrono e pasciano la fede optano per la strutturazione razionale dell'irrazionale. L'hanno fatto da sempre ma mai come ora, e mai come ora la fede rimane l'ultimo luogo dove ciò che non si spiega ma accade prepotentemente, quell'ultimo barbaglio non decodificato attira ancora gli uomini e le donne come specchio per le allodole. E se le teorie economiche hanno ampiamente accettato i concetti del caos che la scienza sperimenta ogni giorno, dai deserti americani dove operano enormi cilindri che dovrebbero comprovare il big bang e incredibilmente ancora non ci riescono se non con calcoli astrusi ai più e non verificabili, la Chiesa ha la risposta pronta. E anche Maometto. L'uomo laico cos'è ora, cosa trova se non quell'evoluzione di Homo economicus, di Homo Aeternus che gli ridà un senso di sé? Carlo osserva le pareti rosse del ristorante, i tavoli rossi, i camerieri vestiti di rosso. Il rosso fa veramente parte di questo popolo. E' arrivato al dolce di fragole che sta per gustare con lentezza quando sulla soglia compare Mei. E'il sangue di Carlo adesso che si infiamma, lo sente correre all'impazzata dentro di sé. In barba a ogni furbata amorosa, a qualsiasi accorto controllarsi, Carlo beotamente le sorride felice. Adesso è invece beato. Le ultime tre ore di letto selvaggio con Mei l'hanno appagato. Il corpo sottile di Mei lo ha totalmente preso. Per tutto il viaggio in Italia e negli Stati Uniti lo aveva desiderato. Gli mancava in ogni momento. La notte, ancora vivida, con Monica è stata un incubo. Quel corpo bello, ma in carne, non gli piace più. Adesso sente quanto si è “venduto” quella notte. E questo solo perché non ha avuto subito il coraggio di dirle di no. E poi questo continuo mettere in campo i sentimenti: Monica vuole essere amata o almeno che si faccia finta di amarla e soprattutto che si dichiari di amarla. Solo allora accetta il rapporto fisico. Mei non gli ha mai detto di amarlo, né glielo ha mai chiesto. E lui non glielo ha mai detto, anche se forse lo pensa. “La amo veramente?” si chiede Carlo. Questa domanda lo mette un po' in ansia. Non riesce a darsi una risposta. Mei gli piace. Gli piace sentirsi soggiogato da lei: è così veloce nelle intuizioni, è così determinata, è così dolce, delicata e ritrosa nel di fatto imporre le proprie idee. Lui avverte la volontà di ferro di Mei. E' anche così impenetrabile. Ormai è tanto che la conosce. C'ha fatto l'amore infinite volte, e lì è lei che cede e si abbandona completamente – “ma sarà poi vero?” pensa Carlo. Eppure sente di non capirla fino in fondo. Monica al confronto è un libro aperto, così prevedibile. Sarà perché una è italiana e l'altra cinese. Nell'immaginario collettivo italiano i cinesi sono impenetrabili. Ma impenetrabili a chi? agli italiani o ai cinesi? Non è che per caso in ogni cultura vi siano dei segni e dei simboli, delle sequenze di codici nell'interazione umana che sono illeggibili a uno di un'altra cultura? Quando lui andava a letto con un'altra Monica, tanti anni fa quando era al liceo e faceva uno stage a New York, la capiva veramente? Riusciva a decodificarla fino in fondo? Le piaceva tanto con quelle sue grandi tettone e quei mugolii lettuali, e poi era così solare, così aperta, così pragmatica, quasi un po' stupida. Ma lui era sempre rimasto con il dubbio che ci fosse dell'altro. Quando lui, proprio incazzato, la piantò perché lei, come regalo di compleanno, gli aveva fatto recapitare direttamente dallo studio legale del padre, in una busta bellissima e costosissima, un contratto di matrimonio pronto solo per la sua firma, aveva potuto leggere – lo ricorda ancora – negli occhi di quella Monica un lampo, solo un lampo, che diceva “non hai capito niente!”. Il muro proiettante, come da istruzioni serali, comincia a proiettare, in video live, l'aurora sul Bund, per fortuna senza i rumori delle sirene. Tra poco Mei si sarebbe alzata e sarebbe andata puntuale a lavorare. Carlo le si avvicina e comincia lentamente ad accarezzarla. All'inizio il corpo non reagisce. Poi lentamente, anche se Mei forse ancora dorme, Carlo sente un'energia cominciare a scorrere sotto quella pelle di seta. Come se il corpo rispondesse in proprio all'antico richiamo. “Milioni di anni di programmazione da parte dell'evoluzione hanno creato questo meccanismo di sensi” pensa Carlo, ricordando le lezioni universitarie di biologia evolutiva,…e poi comincia con la mano a scendere verso quel culetto che lui vorrebbe un po' più prominente, e poi sulla coscia, e poi in mezzo alle gambe, e poi comincia a titillarle il clitoride. Mei è sveglia e senza interromperlo si volta con il viso e si avvinghia a lui baciandolo profondamente. Adesso Carlo è di nuovo immerso in pensieri. Mei se ne è andata. E comunque Mei e Monica sono lontane, non sono più nei suoi pensieri. Adesso lui pensa alla sua tesi. Che cosa ha imparato con questo viaggio in Italia e negli Stati Uniti? Al viaggio, deve aggiungere le decine di casi che Ghigo gli ha preparato prima di partire e che lui ha analizzato e ormai completamente digerito. Ha analizzato casi di aziende italiane, europee, americane e cinesi. Casi di aziende che hanno avuto successo e casi di aziende che non l'hanno avuto e sono state costrette a chiudere o ad essere vendute. Per fortuna la legge societaria di tutti questi paesi impone che quando un'azienda chiude o ha dei maggiori insuccessi, pubblichi gli atti dettagliati, riassunti da speciali professionisti certificati, degli ultimi dieci anni e un riassunto dei dieci anni precedenti. Questo perché si pensa che studiare a fondo le cause degli insuccessi sia utile per la scienza del management e possa comunque permettere di imparare, anche a chi l'insuccesso l'ha avuto, permettendogli così di ripartire avendo imparato qualcosa in più. E Carlo, come tutti i suoi colleghi, si è avvantaggiato di questo regolamento che in Europa e in Cina è arrivato solo da pochi anni. “Ma che cosa ho imparato?” pensa Carlo, stravaccato nella sua posizione abituale sul suo divano. Le idee sono confuse. “Certo che ho analizzato solo l'aspetto micro, come suggeriva il prof. Sartori1:” “Però la mia tesi è anche sulle ipotesi che non si sono realizzate2, primo o poi dovrò anche analizzare gli aspetti macro, quelli di sistema.” “Comunque, anche solo limitandosi agli aspetti micro, che cosa ho imparato?” “Alcuni pattern cominciano ad apparire.” “Sicuramente c'è la volontà di crescere a livello mondiale.” “Poi ci sono sempre delle idee forti sul che cosa fare e sul perché andare in giro per il mondo a conquistarsi quote di mercato.” “Poi – continua a pensare Carlo – c'è l'uso della tecnolgia più avanzata per comunicare con tutti gli angoli del mondo, ma anche per 'pensare insieme' sui temi più caldi della gestione.” E i pensieri continuano, un po' sono chiari, un po' sono confusi e Carlo sente il bisogno di mettere dei punti fermi nei suoi pensieri. “Ghigo! – che stava dormendo proiettando le solite nuvole rosa in lento fluire – dai, ti detto un memo per me, un primo riassunto delle mie idee.” E Carlo comincia a dettare. Dopo un po' gli viene un'idea. “Potrei però intervistare anche qualche industriale cinese. Il prof Chen Qin Tai ne conosce tanti. Potrebbe introdurmi.” “Ghigo manda un messaggio a Chen Qin Tai e chiedigli di introdurmi a due o tre industriali che lui conosce per intervistarli per la tesi. Digli che farò solo domande su come hanno fatto ad avere un grande successo nel mondo.” “Mentre aspettiamo la risposta, fammi vedere l'ultima partita dello Shanghai, che stavo dormendo in volo e l'ho persa. A proposito con chi giocavano?” 1 Si veda Cap. 3 2 Il titolo della tesi è: ‘Alternative realistiche alla globalizzazione dell’economia: il caso Italia’, con il sottotitolo: ‘Le ipotesi che non si sono realizzate e l’influenza del management a livello micro, dal punto di vista della teoria della complessità’. “Giocavano con il Chengdu, ma è stata una partita senza storia. Abbiamo vinto 4 a 1!” risponde Ghigo cominciando a proiettare l'ingresso in campo delle squadre. Carlo temeva che la risposta di Chen Qin Tai arrivasse in un momento topico della partita, secondo la vecchia legge di Murphy. Invece arriva quando lo Shanghai è già 3 a 1 e oramai è chiaro che il Chengdu è in una giornata no. “Carlo – dice Ghigo – Chen Qin Tai è d'accordo. Ti ha già annunciato a Yao Jin Rong, della Diarchia della Hua Jing Corp.3 e a Lu Shou Guan, Chairman Unico del Jin Jiang Group4. Dice di chiamarli in videoconferenza quando vuoi. Ti raccomanda di usare un cinese adeguato al livello delle persone. Non il tuo solito cinese colloquiale.” Carlo sa benissimo che il prof. Chen Qin Tai intende in questo modo anche dirgli di stare attento al livello della persona e a non importunarli troppo. “OK, Ghigo. Manda una procedura di richiesta di videoconferenza facendo riferimento al messaggio di Chen Qin Tai, mandagli anche l'estratto della tesi e l'elenco delle domande che abbiamo inviato agli italiani e agli americani. Poi, anche se non è molto bella, fammi finire di vedere la partita. Intanto preparami due schede su queste due aziende: usa la stessa struttura che abbiamo impostata per le altre.” Chen Qin Tai è efficiente come al solito e anche molto potente. Gli ha aperto le porte a due aziende cinesi che sono leggendarie. Il Jin Jiang Group è il più vecchio gruppo alberghiero cinese. Di proprietà statale fino a tredici anni fa quando fu comperato con un blitz finanziario dal Lu Shou Guan e da allora lanciato in una folle espansione mondiale. Anche la Hua Jing Corp. è nota. Produce occhi umani da trapianto. C'è riuscita nel 2019. La data non è passata inosservata perché un giornalista scoprì che anche in un vecchio film cult di fantascienza del secolo scorso, 'Blade Runner', si ipotizzava che nel 2019 i cinesi fossero in grado di produrre occhi umani da trapianto. Quando la cosa fu annunciata, sullo Shanghai Times, fu percepita come un auspicio positivo per la Hua Jing Corp. Alcuni ricordarono anche altri scritti di fantascienza che si erano poi avverati, come un certo Jules Verne che alla fine dell'Ottocento aveva anticipato l'invenzione dei sottomarini nucleari, cosa che si era poi verificata oltre cinquant'anni dopo. Nell'attesa del collegamento Carlo decide di cucinare per Mei. Ha promesso che stasera ritornerà. Carlo si impedisce di sognare il corpo di Mei, che ancora desidera fortemente, e sublima la sua eccitazione erotica nel pensare a che cosa cucinare. Passa in rassegna i piatti della cucina cinese che lui ama. E' incerto su quale cucina puntare5. Alla fine decide per la cucina di Shanghai: la cucina dell'Est. Poi decide il menù, una cosa semplice perché tanto andranno poi a letto in fretta. Ma non banale. Eccolo: ravioli del piccolo drago (xiao long bao) – quei deliziosi ravioli a sacchetto, aperti come un desiderio erotico, pieni di gamberi; zuppa di zha cai – con quell'incredibile accostamento tra maiale in brodo e cavolo salato conservato; gamberoni al cartoccio (zhi bao ming xia) – con i piselli, le ciliegine e l'uovo che accompagnano la fragranza dei gamberi; nasellini in salsa di miele (mi zhi ya xue yu) – in realtà il miele non c'è, ma il vino di riso, lo zucchero e l'olio di sesamo ne danno una replica superba. Per bere un incredibile Yin Zhen6. E adesso gli ordini a Ghigo: “Ghigo! Manda a prendere un po' di gamberi piccoli e 10 gamberi grandi, guarda se in frigo ci sono dei piselli freschi se no procurali, mi occorrono anche 6 nasellini piccoli piccoli e poi abbiamo finito il vino di riso per i naselli. Fanne venire un paio di bottiglie, di quello di Xian che è il mio preferito.” 3 Società degli Occhi della Cina. 4 Gruppo Jin Jiang (Jin Jiang è un nome proprio). 5 La cucina cinese è grossomodo divisibile in quattro grandi tradizioni: del Nord (Pechino), dell’Est (Shanghai), del Sud (Canton) e dell’Ovest (Chengdu). 6 Letteralmente “Aghi d’Argento”. È un tè verde rarissimo, estremamente delicato, ma leggermente amaro, ideale per un pasto con sapori complessi. Poi si dedica alle schede preparate da Ghigo e se ne fa assorbire. Il primo ad arrivare sul muro proiettante è proprio Yao Jin Rong della Diarchia della Hua Jing Corp. Compare sul video, dopo gli annunci e i permessi di rito, e va subito al sodo. “Sig. Bordone, il prof. Chen Qin Tai mi ha chiesto di rispondere ad alcune domande sull'espansione mondiale della mia azienda. Mi dica.” In video sembra alto e giovane, fra cure geniche e capacità degli orientali di mascherare l'età – pensa Carlo – non si può però mai dire. Il suo cinese rafforza il rispetto che incute l'altezza: è colto, sintetico e impositivo. Impone attenzione e sottomissione. Carlo, sforzandosi di mettere in fila, con i giusti toni di Pechino, sequenze di caratteri secche e perfette adatte al personaggio e al momento, fa subito la domanda chiave: “Quali sono state secondo lei, le chiavi del vostro successo nell'espansione mondiale?” “Ovviamente il prodotto. Siamo stati i primi e per cinque anni non abbiamo avuto concorrenti. Tutti gli ospedali del mondo lo volevano. Poi un'azienda americana della Georgia è entrata anche lei sul mercato. Poi altre aziende hanno seguito e le cose sono cominciate a diventare più difficili. Essendo arrivati dopo, sono arrivati anche con un prodotto migliore: avevano imparato dalla nostra esperienza. E non escludo che abbiano anche ottenuto illegalmente ciò che non avrebbero dovuto. Il nostro contrattacco non si è fatto attendere. Abbiamo sfruttato la nostra presenza nei principali paesi per imparare. Ai nostri uomini migliori di Londra, abbiamo permesso di costruire una società per la ricerca sul software di produzione. Invece alla rete di contatti negli Stati Uniti abbiamo chiesto di trasmetterci tutti i più minuti desideri dei grandi ospedali americani per tenerne conto nella progettazione del nostro prodotto e soprattutto dei servizi ad esso associato.” Carlo parla ancora un po' con Yao Jin Rong. Tra la concentrazione del capire, di non farsi sfuggire nulla e parlare un cinese all'altezza dell'interlocutore ne esce spossato e assapora il momento in cui ringrazia profondamente l'illustre personaggio, lo saluta e tronca il collegamento. Rimuginando su ciò che ha appreso, si mette a cucinare e cambia anche le lenzuola che vuole fresche e profumate. Il tempo passa, Lu Shou Guan non arriva, ma quasi alle nove, sul muro proiettante appare il volto di Mei, che si annuncia alla porta. E' bellissima e negli occhi c'è una luce da grandi occasioni. CAP 9: LA SFIDA SOTTILE Quando la porta scorrevole si apre e Mei varca la soglia ed è davanti a Carlo, con un gesto lento gli mette una mano sulla nuca e lo tira a sé. Carlo lascia che la sua bocca venga percorsa dalla lingua di Mei. Poi Mei si stacca da lui, gli sorride e si ricompone. “Che profumo!” esclama la ragazza, dirigendosi verso la cucina. Giacca e pantaloni che all'esterno sembravano grigi ora sono blu. Mei va pazza per questi abiti che cambiano colore secondo temperatura. A lei piace tutto ciò che cambia, velocemente, senza darle il tempo di annoiarsi. Perché, Carlo lo sa, è la noia la vera nemica di Mei. Si guarda la semplice camicia azzurra senza collo, una specie di casacca comprata al grid-­‐bazar prima di partire per l'Italia e ha paura di essere inadeguato. Non riesce mai a sposare gli ultimi dettami in fatto di moda, ma nemmeno sa rincorrere le ultime novità in altri campi. Certo le considera, le valuta ma, forse per retaggio culturale, ci mette un attimo di troppo ad assimilarle. Per lo meno nei confronti di Mei. Carlo si frappone tra Mei e la cucina dove la meravigliosa cena è disposta, secondo le regole orientali, su piatti di portata tradizionali ma autoriscaldanti. “Qui non devi mettere piede”, dice “ adesso ti siedi e io, come una geisha giapponese, ti servirò quello che ho cucinato.” “Sperando che sia di tuo gradimento” Mei finisce la frase formale che ritualmente inaugura ogni pasto. Carlo e Mei sono seduti l'uno di fronte all'altro, in mano i bastoncini antichi con il manico di avorio che Fang ha regalato a Carlo per il suo compleanno. Mei dà piccoli morsi ai ravioli del drago, facendo segni di assenso e di piacere. Carlo osserva i lineamenti del viso della ragazza. Mei non ha mai toccato niente di sé. Non si è rifatta nulla, la natura l'ha messa al mondo altissima e slanciata, le ha dato lineamenti cinesi con zigomi mongoli e denti bianchissimi. Un bisnonno di Mei veniva da una cittadina esattamente al confine tra Russia e Cina, poco distante da Ulan Bator, capitale della Mongolia. “Ah, e che ci faceva lì il tuo bisnonno? E perché tu sei nata a Shanghai?” Carlo è un tipo molto curioso e per di più starebbe ad ascoltare Mei per ore. Quando lei smette il tono professionale con cui lo bacchetta spesso in campo finanziario, diventa ancora più seducente. Il suo cinese si snocciola più lento, e lei accompagna i racconti con espressioni degli occhi e sorrisi che fulminano il povero ragazzo italiano. “Questi gamberoni sono celesti!” un altro complimento che Carlo incassa volentieri. Voleva stupirla e ci è riuscito. “Dunque mi chiedevi del mio bisnonno. Ah, era tutta un'altra epoca, sai, naturalmente non l'ho mai conosciuto ma ci sono delle foto, vecchissime e ingiallite, ti ricordi quando ci raccontavano che si sviluppavano le pellicole negli acidi per ore e insieme alle foto ti davano le strisce di negativi? Preistoria, lo so, ma hanno ancora un certo fascino. Mettendo insieme aneddoti familiari raccontati da mio nonno quando ero piccola, e poi parlandone con mia madre, ho ricostruito una ben strana vita.” “Perché? Chi era, un pastore, un nomade alla Gengis Khan?” Carlo non può fare a meno di ridere della sua stupida battuta. “Era uno sciamano, Carlo, un vero sciamano”. Carlo smette di ridere, “ ma va?” “Te lo giuro.” “Allora quel magnetismo strano che vedo nel fondo dei tuoi occhi…” “Anche mio padre me l'ha sempre detto, sei uguale a mio nonno, fiera, forte, orgogliosa.” “ seducente…” Carlo le accarezza la mano. “Seducente, sì, accetto anche questo”. Mei bacia a una a una le dita di Carlo. Poi riprende seria il racconto. “Il mio bisnonno si costruì una fortuna con i suoi poteri magici, era talmente famoso che venivano da tutta la Mongolia per chiedergli aiuto. Anche i russi che abitavano sul Baikal, a piedi attraversavano la frontiera e lo consultavano.” “Era una specie di indovino, allora?” Carlo comincia ad appassionarsi. “Bè, vedo che sai poco dello sciamanesimo” replica Mei. Carlo rimane in silenzio, l'ennesima stoccata, pensa. Ma se Mei ne sa più di lui è giusto accettarlo con umiltà. Questo è una delle lezioni imparate in questi anni in Cina. E non dar troppo a vedere il proprio disappunto, la delusione, insomma contenere le proprie emozioni. Un bello scherzo per un ragazzo di neanche trent'anni che è nato in un paese che le emozioni le mostra sin troppo. “Lui era un saggio” prosegue Mei, “dagli sciamani si andava per sapere il destino, dirimere contese, guarire da gravi malattie e povertà. Insomma per avere un responso, un segno che illuminasse la propria condotta. Si recavano in grande devozione alla sua casa fatta di mattoni e lamiere, lui non cambiò mai residenza perché il luogo era propizio agli spiriti guida, e solo loro lo aiutavano quando i visitatori gli sottoponevano le questioni più incredibili. Lui compiva dei rituali con alcol, volatili, e formule pronunciate ad alta voce, come una nenia, come un mantra indiano, per intenderci. Mia madre se li ricorda ancora e li usava per addormentarmi quando ero in fasce.” “Sono poteri che si trasmettono per via genetica o sono una propensione, una natura?” Carlo è davvero intrigato. “Hanno simulato al computer i dati sullo sciamanesimo e le sue cerimonie a cavallo tra l'ottocento e il novecento. Ci ha pensato l'università di Pechino, ti ricordi ti ho già parlato di quel professore Wu Ming Yu che prima mi ha promosso a pieni voti all'esame e poi ha tentato di portarmi a letto,no? ecco lui, lui ci ha lavorato su. Non ne riescono a venirne a capo, provano simulazioni, usano la matematica ma sono cose che ancora sfuggono. E' una questione di energie, hanno provato a scomporle in flussi, poi in onde, ma quando il mio bisnonno con parole segrete e incomprensibili e con sputi di alcol addosso a una persona, gli apriva il cuore a nuovi sentimenti o quando faceva camminare gli infermi, resta un segreto incomprensibile” “Ci sono accadimenti che ancora non spieghiamo?” Carlo ha un tono ironico o stupito, Mei non lo sa. “Sì, ci sono, e sono questo genere di cose. Capisci non si tratta di un oroscopo divinatorio o della probabilità di azzeccarci dei tarocchi che prevedevano il futuro. Qui si tratta di qualcosa di reale, concreto.” Mei fa una pausa, mostrando vero compiacimento verso la delicatezza dei nasellini. Poi riprende: “ Sono forze che non possiamo conoscere fino in fondo, anche se oggi di sciamani ce ne sono rimasti davvero pochi. Se ne trovano ancora in Mongolia, nei villaggi rimasti. Un'esiguità, rispetto a più di cent'anni fa.” “ Ti piacerebbe andarci? Intendo a rivedere la casa del tuo bisnonno, a fare un giro? Ho due settimane libere tra un mese, potremmo…” Mei ha un moto di stizza.“lo sai che non posso assentarmi, poi la casa l'hanno rasa al suolo da un pezzo” Mei da un sorso allo Yin Zhen, il suo tè preferito. E Carlo lo sa. “Però” Mei fa una pausa calcolata, “potrei ricavarmi non più di una settimana, volendo” Gli occhi di Carlo si illuminano. Un viaggio con Mei è ciò che desidera da molto. Non gli ha mai concesso che le serate e qualche weekend. “Sì, potremmo” Mei aggiunge. “Dico a Ghigo di preparare i dettagli del viaggio, di procurarmi le guide che ci servono e qualche testo sulla sciamanesimo, ti va?” Carlo non perde un minuto, è raggiante. Mei socchiude gli occhi. Certo, sta pensando, questo ragazzo è abbastanza veloce per non annoiarla. Si alza da tavola e gira intorno alla sedia di Carlo. Gli mette le mani sulle spalle, gli massaggia le scapole e il collo con sapienza, poi lo bacia sulla spalla e Carlo rabbrividisce. “Vieni” Mei lo prende per mano e finalmente ciò che Carlo agognava. Lo conduce dritto in camera da letto. Adesso non è più solo lui a desiderare di fare l'amore. Mei è inginocchiata sopra di lui supino. Le gambe e i piedi stringono il torace di lui, l'alluce dei piedi di lei gli solleticano gradevolmente la parte inferiore delle ascelle. Gli volta la schiena e, mentre galoppa, leggermente chinata in avanti, gli accarezza morbidamente i piedi, anzi li massaggia. Con il pollice la parte superiore, con le altre quattro dita la pianta. Carlo intanto giochicchia con i capezzoli puntuti dei piccoli seni di Mei e guarda godendo l'oscura fessura del troppo piccolo culetto di lei. Quest'accoppiata dell'eccitazione del sesso e del massaggio rilassante ai piedi manda in visibilio Carlo e lo emoziona. E' in continuo conflitto tra piaceri contrastanti. E' però ancora lontano dal venire e forse è tutto sommato più in controllo di Mei che è totalmente assorbita dall'esercizio. Flussi di piaceri e di pensieri si frangono infatti nella mente di Mei e nel suo inconscio. I piedi sono sempre stati un simbolo dell'erotismo cinese, anche se – ricorda inconsciamente Mei – cent'anni prima erano quelli delle donne ad essere apprezzati dall'uomo che addirittura imponeva di fasciarli per farli diventare come “piccoli gigli”. E comunque a Mei i piedi di Carlo piacciono. E le piace tanto, dopo aver fatto l'amore sotto di lui, lavorare per lui per dargli un così tanto e complesso piacere. Carlo invece sta vivendo, come gli accade negli ultimi tempi, quell'attimo di lucidità, prima dell'orgasmo, quando si percepisce con distacco e, pur provando infinito piacere, sente il partner come un oggetto separato e la bellissima misteriosa oscenità dei due corpi avvinghiati e penetrantesi lo fanno pensare ad altro. Non era così, anni fa, quando aveva cominciato a scopare. Allora – ricorda Carlo – era tutto emozionato e concentrato, ogni momento, nello spremere e soprattutto dare il massimo piacere. Adesso si vede lì, quasi fosse un osservatore esterno, che scopa una bellissima ragazza cinese e passa il suo tempo a pensare perché l'Italia e le aziende italiane abbiano perso la gara negli ultimi trent'anni. Ha scopato tanto in giro per il mondo, in questi suoi ultimi anni. Scopava per capire o capiva per scopare? “Boh!” “Che cosa ho imparato?” “Sono migliorato in qualcosa?” Tra le fitte di piacere si susseguono lampi di pensieri d'angoscia. “Ho tanto studiato in questi mesi, ho fatto tante domande, ho speso tanti soldi a girare per vedere: ma ho capito qualcosa?” La tesi da finire sta diventando un macigno che si erge di fronte a lui. Sempre più nero e sempre più ripido. Poi una fitta di piacere più forte delle altre arriva e… Dopo un buon caffè, dopo che Mei se ne è andata, il piacere è un ricordo, ma il macigno è sempre lì. Più alto, più nero e più ripido di prima. Decide che deve confrontarsi con qualcuno. “Dai, Ghigo! Vedi se il professor Chen Qin Tai mi può ricevere questa mattina. Digli che ho urgenza!” “Carlo – dice Ghigo – il professore dice di andare da lui alle 12:00, mangerete qualcosa insieme e così potrai parlargli.” Non prende il taxi a getto, un po' perché è a corto di soldi – l'assegno mensile non è ancora arrivato – e un po' perché ha voglia di metropolitana e di sentire l'odore e i rumori della Cina. Per fortuna in metropolitana non diffondono, come sui go-­‐between, quell'orrido profumo di fragola. La potente aria condizionata toglie gli odori più forti – “ma perché i cinesi mangiano tanto aglio?” – ma lascia quel sentore di Cina che lo fa sentire felice. Arriva in centro, in una zona profondamente commerciale. Qui erano nati i primi modernissimi grandi magazzini dopo la grande apertura all'occidente di 60 anni fa. Però per piccole viuzze si arriva alla sua università1 con il suo grande campus che sembra di essere in Inghilterra. Va a prendere il professore nel suo piccolo studio e assieme si avviano alla mensa universitaria. “Allora Carlo, come va la tesi? Perché hai chiesto di vedermi” L'attacco diretto, con vocaboli colloquiali, segnala a Carlo che il professor Chen Qin Tai è di buon'umore e disponibile ad aiutarlo. Carlo si rilassa anche perché temeva di doversi impegnare in una lunga conversazione in cinese formale, che lui non padroneggia ancora bene. “Ma, vede professore, come lei sa dai rapportini che le invio regolarmente, ho fatto molto lavoro di ricerca. Ho analizzato, sul Grid, oltre cento casi di aziende che hanno avuto, o non avuto, una forte espansione mondiale. Ho soprattutto analizzato molte aziende italiane: di successo e non. Ho anche fatto molti post-­‐mortem2 su aziende italiane che hanno chiuso negli ultimi vent'anni non riuscendo a reggere la competizione globale. Ho poi intervistato alcuni capi azienda di aziende italiane, americane e cinesi. Però ho trovato poco.” 1 La Jiao Tong University: una delle più vecchie e prestigiose università di Shanghai. 