Giuseppe Lozer (Budoia, 1880 - Pordenone 1974)

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Giuseppe Lozer (Budoia, 1880 - Pordenone 1974)
Giuseppe Lozer (Budoia, 1880 - Pordenone 1974)
Sintesi biografica
Durante gli studi al seminario di Portogruaro si avvicina alla prima Democrazia Cristiana di don Romolo
Murri, nettamente schierata su posizioni progressiste. Per questa scelta, viene emarginato e, una volta ordinato
sacerdote nel 1903, inviato come parroco a Torre, la frazione più operaia e rossa di Pordenone. Pur non riuscendo
mai a rovesciare gli equilibri locali, durante il più di mezzo secolo di presenza nel quartiere, don Lozer realizza
un'ampia serie di iniziative in campo sociale, politico ed ecclesiale, e diventa così il principale riferimento del
movimento sociale cattolico nel Pordenonese, almeno fino al fascismo. Infatti la sua scelta, a differenza di Murri, è
quella di rimanere all'interno della chiesa cattolica, pur mantenendo posizioni spesso originali. Come quando nel
1913, insieme ad altri sacerdoti (i principali altri esponenti del movimento sociale cristiano nella diocesi di
Concordia sono don Annibale Giordani e don Giovanni Maria Concina 1) promuove l'elezione nel collegio di
Spilimbergo-Maniago dell'unico deputato della Dc, l'avvocato Marco Ciriani. Le sue scelte politiche appaiono a volte
incoerenti, rappresentando in realtà le oscillazioni della chiesa rispetto alle varie fasi della storia italiana. Lo
troveremo così ad organizzare il sindacato tessile cattolico (oltre a varie cooperative ed al Segretariato pordenonese
dell'emigrazione) ma pure a provocare la caduta della giunta radicale del sindaco Galeazzi; a fianco di socialisti e
comunisti durante le barricate antifasciste del 1921, ma poi collaboratore del municipio fascista; perseguitato dal
regime mussoliniano e poi promotore della Resistenza; precursore della scissione sindacale del 1948 ed oppositore
di importanti scelte amministrative della Dc negli anni '60.
Le sue memorie
Una volta compiuti 80 anni, l’ex parroco di Torre compila le sue memorie in un arco di sette anni, dal 1960
al 1967. A dimostrazione di una vitalità da vero animale politico don Lozer, pur confermando la sua impostazione di
fondo, dimostra di sapersi adeguare duttilmente all’evoluzione della politica nazionale. Così - mentre rimane da una
parte l’acredine per la curia diocesana incapace di remunerare adeguatamente i suoi servigi e dall’altra quella per la
popolazione di Torre che nell’arco di più di mezzo secolo rimane in maggioranza comunista e socialista, sembra
quasi solo per fargli dispetto - il suo atteggiamento segue l’evoluzione della politica del primo centrosinistra.
Arrivando nel libro del 1967 a rendere nota una quasi incredibile e comica corrispondenza in cui il sacerdote, che si
palesa sostenitore del laburismo inglese, viene chiamato dal segretario socialdemocratico Giuseppe Saragat, nel
frattempo eletto Presidente della Repubblica, «compagno». Non si tratta solo di opportunismo: a quasi novant’anni
don Lozer pubblica anche i documenti di una polemica da lui sostenuta contro la Democrazia Cristiana pordenonese
sullo scandalo di una casa per anziani costruita nelle bassure vicine alle banchine del vecchio porto sul Noncello,
1
Ma anche un sacerdote destinato – più che ad una breve reggenza dell'altra parrocchia operaia di Pordenone: Rorai Grande - ad una
fulminante carriera, grazie ai suoi interessi artistici e soprattutto ai legami con l'intellettualità nazionalista: il futuro parroco della
Aquileia "liberata" dagli italiani nel 1915, poi nunzio apostolico in Cina nel dopoguerra, Celso Costantini.
opera giustamente sommersa, se non fosse bastata la provvidenziale alluvione del 1965, da quella ancor più
provvidenziale del 1966.
