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Parte generale Discorso generale sulla responsabilità civile 3 Capitolo I Discorso generale sulla responsabilità civile SOMMARIO: Sez. I. La responsabilità civile e le fonti delle obbligazioni. – 1. Le fonti delle obbligazioni. – 2. Colpa e danno nel giudizio di responsabilità. – 3. L’inadempimento contrattuale. – Sez. II. Fonti comunitarie e diritto dei torts. – 4. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nel diritto comunitario. – 5. Responsabilità dello Stato per violazione di obblighi comunitari. – 6. Il danno nel diritto comunitario. – 7. Alla ricerca di una basic Rule. – Sez. III. Il sistema della responsabilità civile. – 8. Il fondamento della responsabilità civile. – 9. Il danno meramente patrimoniale. – 10. Alla ricerca di indici di “ingiustizia” del danno. – 11. Fattispecie e regulae iuris nel giudizio di responsabilità. – 12. Il danno non patrimoniale. – 13. Il danno risarcibile tra evento e conseguenza. – 14. Il danno contrattuale. – 15. Le nuove frontiere del danno risarcibile. – 16. Conclusioni. La tutela risarcitoria tra giudizi di disvalore e danno risarcibile. Sezione I. – La responsabilità civile e le fonti delle obbligazioni 1. Il codice civile non usa l’espressione «responsabilità» se Le fonti delle non con riguardo a quella «del debitore» (art. 1218 c.c.). Esso è obbligazioni tributario della dottrina delle fonti di obbligazioni di tradizione Gajana. Non esistono fatti di responsabilità ma solo fonti di obbligazione. Ed è l’oggetto di queste a portare chiarimento sul senso e portata degli atti e/o fatti che ne sono all’origine (art. 1173 c.c.). Nell’area del contratto e/o di fattispecie ad esso assimilabili la responsabilità per l’inadempimento è riferita all’obbligazione, così come recita testualmente l’art. 1218, e sarebbe vano affannarsi per ricercare tracce del contratto. Ma è in ragione del fatto che le obbligazioni contrattuali riproducono telles quelles quanto dalle parti convenuto che l’inadempimento di esse può avere riguardo al contratto, sia pure integrato per via di legge o di equità (art. 1374). Quanto invece ai «fatti» che dovrebbero produrre la responsabilità del soggetto in zone distanti da quelle contrattuali, la loro ricaduta in termini di re- Parte generale 4 sponsabilità è esclusivamente quella recata dalle obbligazioni aventi ad oggetto la riparazione del danno (art. 2043 c.c.). In base alla dottrina delle fonti si è soliti affermare che, in tal caso, a differenza delle obbligazioni contrattuali, quelle risarcitorie derivano dalla legge, perché è la legge a collegare al fatto illecito, quale conseguenza, il risarcimento del danno. In tal modo lo stesso significato e portata del fatto illecito sono, per così dire, assorbiti nella voluntas legis, secondo cui quel fatto è ritenuto idoneo a produrre una obbligazione risarcitoria. Tali non potrebbero essere gli altri «fatti od atti idonei a produrre obbligazioni secondo l’ordinamento giuridico» (art. 1173) 1. La ripartizione di competenze tra le fonti è troppo chiara per essere motivo di dubbio e ciò nel senso di (poter) collegare obbl. risarcitorie anche ad un fatto diverso da quello enunciato dall’art. 2043. Con l’espressione «fatto illecito» (art. 2043) si intende porre in evidenza che è la voluntas legis a stabilire le condizioni in presenza della quale il soggetto è obbligato a riparare il danno da esso causato. La stessa espressione «fatto», anziché «atto», è indice di un indirizzo che è portato a ridimensionare quanto dovuto al comportamento del soggetto e ciò in ragione dell’accadimento ad esso in qualche modo riconducibile (a titolo di colpa o di potere di controllo su persone o cose o di rischio). Con l’aggettivo «illecito» si è inteso invece avere riguardo alla evenienza che il fatto e/o atto sia contra legem nel senso che esso si caratterizza per la sua contrarietà a diritti e/o a interessi del singolo tutelati dalla norma. Questi diritti e/o interessi sono incisi in maniera pregiudizievole dal fatto illecito. La responsabilità dunque si collega strettamente ad un illecito, cioè ad un fatto o comportamento contra legem, perché compiuto in violazione di diritti o di interessi comunque protetti. Si ha dunque riguardo alla lesione di diritti e/o interessi