2 Espressione gergale per riferirsi all'analisi sui dati, pubblicati per legge, sulle aziende fallite o messe in liquidazione. Si veda Cap. 8. “Perché poco? che cosa hai trovato?” “Mah! Non lo so bene. Mi aspettavo di trovare una qualche struttura organizzativa particolare per quelle più di successo oppure qualche strumento gestionale sofisticato. Ma non è così. E' vero che molte di quelle di successo usano i SEGMO3, ma anche molte di quelle di insuccesso li usano: forse un po' meno, ma non mi sembra questa la differenza.” “Ma, Carlo, ci saranno delle differenze?” “Sì, in realtà ce n'è un paio. In tutte le aziende di successo ho trovato una forte volontà di crescere andando all'estero e conquistare nuovi mercati. Il capo azienda attuale o quello 'fondatore' che ha impostato l'azienda, ha sempre una forte visione strategica di dove andare e un desiderio inesauribile di andarci a qualunque costo. C'è una specie di 'forza guida' che 'tira' tutta l'azienda e tutte le risorse verso la conquista del mondo. Ad esempio in Natuzzi, c'è questo motto 'Democratizzare il divano in pelle' che è stato il motore di tutto lo sviluppo. Tutti, in azienda, sanno che cosa stanno facendo: vendendo a tutti, in tutto il mondo, divani in pelle poco costosi, ma di buona qualità, che altrimenti la classe media non si potrebbe permettere. E' quasi una specie di 'missione'.” Intanto sono arrivati alla mensa. Prendono una scodella di zuppa di xue cai con pollo4 e si siedono a un grande tavolo, insieme ad altri studenti e professori. Carlo ci aggiunge una generosa cucchiata di erba cipollina come piace a lui. Il professore è assorto, non risponde. Non si capisce se pensa a ciò che Carlo ha detto, oppure se si gode la zuppa che quasi succhia con rumore dal cucchiaio di porcellana. Carlo ha sempre ammirato i cinesi che a tavola si comportano senza ritegno: non ci sono le regole di 'etichetta' occidentali. Si mangia, si fa rumore con la bocca, si sputa, si ingurgita, si spolpa il pesce intero…in altre parole ci si gode, quasi in maniera selvaggia, il cibo. Si vede che è una delle attività principali che ogni cinese si vuole gustare senza il pur minimo impedimento formale. Forse retaggio della fame atavica che ha portato a far sì che una delle più comuni forme di saluto sia “Hai mangiato?” Però confucianamente occorre sempre offrire ai due vicini, di destra e di sinistra, di servirsi prima loro. Solo allora ci si può avventare sul cibo. “E poi?” chiede di colpo il professore. “Altre differenze?” “Mah, sì. Forse un'altra. Ma non ne sono sicuro perché non ho avuto tutta la strumentazione scientifica necessaria. Mi è sembrato che nelle aziende che hanno avuto successo nella globalizzazione ci fosse una forte disponibilità verso le differenze culturali. In altre parole sono aziende capaci di vivere e prosperare attraverso più culture. Hanno saputo sfruttare la presenza in culture e ambienti diversi per imparare e migliorarsi. Imparare per innovare e migliorare i prodotti e i servizi che offrono e la tecnologia che usano. Non hanno solamente un centro che dà istruzioni alla 'periferia', ma hanno saputo creare, nei vari paesi ove sono, unità 3 I SEGMO – “Socio Economic Global Models”: sono i risultati del GMT; sono modelli alternativi connessi con “tavole degli output” (teoria dei giochi) a seconda delle possibili variazioni della business idea. Tutto si gioca sulla simulazione in tempo reale di varie alternative di decisioni. Il GMT invece – “Global Modelling Technique” – è un metodo semiquantitativo per modellizzare i comportamenti dei sistemi complessi aziendali con tutte le sue componenti: economiche, finanziarie, organizzative (strutture, meccanismi, processi), politiche, ecc. Si veda anche Cap. 7. 4 Pollo in brodo, tagliato a fiammiferi, con germogli di bambù e con foglioline di senape salate conservate. Quest'ultime sono dette 'fior di neve' (xue cai) perché le foglioline germogliano attraverso le nevi residue primaverili, specialmente nella provincia dello Zhejiang. produttive, commerciali e di ricerca che interagiscono tra loro e si 'arricchiscono' vicendevolmente.” “Ma questo da che cosa l'hai capito: qualche struttura organizzativa particolare?” “No, come le dicevo non ho ravvisato strutture organizzative particolari, se non una certa tendenza al modello transnazionale di Bartlett e Goshal. Local, Multilocal, Global Le principali strutture organizzative che un’azienda può prendere, in relazione al suo modo di operare all’esterno, sono riconducibili a tre grandi classi: ‘Local’, ‘Multilocal’, ‘Global’. LOCAL È la struttura organizzativa assunta dalle aziende che operano essenzialmente a livello locale. La struttura non presenta particolari differenziazioni per diverse aree geografiche, tranne che all’interno delle funzioni a contatto con il cliente (commerciale, logistica, servizio) che possono essere strutturate per aree di responsabilità geografiche (ad es.: Nord-­‐ovest, Nord-­‐est, centro Sud e Isole). Può, in alcuni casi, avere una direzione ‘Estero’ per le vendite al di fuori del mercato domestico. MULTILOCAL È la struttura organizzativa assunta dalle aziende che operano su molti mercati geografici nel caso in cui, però, la presenza sui singoli mercati geografici è ‘a sé stante’. In altre parole ogni mercato è trattato come un singolo mercato locale e si sfruttano poco le sinergie tra i avri mercati geografici. Mercato 6 Mercato 1 Mercato 5 Mercato 2 Mercato 4 Mercato 3 GLOBAL Le aziende che hanno una mentalità veramente globale, anche senza essere presenti su tutti i mercati del mondo, si danno una struttura molto complessa, a rete. In ogni mercato su cui si è presenti ci si organizza in funzione del ruolo che si vuole avere: puramente commerciale, commerciale e produttivo, produttivo, ricerca e svilupo, ecc. Ogni unità è poi collegata a tutte le altre contribuendo in modo sinergico alla presenza sui vari mercati locali. Mercato 6 Mercato 1 Mercato 5 Mercato 2 Mercato 4 Mercato 3 Mi è invece sembrata una cosa sottile: una cultura diversa, una mentalità diversa, un'apertura diversa.” “Carlo non mi sembrano risultati da poco, ma io non sono professore di management. Mi occupo di sistemi complessi. Quello che tu mi stai dicendo, nel mio linguaggio, è che i sistemi complessi aziendali che riescono a crescere nel più grande sistema complesso mondo hanno delle variabili di controllo 'soft', o 'sottili' come dici tu, la visione strategica, la volontà, la cultura aziendale aperta. In altre parole l'interazione dei componenti chiave di questi sistemi, le persone, vengono tenute on the edge of chaos in maniera positiva attraverso delle variabili che, in ultima analisi, sono dentro di loro: loro ne devono essere convinti.” “Questo mi sembra un risultato non da poco: è l'altro aspetto della leadership. Tutte le teorie valide, non quelle vankolbiusiane 5 che si sono affermate di recente, dicono che il vero leader opera principalmente sulle variabili 'sottili' come dici tu: convincimento, attaccamento ai valori, condivisione della visione, ecc.” “Certo è un risultato a livello micro: la domanda, a livello macro, che dovrai farti è perché in Italia, negli ultimi trent'anni questo ha funzionato poco.” “Ecco – non riesce a non pensare Carlo – prima mi rimprovera perché lavoro a livello macro, adesso cortesemente mi fa notare che sono ancora a livello micro…” poi però si interrompe perché si rende conto che sta dicendo una bestialità. Intanto Chen Qin Tai dice: “Sai che facciamo, ritorna da me, nel mio studio, fra un'ora, quando a Milano sono le sette del mattino e chiamiamo insieme Giulio Sartori e ne parliamo anche con lui.” Così dicendo, alla cinese, dà chiari segnali di fine dell'incontro. “Arrivederci” “Arrivederci” Carlo passa l'ora di tempo in libreria. Quando può va sempre a vedere tutti i libri di calligrafia cinese che sono in vendita nella libreria dell'università. Carlo, anche se non è mai riuscito a farla bene, adora la calligrafia cinese. E quando vede i libri di calligrafia, che tutte le grandi opere del passato riprodotte, letteralmente vi si perde dentro. Calligrafia I caratteri cinesi compaiono, secondo i reperti finora trovati, prima del 4.000 a.C. Sono di natura essenzialmente ideografica: rappresentano (almeno originariamente) il concetto a cui si 5 Si veda Cap. 3 per la teoria del 'leader maximo'. riferiscono. Nei millenni hanno subito lunghe e complesse mutazioni che hanno dato origine agli oltre seimila caratteri attualmente usati (oltre 50.000 quelli registrati nel dizionario più completo). I caratteri vengono scritti in ‘stampatello’ o in ‘corsivo’ con alcuni stili codificati. Il popolo cinese, fin dall’inizio, ha avuto una particolare relazione con la propria scrittura. È sempre rimasto affascinato dalla ‘pregnanza’ del proprio scritto (quantità di informazione concentrata in pochi caratteri) e nello stesso tempo dalla bellezza formale di uno scritto in ideogrammi. La scrittura ideografica con forte attenzione anche alla bellezza (calligrafica) è rapidamente assurta a regina delle arti, dalla quale, nell’estetica cinese, discendendo tutte le altre arti visive, che sono considerate ‘minori’ (si noti che nella stragrande maggioranza dei casi le opere grafiche cinesi ‘tradizionali’ – pitture , stampe, disegni – sono sempre accompagnate da alcune ‘calligrafie’ scritte spesso da un calligrafo affermato diverso dall’autore dell’opera grafica). Va detto inoltre che un calligrafo è ritenuto bravo per la capacità di sottolineare, nell’esecuzione di un carattere, quegli elementi che più si adattano al contesto e al significato. Questo fa sì che la calligrafia è un’arte complessa che richiede grande comprensione dell’opera per poterla fruire fino in fondo. La caligrafia è anche considerata una qualità del leader. Anche i capi azienda si esercitano nello scrivere, in calligrafia, motti e frasi di circostanza in occasione di aperture di nuovi stabilimenti o di nuovi mercati. Nei momenti di celebrazione di qualche successo di un’azienda non manca mai una breve opera calligrafica di un leader politico della zona (o addiruttura dello stato se l’azienda è abbastanza importante) che inneggi ai risultati raggiunti. Anzi questa qualità è ritenuta così intimamente legata alla leadership che quando si chiede a un leader (o anche a un intellettuale) di scrivere una frase di proprio pugno si ha quasi l’impressione che per un attimo ci sia l’esitazione che doveva avere un cavaliere nello sfoderare la propria spada (o forse di un maschio che sta per denudarsi per la prima volta di fronte a una donna o ai compagni di palestra): si sta uscendo dalle convenienze innocue e si sta entrando nel campo tagliente della competizione vera. Nel piccolissimo studio del professor Chen Qin Tai si impone il grande muro proiettante. Quando Carlo entra, quasi per coincidenza, il muro proietta le immagini di un testo cinese scritto a mano, quasi in calligrafia. Forse una lettera di un collega o di un allievo che il professore sta leggendo. “Carlo, entra. Ho già fatto avvertire da Vecchio Zi6 Giulio Sartori. Ha accettato la videoconferenza.” Poi, rivolgendosi a Vecchio Zi, il professore dice: “Dai collegaci con Giulio Sartori.” L'immagine del prof. Sartori compare sullo schermo. E' nel suo studio a casa, ancora in una tunica di tipo cinese che il professore usa al mattino appena alzato. La tunica dà ai suoi quarant'anni e al suo magnifico corpo ben esercitato un'aria da serio accademico quale in effetti è. “Ciao caro Chen Qin Tai – attacca in inglese britannico, con un vago accento italiano, il prof. Sartori – ciao Carlo. Che c'è?” Chen Qin Tai, con il suo inglese americano senza ombra di accento straniero, risponde: “Caro Giulio, il nostro giovane allievo è preoccupato. Ritiene di avere scoperto poco per la sua tesi. Vorrei che dessi anche tu il tuo parere, per me non è poco, anche se molto c'è ancora da fare a livello macro. Lascio però a lui riassumere la situazione.” 6 Nome del personal assistant computerizzato di Chen Qin Tai. Il nome è scherzosamente quello di Lao Zi (Lao Tze in un'altra grafia) ideatore del Taoismo. Carlo mette rapidamente al corrente anche il prof. Sartori del punto a cui è arrivato e delle sue preoccupazioni sul fatto che ha trovato solo due temi “sottili” che sembrano indicare l'elemento di superiorità delle aziende di successo a livello globale. Sartori dà immediatamente il suo giudizio: “Carlo, mi sembra un ottimo risultato. Anche dai miei studi, da antropologo culturale, sulle 'società' che si formano all'interno delle aziende, ero arrivato alla conclusione, come tu sai, che gli elementi di fondo che, in un clima di fortissima competizione, determinano di fatto il successo dell'azienda sono quelli più 'soft' ('sottili' come dici tu): la volontà, la cultura, la coesione sociale, la differenziazione culturale, la comunicazione e la fertilizzazione reciproca delle idee. Quando la competizione è intensissima ed è stata prolungata per molto tempo, i prodotti, i servizi e la tecnologia delle aziende sono sostanzialmente confrontabili. Due cose possono fare la differenza e spesso vanno di pari passo: la capacità di creare miglioramenti marginali rispetto ai concorrenti e la capacità di mantenerli per un lungo periodo di tempo sì che la somma risultante dalla loro accumulazione diventi sostanziale e differenzi un concorrente rispetto a un altro. Tutto questo è ottenibile solo da quelle organizzazioni che sono capaci di far dare il meglio a tutti i propri membri. Da tempo sappiamo che il catalizzatore base, in queste situazioni, sono proprio i fattori 'sottili'.” Mentre Sartori parla, Carlo comincia a chiedersi “Sì, ma se tutto questo è vero perché negli ultimi trent'anni le aziende italiane non sono state capaci di giocare su questi fattori 'sottili'?” CAP 10: LA VISIONE E LA FORZA GUIDA Il tempo passa. Oggi già due mini uragani tropicali. E adesso la pioggerellina sottile e calda che penetra dovunque. L'altro giorno Carlo ha letto di come sia cambiato il clima a Shanghai e nel mondo negli ultimi trent'anni. Forse trent'anni fa era ancora più gradevole vivere a Shanghai. Non c'erano questa pioggia e questi mini-­‐uragani. Il lavoro sulla tesi assorbe Carlo. Anche se ha avuto un parere positivo dai suoi due tutor, Chen Qin Tai e Sartori, c'è ancora qualcosa che lo angoscia. Non sa bene cosa. E' anche stanco. Improvvisamente, dopo un veloce boccone alla mensa universitaria, gli viene voglia di andare a trovare il suo amico Fang Wen Bin. E' da tempo che non lo vede. L'ha più volte sentito da quando è tornato dall'estero, ma un po' la tesi e un po' Mei non è riuscito a vederlo. Non sa bene perché, ma ne ha proprio tanta voglia. Lo chiama, si accerta che sia in casa, prende un taxi a getto e si precipita da lui. Fang Wen Bin è spesso a casa, nella sua dimora, come lui ama dire. Non solo è benestante, ma anche il suo lavoro di storico gli permette di spendere molto tempo a casa a studiare. Inoltre, a Carlo gli sembra di aver capito, preferisce interagire poco con gli altri cinesi. La sua origine nippo-­‐cinese (la madre era giapponese) nonostante si sia in un'epoca di globalizzazione, gli crea, forse più a lui che agli altri, qualche problema. Fang Wen Bin trova a ogni passo, nella storia moderna che lui studia, tracce dell'odio che i giapponesi hanno creato nei cinesi. Invece del solito inchino formale che, un po' per scherzo un po' sul serio, i due amici hanno preso l'abitudine di scambiarsi quando Carlo va a casa di lui, a Carlo viene istintivo il gesto di abbracciare l'amico. E oggi gli viene naturale parlare in cinese con lui, anche se sa che questo gli costerà: il cinese di Fang Wen Bin è impeccabile e impone un analogo livello di perfezione. Altre volte si rifugiano nell'inglese, lingua franca per tutti e due. L'imperfezione nell'uso della lingua perdona anche, in quei casi, un rapporto più banale. Oggi Carlo, inconsciamente, ha scelto un territorio più difficile, più importante. “Lao Fang! Mi sei mancato!” “Anche tu Carlo mi sei mancato. La nostra partita di W è sempre aperta, siamo a 183 a 211, siamo ancora lontani dal mille. Dai vieni, se vuoi, continuiamo.” Ecco che Fang Wen Bin ha subito trovato il modo di de-­‐emozionare la situazione. Tutti e due sono felici di vedersi, ma così vanno su un territorio meno emotivo. W W è un gioco basato sulle parole, discendente dell’antico Scarabeo. Si gioca su un flat screen comune per i due giocatori. Lettera dopo lettera, due o più contendenti cercano di comporre parole che appaiono soltante nel dizionario delle lingue in disuso. Ogni giocatore pone una lettera, cercando di depositare o interrompere la costruzione di una o più parole abitualmente concatenate da parte dell’avversario, e nel contempo cerca di realizzarne una lui. In flat screen propone molti trabocchetti lungo la strada. Scomparsa di vocali, immagini al posto delle lettere, tranelli linguistici. Vince la partita chi riesce a comporre la parola prescelta e comunicata solo al flat screen. Le parole devono essere almeno di otto lettere. Si può giocare in inglese o con ideogrammi cinese: in quest’ultimo caso si lavora su un ideogramma complesso e al posto delle lettere si usano i tratti componenti l’ideogramma. Fang Wen Bin versa l'acqua bollente sulle foglioline di Long Jin1 che cominciano a macerarsi nelle bianche tazze di porcellana trasparente emettendo striature di un verde delicato. I due amici sono concentrati davanti al flat-­‐screen e godono del piacere di giocare e di essere insieme. Solo quando Carlo sbaglia per la terza volta consecutiva, Fang Wen Bin piazza il colpo. “Come va la tua tesi Carlo?” “Dal viaggio hai portato a casa qualcosa? A parte aver rivisto Monica!” “Non parliamo di Monica. L'ho piantata e non ne voglio parlare.” “Vedi, Lao Fang, la tesi va bene. Anche Chen Qin Tai e Sartori sono contenti. Ma c'è qualcosa che non mi torna. Se dessi ascolto a quello che ho imparato dovrei dire che i fattori più importanti che fanno diventare di successo le aziende a livello globale sono la volontà di crescere nel mondo – tradotta in una forza guida che trascini tutti -­‐ e la capacità di creare una cultura aziendale aperta: che faciliti la comunicazione e la trasmissione delle idee. Nell'ipotesi che questo sia vero, li ho chiamati i “fattori sottili”. Sembrano quasi delle cose importanti, difficili da vedere e devi essere astuto per capirle. Ma non ne sono convinto. Spiegami perché, se è vera questa mia idea, in questi trent'anni le aziende italiane sono arretrate e quelle cinesi hanno fatto passi da gigante a livello mondiale diventando tra i più forti concorrenti globali in quasi tutti i settori.” “Carlo, questa spiegazione non te la posso dare. Non mi occupo né di management, né di economia. Sono un umile storico.” “Ti posso però dire qualcosa sulla storia della Cina in questi trent'anni.” “Beh, sarebbe già qualcosa! Allora?” “Quando tu sei nato la Cina era un'economia in via di sviluppo. Si intravedeva una nazione sulla strada di diventare la potenza che è oggi – anche se molti non ci volevano credere – ma era ancora tutto sommato un paese povero e le aziende erano molto deboli. Riuscivano a competere e a crescere un po' perché erano protette dalle tariffe e un po' perché i loro costi erano così bassi che i loro prodotti, nelle fasce meno qualificate, erano molto convenienti. In questo modo le aziende cinesi, che inizialmente, negli anni '80 del secolo scorso, erano quasi tutte statali, cominciarono ad accumulare capitale. Poi un po' perché privatizzate, un po' perché ne erano nate di nuove, diventarono quasi tutte private. L'innato senso del gioco d'azzardo dei cinesi faceva anche crescere la Borsa di Shanghai facilitando così il confluire dei risparmi nelle aziende più promettenti. Intanto arrivavano in Cina i giovani, spesso figli della diaspora, che avevano studiato negli Stati Uniti importando così quelle tecniche di management avanzato che mancavano. Si creò così un cocktail micidiale, all'inizio degli anni '10. C'era del capitale che veniva anche moltiplicato da quello che gli stranieri erano disponibili ad investire, c'era un po' di management e soprattutto c'era tanta voglia di rivalsa. Da metà dell'800 del millennio scorso al 1949 la Cina era stata continuamente umiliata dall'Occidente e del Giappone. C'era una forte voglia, ma anche la possibilità di “fargliela vedere”. Se a questo unisci anche la voglia di diventare ricchi puoi capire la miscela esplosiva che si era creata. Ogni cinese era un imprenditore potenziale che voleva diventare ricco e soprattutto diventare grande e potente. Anche il mondo aveva dei confini ristretti. Quindi tutte le aziende cinesi si volevano espandere e 'conquistare' il loro 'posto al sole'. Già 1 Letteralmente “Pozzo del Drago”. Uno dei migliori tè verdi cinesi, molto usato a Shanghai. nell'anno 2000 alcune grandi corporation cinesi cominciavano a comprarsi teste di ponte all'estero. Assumendo il 1979 come l'anno dell'apertura al libero mercato della Cina, le aziende cinesi hanno cominciato il loro processo di multinazionalizzazione infinitamente prima di quando, rispetto alla loro apertura all'economia di mercato, lo avevano iniziato le aziende inglesi e americane.” “Quindi…” comincia a dire Carlo. “Quindi – continua Fang Wen Bin – credo che tu abbia visto giusto. Sono proprio la visione strategica con la sottostante volontà di espansione e la capacità di trainare tutta l'azienda, la forza guida dici tu, che probabilmente le aziende cinesi hanno e hanno avuto.” Questa affermazione è quasi un punto fermo. Lui, Carlo, è nel giusto. Tutto apparentemente torna. Al campo All’alba scesi nell’accampamento Passando dall porta d’oriente. Al tramonto sostai ritto sul ponte. L’ultima luce del sole cadente Illuminava la bandiera grande; I cavalli nitrivano nel vento. Sulla sabbia infinita erano le file Ordinate lunghissime le tende, E in mezzo al cielo pendula la luna. Da ogni schiera si levano richiami Ordini brevi e cenni colle mani. Questa dura immutata disciplina Fa desolata e tacita la notte; Di tanto in tanto un triste suon di flauto, E son tristi i guerrieri e senza orgoglio. E chi sarò il supremo comandante Di quest’immensa armata? Un farfallone Aggraziato, leggero e volteggiante. Tu fu (712-­‐770 d.C.) Dinastia Tang (618. – 905 d.C.) (Traduzione tratta da ‘Liriche Cinesi’ – Einaudi – 1963, a cura di Giorgia Valensin) “Tu capisci – dice Carlo – che questo pone il tema dell'influenza che una cultura e una storia possono avere sul successo delle aziende di un paese.” “Quello che dici, Carlo, è banale e profondo allo stesso tempo. Le aziende africane sono ancora molto arretrate ed è evidente che ciò accade perché vengono da una cultura non preparata al libero mercato del terzo millennio. Però oltre a constatare l'ovvio, che alcune culture sono meglio attrezzate per far nascere aziende più combattive, ci si può fare anche la domanda se e come si può agire su questi 'sistemi complessi' – le nazioni con le loro aziende – per renderli più capaci di competere…se così si vuole e si desidera.” Carlo ha un po' paura. Il passaggio dal micro al macro, come direbbe Chen Qin Tai, rischia di essere al confine tra il banale e l'enormemente complesso. “Dai, Lao Fang, non interrompiamoci, tocca a te. Continuiamo a giocare.” Carlo alza di nuovo gli occhi sul flat screen. Di solito giocare a W lo rilassa infinitamente, concentrato su quei segni inspiegabili che sono i singoli caratteri, si astrae dalle contingenze della sua vita. L'ultima volta che Fang gli ha assestato un colpo da maestro e si è portato in testa, Carlo gli ha spiegato che non gli interessa vincere a W quanto giocarci. Fang aveva fatto un cenno d'assenso, “vedo che hai capito adorato amico mio, che occorre sì tendere al fine ma questo non deve far dimenticare ciò che attraversiamo per ottenerlo. E forse anche ottenerlo non è il punto d'arrivo. Anche se non si vince si arriva a un fine. Un altro, evitabile o inevitabile, che disorienta magari perché si è perdenti, ma essere perdenti significa che si è vinto altro, un altro tesoro.” Carlo aveva guardato la logica impeccabile di Fang come da una lontananza. “Ma vedi Fang io intendevo…bè forse il mio cinese non è perfetto! Comunque volevo solo dirti che il W mi distrae da questioni spinose, da difficoltà, insomma mi dimentico per una volta di gestire la mia vita con la responsabilità che, cazzo, delle volte mi schiaccia.” Fang gli sorride, gli fa scorrere la mano sul viso senza peluria. “la distrazione è necessaria quanto l'impegno, ma non lo cancella. Abbiamo un'infinità di opposti , e giocando con i concetti, con il contrario voi nel vecchio occidente avete definito l'uno. Solo secondo ciò che non è, e quel non è si crea di conseguenza ed esiste, si sa ciò che è. Voi fate fatica a riconoscere che tutto fa parte di tutto e che le cose hanno diverse facce, e molte interazioni e molte prospettive da cui osservare e vivere. Adesso fai la tua mossa.” “Scusa Fang ma forse non ho più tanta voglia di giocare” detto questo Carlo gli si avvicina e lo bacia. Non è come baciare suo padre, magari perché suo padre non l'ha mai desiderato come invece desidera Fang. E quando sono sdraiati tutt'e due sul futon, sente che Fang gli è insostituibile anche se lo guarda da “molte prospettive diverse”. Fang è un riferimento certo, con lui ogni discorso, anche il più futile non è mai inutile. Con lui ha quello che si chiamava un tempo rapporto intellettuale. Ma il suo amico ha abbastanza mistero e gli riserva talmente tante sorprese che non può fare a meno di amarlo. Una sera, mentre si accarezzavano con trasporto, gli ha chiesto se il loro era un legame socratico, allievo maestro, tanto per capirci. E Fang con semplicità gli aveva detto che lui non aveva nulla da insegnarli. Nemmeno a letto. E Carlo aveva sorriso, proprio come ora che lo sente addosso e sente gli occhi a mandorla di Fang che lo scrutano come se cercassero di sapere cosa è il suo piacere. E ambedue sanno che il piacere dell'uno è il piacere dell'altro. Forse è questo il rapporto tra due uomini o tra due donne. Che si conoscono perfettamente, per cui la distanza enorme che separa nel fare all'amore con l'altro sesso è qui ridotta a particolari infinitesimali, come se la fatica di entrare in sintonia non esistesse, come se si leggessero nei corpi con lo stesso alfabeto. E quando Fang gli tiene immobilizzata la testa per baciarlo profondamente Carlo sente che è in balia quanto lui di una fusione che va oltre la conoscenza. Anche suo padre aveva avuto esperienze omosessuali, ma come usava allora, nel pieno della trasgressione, erano toccamenti fugaci, rapidi, ancora colpevoli. E proprio per questo evitavano i sentimenti. Oggi, in questa città aperta a ogni possibilità, senza l'assillo della colpa, Carlo si sente libero di amare Fang e di voler essere penetrato dal suo corpo adulto e scattante e poi di fare altrettanto in uno scambio che amplifica la loro intesa. Loro due erano arrivati al sesso non partendo dal corpo come gli era capitato con Mei. Con Mei, bastava che Carlo avesse davanti il suo corpo sinuoso, per aver istantaneamente la voglia. Un'occhiata fiammeggiante di Mei e lui partiva a razzo, senza pensare a nient'altro. Era vero che con Mei si scambiavano i ruoli ma rimanevano un uomo e una donna. Con Mei lui trovava il simile nel dissimile. Mentre ora, che il cazzo di Fang tocca il suo, sa di partire dalla similitudine e di andare verso il contrario, e in quel contrario capire ogni essere umano, ogni differenza. Ora che si avvinghiano con una morsa reciproca, ora che, mentre gli è dentro Fang lo tocca finchè il suo pene sta per esplodere, per poi rallentare fino a fermarsi, lasciandolo sull'orlo dell'abisso, Carlo sente di appartenergli in modo molto più sottile di quanto gli sia mai capitato con chiunque. Fang lo scruta ancora finchè gli occhi di Carlo si velano. Solo allora i movimenti sospesi ricominciano e ambedue vengono, nello stesso momento, schizzandosi tra le mani e tra le cosce. Quando chiusi gli occhi riprendono fiato, Carlo si appoggia al petto glabro di Fang, sulla sua pelle olivastra, sui piccoli capezzoli. Gli passa una mano tra i capelli a spazzola e gli sembra di toccare la testa di un bambino. Ma anche a lui sembra di essere sprofondato in uno spazio immemore, dove non c'erano verbo e forse nemmeno più sguardi o ascolto ma solo tatto e odore, e la pelle di Fang è morbida e tesa allo stesso tempo e il suo odore è profumato e pungente allo stesso istante. CAP 11: STRATEGIA PER GLOBALIZZARSI Domenica di pioggia. Anche oggi che si va a giocare a calcetto con gli amici piove. A Shanghai c'è proprio ormai un tempo schifoso, pensa Carlo, di merda per essere più precisi. Nel suo letto. Sono da poco passate le sei. Ha dormito male e si è svegliato presto. Invece di pregustare la giornata di gioco con gli amici di sempre, ha il chiodo fisso della tesi. A qualche risultato ci è arrivato. I tutor, Chen Qin Tai e Sartori, l'hanno tranquillizzato. Anche parlando con Fang Wen Bin, di cui si fida, si è confermato nei suoi primi risultati. Ma adesso bisogna scriverle queste cose. E in maniera ordinata e logica. Per fortuna che le può scrivere in inglese. Da qualche anno infatti il Poli accetta tesi scritte in inglese: è stata una conquista degli studenti. Abituati oramai a parlare e scrivere in inglese: scrivere un saggio in una lingua difficile come l'italiano era un inutile sadismo. Ricorda un po' quello che gli diceva il nonno: quando nonno Luigi aveva fatto l'esame di maturità (una specie di prova di idoneità alla fine della scuola superiore – sembra a Carlo di aver capito) si usava ancora dover scrivere un saggio in greco antico. Per fortuna adesso c'è l'inglese. A Carlo piace scrivere in inglese. E' una lingua – lui trova – che invita naturalmente ad essere chiari e concisi. KISS diceva il suo trainer computerizzato quand'era piccolo: Keep It Simple and Short. KISS diceva anche il suo insegnante, umano, di letteratura inglese al pre college di New York. Anzi lui diceva di più: un bravo scrittore è capace di riassumere la Bibbia in una pagina senza perdere le emozioni fondamentali. Però non c'aveva mai provato. Forse perché non era un bravo scrittore, rispose, quando Carlo gli chiese di fare un esempio. Adesso il suo compito è di mettere giù chiaramente le sue idee. Allora quali sono le strategie di successo per globalizzarsi? “Dai, Ghigo, prepara un caffè – poi lo vengo a prendere.”…”E poi non farmi vedere questa Shanghai piovosa. Portami in cima al Monte Huang. Il muro proiettante comincia così a mostrare l'alba dalla cima del Monte Huang1. “E poi suona qualcosa di molto antico, con la pipa2”. Ghigo sceglie la melodia di Montagne Piangenti, una musica dell'antica dinastia Han. Carlo quando si vuole concentrare ama la musica antica cinese: lo aiuta a concentrarsi. Il ritmo è lento, i suoni sono scanditi, evocativi ma non trascinanti. E' come se imprimessero il passo al fluire dei pensieri. Senza farli accelerare, ma sempre stimolati. Allora, pensa Carlo, i primi due punti chiari è che le aziende di successo a livello globale hanno una chiara visione di dove vogliono andare e soprattutto riescono a creare un obiettivo che, trasmesso a tutta l'azienda riesce a trascinare tutti verso “la conquista del mondo. In fin dei conti non c'è mai nulla di nuovo sotto il sole. Adesso che non ci sono più le grandi guerre, come gli insegna Fang Wen Bin, il conflitto si sublima a livello economico e l'aggressività si scarica sulla conquista di “spazi vitali” nel mondo. Anche con questi nuovi eserciti, che sono le aziende, occorre un 'grido di battaglia' come si usava nei tempi antichi quando ci si andava a scannare guardandosi negli occhi e affrontandosi con le mani o con armi rudimentali, o almeno oggi ci sembrano così. Sì però questi sono temi prestrategici, in un certo senso. Queste sono le condizioni per avere successo: visione globale e forza guida che traini l'espansione internazionale. Ma poi bisogna 1 'Huang Shan': letteralmente 'Monte Giallo'. Una delle montagne più famose e più belle della Cina. Si trova sotto il Fiume Azzurro a circa trecento chilometri a sud-­‐ovest di Shanghai. 2 Pipa: antico strumento cinese a corde. fare le scelte strategiche giuste: quali mercati, quali prodotti, con quale organizzazione. Ma organizzazione, si dice Carlo, è una cosa complessa: quali reti di vendita, quali reti logistiche, quali strutture produttive, quali strutture di ricerca e sviluppo, quale management, quali procedure organizzative, e così via. Di questo è meglio che ci rifletta poi. Concentriamoci adesso sui prodotti e sui mercati. Però non si tratta di una decisione una volta per tutte. Occorre andare di mercato in mercato, allargandosi sempre di più. Quindi occorre fare meno errori possibili per un lungo periodo di tempo. Per tutto il tempo dell'espansione internazionale. Fino a quando? Fintantoché ci si sta espandendo. E dopo? Dopo si passa da una strategia di espansione geografica ad una strategia di mantenimento delle posizioni. Questi sono temi che per la tesi di Carlo interessano meno. Xie Xuezhi è il primo ad arrivare, con quasi un'ora di anticipo. “Xiao3 Xie, ma non dovevi venire fra un'ora?” chiede Carlo, mentre l'amico entra in casa e si lascia cadere sul divano. “Boh! Non lo so. Ero in giro e passavo di qui. Non ho guardato l'orologio. Dai, se devi lavorare, va avanti. Io mi guardo un video di musica ziing, ne ho proprio bisogno per prepararmi alla partita.” Musica Ziing Genere di musica che si è affermato agli inizi degli anni venti. Creato da una band sino-­‐
