Intervista a DANTE PRIORE

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Intervista a DANTE PRIORE
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Intervista a DANTE PRIORE
Lèvane, 18-5-2001
Rilevatore: Mariano Fresta
[Il registratore è già acceso quando ancora l’intervista formale non è cominciata.
L’apparecchio registra così una conversazione relativa alle audiocassette, alla
digitalizzazione dei loro contenuti, alla loro classificazione. Trattandosi, dunque, di temi che
riguardano la sistemazione dell’archivio di Dante Priore, la conversazione si trascrive
interamente. Tra l’altro, essa riguarda anche alcuni aspetti delle testimonianze sulle stragi
nazifasciste in Toscana che non saranno più ripresi durante l’intervista].
D.P.- … La classificazione è fatta in base agli informatori, e le sezioni sono due: le cassette
delle registrazioni in cui c’è un solo informatore e le registrazioni in cui ci sono due o più
informatori. Quelle per informatore si possono classificare benissimo in ordine alfabetico, le
altre in ordine cronologico tenendo conto della data di registrazione e della numerazione delle
cassette.
M.F.- Ma lì hai anche raggruppato per genere?la selezione com’è avvenuta lì a Terranova?
D.P.- No, no, la selezione non è avvenuta, sono state riprese le registrazioni fatte su cassetta e
riportate in compact, per salvare le cassette, anche perché alcune sono del 72, la qualità più o
meno non è…
M.F.- Eccelsa…
D.P.- Non è eccelsa, perché ho usato degli strumenti, quelli che mi potevo permettere, eh però
non c’è stato una perdita di chiarezza nelle registrazioni, insomma sono come erano, ma con
l’andare del tempo si…
M.F.- Eh, si deteriorano, si smagnetizzano
D.P.- Eh non solo si smagnetizzano, il guaio più grosso che ho trovato nel riversarle, nel farle
riversare a mio figlio, perché l’ha fatto mio figlio il lavoro, è stato nella meccanica delle
cassette.
M.F.- Sì perché ogni tanto si allenta il nastro…
D.P.- Si certo, certo, la meccanica, perché so’ cassette che costano poco, poi… il nastrino che
serve per appoggiare sulla testina, insomma non dà, non garantisce una pressione uniforme, le
registrazioni sono state fatte con vari registratori in varie occasioni, quindi la velocità, ci sono
degli scarti di velocità, tutte queste cosettine…
M.F.- Certo certo…
D.P.- Però l’importante è questo, che si sia salvato il materiale.
M.F.- Però quello che c’è a Terranova non è tutto…
D.P.- Non è tutto, è diciamo i due terzi; a Terranova ho fatto registrare esclusivamente le
cassette relative al territorio di Terranova e territorio di Val D’Arno.
M.F.- Ho capito, allora si può fare una cosa ancora più semplice, io schedo quello lì e tu
invece schedi quel 30 per cento che t’è rimasto…
D.P.- Si, volevo specificare che nel 30 per cento che non ho dato ancora a Terranova, ma che
sono dispostissimo a dare, è chiaro, è una questione anche di tempi e di impegni, c’ho anche
una serie di registrazioni che ho fatto a Cavriglia, intervistando testimoni diretti o indiretti
degli eccidi, dell’eccidio che hanno fatto i tedeschi a Cavriglia; in un giorno, il 4 luglio, sono
state ammazzate circa 400 persone, cosa di cui non si parla moltissimo perché ci sono
dei…degli episodi, che non so per quale ragione,
M.F.- Nessuno vuole raccontare
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D.P.- No no no, degli episodi che sono ricordati moltissimo, come quello di Civitella,
Sant’Anna di Stazzema, ecc ecc, mentre a Cavriglia, ognuno si coltiva il suo orticello di
memorie.
M.F.- Ieri sera abbiamo discusso a Poggibonsi, su due libri [uno era il volume di Sandro
Portelli L‘ordine è già stato eseguito, e si parlava appunto di queste cose e del fenomeno
straordinario che c’è nella memoria collettiva che fa sì che tutte queste stragi vengano
imputate non tanto ai …
D.P.- Ai tedeschi
M.F.- Ma ai partigiani o anche a chi queste stragi ha provocato…
D.P.- Sì io ho notato che, questo se ti interessa ne parlo
M.F.- Sì
D.P.- Che… la responsabilità viene attribuita ai partigiani, ma… nei confronti dei fascisti c’è
un grandissimo risentimento, da parte di tutti. La cosa diciamo paradossale è questa: che i
tedeschi non hanno rispettato gli italiani, né fascisti né antifascisti.
M.F.- Li hanno fatti fuori tutti.
D.P.- In questi eccidi sono entrati anche persone che erano iscritte al fascio repubblicano,
quindi, loro non hanno fatto distinzioni. Qualcuno mi ha detto, dice perlomeno che in questo i
tedeschi sono stati obiettivi. Il che è paradossale veramente.
M.F.-I fascisti li prendevano come traditori, in qualche modo…
D.P.-Certo, certo, io so, le testimonianze sono acquisite ormai, che i fascisti della repubblica
sociale che collaboravano con i tedeschi erano considerati dai tedeschi come dei servi… E
purtroppo tra quelli c’erano alcune persone che erano in buona fede e pensavano di riscattare
l’onore della patria ma hanno dovuto fare i conti con il disprezzo proprio che facevano pesare
questi tedeschi.
M.F.- Tu sai che devi dichiarare le generalità, qui è come in questura…
D.P.- Allora io mi chiamo Dante Priore, sono nato a Montenero di Bisaccia…
M.F.- Famoso…
D.P.- Famoso per Di Pietro, il 24 Aprile del 1928, mettiamoci anche la data, l’ora, penso non
interessa nemmeno a me perché non la so; i miei genitori non erano di Montenero, ma erano
sempre molisani, mio padre è di Ururi, paese dove si parla albanese.
M.F.- Tanassi…
D.P.- Sì sì, Tanassi è stato alunno di mia madre che è maestra ed è stata, era nativa di
Rionero, ha fatto la maestra a Ururi e lì ha conosciuto mio padre, non so se si possa, si debba
usare il passato prossimo o il passato remoto, “conobbe” dovrei dire perché son morti tutti e
due. E… sono stato a Montenero fino a …al 47. Nel 47 ci siamo trasferiti in Toscana, mio
padre era segretario comunale e ci siamo trasferiti con tutta la famiglia in Toscana nel 47, a
Terranova Bracciolini e praticamente dal 47 in poi io ho vissuto a Terranova.
M.F.- Io invece pensavo che tu ti fossi trasferito da laureato come me, insomma…
D.P.- Prima ancora di laurearmi, i primi due anni di università li ho fatti a Roma, poi una
volta trasferito qui sono passato a Firenze, io ho fatto due anni a Roma e…due anni a Firenze
e mi sono laureato a Firenze.
M.F.- E ti sei laureato con chi?
D.P.- Mi sono laureato in filologia classica, con un professore che è morto, si chiamava
Vittorio Bartoletti, che era il direttore dell’istituto filologico di Firenze, e che in precedenza
era stato anche diretto da Girolamo Vitelli. Il suo il nome è abbastanza famoso, abbastanza
conosciuto nell’ambito degli studi classici. Io ho fatto una tesi sui papiri dell’Odissea…poi ho
continuato a coltivare il latino e il greco, continuo a coltivarlo ancora oggi, però,
sinceramente la mia passione, la posso chiamare veramente passione, è per il mondo popolare,
M.F.- D’altra parte con Omero eri già sulla buona strada in qualche modo…
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D.P.- Infatti, infatti, molte cose che riguardano la filologia classica mi sono state utili nella
mia ricerca, io c’ho un’impostazione filologica, il mio approccio con…
M.F.- E’ un altro punto in comune che abbiamo, soltanto che io sono filologo moderno, tu
invece filologico classico, però l’impostazione teorica, diciamo così, è abbastanza simile. E
poi dopo la laurea hai cominciato ad insegnare qui nella zona…
D.P.- Sì ho insegnato per due anni a Cortona al Liceo Classico di Cortona, che allora era
parificato. Poi ho fatto il servizio militare…
M.F.- Insegnavi latino e greco
D.P.- Sì, latino e greco, poi ho fatto il servizio militare , perché l’avevo rimandato e a 26 anni
ho dovuto fare il servizio militare. Ho avuto un‘interruzione di due anni poi ho avuto qualche
supplenza appena congedato, nel 56, poi ho avuto degli incarichi annuali al liceo classico di
Arezzo.
