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IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 09/01/2015
INDICE
IAB ITALIA
Il capitolo non contiene articoli
ADVERTISING ONLINE
09/01/2015 ItaliaOggi
Cosmetici bio, Lush vira sul web
9
09/01/2015 Il Venerdi di Repubblica
Il rapporto online tra cittadini e Stato? Praticamente una caccia al tesoro
10
09/01/2015 L'Espresso
Sarà tutto uno STREAMING
12
09/01/2015 Brand News Today
Sorgenia racconta la personalizzare del servizio nei nuovi spot ideati da RED. A
supporto radio e web
15
09/01/2015 DailyMedia
Automotive Opel lancia la nuova Corsa; firma di Scholz & Friends
16
09/01/2015 DailyNet
Stil Novo Management promuove il Made in Italy di Storytalia
17
09/01/2015 DailyNet
MutuiperlaCasa.com affida la raccolta pubblicitaria dell'app Alert Tasso a DigiMob
18
09/01/2015 DailyNet
Tradelab mette gli sci e si lancia su inediti tracciati rtb
19
09/01/2015 DailyNet
Anno nuovo campagna nuova: SodaStream online anche con display adv
20
09/01/2015 DailyNet
Fcp-Assointernet, a novembre online a +5,6%
21
09/01/2015 DailyNet
Ebay advertising punta sul native e lancia un nuovo formato per mobile
22
09/01/2015 Pubblicita Today
Mindshare, il 2015 parte con una nuova organizzazione e struttura manageriale
23
09/01/2015 Pubblicita Today
MuTuiperlacasa.coM aFFida a diGiMoB la GesTione dell'inVenTorY MoBile
24
09/01/2015 Pubblicita Today
MillWard BroWn diGiTal e snapcHaT insieMe per la Misurazione delle caMpaGne adV
25
09/01/2015 Pubblicom Now
Al via il progetto "Un'idea per Ai.Bi"
26
09/01/2015 Corriere della Sera - Sette
La "cultura veloce" hawaiana ha 24 milioni di voci
27
08/01/2015 Engage.it
Affidata a DigiMob la gestione degli spazi pubblicitari dell'app di
MutuiperlaCasa.com
28
08/01/2015 Engage.it
Millward Brown Digital e Snapchat insieme per la prima misurazione delle campagne
pubblicitarie sulla piattaforma
29
08/01/2015 Engage.it
Tennent's: tv e web in RTB per la nuova campagna della Scotch Ale
31
08/01/2015 Engage.it
MailUp e 4-Tell: un nuovo modulo per ricontattare i potenziali clienti
32
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Draghi: «Pronti ad agire» E Milano sale del 3,7%
34
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Addio anonimato sui conti in Svizzera Patto con l'Italia
36
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«L'Europa aiuti i governi arabi a partire da Al Sisi e Assad»
38
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
I conti del capo del governo sui franchi tiratori: sono al massimo 150
40
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
IL CASO DEL 3% PUO' SALDARE LE OPPOSIZIONI AL LEADER PD
42
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'aumento Santander mette le ali a Mps
43
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
I prezzi delle case giù dello 0,5% Primo rialzo per gli immobili nuovi
44
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La AAA di Costamagna sbarca in Canada con Atreus
45
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'epidemia dimenticata dell'era degli smartphone
46
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Draghi fa volare le Borse: «Acquistiamo titoli di Stato»
47
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Banche, salgono le soglie di capitale
49
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Ottimismo solo sul breve
52
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Delega fiscale, rischio tempi più lunghi
53
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Sprint dei fondi Ue, spesa al 70,7%
55
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Porto Marghera può ripartire
57
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Catania: «Un credito d'imposta sul digitale»
59
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Fca, al voto in ordine sparso sulla sicurezza
60
09/01/2015 Il Sole 24 Ore
Italia-Svizzera, patto a due velocità
61
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Pennac: ci eravamo illusi ora il nemico è in casa
63
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il Front National: "Noi i soli a difendere i francesi"
65
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Greggio, Riad pronta ai tagli produttivi Merrill Lynch: riserve valutarie a rischio
66
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Prezzi in caduta e mutui più pesanti chi vince e chi perde con la deflazione
67
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Le nostre matite per continuare la lotta"
69
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Cacciari: "Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa"
70
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Romano dice che non ci sta ma per molti è un nome possibile"
72
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"No al forum omofobo l'Italia sta abusando del logo dell'Expo"
73
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
Il traffico andata e ritorno "sull'autostrada turca" della jihad
75
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Non serve addestrarsi al fronte basta la rabbia che cova in città"
76
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
Plantu: "Continueremo a prendere in giro Con le matite denunciamo le violenze"
77
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
Mogherini: "Non cediamo agli impulsi La Ue difenda i valori della convivenza"
78
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
Quirinale, l'ipotesi primarie riapre i giochi dentro il Pd
79
09/01/2015 La Stampa - Nazionale
Terremoto al vertice della Consob
80
09/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Il presidente Bce cerca la mediazione dimezzando l'intervento a 500 miliardi
81
09/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Berlusconi: mi ricandido a palazzo Chigi
83
09/01/2015 Il Giornale - Nazionale
Le mosse di Bersani per Prodi al Quirinale
84
09/01/2015 Avvenire - Nazionale
Fassino: odio e paura si vincono con politiche di integrazione
85
09/01/2015 Il Manifesto - Nazionale
«Un atto odioso, ma la colpa è di Francia e Stati uniti»
87
09/01/2015 Libero - Nazionale
Daniel Pipes: «Suicida la strategia europea verso i musulmani»
89
09/01/2015 Libero - Nazionale
Matteo Salvini: «Basta regali a chi ci vuole morti»
91
09/01/2015 ItaliaOggi
Berlusconi azionista di Mediolanum andrebbe encomiato, non sanzionato
93
09/01/2015 Financial Times
Europe's rejuvenated rightwing anti-immigration parties seek to exploit magazine
killings
94
09/01/2015 International New York Times
Tours of Vatican from a gay perspective
95
09/01/2015 The Guardian
Rail link would destroy historic architectural gem
96
09/01/2015 The Guardian
Killer disease threatens European olive groves
97
09/01/2015 The Times
Rome puts brake on Bond's Italian job
98
09/01/2015 Le Monde
En bref
99
09/01/2015 Le Monde
Silvio Berlusconi veut une réduction de peine
100
09/01/2015 Les Echos
Sidérurgie : Rome nationalise le plus gros site d'Europe
101
09/01/2015 Les Echos
L'Expo 2015 à Milan : scandales et ambitions à l'italienne
102
09/01/2015 Wall Street Journal
Santander To Raise Capital, Cut Payout
103
09/01/2015 Wall Street Journal
Brazil Takes Risky Shift on Cheap Loans
105
09/01/2015 Il Venerdi di Repubblica
Incredibile ma vero: la Lega di Salvini fa rimpiangere il Dio Po
107
09/01/2015 L'Espresso
Queste parole vorrei sentire
108
09/01/2015 L'Espresso
L'incubo di HOULLEBECQ
110
09/01/2015 L'Espresso
IL POTERE DEL FANGO
113
09/01/2015 L'Espresso
Come ti prendo l'EvasorE
117
09/01/2015 Panorama
L'Agnelli che vuole salire in Fiat
120
09/01/2015 Corriere della Sera - Sette
Entriamo nel "15" con le paure del "14"
122
02/01/2015 Courrier International
Le pétrole bon marché, un remède à la crise ?
123
ADVERTISING ONLINE
20 articoli
09/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il marchio britannico investe per la prima volta sul digitale per promuoversi fuori dai negozi
Cosmetici bio, Lush vira sul web
Apre Kitchen, laboratorio e negozio sempre connesso online
IRENE GREGUOLI VENINI
Lush dà spazio al mondo digitale per portare il brand anche fuori dai negozi: l'azienda inglese specializzata in
cosmetici fatti a mano, a base di frutta e verdura, ha lanciato una strategia che affianca ai monomarca, oggi
900 in 51 paesi di cui 40 in Italia, una forte componente di comunicazione sul web. L'obiettivo è replicare in
rete il più fedelmente possibile l'esperienza dei clienti nei punti vendita. I primi passi in questa direzione sono
rappresentati da un sito rinnovato e dall'apertura di Lush Kitchen, un piccolo laboratorio in cui vengono
preparati prodotti freschi e in edizione limitata, diversi ogni giorno, acquistabili solo via internet, con la
possibilità di assistere online alla lavorazione degli ingredienti. La svolta digitale del marchio è partita a marzo
dell'anno scorso nel Regno Unito, dove l'azienda ha sede (a Poole, nel Sud dell'Inghilterra), per estendersi a
tutta Europa nel 2015, sotto la guida di Jack Constantine, figlio di uno dei fondatori del brand ( Mark
Constantine ), che ha assunto la carica di digital managing director. «Dal momento che non facciamo
pubblicità, il modo principale per sviluppare il brand è attraverso internet», spiega Jack Constantine. «Oggi
non c'è un leader online nella cosmetica, non c'è uno spazio cui rivolgersi per i migliori prodotti e le migliori
informazioni. L'ambizione è costruire il nostro marchio online in modo che diventi questo. Gli strumenti digitali
consentono alla tecnologia di connettere le persone attraverso la nostra community e di costruire relazioni
che portino i clienti al cuore del nostro business». Per quasi vent'anni il marchio, fondato nel 1995 da cinque
esperti in cosmesi naturale vegetariani e presente in Italia dal 1998, è stato visibile solo nei punti vendita.