britannica che ha avuto l’intuizione di alternare brani di musica ritmica di derivazione dal rock con brani amelodici composti da suoni puri – detti ‘ziing’ – variamente mescolati. Il ruolo dei ziing è di creare una forte tensione emotiva che poi viene ‘scaricata’ dai brani rock. La frequenza di alcuni dei brani ritmici e delle immagini che si susseguono sul video è poi studiata per indurre stati di quasi trance negli ascoltatori. Alcuni sostengono che la musica ziing insieme alle neon pasticche porti a stati di meditazione più potenti di quelli raggiungibili con metodi zen. Xie Xuezhi è da poco stato nominato area manager per l'area Shanghai sud dalla sua azienda che produce neonfly di terza generazione. Le neonpasticche Le neonpasticche sono regolatori dell’umore, approvati dagli istituti sanitari di mezzo mondo, sono consentite in Europa e negli Stati Uniti dove sono stati inventati da un gruppo di chimici, il Dott. Noble, il Dott. C. Brothers, e il vecchio Professor Manoel De la Plata, che hanno vinto il Nobel nel 2028. Non hanno nulla a che vedere con i regolatori di vecchia generazione usati fino al 2010, che basavano il loro effetto sugli scompensi interni all’individuo. I neonfly, questo è la denominazione esatta, al contrario sono in grado di registrare l’umore secondo la posizione dell’individuo in una determinata contingenza, per esempio controllando l’aggressività durante un diverbio o favorendo la socievolezza in situazioni in cui una personalità timida non riesce a esprimersi. L’uso è consigliato a tutte le età, anzi la cura fin dai primi anni dell’infanzia rende il soggetto particolarmente ricettivo al benefico influsso dei neonfly. Non vanno solo nelle pasticche, ma anche nei cibi e nelle bevande. Sono a lento rilascio e il loro effetto, nelle 24 ore successive, è regolabile dalla volontà. Se hai voglia di andare su di giri, vai automaticamente. Se vuoi stare più quieto, ti godi un benessere diffuso. 3 Xie Xuezhi è più giovane di Carlo, quindi amichevolmente lo chiama con il soprannome tipico, in questi casi tra amici, "Xiao" che significa letteralmente 'piccolo'. “No, no. Sono stanco, smetto di lavorare: dimmi di te come ti è andato quell'incontro che dovevi fare con quel cliente, l'altra sera.” “Non era un cliente, Carlo, era il regional manager della mia azienda. Mi doveva spiegare le idee base per migliorare il marketing nella mia area. Sono rimasto impressionato. Giovanissimo, forse più giovane di me , e aveva già le idee molto chiare su quello che la nostra azienda sta facendo. Ma non solo sono rimasto impressionato da lui, ma anche dalla strategia dell'azienda, cosa che di cui io non mi occupo molto. Pensa, mi ha raccontato come il nostro capo abbia un piano molto chiaro per la crescita. Infatti lui, per adesso, vuole scalzare i neonfly di seconda generazione dalla Cina. Poi…” “Carlo – interviene Ghigo ad alta voce – c'è una chiamata urgente di Wang Xing Yuan. Cerca anche Xie Xuezhi.” Carlo dà un'occhiata a Xie Xuezhi che assentisce. “Dai Ghigo accetta.” Sul muro proiettante appaiono per primi i capelli lunghi corvini di Wang Xing Yuan e poi il suo faccione rotondo da luna piena. “Carlo, Xiao Xie,: qui continua a piovere. Perché non rimandiamo a dopodomani la partita di calcetto? Ho già sentito anche l'altra squadra. Anche loro sono d'accordo. Inoltre le previsioni sono buone.” “A me va bene -­‐ dice Xie – devo solo riuscire a spostare ad oggi una riunione che avevo fissato per dopodomani. E per te Carlo?” “Oh, va bene anche per me! Io devo lavorare sulla tesi.” “OK ragazzi – dice Wang – ci penso io ad avvisare tutti. Ci vediamo dopodomani stessa ora. Ciao” Xie Xuezhi comunica tramite il suo personal assistant molecolare. Dopo poco dice a Carlo: “Devo andare, così vedo subito le persone che dovevo vedere dopodomani. Ciao.” Carlo resta solo. Non ha voglia di uscire. E poi Xie Xuezhi gli ha dato un'idea. Dunque il capo dell'azienda di Xie ha già dell'idee chiare su come si vuole espandere. Anche gli industriali e i manager che ha intervistato gli hanno sempre saputo citare il piano che hanno seguito per crescere e per espandersi nel mondo. Avevano chiaro, fin dai primi tempi, un percorso ben pensato per entrare in nuovi mercati. Ogni passo aveva una motivazione. L'ingresso in ogni nuovo paese doveva rispondere a un ruolo preciso. Ogni passo successivo era basato sui risultati dei precedenti. 'Quindi – pensa Carlo – per avere successo a livello globale occorre avere anche una strategia di espansione globale. Strategia di espansione globale La strategia di espansione globale è la descrizione del cammino che si intende compiere per espandersi progressivamente sui mercati del mondo. Deve rispondere ad alcune domande chiave: ü Perché si intende entrare in quel mercato: qual è il ruolo strategico della presenza in quel mercato. ü Quali prodotti con quali vantaggi competitivi si intendono utilizzare per competere su quel mercato. ü Quali competenze distintive si devono impiegare e , se ne mancano, quali competenze distintive si devono acquisire. ü Quali possono essere le fasi successive di consolidamento. Un semplice riassunto di una chiara strategia di espansione globale può essere riassunta in una tabella come la seguente. PROGRESSIVA ESPANSIONE Paese Cina Asia Orientale Stati Uniti (escluso Cina) Paraguay Perché: ruolo Grandi volumi attesi Volumi di mercato ‘piattaforma strategico Apprendimento tecnologie informatiche avanzate Vantaggio competitivo Design del prodotto Competenze distintive 1° fase 2° fase 3° fase asiatica’ (luogo ove basarsi poi espandersi in Asia) Tecnologia Prodotti avanzata all’avanguardia La capacità di ricreare un’azienda di successo come la casa madre Solo produzione con stabilimento proprio per poi esportare in altri mercati Penetrazione del mercato globale Quelle abituali Solo importati di Piattaforma di ingresso al Mercosur Prodotti all’avanguardia poco costosi ‘Time to market’ di Quelle abituali prodotti sempre variati Unità di R&S a Silicon Valley e penetrazione solo commerciale Uffici commerciali Unità produttiva per propri nei paesi più i componenti più importanti sofisticati Centri di servizio propri Solo commerciale Esportazione mercati Mercosur ai del Non è solo questione di mettere a punto il business model e di vendere sempre di più in nuovi mercati.' Business Model Il ‘business model’, schematicamente rappresentato nella figura seguente, è assenza della strategia di un’azienda. Mercato e concorrenti Stakeholders ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Prodotto e servizi Benejici promessi/attesi verso/dagli stakeholders È la sinstesi di come un’azienda progetta, in modo coerente: ü Il mercato che intende servire (e quindi i concorrenti con cui si misura) ü Il prodotto (e/o i servizi) che intente proporre a quel mercato ü Gli attori che interagiscono con l’azienda e di cui deve tenere conto (‘stakeholders’) come: investitori, abitanti dei luoghi dove l’azienda è insediata, ‘business community’, politici e autorità locali, ecc. ü I benefici che promette o attende a/da quegli ‘stakeholders’ ü L’organizzazione che l’azienda si dà per gestire tutte le attività e le relazioni precedenti: risorse umane e fisiche, struttura produttiva e tecnologica, modi di operare dell’azienda, psicologia delle persone che vi operano, cultura aziendale, ecc. Con questa idea in testa si mette a lavorare e a dare istruzioni a Ghigo per nuove ricerche sul Grid. E poi più tardi sarebbe arrivata Mei. Ne ha proprio voglia. La vibrazione che muove il futon di Carlo è dolce e carezzevole. Poteva scegliere fra tanti tipi di sveglie, ce ne sono che sbalzano la gente dal letto o altre accompagnate da una musica vibrante per i duri del sonno. Carlo si gode il massaggio che gli riattiva tutti i muscoli, e il suo corpo, piombato nei sogni dopo aver fatto l'amore con Mei, sta tornando alla realtà. Istintivamente si volta ma sa già che la ragazza se n'è andata da ore. Il suo computer interno parte alle sei e mezzo, le stimola con impulsi il cervello e in venti minuti Mei è pronta per uscire. Per colazione ha tre pillole e una tazza di tè. Carlo invece è ancora tardivamente legato al caffè, italiano, nero. Mentre si guarda allo specchio, capelli biondi e occhi chiari, trova una conferma che alle razze latitano ormai i segni distintivi. Il sangue è misto, i tratti si ricompongono in improbabili neologismi facciali. E, in un rigurgito di fantasie sul futuro, Carlo cerca di immaginare cosa sarebbe un figlio avuto insieme a Mei. Quale gene prevarrebbe, quale pelle, chiara, scura, quali capelli, i suoi riccioli biondi o il setoso nero di lei? Saltando le canoniche generazioni, potrebbe avere il grosso naso di suo padre o gli zigomi alti del bisnonno mongolo di Mei. Rimane con questi pensieri tutta la giornata, mentre consulta ipertesti, mentre detta a Ghigo alcune considerazioni dopo altre videoconferenze con manager cinesi che l'hanno terribilmente impressionato. Il tutto durante lo spuntino a pranzo che, per fortuna, il forno, già programmato la settimana scorsa, gli ha cucinato in quarantacinque secondi. Ma lui impiega quasi un'ora per mangiarlo, seduto in poltrona. Un figlio da Mei. Che idea strampalata, lo sa, e sa anche che sarebbe l'unico modo di eliminare Monica dalla sua vita. Dio che brutto verbo che ha usato, forse perché gli arrivano messaggi quasi deliranti da parte di lei. Ha chiesto a Ghigo di non darglieli, di metterli da parte, come le buste che non si aprivano mai. Nell'ottocento si gettavano nel fuoco di un camino, oggi si cancellano con un sì. Sì, alla domanda di Ghigo che si preoccupa sempre troppo della cancellazione definitiva. Carlo lascia passare settimane prima di farlo. Ma di Monica apre un messaggio solo, a caso. E' già troppo, già troppo, pensa tra sé, analizzando grafici e tabelle, e studiando qualche equazione matematica che gli ha passato di straforo Gao Hai Tao, il suo amico fisico e anche terzino della loro squadretta di calcio che milita nel campionato regionale. Gao aveva fatto il misterioso ma gli aveva giurato che la formula inventata e costruita poi su modelli gravitazionali, poteva andar bene anche per risolvere alcuni quesiti economici. Gao Hai Tao era davvero uno strano tipo, come tutti i fisici che si occupano di indagare il futuro. Lui non aveva nessuna voglia di mettersi nel calderone di quelli che ancora discutevano su che tipo di Big Bang ci fosse stato all'origine del nostro mondo o di litigare con quelli che pensavano che il grande scoppio, la suddivisione infinitesimale non c'erano stati affatto. Lui si dichiarava un vettore che procedeva in linea retta, tangendo le masse che incontrava. Infatti in campo lo chiamavano “Vet” perché, magro com'era, correva velocissimo e sempre dritto, una freccia che schizzava dalla difesa e arrivava dritto nell'area avversaria. Lui si incazzava come una bestia quando gli chiamavano la palla urlando vet. Essere un veterinario era l'ultima cosa che desiderava. L'astratto lo attirava terribilmente, il vuoto. Il suo appartamento infatti, uno di quelli che l'Università dava ai ricercatori, era bianco da far spavento, con pochissimi mobili e un'aria da infermeria. Sul muro asettico di sette per quattro metri scriveva le formule. E solo lì compariva il colore. Quando Carlo se le era trovate davanti, si era stupito del fatto che Gao usasse ancora il gesso. Un gesso blu, uno rosso e un altro giallo, a seconda dell'importanza dei calcoli.” Cos'è questa roba Lao4 Gao?” gli aveva chiesto una volta che entrando lo aveva trovato in ginocchio nell'angolo in basso a sinistra, mentre cancellava e scriveva, cancellava e scriveva. Lui aveva alzato la testa e attraverso gli occhiali, sì perché Gao pensava di essere più interessante con la sua montatura rettangolare sul viso un po' anonimo, aveva sorriso. “Li faccio venire apposta da Fuzhou” aveva risposto Gao, mostrando la scatola di cartone che conteneva i gessetti colorati. “i gessi sono l'unica concretezza che ho nel mio lavoro, mi aiutano a pensare, la lentezza della scrittura da modo al mio cervello di andare più veloce. Mentre traccio un segno so di avere cento significati diversi e almeno tre verità.” Gao Hai Tao ha un modo tutto suo di esporre le cose, ride spesso con una cascata cristallina di suoni, come se fosse facile stupirlo e farlo gioire. Sono coetanei, eppure Carlo lo sente diverso, lo sente instabile. Non che lui stesso sia un prototipo di certezze, anzi, ma Gao attraversa periodi di euforia e altri di disintonia con il mondo. E' molto spiritoso e per spiegare le sue ricerche usa sempre quegli idiomi cinesi, tanto cari anche a Fang, che traggono spunto da una saggezza millenaria appartenente a radici lontane, che stupiscono Carlo. Non ha fidanzate ma non sembrano piacergli nemmeno gli uomini. Ha un mondo tutto suo, la ricerca. E' in contatto naturalmente con i migliori istituti di fisica del mondo e lavora nel prestigioso istituto di fisica quantistica alla periferia della città, un bunker che salta su come uno scarafaggio nero tra i campi di riso, ormai di gran lunga superiore per risultati raggiunti alla fama di Princeton e Cambridge nel secolo scorso. 4 Gao Hai Tao è più anziano di Carlo, quindi amichevolmente lo chiama con il soprannome tipico, in questi casi tra amici, “Lao” che significa letteralmente “vecchio”. “Princeton e Cam sono la preistoria, vecchia, superata” dice sempre Gao con un ghigno, “dammi retta, i prossimi secoli saranno tutti qui”. Il qui equivale ai laboratori sotterranei dell'Istituto e all'acceleratore di diametro enorme e lunghezza spropositata che è stato costruito nel nord del paese, nelle steppe desolate al confine, guarda caso, con la Mongolia. Decisamente la Mongolia si sta facendo interessante, ha pensato Carlo quando ha accompagnato Gao all'aeroporto l'ultima volta che si recava là per un nuovo esperimento con le particelle. Mentre la striscia rotante lo proiettava fuori, di nuovo verso Puxi, Carlo aveva memorizzato il volo. La prossima volta ci sarebbe salito su quel volo. Con Mei. CAP 12: MA ANCHE ORGANIZZAZIONE Eccola, ci stavano arrivando, il tragitto è stato breve, il concetto di viaggio ha ormai fatto posto al concetto di trasferimento. Anzi la vita stessa era diventata tale, si trasferiscono informazioni e sentimenti, sensazioni e istruzioni. Carlo guarda fuori dal finestrino la campagna che si ingigantisce, le case sempre più rare. Gao Hai Tao possedeva, grazie a un lascito di un professore anziano, un'heritage house. Si tratta di case simbolo, preservate e onorate di restauri e attenzione da parte del governo centrale. E' considerata una dimora d'epoca lontana, abbastanza da non essere abbattuta come immeritatamente molte altre. Perché la politica demografica cinese non ha ancora arrestato l'onda di proliferazione che, nonostante le leggi, aveva caratterizzato soprattutto la prima metà del novecento. Anche la società cinese, come l'Europa, è abitata in maggioranza da vecchi che tentano di far tornare indietro il tempo. Le pratiche di rimessaggio, come le chiama Fang Wen Bin, consentono di cambiare i pezzi del corpo che sono marci, ricompongono facce e scolpiscono corpi. Ogni prodotto che non riguardi i bambini contiene sostanze anti-­‐age. Carlo si accontenta, come i suoi amici, di prendersi robusti aggiuntivi che migliorino le sue prestazioni. Aveva scovato un bibitone formidabile che lo fa correre almeno il 50% in più. Naturalmente non aveva divulgato la notizia e nessuno è riuscito a scucirgli il nome della bevanda che ha trovato in uno specialissimo sito grid di cui custodisce gelosamente l'indirizzo. Gao Hai Tao guida con un'andatura irritante, Ping Dong Bai, nel sedile posteriore è collegato con quello che Carlo definisce scherzosamente il suo GhiGHin, storpiando alla cinese il suo adorato e fedele compagno nel cervello. Ping gioca a W con il computer e si preclude le verdissime colline di riso, i gradoni sovrapposti di erba sfavillante che si piega al vento. Gao sorride tra sé. “Che c'è Gao, sei particolarmente in forma per la partita o felice che John non ci sia?” Carlo da un buffo sulla guancia all'amico. Gao ha momenti di buonumore irresistibili ma certo l'assenza di John Carrey tra gli avversari è un colpo di fortuna. Se domani vincono, entrano nelle semifinali regionali, un successone per otto amici che sono accomunati dalla passione per il calcio. Carlo ne è il progenitore perché solo per il fatto di essere italiano viene investito di un talento naturale che dovrebbe possedere. Gli hanno dato la fascia di capitano e i suoi capelli biondi sono diventati il faro della squadra. La palla passa sempre dai suoi piedi. Qui Carlo, a differenza che in Italia, è il migliore. Dietro alla casa di Gao c'è un campetto dove si alleneranno, un rettangolo circondato solo da immensi campi di frumento. Due grandi sicomori, le cui fronde si incrociano sopra il tetto, proteggono le architravi di legno laccato e il pavimento tirato a lucido. Il binomio cinese e antico quasi sempre vuol dire rosso e laccato, con aggiunte dorate. La stanza di Carlo non ha alcuna facilitazione tecnologica. Qui esiste la linea superveloce per non perdere i contatti con Shanghai e il resto del mondo, ma non ci sono computer di gestione della casa e dei rapporti. Ma un segreto sì. Sotto il perimetro della casa è stato costruito una specie di bunker che Carlo ha visto una sola volta. Lì c'è un elaboratore potentissimo solo per i calcoli di Gao e dei suoi collaboratori. Sono arrivati anche gli altri cinque compagni su un pulmino a getto dove tengono le divise e i palloni. Cominciano senza esitazione l'allenamento che si protrae più di un'ora. Nuovi schemi e Francois in porta. Mezzo dipartimento di fisica è presente. Carlo si incazza sempre con loro perché dovrebbero mantenerli gli schemi, dovrebbero saper lavorare in equipe, invece manca tra loro la disciplina, anzi la squadra è la più confusionaria del campionato. Sono fisici, dovrebbero sapere quale posto si deve occupare in un dato campo, invece regna l'anarchia. Ping, poi, allampanato com'è quando si spinge in avanti non rientra più. Sono estemporanei, Carlo lo sa, ma li ama anche per questo, per il loro non piegarsi sempre a una ragione di stato superiore che li irreggimenta. E quando triangolano in area, si inventano rovesciate, acrobazie e slalom che farebbero morire di cuore ogni allenatore. Per questo la loro squadra, il 'Tao of Dreams', questo il nome solenne dato proprio da Gao, non ha un preparatore tecnico, certamente si tratta dell' team più democratico che ci sia. Direzione collegiale aveva proposto Francois quando anche il quarto allenatore ingaggiato era scappato a gambe levate. Non riuscivano a mettersi lì e a seguire la tattica. Cercano di aiutarsi, certo, e forse questa è la forza che da più coesione. Se si parla di spirito di squadra loro ce l'hanno. La sera, sdraiati sui divani, le gambe dolenti e il sonno incipiente, si concedono mezzo bicchierino di sakè stravecchio. Stasera non ci sono donne, qui, e si sente. Arrivano domani le fidanzate di chi ce l'ha, Francois, infatti, è lì che freme perché la domenica lo raggiunge Miko, l'ingegnere aeronautico di cui si è perdutamente innamorato. Francois è davvero un antico romantico, roba dell'800, ma Miko è davvero speciale per lui. Alta quasi quanto Mei, ha un viso e modi meno spigolosi della sua amante. Carlo sa che Mei è inarrivabile e forse la sua determinazione è la cosa che gli piace di più. Miko è talmente dolce che lui non la sopporterebbe. La mattina seguente, concentrati e tesi al punto giusto si giocano l'accesso alla semifinale. Ma dopo il primo tempo vincono già due a zero e Carlo ha segnato entrambi i gol. Sul campo sono presenti dieci nazionalità diverse e come se fosse eredità di un passato culturale, il calcio svela ancora qualche differenza. Come se i geni del calcio fossero inscritti in una dote naturale. E poi a tutti loro piace questo piccolo campo di gara che ha ancora le tribune. Ricorda a Carlo il rettangolo melmoso della Bovisa, dove correva da bambino. Era l'ultimo in terra rimasto. La squadra qua è stata adottata dagli abitanti che hanno scelto di vivere alle porte di Shanghai, esattamente come gli stessi hanno adottato la colonia di fisici che vi si è trasferita. Ci sono tifosi che incitano, come ai vecchi tempi. E dopo che si è concluso anche il secondo tempo e la squadra ha vinto, scendono dalle tribune e festeggiano Carlo, Gao and company. Carlo si sbraccia per la contentezza poi alza gli occhi al cielo. Sopra di loro è comparso un pallido sole. Perché Mei non è qui. Tutte le volte che lui gioca a calcetto, Mei resta a Shanghai. E nemmeno lo raggiunge, come spesso fanno le altre. Carlo non ha mai capito se fosse perché a Mei non piace il calcetto o perché non le piacciono i suoi amici o, forse la cosa più probabile, perché non le piace l'atmosfera cameratesca e un po' stupida della squadra. E' anche vero. Quando si ritrova la squadra le battute sono sempre quelle, si dicono sempre le stesse cose, si fanno sempre le stesse domande “Allora come è andata nella tal cosa…?”…”Hai poi fatto quella cosa…?” Mei non accetta tutto questo, che invece piace a Carlo. Il suo snobismo intellettuale la tiene lontana da tutto ciò che non è tensione, competizione. Forse le sembra di buttare via del tempo. “A proposito di gettar via il tempo, – pensa Carlo – domani devo inviare a Chen Qin Tai un riassunto sull'organizzazione delle aziende che hanno avuto successo a livello globale. Sarà bene che ci cominci a pensare.” Pur rilassandosi, lì sotto il sicomoro di Gao, con tutti i suoi amici intorno che ridono e scherzano, una parte del suo cervello comincia a pensare. E' già un pò di tempo che lavora sull'organizzazione delle aziende globali. Quando aveva cominciato a guardare questa dimensione, aveva grandi aspettative. Sperava, quasi ne aveva il presentimento, di fare chissà quali scoperte. Sperava di trovare forme organizzative molto particolari, che giustificassero, spiegassero il successo globale. Poi pian piano si era accorto che non era così facile trovare qualcosa di particolare. D'altro canto dai tempi della teoria della contingenza di Puig e di Lawrence e Lorsch, la teoria organizzativa era stabilizzata. La grande regola era: 'L'organizzazione non è altro che un mezzo: deve essere adattata alla situazione particolare in funzione degli obiettivi che ci si ripromette.' Il corollario immediato è che non ci sono organizzazioni giuste o sbagliate, secondo canoni assoluti, ma solo organizzazioni che funzionano, che raggiungono gli obiettivi che ci si è posti. Come diceva un certo Deng Xiao Ping, un vecchio leader cinese, ancora ricordato e onorato – Carlo non sa bene perché – un po' da tutti, l'importante è che il gatto, bianco o nero non importa, sappia prendere i topi. “Sì – pensa Carlo – ma perché non c'è un modo particolare per operare a livello globale?” “In realtà – continua a riflettere Carlo – non c'è un modello organizzativo standard, ma ci sono delle competenze che nelle aziende di successo che ho visitato sono esercitate con particolare attenzione e professionalità.” Competenze organizzative di globalizzazione Le aziende che si globalizzano con successo possiedono alcune precise competenze organizzative. Nome della competenza RISORSE Motto Descrizione Non ci sono figli di un dio Saper gestire tutte le risorse (umane, finanziarie, conoscenza) senza discriminazioni per appartenenza geografica. In altre parole occorre minore COMUNICAZIONE Parlare una universale MOTIVAZIONE Tutti per uno, uno per tutti COMPLESSITÀ Trovare il bandolo della matassa PREGIUDIZI Indossare rosa saper valorizzare le sinergie insite in una presenza in molti paesi. gli lingua Saper comprendere i segnali, di qualunque natura essi siano, che occhiali pervengono dalle varie aree geografiche. Saper dedicare una particolare attenzione all’innovazione che può venire da culture diverse. Saper comunicare, diffondere con chiarezza la strategia e gli obiettivi aziendali, per motivare tutte le risorseverso l’obiettivo di espansione globale. Sapere gestire operativamente, eventualmente con l’utilizzo di Internet, la complessità derivante da una presenza molto articolata sul territorio. Saper leggere la forte evoluzione del mondo in via di globalizzazione secondo l’ottica delle competenze aziendali, per saper così sfruttare tutte le opportunità emergenti. Carlo, come era sua abitudine le aveva classificate con un motto: 1.