M.F.-Sempre latino e greco…
D.P.-Sempre latino e greco. E poi scendendo sempre più in basso…
M.F.-Perché, per avere maggior tempo per le tue ricerche?
D.P.-Mah, sceso perché insegnare alla scuola media nel proprio paese significava non alzarsi
alle sei la mattina, non arrivare a casa certe volte alle 4, alle 4 e ½ …
M.F.-Quindi per comodità?
D.P.- E’ stata una grossa comodità e non …rimpiango nulla perché se non avessi insegnato
alla scuola media probabilmente non avrei avuto nemmeno il tempo di iniziare la ricerca o
avuto modo di avvicinare gli informatori. Gli informatori l’ho potuti avvicinare, proprio
grazie ai ragazzi, alle famiglie. Poi naturalmente, una volta conosciuti alcuni informatori … la
ricerca si è estesa a macchia d’olio perché gli informatori mi hanno presentato altre persone
M.F.- Anche io ho avuto difficoltà, sebbene poi sia stato facilitato perché, lavorando al liceo
di Montepulciano, che ospitava ragazzi di mezza provincia di Siena, potevo avere
collegamenti con gli altri paesi… Allora, quando è nato questo interesse per il mondo
popolare?
D.P.- Io penso che sia nato proprio al momento in cui sono stato trapiantato dal Molise qui in
Toscana.
M.F.- Cioè lì non ti eri accorto che…
D.P.- No, lì non è che mi interessasse molto il mondo popolare, perché lo vivevo ogni giorno,
quello che ti è familiare non lo godi, ecco, non lo vedi, al momento in cui ti viene a mancare
qualche cosa ecco, sei portato a ricercarlo, a fare dei confronti. Questo…amore per il canto
popolare, per le tradizioni, m’è venuto proprio in quel momento, non ho cominciato subito la
ricerca, naturalmente, ma quando son venuto qui mi ricordo che la radio italiana faceva dei
programmi a volte mi pare quotidiani, oppure con grande…
M.F.- Di musica popolare?
D.P.- Sì di musica popolare.
M.F.- A cura di Nataletti…
D.P.- A cura di Giorgio Nataletti, Chiara Fontana…
M.F.- Sì l’ascoltavo anch’io.
D.P.- Io l’ho ascoltati tutti, non me ne perdevo nessuno e quando ho avuto un registratore,
perché subito non disponevo di un registratore ho iniziato a registrarli, c’ho ancora alcune
bobine di registrazioni che ho fatto con un gelosino [piccolo registratore di marca Geloso] di
quelli piccini piccini e poi ho riversato anche su…
M.F.-Io mi ricordo ancora la Monferrina [danza piemontese]…
D.P.- Sì, (intonano insieme un motivetto e poi ridono)
M.F.-Ma quante cose abbiamo in comune eh? … Quindi questo impatto con una cultura tanto
diversa dalla propria… è come scoprire un nuovo mondo ed esserne incuriosito.
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D.P.- Io ho notato questo, so’ stato con Pino Gala in Basilicata, a Viggiano, e ho visto che i
Viggianesi che avevano dovuto lasciare Viaggiano, che erano andati per lavoro all’estero,
erano quelli più sensibili al recupero… delle tradizioni
M.F.- E certo. Agisce la nostalgia…quindi diciamo la scoperta quasi naturale di questo
mondo e la curiosità…
D.P.- Un mondo che, naturalmente, nella memoria me lo portavo dietro, però a cui non davo
quel valore, quel significato che poi …
M.F.- E poi quando hai cominciato qua?
D.P.- Qui ho cominciato , diciamo pure nel 72, non …per varie ragioni…anche …
M.F.- Quindi tardi..rispetto alla scoperta…
D.P.- Sì abbastanza tardi , ma anche per ragioni concrete: i registratori non erano strumenti
molto accessibili, e ho cominciato il lavoro quando ho avuto in mano il primo registratore
portatile, mi pare il Panasonic, National Panasonic, che è stato, debbo dire, uno degli
strumenti importanti della ricerca ma non solo mia, anche penso tua… per la possibilità di
accedere a questi strumenti di registrazione. Quindi un merito va anche ai giapponesi che
hanno messo a disposizione apparecchi a basso costo. Mi ricordo che m’era stato offerto un
UHER, l’avrei comprato ben volentieri ma costava quanto due stipendi miei di allora; ecco,
c’è sempre questo rimpianto di non avere avuto un UHER perché a questo punto le
registrazioni che ho fatto avrebbero un alto livello di qualità…
M.F.-Sì pure quell’altro svizzero, lì come si chiamava…
D.P.-Sì, Thorenz?
M.F.-No no, Nagra.
D.P.- Nagra … Quelli son sogni, per me erano sogni, non potevo, m’ero sposato, i miei
genitori stavano abbastanza bene, segretario comunale mio padre, maestra mia madre, però
una volta sposato devi fare i conti con il bilancio familiare, non potevo permettermi un
UHER.
M.F.- E quindi nel 72 hai cominciato, e già insegnavi alla scuola media.
D.P.- Sì ho cominciato proprio a scuola media. Questo ci tengo a dirlo, nella scuola media di
Terranova abbiamo fatto la sperimentazione del tempo pieno, con attività parallele a quelle ...
M.F.- Curriculari…
D.P.- La nostra illusione era quella di…dare pari opportunità a tutti, di fare una scuola che
fosse la scuola di tutti, poi purtroppo le cose non sono andate come speravamo, c’erano grandi
illusioni in quegli anni eh… L’anno precedente al 72, già nell’ambito di questa
sperimentazione del tempo pieno, avevo fatto con i ragazzi, avevo cominciato con i ragazzi
delle lezioni di canto popolare abbinate alla geografia. Si faceva la geografia dell’Italia e via
via che si studiava una regione proponevo alcune registrazioni originali della regione, le
portavo in classe, le ascoltavamo, cercavamo di trascriverle, facevamo tutte le ipotesi, tutti i
confronti tra il dialetto e la lingua italiana, cose abbastanza facili perché i canti popolari non
sono dialetto stretto. Poi oltre all’analisi del testo c’era la trascrizione, quindi problemi di
fonetica, di punteggiatura, di distribuzione metrica, strofica, un lavoro veramente interessante
in cui ho visto che, all’inizio, i ragazzi si trovavano spaesati, ma poi ci entravano dentro e
addirittura, addirittura, i ragazzi meno portati per le materie curriculari, si interessavano di
questo positivamente.
Poi nell’ambito di questo lavoro, arrivati alla studio della Toscana, ecco, lì mi è arrivata
qualche segnalazione, i ragazzi: “ma questa canzone, questa cosa l’ho sentita dalla vicina di
casa che cantava” ecc ecc. Lì è arrivato il momento in cui ho potuto avvicinare i primi
informatori che mi sono stati segnalati proprio da alcuni dei miei alunni, quelli più sensibili al
lavoro e di lì è partito tutto …
M.F.-Possiamo fare una parentesi? Tu hai parlato di questa attività didattica, però hai anche
detto che questa didattica nasceva dall’esigenza di costruire una scuola per tutti: ecco, in
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quegli anni si parlava in Italia del folklore come strumento politico di emancipazione delle
masse, il folklore come cultura alternativa, la tesi di Lombardi Satriani, ecco, tu hai mai
pensato a cose del genere?
D.P.- Ecco io non ho pensato proprio a cose di questo genere, perché fin da allora ho rifiutato
una strumentalizzazione ideologica del folklore, come…che so, espressione della
contestazione delle classi subalterne- Quella è stata una grossa stortura ideologica, una grossa
forzatura, perché a questo punto si faceva rientrare nel folklore tutto quello che poteva essere
contestazione e veniva escluso dal folklore tutto quello che non era contestazione il che,
veramente, è un’assurdità.
M.F.- Tolti alcuni canti politici non rimaneva niente.
D.P.- I canti sociali e politici poi il più delle volte non sono nemmeno di natura popolare,
sono di persone che si arrogano il diritto di interpretare e di fare da maestri al popolo. Ecco,
questa forzatura io l’ho sempre rifiutata.