Le memorie di don Lozer sono la testimonianza di una vita quanto mai attiva, se pensiamo al suo lavoro
ecclesiale e soprattutto di organizzatore politico, sindacale e cooperativistico dei cattolici di Torre, di Pordenone e
della diocesi; alla Cassa operaia di credito volta soprattutto alla realizzazione di case operaie (poi Banca cooperativa
operativa di Torre, ora dissolta nel gruppo Intesa); all’Unione cooperativa di consumo (oggi parte delle Cooperative
Operaie di Trieste); al Mulino ed al Forno cooperativo; alla Tipografia sociale cooperativa di Portogruaro; alla
Società di assicurazione bovini, alla Cooperativa dell’ago, ed alle tante altre idee concepite e non realizzate dal
vulcanico sacerdote, come la Cooperativa case popolari e la farmacia cooperativa 2.
Ma d’altra parte esse sono anche la testimonianza di un’avversione quasi patologica, di uno scontro
viscerale con i socialisti che dominano Torre e che l’anziano parroco non riesce a razionalizzare neanche nel
distacco dei suoi ultimi anni, finendo per descrivere i socialisti, (tra i quali confonde anche attivisti operai aderenti
al partito radicale di allora), gli anarchici ed i comunisti di Torre come una massa di bruti, incapaci di realizzare
alcunché ma solo di polemizzare ed ostacolare, mentre lui - da solo - si dà da fare per il paese. Meritandosi fra
l’altro con questo atteggiamento il nomignolo di «Fatutto» dal socialista maestro Enrico Pasquotti. Sotto questo
aspetto la testimonianza di Lozer appare, più che parziale ed ingenerosa (e viziata da un protagonismo a dir poco
presuntuosamente egocentrico) poco attendibile dal punto di vista storico, e non riesce a dare una descrizione, pur
di parte, intellettualmente onesta delle vicende politiche di quegli anni. E stupisce come queste testimonianze siano
state assunte acriticamente da parte della storiografia (anche comunista) come riferimento storiografico non
bisognoso di ulteriore verifica e riscontro. Non foss'altro – come è stato notato – che per il fatto che mai e poi mai
don Lozer accenna neanche ai sacerdoti che hanno avuto la ventura di collaborare con lui nei decenni di attività
pastorale a Torre.
In ogni caso, i libri di memorie di don Lozer costituiscono una rara testimonianza dei primi anni del
Ventesimo Secolo, e la messe di notizie in essi contenute, per quanto autocelebrative e per molti aspetti
autogiustificatorie, sono utili – se incrociate con le altre notizie tratte dalla stampa e dagli archivi - per la
ricostruzione storica, per quanto esse non vadano mai prese in modo acritico. Quanto a smentire molte delle sue
autoattribuzioni, basta avere la pazienza di andarsi a leggere i documenti.
Don Lozer di fronte alla grande guerra
Di particolare rilievo la sua posizione sulla guerra: il 1914 lo vede alla testa dell'opposizione pacifista,
tanto da essere confinato in Sardegna. Una vicenda che avrà un seguito denso di conseguenze al termine del
conflitto. Quando, nel 1918, Lozer accorre a fianco del vescovo Isola, linciato come "austriacante" dagli interventisti
ritornati a Portogruaro, ed organizza la reazione cattolica alle violenze, avviando il percorso che porterà la curia
concordiese a trasferirsi gradualmente a Pordenone.
Contrariamente alla vulgata nazionalista, che vuole l'entrata in guerra spinta dalle manifestazioni di piazza
interventiste, la primavera del 1915 vede il fiorire di affollate e violente manifestazioni contro la generalizzata
situazione di disoccupazione e di fame, abbattutasi su una popolazione duramente colpita dall'espulsione di decine
di migliaia di emigranti (la parte principale della manodopera friulana: con 80.000 lavoratori emigranti temporanei
da primavera a Natale) dai paesi della Triplice Alleanza: Germania ed Austria-Ungheria, che si erano andate a
sommare all'Impero ottomano, dal quale gli emigranti erano stati espulsi a seguito della guerra del 1911-1912.