2.
3.
4.
5.
Non ci sono figli di un dio minore Parlare una lingua universale Tutti per uno, uno per tutti Trovare il bandolo della matassa Indossare gli occhiali rosa Ne aveva parlato anche con un giovane manager tedesco, Roland Deiser, suo amico. E Roland aveva fatto un'osservazione intelligente, che aveva colpito Carlo. Roland aveva detto: “Carlo, quello che tu stai dicendo, è che in un mondo complesso perché essendo globale abbraccia tutte le infinite diversità dell'umanità, non si può governare con variabili rigide, occorrono variabili organizzative molto flessibili come la cultura aziendale, la comunicazione, la motivazione, ecc.” Ecco la chiave di volta organizzativa: contrapporre alla complessità strutturale, l'integrazione della flessibilità e delle variabili 'umane'. Un po' come Gao che, per scrivere le sue astratte equazioni ha bisogno di 'compensare' usando i materici gessetti colorati. Ecco un'altra prova di ciò che sta imparando in Cina. La compensazione, l'affiancare i diversi per raggiungere l'armonia, come dicono i cinesi. Ecco che questa armonia non è, come pensava Carlo le prime volte che andava a visitare la città proibita1 a Pechino, un obiettivo astratto ed etereo da raggiungere in trance spiritual-­‐religiosi. E' una cosa concreta che serve a raggiungere fini pratici. Come quello di far funzionare una banalissima organizzazione di un'azienda al fine di conquistare il mondo. A questo punto è stanco degli amici. Ha bisogno di dividere con altri la sua 'scoperta'. Chiama Mei e glielo dice, allontanandosi dal sicomoro e dagli amici. Facendosi immergere dalle spighe del grano. Mei lo ascolta. “Carlo, è tutto molto bello. Ma come si fa?” A Carlo girano le scatole. “Ma come – pensa lui – le presento un risultato difficile e lei mi butta in faccia una domanda banale: ' come si fa?'”. Poi ci ripensa e si accorge che Mei ha ragione. A un'azienda bisogna dire non solo le competenze che dovrebbe avere, ma anche come deve fare per svilupparle. “Ma in fin dei conti, chi sono io per pretendere di insegnare alle aziende?” “Nessuno se…” comincia a rispondere Mei alla sua domanda che lui pensava di avere solo pensato. Si vede che Ghighino era rimasto aperto e forse Carlo aveva pensato con un po' di voce. E così Mei aveva sentito. “Nessuno se non hai ambizione”… “Ma se hai ambizione, non ti puoi fermare alla teoria, devi anche proporre delle soluzioni concrete, facili da capire e semplici da attuare. Così diventerai famoso!” 1 Moltissimi padiglioni della città proibita sono intitolati all'armonia celeste. CAP 13: I SISTEMI PAESE ALLE SPALLE E I PARADIGMI CHE SI SONO SCONTRATI Sono quasi arrivati. Carlo ancora non ci crede, ma se si volta, riconosce proprio Mei, lei, l'inafferrabile che gli ha concesso due giorni del suo preziosissimo tempo, che ha rinunciato a un meeting e a una cena di lavoro con i suoi capi. Mei, che gli ha promesso di non rispondere alle chiamate sul suo personal assistant e l'ha baciato appassionata tra i controlli della sicurezza. Ora Mei non ricambia lo sguardo, persa in pensieri impossibili a decifrare. Ma anche se Carlo ci riuscisse a quale verità avrebbe accesso? Esiste la verità su, riguardo, intorno, dentro una persona? Mei è rimasta concentrata su ciò che vede dall'open space del jet, lo skyline di Shanghai e poi i sobborghi, e piano piano, le costruzioni diradano perché sono ormai sulle distese immense di roccia e steppa sconfinata che stanno sorvolando e che non sembrano avere fine. Da almeno mezz'ora hanno oltrepassato le foreste e i laghi, adesso prevale il giallo dei pascoli sferzati dal freddo e bruciati dal caldo. Il deserto dei Gobi1 si stende nella sua possanza, incenerisce i pensieri. Mei ha la mascella tesa, e gli occhi, Carlo se ne accorge, pieni di lacrime. Lui ne è stupefatto, Mei che non argina le sue emozioni, non frena la commozione. E' proprio un'altra faccia della donna efficiente che pretende la stessa efficienza dai suoi collaboratori. Ne ha visto qualcuno chinare il capo davanti a Mei, quasi a chiedere perdono e lei guardarlo con disprezzo. Talvolta Mei è cattiva, lui lo sente. Una volta gliel'ha anche detto. Mei, gelida come mai, gli aveva risposto che i buoni non vanno da nessuna parte. Doveva essere cattiva, non misurare mai l'aspetto debole della mente umana, se non per studiarne una tattica di avvicinamento. Mei aveva una specialista di scienze cognitive accanto, che le indicava ogni volta la strategia psicologica da adottare. Si sfruttavano i punti deboli della controparte con simulazioni guidate, seminari che talvolta occupavano tutto il week-­‐end. Ulan Bator2 è ormai in vista. Si fermeranno poche ore perché voleranno di nuovo verso Dadal3, e poi a cavallo arriveranno alla vecchia casa del nonno di Mei, senza però sapere cosa troveranno. L'aeroporto dì Ulan Bator è un grande parallelepipedo di vetro autoriscaldato usando energia solare. Il resto della città è avvolto da una nebbia di smog che solo grazie ai venti si disperde. A Ulan Bator fabbricano le neon, e altri medicinali di origine vegetale. La bio-­‐
botanica qui ha conosciuto un grande sviluppo. Ma l'aria si è appestata comunque. “Che ne diresti se proseguissimo subito per Dadal?” Mei ha già fiutato che nella capitale non si sta da Dio. Decidono di digitare immediatamente sullo schermo del terminal i loro nomi. E dopo un quarto d'ora, sono di nuovo in volo. Dall'alto la capitale mongola ha come un fungo sopra la testa. Sono i residui tossici della lavorazione chimica di pasticche, inoculazioni, additivi dietetici. Ma bastano pochi minuti per lasciarsi alle spalle le nebbie arancioni di Ulan Bator. Di 1 Deserto dell'Asia Orientale, tra Mongolia e Cina. E' un enorme altipiano di sabbie e ghiaia, privo di vegetazione e fauna. Il clima è arido e freddo. 2 E' la capitale della Mongolia. E si trova nel nord del paese. Fu fondata intorno a un monastero lamaista (il lamaismo è una forma di buddismo) costruito nel 1639. Chaimata Urga per secoli, ha cambiato nome nel 1925, quando la Mongolia è diventata una repubblica indipendente. OO lahn BAH tawr è il nome del leader che ha condotto a termine la battaglia per l' indipendenza. 3 Dadal è un villaggio del nord della Mongolia a 560 Km da Ulan Bator. E' immersa in boschi di abeti fiumi e laghi. Si ipotizza che vi abbia avuto i natali Gengis Khan. nuovo si spalanca l'altopiano deserto e desertico, di nuovo il cielo si spande in grandissime lontananze, senza una nuvola, in uno splendido blu. Quando sorvolano un'area di parecchi ettari, recintata, Carlo sussulta. “Deve essere qui sotto l'acceleratore di Gao! E' quello, laggiù, laggiù” esclama Carlo e indica una costruzione anonima, una specie di hangar che mimetizza un tunnel di chilometri sotto terra, fatto di laboratori, pieno di osservatori che ipotizzano calcoli matematici e cercano lì, un mistero indagato. E che più si indaga più diventa mistero. Mei, piuttosto altera ora che ha rintuzzato le lacrime, fa un cenno di assenso, sorride debolmente ma è stranamente silenziosa e immobile. Il velivolo, un po' antiquato, vola molto basso e quindi si intravedono anche gli insediamenti dei pastori. E' incredibile, pensa Carlo, che questo sia uno degli ultimi luoghi sulla terra dove la pastorizia ha ancora un qualche significato. E anche se i cinesi hanno confinato le popolazioni nomadi dentro grandi riserve come è accaduto tra l'800 e il 900 agli indiani americani, ai quali solo molti decenni dopo sono stati restituiti luoghi sacri e tradizioni , i mongoli nomadi non abdicano. Come si potrà mai conciliare un mondo senza quasi più confini geografici, o almeno piuttosto formali, con i confini che ancora sussistono nella mente degli esseri umani? Confini culturali che vanno spegnendosi certo, che si diradano ma che sono il baluardo mostrato da chi ha ancora radici antiche e che è arrivato per ultimo alla tecnologia. Sotto intanto il paesaggio cambia. Un fiume verdissimo solca la terra e ne rende floride le rive. Poi scompare inghiottito dall'orizzonte, sparisce così, come se una cascata lo attendesse alla fine dell'altopiano, una cascata che si può solo immaginare perché a quella ipotetica cascata nessun uomo arriverà mai. Superata una foresta di abeti, risparmiati dal governo cinese per gli alti costi di trasporto, si riaffaccia la steppa. Improvvisamente Mei indica a Carlo un puntino scuro nel nulla di un altipiano. Lui non capisce. “E' uno yurt”, sono le uniche parole che escono da Mei. I mongoli conservano per i turisti esempi di accampamenti di millenaria memoria. E qualche volta li fanno diventare alberghi. E' in uno yurt fuori Dadal che passeranno la notte, dopo aver cavalcato per due ore senza sosta. Quando Carlo si è messo in sella la macchina del tempo è tornata indietro, ai tempi della sua adolescenza. Ora hanno affittato cavalli e equipaggiamento e seguono docilmente la guida mongola che li porta a Dadal. Avrebbero potuto prendere un mezzo più confortevole ma Mei ha insistito per andarci a cavallo. Nell'alternanza di boschi resinosi e di terre assetate e polverose, nella rarefazione dell'aria di questa altitudine, il respiro sembra mancare. Mei per una volta non è la Mei al limite delle prestazioni. Sembra a disagio sul cavallo, certo un po' troppo selvaggio, e le selle di pezza non aiutano granchè gli sprovveduti figli della città. Finalmente appare il paese e loro entrano a Dadal. Che è ancora un piccolo agglomerato dotato comunque di ogni facility. Dovunque è raffigurata la faccia minacciosa e guerriera di Gengis Khan, il liberatore della Mongolia, nato da queste parti. Dovunque si vendono copie della sua spada, degli abiti, e addirittura c'è un allevamento di cavalli che porta il suo nome perché si dice che il primo stallone che ha dato via alla progenie, fosse imparentato con l'ultimo cavallo appartenuto a Gengis Khan. L'abbuffata di turismo è stata enorme. Hanno visto tutto. Cose belle e tanta paccottiglia. Adesso sono stanchi. La cena è stata da dimenticare. Mei è sempre stata in tensione. Strana. Distante. Assorbita da questo ambiente così lontano da quello di Shanghai a cui è abituata e in cui si sa muovere con grande capacità. Adesso sono nello yurt, dove dormiranno. Carlo si spoglia come un fulmine, è tutto il giorno che aspetta questa notte d'amore romantico con Mei. La prende tra le braccia, mentre lei si sta ancora spogliandosi, eccitato, cerca di baciarla e cerca di affrettare l'eliminazione dei vestiti. Ma Mei lo respinge e, gelida, dice: “Sono molto stanca, adesso voglio dormire.” Carlo come sempre in questi casi resta mortificato e deluso. Si sente un po' come uno stupratore che voleva profanare un essere sacro. E a cui l'essere sacro ha inviato una rampogna celeste. Non riesce neppure a rispondere. Oltre alla mortificazione iniziale, sta anche montando l'incazzatura. Con sé stesso, per essere stato così maldestro, e con Mei, non sa bene il perché. Lentamente si riveste ed è fuori. Nella notte stellata infinita. E' uno spettacolo incredibile. Il cielo stellato ricopre la steppa da Nord a Sud e da Ovest a Est. E' come un'immensa semisfera sopra Carlo senza nulla all'orizzonte. L'aria è tersa e non ci sono nuvole. Le stelle sono innumerevoli. Carlo riconosce alcune costellazioni che ama: Orione e Cassiopea. Fa un po' freddo, rientra, prende una coperta e poi, fuori, si siede appoggiato allo yurt, con la coperta addosso a guardare le costellazioni. Mei è oramai dimenticata. Non l'ha voluto, peggio per lei. Si scopre a pensare 'Vada a farsi fottere'. E invece queste stelle gli fanno andare il pensiero a Gengis Khan, ai mongoli, alle corse a cavallo nella steppa di notte sotto questo cielo incredibile, al vento che accarezza le gote, all'odore del cavallo, ai muscoli dell'animale, scattanti, che si sentono sotto le cosce e i polpacci, all'euforia di sentirsi attaccati a un altro essere vivente, movendosi all'unisono con lui, in una comunione che è profonda. Carlo la può solo immaginare. Non ha avuto grande esperienza di cavallo nella sua vita. Ma da piccolo, a Milano, la mamma lo ha voluto mandare a montare. La mamma lo faceva solo perché in passato facevano così le famiglie nobili milanesi. Però Carlo ha sperimentato questo connubio, oramai l'ultimo rimasto, uomo-­‐animale. E oggi, ricordando quelle intuizioni, improvvisamente sente, quasi fossero rimaste nei suoi geni attraverso imperscrutabili discendenze, quelle sensazioni. Quasi si sente un mongolo a cavallo in una corsa, chissà perché, necessariamente sfrenata. “Guarda a che cosa si sono ridotti oggi – pensa Carlo, ricordando tutto quello che ha visto nella giornata – non riescono ad uscire da una situazione di stallo. La loro economia è ferma, nonostante tutti gli aiuti che hanno ricevuto dall'Unione Europea (che voleva tenerli agganciati all'orbita occidentale) e dalla Cina (che voleva toglierla dall'orbita russo-­‐
occidentale).” Gli ultimi cinquant'anni sono stati, al fondo, uno scontro colossale di diversi 'sistemi paese'. Carlo questo lo sa. L'ha studiato in diversi corsi all'università. Anche alla scuola superiore glielo avevano detto, ma lui allora non l'aveva capito bene. I 'sistemi paese' non sono altro che l'insieme di tutte le istituzioni e gli enti pubblici e privati di un paese (governo, scuola, imprese, giustizia, ecc.) che collaborano, in maniera più o meno sinergica e coordinata, per far sì che i servizi e i prodotti del paese diano un alto valore aggiunto. In altre parole che creino più ricchezza, che in ultima analisi si ripercuote sulla qualità della vita della popolazione del paese. La Cina, a partire dagli anni '80 del secolo scorso è stata la più brava. Il 'sistema paese' Cina ha costruito ricchezza, ha affermato i propri prodotti ed i propri servizi nel mondo. I cinesi hanno saputo muoversi in maniera coordinata ed efficace. Il 'sistema paese' Stati Uniti si è ben difeso sul piano economico, anche se forse sul piano sociale la sua performance non è stata delle migliori. L'Europa è rimasta divisa e non ha saputo esprimere il potenziale che i padri fondatori dell'Unione Europea auspicavano. L'Italia, nel gruppo europeo, è quella che si è mossa peggio. Anche se al confronto della Mongolia è stata comunque brava. Ma la Mongolia no, pensa Carlo. La Mongolia è proprio in cattivo stato. “Perché?” si chiede Carlo. Lui ricorda bene la vecchissima, ma comunque ancora valida, teoria di Porter dei vantaggi competitivi delle nazioni. Ma tutto sommato non gli sembra soddisfacente. E Carlo improvvisamente ha un'intuizione. In realtà gli ultimi cinquant'anni sono stati, al fondo del fondo, uno scontro colossale solo di due grandi paradigmi sociali e relativa espressione economica. Carlo vede chiaramente un paradigma, che subito battezza come quello del 'Ghepardo'. Lo chiama del 'Ghepardo' perché il ghepardo è un grande predatore. La sua molla è prendere la preda. Questo paradigma, originariamente messo a punto dagli Stati Uniti, è stato sposato, in questi cinquant'anni, anche dalla Cina, dall'Inghilterra, dal Cile e forse dalla Spagna. L'altro grande paradigma è stato quello che Carlo subito chiama della 'Volpe e l'Uva', rifacendosi a una vecchissima favola di Esopo: la volpe vede un bellissimo grappolo d'uva che vorrebbe mangiare, ma è troppo alto nel pergolato e dopo moltissimi tentativi, la volpe non riesce ad agguantarlo, così andandosene a bocca asciutta dice: “Tanto era poco maturo, non è il caso che perda tempo a cercare di prenderlo.” Paradigmi I grandi paradigmi che si sono scontrati, secondo Carlo, nel periodo 1980 – 2030. Paradigma de… Valore dominante Regola dominante Modello economico Modello sociale Ruolo del passato Ruolo dello stato Presenza di oligarchie Politica di immigrazione Ruolo dei media Ruolo della cultura Ruolo del divertimento Criminalità IL GHEPARDO Arricchirsi LA VOLPE E L’UVA Non affaticarsi troppo e possibilmente arricchirsi Predare Trovare una scorciatoia Economia di mercato a base Economia di mercato a base capitalista capitalista, con elementi di intervento statale Individualista, strettamente Individualismo e gruppi di meritocratico elezione secondaria Nullo Fornitore di ‘dignità’ Garante delle regole del mercato e Erogatore di servizi pubblici della giustizia Molte oligarchie in conflitto Moltissime oligarchie in collusione Aperta Chiusa Fornitori di informazioni e Speaker di gruppi di potere divertimento pubblici o privati Divertimento di pochi o strumento Alibi per non guardare al per arricchirsi futuro, ma per guardare invece al passato Industria per fare profitto facendo Piattaforma per acquisire divertire la gente stato sociale Elevatissima Meno elevata Questo paradigma l'hanno sposato, intuisce Carlo, molti paesi dell'Unione Europea (Italia in testa), un po' anche il Giappone e molti altri paesi, Mongolia compresa. L'intuizione di Carlo è fulminante. Si rende conto che molto deve ancora fare per rifinire la sua idea. Dà immediatamente ordine a Ghigo, tramite Ghighino che fortunatamente è connesso anche in quel posto sperduto, di fare varie ricerche e di preparare un po' di materiale per quando rientra a Shanghai. Poi ci sono i paradigmi che non si sono neppure scontrati, semplicemente non hanno partecipato. Ma di questi Carlo non ha voglia di occuparsi. La cosa che lo soddisfa è la sua intuizione di classificare i paradigmi in base alla 'regola dominante': il paradigma del ghepardo ha come regola 'predare', quello della volpe e l'uva ha invece 'trovare una scorciatoia'. Da quello che ha capito in questa sua ricerca, crede che soprattutto l'Italia sia stata un campione mondiale di questo paradigma. Ovviamente non tutti si sono comportati secondo il paradigma. Ma l'effetto medio è quello, crede Carlo, che lui ha intuito. Le stelle continuano a brillare, ma per analogie sottili fanno nascere in Carlo l'ovvia domada che cosa avrebbe potuto fare l'Italia e l'Europa invece di seguire il paradigma de la volpe e l'uva. Il freddo lo fa rientrare. Ma il calore animale di Mei non l'attira. Si addormenta rannicchiato nel suo angolo del letto. Solo e soddisfatto. CAP 14: LE ALTERNATIVE POSSIBILI PER L’EUROPA E L’ITALIA La casetta che Carlo e Mei intravedono in mezzo ai boschi, in riva a un minuscolo specchio d'acqua verde smeraldo, è da fiaba. A Dadal tutti si ricordavano del nonno di Mei, doveva essere davvero famoso nell'intera regione. Un tempo figure spirituali come lui erano ancora avulse dalla commercializzazione della spiritualità in atto dovunque nel mondo. Essere sciamani era una dote innata, un'inclinazione dell'anima seguendo dottrine esoteriche tramandate oralmente. Come dei budda predestinati, i bambini che mostravano segni premonitori, venivano allevati e cresciuti secondo le istruzioni sciamaniche. Venivano introdotti alle formule magiche e rituali, e imparavano fin da piccoli l'autoipnosi, la via lungo la quale si spalanca la sacralità della visione e della interazione e amicizia con gli spiriti. Mei gli aveva spiegato che suo nonno era un omone corpulento che cadeva in stato di trance, aveva allucinazioni e bava alla bocca. Aveva visioni a cui arrivava attraverso una autosuggestione sostenuta da lunghe cantilene, preghiere alla benevolenza della natura e degli animali che l'abitavano. Le pronunciava senza talvolta conoscerne le parole, perché era la voce stessa degli spiriti che parlavano attraverso di lui. Conosceva una particolare cosmologia e aveva riverenza per gli orsi, bestie sacre per gli sciamani. Ma Mei ovviamente non aveva assistito a nessuna cerimonia, non l'aveva mai visto con gli abiti e il copricapo usati per le cerimonie. E come tutti gli sciamani, anche il nonno era stato osteggiato dal governo locale, esattamente come succedeva alla controparte esoterica che abitava la Russia e che aveva subito angherie e repressioni con l'accusa di pazzia. Non era ben visto un potere che esulava da gerarchie e si basava su qualcosa di incontrollabile. La differenza tra gli sciamani dei due paesi era tutta nelle aggiunte lamaiste1 che influenzavano gli sciamani mongoli cinesi. Ma gli sciamani non erano amati perché il loro potere aveva ragioni non riconducibili alla ragione e una grandissima influenza sulla popolazione. Carlo ne era rimasto stupefatto e confuso. Adesso invece sono qui, davanti alla casetta di legno dove il nonno abitava. Anche Mei è inquieta mentre varca la soglia della casetta, composta di due stanze dove ci sono camini e letti riscaldati come in Tibet e nelle regioni fredde. Ora è abitata da un capitano della forestale. L'uomo li accoglie con grande gentilezza, e un tè fortissimo, abituale da queste parti dove le temperature vanno sotto di cinquanta gradi. Il forestale racconta a Mei e Carlo che il governo locale l'ha spedito lì per monitorare una zona vasta come l'intera Shanghai. Pensare che quando era piccolo soffriva di asma. E' stato il nonno di Mei a curarlo. Dopo una cerimonia nella quale il vecchio sciamano gli ha ripetutamente sputato addosso un liquore simile a vodka recitando un mantra in una lingua che non era mongolo ma nemmeno cinese totalmente inaccessibile e segreto, lui era completamente guarito. Il nonno non aveva guarito solo lui, ma molti altri malati e considerava la sfortuna nella vita proprio come una malattia da curare. Perché nasceva da una negligenza nel vivere, da atti colpevoli e comportamenti cattivi. Lui era un purificatore delle anime, un servitore dello spirito. “Lui apriva i cuori”, dice l'uomo in divisa. “ I cuori chiusi alle emozioni, i cuori che non sanno amare”. Parla del nonno di Mei con grande affetto e considerazione, parla della sua morte come dell'evento più luttuoso che Dadal ha conosciuto. Quando Mei e Carlo, ancora più storditi, 1 Il lamaismo è una forma di buddismo con elementi tantrici derivato dal buddismo mahayana introdotto nel VII secolo da monaci indiani e cinesi. escono dalla casetta è ormai pomeriggio. Riprendono i cavalli che hanno fretta di tornare e si lanciano in un galoppo che i due cavalieri non riescono a frenare. Accaldati e tremanti Mei e Carlo arrivano allo yurt in tempo per la cena a base di montone. I riti vengono rispettati e i due, affamati come mai, devono addentare la carne dura e puzzolente. Sorseggiano un liquore bianco che ha un sapore tra il gin e la vodka, distillato di piante. Carlo capisce l'euforia degli sciamani. Quando si rialzano da terra ed escono dalla tenda Carlo quasi non si regge in piedi e vorrebbe urlare, no, non una maledizione o la propria felicità. Vorrebbe urlare per liberarsi non sa lui nemmeno da cosa, vorrebbe rompere un vincolo che lo tiene legato a se stesso, vorrebbe dimenticare la propria mente nella notte fredda e piena di stelle che lo sovrasta, un tetto all'aperto, infinito. Carlo è stupefatto, di non pensare a nulla, e la luna gli sembra una visione. Mei è sempre più silenziosa e risponde a monosillabi al ragazzo invasato che ha accanto. Quando si mettono a letto, Carlo vorrebbe suggellare il viaggio facendo l'amore con Mei. Ma lei lo tiene distante, come troppo compresa in sé. Proiettata nel passato, Mei mostra le sue debolezze, la mancanza dei genitori deve averle pesato più di quanto lui possa immaginare. E allora Carlo sa che deve rispettare i pensieri di lei, non intromettersi in un mondo che non gli appartiene. Anche lui è stato colpito dai racconti del capitano della forestale, anche se i rituali magici sarebbero in realtà la cosa più lontana da lui. Ad ambedue questi cittadini del mondo è stato svelato l'inafferrabile che appartiene alle ombre, al lato oscuro. Il lato oscuro che viene regolarmente taciuto, sacrificato alla religione dell'inserimento sociale, dell'efficienza, della tecnologia più spinta. Carlo non smette di osservare miriadi di corpi luminosi che nel buio totale del luogo brillano molto più forti. Si chiede quanto ha capito degli umori di Mei, e comprende lo iato che esiste tra lui e la splendida ragazza cinese di origine mongola che è stesa al suo fianco. Nel sonno durante la notte, Mei parla come una sonnambula: “ fa che io sappia cosa ho davanti a me, fa che io sappia cosa ho dietro di me, fa che io sappia cosa ho di fianco a me, fa che io sappia cosa ho sopra di me, fa che io sappia cosa ho sotto di me.” Il giorno seguente, illuminato fino alla cecità da un sole terribilmente forte, con le labbra secche dall'aridità Carlo e Mei fanno il percorso a ritroso verso Ulan Bator. La capitale li accoglie con la solita cappa di fuliggine arancione. Le strade sono brulicanti di gente, sembra che il commercio e le fabbriche rendano febbrili i movimenti, tutti corrono in direzione di chissà cosa. Ma Ulan Bator ha una posizione logistica di grande importanza, situata com'è vicino al confine, abitata da persone che hanno mescolato tratti cinesi, russi e naturalmente mongoli. Nei primi anni del terzo millennio il predominio sulla città ha quasi scatenato un conflitto internazionale, Russia e Cina volevano una vera sovranità su Ulan Bator. Poi le cose si sono ricomposte, come spesso accade, stabilendo una provincia autonoma dove però si mescolano culture e denaro. Mentre passeggiano in questo caos infernale uguale a quello di certe zone di Shanghai ma privo però della necessaria tecnologia, Carlo ha provato a intessere una parvenza di dialogo con Mei, senza riuscirci. Le ha riferito della frase nel sonno, ma Mei fa una smorfia e dice a Carlo che se l'è sognato. Lasciando Ulan Bator e poi quando scendono di nuovo a Shanghai, Carlo ha la sensazione di aver perso un'occasione. Se ne andrebbe a testa china, con una punta di delusione per un week-­‐end che aveva sognato colmo di romanticismo. E che invece è stato stranissimo. Non trova un'altra parola per definirlo. Mei lo guarda appena prima dell'uscita, alla fine del nastro trasportatore. Le loro strade si separano, Carlo ha capito anche questo, Mei torna a casa sua a dormire, non c'è discussione. Ma la ragazza inaspettatamente lo coglie in contropiede e prima di lasciarlo lo bacia con passione, lo stringe, gli sussurra “E' stato importantissimo per me. Grazie, sei stato meraviglioso, in tutto”. Poi scompare nei pochi secondi in cui Carlo sta mettendo a fuoco l'ennesima sorpresa. La vede infilarsi in un taxi rapidamente. Le donne, ed è banalissimo ammetterlo, sono il vero mistero dell'esistenza di un uomo, pensa Carlo, mentre con passo lento si rituffa nella megalopoli. Tra poco sarà nella sua minicasa di Puxi e forse questi due giorni saranno davvero soltanto un meraviglioso sogno. La sorpresa finale dopo la precedente delusione fanno scattare in Carlo una molla prevedibile come un orologio: la compensazione orale. Mentre si avvia al taxi normale con motore a combustione, uno dei pochi rimasti, un po' perché non ha soldi dopo il viaggio in Mongolia e un po' perché vuole godersi Shanghai. La Mongolia è stata bella, ma adesso basta. Basta anche con quel cibo orrido. “Ghighino – ordina immediatamente Carlo – dì a Ghigo di ordinarmi una cena shanghaiese con i fiocchi.” E mentre riflette, pregusta ogni singolo piatto e pensa con cura a come accoppiarli e a come porli in sequenza. Il vero gourmet cinese, glielo ha insegnato Fang – dio! che voglia di fare all'amore con lui, di farsi penetrare da lui – non si limita ad accoppiare i piatti sulla base del sapore, ma anche del texture(solido, morbido, croccante, ecc.), del colore, della temperatura (caldo, freddo); del sapore dominante (salato, dolce, agrodolce), ecc. Carlo sa di essere ancora anni luce lontano prima di saper ordinare bene un menù cinese, comunque snocciola a Ghighino i piatti che vuole trovare a casa, appena arriva: o