M.F.- Però c’era un’altra posizione, un pochino più raffinata, quella di origine gramsciana che
diceva che quella popolare è una cultura che si contrappone a quella delle classi egemoni.
D.P.- In questo senso può funzionare, ma soprattutto in un altro senso, la contestazione viene
non dall’urlare a alta voce le proprie ragioni ma dal dire quali sono le proprie condizioni. Se
in un canto popolare viene fuori che le condizioni di vita erano quelle, indipendentemente
dalla voglia o meno di protestare contro quelle condizioni di vita, uno ne trae una
conclusione…
M.F.-Hai mai letto Vincenzo Padula?
D.P.- No, non l’ho mai letto
M.F.-Guarda, è interessantissimo, lui attraverso il canto popolare ricostruisce la condizione
materiale di vita dei calabresi della fine dell’Ottocento.
D.P.-Ti dico una cosa, se tu senti una ninna nanna, una che ho registrato io proprio i primi
anni, “quattro stanghe son quattro pinecchie, manca il sale, l’olio, ogni cosa i bambini
piangono c’hanno fame ho fame anch’io fa la nanna, fa la ninna piscioccolo mio”, ecco questo
vale molto di più di un canto politicizzato di protesta diretto. La protesta indiretta, per conto
mio, vale molto di più di quella proclamata ad alta voce. E quindi ho rifiutato quest’aspetto,
mi dava fastidio la forzatura ideologica, anche se posso capire che poteva essere funzionale
per certe cose.
M.F.-Ha funzionato anche perché poi sono nati i cantautori tipo…
D.P.- Tipo Della Mea,
M.F.-Quello di Contessa lì, … Pietrangeli…
D.P.- Si, però sono ad un livello diverso da quello popolare.
M.F.- Sì perché non sono popolari.
D.P.- Sono politica e anche poesia, perché Contessa è una bella canzone, però quando sentivo
dire che la filastrocca quella lì “arri arri cavallini sono andato in Francia con lo scudo con la
lancia con il coltellino in mano per ammazzare il capitano” io quando sento dire che questo
“ammazzare il capitano” era una protesta contro il militarismo perché questo qui voleva
ammazzare il capitano la cosa mi fa ridere. Quello lì c’ha il coltellino in mano ammazza
anche lui, non lo so, non è protesta contro il servizio militare, eh, ma invece protesta contro il
servizio militare è “come posso fare a darti parola il mio morino lo chiama la patria deve stare
tanto tempo, e quindi mi manca”… lì non c’è la protesta diretta ma c’è la disperazione di chi
si trova schiacciato…
M.F.- Allora hai cominciato con i canti
D.P.- Sì ho cominciato con i canti però è naturale il collegamento dei canti alle condizioni di
vita e al contesto in cui questi canti sono diffusi.
M.F.-Quindi hai studiato anche le condizioni materiali di vita…
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D.P.- Soprattutto quelle del mondo contadino perché i miei referenti sono stati soprattutto
esponenti del mondo contadino, e c’è una ragione precisa in questo, io sono convinto di
questo: io ho avuto la fortuna, veramente, fortuna, di effettuare questa ricerca nel momento in
cui il mondo contadino stava morendo, però c’erano molte persone che portavano la memoria
di questo mondo contadino e non coscientemente, ma sentimentalmente si sentivano in dovere
di non farlo morire del tutto almeno come memoria. Lo stavo riascoltando proprio di recente,
c’è la credenza popolare che quando uno stregone sta per morire, non può morire se non lascia
l’eredità a qualcuno, io mi sento come uno stregone a cui tante persone hanno affidato la loro
eredità
M.F.- Ma tu hai un erede poi?per tutti i tuoi discepoli …
D.P.- Questo me lo domando, ma penso che se rimane un archivio, se bene o male qualche
cosa che ho pubblicato verrà letto, questo potrà dire qualche cosa..
M.F.- Ma qualcuno che faccia ricerca come te?
D.P.- Non ne vedo molti, anzi i giovani mi pare che deludano moltissimo, anche i giovani che
fanno, che seguono questi corsi di tradizioni popolari e magari fanno la loro ricerca, la loro
tesi, fatta la ricerca, fatta la tesi, “passata la festa gabbatu lo santo”: ecco ho questa
impressione, forse, anzi sono sicuro di esagerare nel pessimismo, però di tanti giovani con cui
ho avuto contatto, chi faceva la tesi veniva a chiedermi qualche informazione poi..
M.F.- Sono scomparsi
D.P.- Non ho visto quasi più nessuno, non so se a te è capitata questa cosa…
M.F.- Ma io sai, ho avuto diciamo così la fortuna di lavorare in sede universitaria per una
diecina di anni quindi alcuni di quelli che io ho …
D.P.- Rallevato, si dice così…
M.F.- Perlomeno, sono diventati anche bravi…
D.P.- Mugnaini…vabbè…
M.F.- No, Mugnaini non l’ho conosciuto, il Dei…
D.P.- Ah, il Dei
M.F.- Il Dei, io facevo gli esami di maturità come commissario di Italiano e latino, al liceo
scientifico di Colle, c’era sto ragazzo che era bravo, e allora durante un intervallo ci andai a
parlare, gli dico “che farai?” “mi iscrivo a psicologia” . Io gli parlai male di psicologia e lui
non si fidò, andò a vedere, verificò che quello che gli avevo detto io era in gran parte vero, e
si iscrisse a Siena, dopodiché è diventato un pezzo forte del nostro gruppo, Fabio Dei…
D.P.- Ma le eccezioni confermano la regola.
M.F.- Sì certo, ma poi ho avuto altri due alunni del liceo scientifico, uno è diventato archivista
e insegna archivistica a Roma e un altro, l’Andreini, fa parte dell’IDAST,
insomma…qualcosa m’è cresciuto.
D.P.-Ho piacere di sentire questo, però, quello che mi dispiace è non tanto quell’aspetto che
dicevo prima che i giovani che si sono accostati alla ricerca poi fatta la tesi hanno lasciato
perdere tutto, quello che mi dispiace è che quelli che sono i referenti di questa memoria che
noi andiamo raccogliendo e che non sono il Dei o io ma sono la gente comune, ecco,
rimangono piuttosto staccati da queste cose, quando capita l’occasione dimostrano interesse e
entusiasmo, ma questo interesse e entusiasmo sono una specie di fuoco di paglia, che si
accende e poi si spegne, e in questo trovo una grossa responsabilità nelle istituzioni, nella
impostazione della educazione sia dei ragazzi sia di ….
M.F.-Parleremo anche di questo, su cui ho una domanda…
D.P.- T’ho bruciato.
M.F.- No, mi hai anticipato… vediamo un po’ i temi della ricerca. Quindi sei partito dal canto
popolare e poi sei passato naturalmente allo studio delle condizioni materiali di vita di queste
persone, del mondo contadino, in questo senso hai fatto degli studi specifici oppure è stato un
interesse diciamo culturale per capire quello che studiavi
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D.P.- No, no, diciamo che mi sono occupato parallelamente di tutto perché vedevo integrato,
un mondo integrato: la cultura materiale, la cultura, la memoria, la cultura orale, erano
integrate.
M.F.- Questa è zona mezzadrile, ti sei occupato anche di mezzadria?
D.P.- Sì mi sono occupato anche di rapporti mezzadrili, tra l’altro con i ragazzi, sempre
intorno al ‘72 ‘ 74 ho fatto una ricerca sugli attrezzi agricoli.
M.F.- No ecco io per esempio mi sono messo a studiare la mezzadria e ho anche scritto
qualcosina sulla mezzadria, magari utilizzando le fonti orali, ecco cioè tu non hai
approfondito questo discorso?
D.P.- No, non l’ho approfondito.
