materiali ciclo Billy Wilder
Transcript
materiali ciclo Billy Wilder
Cineforum-Ciclo Billy Wilder Questa volta cominciamo con un aneddoto: al termine dell’anteprima di Viale del tramonto - dice Francesco Guerroni- un film crudele e spietato nei confronti di Hollywood, Luis B. Mayer (della Metro Goldwin Mayer) disse: “Beh, questo regista,… sputa nel piatto dove mangia!”. E Wilder, che non era stato riconosciuto, rispose semplicemente: “Vada a farsi fottere!”. Billy Wilder era un ometto apparentemente innocuo, un personaggio dallo spirito fortissimo, autoironico, capace di difendere ciò in cui credeva e di rispondere sempre a tono. Regista di una modernità spaventosa, nei suoi film il conflitto umano, lo scavo dei sentimenti umani, le vicende umane sono amplificati. Non è un regista americano. Le origini sono polacche, di Cracovia. Nato nel 1906, era cittadino dell’Impero austro-ungarico, di famiglia ebrea. Si chiamava infatti Samuel, detto Billy. Stabilitosi a Vienna, compie studi diversi da quelli che la famiglia voleva, diviene giornalista dall’intelligenza acuta e pronta. Famosa la sua intervista a Freud in persona nel 1925, per la quale (domande scomode) Freud lo buttò fuori di casa. Si stabilì poi a Berlino, dove, travestito da gigolò, raccoglieva informazioni a scopo giornalistico. L’importanza della scrittura in lui rimarrà sempre molto viva: lo si nota nell’attenzione che Wilder attribuirà sempre alla sceneggiatura dei suoi film. Inizialmente non firmava le sue sceneggiature. A metà degli anni ’30, data l’affermazione del nazismo in Germania, egli sarà costretto a spostarsi in America, ove risiede il fratello. Il problema della lingua lo spinge a trovarsi un collaboratore per le sceneggiature: nasce da qui la coppia Wilder –Brackett, personaggio colto e intelligente con cui Billy scrisse molte sceneggiature per altri registi. Si fa sempre più forte l’esigenza di dirigere di persona, anche per evitare che i suoi film fossero “maltrattati da altri”. Si dedica ad un film un po’ commerciale nel 1942, Frutto proibito, per poi avere più agio nell’arrivare dove vuole. La sua grande carriera comprende più di 30 film tra il 1942 e il 1981. I suoi 4 capolavori drammatici sono Double Indemnity (1944), Giorni perduti (1945), Viale del tramonto (1950) e Asso nella manica (1951). Poi si dedicherà alle commedie, anche se per lui, tragedia o commedia che fosse, un film restava un film. Non mancano mai gli elementi comici nel tragico ed elementi tragici nel comico. L’approccio alla realtà è sempre il medesimo per Wilder: lucido, disincantato, diretto, senza trucchi. Forse le vicende familiari drammatiche da cui fu colpito (morte del padre, del fratello, la famiglia deportata ad Auschwitz) lo ‘corazzarono’ più che deprimerlo. Double Indemnity Secondo la critica, uno dei migliori film della storia del cinema. Per Woody Allen, il miglior film di sempre. Tratto da un romanzo di James M. Cain, diviene un noir di grande livello, nelle mani di Wilder. Egli scrive la sceneggiatura con l’aiuto di Raymond Chandler, pur tra fortissimi attriti (secondo Wilder un conflitto tra due che collaborano ad una sceneggiatura è indispensabile, ma con Chandler c’era un fortissimo odio reciproco, tanto che fu l’unico film che scrissero insieme). Un uomo, impiegato in una assicurazione, nell’intenzione di incontrare un cliente si reca da lui e ne trova invece la moglie, di cui si innamora perdutamene. Nasce un passione devastante. I due decidono di assicurare il marito di lei e poi di ucciderlo, per incassare il premio dell’assicurazione. Che Fred MacMurray sia l’assassino lo sappiamo fin da subito, poiché il film inizia con la magistrale scena della sua confessione al dittafono, prima ancora di sapere cosa sia successo e chi ne sia la vittima. Il vortice della follia e della passione ci consente di scendere nell’abisso dell’animo umano durante il film. Double Indemnity è un noir che definisce le regole del genere: i luoghi comuni, gli ingredienti irrinunciabili, l’atmosfera, l’elemento dei soldi, della femme fatale, certe scene rimaste nella storia del cinema. Molta