Opuscolo didattico - Centro di Cultura Ecologica
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Opuscolo didattico - Centro di Cultura Ecologica
Clima e vita nel Quaternario 1 Cambiamenti climatici, raffreddamento globale, effetto serra, glaciazioni, sono termini che si ascoltano tutti i giorni dai mass media, eppure in pochi pongono l’accento sul fatto che questi fenomeni sono stati sempre presenti sul pianeta Terra e hanno condizionato la storia degli organismi, la loro evoluzione, origine e scomparsa. Gli ultimi due milioni di anni comprendono il periodo di tempo conosciuto come Quaternario, suddiviso in Pleistocene e Olocene, a noi più familiare sia perché le specie animali sono più vicine a quelle attuali, sia perché la conformazione dei mari e delle terre emerse e, in particolare, dell’Italia ha assunto l’aspetto che noi oggi conosciamo. Durante il Quaternario questi cambiamenti sono caratterizzati da una diminuzione media delle temperature, con periodi di freddo intenso, tali da far definire questo periodo come “Era Glaciale”. Circa 900mila anni fa, inoltre, ebbe inizio un’alternanza ancora più marcata di periodi freddi e caldi, ad ognuno dei quali corrisposero ambienti caratteristici sia per le specie vegetali che animali [Fig. 1]. Il Quaternario è anche l’era caratterizzata dall’evoluzione dell’uomo. In Italia sono state scoperte le più antiche tracce della presenza umana (strumenti in selce) in Europa circa 1.5 milioni di anni fa ad Apricena, in Puglia. Nel Lazio il cranio scoperto a Ceprano (Frosinone) rappresenta la prima evidenza diretta nel nostro paese di forme umane. Alla fine del Pleistocene coesistono due specie: Homo neanderthalensis e, l’unica sopravvissuta, Homo sapiens. Fig. 1. Variazioni dell’isotopo 18 dell’ossigeno (18O) contenuto nei gusci fossili di invertebrati marini del Pleistocene. L'aumento del valore di indica una diminuzione della temperatura. (Da Gliozzi et al., 1997. Modificato). Gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere visti anche osservando la morfologia del territorio. Le valli glaciali, dal caratteristico profilo a U, sono state modellate dagli antichi ghiacciai, oggi scomparsi, ma le cui testimonianze geomorfologiche possono essere ancora oggi osservate. Anche le oscillazioni del livello del mare attraverso il tempo sono una prova indiretta dei periodi di raffreddamento. Ci sono stati infatti momenti in cui il livello della linea di costa era più basso di quello attuale [Fig. 2], oppure più alto, come testimoniato dai solchi lasciati sui pendii rocciosi da antiche linee di costa a quote diverse. Nella penisola italiana le trasformazioni climatiche hanno portato specie 1 adattate a climi freddi ad alternarsi a specie tipiche di climi caldi. Nel corso del tempo, la presenza di specie differenti vissute contemporaneamente nel territorio italiano, ha portato alla costituzione di quelle che i paleontologi definiscono “associazioni faunistiche”, insiemi di specie caratteristiche di determinati ambienti e intervalli temporali. In questo modo gli studiosi possono risalire, analizzando i fossili rinvenuti nei depositi sedimentari, a dar loro una età e, talvolta, a ricostruire le caratteristiche del loro ambiente. Ad esempio, l’associazione di tigri dai denti a sciabola come Homoterium latidens e Megantereon whitei, con Canis mosbachensis, un lupo primitivo, Pachycrocuta brevirostris, una grande iena, il rinoceronte Stephanorhinus etruscus, il cervide Axis eurygonos, e il mammut Mammuthus meridionalis, indica il Pleistocene Inferiore, cioè la parte iniziale