M.F.- L’hai lasciato come sottofondo…
D.P.- No, ho dovuto approfondirlo in relazione alla documentazione che andavo raccogliendo
per poter inquadrare meglio i dati, però i rapporti del mondo mezzadrile vengono fuori
immediatamente. Mi ricordo in una conferenza a San Giovanni di una ventina o forse di più di
vent’anni fa, s’è parlato della storia di Pasquino, ne hai scritto anche tu nel volume di
Clemente Mezzadri letterati padroni… la storia di Pasquino dice: il confronto tra il contadino
e il padrone; un confronto particolare perché tu metti bene in evidenza come l’autore del testo
non è che sia schierato dalla parte del contadino, non è che sia schierato, vede criticamente la
posizione del contadino ecco, io la penserei diversamente, penso che sia un’autocritica, che
l‘autore di quel testo era Giovanni Fantoni di Quarrata che era un contadino aratolaio
addirittura aveva dei parenti a Terranova Bracciolini, è stato anche a lavorare a Terranova
Bracciolini, a Montelungo per fare gli aratri…
M.F.- Poi aveva una vena molto ironica, il contrasto tra suocera e nuora …
D.P.- Quindi la tesi che tu sostieni è che il canto, un canto borghese che mette più o meno in
evidenza certi aspetti anche negativi del mondo contadino, disposto, sì che che reclama a voce
ma al momento in cui gli offrono qualche cosa per tappargli la bocca se lo prende e sta zitto.
M.F.- Sì, non di origine borghese ma quantomeno è dubbia la conclusione…
D.P.- Sì c’è questa cosa, questo Pasquino mette a disposizione anche la moglie ai bisogni del
padrone, però io lo vedo più come una autocritica, una satira che nasce dal mondo contadino
ed è diretta contro…
M.F.- D’altra parte se non fosse stato così il mondo contadino non avrebbe accettato così
facilmente il contrasto, anche se dal punto di vista del senso critico il mondo contadino ne
aveva poco.
D.P.- Poi c’è un altro canto, un altro contrasto quello del padrone e contadino del Targioni,
“se tu mi porgi ascolto udienza mia - voglio farti un racconto genuino di un contrasto … che
avvenne tra un padrone e il contadino - erano tutte e due all’osteria - e già bevuto avean
diverso vino - quando ebbe luogo il dialogo seguente - a cui per caso mi trovai presente”.
Anche qui mi pare che abbiamo avuto una piccola discussione perché tu vedi tutto il senso di
questa composizione nel fatto che è il vino che scioglie la lingua al contadino, se non ci fosse
stato il vino il contadino probabilmente non avrebbe avuto quella franchezza che…
M.F.- Anche perché vivevano in un contesto di grande sottomissione per cui era…difficile
potere…
D.P.- C’è un proverbio che dice “i poveri hanno le braccia corte”, però quel canto del
Targioni che era un socialista e che ammaestrava il popolo, in questo caso in senso buono,
prima ho parlato di intellettuali che si arrogano il diritto di far da maestri, questo Targioni lo
sente il mondo contadino, è vero che comincia con l’osteria, col vino, però alla fine c’è
scritto “dunque udienza mia, se fosti attenta alza gli occhi e guardati intorno, il lione fa la
forza e tu lo vedi, non restarti in ginocchio alzati in piedi”: c’è un messaggio attraverso
questo espediente questo escamotage del vino che scioglie la lingua … Il messaggio è
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veicolato e questi messaggi io li ritengo giusti, un canto di protesta di questo tipo mi sta bene,
non mi sta bene la forzatura ideologica.
M.F.- Quindi, raccolta di attrezzi agricoli, raccolta o soltanto fotografie?
D.P.- No, no, abbiamo fatto con i ragazzi un lavoro abbastanza organico di collaborazione tra
me che insegnavo lettere e un mio collega che insegnava fotografia e educazione tecnica.
Facevamo le fotografie, prendevamo le misure, non solo ma chiedevamo ai contadini a che
cosa serviva l’attrezzo, come se lo eran procurato e poi anche memorie relative al lavoro e via
discorrendo
M.F.- Quindi attrezzi e tecniche di lavoro.
D.P.- Lì è venuto fuori che questo Fantoni di cui si parlava prima faceva l’aratolaio, è venuto
fuori un aneddoto bellino: questo Fantoni andava in giro per le campagne a far gli aratri e s’è
trovato a passare davanti a un contadino che stava arando e non aveva dato la giusta
inclinazione all’aratro e, c’è un attrezzo che si chiama profime che serve per regolare il coso,
e questo Fantoni ha visto questo contadino e allora gli ha detto non un’ottava, un distico, “lo
vedi che l’aratro non gli piglia, - metti al terzo buco la caviglia”, nel senso… e questo
contadino che sapeva cantare poesia “Questo è l’aratro, questi sono i buoi, e questa è la
caviglia per metterla in culo a voi”. E dice lì gli è partito il contrasto, si è fermato il Fantoni e
sono stati a cantare per alcune ore il contadino e il Fantoni, per questa simpatia che c’era tra
chi sapeva cantare, questa era cosa. Una volta c’era questo amore per il canto , in ogni piccolo
agglomerato c’era qualcuno che sapeva cantare.
M.F.- Poi sono arrivate le radioline giapponesi ed è finito tutto.
D.P.- Sì è vero, questi giapponesi, è vero, devo ringraziarli per averci dato i registratori a
basso prezzo però …effettivamente…
M.F.- Io mi ricordo che quando facevano quel lavoro di potatura verde nelle vigne a giugno,
cantavano, ma già negli anni 60 le donne si portavano la radiolina in tasca .
D.P.- E’ vera anche un altra cosa che quando si lavorava la terra con i buoi il lavoro era
silenzioso e il canto poteva espandersi, invece con il trattore, quindi non è soltanto la
radiolina, è tutta la tecnologia che ha in qualche modo oppresso, limitato, e poi i rapporti
umani, i rapporti di vita sono quelli che hanno inciso più profondamente.
M.F.- Quindi, cultura materiale e attrezzi contadini, e poi dopo hai cominciato ad incontrare le
cerimonie rituali , come quella di “grano grano non carbonchiare”.
D.P.- Tutto è avvenuto quasi contestualmente, questo “grano grano non carbonchiare” è
venuto subito immediatamente dall’inizio, e naturalmente le mie letture filologiche, i Fasti di
Ovidio, l’interesse che Ovidio, abruzzese, io sono molisano, ma insomma siamo abbastanza
vicini, aveva per il mondo popolare m’è servito, perché in Ovidio nei Fasti si parla di una
cerimonia che si faceva nel circo, attaccando alle code delle volpi delle fascine alle quali si
dava fuoco, ecco, io non lo so se l’accostamento è pertinente, perché a volte si cercano degli
agganci piuttosto…
M.F.- E si cade nel frazerismo banale…
D.P.- Non solo, ma si dicono anche delle bestialità, delle scempiaggini, però il fatto di queste
volpi a cui si accendeva la coda, secondo la spiegazione che dà Ovidio, è che è che queste
volpi avevano danneggiato il grano ed erano state prese e purtroppo c’era questa crudeltà che
c’è ancora oggi e avevano legato della paglia secondo il racconto, che fa Ovidio poi non
ricordo i particolari precisi; le volpi, con questa paglia incendiata eran passate nel grano e
avevano fatto bruciare tutto e insomma c’è un qualche aggancio perlomeno con il grano, è
vero che “grano grano non carbonchiare” -ora sto facendo una grande frittura mista … si
cantava l’ultimo giorno di Carnevale quando il grano era verde, quindi può darsi benissimo
che non abbia strettissima relazione con questa cosa perché non poteva bruciare e che il fuoco
servisse come purificazione…
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M.F.- Sì, ma io volevo anche arrivare alle altre tue ricerche, quindi “grano grano non
carbonchiare” è diciamo una cerimonia che è quasi teatro, perché si va nel campo con questa
fiaccola e questi canti …
D.P.- A proposito di “grano grano non carbonchiare” una cosa che ho potuto accertare e che è
interessante, anche se questo costituisce ora una parentesi, è che normalmente erano i ragazzi
che facevano, li chiamavano mannaioni e delle torce di paglia e andavano per il campo a
cantare, a cantare questa canzoncina propiziatoria; però in un periodo un pochettino
antecedente a quello dei portatori di memoria che ho potuto accostare io, questo “grano grano
non carbonchiare” lo facevano gli anziani, non erano giovani, è un pochettino come in tante
realtà degli aspetti
M.F.- Si era degradato … diventando usanza di ragazzi…
D.P.- In tanti aspetti delle tradizioni popolari i ragazzi ripetono quasi come gioco quella che
poteva essere una cerimonia, perché c’è una testimonianza di un anziano di Pulicciano che
dice che aveva accompagnato il suocero a cantare “grano grano”, andare a “far lume al
grano” e, già allora però, c’era chi non prendeva più sul serio la cosa, perché mentre questo
qui borbottava “grano grano non carbonchiare” ecc ecc ”lui m’ha dato una calata,
un’intonazione diversa da quella quasi giocosa dei ragazzi, dice che li hanno presi a sassate