Manifestazioni come quella segnalata da L'«Arena» di lunedì-martedì 22-23 marzo 1915. Subito dopo la
notizia dell'autoaffondamento dell'incrociatore germanico "Dresden" in avaria nella baia di Cuberland (isola cilena di
Juan Fernandez), e vicino all'annuncio di un prossimo attacco ai Dardanelli, il quotidiano veronese pubblica il
seguente articolo:
«Nuovi disordini nel Veneto
Il Castello dei conti di Porcia devastato
Un Consigliere di Prefettura ferito
«A Porcia (Pordenone) - grossa borgata di circa 4.500 abitanti - ieri sulla piazza centrale due o trecento
dimostranti si radunarono al suono delle campane a stormo protestando contro l'alto prezzo del grano. Ma la
dimostrazione stavolta non si rivolse più contro la Giunta municipale che già aveva messo in vendita il grano al
2 Sulle principali iniziative cooperativistiche di don Lozer, cfr. Lozer 1960, pp. 30-39.
prezzo di aceto [?], ma contro i grossi proprietari.
I dimostranti invasero il cortile del castello dei conti di Porcia ed i pochi carabinieri che si trovavano sul
luogo furono incapaci di trattenere la furia dei tumultuanti, i quali con sassi frantumarono in parte i vetri delle
finestre del castello. Una cinquantina di persone fra uomini e donne attaccarono poi le porte del castello e
penetrarono in un appartamento - già abitato dalla contessa Fanny di Porcia ed ora di proprietà dei conti Giuseppe
e Pino Porcia - e nell'antisala fracassarono cassepanche, tavoli e sedie; quindi invasero la ricca stanza da letto,
anche qui frantumando quanto era possibile.
La cavalleria chiamata da Pordenone caricò ripetutamente i dimostranti. Durante i tumulti un sasso colpì
violentemente il conte Quarelli consigliere di Prefettura. Si procedette a ventisei arresti fra uomini e donne, alcuni
degli arrestati erano armati di bastoni, sassi e coltelli.
Durante la notte il castello restò protetto dalle truppe».
Intanto, alla Camera si discute il disegno di legge per «l'aumento di 1.000.000 di lire al contributo
ordinario dello Stato nella spesa per la Somalia italiana ed all'assegnazione straordinaria di lire 270.000 per il
definitivo assetto delle nuove occupazioni in quella colonia»; e il «grande Stato Maggiore tedesco annuncia» che «A
sud est di Ypres è stato abbattuto un aeroplano Inglese: coloro che lo montavano sono stati fatti prigionieri» 3.
Invece che pane e lavoro, le classi dirigenti offriranno alla loro popolazione lo stato d'assedio e la mano
libera all'agitazione interventista della borghesia, nel quadro del colpo di stato della monarchia che supera
l'opposizione della maggioranza parlamentare giolittiana e porta all'entrata in guerra italiana del 24 maggio 1915.
Alla fine di maggio 1915, nell’ultimo numero non censurato del settimanale socialista «Il Lavoratore
Friulano», si dà notizia di una manifestazione interventista organizzata dal municipio di Pordenone contro Giovanni
Giolitti venerdì 16 maggio: violentemente settaria e volgare, è permessa dalle autorità nonostante i divieti previsti
per le iniziative pubbliche; al contrario, la ben più imponente manifestazione operaia contro la guerra del giorno
successivo è stata impedita con grande dispiegamento di forza militare. Stessa cosa avviene per la preghiera
organizzata da don Lozer con la donne di Torre alla chiesa della Madonna delle Grazie a Borgomeduna
nell’imminenza della guerra: le partecipanti debbono rientrare per viottoli secondari al loro paese, ed il parroco è
redarguito dal Delegato di Ps 4.
A testimonianza dei sentimenti grandemente pacifisti della gente, «Il Lavoratore Friulano» riporta i
risultati di un singolare referendum tenuto dalla Gazzetta di Venezia fra i ricoverati del manicomio di San Servolo,
nel quale viene espresso un vero plebiscito per la neutralità: va tenuto conto che alcuni dei ricoverati la guerra
l’hanno già provata sulla propria pelle, durante il Risorgimento o in Libia. Conclude l'articolo: «la maggior parte
delle risposte interventiste furono date dal reparto degli agitati, ma di questa informazione non c'era affatto
bisogno!» 5.