meritevoli di tutela, non già più genericamente alla violazione di norme imperative, come accade per i negozi definiti illeciti (art. 1343). Esistono dunque diverse forme di illiceità, quella dei «fatti» e quella dei negozi. Ma con siffatta espressione, a ben considerare, si intende dire qualcosa di più e di ulteriore e cioè accentuare ed evidenziare, non solo e non tanto la lesione del diritto (sia esso assoluto o relativo) quanto anche la violazione di un dovere ossia di quel dovere (pur) definito «generico» (perché contrapposto alla obbligazione) del neminem laedere che è a tutela di diritti e/o di interessi in qualche modo protetti. La precisazione non vuole essere meramente nominalistica e rappresentare, in termini di dovere, la mera derivazione dalla lesio- 1 Ma diversamente BUSNELLI, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. dir. priv., 2009, 939 ss. con riguardo agli artt. 2047-2054 i quali andrebbero ricondotti agli «altri atti o fatti» di cui all’art. 1173. Discorso generale sulla responsabilità civile 5 ne del diritto 2. La violazione del dovere, per le implicazioni soggettive in essa implicitamente contenute, è la risultante, a ben considerare, di un più vasto complesso di elementi, che contribuiscono a realizzarne la fattispecie (ad esempio, i requisiti di colpa o dolo, l’assenza di cause di giustificazione). In mancanza di questi elementi, potrebbe osservarsi che il fatto, pur essendo «dannoso», non sarebbe tale da ricevere il predicato di «illiceità», così da corrispondere alla fattispecie dell’art. 2043 c.c. 3. 2. Ma è dunque proprio interpellando la sedes materiae in cui Colpa si colloca la disciplina dello illecito (art. 2043 ss.) che anche l’espres- e danno nel sione «responsabilità» è destinata ulteriormente a completarsi con giudizio di altri elementi, quali i requisiti soggettivi di essa (colpa o dolo) e l’e- responsabilità lemento del danno. L’art. 2043 si incarica infatti di stabilire che «qualunque fatto, colposo o doloso, che arreca ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno» ... Il significato della norma è nel senso che il «fatto illecito», di cui all’art. 1173, può definirsi tale ed essere fonte di obbligazione nella misura in cui esso si riveli anche come un fatto produttivo di danno. A tale riguardo, è destinato a differenziarsi l’illecito civile da quello penale e anche da altre forme di illecito, nella misura in cui l’illecito civile in tanto è rile2 A ben riflettere, l’aspetto (soggettivo) della violazione del dovere è destinato a concretizzare la «antigiuridicità» complessiva della fattispecie, categoria, questa, cara alla dottrina tedesca (Widerrechtlichkeit), se anche si ritenga, come ritiene CASTRONOVO, La nuova rea sponsabilità civile, 3 ed., Milano, 2006, 18, che la (assenza di) antigiuridicità (data ad es. la presenza di una causa di giustificazione) debba rappresentare un elemento impeditivo e non costitutivo della responsabilità. 3 Sembra invece che qualche Autore (come SCALISI, Illecito civile e responsabilità: fondamento e senso di una distinzione, in Riv. dir. civ., 2009, 658 ss.) tenda a svalutare il ruolo della violazione del dovere, che, come tale, appare fondativo della illiceità, per ravvisare invece nel danno in senso giuridico tale ruolo. Ma ciò appare in contraddizione con quanto lo stesso Autore sostiene e cioè che è alla condotta del danneggiante sub specie iniuriae che va fatto riferimento (SCALISI, Illecito civile, cit., 664) «dal momento che, diversamente opinando, non si saprebbe su quale altro principio di legittimazione, diverso dalla condotta illecita del danneggiante, dovrebbero o potrebbero trovare fondamento giustificativo i rimedi sanzionatori alternativi (rispetto alla regola di responsabilità) predisposti dallo ordinamento». Se può seguirsi l’Autore nella distinzione tra la valutazione di illiceità e la regola di responsabilità, di talché la prima potrebbe sussistere anche senza la seconda, è sicuro comunque che la regola di responsabilità postula la qualifica di illiceità del fatto dannoso. Parte generale 6 vante in quanto esso abbia prodotto un danno nella sfera di colui che è vittima di esso. Si allude dunque ad un danno quale conseguenza dell’illecito. Se non v’è danno, può in astratto sussistere un illecito, ossia un atto