dall’alto, dei giovani, e li hanno presi in giro. Già c’era, diciamo, agli inizi del Novecento
c’era ancora questa tradizione in certe zone perché, a macchia di leopardo, in certe zone, per
esempio a Pulicciano era tradizione rispettata dagli anziani che poi però è passata ai giovani,
già agli inizi del Novecento c’era chi criticamente …
M.F.- Ma già c’erano i trattori, la macchina trebbiatrice, i concimi, quindi qualcosa era già
cambiata; ma dicevo il rituale, tu ti sei interessato anche ad alcuni aspetti del teatro popolare,
D.P.- Sì mi sono interessato anche a questo, è venuto fuori dalla ricerca perché andando,
facendo ricerca, sono venute fuori segnalazioni di ottave che si cantavano, ottave di questua,
che si cantavano per sollecitare le offerte, ottave di questua legate o alla Befanata o alla
Zinganetta, che per me sono più o meno la stessa cosa, in proporzioni e in dimensioni diverse:
la Befanata è un giro di questua che serviva a riallacciare i contatti umani tra le case coloniche
sparse nel territorio, era un desiderio, una necessità di riallacciare, di risentire proprio in un
momento in cui il tempo non favoriva questo; la Zinganetta invece era un giro di questua
organizzato con maggiore impegno nei centri, negli agglomerati un pochino più consistenti,
che poi veniva esportato…
M.F.- In sostanza quello che avveniva nella Val di Chiana però con due cose diverse, la
Vecchia
D.P.- Il Sega la Vecchia
M.F.- La Vecchia e invece il Bruscello che andava fatto nei giorni di mercato e alla domenica
davanti alle chiese…
D.P.- Lavorando su queste tradizioni, ho visto l’analogia strettissima che c’è tra la Zinganetta
e la tradizione, che è stata abbandonata, della benedizione del fuoco. Il Sabato Santo il prete,
l’arciprete, benediceva il fuoco in chiesa, poi c’erano dei ragazzi che prendevano gli scaldini,
prendevano questo fuoco santo e poi andavano nei paesi a distribuirlo, in cambio di piccole
offerte, era un rituale, un qualche cosa che ha a che fare con il culto del fuoco, del focolare,
perché queste massaie prendevano un po’ di fuoco, lo mettevano al focolare e accendevano il
fuoco oppure accendevano il fiammifero al fuoco portato dal ragazzo e con quello
accendevano il fuoco nel focolare. Però il vero significato di questo era un riallacciare,
ricostituire quei legami che c’erano tra il paese e la campagna, perché non sempre tra il paese
e la campagna…
M.F.-C’era buon sangue…
D.P.- C’era buon sangue, però a un certo punto questi ragazzi che dal paese andavano in giro
per la campagna servivano a ricompattare un’unità di cui si sentiva comunque il bisogno
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perché, questo non lo dico io, me l’ha detto un informatore che era non di campagna ma di
paese: “noi snobbavamo-non avrà usato questo termine- ma noi snobbavamo la gente di
campagna ma dipendevamo in tutto e per tutto da loro “ e…consideravamo addirittura con
una certa aria di sufficienza La Zinganetta, tanto che si usa dire “che mi fai la Zinganetta?”
come per dire “che mi fai la commedia?” però quando facevano la Zinganetta si andava a
vederla.
M.F.- Poi sei arrivato anche ad interessarti di fenomeni religiosi, pellegrinaggi e cose simili..
D.P.- Sì questo è un interesse che ho avuto sempre, e dipende anche dalla frequentazione, che
so, delle Georgiche di Virgilio, dei Fasti di Ovidio, e via discorrendo, son quegli interessi che
nascono di cui non ti rendi conto ma che poi, la sfera del sacro, l’importanza che ha il sacro
nella vita dell’uomo e delle società umane, magari anche con un aspetto più superficiale, più
folkloristico in senso negativo, della curiosità per cose che non si capiscono, però questo,
quest’interesse l’ho avuto prima ancora che iniziassi la ricerca sui canti popolari, è andato di
pari passo, solamente non in un primo tempo, non mi ci sono buttato sopra perché è molto più
gratificante trovare il canto popolare, confrontarlo colla versione del Nigra, e questo e
quest’altro, che non mettersi lì a studiare…
M.F.- E’ più sul versante sociologico che filologico.
D.P.- La cosa bella è questa quando recupero dei canti e trovo che so, che quello stesso canto
c'è in Calabria…
M.F.- La stessa cosa avviene con i pellegrinaggi, ad esempio quello di Santa Maria in Valle,
non è che ci siano cose diverse in altri posti…
D.P.-Non solo Santa Maria in Valle, ma tante tradizioni legate alla vita quotidiana, oppure a
certe ricorrenze calendariali, che so, questo è molto suggestivo, sapere che, sentirmi dire che
quando legavano le campane, il Giovedì santo
M.F.-Venerdì santo
D.P. - Il Venerdì, il Giovedì santo, i contadini andavano a legare o mandavano i bambini a
legare con dei fuscelli o con delle cordicelle, le piante da frutto; poi quando scioglievano le
campane correvano a scioglierle ecco, un rito primaverile che significava in qualche modo
dare il via al… alla ripresa della vita della natura dopo la pausa dell’inverno: Queste son cose
suggestive, qualcuno addirittura mi ha detto che quando scioglievano le campane andavano a
scuotere l’albero come a svegliarlo: è bellissimo e poi comporta tanti problemi di sincretismo
perché evidentemente legarlo al… unirlo al fatto che si legano le campane e poi si sciolgono
significa riportarlo in ambito cristiano, però questa tradizione cristiana in fondo è una
continuazione di riti primaverili come quello della morte e resurrezione di Adone ecc ecc.
Questo è veramente suggestivo perché ti permette di viaggiare anche con la poesia e con la
fantasia. Io mi sono permesso di criticare, io sono di sinistra, lo slogan secondo cui la
religione è l’oppio dei popoli; lo ritengo giusto e valido, non solo l’oppio, il veleno dei popoli,
in certi casi si vede quello che succede, a Israele, quello che è successo in ambito cristiano in
Irlanda e continua a succedere; però non è solo l’oppio dei popoli, la religione è anche un
bisogno
M.F.- Un’esigenza…
D.P.- Un’ esigenza di chi deve dare un senso alla propria vita e ha bisogno di un qualche cosa
che gli faccia dimenticare il quotidiano, ecco. In questo senso è la poesia, io ho visto queste
cose che ho trovato, queste tradizioni, quella del fuoco, dei ragazzi che vanno in giro eccetera
eccetera ad abbracciare le piante o per San Giovanni c’erano tanti altri… usanze, per
l’Ascensione te ne dico un’altra…
M.F.- L’acqua con le rose?
D.P.- L’acqua con le rose… questo è niente; una donna m’ha detto che suo padre per
l’Ascensione, la mattina prima che si levasse il sole, andava nel campo di grano, il grano è
alto, l’Ascensione siamo a Maggio, raccoglieva la rugiada che c’era lì sopra, poi non m’ha
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saputo dire come facevano, però m’ha detto che forse prendeva un panno e faceva intingere e
poi lo strizzava… Ho ritrovato nel Propp dei Riti agrari la stessa cosa, poi con quell’acqua
impastava un pane piccolo, lo cuoceva e ne pigliavano un pezzettino ciascuno per indulgenza,
come dire per qualche cosa di cui non si ha veramente la spiegazione precisa ma che si fa,
questa indulgenza era quasi la ripetizione del rito dell’eucaristia al livello famigliare: Questa è
poesia eh intendiamoci, o io penso che sia poesia, la sento come poesia, forse è il mio
interesse personale che mi fa vedere, mi fa cogliere degli aspetti poetici, però c’erano, la gente
aveva bisogno…
M.F.- Parliamo di mito, che comprende anche la poesia, c’è una sfera mitopoietica …
D.P.- Qualcosa che ti permetta di dimenticare la quotidianità della vita, qualche cosa che ti
permetta di dimenticare che tu sei destinato prima o poi a morire, l’uomo è l’unico animale
credo che abbia la coscienza di dover morire, ecco, il Burke…
M.F.- Peter Burke
D.P. –Peter Burke riporta un passo di un viaggiatore inglese che era stato in Italia e aveva
detto: “qui la gente vive nell’attesa del Carnevale, i giorni che precedono, vive nella memoria
e nell’attesa del Carnevale successivo perché non c’ha altro”. Questo è proprio quello che ti fa
misurare poi anche le condizioni di vita delle classi subalterne di chi non ha altro che
attaccarsi a qualche cosa di così, di fantastico, di poetico, come l’idea della festa, festa che poi
diventa una grande fatica perché … uno ne esce quasi… stremato…
A proposito di Carnevali, ho intervistato una signora, una ventina d’anni fa, anche 15, gli ho
chiesto “quanti anni c’hai” e ha risposto”c’ho 80 carnevali”; per la gente il Carnevale era un
modo di appigliarsi, di segnare il tempo, come noi diciamo le primavere…
M.F.- Si ma anche le feste religiose; c’era uno al mio paese che diceva “con queste scarpe
c’ho passato 40 madonne” , cioè 40 feste della madonna.