o
o
o
o
o
o
o
o
tè di crisantemo: con quel sapore dolce fragrante dato dalle foglie di crisantemo secche; ravioli di Shanghai (xiao long bao – ravioli del piccolo drago): uno dei capolavori della cucina shanghaiese, quei piccoli fagottini, cotti a vapore, ripieni di carne di maiale impreziosita, nella cottura, dal vino invecchiato Shao Xing; zuppa di zha cai (zha cai rou si tang): una delicatissima julienne di funghi secchi e carne che in 25 minuti cedono all'acqua e al vino invecchiato di Shao Xing un inconfondibile e delicatissimo sapore; gamberoni alla Shanghai (pan zhen xia): i gamberoni saltati nel wok con incredibili sapori di zenzero e del vino invecchiato di Shao Xing (Carlo ha deciso di usare questo sapore come dominante della prima parte della cena); germogli di piselli alla sheng bian (sheng bian dou miao): un originale accostamento di germogli di piselli e di funghi saltati nel wok; anatra agli otto tesori (ba bao quan ya): un altro capolavoro della cucina shanghaiese, l'anatra, disossata, cotta a vapore per oltre tre ore e ripiena di ogni ben di dio (gli otto tesori): gamberetti, capesante, carne di pollo, piselli, semi di loto, prosciutto crudo, funghi; fagiolini alla Shanghai (jin hua si ji dou – fagiolini delle quattro stagioni della Cina dorata): i fagiolini appena scottati e saltati con il vino invecchiato di Shao Xing. pesce all'aceto del lago Xi Hu (Xi hu cu yu): pesce di lago, tagliato a pezzetti e saltato nel wok con un aceto delicato e con zucchero; è un tipico piatto di addio e per Carlo è la fine della cena; riso bianco: per Carlo il riso bianco è il giusto monacale contrappunto alle cene più raffinate. Carlo pensa inevitabilmente a sua madre che, tutte le volte che da piccoli andavano al ristorante cinese a Milano come a New York, pretendeva di ordinare “all'italiana”: un antipasto, un primo o zuppa e un secondo con contorno di verdure. Sua madre, da provinciale quale è, non ha mai accettato di avere tanti piatti insieme e di gustarne un po' dell'uno e un po' dell'altro, spizzicando qua e là e creando in continuazione armoniosi cocktail di sapori sempre diversi. Poi ripensa al suo desiderio di Fang e lo chiama. E' libero e accetta, cerimonioso come sempre, a venire a cena da lui. Il vecchio taxi è costretto a farsi strada in mezzo ai soliti ingorghi, ma a Carlo non importa. E' finalmente a casa. Oddio, si scopre a pensare, ma quale è la mia casa? E' la domanda che milioni di espatriati nel mondo si pongono da sempre. Un'amica del nonno Luigi, Carlo ricorda, Cristiana si chiama e dopo una cura genica vive ancora in Cina da una vita, sostiene che lei può riconoscere al volo i figli di espatriati: si capisce subito – dice lei – che non hanno radici. Quando arriva a casa Fang è già arrivato e anche la cena. In un balzo, dopo il solito inchino che si scambiano ogni volta un po' per gioco e un po' sul serio, sono a tavola a gustano prima il pasto – anche se Fang fa notare, nel suo ruolo di iniziatore di Carlo all'alta cucina cinese, che mancano alcuni piccoli piatti di contrasto di temperatura e di texture – e poi il sesso. Giacendo accanto all'amico, entrambi acquietati, gli racconta del suo viaggio in Mongolia con Mei e della sua notte sotto le stelle con le sue idee sui due paradigmi he si sono scontrati negli ultimi cinquant'anni. Paradigmi I grandi paradigmi che si sono scontrati, secondo Carlo, nel periodo 1980 – 2030. Paradigma de… Valore dominante Regola dominante Modello economico Modello sociale Ruolo del passato Ruolo dello stato Presenza di oligarchie Politica di immigrazione Ruolo dei media Ruolo della cultura Ruolo del divertimento Criminalità IL GHEPARDO Arricchirsi LA VOLPE E L’UVA Non affaticarsi troppo e possibilmente arricchirsi Predare Trovare una scorciatoia Economia di mercato a base Economia di mercato a base capitalista capitalista, con elementi di intervento statale Individualista, strettamente Individualismo e gruppi di meritocratico elezione secondaria Nullo Fornitore di ‘dignità’ Garante delle regole del mercato e Erogatore di servizi pubblici della giustizia Molte oligarchie in conflitto Moltissime oligarchie in collusione Aperta Chiusa Fornitori di informazioni e Speaker di gruppi di potere divertimento pubblici o privati Divertimento di pochi o strumento Alibi per non guardare al per arricchirsi futuro, ma per guardare invece al passato Industria per fare profitto facendo Piattaforma per acquisire divertire la gente stato sociale Elevatissima Meno elevata “Lao Fang, ammesso che con la mia idea dello scontro di paradigmi abbia ragione – anche se mi sembra un'idea un po' troppo semplificante – la domanda che sorge spontanea è perché l'Europa e soprattutto l'Italia, che è il soggetto della mia tesi, hanno scelto il paradigma de 'LaVolpe e l'Uva'. Che altro avrebbero potuto fare? C'era un altro paradigma disponibile?” “Carlo tu vieni sempre a chiedere a me delle cose della tua tesi di economia e di management sulla complessità. Ma io sono un semplice storico. Queste cose non le ho approfondite.” “Sì, ma qui parlo anche di grandi movimenti sociali e delle loro componenti economiche, che comunque è pure una disciplina sociale. E' qualcosa in cui uno storico dovrebbe poter dire qualcosa. E comunque mi interessa il tuo parere. Vorrei il parere dell'amico che più amo.” Dice Carlo interrompendo bruscamente l'emissione di fiato della o perché si è accorto di aver detto con semplicità una cosa importante. Solo un lampo di contentezza brilla negli occhi di Fang, mentre dice: “Ma, vedi Carlo, innanzitutto non devi preoccuparti della semplicità della tua idea. Alla base dei grandi fenomeni umani, alla base della vita stessa, ci sono strutture concettuali semplici che ripetizione e variazione fanno diventare grandi e apparentemente indecifrabili. In fin dei conti il tuo paradigma del Ghepardo e della Volpe e l'Uva non rappresentano altro che due tipi psicologici di base che forse sono stati il tipo statisticamente più diffuso, sia pure con infinite varianti, nelle società che si sono conformate al paradigma.”…“Più difficile è invece rispondere all'altra domanda che cosa avrebbero potuto fare. Da tutto quello che mi hai detto tu e da quello che io stesso so, l'Italia (e più in generale l'Europa) si sono comportate un po' come un pugile che sale su un ring e, a match in corso, mentre l'avversario ti tempesta di pugni, continui a sollevare eccezioni sulle regole dell'incontro pretendendo che vengano cambiate. Ovviamente finisci al tappeto.” “In altre parole, Lao Fang, mi stai dicendo che l'Italia avrebbe dovuto accettare fino in fondo le regole del gioco, combattere alle regole imposte dall'avversario più forte e poi solo se avesse vinto avrebbe potuto cambiarle.” “Sì Carlo, credo che non ci siano possibilità alternative, a meno che , nell'esempio del pugile, non decida di non giocare a quel gioco. Ovviamente la domanda è se l'Italia e l'Europa negli ultimi cinquant'anni avessero potuto ritirarsi dalla competizione: dove sarebbero andate? Certo non avevano il potere di imporre regole diverse.” “Credo che non si sia capito che non c'erano alternative. Bisognava competere e possibilmente vincere. Solo allora si potevano imporre regole diverse, un diverso paradigma, se veramente lo si fosse desiderato e si fosse stati capaci di crearlo.” “Mi ricorda – dice Fang – che nei miei studi all'università, mi sono imbattuto nel concetto di 'terza via' che è stato in auge in Italia e in Europa alla fine del secolo scorso. L'idea era di trovare un modo alternativo tra capitalismo e comunismo. Non si voleva rinunciare ai valori ideali del comunismo, ma ci si rendeva conto che il capitalismo aveva dei problemi. La terza via non è stata mai trovata. La cosa peggiore è che su questa ricerca si sono spese energie intellettuali, politiche e sociali enormi che sarebbero state meglio impiegate nella competizione in corso tra i sistemi paesi. Dopo aver accumulato potere, ricchezza e conoscenza sufficiente si sarebbe potuto cercare di cambiare il paradigma.” CAP 15: LE PICCOLE AZIENDE ITALIANE: NANI, BONSAI O STATO DI SVILUPPO PRIMA DI DIVENTARE GRANDI? La rimozione dei problemi, delle questioni aperte, delle persone avviene spesso attraverso un sonno difensivo, il baluardo più forte che permette di staccare la spina. Così è Ghigo che deve svegliare Carlo e non ci riesce. Alla fine urla “ Carlo!Basta, svegliati!” , il che fa aprire almeno un occhio al nostro amico. Carlo si sente uno schifo, ancora immerso in un torpore mattutino. Si guarda nello specchio, e gli sembra di vedere un estraneo. I capelli biondi e ricci per aria, la barba che dopo i quindici giorni canonici è ricresciuta. Non ha voglia di radersi e forse non ha nessuna voglia di presentarsi all'aeroporto con l'aria perfettina dell'ultima visita in Italia. Eh, già, stavolta non c'è sua madre, sua madre non è mai venuta a trovarlo a Shanghai, sua madre non può distogliersi dai suoi affari, dal suo chirurgo estetico e da quella tomba di città che è Milano. Mentre ciondola nel vagone che scivola tra i grattacieli di cristallo, mezzo addormentato sul sedile, la sua mente vaga, non si è preparato all'incontro, non vuole essere preparato, che vada come vada, non vuole responsabilità. Arriva all'uscita dei voli giusto in tempo per l'atterraggio dello shuttle del 1804 che, senza scali, porta millecinquecento passeggeri da Milano a Shanghai. Lo shuttle e il traghetto spaziale Lo shuttle è il jet speciale di larga capienza che in mezz’ora traghetta i viaggiatori tra gli aeroporti a terra e le varie stazioni orbitanti sopra le principali aree continentali. I viaggi intercontinentali avvengono infatti o tramite traghetto spaziale (velocissimo) o tramite Airbus A3XX (più lento e di tecnologia obsoleta). L’Europa ha fatto agli inizi degli anni 2000 uno sforzo enorme per soppiantare il Jumbo (B747) della Boening e per lanciare l’A3XX con oltre 600 posti, palestra, lettini veri, ecc. L’industria USA l’ha però poi superata con il nuovo concetto dell’utilizzo delle stazioni orbitanti: una su ogni piattaforma continentale. Con questo metodo vari shuttle (del tipo dello storico ‘shuttle spaziale’ della NASA) convogliano dai vari aeroporti di un continente migliaia di passeggeri sulla piattaforma continentale. Da lì un traghetto spaziale enorme, a velocità enorme decine di volte superiore a quella del suono e con costi molto limitati, porta i passeggeri alla piattaforma spaziale di un altro continente, da dove i passeggeri vengono inviati con altre decine di shuttle agli aeroporti di quel continente. Tempo di transito totale inferiore alle due ore. Invece un viaggio intercontinentale su A3XX dura almeno 6 ore (Londra-­‐New York) e spesso molto di più: Milano-­‐New York (8 ore), Londra-­‐Sydney (20 ore), Milano-­‐Pechino (10 ore) ecc. Tra questi millecinquecento, c'è Monica. Un vero blitz, Carlo vede sfollare la gente che si ammassa lungo i corridoi come se fosse in una megastore sotto il capodanno cinese. Due giorni prima Ghigo a malincuore ha informato Carlo che quella che lui considera la sua ex-­‐
fidanzata piomberà in Cina per vederlo. Ciò che l'ha sempre urtato di Monica è questa determinata arroganza, il suo insistere finchè non ottiene, il suo non considerare mai il punto di vista altrui. Come se non avesse parlato, come se Carlo, a dispetto di tutto, fosse sempre, eternamente legato a lei. Carlo ha da subito capito che per Monica lui era un progetto, una pianificazione, un interlocutore da analizzare. Le strategie relazionali che lei applica con le controparti economiche dell'azienda per cui lavora da cinque anni, tengono legati come una ragnatela, tutti i desideri di fuga di Carlo. Per Monica, gli alterchi che hanno avuto a Milano, il silenzio di Carlo che dura ormai da un mese, il suo sottrarsi, non contano niente. Monica non viene qui per recuperare una crisi ma sicura di averla già recuperata. Monica ha sempre lavorato con il tempo, perché ha imparato per indole e per studi che il tempo lenisce e cura. Anche questo li divide. Carlo ha un concetto diverso dei minuti, dei giorni e degli anni. Lui sente il futuro in agguato e sente quanto ogni secondo modifichi impercettibilmente le cose e il mondo. Da quando Ghigo l'ha buttato giù dal letto a ora, che è in piedi nell'atrio dove sbucano i passeggeri del volo da Milano, sono passato in lui mille stati d'animo. Quel che è certo è che non ha intenzioni di fare sconti a Monica. Dopo il viaggio in Mongolia sa di avere scelto Mei, non ha dubbi, anche se dovrà assecondare una donna impegnatissima e apparentemente instabile e decisa, umorale e forte. E' questa insolita combinazione di elementi a fare di Mei una donna dalle mille sfaccettature, in una parola: complessa. Sì, è questo che fa della sua cinese una donna di oggi, pronta a ogni stimolo che riguardi il suo lavoro o il suo sesso, vibratile di emozioni come Carlo ha scoperto a Dadal. “Ciao amore!” Carlo sente le braccia al collo che lo stringono fino a soffocarlo. Dio non l'aveva nemmeno vista arrivare. L'odore di Monica è inconfondibile, un po' dolciastro per il profumo francese che usa da adolescente, e così stordente. Quando si stacca dall'abbraccio Carlo si accorge che il profumo è l'unica cosa rimasta della ragazza. Monica ha i capelli cortissimi e rosso fuoco, un completo, udite, udite, giacca-­‐pantaloni grigio cangiante autoclimatizzato e un paio di occhiali a lenti fotoassorbenti. Forse Monica non ha presente che a Shanghai il sole si vede pochissimo. Ci vorranno decenni prima che l'uomo addomestichi anche la meterelogia e si impadronisca dell'atmosfera. Ancora non si sono efficacemente eliminate le nebbie, non si sono modificate abbastanza le nuvole. “Che ti è successo?” Carlo proprio non riesce a dissimulare la perplessità. “Come, cosa mi è successo! Ho deciso di cambiare, sai avevi ragione, anch'io ho capito di essere leggermente antiquata.Vita nuova per Monica nuova!” Carlo è di nuovo con le braccia di Monica al collo, irritato dalla ventata di stupido ottimismo che ha sempre accompagnato la sua ex-­‐fidanzata. “Tu invece sei sempre lo stesso, non mi abbracci mai! E poi guardati, hai la barba lunga, quei pantalonacci larghi che io odio!” Monica non è mai avara di osservazioni. Signorina Perfettini versione ultramoderna ha posato il suo piedino sul suolo cinese. Carlo avanza verso il treno di collegamento, Monica arranca dietro di lui. “Il mio bagaglio arriverà a casa prima di noi, questo è certo! Scusa Carlo nemmeno un taxi mi hai fatto trovare? Carino davvero!” gli urla Monica appena si siedono in carrozza. Carlo tace e tacerà fino a Puxi, mentre Monica constata e commenta con varie esclamazioni tutti i cambiamenti architettonici che la città ha subito in un anno. Carlo sbircia ogni tanto in direzione di quei capelli improbabili, quella conversione alla moda high-­‐tech della più tradizionale delle ragazze. La pantomima di Monica, il suo travestimento fanno parte della stessa ragnatela intessuta dalla figlia di buona famiglia che non mollava il cashmere, roba da preistoria. Cosa avrà in mente? Carlo se lo chiede finchè non arrivano a casa. “Ehi, Carlo, ma qui è tutto uguale!” esclama Monica con disappunto, come se tutto dovesse cambiare quando lei decide di cambiare. “Ho avuto molto da fare Monica, non mi sono molto occupato dell'arredamento, come vedi” ecco che comincia a giudicare ogni cosa, Carlo la strozzerebbe. “E dove dormirei scusa?” Monica guarda con orrore il letto pronto in soggiorno. “Nella mia camera da letto, Monica. Te la cedo volentieri, io starò qui. Ho bisogno dei miei spazi”. Negli occhi di Monica passa una scarica di adrenalina ma non dice niente. Reazione nuova e insolita per lei, pensa Carlo. Monica disfa il bagaglio, non si è portata granchè stavolta, informa Carlo che farà compere a Shanghai durante i prossimi quindici giorni. Carlo sussulta. “Ti fermi quindici giorni?” L'allarme rosso è scattato, d'improvviso per Carlo è panico. “Sì, ho pensato” Monica rimane calmissima,” che tre giorni erano un'inutile fatica. L'altra volta li abbiamo passati a letto e così non ho visto niente di questa attraente cittadina” il sarcasmo è palese e anche il rimprovero. “Ho voglia di girarla per bene. Con te o senza di te.” Carlo rimane senza parole. Rimane immobile, con Ghigo che, come sempre quando Carlo va in blackout, gli sussurra cosa deve fare. In questo caso versare il tè che Ghigo stesso ha fatto già preparare dalla macchina in cucina. Con la teiera in mano, Carlo si gira verso Monica. “Monica io dopodomani parto per la Norvegia, ho una ricerca da fare là nel weekend.” Il tono di Carlo è neutrale ma dentro lui si aspetta lo scoppio di Monica, la solita estenuante tiritera che lo illustra abbondantemente. Monica lo gela: “Carlo, non importa, vai pure dove vuoi, anch'io ho da fare a Shanghai, mi piacerebbe diventare una turista qualsiasi. E' tanto che non mi prendo una vacanza. Ti aspetterò qui.” Carlo, servendo il tè nelle tazze chiude gli occhi. E' un mancamento, una pausa? Non importa quello che è, perché Carlo sa che nulla farà cambiare idea a Monica. Lei si installerà a casa sua, e si impadronirà della casa mentre lui non c'è. Cazzo, cazzo! E' l'unica parola che arriva alle labbra di Carlo che Monica non ha nemmeno baciato. Ma il grido rimane lì, senza essere pronunciato. Cazzo resta una silenziosa imprecazione dentro il cervello di Carlo. E per far sì che l'atto di protesta non si fermi a un cazzo imprecato silenziosamente, Carlo annuncia a Monica che intende lasciarla riposare dopo un viaggio così stressante e che lui va alla biblioteca centrale perché deve consultare dei testi che solo là può trovare. Quasi sbattendo la porta esce e se ne va senza neanche aspettare la reazione di Monica. Che peraltro non c'è stata, Monica ha continuato sicura a sistemare il suo bagaglio La Biblioteca Centrale di Shanghai La Biblioteca Centrale di Shanghai è a Puxi, anche se molto lontano dalla casa di Carlo. È composta da due edifici, uno oramai vecchio, costruito negli anni ’90 di cinque piani con delle torri che si chiudono con un inconfondibile tetraedro. Questo edificio è stato a lungo un landmark di Shanghai e ora contiene solo le collezioni di volumi cartacei di scarso valore. Oramai è invisibile, vista la selva di grattacieli che la sovrastano. L’altro edificio, costruito quasi di fronte e collegato al primo piano da corridoi sotteranei è invece un nuovo landmark. Una piramide rovesciata, così concepita per non dover abbattere troppe case storiche circostanti, che si erge per oltre ottanta piani e che sfavilla di notte. E di giorno, per i pannelli solari che òa rendono autosufficiente dal punto di vista energetico. È un capolavoro di ingegneria moderna. Inaugurata nel 2021, contiene, nei trenta piani sotteranei la più grande colezione mondiale di libri antichi occidentali e cinesi. I volumi sono conservati in ambienti a prova di esplosione nucleare e insensibili ai mutamenti di clima. Negli ottanta piani sovrastanti trovano posto le collezioni su supporto ottico e su supporto magnetico, con doppio back up (uno archiviato a Pechino), di praticamente tutte le pubblicazioni mondiali dal 1500 a oggi. Ogni documento è archiviato in modo perfetto e per quelli pubblicati in tempi antichi su carta esiste sia la digitalizzazione che la copia scannerizzata. Trovano anche posto gli uffici per il personale addetto all’acquisizione e alla catalogazione e gli spazi per i robot addetti all’archiviazione. Ai piani più alti trovano posto le sale di consultazione con i posti di lavoro individuali che, per potenza di calcolo e di trasmissione disponibili, sono difficilmente confrontabili ai computer disponibili normalmente a casa o negli uffici di piccole aziende. È per questo motivo che per le ricerche più impegnative, che richiedono una accesso cospicuo a molti documenti, molte persone che non hanno posti di lavoro casalinghi o in ufficio ad alta potenza di calcolo e di trasmissione, preferiscono andare ancora in biblioteca, godendo in più dello splendido panorama di Shanghai da sopra le nuvole. Quando è fuori, decide di andare a piedi per un bel pezzo verso la biblioteca centrale. Poi, quando sarà stanco, prenderà la metropolitana. Come sempre per Carlo, immergersi nella vita di Shanghai è un modo per ridurre la tensione e per far rientrare le incazzature. Gli odori di Shanghai, l'affollarsi di milioni di cinesi sempre affaccendati, i sorrisi, il linguaggio così essenziale danno a Carlo un senso di vita piena di energia e sana, perché pragmatica, che non trova da nessuna altra parte. L'assenza di religioni, l'accettare tutte le dimensioni della parte animale che è in noi (“ammesso che ne esistano altre” – pensa a volte Carlo), il goderne completamente, il non farsi condizionare da nessun preconcetto teorico, l'andare sempre pragmaticamente all'obiettivo indicano a Carlo un senso di efficacia della cultura cinese che non trova da altre parti e che lo tranquillizzano, lui che vuole sempre vedere al di là dei condizionamenti. Questo gli piaceva di nonno Luigi: capiva tutto e accettava tutto. Sapeva leggere al di là degli schemi e vedeva la nuda realtà. Nonno Luigi gli aveva dato le chiavi di lettura giuste del mondo con una giusta dose di scetticismo, cinismo e idealismo. E lui gliene è grato. Dopo un po' prende la metropolitana e rapidamente è in biblioteca. Oramai è notte e Shanghai illuminata, dall'ultimo piano della biblioteca, è incredibilmente bella. Carlo cazzeggia per un po'. L'idea della Norvegia l'aveva buttata lì, tanto per togliersi di torno dall'area di Monica. Adesso deve rapidamente inventare un programma di ricerca per la Norvegia, soprattutto se vuole avere accesso ai fondi universitari per farsi rimborsare il viaggio. “Che cazzo ci posso andare a fare in Norvegia?” E così gli viene in mente un articolo letto di recente, sul muro proiettante, insieme a fotografie di splendidi fiordi, sulla Norvegia come patria di piccole aziende che hanno avuto un grande successo internazionale. Ma anche l'Italia era famosa per le piccole aziende. Ne aveva parlato a lungo con Ghigo agli inizi della sua tesi. Ecco, andrà in Norvegia a dare un'occhiata alle piccole aziende. Con questa decisione presa, non molto scientifica invero, Carlo si mette a cercare sulle piccole aziende in Norvegia. Intanto il pensiero va alle piccole aziende italiane. Va anche ad una frase del nonno che ancora ricorda: 'nani, bonsai o piccoli alberi in crescita?'