del Pleistocene (tra 1.8 e 800mila anni fa). Invece l’associazione a mammiferi che comprende la prima forma del cervo nobile Fig. 2. Linee di costa dell'Italia durante attuale, Cervus elaphus acoronatus, le glaciazioni. (Da Pinna 1976. l’elefante Elephas antiquus, il bisonte Modificato). primitivo Bison schoetensacki, insieme al leopardo Panthera pardus, alla iena macchiata Crocuta crocuta e al leone primitivo Panthera fossilis, è tipica della parte più antica del Pleistocene Medio (circa da 800 a 125mila anni fa). Infine, il Pleistocene Superiore vede invece la presenza del daino Dama dama, del rinoceronte lanoso Coelodonta antiquitatis, del mammut Mammuthus primigenius, dell’equide Equus hydruntinus, del lupo Canis lupus e del gatto selvatico Felis silvestris. Alcune di queste specie indicano condizioni di clima molto freddo, legate all’ultima glaciazione e la conseguente scomparsa di numerose specie come l’ippopotamo Hippopotamus antiquus, i rinoceronti del genere Stephanorhinus e gli elefanti, caratteristici invece di climi più miti. Durante l’ultima glaciazione fa il suo ingresso in Italia la specie Homo sapiens, cui noi apparteniamo, la quale, ha contribuito a provocare la scomparsa di molte specie di mammiferi, già provate dalle rigide condizioni climatiche. La fauna dell’Olocene, il periodo che inizia 10.000 anni fa e nel quale ci troviamo ora, risulta essere più povera di specie rispetto al Pleistocene. Il Quaternario in Italia è stato interessato da numerose manifestazioni vulcaniche, che hanno interessato in modo particolare l’area laziale. A partire da circa 600mila anni fa inizia l’attività dei vulcani laziali: il distretto vulcanico dei monti Sabatini, a nord-ovest di Roma e il distretto dei Colli 2 Albani a sud-est. I prodotti del vulcanismo hanno profondamente modificato in circa 300mila anni, l’aspetto del territorio della nostra regione. Le colate laviche, i lapilli e le ceneri provenienti dai due distretti vulcanici hanno influenzato in maniera evidente l’evoluzione del corso del fiume Tevere, il quale ha più volte deviato il suo cammino, fino a essere confinato al percorso odierno [Fig 3]. Fig. 3. Influenza del vulcanismo nell'orografia del territorio. (Disegno di Francesca Santaniello) Roma due milioni di anni fa 1 Se si guarda alla città di Roma, al giorno d’oggi, risulta difficile pensare che sotto i livelli archeologici che raccontano le vicissitudini della città dalla sua fondazione nel 756 a.C. fino ad ora siano nascoste storie molto più antiche. Storie che hanno inizio circa 1.7 milioni di anni fa. I primi ritrovamenti di mammiferi pleistocenici furono effettuati da naturalisti e geologi nella seconda metà dell’Ottocento, che intrapresero studi sistematici sui mammiferi fossili rinvenuti nei terrazzi fluviali del Tevere e dell’Aniene. Da allora numerosi sono stati i ritrovamenti di mammiferi fossili nell’area di Roma. Fra le Fig. 4. 1936: primi scavi in loc. Saccopastore, località più ricche di nell'attuale quartiere di Montesacro-Roma (Archivio testimonianze, la maggior IsIPU) parte delle quali oggi è fortemente urbanizzata, possiamo ricordare Monte Sacro, Ponte Milvio, Monte delle Gioie, Saccopastore [Fig 4] e Sedia del Diavolo (l’odierna piazza Ennio Callisto). La grande espansione urbana avvenuta nel dopoguerra purtroppo ha cancellato la maggior parte dei toponimi e dei siti e molti di questi sono solo un ricordo che è possibile ritrovare nelle carte e nelle fotografie dell’epoca. Per fortuna è possibile osservare questi reperti ancora oggi, per esempio, presso il Museo universitario