D.P.- Oppure dire “quante uova benedette hai mangiato?” perché c’era il rito del…portare in
chiesa…
M.F.- Di portare le uova in chiesa, per Pasqua, a Pienza lo fanno…
D.P.- Eh, lo fanno anche qui.
M.F.- A Pienza non si può entrare in chiesa la domenica mattina perché c’è un puzzo di uova,
son tutte sgusciate tra l’altro ,…
D.P.- Queste uova le ho trovate nelle più svariate modalità, qualcuno le portava sgusciate
perché diceva che così la benedizione entrava meglio; qualcuno le portava con il guscio però
apriva un pezzettino perché così poteva entrare la benedizione; chi le portava con il guscio poi
dopo lo doveva bruciare nel focolare perché c’aveva la benedizione che si perdeva: c’era
invece gente razionale che diceva che si portava comunque col guscio o no perché la
benedizione comunque passa sette montagne, sette mura quindi, passa anche il guscio
d’uovo, insomma, mi son divertito anche di volta in volta a farmi dire come le portavano e
perché le portassero e sentire queste loro interpretazioni, però erano momenti in cui uno,
concentrando la propria attenzione su determinate cose di scarso significato però per un po’
dimenticava la sua condizione.
M.F.- Senti, però poi sei passato anche diciamo, ad aspetti neo-folklorici che però fanno
sempre parte della cultura popolare, che sono le testimonianze sulla storia, di che cosa ti sei
occupato in particolare?
D.P.- Questo però sempre lo debbo anche alla sperimentazione del tempo pieno nella scuola,
perché al momento in cui dovevo fare la storia, io intanto rifiuto il concetto di storia come
elencazione di guerre o di personaggi importanti eccetera eccetera. Mi interessava vedere
insieme ai ragazzi come certi momenti storici siano stati vissuti e se c’era la memoria, in
particolare per la prima e la seconda guerra mondiale; in terza media, con i ragazzi, ho sempre
cercato di agganciare lo studio della storia alle memorie e anche ai canti, e ho avuto la fortuna
di avere un ragazzo che non aveva voglia di far niente, e invece di far la ricerca mi ha portato
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sette quaderni del nonno di Capacci. Altri ragazzi mi hanno portato le memorie dei loro
nonni, le hanno trascritte, era un lavoro interessante di aggancio dei grandi avvenimenti,
vedere la risonanza dei grandi avvenimenti nella memoria locale e poi, studiare anche certi
aspetti della vita quotidiana del tempo che si riferisce a queste memorie. Quindi era tutto
organicamente collegato alla ricerca iniziale, perché il punto di partenza poteva anche essere
un canto popolare, o le strofette contro Cadorna, “il general Cadorna, ha scritto alla Regina, se
vuol veder Trieste, la mando in cartolina”…
M.F.-Questa la conosceva anche mia madre, era famosissima.
D.P.- Oppure parlando della storia, a cavallo della prima guerra mondiale, si trattava il
problema della immigrazione, i canti legati alla immigrazione, le memorie legate alla
immigrazione, quindi non direi che sono “passato”..
M.F.- Io ho usato impropriamente “passato”..
D.P.- Gli argomenti che io ho cercato, sono il passaggio, il ricordo del passaggio del fronte,
prima guerra mondiale, emigrazione, seconda guerra mondiale, ricordo del passaggio, e il
.ricordo del passaggio al fronte ha portato alla segnalazione e all’intervista di personaggi che
erano stati direttamente coinvolti
M.F.- Ma il problema che tu ponevi era la necessità di una verifica di queste testimonianze..
D.P.- A volte a volte, le testimonianze orali vanno sempre valutate tenendo conto delle
circostanze a cui si riferiscono le persone e, anche della attendibilità o meno della persona che
tu stai intervistando. Il più delle volte la persona è in buona fede, ma può capitare che uno che
è sopravvissuto a una fucilazione rievocando il momento critico in cui era sicuro di morire
confonda quelle che sono state le allucinazioni, diciamo ecco direi allucinazioni con la realtà
in perfetta buona fede. Poi un altro aspetto a cui accennavo ma che non credo di doverlo
ripetere è questo: che è vero che le testimonianze orali sono inficiate dalla soggettività, e
anche dal fatto che noi la memoria la ricostruiamo continuamente, la modifichiamo in
relazione alla nostra sensibilità.
M.F.- Ma anche le informazioni che tu acquisisci , quindi…
D.P.-Quindi la memoria la ricostruiamo, sono inficiati in qualche modo da questo, bisogna
tener conto in qualche modo di questi elementi
M.F.- Certo se tu avessi fatto l’intervista cinque minuti dopo l’episodio… fatta quarant’anni
dopo…
D.P.- Certo certo, però molte volte le testimonianze orali servono a denunciare delle bugie
ancora più gravi che son quelle che si trovano nei documenti ufficiali.
M.F.- Come nel caso di Nencetti che tu dicevi
D.P.- Nel caso di Nencetti dicevo che in una richiesta di conferimento della medaglia d’oro
nella motivazione c’era scritto, l’ho letto, che Nencetti era stato fucilato da un plotone di
soldati tedeschi e che il comandante tedesco, irritato perché all’ordine di fuoco il plotone non
aveva voluto eseguirlo, con rabbia s’era precipitato a scaricare la rivoltella sul…
M.F.- E poi invece si scopre…
D.P.- Poi invece si scopre che il plotone è composto da giovani della Repubblica Sociale
quasi tutti del posto, che era comandato da un ufficiale italiano, di cui si sa il nome, e che, e
questo particolare, veramente toccante, chi me l’ha detto piangeva quando me l’ha raccontato,
un giovane dopo l’esecuzione, uno di questi giovani ha detto: “andiamo a vedere, ho
rinnovato il fucile“; non si sa, se una falsa spavalderia, sicuramente, io non ho fatto psicologia
e credo poco alla psicologia. Però penso che questo fosse un modo per lui di giustificare
quello che aveva fatto, di ignorare quello che aveva fatto, di rimuovere l’orrore di quello che
aveva fatto, di aver partecipato a freddo all’uccisione di una persona. Dopo oltre a questo ho
intervistato, oltre a Lice Nencetti, ho intervistato un sopravvissuto all’eccidio, alla fucilazione
di 10 -12 persone, ora la parola eccidio noi la usiamo quando si parla di moltissime persone,
però dieci sono sempre un eccidio, e per conto mio non si dovrebbero fare distinzioni di
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questo tipo. A San Leolino ho intervistato anche un altro sopravvissuto a un eccidio, un
eccidio è stato perpetrato dai tedeschi vicino a San Giustino… Lì c’è un cippo, una trentina di
persone sono state fucilate per rappresaglia dai tedeschi, e c’è un certo Sottani che abita qui a
Levane, all’ Acquabona, che è rimasto sotto i cadaveri dei suoi fratelli, s’è salvato e quindi ha
potuto ricordare tutta la sua … e poi il grosso della ricerca l’ho fatto qui a Cavriglia per
l’eccidio che i tedeschi hanno perpetrato nella zona di Cavriglia il 4 luglio 1944.