«Oggi riconosciamo che per diventare un'azienda del futuro dobbiamo mettere internet al centro del nostro
business. Questo è un grande cambiamento per noi. L'obiettivo è offrire ai potenziali nuovi clienti una fi nestra
sugli aspetti unici della nostra attività». La caratteristica dei cosmetici di Lush su cui si punta a livello di
comunicazione, tra saponi, shampoo, trattamenti per il corpo e il viso, è di essere fatti con frutta e verdura
fresca, biologica o proveniente dal commercio equo e solidale, oli essenziali e sintetici sicuri, senza
componenti di origine animale (o sperimentati su animali); inoltre i prodotti sono realizzati a mano (sulle
etichette è specifi cato il nome di chi ci ha lavorato). Nell'ottica di «massimizzare l'impatto degli strumenti
digitali e creare un ambiente ideale per i consumatori che dia una sensazione il più possibile vicina alla
realtà», è stato completato un restyling del sito inglese, operazione che quest'anno toccherà anche il sito
italiano, focalizzandosi sulle immagini e i video per raccontare i prodotti e gli ingredienti. Un'altra componente
della strategia è «un servizio chiamato Lush Kitchen, grazie a cui i clienti possono vedere la lavorazione dei
prodotti e acquistare cosmetici esclusivi disponibili solo online», dichiara il digital managing director. Si tratta
di un laboratorio in cui vengono prodotte quotidianamente piccole quantità di cosmetici in edizione limitata,
spediti agli acquirenti lo stesso giorno in cui sono realizzati. I consumatori possono seguire le fasi della
lavorazione e conoscere gli ingredienti utilizzati grazie a un'apposita area online e seguirne l'iter sui social
network, con eventi speciali e risposte dell'esperto in streaming. Un'altra iniziativa per dare voce al brand
anche fuori dai negozi è infi ne la diffusione online del video The Experimenter, creato in collaborazione con
l'agenzia di produzione The Mill, che trae ispirazione dagli utenti e dalle loro creazioni condivise attraverso i
social network, in cui si mostrano gli effetti dei prodotti nell'acqua. «Vogliamo estendere la nostra strategia
digitale in tutta Europa quest'anno», continua Constantine. Anche perché, come risultato, «abbiamo assistito
a un fantastico aumento delle vendite e abbiamo quasi raddoppiato il pubblico del nostro sito l'anno scorso».
Un anno, il 2014, in cui l'azienda, stando alle parole del manager, «ha avuto un'ottima performance e un
Natale eccezionale, sia nel mondo sia in Italia». © Riproduzione riservata
Foto: Sopra, un interno di Lush Kitchen, a destra, Jack Constantine e, a sinistra, il negozio Lush a Venezia
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
9
09/01/2015
Il Venerdi di Repubblica - N.1399 - 9 gennaio 2015
Pag. 46
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Il rapporto online tra cittadini e Stato? Praticamente una caccia al tesoro
paolo BarBeris, consigliere di renzi per l'innovazione : non Basta digitalizzare. Bisogna farlo Bene. altrimenti...
Quit the Doner*
Paolo Barberis ha raggiunto la ricchezza dopo aver fondato nel 1994 Dada, pioneristica società al centro
della storia del web italiano poi ceduta a Rcs, e oggi, a 48 anni, gestisce, insieme ad Alessandro Sordi e
Jacopo Marello, ex soci di Dada, un incubatore di start up con sede in una vecchia tintoria industriale appena
fuori dalle mura del centro di Firenze. Da qualche mese è anche consigliere all'innovazione del premier
Matteo Renzi, un rapporto nato dopo un incontro durante un panel sulla tecnologia. A settembre ha
accompagnato il presidente del Consiglio nel suo viaggio nella Silicon Valley. Lì che cosa avete fatto
esattamente? «A Google abbiamo provato gli ultimi Google glass, Google Now, le auto automatizzate e i
sistemi di life-care ( tecnologie sanitarie ) in cui stanno investendo molto. Lo scopo del viaggio era vedere lo
stato dell'arte dei progetti di dominio pubblico. Siamo stati anche a Yahoo e a Twitter, abbiamo preso contatti
con gli italiani che lavorano nella Silicon Valley e pensato a come migliorare la digitalizzazione dello Stato
italiano». Lei ha criticato l'introduzione di una web tax per obbligare le grandi corporation del web a pagare le
tasse nei Paesi dove le loro pubblicità vengono visualizzate. «Il principio è sacrosanto, ma il metodo era
assolutamente sbagliato. Avrebbe comportato un aumento esponenziale della burocrazia, obbligando, per
esempio, tutti gli inserzionisti ad aprire una partita Iva nel nostro Paese. Era un provvedimento pensato senza
capire bene come funziona il web. Il problema va afrontato in sede europea, con una soluzione unica per
tutta la comunità, in modo da rendere i costi burocratici sostenibili per le aziende». Fino ad oggi il web è stato
vissuto dalle grandi aziende secondo lo spirito anarco-liberista della disruption , il sovvertimento delle regole,
ma proprio l'Europa ha di recente vinto una battaglia sul diritto all'oblio, la Spagna si è scontrata sia con
Google che con Uber, in Francia è stata fatta una legge contro gli sconti di Amazon. Crede che sia
necessario normare la rete? «Il web deve diventare oggetto di riessione politica, ma non solo in termini di
proibizioni. Non bisogna dimenticare che in America lo Stato ha investito cifre ingenti nello sviluppo delle
aziende tecnologiche. Il punto è cambiare approccio, smettere di subire le decisioni altrui e applicare una
sensibilità europea, diversa da quella americana». Lei è noto per la sua capacità di creare interfacce
funzionali, come pensa di applicare questi saperi al suo incarico? «È necessario cambiare il rapporto fra il
cittadino e lo Stato. Adesso i servizi online per fare un iscrizione o un pagamento assomigliano a una caccia
al tesoro, sicuramente bisognerà interpretare meglio il nuovo digitale». L'emblema tipico della digitalizzazione
italiana è l'aula d'informatica in un istituto di provincia che in due anni diventa vecchia e inutilizzabile.
«Esattamente, l'obsolescenza è tale che l'hardware non può essere la priorità, servono infrastrutture più
leggere, il punto deve essere il processo e l'organicità del progetto, poi il problema del device si può risolvere
in vari modi. Bisogna cambiare l'approccio secondo il quale è possibile riconoscere stratificazioni di epoche
diverse nei siti istituzionali. Cambiano i modi in cui stiamo online, ma questo genere di siti rimane simile a se
stesso. Serve una nuova architettura che ponga al centro il cittadino superando così la metafora dell'ufcio
virtuale. Questo significa sostanzialmente avere un'interfaccia personale con tutto quello che ti può servire a
portata di mano, riunire tutti i dati in unico cloud. In Estonia è stata fatta una sperimentazione per tentare di
non chiedere due volte la stessa informazione al cittadino: mi sembra una buona direzione anche per noi».