di Paleontologia della “Sapienza” o al Museo Preistorico ed Etnografico Pigorini. Ma quali erano i protagonisti di questa storia così antica? Uno degli elementi più comuni delle faune a mammiferi dell’area di Roma è 3 un grande elefante di foresta, Elephas antiquus, che poteva arrivare fino a 5 metri d’altezza; questo proboscidato aveva zanne dritte e lunghe fino a tre metri. Si tratta di una specie piuttosto comune. I suoi resti sono stati trovati durante la costruzione del palazzo della Banca d’Italia, oppure nei terreni dove oggi sorgono popolosi quartieri come Monte Sacro o il Tufello. Fig. 5. Ricostruzione di un ipotetico paesaggio laziale di 200 mila anni fa. (Disegno di David Iurino) Un grande cranio e buona parte dello scheletro appartenente ad un altro elefantide vissuto circa 200mila anni fa è stato rinvenuto negli anni ’70 del Novecento nella periferia nord di Roma, al km 8 della via Flaminia. Questo pachiderma, adattato a spazi aperti, con zanne ricurve e molari con un’alta frequenza di lamine di smalto, è stato attribuito alla specie Mammuthus chosaricus. Altri pachidermi, però, pascolavano nei pressi dei tanti acquitrini [Fig 5]. Due specie di ippopotami, Hippopotamus antiquus e Hippopotamus amphibius, si avvicendarono infatti durante il Pleistocene. La prima specie, con il cranio e le ossa nasali più sviluppate verso l’alto, era più adattata ad una vita acquatica a differenza della seconda specie che vive ancora oggi nel continente africano. L’ippopotamo antico fu rinvenuto nella zona di Ponte Milvio mentre l’ippopotamo anfibio nei depositi degli ultimi 300mila anni come per esempio di via Nomentana e Sedia del Diavolo. Anche i rinoceronti erano un elemento molto importante della fauna pleistocenica. Ricordiamo due specie, Stephanorhinus kirchbergensis e Stephanorhinus hemitoechus; la prima aveva dimensioni maggiori, ed entrambe, come le due specie attuali africane prediligevano gli spazi aperti. Anche gli equidi hanno rivestito un ruolo importante negli ecosistemi pleistocenici. Prima della comparsa dell’attuale cavallo selvatico, Equus ferus, era diffuso un equide dalle caratteristiche morfologiche intermedie 4 tra le zebre e gli asini, Equus altidens; resti fossili di questa specie furono ritrovati nei terrazzi del Tevere e dell’Aniene. Nell’ultima parte del Pleistocene Medio e nel Pleistocene Superiore era presente anche un altro equide: Equus hydruntinus. Resti di questa specie sono stati rinvenuti a Sedia del Diavolo. Tra i cervi vanno sicuramente ricordati i megaceri. Questi erbivori dalle gigantesche dimensioni, provenienti dall’Asia, potevano essere alti oltre due metri alla spalla con corna lunghe fino a due metri. Resti di questi spettacolari mammiferi sono stati portati alla luce da depositi affioranti lungo la via Flaminia presso Redicicoli, oltre che dall’area delle cave di Ponte Galeria, tra la via Portuense e la via Aurelia. Un altro grande erbivoro è Bos primigenius, l’uro, ben noto anche ai romani e estintosi nel Seicento; questo bovide, insieme all’elefante antico, è tra le specie più comuni rinvenute nei sedimenti che risalgono alla seconda parte del Pleistocene Medio e al Pleistocene Superiore. L’abbondanza di questi erbivori doveva essere bilanciata dalla presenza di diversi carnivori. Sono stati rinvenuti abbondanti resti fossili della iena macchiata, Crocuta crocuta, che soprattutto nel Pleistocene Superiore è uno dei predatori più comuni. A Monte delle Gioie sono stati ritrovati resti di uno dei più grandi felini comparsi sulla Terra, Panthera spelaea, poco più grande