contra legem, ma esso è irrilevante sul terreno della obbligazione risarcitoria che ne dovrebbe derivare. a) La norma dunque enuncia il sintagma: fatto più danno. Danno per definizione è lesione concreta di un interesse, che il singolo ha subìto a seguito dell’altrui comportamento. Il danno, quale elemento della realtà materiale e/o immateriale, è reso giuridico a motivo della sua «ingiustizia» (art. 2043) ossia del suo porsi in contrasto con la norma dell’ordinamento che quell’interesse riconosce a fronte di altro interesse con esso confliggente 4. Ma resta che la sua concreta «risarcibilità» è affidata a norma ulteriore, alla norma che prevede la obbligazione risarcitoria e ciò secondo il consueto linguaggio che lega la fattispecie al suo effetto. Dal contenuto della obbl. risarcitoria (art. 1223) è lecito infatti desumere che il danno, ove patrimoniale, debba coprire «la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta». Perdita subita e mancato guadagno sono le forme che assume e/o deve assumere il danno risarcibile. Il danno, pur avendo carattere patrimoniale, in quanto lesivo di interessi economici del soggetto, potrebbe in concreto non avere assunto consistenza e forma di danno emergente e/o di lucro cessante, e come tale così suscettibile di prova, e cioè di concrete e visibili conseguenze di ordine patrimoniale nella sfera del soggetto. Al richiamo di codesta norma, anche in sede di illecito aquiliano, l’interprete è autorizzato dall’art. 2056 (dettato nella sede della disciplina dell’illecito). Ove invece il danno sia «non patrimoniale», e cioè lesivo di interessi non economici del soggetto, deve intervenire la norma di legge a prevederne la fattispecie, la quale, eccezionalmente, ne riconosca la risarcibilità (artt. 2059 c.c. e § 253 BGB) 4 Diversamente SCALISI, Illecito civile, cit., 658 per il quale già la nozione di danno è da intendere in senso giuridico quale «lesione» di un interesse correlato ad un bene della vita «laddove il predicato di “ingiustizia” ad esso si aggiunge, perché implica un esame comparativo, a posteriori, delle ragioni del danneggiante e di quelle del danneggiato». L’ingiustizia, per l’A., come vedremo, è in funzione della obbligazione risarcitoria e cioè (dell’operare) di una regola di responsabilità e ciò nel senso della transizione dal danno alla riparazione. Ma può replicarsi al chiaro Autore che, quanto alla regola di responsabilità recata dall’art. 2043, il conflitto è parte integrante di essa laddove la mera rilevanza del c.d. danno giuridico non assume valore di principio fondativo della regola di responsabilità. Ma di ciò v. anche oltre. V. in tal senso anche CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., 45, ove l’ingiustizia è indice di «qualificazione di rilevanza del danno nella fattispecie», e ciò anche in critica ai fautori della identificazione della «ingiustizia» con la c.d. clausola generale. Discorso generale sulla responsabilità civile 7 (principio di tipicità del danno non patrimoniale). Ma, in tal caso, la legge non stabilisce quali sono i criteri di quantificazione (come ha luogo per il danno patrimoniale con l’art. 1223), dovendo il giudice ricorrere alla valutazione equitativa. b) I requisiti della colpa e del dolo, cui fa riferimento l’art. 2043, sono destinati a completare la valutazione di «illiceità» della condotta, giacché solo in base a tali requisiti soggettivi può ritenersi che maturi e si realizzi la «responsabilità» del soggetto intesa come situazione di disvalore (del comportamento) di esso a fronte dell’ordinamento. Ma ciò significa che a caratterizzare la illiceità non è sufficiente che il danno arrecato sia «ingiusto», ossia compiuto in violazione di diritti altrui, come stabilisce la regola contenuta nell’art. 2043, e cioè che esso abbia colpito un diritto e/o un interesse protetto, dovendosi aggiungere che il comportamento del soggetto deve essere imputabile a sua colpa o dolo. È in tal senso il criterio di imputazione soggettiva in difetto del quale non potrebbe parlarsi di un atto o fatto giuridicamente riferibile ad un soggetto. È codesto il tributo prestato alle impostazioni liberali del giudizio di responsabilità, secondo cui non si può essere «responsabili» dei danni provocati se non quando il comportamento dannoso è imputabile