Tempo fa lei ha detto che la percentuale di Pil derivante dall'economia digitale doveva salire dal 3 al 5 per
cento. «La competitività digitale è un tema la cui importanza è sotto gli occhi di tutti, non riguarda solo le start
up innovative ma anche le piccole e medie imprese e le competenze delle persone che cercano». Ci sono
però diversi studi, come quello di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Mit di Boston, che sostengono che
fra l'aumento della tecnologia e quello dei posti di lavoro dagli anni Novanta la correlazione non sia più
positiva ma negativa. «Il digitale di per sé non è una garanzia di maggiore efcienza, anzi è successo che
abbia complicato le cose, per questo va fatto bene: il punto è semplificare i processi, renderli più leggeri per
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
economie PAESE FUTURO
09/01/2015
Il Venerdi di Repubblica - N.1399 - 9 gennaio 2015
Pag. 46
(diffusione:687955, tiratura:539384)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
liberare tempo e le energie delle persone. Su quanto questo possa creare occupazione direi che ci sono
esempi in cui le cose sono andate così, ma certo la correlazione non è necessaria. Bisogna guardare il
processo nel suo insieme, la tecnologia è solo una parte del tutto, non è detto che sia l'unica ricetta. Però se
pensiamo di non semplificare perché una cosa più complicata ha bisogno di più lavoratori, allora tanto vale
che ci mettiamo a spingere le macchine perché i motori tolgono lavoro. Certo andranno pensate anche delle
misure difensive per trovare l'equilibrio fra tecnologia e occupazione». Certi mestieri nell'era del web
sembrano comunque destinati all'estinzione. Crede che, semplicemente, quello che non è più sostenibile
dovrà scomparire? «Non credo questo, ma il mondo sta cambiando e al di là di quello che può fare un
governo, la persona che sente il proprio lavoro minacciato non può pensare solo a quello che una legge può
fare per lui. Questo non lo dico perché non si possa pensare di intervenire, anzi è probabile che sarà
necessario ideare anche delle norme difensive, ma non ci si può afdare solo a questo per afrontare il futuro. I
lavori cambiano continuamente: non significa che dobbiamo essere acriticamente a favore degli approcci
disruptive , anzi, ci vuole una sensibilità, anche perché spesso i grandi cambiamenti sono fuochi di paglia che
durano tre mesi e sono buoni soprattutto per fare qualche titolo di giornale. Ma è stato l'atteggiamento di
conservazione tout court a far sì che consegnassimo la rete italiana a servizi stranieri. In più la narrazione
mediatica della tecnologia in Italia è stata spesso esterofila, concentrata sui servizi americani o su questo o
quel giovane milionario della Silicon Valley: il che ha assecondato questo andamento». Paesi come la Russia
o la Cina hanno capito in fretta l'importanza dei social network e hanno realizzato i loro, in Europa questo non
è successo. «L'importante è non opporsi radicalmente a questi mega-trend ma cercare di interpretarli,
altrimenti li si subisce e basta. Concentrerei l'oferta europea su un altro tipo di web, non quello commerciale
ma quello in grado di ofrire servizi al cittadino». * giornalista, scrittore e blogger FONTE Audiweb sETTEmbrE 2014
Sempre più connessi 40 milioni Gli italiani tra i 11 e i 74 anni che possono accedere a internet: da casa 35,4
milioni, pari al 75%; dai luoghi di lavoro 10,7 milioni (48,4% degli occupati); dal cellulare 26,5 milioni (pari al
56,1% degli individui). Con il tablet 9,5 milioni (pari al 20,1%). 6,8 %Il trend di crescita degli accessi a internet
negli ultimi due anni 48 %Gli utenti della rete italiani che dichiarano di ricevere da internet un aiuto nella
scelta di prodotti e servizi
Foto: I siti istituzionali devono avere un'architettura che ponga al centro il cittadino superando l'idea dell'ufcio
virtuale
Foto: ANsA / mAuriZiO brAmbATTi A sinistra, il premier Matteo Renzi . Sopra, ancora il presidente del
Consiglio con Paolo Barberis (a destra) e l'amministratore delegato di Twitter Dick Costolo. L'incontro è
avvenuto a settembre durante la visita americana di Renzi
09/01/2015
L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
Pag. 94
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Sarà tutto uno STREAMING
L'anno scorso ha segnato il sorpasso della musica "usufruita" su quella scaricata. Un fenomeno che nel 2015
si allargherà non soltanto ai film e alla tv, ma anche ai libri
Carola Frediani
Sul fnire del 2014 YouTube ha lanciato Music Key, un servizio in abbonamento che permette di vedere video
musicali senza pubblicità, oltre che di fruirli offine. Il pacchetto include Google Play Music, che consente di
ascoltare musica in streaming. Il tutto per un costo che ormai rappresenta una tariffa cristallizzata della
fruizione senza limiti di contenuti: 9,99 euro al mese. Della nuova aria che tirava nel settore si era avuto
peraltro sentore già da settembre, quando la Federazione industria musicale italiana aveva iniziato a
calcolare i singoli digitali più venduti in Italia includendo anche l'ascolto in streaming, per tenere il passo con il
comportamento dei consumatori. La decisione era arrivata dopo un anno in cui si è assistito, anche da noi, al
sorpasso dello streaming sul download. Il primo, sia audio che video, è cresciuto del 95 per cento, ha
superato il secondo e oggi ammonta al 55 per cento dei ricavi del digitale. Complessivamente, ha generato
12,6 milioni di euro contro i 9,8 del download. A livello audio a farla da padroni da noi, fno ad oggi, sono stati
tre servizi: TIMmusic, Deezer e Spotify. Quest'ultima azienda, nata in Svezia nel 2008 e oggi presente in 57
Paesi, è stata quella che più di ogni altra ha sdoganato il concetto di "accesso illimitato" e on demand a un
contenuto digitale. «Alla fne degli anni Novanta sembrava che le persone non ascoltassero più musica; in
realtà le modalità di consumo c'erano ma erano frammentate oppure non producevano valore, come nella
pirateria», dice a "l'Espresso" Veronica Diquattro, 31 anni, responsabile per l'Italia di Spotify. «La sfda è stata
quella di defnire un modello di business vicino al consumatore, orientato all'accesso invece che al possesso».
Quindi un'offerta allyou-can-eat, «tutto quello che puoi consumare», da distribuire su una molteplicità di
dispositivi. Due sono le gambe su cui si regge il sistema: l'accesso gratuito, che permette l'ascolto on demand
di qualsiasi canzone con annunci pubblicitari; e quello a pagamento (9,99 euro al mese) che elimina la
pubblicità, permette di ascoltare musica offine e senza limitazioni anche su mobile. Sul rapporto fra queste
due opzioni sta in equilibrio il futuro della musica digitale. Oggi Spotify conta su 50 milioni di utenti attivi
mensili a livello globale, di cui 12,5 milioni a pagamento. «Abbiamo un tasso di conversione dalla base
gratuita a quella di abbonati di più del 20 per cento», spiega Diquattro. Gestire un servizio in streaming non è
cosa da poco dal punto di vista tecnologico. Uno degli aspetti cruciali è garantire una buona qualità di ascolto
e un tempo minimo di buffering nel riprodurre una canzone. Spotify, su oltre mille dipendenti, ha almeno 500
ingegneri che a Stoccolma si occupano di questo e di altre questioni tecniche. Dal punto di vista dell'industria
musicale però non è tutto oro quello che luccica. Se è vero che lo streaming ha fatto ripartire il mercato in
Paesi come la Svezia, negli Stati Uniti va a incidere sulle vendite in download, sottraendo da lì preziosi
acquirenti, sostiene un rapporto di Midia Research. Tuttavia la previsione è che questo tipo di offerta basata
sull'accesso sarà in grado di raggiungere anche persone che fno ad oggi non erano molto interessate alla
musica. «Non è indifferente questo risvolto», spiega Enzo Mazza, presidente della Fimi. «Per la prima volta il
mercato musicale sta andando su quello di massa. Il download coinvolgeva ancora i consumatori di musica
tradizionali, qui invece si allarga il bacino. Inoltre servizi di streaming come Spotify ma anche YouTube hanno
ridotto la pirateria». Di sicuro, c'è un fatto: dopo 11 anni di crisi nera, a partire dal 2013 e più ancora dal 2014,
il mercato musicale in Italia è ripartito. E ora, a livello globale, si stanno affacciando dei pezzi grossi. Abbiamo
detto di YouTube (che è di Google). Ma c'è molta attesa anche per quello che potrebbe fare Apple, che ha le
potenzialità di «ridisegnare l'intero mercato», scrivono sempre gli analisti di Midia Research, notando come
l'acquisizione di Beats, azienda musicale con un servizio on demand inglobata dalla Mela morsicata, sia una
palese dichiarazione d'intenti. C'è anche chi sperimenta col tipo di offerta. Come il russo Zvooq, altro servizio
di musica on demand, che ha scommesso su un modello variegato, con molte formule di abbonamento a
prezzi diversi. Anche se la sua battaglia, in un Paese dominato dalla pirateria, è tutta in salita. L'esplosione
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Tecnologia web / tendenze
09/01/2015
L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
Pag. 94
(diffusione:369755, tiratura:500452)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dello streaming non si limita però al mondo musicale. Amazon ore propone Kindle Unlimited, un servizio in
abbonamento che permette di accedere a 700 mila ebook e a migliaia di audiolibri per 9,99 euro al mese.Il
servizio è arrivato anche in Italia, dove offre, oltre ai testi in lingua straniera, 15mila titoli in italiano. Pochi i
best seller però fnora, e ancora poco convinti i grossi editori nazionali. Il colosso dei libri non è l'unico a
muoversi in questa direzione. In precedenza aveva già lanciato un modello di questo tipo la startup Oyster.