la tensione generata nello spettatore dalla lucida conduzione delle indagini da parte del superiore dell’assicuratore, il signor Keyes, interpretato da Edward G. Robinson. Dopo Double indemnity, arriviamo al 1945, anno in cui Wilder vince 5 oscar per Giorni perduti, che può essere considerato una delle quattro ‘tragedie capitali’ del nostro regista. Si tratta della storia di uno scrittore alcolizzato, attraverso una lettura che è fortemente realistica e che faticherà ad essere accettata ed apprezzata, soprattutto perché la figura dell’ubriacone poteva al massimo essere una macchietta comica, non il soggetto protagonista di una storia drammatica. Nel frattempo Wilder era tornato a lavorare alla stesura di sceneggiature con Bracketts. Ecco poi il 1950, l’anno di Viale del tramonto. Il soggetto è originale di Wilder. Si tratta di un durissimo colpo per i produttori di Hollywood. In realtà, non avvertendo le differenze tra i generi (comici e tragico) Wilder sosteneva di ‘fare film e basta’ Un film su Hollywood, quindi, non di esaltazione della sua grandezza, m volto a mettere in evidenza l’ipocrisia dei personaggi di quel mondo. Il protagonista è una sceneggiatore, sempre in crisi e alle prese coi creditori. Un giorno si trova casualmente in una villa, che sembra disabitata e in abbandono, ma che si rivela essere la casa di Norma Desmond, diva del cinema muto degli anni ’20-’30. Ella vive nella completa illusione di essere ancora sulla cresta dell’onda (del resto, il 1950 fu davvero uno snodo cruciale nella storia del cinema, per cui l’ormai consolidato passaggio dal muto al sonoro, avvenuto negli anni ’30, aveva imposto da tempo un cambio di gusti e di volti ad Holliwood). Il film, però, al di là di questi aspetti specifici sul mondo del cinema - aspetti ‘metacinematografici’ si potrebbe dire- è il dramma umano della follia e della paura del passare del tempo e dell’approssimarsi della fine, che è in ognuno di noi. E’ uno dei film più grandi della storia del cinema, con il suo finale indimenticabile. E’ realizzato con un’atmosfera rarefatta, che veniva resa anche grazie alla polvere di magnesio opportunamente gettata in aria davanti alla macchina da presa durante le riprese,; in una dimensione onirica, fiabesca, surreale, decadente, questo film poteva essere realizzato solo in bianco e nero. La storia inizia con un il ritrovamento del cadavere di Joe Gills ( il giovane sceneggiatore in crisi) in una piscina di una villa di Hollywood: sappiamo quindi subito che lui è morto, poiché ce lo dice il protagonista stesso che è anche il narratore. Poi ha inizio il flashback che narra la storia del giovane, senza che la vicenda perda di interesse ai nostri occhi, ma anzi acquistando sapore. La narrazione fatta da un personaggio morto, ma anche il personaggio di Salomè, che Norma Desmond crede di dover impersonare in un ipotetico nuovo film di imminente produzione, ma che mai si girerà, sono le voci e i volti di un mondo che al suo centro ha l’elemento della decadenza, del disfacimento. Ciò nonostante, il linguaggio di Wilder ‘si aggrappa ai fatti’, come lui diceva: si tratta di una vicenda reale, umana, tutta presente, tanto vera che nel film Norma non è solo il personaggio, ma è la vera diva del cinema muto che vive il dramma dell’esclusione; come il suo maggiordomo che dice di essere stato il primo regista che ha scoperto Norma Desmond e che è un vero regista; e come Cecil De Mille, presente nel film, che impersona il regista che dovrà fare un nuovo film con la diva e che veramente nella vita lavorò con l’attrice. Dopo Viale del tramonto, film che fece molto scalpore per la sua denuncia della durezza e dell’ipocrisia del mondo di Hollywood e che forse per questo vinse solo due Oscar ‘tecnici’ e uno per la miglior sceneggiatura originale (mentre Eva contro Eva vinse i maggiori), giungiamo al 1951, anno di L’asso nella manica. Film con Kirk Douglas, rappresenta un lavoro di grande forza, oggi difficile anche da vedere e da trovare. Un giornalista spregiudicato approfitta di una disgrazia capitata ad un operaio, che è rimasto intrappolato in una