al soggetto a titolo di colpa o di dolo. In pressoché tutti gli ordinamenti vige la regola secondo cui non basta la materiale causazione di un danno per rendere un soggetto responsabile di esso ma occorre che ricorrano particolari presupposti o circostanze che servano a «personalizzare» il giudizio di responsabilità. Per il diritto tedesco ad es. si parla di Zurechnungsprinzipien (principi e/o criteri di imputazione). Tra i più noti criteri di imputazione (per individuare il soggetto «responsabile») vi è quello della lesione colposa di diritti altrui (das Unrechtsprinzip). Esso appare comune tanto alla responsabilità extracontrattuale come a quella contrattuale (per il diritto italiano possono citarsi gli artt. 1176 e 2043 c.c.; per il diritto tedesco i §§ 276 e 823 BGB; per il diritto francese gli artt. 1137 e 1382 code civil fr.). Il concetto di colpa richiamato non è quello penalistico ma è quello normativo fondato sulla violazione della diligenza rapportata a standards tipico-sociali di comportamento (v per il diritto tedesco il § 276, co. 2, BGB). La «centralità» della nozione di colpa nell’ambito della responsabilità per i danni trova i suoi referenti storici nel pensiero giusnaturalistico del XVII secolo (v., per la Francia, l’insegnamento di Domat), che doveva influenzare le codificazioni del sette e ottocento (il code civil, l’Allgemeines Landrecht prussiano, l’austriaco ABGB) e nelle esigenze dello sviluppo industriale, quale venne realizzandosi nel XIX secolo. Ma in epoche e in ordinamenti in cui sempre maggiore è la tendenza a ridimensionare, quale criterio esclusivo, la colpa del soggetto, per affiancare ad Parte generale 8 esso altri criteri, come quello basato sulla proprietà o disponibilità delle cose produttive di danno (artt. 2051, 2052, 2053), o sull’esercizio di attività pericolose (art. 2050) o generaliter sul rischio di impresa (art. 2049), si sostiene che diventa più difficile e problematico ri-costituire il sistema della responsabilità per danni nei termini di una forma di tutela rivolta, sia pure indirettamente, a sanzionare comportamenti riprovevoli e/o comunque comportamenti sfavorevolmente valutati dall’ordinamento. La presenza, quali criteri di imputazione, di criteri fondati su dati oggettivi (esercizio di attività pericolose) o su «posizioni» o situazioni occupate dal soggetto (che si vuole) responsabile (ad es. quella di imprenditore, di proprietario, di genitore) rende opinabile questa lettura. Costituisce tuttavia una comune vulgata l’opinione che, a partire dalla fine dell’Ottocento, l’evoluzione subìta dagli ordinamenti va nel senso di una graduale erosione dell’area occupata dalla responsabilità fondata sulla colpa 5. Per il diritto italiano si sottolinea come la novità introdotta dal cod. del 1942 sia appunto il superamento di un sistema «centralizzato» di responsabilità, al cui baricentro si trovi la nozione di colpa, per approdare ad un sistema che conosce criteri di imputazione diversi 6. Per taluno i dati normativi (spec. artt. 2049, 2050, 2054) consentono di parlare di vera e propria responsabilità oggettiva per rischio 7. Ma non mancano voci dissenzienti 8 e impostazioni più caute 9. Il che significa che altra linea di tendenza della tutela contro i danni, oltre il suo carattere generalizzato e pervasivo per quanto riguarda gli interessi e i diritti tutelati, è di assumere un connotato di neutralità e oggettività. Si è parlato di «laicizzazione» del modello di responsabilità. Si può dire che sia assente da esso una ufficiale censura della condotta dei soggetti, essendo la tutela in buona parte finalizzata allo scopo pratico di assicurare e garantire una distribuzione (del peso) del danno sulla base di criteri socialmente ed economicamente giustificabili. Si sostiene che questo aspetto redistributivo è quello di cui oggi, in primo luogo, si fanno carico sistemi di responsabilità civile in economie di mercato sviluppate ove si tratta di scegliere la sede più opportuna, dal punto di vista economico e sociale, per allocare il danno. Si è molto discusso, e si continua a discutere, di «modelli e funzioni» della responsabilità civile per i danni 10. 5 BARCELLONA, Struttura della responsabilità e ingiustizia del danno, in Eur. dir. priv., 2000, 307 ss. 6 RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967, passim. 