Ma anche una casa editrice di titoli per ragazzi, Scholastic, ha fatto sapere di voler passare allo streaming la
sua sezione ebook. Anche in Italia stanno arrivando offerte simili, come Bookstreams.it, che mette a
disposizione una biblioteca di circa 2.200 ebook, il cui accesso è regolato attraverso un sistema a punti; o
anche Lea, un'iniziativa a cui sta lavorando la casa editrice Laterza. E il prossimo turno sarà probabilmente
quello delle riviste in streaming. «Si sta affermando il concetto di fruizione rispetto a quello di possesso, che è
legato al mondo analogico», commenta Andrea Rangone, professore del Politecnico di Milano e coordinatore
dei suoi Osservatori ICT. «I contenuti digitali hanno un costo di distribuzione unitario quasi nullo, mentre il
collegamento via Internet permette l'accesso a una infnità di prodotti». In questo quadro manca ancora però
uno dei principali protagonisti della rivoluzione dell'accesso: Netfix. Il servizio di streaming video a pagamento
nato negli Stati Uniti e sbarcato anche in Europa, con prezzi - ancora una volta - intorno ai 9 euro al mese,
conta su 60 milioni di iscritti, anche se negli ultimi mesi la crescita del numero di abbonamenti è stata inferiore
alle previsioni. E tuttavia l'azienda americana ha iniziato un aggressivo piano espansionistico nel Vecchio
Continente, dove dall'autunno ha aggiunto sei nuovi Paesi, incluse Francia e Germania. Non anciora l'Italia,
però. I più ottimisti scommettono che quest'anno arrivi anche da noi. A scoraggiarne l'ingresso, almeno per
ora, sono un insieme di fattori, che includono la scarsa qualità e penetrazione della banda larga e delle smart
tv; ma anche un mercato di diritti ed esclusive chiuso e compartimentato. «La questione della banda larga è
centrale per qualsiasi sviluppo dell'economia digitale dei prossimi anni, e questo Stati Uniti e Nord Europa
l'hanno capito bene», aggiunge Rangone. «Nel caso di Netfix c'è anche un problema linguistico e culturale: il
suo catalogo, basato su tanti titoli di nicchia, deve includere molti flm in lingua originale e con sottotitoli, a cui
in genere il pubblico italiano non è abituato». La direzione comunque è segnata. Il blocco Netfix-SpotifyKindle Unlimited, e ora YouTube Music Key, mostra un'evoluzione della nostra intera industria culturale verso
il modello digitale e a sottoscrizione. Tuttavia, al di là del primo entusiasmo da parte di consumatori sedotti
dall'all-you-can-eat, rimane ancora incerto come tale trasformazione toccherà il mondo degli autori da un lato
e dei rivenditori dall'altro. Il rischio è di consolidare la posizione dei soggetti più forti. Foto: Shutterstock (3), G.
Giansanti - Contrasto
La Rete fa da apripista nel processo globale che porta dal possesso all'accesso
Questi i servizi già on line
YouTube Music Key Google ha lanciato un servizio in abbonamento - presente anche in Italia, ma per ora su
invito - per guardare e ascoltare, senza pubblicità e anche offine, la videolibreria musicale di YouTube. È
incluso l'accesso ai 30 milioni di brani del servizio in streaming Google Play Music. Costo: 9,99 euro al mese
(7,99 per i primi utenti). Spotify Nato in Svezia nel 2008, questo servizio di streaming musicale offre due
opzioni: una gratuita con pubblicità e un ascolto con alcune limitazioni su dispositivi mobili; una premium a
9,99 euro al mese senza pubblicità e senza limitazioni per i dispositivi mobili, con anche possibilità di
ascoltarsi offine i brani. Deezer Servizio di streaming musicale con oltre 30 milioni di brani, di origine
francese, fno ad oggi principale rivale di Spotify. Cinque milioni di abbonati a livello globale e 16 milioni di
utenti mensili. Offre due opzioni: Discovery, gratis solo su web con pubblicità; Premium+, a 9,99 euro al mese
senza pubblicità su tutti i dispositivi. TIMmusic Servizio per clienti Telecom Italia che consente di accedere a
un catalogo di brani e ascoltarli in streaming. In abbonamento a 4 euro al mese. Sempre di Telecom Italia c'è
anche il servizio di streaming video TIMvision. Kindle Unlimited Amazon ha lanciato anche in Italia il suo
nuovo servizio in streaming. Con 9,99 euro al mese si può accedere a un catalogo di 700 mila ebook, di cui
15mila in italiano. Non si possono leggere in contemporanea più di dieci titoli al mese. NetÁix Servizio di
video streaming nato negli Usa e arrivato anche in Europa (non ancora in Italia). Per circa 8/9 euro si può
09/01/2015
L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
Pag. 94
(diffusione:369755, tiratura:500452)
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accedere senza limiti a flm, teleflm etc con diversi dispositivi.
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09/01/2015
Brand News Today
Pag. 1.10
Sorgenia racconta la personalizzare del servizio nei nuovi spot ideati da
RED. A supporto radio e web
A pag. 10 Sorgenia è tornata in tv con una nuova pianificazione in continuità con la campagna ' Ogni energia
all'impresa italiana', andata in onda a luglio per la regia di Luca Lucini. Per questo flight sono stati realizzati
formati speciali diversificati a seconda delle emittenti, che raccontano in un dialogo fra un imprenditore e un
consulente Sorgenia come l'azienda energetica sia riuscita a soddisfare le richieste delle imprese, attraverso
soluzioni specifiche alle loro esigenze di consumo. Sono stati ideati due generi di film che descrivono i due
momenti dell'acquisizione di un nuovo cliente: i primi (da 15 e 30 secondi) mostrano le richieste nei confronti
di Sorgenia di veri piccoli imprenditori, non ancora clienti, mentre i secondi (da 45") raccontano il lavoro e le
risposte di Sorgenia, e culminano con la firma del contratto. L'obiettivo è comunicare il servizio di
personalizzazione che Sorgenia offre ai suoi clienti. Le emittenti coinvolte nella pianificazione sono Rai,
Mediaset, Sky e Cielo, La7, Class e canali Discovery. I format speciali vanno in onda con filmati da 15, 30, 45
e 60 secondi. Contemporaneamente la radio sostiene la tv con creatività che affrontano i bisogni in tema
energetico di diverse tipologie di imprenditori. La programmazione radio sarà on air dall'11 gennaio sulle
principali emittenti nazionali quali Radio Rai, Radio 24, Rtl 102.5, DeeJay, Capital, 101, Rds, Radio Italia,
Kiss Kiss, Gruppo Finelco. Sul web vengono diffusi i video della campagna tv, con una pianificazione che
incrocia concessionarie (RCS, WebSystem, Manzoni, PrimeRealTime, Mediamond, Class Editori, Improve
Digital, Youtube) e acquisto in programmatic buying teso a massimizzare le visualizzazioni sul target di
riferimento. La pianificazione su tv e radio è stata realizzata da Wip Consulting; per quella sul web è stata
coinvolta Sembox. La creatività è di Red-Robiglio&Dematteis.