M.F.-Dunque, nella tua lunga carriera di ricercatore di circa 30 anni, hai incontrato certamente
studiosi, gruppi di studiosi, enti, che ne so, dell’Istituto De Martino, quali sono stati i rapporti
con questi studiosi…
D.P.- Dico molto con molta chiarezza, con molta franchezza, in un primo tempo non so se per
un complesso di inferiorità io amavo chiamarmi un cane sciolto, uno che fa la ricerca per
conto suo, svincolato da legami accademici, non obbligato a scappellarsi di fronte a nessun
barone universitario. Poi, questo non lo dico per piaggeria, ho avuto modo di incontrare
Clemente, Clemente mi sembra che sia il rappresentante di quello che non è un barone
universitario, perché ho visto che Clemente ha sempre in qualche modo, uso questa parola,
socializzato il suo lavoro con i suoi collaboratori…
M.F.- Io ti dico una cosa, ci sono dei saggi in cui qualche piccola parte è stata scritta da me e
che passano con il nome di Pietro Clemente, altri in cui qualche parte è stata scritta da lui e
che passano con il nome mio; si tratta di piccoli interventi… ma che testimoniano di uno
scambio senza interessi…
D.P.- Comunque la maggior parte delle pubblicazioni di Clemente non sono firmate da Pietro
Clemente, ma sono firmate da Mariano Fresta con Pietro Clemente, con Tizio Caio e
Sempronio, cosa che non credo che facciano tutti, tutti i professori, quindi questo m’ha in
qualche modo riconciliato non col mondo accademico, che considero sempre con distacco,
non negativamente, con distacco, ma con un operatore come Clemente, e con Clemente come
tu sai s’è cercato di mettere su un coordinamento con i ricercatori della Toscana, abbiamo
anche pubblicato un numero zero di una rivista che poi non è andata avanti, ora c’è questa
associazione, quindi per me questo incontro è stato interessante …
M.F.-Questo quando è avvenuto?
D.P.- Questo è avvenuto dopo la pubblicazione del volume sui canti popolari dell’Arno, ed è
stato certamente un incentivo per me, per continuare nella ricerca, a darmi da fare per
pubblicare
M.F.-Che anno era?il 77? Il 78?
D.P.- Sì ma grosso modo a cavallo tra i settanta e gli 80.
M.F.- Hai conosciuto anche altre persone prima, Fornari, Malcapi?
D.P.- Sì ma ho avuto relazioni molto superficiali con Fornari e con Malcapi, e Malcapi ha
fatto una sola trascrizione di canti, trascrizione che può funzionare fino ad un cero punto
perché io sono…
M.F.- E’ un dilettante come etnomusicologo, lui è un bravissimo ortopedico.
D.P.- Sì lo so, lo so, comunque penso che dal momento che si ha la possibilità di riprodurre
meccanicamente, ecco, un’ analisi, così una trascrizione sul pentagramma..
M.F.- E’ riduttivo
D.P.- E’ riduttivo , è molto riduttiva, può servire però, potrebbe servire per uno studioso che
volesse mettere a confronto vari documenti, serve come a me, che ascolto un canto, lo
trascrivo, poi vado a mettere a confronto le varianti, io stesso questo lo sento come una
menomazione mia, il fatto di non sapere nulla di musica, perché forse, conoscendo la musica,
potrei anche essere arrivato a risolvere certi interrogativi che ancora non riesco a sciogliere,
che so, l’ottava rima si canta sempre con la stessa intonazione, vabbè, ci sono variazioni…
M.F.- Ci sono vari stili a seconda dei cantori…
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D.P.- Però appunto, ma tra l’altro, l’ottava rima narrativa, quella di Pietro Romei, si canta
colla stessa frase musicale del teatro, colla stessa del contrasto ? io sento delle cose…
M.F.- Sembra di sì, che sia la stessa linea melodica, però nell’esecuzione diventa una cosa
diversa.
D.P.- Me lo domando, però se avessi avuto, potevo, però penso che una cosa è certa, nel
canto, nell’improvvisazione i melismi sono più frequenti perché c’è la necessità di recuperare
il tempo, per trovare la rima, però ci sono anche delle differenze, che a mio avviso sono
differenze di linea melodica…
M.F.- Però siamo sempre lì, perché si tratta di un recitar cantando, quindi non è che le
differenze melodiche siano notevoli, però ecco, l’impostazione della voce è diversa, sia che si
affronti un contrasto che quando si affronta l’ottava rima del teatro epico, per esempio, io le
noto queste differenze poi magari nella trascrizione pare siano abbastanza simili.
D.P.- Non ricordo di che stavamo parlando…
M.F.- Stavamo dicendo che Clemente ti ha in qualche modo riconciliato con…
D.P.- Sì, un’ altra persona con cui ho avuto dei rapporti abbastanza cordiali è stato…ora
comincio ad essere un pochettino stanco
M.F.- Eh ci fermiamo.
D.P.- Sì fermiamoci un secondo.
[ripresa]
M.F.-Tu mi dicevi che con Clemente ti sei trovato a tuo agio e anche con Gastone…
D.P.- Gastone Venturelli .
M.F.– Con Gastone che rapporti hai avuto?
D.P.- Gastone l'ho conosciuto a Gorizia in un convegno di tradizioni popolari, è stato lui che
si è presentato per chiedermi se avevo raccolto nella zona di Terranova qualche cosa che
avesse a che fare col teatro popolare, e in particolare con il Maggio. Il Maggio qui nella zona
di Terranova non c’è, però vicino ad Arezzo, a Pontacchiani c’erano, sì lo chiamavan Maggio
ma era una specie di Bruscello …gli ho dato delle registrazioni mie…
M.F.- E poi gli hai parlato della Zingaretta.
D.P.- Certo certo.
M.F. -E poi con chi altri hai avuto rapporti? con la Bueno?
D.P.- Sì, i rapporti con la Bueno sono un pochettino strani perché nel ‘78 la Bueno è venuta a
cantare due o tre volte qui nel Valdarno, e io gli ho dato un paio di bobine di registrazioni che
avevo fatto, alcuni di questi testi che gli avevo dato io lei poi li ha utilizzati per un disco, non
mi ricordo che titolo avesse e m’ ha chiesto, e lì è stata corretta, mi ha chiesto, di scrivere la
presentazione dei brani che aveva riportato. Uno era “la Tea fa il bucato”, un altro è “quattro
stanghe son quattro pinecchie” , di cui ti ho detto prima e un altro testo. E io l’ho fatto, ho
fatto con i ragazzi una piccola esercitazione, quindi i ragazzi gratificati, perché andavano
addirittura sulla copertina del disco, gratificato anch’io, perché un minimo di vanità ce
l’abbiamo tutti…
M.F.- Beh è chiaro, ce l’abbiamo tutti…quando vedo il mio nome stampato…
D.P.- Lo debbo riconoscere… solamente devo dire due cose, che poi magari non utilizzerai,
una è questa: la Bueno ha telefonato, quando stava per uscire il disco, chiedendomi questo
contributo, però ormai avevano già inciso il disco, e questo “quattro stanghe son quattro
pinecchie, manca il sale, l’olio, ogni cosa i bambini piangano c’ hanno fame c’ho fame
anch’io” era diventato “quattro stanghe son quattro pinecchie, anche il povero genitor il sa, “;
non l’aveva sentito per niente, avevano interpretato senza rendersi conto che “il pover genitor
il sa” non è popolare, è proprio un cazzotto in pieno stomaco. Questo è stato stampato sulla
copertina del disco, perché lei, invece di telefonarmi prima che venisse stampato il tutto m’ha
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semplicemente stampato, scritto, chiedendomi questa collaborazione e poi s’è giustificata,
dice è stato un disco travagliato perchè uno dei collaboratori s’è suicidato, addirittura,
d’accordo, ma io avrei buttato all’aria tutta la copertina del disco, insomma “anche il povero
genitor il sa”; e poi secondo aspetto, questo vale la pena di dirlo, io poi ho fatto ascoltare la
versione della Caterina Bueno agli informatori, perché gli avevano dato il testo, e…
M.F.- Non ci si sono ritrovati
D.P.- Non ci si sono ritrovati, il che è molto significativo, in effetti capita questo, quello che è
il canto popolare che faceva parte del quotidiano non può essere manipolato …
M.F.- Beh certo poi in sala di registrazione tutti i trucchetti, c’è anche un aspetto commerciale
che naturalmente nel mondo popolare non c’è, è chiaro, in effetti è anche vero, noi perché
siamo un po’ patiti di queste cose, ma sennò ascoltare una registrazione originale, la gente
dopo un po’ si annoia , invece se la canta Caterina Bueno diventa più gradevole, poi se la
canta Gigliola Cinguetti addirittura diventa…
D.P.- Purtroppo bisogna adattarsi..