dell’attuale tigre siberiana. La presenza del leopardo, Panthera pardus è testimoniata da cranio quasi completo rinvenuto in via dei Prati Fiscali. Uno dei predatori più comuni era il lupo, Canis lupus, con caratteristiche simili a quelle della forma attuale. Uno dei carnivori più conosciuti del Pleistocene Medio e Superiore è senz’altro l’orso delle caverne, Ursus spelaeus, che aveva una dieta decisamente più vegetariana rispetto all’orso bruno. I suoi resti sono piuttosto scarsi nell’area di Roma, dove alcuni denti isolati sono stati rinvenuti nei pressi della Stazione Termini e a Tor di Quinto. Per concludere, una menzione particolare merita il sito di Saccopastore da dove provengono due reperti di eccezionale importanza, due fondamentali tasselli nella storia dell’evoluzione dell’uomo. Nel 1929 e nel 1935, in una cava per l’estrazione della ghiaia, furono ritrovati due crani dell’uomo di Neanderthal, esposti al Museo di Antropologia della “Sapienza”; queste scoperte diedero un notevole impulso allo sviluppo della paleoantropologia italiana. note: 1. testi: Luca Bellucci, Mauro Petrucci - Serendip, Associazione per la diffusione della cultura scientifica (www.serendip.it) 5 Il Centro di Cultura Ecologica e la storia del territorio 2 Il Centro è situato nel Parco Regionale Urbano di Aguzzano, in prossimità del tratto urbano del fiume Aniene. In quest'area sono venute alla luce numerose testimonianze fossili di popolamenti faunistici preistorici e di antichissimi insediamenti umani. Per questo nelle attività di didattica ambientale che il Centro porta avanti viene sottolineata l'importanza di conoscere la storia antica del territorio per capirne l'attuale configurazione. [Fig 6 e 7] Un territorio la cui complessa morfologia è stata influenzata dalle eruzioni dei vulcani laziali e dalla presenza del fiume Aniene, che a sua volta ha facilitato l'insediamento dei primi villaggi umani. Oggi il territorio restituisce i frammenti di questa lunghissima storia attraverso reperti paleontologici e archeologici di inestimabile valore storico e scientifico. Fig. 6. e 7. Il laboratorio di simulazione di scavo paleontologico. (Foto di Giampaolo Galli) I siti paleolitici della Valle dell'Aniene 3 [Fig 9] 1 - Rebibbia-Casal de' Pazzi 4 Si trova tra la via Nomentana e la via Tiburtina, non lontano dal fiume Aniene e dai numerosi altri siti paleolitici che ne costellavano in passato l’ultimo tratto. Il deposito fu identificato accidentalmente durante la costruzione della strada prevista nel piano di zona [Fig 8]. Lo scavo stratigrafico, che ha interessato un’area di oltre 1200 mq., fu eseguito dalla Soprintendenza Archeologica di Roma dal 1981 al 1986 ed ha messo in luce l’antico alveo del fiume Aniene, databile a circa 200.000 anni fa, costituito da ghiaie e sabbie, all’interno del quale sono stati raccolti complessivamente circa 2.200 resti ossei ed oltre 1.500 reperti litici che, per la natura fluviale del deposito, si trovavano in deposizione secondaria. Il giacimento di Rebibbia-Casal de’ Pazzi costituisce, al momento, l’unico 6 deposito di età paleolitica scavato sistematicamente nell’area urbana di Roma, ed è inoltre l’ultima testimonianza che hanno caratterizzato il Pleistocene negli ultimi due della ricca serie di depositi che costellavano la valle dell’Aniene e che sono stati purtroppo distrutti dall’avanzare della città, per questo si è provveduto alla sua conservazione attraverso la realizzazione del Museo Civico di Casal de' Pazzi. Fig. 8. Rinvenimento di zanne di Elefante antico durante lo scavo di RebibbiaCasal