Foto: In basso l'istituzionale da 15", sopra due speciali realizzati per la Rai
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ENERGIA
09/01/2015
DailyMedia
Pag. 10
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Carat, MRM e Cohn & Wolfe le alter agenzie coinvolte nel progetto, on air da lunedì dopo la fase teaser
Lunedì prossimo è il giorno del debutto della nuova campagna pubblicitaria per il lancio della nuova Corsa,
"Oh! è una Opel!". La comunicazione punta sulla sorpresa e rende protagonista un'esclamazione conosciuta
in tutto il mondo, "Oh!" appunto. La campagna integrata, diretta da André Kemper, è stata creata in
collaborazione con Scholz & Friends, l'agenzia internazionale di Opel, e sarà diffusa in televisione, su
stampa, radio, affissione, online, social media e nelle concessionarie del marchio. "La campagna di nuova
Corsa costituisce un ulteriore capitolo nel nostro progetto 'Cambia il tuo modo di pensare' - ha dichiarato Tina
Müller, cmo di Opel Group -. Nuova Corsa invita a guardare Opel con occhi nuovi". La fase teaser è partita in
30 mercati lo scorso 30 dicembre. Il lancio vero e proprio prenderà il via , come detto, lunedì 12 gennaio con
la pianificazione di spot televisivi, il coinvolgimento di affissioni e di advertising online. In Italia, e nei mercati
Internazionali, Claudia Schiffer resta la testimonial di Opel e di nuova Corsa. In Germania, insieme agli
ambasciatori del marchio Nadja Uhl, Ken Duken e Jürgen Klopp, la nuova Opel Corsa apparirà in cinque spot
televisivi della durata di 30 secondi trasmessi su tutti i principali canali televisivi. Protagonista la modella
tedesca Eva Padberg, entrata di recente a far parte della squadra Opel. Sul fronte dell'online, Scholz &
Friends ha sviluppato un sito dedicato alla campagna, ilnuovoOH.it, dove vengono descritte e rappresentate
visivamente le caratteristiche di nuova Corsa. Il sito contiene animazioni interattive e messaggi video
personalizzati. Opel ha realizzato la campagna in stretta collaborazione con le proprie agenzie. André
Kemper ha avuto la responsabilità dell'idea e delle realizzazione per la televisione e la stampa. Direzione del
progetto, produzione digitale e lancio in più di 30 mercati europei sono stati affidati a Scholz & Friends. Carat
si è occupata del media planning, MRM della realizzazione online. Le attività sui social media sono gestite in
Italia da Cohn & Wolfe.
Foto: CLiCCa SuL fRaMe PeR vedeRe Lo SPot
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Automotive Opel lancia la nuova Corsa; firma di Scholz & Friends
09/01/2015
DailyNet
Pag. 1
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Stil Novo Management promuove il Made in Italy di Storytalia
Stil Novo Management promuove il Made in Italy di Storytalia 4 un portale che aiuti, spinga verso la
conoscenza del sempre ricercato, malgrado i tempi, made in italy. si chiama storytalia, progetto inserito nel
piano straordinario dal mise e comunicato all'ice-agenzia. un sito partito, dopo una lunga gestazione, lo
scorso novembre, uno spazio che punta a unire l'aspetto culturale con quello commerciale, essendo di fatto
organizzato come uno spazio adibito all'ecommerce. per promuoverne le sorti è stata affidata la
comunicazione a una struttura pubblicitaria, ma senza il bisogno di indire una consultazione ad hoc. la
struttura prescelta è la stil novo management spa, di sede a milano, il valore del'incarico si aggira intorno ai
240.000 euro, iva esclusa. il lancio organizzato dalla struttura lombarda prevede campagna di marketing
online che attraverso l'impiego di google favorisca la visibilità del portale.
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Incarichi
09/01/2015
DailyNet
Pag. 9
(diffusione:15000, tiratura:15000)
MutuiperlaCasa.com affida la raccolta pubblicitaria dell'app Alert Tasso a
DigiMob
Sarà rilasciata a febbraio e sarà ottimizzata per device iOS e Android. Oltre a formati mobile native, la
concessionaria del gruppo DigiTouch curerà anche la pianificazione di rich media, video advertising e formati
mobile standard
digimob, la concessionaria mobile parte del gruppo digitouch, è stata scelta da mutuiperlacasa.com come
partner per la gestione dell'inventory mobile dell'app del comparatore italiano di mutui online, il cui rilascio è
previsto per il prossimo febbraio. già attivo sul web dal 2011 con un volume di visite giornaliere pari a 100mila
views, mutuiperlacasa.com ha deciso dunque di estendere la propria presenza anche su smartphone
attraverso l'app alert tasso, ottimizzata per android e ios, ora in fase di realizzazione a cura del gruppo
digitouch. "siamo soddisfatti dell'accordo stretto con mutuiperlacasa.com perché ci consente non solo di
estendere l'inventory su un settore verticale non ancora presidiato ma anche di poter studiare dei formati
mobile native, pensati in esclusiva per l'applicazione alert tasso e per il suo target specifico», ha commentato
paolo mardegan, managing director di digimob. oltre a formati mobile native, digimob curerà anche la
pianificazione di rich media, video adv e formati mobile standard.
Foto: paolo mardegan, managing director di digimob
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Mercato
09/01/2015
DailyNet
Pag. 13
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Tradelab mette gli sci e si lancia su inediti tracciati rtb
La piattaforma propone ai fornitori di attrezzature sportive nuove metodologie per incrementare le vendite
con la settimana bianca ormai alle porte tradelab - programmatic marketing platform - non poteva non
proporre ai fornitori di attrezzature sportive procedure rtb con le quali incrementare le vendite nel periodo più
propizio. una scelta adeguata all'attualità in cui il web è sicuramente un ottimo canale di prevendita; come
negarlo di fronte al 43% degli italiani che effettua ricerche online prima di comprare un prodotto, al 28% che
dichiara di aver scoperto proprio tramite internet un prodotto in seguito acquistato e al 29% che ha effettuato
il suo ultimo acquisto online (nel settore vestiti & calzature). e allora tradelab ha individuato quattro possibili
mosse tattiche: il meteo advertising, ovvero sincronizzare gli annunci in tempo reale in base alla temperatura,
al tasso di umidità e alle condizioni meteorologiche più in generale; il che può portare a un incremento del
tasso medio di clic superiore del 50%-120%; il geotargeting mobile, che significa selezionare attentamente il
perimetro geografico di interesse e catturare l'attenzione degli utenti mobile appartenenti al target di
riferimento indirizzando loro una pubblicità mirata; investire sul video, formato adatto agli amanti degli sport
invernali, generalmente appassionati di filmati sull'argomento; utilizzare il targeting contestuale e i data,
programmando una diffusione contestuale della campagna (tramite l'analisi semantica) su siti sportivi o
rubriche relative agli sport invernali grazie all'utilizzo dei segmenti di data sui profili affini all'offerta promossa.
Foto: l'infografica che sintetizza i quattro "consigli" proposti da tradelab ai fornitori di attrezzature sportive
invernali in materia di rtb
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Strategie
09/01/2015
DailyNet
Pag. 16
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Anno nuovo campagna nuova: SodaStream online anche con display adv
La pianificazione è stata curata da Media Italia
È partita in questi giorni la campagna video di sodastream italia che porterà l'azienda poduttrice di sistemi di
gasatura per la casa in tv, dopo l'esordio a dicembre in digitale sul canale online Youtube, con una
comunicazione prevista per tutto il mese di gennaio sulle emittenti rai, mediaset, cairo, sKY e discovery. la
pianificazione riprenderà anche nel mese di febbraio con, in più, un investimento anche nella parte digital con
Youtube e display advertising. per quanto riguarda la creatività e il concept, visto il successo e il gradimento
ottenuto, sodastream ha scelto di mantenere fede allo spot già trasmesso nell'estate 2014 proponendo però
un nuovo claim puntando sul cavallo di battaglia: "l'acqua frizzante senza carico pesante". la pianificazione
media è stata affidata a media italia, agenzia media specializzata nella gestione degli investimenti in rete.
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Advertising
09/01/2015
DailyNet
Pag. 18
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Fcp-Assointernet, a novembre online a +5,6%
A far la parte del leone il mobile, che cresce del 41,2%. "Il dato rafforza le prospettive di un 2014 in
incremento", ha affermato il presidente Roberto Zanaboni. Primi dieci mesi a +0,7%
novembre positivo per il mercato della pubblicità online. secondo i dati rilasciati da fcp-assointernet, il
comparto ha chiuso a +5,6% con il web a +4,4%, tablets a + 0,7%, smart tv/console a +19,8 e mobile a
+41,2%. un risultato che porta il cumulato gennaio-novembre a +0,7%. "a novembre la performance delle
concessionarie rilevate da fcp-assointernet è nel complesso particolarmente positiva: +5,6% gli investimenti
su internet rispetto allo stesso mese del 2013. il progresso più significativo lo fa registrare ancora una volta il
mobile ma la crescita riguarda tutti i device. anche se i bilanci finali si faranno a chiusura d'anno, per il mezzo
internet il dato di novembre rafforza le prospettive di un 2014 in incremento. un risultato da non sottovalutare
alla luce delle attuali turbolenze del mercato".