Don Lozer non si limita ad organizzare pubbliche manifestazioni di preghiera contro la guerra, ma prende
un'iniziativa avventurosa, che lo porterà al centro delle polemiche, come lui stesso ricorderà più tardi in uno dei
suoi libri di memorie, in questo caso anonimo, ove parla di sè in terza persona:
«1915: Avvenimenti gravi – La guerra
«Il 24 maggio l'Italia dichiara la guerra contro gli imperi centrali. Il parroco don Lozer prima della
dichiarazione, quando ogni cittadino era libero di manifestare il suo pensiero, si era dimostrato contrario alla
guerra come lo erano i lavoratori, l'on. Giolitti, molti deputati e senatori.
Aveva anche scritto ai primi di maggio quale presidente del Segretariato di emigrazione di Pordenone,
una lettera al Console germanico di Venezia protestando contro il rifiuto del pane da parte dei tedeschi e austriaci
agli emigranti che erano rimpatriati, rilevando che questi erano contrari alla guerra e se questa fosse scoppiata,
responsabili sarebbero stati il Re, il Governo, un ministro degli esteri italo-inglese 6 e la stampa prezzolata.
La lettera fu censurata. Il Popolo d'Italia di Mussolini la pubblicò in prima pagina facendo apparire
falsamente l'autore d'accordo col governo austriaco e la lettera indirizzata non al Console germanico ma a quello
austro ungarico.
Don Lozer venne condotto nelle carceri di Pordenone il 24 giugno. Il grave fatto avvilì i fedeli, impressionò
la massa operaia e suscitò la compiacenza e la soddisfazione di certi patriottardi e guerrafondai e di certi signori
agrari perché il prete aveva iniziato un movimento di riscossa dei mezzadri per la riforma di patti colonici.
La stampa se ne occupò largamente.
Fu eseguita dal giudice istruttore del Tribunale (Rosati) una minuta istruttoria con ripetuti interrogatori,
3 Ringrazio per la segnalazione l'amico avv. Franco Dalla Mura (il testo è tratta dalla sua email del 5 aprile 2015).
4«Il Lavoratore Friulano» n. 558 del 22 maggio 1915, pag. 2, Le dimostrazioni; Mariuzzo 1999, pp. 222-223.
5«Il Lavoratore Friulano» n. 556 dell’8 maggio 1915, pag. 1, Un referendum interessante. Cfr. il testo in Bettoli 2003, v. III, pp. 181182.
6 Sidney Sonnino.
trasmessa poi al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Venezia. Questi esaminati gli atti di imputazione
e due articoli pubblicati ai primi di giugno sull'«Amico di Casa» dal titolo: Il nostro pensiero e Alle madri, visti gli
articoli 265, 274 del C.P.P., chiedeva alla Sezione di accusa della Corte di pronunciare sentenza di non doversi
procedere in confronto del Lozer per inesistenza di reato e di ordinare la scarcerazione dell'imputato che avveniva il
15 luglio. La stampa liberale, nazionalista, laicista, tacque, quella cattolica riportò la sentenza con giubilo» 7.
La lettera, datata 1° maggio 1915, e sollecitata dai racconti degli emigranti espulsi brutalmente dagli
Imperi Centrali, era di questo tenore nella lezione del 1960 (probabilmente i commenti, soprattutto riguardanti le
espressioni – anche antisemite - dell'ultimo paragrafo, avevano convinto don Lozer ad annacquare il testo nel suo
libro di tre anni successivo):
«Il domani è oscuro; quale presidente di questo Segretariato di emigrazione sento il dovere di inviare un
rispettoso saluto e un devoto ringraziamento a cotesto spettabile Consolato per l'assistenza prestata a diversi nostri
emigranti e per l'appoggio dato a pratiche di questo Ufficio.
Se il ricatto inglese avrà il sopravvento, l'Italia sarà in guerra domani contro gli imperi centrali.
I rimpatriati riferiscono di essere stati offesi, disprezzati nelle stazioni di Germania e d'Austria; si è
rifiutato ad essi perfino il pane.