7 TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2003, 150 ss. 8 DE CUPIS, Il danno, Padova, 1979, 137 ss. 9 CIAN, Antigiuridicità e colpevolezza, Padova, 1966, 133 ss. 10 RODOTÀ, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 595 ss. Discorso generale sulla responsabilità civile 9 Taluno ha messo anche in evidenza il «paradosso» della responsabilità civile 11 in relazione al fatto che, mentre ormai il modello della responsabilità civile sembra essersi attestato attorno all’obiettivo della riparazione del danno, quali che siano i criteri in base ai quali un soggetto è «fatto» responsabile, si assiste invece ad una vera e propria «esplosione» dell’istituto e ad una rinnovata incertezza circa la funzione di esso. In una valutazione comparatistica può invece richiamarsi l’attenzione sui modelli «più semplificati» che vengono dall’esperienza nord-americana (in base alla quale il modello ottimale della responsabilità va costruito intorno a criteri di efficienza economica) 12 o dall’area socialista (alla cui base v’è invece l’esaltazione della funzione educativa e preventiva della responsabilità). È codesto il contributo dell’analisi economica del diritto. 3. Con riguardo al contratto si avrebbe difficoltà a incontrare L’inademl’espressione «responsabilità». Così come per il fatto illecito il pimento contratto è tributario (della dottrina) delle fonti della obbligazione contrattuale (art. 1173). La responsabilità è dunque quella da inadempimento della obbligazione (art. 1218). Il requisito soggettivo dell’inadempimento è nella disciplina delle obbligazioni (artt. 1176, 1218 c.c.). Nella sistematica del codice l’obbligazione risarcitoria è comune tanto al contratto quanto al fatto illecito (art. 2056 c.c.), tranne talune varianti (artt. 1225 e 2058 c.c.). Ma si può discutere di tale accostamento. In sede contrattuale, è ben conosciuta quella dottrina secondo cui l’obbligo del risarcimento non costituisce una nuova obbligazione, come nella responsabilità da illecito aquiliano, ma la diversa «forma» che assume l’obbligazione contrattuale (primaria) quando l’adempimento di essa non appaia più «possibile» o esigibile. Anche là dove si rifiuti la metafora secondo cui l’originario diritto di credito, pur nell’impossibilità della prestazione, continuerebbe ad esistere, soltanto con oggetto di prestazione mutato, si è indotti tuttavia a riconoscere, nonostante la diversità di oggetto, che «il vincolo di responsabilità coevo al sorgere della obbligazione è pur sempre ordinato al regolamento della medesima situazione di interessi» 13. Si può dunque affermare che «il vincolo di responsabilità» regge sia l’ob11 SALVI, Il danno extracontrattuale, Napoli, 1983, 123 ss. POSNER, Una teoria della negligenza, in J. Leg. Stud., 1972, passim. 13 MENGONI, Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1073. 12 Parte generale 10 bligo primario di prestazione come quello di risarcimento e la conseguente responsabilità patrimoniale (art. 2740). Alla stregua di essa si sostiene che lo scopo del risarcimento non è tanto di riparare un pregiudizio subito dal creditore ma di rappresentare l’equivalente (pecuniario) della perdita subita a causa della prestazione mancata. Il contraente (inadempiente) è così chiamato a scegliere: dare esecuzione al contratto o corrispondere l’equivalente economico della prestazione mancata (o inesattamente attuata) più l’utilità che da questa si sarebbe ricavata. Potrà scegliere il secondo rimedio, ove dare attuazione al contratto non sia per esso la soluzione più conveniente (v. dottrina dell’inadempimento «efficiente»). Ancora una volta è dunque la regola del contratto e della obbligazione da esso direttamente derivante ad attuarsi, non quella sulla comune responsabilità da illecito a poter essere evocata 14. Non è un caso che la «morte» della responsabilità contrattuale è oggi vivamente annunciata nella dottrina francese, perché il concetto di responsabilità contrattuale ha generato una falsa assimilazione con la responsabilità per fatto illecito aquiliano. A tale scopo si sono richiamati gli Autori classici (Pothier e Domat), secondo i quali «l’inesecuzione del contratto non è la causa di una nuova obbligazione; è il contratto stesso ad essere alla base dei «dommages et intérêts in caso di inesecuzione» 15. Non è un caso che i redattori del code civil hanno considerato il risarcimento dei danni come un effetto della obbligazione contrattuale (a tal punto che la Sez. IV del code civil intitolata ai «dommages et intérêts» figura collocata nel Capitolo III intitolato «de l’effet des obligations»). In ragione delle considerazioni che precedono l’interprete è chiamato a scegliere nozioni od espressioni che siano in grado di meglio rappresentare gli effetti dell’inadempimento contrattuale. Le considerazioni che precedono inducono senz’altro a stabilire una chiara linea distintiva tra la responsabilità in cui incorre il contraente per l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) delle obbligazioni derivanti dal contratto e quella del quisque de populo ossia del soggetto, non obbligato né debitore, per il danno arrecato a soggetti con i quali non intercorre rapporto alcuno. Si è detto che, con riguardo al contratto, è la regola da esso recata (art. 1453) a giustificare rimedi, quali l’adempimento invito debitore o la risoluzione. La regola sul risarcimento (art. 1218), se si vuole, è strumentale e servente rispetto a queste due regole, provvedendo al loro completamento ed integrazione. 14 V. su tale aspetto complessivo DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, 22 ss. REMY, La responsabilità contrattuale: storia di un falso concetto, in Riv. dir. comm., 1997, 323 ss. 15 Discorso generale sulla responsabilità civile 11 Può dunque dubitarsi se la nozione di «responsabilità», in quanto riferita ad una regola risarcitoria il cui fondamento è la produzione di un danno contra jus, possa essere così indifferentemente impiegata anche sul terreno dei rimedi contro l’inadempimento contrattuale. Il piano dei «rimedi», come si è detto, si propone scopi od obiettivi di corretta ed esauriente «manutenzione» del contratto (dall’attuazione di esso, sia in natura o per equivalente, sino all’exit del contraente). Anche profili di responsabilità, come vedremo, pur presenti in sede (di diritto) transnazionale (v. vendita internazionale di cose mobili o Principi di diritto europeo dei contratti o Principi Unidroit) sono destinati a lasciare il passo a profili di rischio riguardanti eventi o accadimenti che possano compromettere l’adempimento del contratto (v. Hardship nei Principi Unidroit, art. 6.2.1.). Nella vendita internazionale di cose mobili, causa di esonero (da responsabilità per inadempimento) è soltanto l’esistenza di un «impedimento» derivante da circostanze estranee alla sfera di controllo del contraente (art. 79). Ad essere evocata è la cause étrangére del modello francese (art. 1147). Analoga formulazione è nei Principi di diritto contrattuale europeo (art. 8.108). Impedimento più controllo evocano il concetto di rischio. Il rischio è per definizione lontano dalla colpa. Lo stesso coinvolgimento nel contratto di interessi «diversi» da quelli diretti alla sua corretta esecuzione (da quello di affidamento a quello ripristinatorio dello stato quo ante) fa sì che la tutela rechi comunque in ogni caso il segno del contratto, così ridimensionandosi anche la diversa natura e origine di interessi siffatti 16. Se tutto ciò si ha presente, la conclusione può essere che la categoria della «responsabilità» si carica, nella sede contrattuale, di implicazioni e significati diversi. Si può dire che essa principalmente si pone obiettivi di salvaguardia del contratto, sia in natura che per equivalente, nonché di mandare esente il contraente (non inadempiente) da danni in qualche modo collegati al contratto e/o meglio all’inadempimento di esso o comunque da quest’ultimo, come si esprime il Common Law, non troppo lontani (too remote). L’ultima propaggine di essa è la «responsabilità patrimoniale» del debitore con tutti i suoi beni (art. 2740), categoria teorica propria del diritto delle obbligazioni, ignota al modello francese ed introdotta surrettiziamente nel cod. del 1942. Questa però è comune a tutte le forme di obbligazioni monetizzabili, quale che sia la fonte da cui esse derivano, e segna la conclusione di un ciclo (dalla nascita della obbligazione alla sua realizzazione sul patrimonio dell’obbligato). 16 V. DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit., 172 ss.