M.F.- E con altri studiosi hai avuto rapporti?
D.P.- No, direi di no, l’Istituto De Martino ho avuto rapporti di recente, Della Mea mi ha
invitato a Bucine per un progetto, non so com’è intitolato, insomma un progetto molto
impegnativo, ho parlato delle mie cose e ora, si scende un pochettino nel pettegolezzo, però,
io ho parlato, c’era anche Clemente, ho letto una testimonianza che ho fatto, delle
testimonianze relative all’uccisione di tre persone a Pulciano da parte dei tedeschi. L’episodio
è stato ricordato da un poeta locale che si chiamava Piccardo, e… ho presentato il canto
popolare, e ho ricostruito l’episodio e ho parlato anche di quell’aspetto che dicevo prima, che
a volte un episodio viene dai mezzi di comunicazione di massa ricostruito e… in un maniera
che non è perfettamente rispettosa di come le cose siano andate… Poi alla fine di dicembre mi
hanno telefonato dall’Istituto De Martino, hanno detto: “noi stiamo guardando il suo
intervento dobbiamo pubblicare gli atti, ci manda per favore il testo, però se non ha tempo…”
io ho detto, “il testo ben volentieri, però siccome non me lo ricordo esattamente perché ho
parlato a braccio, per favore se mi mandate la registrazione: partendo da là magari io
ricostruisco, magari non sarà esattamente quello che ho detto, però in tutti gli atti non è che
venga riportato esattamente “… “ah si allora le mandiamo la registrazione”.
M.F.-Ancora la aspetti
D.P.- No, usciranno le pubblicazioni e il mio testo non ci sarà, però quando mi richiama Della
Mea gli dico che non ci sono , faccio male o faccio bene?
M.F.- Ma fai bene, la correttezza innanzitutto. Senti veniamo allora al punctum dolens…
D.P.- Sentiamo
M.F.- I rapporti con gli enti locali e le istituzioni
D.P.- Questo è un punto dolente fino ad un certo punto, mi è venuto fuori un gioco di parole
involontario… perché io ho trovato un grande interesse da parte dell’amministrazione
comunale, della biblioteca comunale di Terranova, per il mio tipo di lavoro, che è stato
valorizzato al massimo, direi forse anche più di quanto non meriti, il Comune addirittura mi
ha chiesto di pubblicare una serie di volumi con tutti i materiali che io ho ricercato, io ho
preparato un progetto di massima che dovrebbe essere questo: due volumi sul canto popolare,
primo: ottave e stornelli , cioè il canto proprio tipico, canti e stornelli, l’altro è tutti gli altri
canti ordinati, naturalmente il criterio è esteriore, ci vuole sempre un certo criterio… Anche
se i generi, narrativo, satirico, ecc ecc poi i canti sociali, un secondo volume di narrativa…
M.F.-Perché tu ti sei occupato anche di fiabe, di racconti, di novelle.
D.P.-Sì
M.F.-Non ne abbiamo parlato prima…
D.P.- Un altro volume sulle tradizioni popolari legate sia alla sfera religiosa sia anche…e poi
se non ricordo male un altro volume legato alle memorie locali, ora sinceramente non ricordo
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esattamente quale sia l’articolazione di queste pubblicazioni, però io ho fatto la proposta,
l’hanno accettata, sono io l’inadempiente perché il primo volume di canti popolari avrebbe
dovuto essere pubblicato l'anno scorso e io ci sto ancora lavorando perché, avendo l’occasione
di poter stampare qualche cosa, voglio farlo nel miglior modo possibile, non voglio fare una
cosa raffazzonata, ecco, poi sarà anche una documentazione di valore non rilevante ma credo
che sia sempre importante averla…
M.F.-Ma facendo un passino indietro, la pubblicazione con la Libreria Editrice Fiorentina
com’è avvenuta?
D.P.- Quella è avvenuta in una maniera molto simpatica, perché io avevo fatto un fascicolo
sui canti popolari con i ragazzi, e siccome la Libreria Editrice Fiorentina pubblicava i “Mezzi
scudi”, ero andato lì semplicemente per dire che avevo fatto questo lavoro con i ragazzi, e se
questa ricerca si poteva pubblicare in un “Mezzo scudo” perché la consistenza del fascicolino
non era grossa, ma l’Amerighi, il direttore della collana, mi disse “ma lei c’ha anche altro
materiale?” dissi “sì, “ “ e allora perché non lo usiamo? E allora venne fuori quel volume…
M.F.- Fu lui che ti presentò Malcapi per la trascrizione musicale?
D.P.- Sì, fu un volume che io certamente non rinnego, anzi, il primogenito, quindi gli si vuole
sempre bene, ma in effetti non avevo moltissimo materiale, ho dovuto utilizzare tutto il
materiale che avevo: nel ‘78 la ricerca era appena partita, ero anche un po’ inesperto, c’era
anche un po’ d’ingenuità, se uno lo vede, eh insomma, qualche cosa…rispetto a …rispetto ad
atri volumi in cui ho visto che per guadagnare spazio in una pagina intera c’è pubblicato un
solo stornello, insomma mi sembra di essermela cavata abbastanza bene.
M.F.-Insomma tu ti sei trovato bene…
D.P.-Uno buono che ha fatto è stato quel prete nel Mugello, non lo so,
M.F.- Dev’essere quello del Cioni. Credo di averlo anch’io, ho fatto incetta in quegli anni di
queste cose.
D.P.- Tu ti ricordi il Cioni e io non mi ricordo neanche il titolo del libro…
M.F.- Dunque allora tu ti sei trovato molto bene con gli Enti locali, io ti facevo la domanda e
ti parlavo di punto dolente perché generalmente ….
D.P.- Generalmente c’è disinteresse, ma qui mi hanno anche organizzato delle tavole rotonde,
delle conferenze…
M.F.- Hanno ospitato anche noi come gruppo…
D.P.- Il comune di Terranova, poi anche il Comune di San Giovanni, per alcuni anni ha
pubblicato una rivista, “La Voce” sulla quale io ho pubblicato vari testi, poi con la nuova
gestione, con le nuove gestioni che si sono succedute, la voce era anziana ed è morta, com’è
giusto che sia, gli anziani devono morì, (ridono) quindi il Comune di San Giovanni..
M.F.- Per esempio i finanziamenti per le ricerche non ci sono stati…
D.P.- Non ci sono stati, per le ricerche.
M.F.- In sostanza hanno valorizzato le ricerche che tu avevi fatto.
D.P.- No solo, ma anche quelle volte che sono andato a parlare, credo che due o tre volte mi
abbiano dato quelle due trecento trecentocinquanta mila lire, in altri casi m’hanno precettato,
però lo faccio volentieri, lo faccio anche a nome di quelle persone che mi hanno affidato…
M.F.- Certo, quindi Terranova Bracciolini costituisce un’eccezione in sostanza nelle…
D.P.- Però anche il comune di San Giovanni è abbastanza sensibile, stanno pubblicando una
collana di memorie relative al comune di San Giovanni, certo San Giovanni coltiva i propri
ricordi, Terranova i suoi, non manca la sensibilità, il Valdarno si salva…
M.F.-Ma io generalmente ricordo la sordità incontrata a livello regionale, tu c’eri a San
Casciano Val DI Pesa nel 1982, per questo parlavo di punctum dolens, anche ora come
IDAST insomma troviamo qualche difficoltà, siamo facilitati dal fatto che c’è un nostro
amico, Rivenni…
D.P.-Lo so lo so
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M.F.-L’incontro che abbiamo avuto con l’assessore è stato abbastanza positivo, non so se
vuoi aggiungere qualche cosa…
D.P.-Penserei di no…
M.F.-Ti ringrazio a nome della comunità scientifica ma anche a nome degli altri…
D.P.- Il mio rammarico è che sono stato caotico, ma io non sono sistematico, odio la
sistematicità, vedi se uno viene qui ha l’impressione di uno che è sistematico, ma la
sistematicità è una reazione al mio anarchismo di fondo…
M.F.-Allora grazie ancora e chiudiamo qua.