Vi prego a far inserire sui vostri giornali che il popolo italiano non vuole la guerra. Sono a contatto
quotidiano non solo con emigranti ma anche con operai delle industrie e coi contadini; nessuno condivide il
pensiero dei giornali guerrafondai. Se domani per nostra sventura si apriranno le ostilità, non si dimentichi che il
popolo italiano nella sua grande maggioranza ne è contrario e che esse saranno state volute dalla massoneria,
dalla stampa prezzolata, da un ministro ebreo inglese, da un governo debole e ambizioso e da un re che non avrà
saputo mostrarsi provvido, né previdente né galantuomo» 8.
Notiamo per inciso l'ultima infelice frase di don Lozer, rilevatrice di quel tradizionale antisemitismo con cui
le varie confessioni cristiane hanno alimentato per secoli – fino al Concilio Vaticano II – il pregiudizio e la
persecuzione nei confronti degli ebrei. Oltre che l'infelice e riduttiva considerazione di quello che fu, fino alla morte
nel 1922, la vera mente della destra "storica" italiana.
Pur assolto sul piano giudiziario, don Lozer viene mandato al confino in Sardegna. Ma tempestivamente,
una volta iniziata la guerra, aveva avuto modo di correggere le sue opinioni sul periodico parrocchiale, assumendo
una posizione di solidarietà patriottica che rivendicava non solo la continuità con il movimento risorgimentale
(l'unica riserva temporalistica è il mancato riferimento, tra le guerre d'indipendenza, a quella del 1870 per Roma),
ma anche con il più recente irredentismo nei confronti dei territori italoasburgici:
«1915 agosto
«Nonostante l'inesistenza di reato la polizia italiana manda al confino in Sardegna il parroco di Torre.
Si elevano proteste sui giornali cattolici, L'Avvenire d'Italia ne è guida; viene rivolta una interrogazione alla
Camera. Tempo perduto.
La polizia ha sempre ragione.
Quelli che furono contrari alla guerra, devono essere posti in condizioni di non poter nuocere!!! Sebbene
don Lozer sull'Amico di Casa del mese di giugno avesse scritto l'articolo seguente: Il nostro Pensiero:
«Tutti i lettori amici e avversari, ed anche autorità politiche ed ecclesiastiche, sanno che noi eravamo
contrari alla guerra per intima convinzione, per quei principii che abbiamo sempre perseguito e che sono radicati
nella coscienza nostra perché il Vangelo è legge di amore, non di odio, di superbia, di vendetta.
E il nostro pensiero e la nostra modestissima azione pacifista ci procurarono amarezza, contraddizioni,
calunnie fino ad essere ritenuti nemici delle Istituzioni, della Patria e spie dello straniero. La turpe accusa ci lascia
sereni, fidenti nella giustizia e ci fa sorridere amaramente. Il passato è testimonio eloquente dei nostri sentimenti
patriottici senza eccezione; nei giornali, nelle conferenze, nelle riunioni abbiamo sempre con franchezza e sincerità
ripetuto e affermato le nostre convinzioni.
E se fino a ieri fummo neutralisti e con noi l'intera parrocchia, e abbiamo sperato e avremmo voluto che le
rivendicazioni e le integrazioni delle terre irredente si compissero con le armi del diritto riconosciuto e della giustizia
pacifica vindice di lungo servaggio, oggi non discutiamo più: la coscienza e il dovere ci impongono di rinunciare a
qualunque ideazione personale, e lavorare per la concordia degli animi, per la disciplina civile a cooperare senza
tregua al sollievo delle famiglie, al confronto delle spose e delle madri, alla educazione e tutela di tanti figlioletti
rimasti senza padre; oggi non è tempo di critica, ma di azione e di sacrificio; oggi chi non si presta secondo le sue
condizioni, e con ogni mezzo possibile, ad aiutare la Patria nel grande cimento per la sua vittoria per la sua unità è
vile e traditore, non è degno di essere italiano.
7
8
Lozer 1963, p. 102.
Lozer 1960, p. 52.