. Il nonno diceva che le piccole aziende italiane non volevano decidere se essere bonsai o piccoli alberi in crescita (per diventare grandi). I bonsai sono dei capolavori progettati per essere piccoli e magistralmente curati perché è difficile mantenerli piccoli e belli. Gli alberi in crescita, hanno una fase in cui sono piccoli, ma la natura li ha progettati per diventare grandi e maestosi. Ecco, le piccole aziende italiane non sanno mai decidersi se essere bonsai o piccoli alberi che poi cresceranno. Con il rischio di essere di fatto dei nani: degli esseri con problemi, congeniti e spesso ereditari, di crescita. E qui ricorda la teoria della leadership, compresa quella più recente, di Van Kolbius1 -­‐ che però a lui non piace – sull'importanza del lider maximo nel plasmare la cultura e la strategia aziendale. Carlo è convinto che la teoria di Van Kolbius non funzioni oramai più. Nuove teorie sulla leadership In realtà Carlo è affascinato da nuove teorie emergenti, di un gruppo di giovani professori universitari cinesi che si fa chiamare Jiu Jiu Tuan (gruppo del nove settembre, giorno della loro prima riunione). Il Jiu Jiu Tuan nel 2028 ha pubblicato un primo articolo su una ricerca sulla leadership nelle nuove aziende di successo. L’analisi e la teoria da loro prontamente formulata dice che la leadership è sostanzialmente un comportamento programmato dall’evoluzione per garantire la sopravvivenza dei gruppi di animali e dell’uomo-­‐animale in ambienti molto ostili, garantendo così la sopravvivenza della specie. In un mondo, anche quello del business, in cui si comincia ad avere in funzione la difesa dei più deboli, quel tipo di leadership non è più necessario. Emergono invece comportamenti miranti a mantenere la “complessità” del gruppo on the edge of chaos stimando così la creatività del gruppo stesso. Questi metodi si ispirano anche ad antiche teorie maoiste. Sistemi più sofisticati e più decentrati di gestione del potere sono oramai in funzione nella stragrande maggioranza delle aziende occidentali, giapponesi e cinesi di medie e grandi dimensioni. In realtà la teoria di Van Kolbius si adatta benissimo alle piccole aziende e soprattutto a quelle italiane. Il leader dell'azienda ha sempre avuto una grande influenza sulla definizione delle strategie delle piccole aziende italiane. Va anche detto che questi leader mal sopportavano e mal sopportano la presenza di altri manager che possano fare loro ombra. Con questa loro idiosincrasia hanno così decretato la scarsa crescita delle loro aziende e la difficoltà anche a far funzionare eventuali accordi con altre piccole aziende. Hanno così convalidato l'idea di Carlo che la stragrande maggioranza delle piccole aziende italiane erano (e sono) dei nani, ovvero degli esseri con dei problemi congeniti e forse anche ereditari. “Cazzo -­‐ pensa Carlo – ma questi capi azienda italiani, per chissà quali complessi problemi psicologici, storici e culturali, mancavano di tutto: di visione strategica e di coraggio a crescere da soli e anche con accordi con altri!” … “Quanto ha influito su tutto questo la lunga storia d'Italia e i robusti anticorpi di cinismo e di scetticismo che questa ha generato?” … “Quanto ha influito il pauperismo della Chiesa Cattolica che ha seminato il giudizio inconscio che il danaro è essenzialmente male?” “Cazzo!” esclama Carlo nel mezzo della sala di lettura. Mentre stava seguendo i suoi pensieri, le sue mani stavano smanettando sul computer per dare gli ordini per la ricerca sulle piccole 1 Si veda Cap. 3: ‘Ma che cosa è la globalizzazione per un’azienda’ aziende norvegesi e scandinave più in generale. Improvvisamente sono apparsi i primi risultati sullo schermo piatto ad altissima definizione e la prima statistica che Carlo vede è sui distretti virtuali. I distretti virtuali erano nati in Italia agli inizi del nuovo millennio, sull'onda dei distretti fisici che caratterizzavano l'economia italiana a fine secolo e che erano uno dei pochi punti di forza, riconosciuto da tutta la business community mondiale, del “sistema Italia” come si usava chiamarlo allora. L'Italia tra il 1999 e il 2003 aveva messo in piedi molti distretti virtuali che erano il prolungamento in rete 2 di quelli fisici. Dopo i primi successi, negli anni '10 del nuovo millennio, le piccole aziende giapponesi, taiwanesi (poi quelle della madrepatria cinese) e scandinave avevano rapidamente preso la leadership dei distretti virtuali che l'Italia aveva creato. Ne avevano anche creati di nuovi. E' questo il fatto che ha fatto imprecare Carlo. Ciò che era successo era che queste aziende e le università dei loro paesi avevano investito massicciamente sulla comprensione dei meccanismi di funzionamento dei distretti virtuali e avevano messo a punto comportamenti strategici e tecnologie che permettevano a queste aziende di essere di fatto le aziende leader dei distretti virtuali di appartenenza. Ma di questo Carlo se ne occuperà in Norvegia. E così si avvia mestamente a casa, a dormire sul divano, con Monica – la stronza – che dorme nel suo letto. 2 Inizialmente sul web, sul grid negli ultimi tempi. CAP 16: I DISTRETTI VIRTUALI L'aria sa di sale quassù. E la luce del giorno che dura un'eternità gli ritorna il mare vastissimo che si apre oltre la lunga insenatura che è il porto di Bergen. Carlo è in cima alla collina che sovrasta la città, seduto a un tavolo di ristorante davanti a gamberi freschi enormi immersi in uno strano sughino bianco acido. Nonostante le catene di ristorazione, probabilmente il primo esempio di pionieristica globale, abbiano confraternite dovunque, esistono ancora posti dove si mangiano cibi indigeni e si mantengono ricette antiche. Il locale, con piccole sale come scatole cinesi, illuminato da lampadari centrali di cristallo, è lontano anni luce dalla sua amata trattoria di Puxi. La gente seduta ai tavoli è molto elegante, tanto che anche Carlo si è dovuto vestire di scuro. La sua giacca cinese, chiusa fino al collo fa un figurone. I camerieri sono rapidi e di poche parole, tutto il contrario di Mr.Dong che si siede talvolta con Carlo e gli racconta brandelli di vita, infischiandosene di servire gli altri commensali. C'è talmente silenzio e i discorsi così a bassa voce che Carlo può sentire il tintinnare dei bicchieri. Davanti al cielo che si squarcia, spandendosi nei fiordi, Carlo si gode qualche minuto di solitudine. Ha chiesto a Ghigo un po' di tregua, e il fatto di non essere raggiungibile gli da un fremito, un'identità in incognito, quasi fosse una spia che si avventura in territorio nemico. Quando, scaduto il tempo del distacco, si riconnette con Ghigo, trova un messaggio di Gao, una barzelletta che l'amico fisico gli sta raccontando, ridendo talemente tanto che Carlo non capisce niente. Il riso di Gao è irresistibile, basta guardare la sua faccia nel VW1, e si viene contagiati! Anche Ghigo sembra divertirsi, ma quando Carlo chiede se Monica si è fatta viva, il suo assitant ridiventa serio. No, niente messaggi dalla ragazza, che ha anche spento il collegamento con la casa. Carlo non può quindi avere sotto controllo il suo appartamento via video come sempre. Carlo rialza lo sguardo per vedere il crepuscolo che ammanta di miriadi di blu le piccole case che si inerpicano, traversate da viottoli quasi verticali. Le nuvole si specchiano sulle finestre a quadri dietro le quali i cittadini di Bergen vivono la vita più tranquilla del mondo. Bergen è diventato il luogo per eccellenza, il tentativo pilota di un progetto di vita dove il tempo e lo spazio vengono riconsiderati a dimensione umana. Qui tutti sono connessi alla grande rete informatica che regola la città, eppure è il posto dove meglio si sono integrati la tecnologia e il fattore umano. Carlo si guarda intorno, la gente sembra calma e felice. E con passo calmo e felice ritorna giù verso il porto dove sono ormeggiate le barche a vela. Da tempo non attraccano più grandi navi, né pescherecci a motore. Domani se il tempo sarà favorevole, in mezz'ora sarà alle isole Lofoten e con un battello pneumatico, Soren, il suo collega norvegese, lo porterà a osservare le balene. In verità l'avrebbe invitato anche stasera in una birreria del centro vecchio della città, che si affaccia lungo la banchina del porto come se qualcuno avesse scattato una fotografia di tre secoli fa. Le costruzioni sono tutte di legno, ma all'interno si aprono talvolta geometrie modernissime derivate dal gusto del design scandinavo del 1970 ma rivisitate con nuovi materiali. Ma Carlo era stanco morto e voleva starsene in pace, farsi una bella sauna e doccia e andare a dormire. Prima di mettersi a letto, Carlo per scrupolo richiama Ghigo. 1 VW è un videowacht, l'orologio che si connette tramite satellite e permette di comunicare, ricevere chiamate in video, collegarsi con il personal assitant e con tutti gli altri dispositivi elettronici in rete. Carlo ne possiede uno che gli ha regalato Monica. “Niente da fare Carlo, non ci riesco, la casa non è collegata, pensi che Monica ci stia facendo uno scherzo?” “No, però non capisco, di solito mi sta appiccicata come una piattola, mi soffoca di chiamate e adesso che serve…” Ghigo riprova, tenta più volte. Niente. Poi di colpo il collegamento con il sistema video di Puxi funziona. Monica sta rientrando proprio in quel momento in casa di Carlo, si toglie una meravigliosa giacca di pelle che lui non le ha mai visto, sgancia gli orecchini e si guarda nello specchio del bagno. “Carlo” sussurra Ghigo come un cospiratore, “sono sicuro che non sa del circuito, non deve essere stata lei a spegnerlo, propendo per un guasto momentaneo satellitare. Faccio un controllo e tra qualche minuto te lo comunico.” Ghigo, nonostante la pigrizia innata del suo processore, era sempre molto efficiente. Non era un razzo come altri personal assistant dell'ultima generazione, ma non sfuggiva nulla al suo capillare metodo di lavoro. Carlo, intanto segue sullo schermo in dotazione alla sua camera, le mosse di Monica. Ghigo aveva ragione, ci aveva proprio preso. Monica non sapeva di essere on line, oppure era un'attrice talmente brava ma talmente brava… No, Carlo è sicuro, continua a seguire gli spostamenti della sua ex-­‐fidanzata (che non sopporta di essere tale), che si è spogliata anche del vestito a tunica, comprato di sicuro da Yan. Poi si leva reggiseno e mutandine e camminando a piedi scalzi, sparisce in camera da letto. Le immagini sono disturbate, è da un pezzo che Carlo deve far sistemare le interferenze del video in quella stanza, ma poi si scorda sempre di chiamare il tecnico. Quando Monica ritorna nella sala grande ha addosso una t-­‐shirt di Carlo e si prepara un tè. Monica che beve il tè? Carlo sbuffa, è proprio vero che non c'è nulla di certo nella vita. Intanto Monica ha steso sul tavolino basso due stuoie di bambù e lo ha apparecchiato con due tazze. Carlo trasale, chi cazzo aspetta la sua ex-­‐fidanzata? A Shanghai è notte fonda, non capisce, forse ha trovato un cinesino che finalmente la renderà meno innocente, meno monomaniacale, meno ossessiva. Carlo è pronto al tradimento di Monica, anzi forse se lo augura anche. Ma certo non si è augurato quello che sta vedendo ora. Quando Monica apre la porta, lui vede distintamente il viso di Mei che sorride. Carlo aguzza gli occhi, il sangue gli si gela, è tesissimo, è ansioso di vedere e di sentire ciò che le due ragazze si dicono. Come mai si sono incontrate. Chi le ha fatte incontrare. Wop, wop – così sembrano dire le immagini sul minischermo – e poi splash. Tutto si è bloccato. “Va a ffan culo!” è l'esclamazione che sgorga naturalmente dal cuore di Carlo. “Ma, cazzo, cazzo e ancora cazzo, non sei proprio capace di tenere un collegamento Ghighino e anche tu Ghigo che sei a Shanghai.” In realtà la colpa non è di Ghigo. E anche se Carlo è in Scandinavia, uno dei centri mondiali di eccellenza nelle telecomunicazioni, nessuno può evitare una tempesta solare sui satelliti. Per di più i buchi di ozono stanno mettendo a rischio anche le centrali a terra. Così il contatto è caduto. Carlo spera solo che Ghigo abbia la furbizia di registrare gli eventi, così che lui li potrà vedere in seguito. Sì dà una calmata. Certo le ragazze le avrà messe in contatto Fang Wen Bin. “Tutto questo ha molto la firma del caro Lao Fang” pensa Carlo “Vorrà divertirsi a vedere che accade tra chi ha vinto e chi ha perso. E poi chissà, lui secondo me ha sempre avuto delle mire su E Mei. Forse spera, magari inconsciamente – perché mi è troppo amico per farlo coscientemente – che Monica convinca E Mei a mollarmi. E che quindi sia di nuovo disponibile al fascino di Fang Wen Bin.” … “Boh, chi lo sa?” E adesso Carlo si ritrova solo, in camera sua a Bergen, con ormai un buio fondo senza sapere che fare. C'era la ragazza bionda e alta con due tettone che aveva visto a pranzo e che lo aveva guardato più volte con chiari sorrisi di attenzione. Ma a Carlo le incursioni rapide con fuga immediata non sono mai piaciute. E poi le ragazze scandinave sono belle e sode, ma un po' passive. Non danno reale soddisfazione a letto. Sono così prevedibili. Sai sempre in anticipo quello che stanno per farti, che non è più un piacere, è solo un godimento. “Oh cazzo, ma io devo fare una ricerca qui!” A Carlo viene improvvisamente in mente che non è venuto in Norvegia solo per fare elucubrazioni sul comportamento lettuale delle ragazze scandinave, ma anche per fare alcune ricerche sulle piccole aziende scandinave che hanno imparato, meglio di quelle italiane, ad operare sulla rete dei distretti virtuali. E lui si è bruciato la giornata girando per Bergen e anche domani ha già dei programmi per divertirsi un po'. Poi, vista la fretta con cui ha lasciato Shanghai per sottrarsi a Monica, non ha fatto neanche in tempo a prepararsi degli incontri in Norvegia. In realtà è venuto a Bergen perché gli hanno detto che ci sono molte piccole aziende alimentari che stanno acquisendo una notorietà mondiale. Ma lui ha a malapena una lista che gli ha preparato Ghigo. E poi questo buio a metà pomeriggio gli dà veramente fastidio. Sa benissimo che nelle aziende norvegesi si lavora normalmente. Ma per lui, shanghaiese oramai fino al midollo, se non c'è luce non c' lavoro. La responsabilità è comunque troppo forte. Non riesce a mettersi a dormire senza prima svolgere un po' di lavoro per la tesi. Si rialza, si mette un maglione di lana cruda norvegese che si è comprato a Shanghai a Regionmall.com, il suo sito mondiale preferito dei prodotti regionali più particolari, sulla pelle nuda e con un paio di pantaloni del pigiama si mette in poltrona. Il muro proiettante si accende e Ghigino comincia a processare, in collaborazione con l'assistente personale che l'albergo mette a disposizione dei clienti, gli ordini di Carlo. La lana cruda pizzica sulla pelle nuda di Carlo, ma gli dà anche quella sottile eccitazione del ruvido che segnala un compito che lo attende. Questa miscela di sensazioni lo mette in uno stato di eccitazione che è pre-­‐sessuale e che gli piace tanto. Sa che il tutto gli costerà una dolorosa erezione che gli farà pensare acutamente a Mei e alle sue stupende cavalcate sul suo uccello. Ma intanto si gusta il pizzicore della lana vergine del maglione. Dopo un po' riesce ad attivare un contatto audio-­‐video con il proprietario della PinkSalmon Co.. Questa azienda è uno dei grandi successi mondiali degli ultimi dieci anni nel settore alimentare. I suoi prodotti appaiono in tutti i link dei più frequentati siti mondiali e lo spot del salmone che salta direttamente dal torrente al panino imburrato con le foglie di cilantro è oramai un classico in tutti gli screen saver, anche dei più vecchi telefonini oramai in disuso. Il dottor Johansson, (Phd in scienze alimentari a Madrid secondo quanto Ghigo gli ha detto) lo accoglie sul muro proiettante con un grande sorriso. “Allora Sig. Bordone, che cosa posso fare per lei?” Dopo i preliminari, Carlo arriva alla domanda centrale. “Lei come opera sul distretto virtuale? Che benefici ne trae?” “Ma, vede – risponde Johansson – fin dall'inizio abbiamo cominciato a servirci massicciamente del Grid. Però, ci siamo detti, se entriamo in una nuova comunità 2 – quella dell'alimentare di nicchia raggruppata attorno al 'Connoisseursonly.com' 3 – occorre farlo con assoluta professionalità. Abbiamo subito creato un piccolo ufficio di due persone dedicate a schedare tutti i membri della comunità e a classificarli in funzione delle loro caratteristiche. Soprattutto abbiamo listato ciò che ci potevano dare e ciò che potevamo noi dare loro. Abbiamo così messo a punto un database (gestito con un software avanzatissimo) che tiene sotto controllo tutti i nostri interlocutori attivi e potenziali e ai quali cerchiamo di dare ciò di cui hanno bisogno e anche di ottenere da loro ciò che ci è utile. Abbiamo imparato molto dalle aziende del suo paese, l'Italia. Loro hanno dei prodotti molto creativi e, a volte, anche molto innovativi. Abbiamo cercato di capire il perché. Più che copiare i prodotti, che non ci interessava anche perché noi siamo specializzati in prodotti dalla pesca, abbiamo cercato di capire quali competenze presidiavano questa capacità creativa e innovativa.” “Così – prosegue Carlo – avete imparato dai maestri e avete superato i maestri. I miei dati –
dalla mia ricerca – mi dicono che siete una delle aziende in più rapida crescita della vostra community. E inoltre che siete i più ammirati e i più copiati. Le vostre tecniche di marketing e di comunicazione sul Grid sono ritenute tra le più avanzate in assoluto e anche le grandi corporation mondiali vi si ispirano.” “Ma, forse è vero, ma non sta a me dirlo.” “In altre parole – prosegue Carlo, quasi in una amara requisitoria contro l'Italia – nella vostra community il 60% delle aziende sono italiane, per molti anni i maestri, ma ora chi dà il la siete voi.” 2 La professional community composta dagli operatori specializzati in una attività. 3 Il marketplace sul Grid che dal 2011 raggruppa tutti gli operatori (fornitori di materia prima e di prodotti freschi, trasformatori, distributori, consumatori gourmet (connoisseur)) del settore degli alimentari di nicchia. “Forse ha ragione lei, ma noi ci siamo organizzati per raggiungere questo risultato.” Non occorreva venire in Norvegia per avere questa risposta così chiara, ma almeno era sfuggito a Monica e comunque Johannsson lo ha invitato nei giorni seguenti a visitare la loro azienda ed in particolare l'ufficio che gestisce il data base. Nonostante le sollecitizzazioni erotiche della lana vergine, l'incazzatura di Carlo per i negativi risultati dell'Italia impedisce che avvenga la temuta erezione. In più Carlo si beve due abbondanti schnaps 4 e si mette a dormire triste per la cattiva performance italiana e preoccupato per l'incontro di Monica con Mei. 4 Distillati altamente alcolici specialità dei paesi nordici. CAP 17: GLI STATI POSSIBILI E LA COMPLESSITÀ Dire che Carlo ha trascorso una notte turbolenta è usare un eufemismo. Ieri, proprio mentre Mei e Monica si sorridevano il collegamento si era di nuovo interrotto. Carlo aveva persino litigato con Ghigo, mandandolo a fanculo. Ma non era colpa di Ghigo. Quello stronzo del satellite! Era colpa del satellite, l'aveva anche sognato tra il dormiveglia e la fase più profonda del sonno. Come se la sua mente si sostituisse alla tecnologia la scena si era aperta davanti a lui, così ecco Monica che serviva il tè a Mei e le due donne che si guardavano dritto negli occhi, la sua ex-­‐fidanzata aveva un'espressione strana, di sfida e di seduzione, una specie di godimento nel dolore. Nel sogno di Carlo le donne non si parlavano, no, non c'erano parole, Mei aveva allungato la mano e aveva accarezzato la spalla di Monica. Lei era rabbrividita, e acconsentendo con gli occhi si era lasciata baciare sulla bocca, a lungo. Carlo sapeva quanto Mei fosse abile, sapeva che non c'era più nulla da fare. Monica si era avvicinata, i loro seni si sfioravano e le mani si stringevano. Poi Mei, con impareggiabile destrezza, aveva fatto sdraiare Monica e le era salita sopra. E' stato a questo punto che Carlo era balzato nel letto, preso alla gola dalla paura. La paura l'aveva svegliato mentre fuori, sul mare calmo dei fiordi saliva l'aurora. Era sudato, e se la prendeva con se stesso perché non era in grado di reggere la scena, perché non aveva senso essere gelosi se lui stesso aveva rapporti molteplici, il mondo andava così, nessuno più possedeva un altro essere, la distanza che per secoli era stata taciuta, ora si palesava. Sì, Carlo ci pensava, c'è tra gli essere umani uno iato incolmabile e forse è giusto che sia così, uomini o donne che importa, il sesso, l'intimità non riavvicinavano le persone al punto di cancellare quello spazio vuoto, quella separazione. Rimaneva tra gli esseri umani ciò che si davano reciprocamente. Da lucido, ora Carlo era completamente sveglio, non aveva avuto il coraggio di terminare, di portare fino in fondo la scena dell'amore tra le due donne. Con risolutezza si era alzato. Adesso è lì che si sciacqua la faccia e si guarda. Decide di uscire in fretta, Soren lo aspetta al porto. L'aria frizzante del mattino lo rinvigorisce, cammina a passi spediti verso gli attracchi delle barche, mentre alle sue spalle le case bianche di Bergen vengono illuminate dai primi raggi di sole. Sarà una giornata magnifica, il mare è piatto, la luce è straordinariamente penetrante. Intorno al molo i pescatori svuotano le reti colme di aringhe. C'è allegria nel loro vociare che si smorza in fretta quando a gruppi se ne vanno a bersi una birra. Soren dorme in barca, lì è la sua casa. Un tipo strano Soren, un genio della bioeconomia, che passa le sue notti in una cuccetta cullata dallo sciacquio delle onde. Il mare di Bergen sembra un grande lago dalle mille sponde, un sistema di dighe stempera la furia delle onde nelle giornate tempestose dell'inverno. Ma oggi è quasi estate, e non piove come succede sempre a Shanghai. La barca di Soren si chiama Helena come sua moglie dalla quale è separato da un pezzo. Da allora Soren ha deciso di vivere solo nella sua casa galleggiante. Ogni giorno trova un'ora di tempo per uscire e farsi un giro in uno dei fiordi lì vicino. “Soren?” Soren sbuca a prua con un sorriso. “Pronto?” poi prende Carlo sottobraccio. “Andiamo, il battello parte sempre in orario”. Il battello pneumatico è una specie di aliscafo che sfiora la superficie dell'acqua a una velocità impressionante, alzando soltanto una lieve schiuma che compone una larga scia dietro di sé. Dal mare la città è ancora più bella, ma Carlo ha lo sguardo fisso sul mare aperto. Ride e scherza con Soren, uno dello stesso stampo di Gao, ma molto meno astratto, con un pragmatismo che viene dagli esperimenti sul campo. Se Gao tratta di concetti espressi in numeri e non verificabili fino in fondo, Soren invece mette in pratica ogni giorno le sue teorie sull'investimento nella ripopolazione del Mare del Nord. E quanto Gao è piccolo e sgusciante, quanto Soren è robusto e pesante, quanto Gao è nero e glabro, quanto il suo amico norvegese è biondo e con un enorme barba rossa. I due uomini fissano le alte montagne delle Lofoten che si ingigantiscono davanti a loro. Sono ripide cime che sbucano dal mare, come punte di iceberg, verdi di prati alla base e nere di roccia in alto. Carlo trattiene il fiato, lo spettacolo è meraviglioso. Soren gli da una pacca sulla spalla sghignazzando del suo stupore, poi una volta scesi a terra lo guida verso un piccolo villaggio di palafitte dove le case sono rosse e bianche e i ponti si slanciano ad attraversare lingue d'acqua piene di barche. Soren entra in un magazzino dove vendono articoli per barche e equipaggiamento marino. Sembra di essere in una fiaba di Andersen, le pareti sono verde stinto, e al muro sono appesi nodi di corda, rifiniture in ottone, quadri che raffigurano grande pesci. In mezzo alla mercanzia accatastata, scatole di ami, sonar, e computer di bordo. La nuova sapienza si mescola con la vecchia, qui sembra che la gente non abbia dimenticato la tradizione senza perdersi però alcuna sofisticatezza del futuro. Carichi di leccornie fatte di pesce affumicato e addolcito, Carlo si infila in cambusa. Soren ha già mollato gli ormeggi e le vele, controllate elettronicamente, si dispongono nella migliore angolatura per raccogliere il vento giusto. Con il pilota automatico la barca segue la rotta verso la zona di avvistamento delle balene. “Se siamo fortunati, ne potrai vedere una decina” urla Soren verso Carlo che a prua respira l'aria fredda. Ma il sole è scintillante e lo riscalda. A un certo punto Soren rallenta, “ci siamo”, sussurra, come se non volesse disturbare l'enorme cetaceo che stanno avvicinando. La barca si ferma e una massa grigia di una lunghezza spropositata si affianca allo scafo. Carlo ne ha paura, basterebbe uno scarto, un colpetto con la coda e volerebbero via. Non ha mai visto nulla di simile, la balena sembra accorgersi di loro, ma sbuffa con regolarità. Soren afferra Carlo per un braccio: Ora, guarda tra dieci secondi sbufferà più forte e più in fretta, e poi si immergerà fino a quattrocento metri per procurasi il plancton”. Carlo è immobile, come sospeso. La balena sembra riempirsi i polmoni d'aria e poi, eccola, si impenna e si immerge, lasciando che la coda si innalzi in aria, una coda gigantesca che per ultima scompare mentre la loro barca sobbalza paurosamente. Carlo e Soren sono aggrappati al corrimano d'acciaio, senza dire una parola. Poi Soren ritorna alla guida e ripartono