de' Pazzi. (Foto di Giuseppe G. Zorzino) 2 - Ponte Mammolo Giacimento all'aperto situato sulla sponda destra dell'Aniene, databile tra 251.000 e 195.000 anni da oggi. I primi rinvenimenti di un certo interesse risalgono al 1846 e sono costituiti da frammenti di selce e un omero di Orso (Ursus spelaeus). In seguito si rinvennero anche resti di Elefante (Elephas antiquus), Cervo elafo (Cervus elaphus), Uro (Bos primigenius), canide (Canis sp.), Cavallo (Equus ferus). L'industria litica era composta di pochi manufatti. Era presente inoltre un femore umano appartiene alla gamba destra di un individuo adulto probabilmente di sesso maschile, di probabile appartenenza alla specie Homo erectus. 3 - Ripa Mammea In località Ripa Mammea venne effettuato, nel 1980, un breve saggio di scavo in cui fu raccolta rara industria litica e alcune ossa di Uro (Bos primigenius), Cervo elafo (Cervus elaphus), Orso (Ursus sp.) e Rinoceronte (Stephanorhinus sp.). 4 - Saccopastore Giacimento all’aperto su via Nomentana, oggi inglobato nella periferia nord -orientale della città di Roma, datato alle circa 125.000 anni fa. Esso si colloca sul terrazzo più basso e recente del fiume Aniene, noto proprio come il terrazzo di Saccopastore. Nel 1936 fu condotta una breve stagione di scavo ad opera dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, dalla quale provengono buona parte della fauna e l’industria litica (11 manufatti ) del sito. Qui furono rinvenuti i due crani fossili di notevole importanza. Il primo, venuto alla luce nel 1929 nel corso dei lavori di estrazione della locale cava di ghiaia, noto come "Saccopastore 1", è un cranio presumibilmente 7 femminile, privo di mandibola, rinvenuto quasi integro. Il secondo, scoperto nel 1935 durante un sopralluogo sul sito da parte di A. C. Blanc e H. Breuil e noto come "Saccopastore 2", è un cranio incompleto con caratteri più maschili: fu rinvenuto frammentato in tre parti e risulta mancante della mandibola, di tutta la volta cranica, di parte della base e della regione orbitaria di sinistra. L’uomo di Saccopastore, pur presentando un insieme di caratteri in comune con il Neandertal "classico", se ne discosta per alcune particolarità morfologiche e per la maggiore antichità. 5 - Sedia del Diavolo Giacimento all'aperto sulla sponda sinistra dell'Aniene, databile tra 251.000 e 195.000 anni da oggi; distrutto dall'espansione edilizia, esso era situato presso l'odierna piazza Elio Callistio. La prima serie stratigrafica fu rilevata da R. Meli nel 1882. Questa risultò simile a quella di Monte delle Gioie. Vi furono rinvenuti industria litica, resti di grandi mammiferi (Elephas antiquus, Hippopotamus amphibius, Rhinoceros sp., Bos primigenius, Equus ferus, Dama dama, Cervus elaphus), un secondo metatarsale e una diafisi di femore umano. L'industria litica è costituita da 10 schegge e 15 strumenti, la maggior parte dei quali raschiatoi. 6 - Monte delle Gioie Giacimento all'aperto, ormai scomparso, sito sulla sponda destra dell'Aniene, databile tra 251.000 e 195.000 anni da oggi. Lavori stradali e ferroviari misero in luce l'intera sequenza stratigrafica, che venne studiata, negli anni '30, da Alberto Carlo Blanc, professore di Geologia presso l'Università di Roma, che raccolse in quell'occasione dell'industria litica, costituita da 62 schegge di selce e fauna fossile. Fig. 9. Localizzazione del parco di Aguzzano e dei siti paleolitici della Valle dell'Aniene. (Elaborazione di Francesca Cau) note: 2. testo: S. Petrella 3. fonte: www2.comune.roma.it/museocasaldepazzi/index.htm 4. testo: P. Gioia 8