E non diciamo questo, per entusiasmo o per convenienza, o per ostentazione, ma per virtù di figli che
sanno ubbidire e sacrificarsi per dovere; e non solo a parole ma a fatti. Qualunque cosa si richiederà da noi, la
daremo: in qualsiasi piccolo campo di attività verremo chiamati risponderemo all'appello. Divideremo alle vedove e
agli orfani il pane, divideremo le vesti, offriremo la nostra modesta suppellettile se necessario, venderemo anche
quanto ci è caro e ci serve agli usi della vita e la vita stessa daremo per i nostri fratelli, per la nostra Patria quando
ci fosse richiesta.
Se per la nostra posizione non apparterremo alle file dei combattenti, faremo pur parte della grande
milizia d'Italia, chiamati a difenderla con altre armi, in altri uffici, meno rischiosi, ma più umani e delicati.
Quante forme nuove di dolore! Privazioni, angosce, strazi senza nome di madri, di spose, di poveri, di derelitti e fra
poco di ritornati feriti, mutilati... è questo il nostro campo di battaglia.
Il ricordo degli eroi che nel 48, 59, 66 hanno pianto, sofferto e sanguinato, le figure dei martiri da Silvio
Pellico, Maroncelli, a Don Tazzoli 9, a Pietro Calvi a Pastro 10 dai mille altri del risorgimento fino ai perseguitati di
Innsburch e Gratz e di Trieste, il ricordo dei Grandi ci commuova, ci esalti, ci stringa in un solo anello di amore, ci
irradii di una stessa luce, ci infiammi di una sola aspirazione per affrettare l'ora della misericordia sull'Europa
insanguinata» 11.
Il 12 agosto 1915 Lozer viene prelevato dai Carabinieri a Roma, dove la curia diocesana l'ha trasferito per
tutelarlo, e successivamente, passando per Firenze, internato in Sardegna, dapprima a Gairo, per poi essere
trasferito in ottobre ad Arzana (sempre nel Nuorese). Con una serie di interventi epistolari, in particolare presso il
ministro Barzilai, riesce ad essere trasferito in dicembre presso la curia a Cagliari, ed all'inizio del 1916 al Vicariato
di Roma.
A partire dall'aprile 1916 don Lozer viene arruolato con la sua classe di leva. Attività svolta a Roma, e che
gli permetterà più tardi, dopo la ritirata di Caporetto e l'esodo di gran parte della popolazione, di riprendere i fili
della sua attività pastorale:
«1916:
«In aprile è richiamata alle armi la classe 1880. Il parroco viene obbligato a prestare servizio militare
peché non esercita il suo ministero a Torre.
Per 33 mesi serve i malati e i feriti nell'ospedale principale di Roma al Celio» 12.
«1918:
«Durante la invasione. Al parroco militare a Roma scrivono centinaia di soldati di Torre che non possono
più corrispondere con le loro famiglie.
Dalle terre invase arriva soltanto qualche laconica cartolina. Don Lozer stampa il Bollettino dei profughi e
soldati di Torre; ne invia 450 copie, a tutti quelli di cui sa la residenza e riporta centinaia di indirizzi sul Bollettino
stesso perché profughi e soldati si mettano in comunicazione fra loro anche per conforto reciproco. Pubblica notizie
di prigionieri, indirizzi di emigrati transoceanici compaesani, alcune notizie laconiche di Torre ricevute dal vicario
prof. De Piero e da Italico Giani a mezzo della Croce Rossa e del Vaticano. Manda qualche indumento di lana ad
alcuni prigionieri e fa per loro l'abbonamento del pane, ma un pacco su cinque arriva a destinazione.
A mezzo del padre gesuita Tacchi Venturi che fa la spola tra Roma e Berna riesce a far rimpatriare tre
prigionieri di guerra per ragioni di salute tramite la Croce Rossa: Fantuzzi Tomaso, Fantuzzi Tranquillo e Zorzi
Domenico, maestro di Andreis.
Parecchi soldati gli chiedono qualche aiuto in denaro e tutti soddisfa come può. Qualche profugo ha pure
bisogno di vestiario. Accoglie e conforta i soldati di Torre che vengono a Roma in licenza (da «Ricordi di un
prete»)» 13.
Con la fine della guerra don Lozer ritorna a Torre, e si ributta a capofitto nel lavoro sociale del quartiere.