verso un altro avvistamento. Di nuovo la stessa procedura, appena scorgono un'altra balena. Dopo pochi minuti anche questa balena compie la medesima evoluzione. Riescono a vederne otto, prima di decidere di rientrare. Ogni volta Carlo è intimorito e stupefatto. Quando Soren decide che è ora di rientrare, a Carlo sembra che, come quando era un bambino, gli venga sottratto il suo giocattolo preferito. Ma è felice lo stesso, non ha tempo adesso per ricordare la sera precedente. Tutto è talmente fuori dall'ordinario, e Carlo sente che le balene gli hanno parlato, ha parlato la loro estrema potenza, la lentezza dei movimenti, la paciosità che esprimevano, esseri amichevoli le balene, pensa Carlo, esseri intelligenti che non fanno sfoggio della propria forza e che dolcemente lo salutano prima di entrare nel buio più profondo. Quando rientra lavora intensamente in video conferenza con altri imprenditori di piccole aziende norvegesi, che peraltro avrebbe potuto tranquillamente intervistare da Shanghai, se non fosse stato per quella stronza di Monica. Ma il risultato è sempre lo stesso. Le piccole aziende italiane, che non si decidono mai a crescere, sono presenti massicciamente a livello mondiale, ma anche nei nuovi distretti virtuali emersi negli ultimi trent'anni, non hanno più la leadership. Altre piccole aziende taiwanesi, spagnole, cinesi, giapponesi, perfino norvegesi, hanno acquisito la leadership. Magari sono in numero minore, ma il la lo danno loro. Prodotti nuovi, nuove tecnologie, nuovi modi di gestire il business. Carlo, mentre smette di lavorare, è sotto l'effetto congiunto di vari sentimenti contrastanti: l'euforia della scintillante giornata con le balene, gli incubi del sogno dell'incontro lettuale di Mei e Monica, la preoccupazione per la sua tesi – in fin dei conti si era inventato all'ultimo momento di dover venire in Norvegia giusto per sfuggire a Monica e in realtà stava concludendo poco – e la delusione di continuare a scoprire come l'Italia avesse perso delle grandi occasioni negli ultimi trent'anni. Questo cocktail di sentimenti lo mette in un mood strano. Che non sa ben definire. A cena, al ristorante dell'albergo, le occhiate della ragazza norvegese bionda e con le tettone, lo lasciano meno indifferente della sera precedente. Erika, si chiama. E quando lui le chiede, passandole accanto, se vuole bere una birra con lui, accetta con occhi sorridenti. La birra è bionda come i capelli di Erika, che studia a Oslo, ma è in vacanza a Bergen. Carlo ha fretta, sfrutta la sua esperienza di Cina, dove Erika non è ancora stata, per illuminare l'interesse della ragazza. Qualche carezza fugace al banco, coscia contro coscia. Poi su in fretta in camera. Carlo comincia a spogliarla e baciarla. Poi le abbassa le mutandine e comincia a baciarla inginocchiato in mezzo alle cosce, sempre più su. Erika si toglie il reggiseno e Carlo può finalmente vedere, con emozione, quelle due tette che così bene definivano la padrona. Le vede dal basso e sono bellissime. Non sa bene perché, se lo domanda spesso, adesso che oramai di tette ne ha viste tante, perché ogni volta che una nuova ragazza gli mostra finalmente il seno, lui ha un'emozione fortissima. Una comunione intensa e la sensazione forte di essere entrato in contatto profondo con un altro essere umano. E' un po' come quando un altro ragazzo si toglie o si lascia togliere le mutandine e gli lascia vedere il suo pene eretto. Ancora adesso lui resta senza fiato e vorrebbe gridare la sua gioia. Anche adesso vorrebbe gridare la sua gioia. Così quelle tette le palpa senza tessuti che medino il tatto. E sono belle e sode. E dopo le tette, tutto il suo corpo è tra le sue mani e lui lo percorre lentamente centimetro dopo centimetro, godendone ogni curva e ogni morbidità. E' più lui a fare che lei. Ma stasera gli sta bene così. Mei deve essere dimenticata, liturgicamente rimossa, 'sfregiata' per interposta persona. Lui intende rivelare a Erika tutto ciò che lui e Mei hanno studiato insieme al corso di erotismo avanzato sul Grid. Oramai la conoscenza sull'argomento è impressionante, tutti sanno tutto, ma Carlo ha oramai capito che ci sono due grandi scuole erotiche: quella euro-­‐americana e quella sino-­‐giapponese. Quella euro-­‐americana essenzialmente improntata alla performance: quante volte e con quanta potenza; quella sino-­‐giapponese orientata all'intensità del piacere. E' vero che una influenza l'altra. Ma Carlo, che ha seguito corsi sia in Europa che in Cina, sa che al fondo non è vero. In Oriente si fa un sesso diverso, molto più raffinato e tutto sommato non banale. E stasera lui lo svelerà a Erika, almeno così lui si dice. Intanto gli è arrivato sopra e mentre si struscia sul suo corpo, la bacia profondamente. Piano piano le infila le mani sotto le spalle e l'abbraccia mettendo le sue mani sul collo di lei. Premendo così e guidando le testa di lei per meglio controllare il bacio. La sua lingua comincia a esplorare ogni angolo recondito della sua bocca. E comincia a muoversi lentamente, accarezzando la lingua di lei. Dopo un po', quando lei allarga le gambe, perché lo vuole, la penetra molto lentamente, fino in fondo, senza mai smettere di baciarla. Poi la costringe, con le sue, a chiudere le gambe. E gliele stringe. Il suo pene è così imprigionato tra le sue coscie pur rimanendo dentro di lei. Ma è così più verticale ed è obbligato ad accarezzarle il clitoride. Comincia lentamente a muoversi ritmicamente. Lentissimamente. Lentamente Erika si eccita. Lui ogni molto tempo accelera un po'. E Erika spera che finalmente lui acceleri. Ma lui la costringe solo a sperare. E accelera sempre di poco e dopo intervalli lunghi di tempo. Intanto la sua lingua continua a baciare Erika. Più accelera con il pene, più decelera con la lingua. Oramai le loro lingue sono fuse e si accarezzano morbidissimamente l'un l'altra. Adesso anche Carlo ha voglia di venire. “Ma che cazzo sto facendo – un pensiero fulmineo lo attraversa – sono qui in Norvegia, a 2.000.000 Rmb1 di distanza da Shanghai e mi sto scopazzando una ragazza norvegese invece di lavorare sulla tesi!” In fretta finisce, liquida con dolcezza la ragazza che non capisce bene il cambiamento di umore. Si fa una doccia e si mette alla scrivania a pensare. Oramai di ricerca ce n'è poca da fare. I dati sono tutti lì, davanti a lui nella sua mente. “Ho capito quali caratteristiche hanno le aziende che riescono a globalizzarsi con successo, ho perfino capito le caratteristiche principali dell'organizzazione di queste aziende. Ho capito che le aziende sono parte di un sistema paese più ampio che interagisce con altri sistemi paesi creando il sistema mondiale. Ho individuato alcune strategie alternative che l'Italia e l'Europa avrebbero potuto seguire. Ho visto gli effetti di questa situazione sulle piccole aziende (quasi dei nani) che non sono riuscite a crescere. Ma, dal punto di vista della teoria della complessità, non ho capito quali altri stati possibili del sistema si sarebbero potuti raggiungere.” … “Ecco, devo pensare alla complessità. Il Prof. Sartori sarà probabilmente contento di quello che ho capito finora. In fin dei conti ho raggiunto una buona visione antropologica della situazione. Ho capito le caratteristiche dei vari “esseri” (le aziende) che popolano il mondo (il mercato globale) di cui mi sono occupato. Ne ho capito soprattutto le dinamiche interne: come i loro impiegati e i loro manager si comportano. Forse avrei dovuto approfondire di più i collegamenti tra le aziende e delle aziende con le altre istituzioni del sistema. Ma il Prof. Chen Qin Tai mi farà osservare che avrei dovuto analizzare tutto questo dal punto di vista della teoria della complessità.” … “Già, ma a quale livello. Ci sono tanti livelli possibili nella Grande Gerarchia della Vita: la catena di sistemi inscatolati l'uno nell'altro. E se anche io mi limito a quello dei gruppi ce ne sono ancora molti, anche solo per quanto mi riguarda: l'azienda, il sistema paese, il sistema mondiale?” … “Dove mi devo focalizzare” … “Nonno Luigi diceva che il problema stava a livello delle aziende, e se fosse ancora a livello più basso, a livello dell'individuo?” La Grande Gerarchia della Vita 1 Rmb: unità di misura della valuta cinese. 2.000.000 di Rmb, ciò che costa a Carlo il viaggio in Norvegia, equivalgono, a un decimo dello stipendio di un impiegato cinese, ma per Carlo – che è studente – sono molti. I vari livelli a cui si può leggere il sistema complesso “vita” è schematicamente rappresentato nella seguente figura. •
??? • Galassia • Sistema solare • Ecosistema terrestre • Gruppo, società • Individuo • Organo • Tessuto biologico • Cellula • Molecola • Atomo • Partcelle elementari • ??? La complessità del Gruppo Nella Grande Gerarchia della Vita anche il livello “Gruppo” ha una sua complessità. I principali elementi che interagiscono tra loro in maniera complessa sono illustrati, in modo molto semplificato, nella figura seguente. Sistema mondiale organizzato Sistema paese Associazione di associazioni Azienda Governo locale Associazione di persone, partito “Dai, Ghignino, vedi se mi trovi Fang Wen Bin a Shanghai. Sarà a casa a studiare.” Carlo vuole consigliarsi con l'amico del cuore. Sul muro proiettante della sua camera d'albergo compare il viso sorridente dell'amico che è su un divano e sta bevendo un tè.” “Lao Fang, sono perso, ho bisogno di te…” e gli racconta rapidamente il filo del suo ragionamento. “Carlo, tu vuoi che io ti dica a che livello devi operare? Ma lo sai che tutti i livelli si influenzano l'un l'altro! L'individuo influenza l'azienda, ma l'azienda influenza l'individuo; l'azienda influenza il sistema paese, ma il sistema paese influenza l'azienda.” “Lo so Lao Fang, ma da qualche parte devo pur cominciare.” “Ho capito, ma non ti puoi fermare a un livello solo, almeno analizza due livelli interagenti.” “Ad esempio?” chiede Carlo sperando in un'idea risolutiva. “Azienda e sistema paese, ma mi sembra difficile lasciare fuori l'individuo.” Carlo ringrazia, non tocca l'argomento delle due ragazze perché non vuole distrarsi. Saluta l'amico e chiude il collegamento. Eccolo quindi al problema: che cosa ai vari livelli ha fatto sì che il sistema complesso Italia all'interno del sistema complesso Mondo abbia perso di importanza negli ultimi trent'anni? Pensando al suggerimento di Fang, la risposta gli appare immediata. Poca visione e ambizione dei capi azienda in un contesto di troppa elevata flessibilità culturale. Duemilacinquecento anni di storia italiana hanno creato uno scetticismo di fondo e la convinzione che nulla conta. Il particolare è meglio dell'interesse generale. Perché i capi azienda si sarebbero dovuti sbattere per creare organismi complessi (le grandi aziende) in grado di competere a livello mondiale? Quando avevano la loro piccola agiatezza, per sé e per i nipoti, che altro cercare? Inoltre la grande conseguente flessibilità del sistema (tutti disponibili a tutto) hanno permesso che le forze esterne plasmassero il sistema Italia senza una reazione che cercasse una soluzione diversa (creazione di un caos e di uno stato di equilibrio diverso – nel linguaggio della complessità). E' un po' come se l'Italia fosse simile a un mucchietto di sabbia, tra ogni particella ci sono pochissimi relazioni. Ogni particella può assumere quasi qualsiasi posizione rispetto all'altra. Il mucchietto si adatta con grande facilità a qualunque pressione esterna: se lo mettiamo in sacchetto di tela prende la forma del sacchetto, se lo mettiamo in un bicchiere prende la forma del bicchiere, in una scatola da scarpe la forma della scatola e così via. E così è per l'Italia: la grande flessibilità tra individui e gruppi genera di fatto un mucchietto di sabbia che cambia con facilità e non ha una sua “struttura” propria. Se invece fosse come quei giochi che vendono all'angolo delle strade, quelle reti di fil di ferro armonico che nelle intersezioni hanno delle palline colorate e, a seconda di come le si torce, assumono delle posizioni ordinate che rappresentano strane e complesse figure spaziali. Ecco se l'Italia fosse stata così, con delle relazioni più forti tra una pallina e l'altra avrebbe potuto assumere, sotto la pressione dei cambiamenti esterni, solo delle configurazioni definite, più ordinate e più “proprie”. Avrebbe avuto più nerbo. Una spiegazione banale, ma ineludibile. La domanda è che altro avrebbe potuto essere. Se il capo azienda italiano fosse stato diverso. Se, più in generale, ci fosse stata meno flessibilità, dove si sarebbe potuto stabilizzare il sistema dopo il grande sconvolgimento del 1989, quando il muro di Berlino era crollato? Difficile dirlo, anche perché l'Europa non è stata in fondo molto diversa dall'Italia. CAP 18: RIASSUNTO DELLA TEORIA EMERGENTE Le palpebre di Carlo si socchiudono lentamente. E' stato svegliato da un profumo di tè aromatico al ginseng, una miriade di dolcetti allo zenzero e un'orchidea. Quando apre completamente gli occhi e sbadiglia, Fang gli sta sorridendo. Oltre le finestre aperte un sole miracoloso, e il cielo azzurro senza nuvole. Davanti a lui, eccolo, il suo amico, pensa Carlo. Fang è davvero impagabile, la sua cortesia squisita, il suo senso dell'ospitalità ben oltre le solite pippe cerimoniose. “Ben svegliato a Shanghai” Fang gli versa il tè nella tazza. “com'era la Norvegia?” “Interessante, da molti punti di vista”, gli risponde Carlo, i capelli arruffati e un pigiama di seta blu dell'amico addosso. “Mi si sono schiarite un po' di idee per la tesi, ho visto da vicino le balene, davvero impressionante, e mi sono scopato una procace norvegese.” Carlo ridacchia. “Ben fatto, ben fatto,” gli risponde Fang “ la molteplicità è importante, mio caro, la vita breve”. Carlo assaggia i biscottini inzuppati nel tè. Poi, cambiando tono: “So che sono successe cose turche anche qua…” Fang lo guarda ghignando. “Non ne so molto Carlo, se la tua era una domanda indiretta. Ho visto Mei ieri sera a una cena da amici. Non sono riuscito a scucirle nulla, ho saputo, come credo anche tu, che le due ragazze si sono molto frequentate… ma non hanno altrettanto condiviso con altri. Sono praticamente sparite dalla circolazione. Tu dovresti almeno avere sott'occhio la tua casa quando sei fuori Shanghai, no?” “Macchè, non funzionava un accidente, Ghigo mi ha fatto venire i nervi, non riusciva a trovare il guasto. Solo parecchie ore dopo mi ha confermato che c'era stata una disattivazione satellitare, e con un incidente così non c'è nulla da fare. Possibile che nessuno le abbia incontrate?” Carlo aveva un'insopprimibile voglia di conoscere ciò che era successo in sua assenza. “Shanghai non è un paesino, Carlo”, il tono di Fang è paziente, “ e per quanto si possa essere raggiungibili dovunque, ci sono ancora modi di evadere il controllo. Semplicemente andando a fare una passeggiata o ficcandosi in un museo protetto. O altrettanto semplicemente interrompendo il segnale volontariamente.” Carlo si mette di colpo a sedere “ Mi vorresti dire che Monica è in grado di imballare il sistema di monitoraggio di casa mia? Non ci credo, Lao Fang, non riesco a crederci…” “Non lei, sciocco” Fang gli allunga una fugace carezza, “ ma Mei sì, non devi mai sottovalutare l'intelligenza e il know-­‐how della nostra amica”. Carlo è imbambolato, l'intelligenza brillante, l'acutezza di pensiero che millantava davanti a se stesso avevano tralasciato questo piccolo particolare, e soprattutto avevano mostrato quanto lui avesse ancora, pur in ridottissima misura, dei preconcetti verso le donne. Certo se Mei rappresentava una donna eccezionalmente moderna, Monica era una esponente delle donne all'antica. E lui si bilanciava tra ciò che ambedue potevano offrirgli. Ma proprio per questo, cosa potevano avere in comune? “Lao Fang”, gli domanda, “ pensi che Monica abbia chiesto a Mei di incontrarla per parlarle di me?” “Non lo so”, Carlo sa benissimo che Fang ha sempre un'idea precisa delle cose, almeno un punto di vista. “Per favore, dimmi quello che pensi, sinceramente…Pensi che Monica abbia tentato di convincere Mei? Che l'abbia implorata, minacciata, fatta ragionare, insomma un qualunque modo per convincerla a sparire dalla mia vita? Che abbia voluto farmi passare per uno stronzo, mettermi in così cattiva luce, raccontandole dell'ultimo viaggio in Italia e di come mi ero comportato? Insomma non mi ha lei non deve avermi anche Mei?” Fang lo guardò intensamente “Ne hai pensate di cose…Ti rendi conto che hai fatto almeno quattro ipotesi diverse? Segno di grande debolezza. Perché tutte le ipotesi mettono al centro della questione solo te, Carlo, tutto ruoterebbe intorno alla tua persona.” “E non è forse così? Almeno una è quella giusta” ribatte Carlo. “Hai dimenticato”, e il tono dell'amico cinese, seduto a gambe incrociate all'altro lato del tavolo basso dove splende l'orchidea, si fa più serio, “ hai dimenticato una possibile suggestione: che Mei abbia cercato Monica o che sia stata Monica a prendere l'iniziativa poco importa. Secondo la mia opinione”, Fang cominciava così i grandi discorsi, “le due donne non si sono occupate troppo di te, Carlo. Ho la sensazione che abbiano parlato di se stesse. E se dopo hanno fatto l'amore non dovrebbe turbarti più di tanto, non saremo ancora a certi punti, spero, un po' datati, no?” Carlo rimane zitto, impreparato all'idea. E se riesce a pensare che Mei possa aver sedotto Monica, non era la prima donna con cui andava a letto e forse non sarebbe stata l'ultima, a Mei piaceva la morbidezza femminile, non sa raffigurarsi la ragazza italiana, molto meno scafata dell'altra, che accetta senza battere ciglio le avances, certo eroticamente irresistibili, di Mei. Era Monica che lo stupiva nel quadro che aveva davanti. Monica e il suo attaccamento al matrimonio, al rituale familiare. Carlo faceva fatica a pensarla tra le braccia di Mei, ma adesso, invece, l'ipotesi era molto più concreta, i baci scambiati tra le due donne, le loro carezza, il loro eccitamento e il piacere che si urlano e che rimbalza nelle orecchie di Carlo, gli dicono che è andata così, e lui ha fatto bene a non tornare a casa propria e a rifugiarsi da Fang. Carlo afferra il videotelefono senza nemmeno chiedere all'amico. Non ha altro modo di collegarsi con casa. Sullo schermo appare il viso intrigante di Mei che gli sorride e lo saluta. Carlo non chiede nemmeno di Monica, gli basta vedere dietro l'amica cinese il letto disfatto e una gamba nuda di Monica intrecciata a quelle di Mei. Carlo, con un gesto brusco, interrompe il collegamento. Poi guarda Fang in preda alla collera ma senza potere dire niente. “Stai sbagliando Carlo, devi imparare a riflettere”. Fang si avvicina all'amico seduto sul letto davanti al videotelefono. Gli mette una mano sulla spalla e gliela stringe. Per un po' restano così, in silenzio. Carlo lentamente si calma. Fang gli accarezza i capelli arruffati, quasi pettinandoglieli. Dolcemente. Carlo, dopo un po', senza alzare gli occhi, gli mette una mano sulla patta per accarezzargli l'erezione che si intravede. Più per ricambiare l'amico che per cercare del sesso. “Lao Fang, perché non mi dai una mano oggi? Devo preparare il riassunto finale della mia tesi e tu mi potresti aiutare,” “Che cosa vuoi fare Carlo?” “Come tu sai, da un po' di anni, alla Jiao Tong University, vogliono che i concetti base vengano riassunti in una poesia secondo lo stile della dinastia Tang dei cinque caratteri1, o dei setti caratteri a tuo piacimento. Io le idee le ho abbastanza chiare, ma il mio cinese classico è un po' debole. Tu sei un maestro e mi potresti aiutare a trovare i caratteri migliori.” “Certo, Carlo, se pensi che ti serva, a me fa piacere. Perché, però ,invece di stare a casa non andiamo da qualche parte? E' una bella giornata e ci potremmo divertire anche, oltre che lavorare.” “Sì, Lao Fang, è una buona idea. Andiamo al giardino botanico, dove hanno la collezione di bonsai. C'è una piccola casa da tè. Potremmo prendere un tè, ne hanno di squisiti. E poi nei giorni feriali c'è pochissima gente.” Dopo un breve percorso su un taxi a getto, i due amici si siedono a un tavolino della casa da tè, soli, nel mezzo della collezione di bonsai e di paesaggi in miniatura. La cerimonia Tang del tè, da pochi anni recuperata dopo secoli di oblio, è svolta con la tipica naturalezza e semplicità cinese mescolate a una gradevole dose di scetticismo da parte dell'officiante. Quell'incredibile mistura, così piena di istinto di vita, di precisione e di sciattezza che tanto distingue la Cina dal Giappone, così pieno invece di istinto di morte. Il tè è stupendo, uno dei migliori: Yin Zhen, 'aghi d'argento', e dei più rari e costosi. “Allora, dai Carlo, che cosa vuoi mettere nella poesia? E che stile scegli: cinque o sette caratteri?” “Proviamo con cinque, è più concisa. Mah, la prima cosa è che la globalizzazione è una grande sfida: la più grande che l'uomo ha di fronte. Non esiste un territorio al di là del mondo: il mondo è il confine ultimo e anche l'ultimo confine.” “Ecco allora potremmo dire – dice Fang infilando 5 stupendi caratteri – che: Gli uomini tendono ai confini del mondo e poi potremmo aggiungere che: Interagire bene con tutti è la grande sfida”. 1 Durante la dinastia Tang hanno trovato completa espressione due stili, tra altri, di composizione poetica. Quello dei ‘cinque caratteri0 consiste in quattro versi di cinque caratteri. È uno stilo icastico e molto potente, quasi tutti i maggiori poeti cinesi si sono cimentati in questo stile. Quello dei ‘sette caratteri’ consiste in otto versi di sette caratteri. “Sì così va bene: due versi sono fatti. Poi voglio dire che il sentirsi meglio degli altri e non avere l'umiltà di imparare dal mondo è la grande difficoltà.” Fang traduce immediatamente in un verso il concetto: Occorre non sentirsi superiori per imparare Sì, mi piace. Adesso chiudiamo con l'ultimo verso che dica che ci vuole ambizione e leadership. Fang, dopo una riflessione, ispirandosi a un verso di Lao Tse2 nel libro del Tao, spara: Ambizione e leadership sono la grande via. “Ecco, così va bene, mi piace.” dice Carlo. “Sì, Carlo, ma così parli solo del leader, non dici nulla sul sistema più complesso: l'intero sistema Italia. Anche di questo tuo nonno aveva molto da rammaricarsi.” “E' vero, ma allora dobbiamo passare allo stile dei sette caratteri, con quello dei cinque non ce la facciamo.” … “No, poi al fondo sono convinto che il comportamento del sistema Italia, che è stato molto negativo nella corsa alla globalizzazione, è in fin dei conti il risultato della mancanza congiunta di leadership e ambizione. Non solo dei capi azienda, ma anche dei leader politici e degli uomini di cultura. E' stato un intero paese, quasi una nazione, che si è adagiato su una modesta ricchezza raggiunta e su un'acritica fierezza per il passato, morto e sepolto da secoli, di glorie e di bellezze. Pensa, Lao Fang, che ho scoperto, nei dati pescati da Ghigo, che dal 1997 al 2016 l'istruzione media, in una delle zone più ricche del paese, il Triveneto, è calata di fatto. I ragazzi non andavano a scuola per poter andare subito a lavorare e guadagnare per comprarsi droga e beni di lusso. No, Lao Fang, restiamo con lo stile dei cinque caratteri. Conciso e incisivo. Vorrei che fosse un grido di dolore per l'ignavia di un intero popolo. Dai, ripetimela tu, pronunci così bene i toni dei tuoi versi!” La poesia sintesi della tesi di Carlo 人努世界边 大赛互人好 要学感不大 雄领一大道 Fang dice semplicemente, con grande chiarezza: “Gli uomini tendono ai confini del mondo Interagire bene con tutti è la grande sfida Occorre non sentirsi superiori per imparare Ambizione e leadership sono la grande via.” Carlo, soddisfatto, chiama in videoconferenza sul videowatch, sia Chen Qin Tai che Sartori. Comunica che ha finito la tesi e chiede l'ammissione all'esame finale. Come di prammatica, dovrà incontrare Chen Qin Tai e poi, con la sua approvazione, andrà a Milano, al Poli, per 2 Lao Zi nella romanizzazione moderna. l'esame finale. Chen Qin Tai lo vedrà il giorno dopo. L'esame è tentativamente fissato a Milano per il mese seguente. Adesso si può dedicare all'amico, al tè e ai bonsai. CAP 19: L’ESAME DI LAUREA E LA DISCUSSIONE Quattro professori sono schierati dietro un vecchio grande tavolo di disegno, messo orizzontale, pronti per ascoltare Carlo. Sartori, il suo relatore è su un fianco del tavolo per significare che non è completamente dalla parte della commissione: è anche dalla parte di Carlo. I professori avrebbero dovuto essere dieci, ma è sempre così, per un motivo o per l'altro si presentano sempre in numero di gran lunga inferiore e il presidente della commissione di laurea si guarda bene di “accorgersi” dei mancanti. Il mese dopo, quando non sarà più presidente e lui sarà semplice commissario, gli farà conniventemente comodo poter saltare bellamente una noiosa sessione di laurea. C'è anche il pro-­‐rettore cinese Zhou Li Sun. Il fatto che Carlo abbia fatto la tesi in Cina richiede la sua presenza. Carlo aveva già notato che tutte le volte che c'era Zhou Li Sun, l'atmosfera era più tesa e più formale. Tutti aspettavano il suo parere, come fosse l'unico che contasse. Questa liturgia