Foto: roberto zanaboni
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rilevazioni
09/01/2015
DailyNet
Pag. 20
(diffusione:15000, tiratura:15000)
Ebay advertising punta sul native e lancia un nuovo formato per mobile
Presente sull'home page dell'app eBay ha fatto il suo esordio con la campagna "WoW" di CheBanca!
chiusura d'anno all'insegna delle novità per eBay advertising, che sul finire del 2014 ha annunciato di aver
introdotto un nuovo formato di native advertising per mobile, presente sull'home page dell'app mobile eBay
(android, ios, msite). il primo cliente a usufruire di questo formato è stato cheBanca! con la campagna
"WoW". "il native advertising - spiega matteo longoni, commercial director advertising for france, italy and
spain - è sicuramente uno dei format pubblicitari più efficaci poiché è in grado di attirare l'attenzione
dell'utente, fornendo informazioni aggiuntive e integrandosi perfettamente con il contenuto che sta leggendo,
senza però apparire invadente e fastidioso. il nostro obiettivo è quello di crescere nel 2015 nella raccolta
pubblicitaria offrendo ai nostri clienti una qualità sempre più elevata oltre a prodotti innovativi e in grado di
raggiungere il proprio target di riferimento".
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mercato/2
09/01/2015
Pubblicita Today
Pag. 14
Mindshare, il 2015 parte con una nuova organizzazione e struttura
manageriale
Mindshare apre il nuovo anno annunciando una serie importante di novità. Si parte con la nomina a coo
operations di Adriana Ripandelli , già Head of Digital dell'agenzia. Ripandelli si aanca a Sergio Menga , coo
Finance e Legal, nel supportare il ceo Roberto Binaghi nella conduzione dell'agenzia, in collaborazione con
gli altri membri del board: Vittoria Signorini , direttore commerciale, Manuela Paoletti , deputy general
manager e Cinzia Desidera , deputy general manager and head of oce, Roma. Altre nomine di rilievo sono
quelle di Marco Brusa a capo del reparto di Business Planning, articolato nelle due aree Strategie e Data
Science; di Giovanni Fois a capo dell'area Marketing e Comunicazione, responsabile tra l'altro degli eventi
organizzati da Mindshare nell'ambito del 'Purple Program' che nel 2015 sarà ulteriormente potenziato; e di
Marzio Mazzara a capo del digital trading in coordinamento con il trading desk GroupM . Novità importanti
riguardano anche l'organizzazione. Nascono infatti, in seno a Mindshare, due divisioni di business con
missioni e competenze distinte e complementari. La prima divisione, denominata Brands@ Mindshare , ore
un approccio olistico orientato ai contenuti e capacità di planning autenticamente crossmediale a tutte le
aziende che mirano a rinforzare l'awareness e la reputazione dei propri brand per costruirne il successo
commerciale. La seconda divisione, battezzata Direct@ Mindshare , si propone invece a quelle aziende che
usano i media, e specialmente quelli digitali, per ottenere risultati diretti di vendita, e richiedono quindi
strutture specializzate, capaci di lavorare in real time con processi agili e reattivi focalizzati al ROI. Entrambe
le divisioni Mindshare fondano il proprio operato su un utilizzo estensivo dei dati, che comprende la
realizzazione di piattaforme integrate di data management per il programmatic buying. "In tempi di grandi
trasformazioni - ha dichiarato Roberto Binaghi - il nostro approccio adattivo alla comunicazione è la risposta
ai bisogni del mercato: una risposta sempre adeguata, perché in continua evoluzione. La nuova
organizzazione traduce il nostro posizionamento in un'oerta di servizi tagliati su misura per esigenze
diversificate. E la struttura manageriale, che promuove e conferma nei ruoli chiave i nostri migliori
professionisti, è guidata da un'ambizione precisa: orire ai clienti, attuali e futuri, il rinnovato valore aggiunto di
Mindshare".
Foto: roberto binaghi
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naScono le diviSioni brandS@mindShare e direct@mindShare
09/01/2015
Pubblicita Today
Pag. 19
MuTuiperlacasa.coM aFFida a diGiMoB la GesTione dell'inVenTorY MoBile
digiMob ha stretto un accordo con il comparatore italiano di mutui online per la gestione in esclusiva degli
spazi advertising sulla mobile app di Mutuiperlacasa.com che verrà rilasciata a febbraio. Già attivo sul web
dal 2011 con un volume di visite giornaliere pari a 100mila views, MutuiperlaCasa.com ha deciso di
estendere la propria presenza anche su smartphone attraverso l'app Alert Tasso, ottimizzata per Android e
iOS, ora in fase di realizzazione a cura del Gruppo DigiTouch. Come il website anche la mobile app vuole
offrire agli utenti una user experience semplice e immediata per consentire in pochi passaggi di: ottenere
informazioni sul mutuo che si desidera accendere oppure di impostare un alert per essere avvisati quando un
nuovo mutuo che rispecchia le condizioni desiderate viene introdotto sul mercato o ancora di calcolare la
rata. "Siamo soddisfatti dell'accordo stretto con MutuiperlaCasa.com perché ci consente non solo di
estendere l'inventory su un settore verticale non ancora presidiato ma anche di poter studiare dei formati
mobile native, pensati in esclusiva per l'applicazione Alert Tasso e per il suo target specifico", afferma paolo
Mardegan , Managing Director di DigiMob. "Siamo contenti di poterci affidare ad una concessionaria mobile
native per valorizzare gli spazi advertising sulla nostra applicazione per smartphone. Offrire ai nostri clienti,
anche per quel che riguarda i contenuti pubblicitari, un'esperienza di fruizione friendly, non invasiva e in tema
è per noi molto importante", afferma edoardo Merenda , ceo & co-founder di MutuiperlaCasa.com. Oltre a
formati mobile native, DigiMob curerà anche la pianificazione di Rich Media, video adv e formati mobile
standard.
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PREVISTo PER fEbbRAIo Il RIlASCIo DEllA MobIlE APP
09/01/2015
Pubblicita Today
Pag. 22
MillWard BroWn diGiTal e snapcHaT insieMe per la Misurazione delle
caMpaGne adV
Millward Brown digital , l'agenzia di consulenza e ricerca che supporta i propri clienti nello sviluppo della
marca, ha annunciato una nuova partnership con snapchat per la misurazione della pubblicità sulla
piattaforma, analizzando le prime sei campagne adv su Snapchat per aiutare le aziende i proprietarie dei
brand a comprendere l'efficacia di comunicare. A oggi, Snapchat ha implementato due differenti formati
pubblicitari valutando, grazie alla ricerca di Millward Brown Digital, la loro ricezione da parte di utenti e
marketers. Brand Story, lanciato a ottobre 2014, è formato da 20" di contenuto adv video e foto e distribuita
insieme al contenuto organico del servizio Snapchat Story. A partire da novembre, le aziende hanno iniziato a
sponsorizzare i contenuti di Snapchat Our Stories, raccolte di foto e video create da utenti che offrono una
finestra con viste differenti all'interno di eventi geo-localizzati. Con l'introduzione di un semplice messaggio
'brought to you by' e un contenuto branded di foto e video della durata di 5-10" inserito nel usso dei contenuti
organici, i brand possono interagire con i consumatori fornendo un'esperienza di contextual marketing. Tra i
primi utenti del formato Brand Story ci sono state campagne associate a eventi limitati nel tempo come quelle
realizzate per i weekend di uscita dei film NBC Universal Ouija e Scemo e più scemo 2 , e il lancio del terzo
capitolo del video game Dragon Age di Electronic Art. Tra gli sponsor del servizio Snapchat Our Stories ci
sono Samsung collegato all'American Music Award, Macy's all'interno dell'annuale Thanksgiving Day Parade
organizzata dallo stesso retailer, e attività legate al Black Friday per Amazon e Hollister. L'analisi realizzata
da Millward Brown Digital ha evidenziato che le campagne sono state accolte in modo positivo: il 60% degli
utenti esposti al formato Our Stories e il 44% di quelli esposti al formato Brand Stories hanno dichiarato di
aver gradito la presenza del brand. Questi livelli di receptivity positiva sono tre volte superiori alla media di
altri formati più tradizionali; secondo lo studio AdReaction 2014 realizzato da Millward Brown in oltre 30 paesi,
solo il 17% dei consumatori americani si dichiarano 'molto o abbastanza favorevoli' alle forme di
comunicazione pubblicitaria veicolate sui loro smartphone o tablet. In aggiunta alla ricettività positiva mostrata
dagli utenti, la ricerca ha dimostrato che le prime sei campagne di comunicazione realizzate sulla piattaforma
Snapchat hanno avuto un impatto positivo sulle metriche di marca come adv awareness e brand favourability.
Tra i due formati offerti da Snapchat, i brand hanno registrato in media un incremento di 16 punti percentuali
in Adv Awareness: una performance che si colloca tra le top 25% del database MarketNorms Mobile di
Millward Brown, costituito da oltre 550 campagne mobile. Inoltre, analizzando la relazione tra esposizione alla
campagna e attività ofine, gli utenti esposti alla attività in formato Brand Stories per il video game Dragon Age
sono risultati il 7% più propensi ad acquistare il gioco. Infine il formato Brand Stories a supporto dell'uscita dei
film Ouija e Scemo e più scemo 2 ha portato un incremento del 13% di afuenza tra gli esposti all'attività (
goo.gl/brxl8K ).