cava, per realizzatore uno scoop; ingraziandosi il sindaco, differendo i soccorsi, il giornalista riesce a far sì che l’operaio rimanga dove si trova, fino a che non sopraggiunge la sua morte. Wilder stesso, che non trovava nulla di cinico nei suoi film, che apparivano tali al pubblico e alla critica, definì ‘cinico’ L’asso nella manica. Il 1953 è l’anno di Stalag 17, una commedia ambientata in un campo di concentramento. Il 1954 è l’anno di una delle commedie romantiche migliori di tutti i tempi, Sabrina, con Audrey Hepburn: un film delicato, passionale, poetico, commovente che tratta del tema dell’amore di una ragazza, figlia di un autista, per un uomo di una classe sociale più elevata, appartenente alla famiglia presso cui il padre svolge il suo lavoro. Dopo i sogni iniziali della ragazza, che sa di essere esclusa dalla vita brillante della ricca famiglia dove ella viva, la giovane si allontanerà per andare a vivere altrove e tornerà, cresciuta e divenuta donna, suscitando l’interesse del giovane in questione. E’ poi la volta di Quando la moglie è in vacanza, film a colori con Marylin Monroe (attrice che Wilder considererà incompatibile con lui, per il suo stile di lavoro, e con la quale girerà solo due film). Merita una speciale menzione nel 1957 Testimone d’accusa, perché non si tratta di una commedia, ma di un dramma giudiziario tratto da un romanzo di Agata Christie, che stranamente risultò ‘soddisfatta’ di questo film, lei che era sempre così critica con le riduzioni cinematografiche delle sue opere. Poi la ‘commedia perfetta’ di Wilder, cioè A qualcuno piace caldo. A partire da una pagina di cronaca nera (la strage di san Valentino), due testimoni, travestiti da donna, devono scappare: anche in questo film compare la Monroe, oltre a Jack Lemmon, attore che Wilder amerà molto e che definirà il suo ‘uomo della strada’, adattissimo alle parti dell’uomo comune, del vicino della porta accanto, del piccolo impiegato; la sceneggiatura venne scritta da Wilder con A.L.E. Diamond, che diventerà da questo momento in poi un collaboratore fisso del regista; il film fu un successo gigantesco. Eccoci al 1960, con Jack Lemmon appunto, ne L’appartamento. Trattasi di una commedia agrodolce, con lati comici e drammatici. E’ un film sincero nel descrivere la vita di un impiegato di assicurazioni, desideroso di migliorare la sua posizione e per questo costretto a dei compromessi: ingraziarsi i superiori prestando loro il suo appartamento per le loro scappatelle. Il fatto che non possa tornare a casa quando vuole, rende comica la sua situazione. Agendo in buona fede, con candore e disponibilità, è il personaggio che sviluppa l’idea che Wilder aveva da tempo, di fare un film in cui ‘un uomo entra nel letto ancora caldo lasciato da una coppia di amanti’. Con Jack Lemmon, ci sono Shirley Mc Lane e Fred mc Murray (già visto in Double Indemnity). Il film presenta tante forme di ‘prostituzione’ dell’individuo’, fotografa la realtà americana contemporanea a Wilder, con toni ironici e leggeri. Ciò consente anche di fare una osservazione sull’aspetto della recitazione degli attori, che Wilder voleva naturale e non teatrale (o gigionesca, come si dice in gergo). L’ironia è naturale, nasce dalla situazioni stesse, senza bisogno di enfatizzare nulla. Il film vinse i 5 Oscar principali, nel 1961, battendo Psycho. La carriera di Wilder proseguì attraverso molti altri successi (Irma la dolce, 1963; Baciami, stupido!, 1964; Il biscotto della fortuna, con Jack Lemmon e Walter Mattau, 1966). Nel 1970, con Vita privata di Sherlock Holmes, Wilder avrebbe voluto andare al di là di Conan Doyle, presentandoci l’investigatore che, innamoratosi, non riesce a risolvere un caso e fallisce. Il film era molto lungo, fu trovato noioso e venne tagliato. Questo un grande momento di crisi per il regista, che comunque proseguì a dirigere fino al 1981. Tempo dopo, avrebbe dovuto dirigere Schindler’s List, ma Spielberg acquistò i diritti un attimo prima di Wilder. Avrebbe anche lasciato fare a Wilder, ma egli si ritirò, giudicando ben fatto il lavoro di Spileberg, all’uscita del film.