degli esami di laurea al Politecnico era oramai imbalsamata da secoli. Anche il mantenere l'esame nelle vecchie aule di disegno, che oramai nessuno faceva più, del secondo piano del vecchio edificio era un omaggio a un tempo oramai superato quando fare l'ingegnere significava prima di tutto saper progettare case. In nome di una vecchia tradizione spartana, anche i parenti erano tenuti fuori dall'aula di esame. Di questo Carlo ne è felice. L'idea di avere sua madre, che è fuori che aspetta tutta in ghingheri, dentro, con lui, ad osservarlo tutta orgogliosa del figlio laureando è una cosa che non avrebbe accettato o che avrebbe dovuto subire con grande dispiacere e tensione. Ma per fortuna non c'è. Anche Stefano – il suo compagno – è fuori con lei. Questo è almeno un piccolo sollievo, già si è dovuto sorbire in mattino, in un taxi elettrico – quelli a getto erano tutti occupati – l'attraversamento del centro di Milano, che oramai è un grande thème park, metà ambientato in epoca longobarda e metà in epoca romana. Tutto effetti speciali e infinite code di stranieri per entrare nelle varie 'attrazioni'. Tutto questo l'ha messo di cattivo umore. Poi in taxi si era anche dovuto sorbire la conversazione di sua madre. Ma adesso almeno la madre è fuori e lui è solo. L'esame finalmente inizia. Zhou Li Sun comunica, dopo la breve presentazione del prof. Sartori, che il correlatore cinese, il prof. Chen Qin Tai ha dato parere favorevole. Carlo sa già che questo significa che l'esame è praticamente superato. Oramai si gioca solamente il voto. Carlo ha una media bassa: 89/1001. Non si aspetta certo la lode. Se è fortunato arriverà a 95/100. Il prof. Sartori ha fatto una presentazione estremamente scarna, ma chi lo conosce capisce che è soddisfatto. Ora tocca a Carlo. Deve riassumere in breve i risultati della sua tesi. Carlo parla bene delle sue ricerche. Delle sue scoperte sul perché le aziende sono di successo a livello globale e di come le aziende italiane abbiano mancato di leadership e ambizione. E su questo messaggio porta esempi, teorie e rammarichi, mostrando le alternative di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Non ha ancora finito di presentare che il prof. Belladonna, un cretino patentato, noto a tutti gli studenti per non essere mai riuscito ad avere la cattedra permanente, lo interroga sprezzante: 1 Al Politecnico di Milano i voti di laurea sono in 100mi e non in 110mi. “Quindi, caro Bordone, lei mi sostiene che se l'Italia è regredita è tutta colpa degli imprenditori italiani che non hanno avuto ambizione e libertà? Ma si rende conto lei che, in questo modo, sta denigrando il suo paese che tanto comunque ha fatto. Se ad esempio lei confronta la performance dell'Italia con quelle dell'Africa sub-­‐sahriana, si renderebbe conto dei tremendi successi che abbiamo comunque conseguito, sia pure non raggiungendo le nazioni di testa…” “Sì, certo se lei – interviene veementemente Carlo -­‐ confronta un cavallo imbolsito con dei muli zoppi, ha comunque un re della corsa. Il problema è che la corsa la vincono comunque i purosangue arabi.” .. “Noi vogliamo vincere qualche volta o vogliamo sempre perdere?” .. “Questa è la domanda da farsi.” “Ecco – esclama, quasi grida il prof. Belladonna – è proprio la gente come lei che rovina l'Italia. Sempre negativi su tutto, sempre pronti a lodare gli stranieri, anzi sempre filostranieri! Ma lo sa che questo è un atteggiamento provinciale? E poi così non si mettono in luce gli sforzi fatti dalla Commissione Governativa per il Miglioramento della Ricerca Scientifica, commissione che io ho l'onore di dirigere, che oramai da tempo ha saggiamente indicato i provvedimenti da prendere per ulteriormente migliorare la Ricerca Italiana e con essa..” e il prof. Belladonna prosegue nel suo piccolo comizio privato, a scapito del povero Carlo. Ma tanto tutti sanno che il prof. Belladonna ha mire politiche alle prossime regioni provinciali e così nessuno gli bada. Carlo è però incazzato. Sa benissimo che nessuno dà ragione a Belladonna, anzi tutti lo ritengono un cretino, ma nessuno oserà dargli più di un voto o due di premio per la sua tesi. Così, per quello scemo di Belladonna che pensa solo alla sua campagna elettorale, Carlo non prenderà lo sperato 95/100. Così Carlo non li ascolta più e li manda tutti a ffa in culo. Quando sua madre lo accoglie all'uscita della facoltà ha davanti un figlio laureato e scontento. Cerca di consolarlo, coinvolgendo anche Stefano, e ambedue chiedono, commentano, festeggiano. “Mamma, ti prego, lasciami stare, non sono dell'umore.” “Ma come non sei dell'umore?” il viso di sua madre compattato dall'immissione di molte sostanze chimiche diverse sembra crollare da un momento all'altro. “Dio, Carlo, ti sei laureato, questo è ciò che conta, no?” Stefano gli mette una mano sulla spalla e intavola con il ragazzo un lungo discorso sui concetti che sono cari a Carlo e che l'istituzione universitaria non ha voluto capire. Stefano è paziente e comprensivo, forse per la prima volta veramente d'aiuto. “Carlo, tu sei oltre, oltre le beghe e gli interessi di parte, tu sei uno pulito che ha le sue idee e la passione che le sostiene. Hai sgobbato come un matto, ti sei fatto un culo infinito, il loro giudizio non vale niente, credimi, è la prova dei fatti ciò che conta” Carlo cammina a capo chino, in una Milano che gli pare sempre più ostile, un luogo dove deve sempre affrontare momenti decisivi di una vita, la sua, che lui non vuole così. Non vuole vivere qui, sotto l'ala soffocante di sua madre e di quel volenteroso di Stefano, dentro una casa da condividere con Monica. Monica! Si era dimenticato che anche lei era tornata da Shanghai ma un giorno prima di lui. Chiede lumi a Ghigino, che a malincuore dovrà sostituire perché ci sono connessioni più efficienti ora, personal assistant di sesta generazione, dei nipotini di Ghigo velocissimi, duttilissimi e con una memoria spaventosa. Ghigino sembra quasi avere una voce malinconica, ma non sarà Carlo che ha le traveggole? “Monica ti vuole contattare al più presto, ha una cosa estremamente delicata e importante da dirti e vuole farlo di persona” Ghigino è laconico. Carlo decide di invitare Monica a pranzo, preferisce incontrarla di giorno, niente lume di candela, niente atmosfere romantiche e soprattutto niente sesso. Lo sa che Monica gli vuole parlare di Mei, ma Carlo invece non sa se vuole ascoltare tutta la storia oppure no. Ha sensazioni controverse, da un lato è curioso di ciò che lo intriga, dall'altro la scorribanda della sua ex-­‐fidanzata a casa sua insieme alla donna di cui Carlo va pazzo lo manda su tutte le furie. Nella sala hightech dove servono il sushi, Monica lo sta già aspettando. Carlo è sbalordito, quasi non la riconosceva. Monica ha i capelli tagliati a spazzola, giacca e pantaloni cangianti e un rossetto verde sulle labbra. Quando lui si accomoda al suo fianco non riesce a contenere la meraviglia. Lei gli sorride apertamente, senza alcuna traccia del solito risentimento, senza l'accenno a un rimbrotto, senza quelle maledette lacrime sul ciglio che mettevano in croce Carlo con una montagna di sensi di colpa. E non ha bisogno che lui le chieda nulla perché comincia a raccontare come un libro stampato, sorseggiando uno chardonnay nei momenti in cui vuole fare una pausa studiata. Monica usa parole insolite, ha espressioni più consapevoli, persino la sua freddezza ha un'altra origine che non ha niente a vedere con la tenacia del matrimonio perseguito ma, al contrario, con una chiarezza di vedute che lascia Carlo attonito. Monica gli comunica, senza che lui possa contraddirla o interromperla, che vede la vita diversamente. Che il viaggio a Shanghai stavolta le ha aperto la mente perché lei non aspettava altro, c'era bisogno di un evento e che lei fosse in grado di coglierlo nella sua pienezza. E' nella concomitanza tra i due tempi, quello dell'accadimento e il proprio, e i due movimenti, la casualità della vita e il momento presente personale, che si cambia, ci si modifica talvolta ribaltando valori fino a poco prima acquisiti e mummificati, sembrava, per l'eternità. “Quanta parte ha Mei in tutto questo?” è l'unica domanda che Carlo riesce a fare ma probabilmente è la più sensata, l'unica che gli importi. E non per gelosia, né per morbosità stavolta. Ma perché Carlo ha davanti a sé una visione in cui le donne si influenzano reciprocamente e i maschi non riescono a coglierne l'essenza, non riescono a seguire il percorso che scaturisce da questa influenza, da tutto questo lungo discorso quasi mai interrotto che le donne portano avanti tra di loro. Carlo pensa che sia tutta una questione di genetica ma si farebbe instillare volentieri un nuovo gene, magari femminile, per entrare nella mente di Monica ora. Monica gli fa un altro sorriso, com'è benevolente oggi e quanto è dura e determinata. “Certo che Mei ha una parte in tutto questo, come lo chiami tu. Non mi sono innamorata di lei se agogni tanto a saperlo, ma è come se avesse preso una bottiglia avvolta nelle ragnatele, riposta in una cantina umida, l'avesse osservata attentamente, accorgendosi che il vino contenuto era molto più prezioso di quello che stiamo bevendo seduti a questo tavolo. E l'avesse aperta e assaggiata.” Monica aveva alzato il calice in onore di Carlo ma poi aveva aggiunto: “A me stessa”. Poi vedendo che il suo ex-­‐fidanzato rimaneva senza parole e senza gesti, e questo le fa piacere perché significa che era rimasto un uomo sensibile, gli comunica una notizia che stende Carlo definitivamente. “Aspetto un figlio.” Carlo socchiude gli occhi, si passa una mano tra i capelli, “Di chi è?” “Vuoi dire con chi l'ho fatto?” precisa Monica. “Sì.” “E' tuo.” “Ma come è possibile, scusa, abbiamo preso tutte le cautele, sia tu che io…” Monica scuote la testa impercettibilmente. “L'ultima volta che sei venuto a Milano e siamo stati insieme, ti ricordi, dio quanto ero patetica, bene ti ho preso un po' di liquido seminale.” “Ma come potevi utilizzarlo? Era, era…” “La medicina ha fatto enormi progressi caro, saprebbe quasi resuscitare un morto. Comunque ci riesce già con i tuoi spermatozoi.” “Io…” “Tu niente Carlo, è una decisione mia, il figlio sarà mio, non ti chiedo di fartene carico, ma se vorrai amarlo, anche da lontano, ne sarò felice.” Per un momento Carlo pensa di essere definitivamente incastrato. Poi soppesa ogni singola parola di Monica, soppesa ogni singola espressione della ragazza che ha di fronte e capisce che la decisione di Monica è per lui una liberazione, il definitivo distacco tra loro. Carlo è finalmente libero, di essere un padre quando desidera, di vivere dove vuole, perché Monica ha davvero smesso di dipendere da lui. La guarda, è molto più bella di prima, i suoi occhi hanno perso opacità e la velata malinconia che le conosceva da sempre. Sembra felice. “Quando nascerà? Ci terrei…” “Tra sette mesi Carlo, non ti preoccupare, ti farò sapere” Monica ripone le posate sul piatto e sorride. CAP 20: QUALE SCELTA DI VITA Carlo entra in casa ordinando: “Ghigo, ciao, proietta il Bund dal vivo sulle pareti. Su una però voglio un mix di immagini, pure dal vivo, di New York, Tokyo e Hong Kong. Scegli tu quali e mescolale come vuoi. Poi suona un po' di musica ziing, le ultime composizioni di Gao Le. E poi fammi arrivare un'anatra laccata intera, ma mi raccomando quella con lo zenzero nella laccatura. E poi infine prepara il tè verde, il solito Long Jin.” Carlo ha bisogno di rilassarsi, gli ultimi mesi sono stati intensi, ricchi di vita e straordinariamente fertili. Come gli aveva detto suo padre, l'aspetta un decennio di fuoco, quello nel quale si ha la potenza della giovinezza e la consapevolezza dei primi bagliori di maturità. Si sente fortunato perché ha avuto la possibilità economica di fare le esperienze che desiderava, ha avuto la cultura necessaria per assecondare le sue passioni, di modo che non rimanessero una cieca spinta in avanti ma fossero aiutate a crescere, a forgiarsi in qualcosa di più duraturo. Carlo pensa ai milioni di ragazzi che non sono nella punta dell'iceberg come lui, che sono sotto, appartengono a aree geografiche sottostimate, sottoposte a una gerarchia che le relega in basso nella scala d'importanza che la globalizzazione non ha cancellato. Carlo pensa al futuro anche per questo, vuole visioni reali del futuro presente. Il passato serve per capirsi e per trarre lezioni. Ma lui vuole vivere per il futuro. L'uomo ha ancora così tante cose da fare. E' da qualche milione di anni sulla faccia della terra e ancora non sa rispondere ad alcune domande fondamentali. Carlo si stravacca nel suo divano preferito e si lascia andare. Finalmente a casa, perché questa di Puxi è la sua casa. Finalmente ha risolto il rapporto con Monica, e la ringrazia sentitamente perché nel suo cambiamento lui non ha più avuto i sensi di colpa che l'hanno tenuto incatenato a lei per anni. Se la ricorda ancora, fin dal primo momento che si erano incontrati lei aveva deciso che lui sarebbe stato l'uomo della sua vita. Senza voler mai capire che una persona per la vita non esiste più, è un concetto a-­‐storico, fuori dal tempo. E' la molteplicità la chiave del futuro, lo è stata già alla fine del novecento, perché gli esseri umani pensano tutti, non avendo ancora cancellato la morte, di poter vivere più vite contemporaneamente. E tutto l'intorno cospira a offrire talmente tante offerte allettanti, sulle quali Carlo sa, bisogna vigilare. Sdraiato sul divano a Carlo sembra di avere in mano le redini. Ha finalmente finito la tesi, un passo fondamentale non tanto per il riconoscimento, quanto per il fatto di essere stato in grado di elaborare il proprio pensiero, di averle reso coerente e plausibile. Nonno Luigi sarà contento: ha dimostrato che aveva ragione. Gli imprenditori italiani non hanno avuto all'alba del terzo millennio quella visione strategica e quel coraggio che gli avrebbe permesso di affermarsi meglio nel mondo. L'Italia! Oramai l'Italia è alle spalle, Carlo l'ha lasciata e non ha grandi rimpianti. Certo gli ha dato un'eredità. Forse preziosa, anzi sicuramente preziosa per dare il giusto valore alle cose, perché ha rappresentato un termine di paragone tra realtà diverse, perché là c'era suo padre. Ora è qui, a Shanghai, in Cina, a fianco di Carlo per un lungo ascolto mai interrotto. C'è la sua anima e non il corpo ma per il figlio tanto amato è sufficiente. Suo padre così diverso dal nonno, così sopra le righe perché dentro le righe non sapeva stare mai. Come poteva Carlo non raccogliere quello spirito ribelle dentro di lui e mescolarlo al pragmatismo di nonno Luigi? Suo padre ha pagato a caro prezzo, gli errori a quel tempo, trent'anni fa, erano ancora fatali. La medicina di appena un decennio dopo l'avrebbe salvato, ripulendolo da capo a piedi delle schifezze che si era messo nel sangue, rianimando la sua disperazione con interventi sul DNA, spurgando l'infelicità che sentiva infinita. Essere outsider equivaleva allora a soccombere. E oggi non conviene esserlo, o almeno è opportuno esserlo in maniera eccentrica. Ma basta ripiegarsi sul passato. Carlo sa che una stilla dell'utopia di suo padre gli scorre dentro e lo fa essere, in molti aspetti della vita, più fantasioso. Sua madre appartiene anche lei, nonostante i rifacimenti esterni, a un mondo nato nell'altro secolo. Sua madre è sopravvissuta perché ha usato la prudenza, il conformismo, la conservazione. Ma è completamente fuori dal tempo e tremendamente lontana dal figlio che non ha capito fino in fondo, amandolo in cecità e perdendolo. Sicuramente Carlo tornerà molto spesso a trovarla, gliel'ha promesso, ma il suo futuro è altrove, non accanto a lei. Questa è la prima volta nella sua vita che Carlo sente di avere girato una boa. Ha chiuso dei conti in sospeso: con il nonno, con Monica, con la madre, con l'Italia. Col padre li aveva già chiusi tanto tempo fa quando aveva capito di averlo capito. E amato. E adesso? Qualcosa dovrà accadere: la Cina, gli Stati Uniti e in coda l'Europa sono le grandi potenze. Hanno oramai schiacciato il Sud del mondo. Fino a quando questo equilibrio resisterà? Difficile dirlo. I sistemi complessi sono difficili da prevedere. L'uomo non c'è ancora riuscito. L'attuale stato del sistema è il frutto di una diffusione 'epidemica' del modello europeo nato nella Mezzaluna Fertile1 13.000 anni fa. Oramai ha 'contagiato' il Nord Europa e la Cina. Altre aree si stanno 'contagiando'. Questo contagio progressivo, questo 'recuperare spazio vitale', ha permesso al sistema, pur aumentando la sua complessità, di rimanere on the edge of chaos senza mai entrarvi. Dovrà ancora aumentare la complessità? Questo forzerà un passaggio nel caos prima di trovare un altro stato stabile? Carlo non lo sa, nessuno lo sa, l'uomo non lo sa. Questa diffusione 'epidemica' del modello europeo e della conseguente globalizzazione ha portato un grande benessere, ma anche alla diffusione di un modello basato sulla competizione estrema. La libertà e la competizione assieme, in un cocktail esplosivo, hanno aumentato la complessità del sistema. Questo, pensa Carlo, è forse il massimo livello di complessità sopportabile da questo modello socio-­‐economico. Non si sa se il sistema passera dall' edge of chaos al caos. Quello che è certo è – almeno così pensa Carlo – che dopo una totale diffusione dell'homo aeconomicus, nascerà un uomo che fa progetti più profondi, che rispondono a domande più importanti. Questa è la prossima sfida. E come tutti gli stati superiori di un sistema complesso ingloberà i risultati di quello precedente. Le regole economiche, l'efficienza, la capacità di creare valore saranno il mezzo accettato per raggiungere un fine che non sarà più il valore di per sé. Occorreranno idee forti per progetti forti. Carlo vuole trovare queste idee forti. Lui sa che non le troverà in Italia: troppo appiattita sul passato. L'Italia dovrà soffrire ancora molto, come ha fatto la Cina per secoli, prima di essere in grado di produrre idee nuove. E per se stesso? Cosa accadrà? Anche la sua vita gli sembra on the edge of chaos, nonostante le decisioni ormai prese. Lo aspettano almeno due persone che contano più di altre, più di Gao e degli amici del calcetto. Vorrebbe ringraziare Mei tutta la vita per il salto cognitivo che ha fatto fare a Monica, per essere riuscita in ciò che lui stesso aveva provato per anni. E se è accaduto perché le due 1 Valle del Tigri e dell’Eufrate. donne hanno trascorso un'intera notte e un intero giorno insieme, Carlo ne è felice. Gli è passata la gelosia e anche la perversione. Gli è rimasta l'ammirazione per la mente femminile, per l'intimità che le donne sanno provare insieme e che lui stesso ha sperimentato in piccola parte con Fang. In piccola parte. Fang sarà nella sua meravigliosa casa a curare con mille delicatezze il suo giardino zen, inginocchiato a percorrere con il bastoncino cerchi concentrici, a limare la perfezione formale di una spirale orizzontale che converge le energie fisiche e mentali nel punto supremo. Lo saluterà con un breve gesto della mano, e un grande sorriso, lo stesso che gli ha riservato quando Carlo gli ha detto che sarebbe rimasto in Cina. Ghigo, intanto, sta dando tutto se stesso nel mix delle immagini sulla parete. Carlo non gli aveva mai visto mettere insieme effetti di questa potenza. Forse che sappia che deve andare in pensione? E questo è il suo canto del cigno? Chi lo sa? Ma sappiamo noi se i sistemi informatici che stiamo mettendo in piedi hanno coscienza? La coscienza, ecco, l'ultima barriera che distingue gli umani e gli animali superiori dalle macchine. Oramai sono loro, le macchine, più intelligenti di noi. Ma hanno coscienza? Gli scienziati, comodamente, dicono di no. Ma Ghigo ha coscienza? Le immagini sono comunque straordinarie. Ghigo riesce ad estrarre scene di vita di Shanghai e ad inserirle nel contesto di New York. Manda così chiari messaggi di globalità: la vita è sempre la stessa. Le differenze locali che noi percepiamo sono solo un'illusione. Mangiare, dormire, fare sesso, competere per essere 'diversi' e 'acquisire valore'. Costruire ricchezza per comprarsi l'ultimo gadget. Carlo non vuole essere così, vorrebbe creare, guardare al futuro, avere una visione. Essere meglio degli altri non perché si è venduto meglio, ma perché gli altri cercano la sua testa, le sue idee, la sua competenza. Per questo vuole stare in Cina. Qui c'è tensione creativa. Questo è un popolo che vuole diventare ricco, ma soprattutto ha l'orgoglio di essere qualcuno nel mondo. E soprattutto guarda al futuro: Carlo si ricorda sempre che i suoi amici cinesi che sono venuti in Italia a trovarlo, gli hanno tutti chiesto perché gli italiani non ricostruiscono così tanti palazzi diroccati: si riferivano ai vari reperti archeologici. Il cinese è pragmatico. Va sempre diritto al sodo, a quello che veramente conta in quello che sta facendo senza mai dimenticarsi che in fondo siamo animali che devono mangiare e fare sesso. Ed è bene farli bene. Quante tonnellate di cibo processiamo in una vita? Carlo l'ha letto una volta, non lo ricorda ora, ma sa che sono tante. E' forse il più importante sforzo fisico cumulato della vita di un uomo. E il sesso? Se uno comincia a scopare a 15 anni e smette a 100, se in media lo fa una volta al giorno, sono 31.390 scopate: è bene godersele tutte, fino in fondo, è una delle azioni più importanti e più ripetute della vita di un uomo. I cinesi non si dimenticano mai di questa realtà. Quando due cinesi si trovano a tavola insieme, si godono fino all'ultimo saporito chicco di riso. Magari parlano d'affari tra un boccone e l'altro: ma il cibo è il re. Carlo l'ha imparato presto, l'ha subito intuito. La Cina ha una tensione creativa da mettere in pratica. Oggi, dopo secoli bui e di oppressione è un popolo giovane che accetta l'estrema sofisticazione culturale a cui oggi, anno di grazia 2030, siamo arrivati. Ma l'estrema sofisticazione culturale dà infinita libertà di pensiero. Tutto è possibile, tutto è giusto. Gli unici vincoli che restano sono quelli animali: mangiare, scopare, dormire, e si stanno modificando anch'essi. Questo è tipico nei momenti finali delle culture che hanno raggiunto un apogeo, e sono sempre momenti di grande globalizzazione. I cicli della globalizzazione Se si definisce la globalizzazione come la facilità di comunicazione e di commercio in grandi territori (che al limite diventa nel mondo intero) si può verificare, come dimostrato Facilità di comunicazione e di commercio in grandi territori dall’antropologo J. J. Clarke nel suo libro “I cicli della globalizzazione” pubblicato nel 2011 da Amazon Scienze Publishing House, che la globalizzazione ha avuto un andamento ciclico nella storia dell’uomo. 16 "Impero" occidentale 14 12 10 Impero alessandrino Impero romano Impero inglese e mercantilismo 8 Impero spagnolo 6 4 "Recessione" 1939-­‐1990 2 0 Anni Purtroppo questa libertà non ammette valori certi, obiettivi chiari e condivisi (per amore o per forza). Questo rende debole 'strategicamente' il sistema. Il sistema, quella cultura, non si muove più, non sa dove andare, sa solo vivere. Le nuove idee forti vengono fuori dalla periferia dell'impero. E' la Cina periferia dell'impero? Si chiede Carlo. Certo più periferia dell'Europa e degli Stati Uniti. Il popolo cinese ha ancora un energia vitale che Carlo sente scorrere sottopelle alla società in cui lui vuole vivere. Lui vuole cominciare a pensare ad idee forti e nuove. Forse non le troverà, ma vuole essere dentro al gran calderone dove probabilmente nasceranno. Lui ha tutti gli strumenti forse per avvertirle prima di altri. Ha nei geni la cultura del modello uscente, ha saputo con questa tesi gettare uno squarcio di luce sul problema del modello che perderà: la mancanza di ambizione e di visione, conosce le due culture e le due genti. Lui vuole restare lì, non sa ancora a fare che, ma – ne è certo – lo imparerà. E poi chissà, potrebbe venire a lui un'idea nuova. A volte sono proprio gli emigrati, i semi trapiantati in un terreno diverso, che danno frutti nuovi e più saporiti. Carlo si sente un emigrato? Certamente non nel senso vecchio del termine, ma pur essendo un cittadino del mondo, ha potuto constatare che il suo passato, la sua origine da adito nell'incontro con la cultura cinese a un mix unico e interessante. Saper cogliere il nuovo, saper sedimentare l'origine, Carlo ci sta provando. In fondo è ancora un ragazzo, lo vede anche sullo schermo sul quale Ghigo gli aveva proiettato una metafora del mondo. Ma Ghigo gli ha fatto uno scherzo e ora lo sta riprendendo. Carlo vede la sua faccia decuplicata, ingrandita, vede i capelli arruffati come sempre, vede il fondo dei propri occhi, vede il suo stesso sorriso mentre pensa, in grande contraddizione con i suoi propositi, che non cambierà Ghigo, chi se ne frega degli assistant più veloci, l'arretratezza di Ghigo non cancella due anni di provata fedeltà. “Ghigo” dice Carlo. “Sì?” gli risponde l'amico digitale. “Non ti cambio, Rimani con me.” Nella stanza si sente un boato, un terremoto simulato di felicità. “Grazie.” “Di niente” risponde Carlo mentre tira fuori l'anatra dal forno.