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CoN I foRMATI bRAND SToRy E oUR SToRIES
09/01/2015
Pubblicom Now
Pag. 13
Al via il progetto "Un'idea per Ai.Bi"
Ai.Bi. - Associazione Amici dei Bambini in collaborazione con Accademia di Comunicazione promuove
"Un'idea per Ai.Bi", inizia tiva rivolta agli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori per la realizzazione di
una campagna di comunicazione social. Obiettivo è la promo zione dell'associazione sui social network per
farla conoscere tra i più giovani e alle loro famiglie e sensibilizzarli sui problemi dell'abbandono dei bambini
ospiti negli istituti di tutto il mondo. Come premio la frequenza gratuita, con inizio a ottobre, al corso triennale
post diploma di Pubblicità Art Direction/Graphic De sign o al corso biennale di Pubblicità Copywriting di
Accademia di Comunicazione, comprensivi di stage di sei mesi al termine dei corsi. La presentazione ufficiale
dell'i niziativa Un'idea per Ai.Bi. avverrà presso Accademia di Comunicazione sabato 31 gennaio alle ore
16.00. La consegna dei lavori dovrà avvenire entro il 15 maggio.
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concorsi
09/01/2015
Corriere della Sera - Sette - N.2 - 9 gennaio 2015
Pag. 87
La "cultura veloce" hawaiana ha 24 milioni di voci
Il 10 gennaio 2001 nasce Wikipedia, l'enciclopedia online gratuita, che prende il nome dalla lingua delle isole
del Pacifco
/ di Lucrezia Dell'Arti
definizione Wikipedia, pubblicata il 10 gennaio 2001 per la prima volta, è un'enciclopedia online multilingue,
gratis, a contenuto libero, scritta da chiunque voglia partecipare. I suoi contenuti possono essere modifcati o
ripresi senza limiti. Unica condizione: citare la fonte e mantenere la stessa libertà. cuLturA Wikipedia signifca
letteralmente «cultura veloce». Nella lingua delle isole Hawaii Wiki vuol dire veloce, pedia è un suffsso di
origine greca e signifca cultura, insegnamento. Su internet un wiki è un software collaborativo che permette di
creare siti il cui contenuto può essere modifcato da più persone. nuPediA Wikipedia è nata come servizio
complementare di Nupedia, l'enciclopedia online creata il 9 marzo 2000 dalla Bomis (ceo: Jimmy Wales,
redattore capo: Larry Sanger), le cui voci erano state scritte da un gruppo di esperti. Un anno dopo, il 15
gennaio 2001, è comparsa la versione in inglese di Wikipedia. In seguito si sono aggiunte altre lingue (tra
queste anche esperanto, thai, klingon, tibetano, volapük ecc.), ciascuna indipendente per contenuto e
struttura. La Wikipedia in italiano risale al maggio 2001. Dal 2004 in poi sono nate alcune versioni
dell'enciclopedia in dialetto (emiliano, romagnolo, friulano, ligure, lombardo, napoletano, piemontese,
siciliano, veneto, tarantino ecc.). «Wikipedia (Vichipedia, scrivennu â siciliana) è na nciclupidìa lìbbira,
scrivura nta tanti lingui e funziona senza scopu di lucru» (Dalla pagina principale di Wikipedia, la nciclupidìa
lìbbira). diALetto Molte versioni in dialetto di Wikipedia sono nate grazie agli sforzi di emigranti di seconda o
terza generazione, per i quali la lingua dei padri non era l'italiano ma il dialetto. Pippo D'Angelo, australiano,
uno dei pilastri di Wikipedia in siciliano: «Per mia l'italiano me è sempre sembrato una lingua strana. Invece,
quando sento e leggo il siciliano lo conosco che era la mia prima lingua e che è la lingua della mia famiglia».
Nel 2004 D'Angelo iniziò a scrivere su Linguasiciliana. it. Dopo sei mesi è padrone della scrittura e della
grammatica. Poco dopo sul sito arrivò il messaggio di un americano alla ricerca di qualcuno che volesse dare
il via alla Wikipedia in siciliano. D'Angelo accettò subito: «Il progetto mi piacque molto. Dedicarci a scrivere
un'intera enciclopedia in lingua voleva dire andare oltre i suoi attuali confni, mettendola in pratica ed
eventualmente reintroducendo vocaboli che i siciliani avevano perso». PubbLicità In nessuna edizione di
Wikipedia si trova pubblicità. L'enciclopedia sopravvive grazie alle donazioni. metodo L'esperienza dimostra
che il metodo Wikipedia è vincente. Nature ha messo a confronto alcune voci scientifche di Wikipedia con
quelle dell'Encyclopaedia Britannica: l'affdabilità dell'enciclopedia online si è mostrata solo di poco inferiore
(sull'edizione inglese di Wikipedia sono stati riscontrati una media di quattro errori per voce, sulla Britannica
tre). Le informazioni sbagliate sono di solito corrette in fretta. critiche Lucio Russo: «L'atteggiamento
dell'accademico medio verso il principale strumento di consultazione della nostra epoca, e in particolare dei
nostri studenti, conferma conclusioni cui eravamo già arrivati. Egli quasi sempre consulta Wikipedia ma non
prende in considerazione la possibilità di contribuirvi per tre motivi principali: perché la ritiene di livello troppo
basso nel proprio settore specialistico, perché ritiene se stesso troppo incompetente in qualsiasi altro settore
e perché non ha tempo da perdere in lavori che non assicurano né compensi economici né titoli utili alla
carriera». PubbLicità siciLiAno Edizioni di Wikipedia: 288. Voci presenti: più di 24 milioni. A gennaio 2013
conteneva 92 milioni di pagine (modifcate 1 miliardo e cinquecento milioni di volte) e 38 milioni di utenti
registrati. Le altre notizie della giornata su www.cinquantamila.it
Foto: Americano dell'Alabama. Jimmy Donal Wales, il fondatore dell'enciclopedia Wikipedia.
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Passato Presente
08/01/2015
Engage.it
Sito Web
Affidata a DigiMob la gestione degli spazi pubblicitari dell'app di
MutuiperlaCasa.com
L'applicazione sarà rilasciata a febbraio. Oltre a formati ad hoc, la concessionaria mobile native di Gruppo
DigiTouch curerà anche la pianificazione di Rich Media, video adv e formati mobile standard
DigiMob ha stretto un accordo con il comparatore italiano di mutui online per la gestione in esclusiva degli
spazi advertising sulla mobile app di MutuiperlaCasa.com che verrà rilasciata a febbraio.I dati di mercato
mostrano come l'utenza internet sia oggi sempre più connessa attraverso i device mobili: si parla di 16,6
milioni di mobile surfer versus circa 13 milioni di utenti in navigazione da desktop (dati Audiweb, ottobre
2014). Già attivo sul web dal 2011 con un volume di visite giornaliere pari a 100 mila views,
MutuiperlaCasa.com ha deciso di estendere la propria presenza anche su smartphone attraverso l'app Alert
Tasso, ottimizzata per Android e iOS, ora in fase di realizzazione a cura del Gruppo DigiTouch.Come il
website, anche la mobile app vuole offrire agli utenti una user experience semplice e immediata per
consentire in pochi passaggi di ottenere informazioni sul mutuo che si desidera accendere oppure di
impostare un alert per essere avvisati quando un nuovo mutuo che rispecchia le condizioni desiderate viene
introdotto sul mercato o ancora di calcolare la rata.«Siamo soddisfatti dell'accordo stretto con
MutuiperlaCasa.com perché ci consente non solo di estendere l'inventory su un settore verticale non ancora
presidiato ma anche di poter studiare dei formati mobile native, pensati in esclusiva per l'applicazione Alert
Tasso e per il suo target specifico» afferma Paolo Mardegan, managing director di DigiMob.«Siamo contenti
di poterci affidare ad una concessionaria mobile native per valorizzare gli spazi advertising sulla nostra
applicazione per smartphone. Offrire ai nostri clienti, anche per quel che riguarda i contenuti pubblicitari,
un'esperienza di fruizione friendly, non invasiva e in tema è per noi molto importante» afferma Edoardo
Merenda, ceo & co-founder di MutuiperlaCasa.com.Oltre a formati mobile native, DigiMob curerà anche la
pianificazione di Rich Media, video adv e formati mobile standard.