Nel primo "rosso" biennio postbellico, il sacerdote opera energicamente sia per impossessarsi dell'asilo del quartiere
(avviato dalla giunta comunale Policreti nel periodo bellico, così come nell'altro quartiere cotoniero di Rorai
Grande), sia per ottenere lo stesso risultato nei confronti della Casa del Popolo, il cui terreno era stato ceduto sulla
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Don Enrico Tazzoli, insieme a Pier Fortunato Calvi uno dei martiri di Belfiore, giustiziati dagli austriaci a Mantova nel 1852-1855.
Luigi Pastro, patriota mazziniano trevigiano, imprigionato dagli austriaci nel 1854-1856.
Lozer 1963, p. 103.
Lozer 1963, p. 105.
Lozer 1963, p. 106.
parola da un suo parrocchiano alla Lega degli operai tessili. Se nel primo caso il successo arriderà al parroco, a
dispetto delle manifestazioni di protesta organizzate dai socialisti, nel secondo invece si arriverà alla legalizzazione
della proprietà dell'edificio, che tuttoggi costituisce uno dei monumenti del movimento operaio pordenonese.
Ma sono le vicende successive al 3 novembre 1918 che riportano don Lozer al centro delle attività
diocesane, facendolo diventare il deus ex machina del trasferimento del seminario concordiese da Portogruaro a
Pordenone. Quel giorno, infatti, il vescovo Francesco Isola subisce un tentativo di linciaggio da parte delle truppe
italiane appena rientrate in città, a causa del suo atteggiamento durante l'occupazione: il presule, a differenza
dell'arcivescovo nazionalista di Udine Antonio Anastasio Rossi, non era fuggito oltrepiave (e quindi non poteva che
risultare sospetto ai nazionalisti), ma non si era neppure sottratto ad atti – come un solenne Te Deum in
cattedrale – che potevano essere giudicati come esplicita presa di posizione a favore degli occupanti
austrotedeschi. La reazione alle violenze del 3 novembre inizia quel processo che, pur durato decenni, porta alla
traslazione della sede vescovile concordiese a Pordenone nel 1972, di cui costituisce un sostanzioso anticipo il
trasferimento del seminario, che trova la sua prima sede nel 1919 proprio nei locali parrocchiali di Torre. Una
scelta vista anche – come noteranno i socialisti locali, che stanno per conquistare l'amministrazione comunale
nell'ottobre 1920 – come un cosciente attacco ad una città da sempre egemonizzata dalle forze della sinistra laica.
Bibliografia essenziale
•
Giuseppe Lozer (1960), Ricordi di un prete, Udine, Arti Grafiche Friulane.
• [Giuseppe Lozer] (1963), Torre di Pordenone. Memorie storiche e cronache recenti (A cura di un pubblicista) , Pordenone,
Cosarini.
• Giuseppe Lozer (1967), Piccole memorie, 1893-1967, Pordenone, Arti Grafiche Fratelli Cosarini.
• Teresina Degan (1981), Industria tessile e lotte operaie a Pordenone 1840-1954, Udine, Del Bianco.
• Vannes Chiandotto (1981), Stato e Chiesa nel Friuli occidentale, 1900-1920, Pordenone, Cooperativa Culturale “G. Lozer”.
• Flavio Mariuzzo (1999), Cattolicesimo democratico e Modernismo tra Livenza e Tagliamento. Mons. Giuseppe Lozer (18801974), Pordenone, La Voce, 1999.
• Gian Luigi Bettoli (2003), Una terra amara. Il Friuli Occidentale dalla fine dell’Ottocento alla dittatura fascista, Udine, Istituto
Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione.
• Cesare Scalon, Claudio Griggio e Giuseppe Bergamini (2011), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, Udine, Forum
(voce a cura di Luca Gianni).
• I Papu (2014), Un prete ruvido. Monsignor Lozer, prete in Torre, spettacolo teatrale.
• Gian Luigi Bettoli (2015), Novecento friulano antagonista, http://www.storiastoriepn.it/novecento-friulano-antagonista-genesie-sviluppo-di-un-movimento-operaio-di-frontiera-dal-primo-al-secondo-dopoguerra/
Cervignano del Friuli, 9 aprile 2015
Gian Luigi Bettoli
componente della redazione del sito www.storiastoriepn.it