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Tecnologia
08/01/2015
Engage.it
Sito Web
Millward Brown Digital e Snapchat insieme per la prima misurazione delle
campagne pubblicitarie sulla piattaforma
Due i formati finora disponibili - Brand Stories e Our Stories - scelti già da brand come NBC Universal,
Electronic Art, Macy's, Amazon e Hollister. Analizzati i livelli di receptivity delle prime sei campagne
pianificate sull'app
Prendono sempre più forma i contorni del business di Snapchat, l'app di messaggistica del fantasmino bianco
che poco più di una settimana fa ha reso noto il risultato raggiunto nel suo ultimo round di finanziamento pari
a 486 milioni di dollari. Ad aggiungere un altro tassello alla storia evolutiva dell'app firmata Evan Spiegel e
Bobby Murphy nata nel 2011 e da allora rimasta sostanzialmente ammantata di segretezza, è la
comunicazione di un importante accordo che segna un deciso passo sul fronte pubblicitario.Si tratta della
partnership siglata con Millward Brown Digital, l'agenzia di consulenza e ricerca leader a livello mondiale che
supporta i propri clienti nello sviluppo della marca, finalizzata alla prima misurazione delle campagna adv
sulla piattaforma.Millward Brown Digital ha quindi in primis misurato le prime sei campagne adv apparse su
Snapchat per aiutare le aziende i proprietarie dei brand a comprendere l'efficacia di comunicare sulla
piattaforma.Due i formati pubblicitari che ad oggi Snapchat ha implementato valutando, grazie alla ricerca di
Millward Brown Digital, la loro ricezione da parte di utenti e marketers. Il primo, Brand Story, è stato lanciato a
ottobre 2014. Gli utenti Snapchat scelgono di guardare ogni Brand Story formata da 20 secondi di contenuto
adv video e foto e distribuita insieme al contenuto organico del servizio Snapchat Story.A partire da
novembre, inoltre, le aziende hanno iniziato a sponsorizzare i contenuti di Snapchat Our Stories, raccolte di
foto e video create da utenti che offrono una finestra con viste differenti all'interno di eventi geo-localizzati.
Con l'introduzione di un semplice messaggio "brought to you by" e un contenuto branded di foto e video della
durata di 5-10 secondi inserito nel flusso dei contenuti organici, i brand possono interagire con i consumatori
fornendo un'esperienza di contextual marketing.Tra i primi utenti del formato Brand Story troviamo campagne
associate ad eventi limitati nel tempo come quelle realizzate per i weekend di uscita dei film NBC Universal
"Ouija" e "Scemo e Più Scemo 2", e il lancio del terzo capitolo del video game "Dragon Age" di Electronic Art.
Tra gli sponsor del servizio Snapchat Our Stories troviamo Samsung collegato all'American Music Award,
Macy's all'interno dell'annuale Thanksgiving Day Parade organizzata dallo stesso retailer, e attività legate al
Black Friday per Amazon e Hollister.L'analisi realizzata da Millward Brown Digital ha evidenziato che le
campagne sono state ricevute in modo positivo dagli utenti Snapchat: il 60% degli utenti esposti al formato
Our Stories e il 44% di quelli esposti al formato Brand Stories hanno dichiarato di aver gradito la presenza del
brand. Questi livelli di receptivity positiva sono tre volte superiori alla media di altri formati più tradizionali;
secondo lo studio AdReaction 2014 realizzato da Millward Brown in oltre 30 paesi, solo il 17% dei
consumatori americani si dichiarano "molto o abbastanza favorevoli" alle forme di comunicazione pubblicitaria
veicolate sui loro smartphone o tablet.In aggiunta alla ricettività positiva mostrata dagli utenti, la ricerca ha
dimostrato che le prime sei campagne di comunicazione realizzate sulla piattaforma Snapchat hanno avuto
un impatto positivo sulle metriche di marca come Adv Awareness e Brand Favourability. Tra i due formati
offerti da Snapchat, i brand hanno registrato in media un incremento di 16 punti percentuali in Adv
Awareness: una performance che si colloca tra le top 25% del database MarketNorms Mobile di Millward
Brown, costituito da oltre 550 campagne mobile.Inoltre, analizzando la relazione tra esposizione alla
campagna ed attività offline, gli utenti esposti alla attività in formato Brand Stories per il video game Dragon
Age sono risultati il 7% più propensi ad acquistare il gioco: risultato che pone la campagna nel quartile più
elevato del database di attività simili. Millward Brown Digital ha misurato inoltre l'impatto del formato Brand
Stories sugli spettatori nelle sale del primo weekend di uscita dei film "Ouija" e "Scemo e Più Scemo 2" di
NBC Universal, rilevando che le campagne hanno portato un incremento del 13% di affluenza tra gli esposti
all'attività.«La piattaforma Snapchat è stata una componente fondamentale della strategia di marketing che
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08/01/2015
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Sito Web
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abbiamo sviluppato per questi film», afferma Doug Neil, EVP, Digital Marketing di NBC Universal.
«Trattandosi di una nuova piattaforma, necessitavamo di comprenderne la forza nel generare notorietà e callto-action. La partnership tra Millward Brown Digital e Snapchat ci ha permesso di ottenere importanti insights
su come possiamo rendere le nostre campagne video mobile più impattanti per i consumatori».Parlando
dell'esperienza con il formato Our Stories legata alla Thanksgiving Day Parade, Jennifer Kasper, group vice
president digital media and multicultural marketing per Macy's ha detto che «Macy's è entusiasta di essere tra
le prime aziende ad utilizzare i formati pubblicitari offerti da Snapchat. Questi formati adv full-screen e mobileonly offrono una esperienza nuova e fresca assicurando la totale attenzione dell'audience. In queste prime
esperienze, i nostri contenuti divertenti e memorabili hanno generato un forte engagement».«Le persone di
marketing vogliono sapere se riescono ad associare un contenuto rilevante e coinvolgente con la giusta
audience, e ottenere un risultato reale grazie i propri investimenti di comunicazione», ha affermato Stephen
DiMarco, presidente di Millward Brown Digital. «Siamo contentissimi di questa partnership con Snapchat per
la misurazione dell'impatto delle campagne di comunicazione su questa piattaforma e di poter quindi aiutare
le aziende a massimizzare il valore dei propri investimenti di marketing».La ricerca è stata realizzata su un
campione rappresentativo di utenti Snapchat sulla base di variabili comportamentali e intervistati attraverso
un panel online prima e dopo il lancio delle campagne Brand Stories e Our Stories. Inoltre, un nuovo
campione di ricerca è stato intervistato successivamente al weekend di uscita dei film nelle sale.
08/01/2015
Engage.it
Sito Web
Tennent's: tv e web in RTB per la nuova campagna della Scotch Ale
La comunicazione ha preso il via il 5 gennaio e sarà veicolata sui canali Sky Sport, su siti e portali a target e
su Facebook in formato video
Birra e sport: un'accoppiata vincente.Lo sa bene Tennent's Authentic Export, che per la sua nuova campagna
pubblicitaria televisiva ha scelto i canali Sky Sport.La campagna, on air dal 5 gennaio, ha come obiettivo
quello di promuovere la tradizione e l'autenticità della Tennent's Scotch Ale in particolare a un pubblico
giovane e amante di sport e musica. Lo spot è stato ideato e realizzato da Gothacom.La sua veicolazione
sarà anche digital, con una pianificazione in RTB (Real Time Bidding) che vedrà gli elementi creativi
posizionati su siti e portali in linea con il target della Tennent's Scotch Ale, allo scopo di portare visitatori al
sito web e permettere agli utenti di scoprire non solo la Scotch Ale ma tutti i prodotti del brand di Glasgow.La
campagna sfrutterà in particolare il social Facebook per creare sinergie con la community, che ha
recentemente superato i 20.000 fan e continua ad avere un tasso di engagement medio superiore alla media
nazionale. Attraverso l'utilizzo di formati coinvolgenti il video dello spot sarà diffuso al giusto target al fine di
mostrare agli utenti il carattere della Scotch Ale e favorire di riflesso la crescita della community sul social
network. La campagna web è stata creata e pianificata da Softec.
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Tecnologia
08/01/2015
Engage.it
Sito Web
MailUp e 4-Tell: un nuovo modulo per ricontattare i potenziali clienti
L'azienda specializzata in email marketing e 4-Tell annunciano una soluzione che permette alle aziende di
inviare comunicazioni personalizzate a chi visita un ecommerce ma non conclude l'acquisto
La società specializzata in email marketing MailUp ha annunciato il lancio della versione aggiornata del
modulo 4-Tell per ricontattare i potenziali acquirenti, chi ha abbandonato la sessione di navigazione o ha
interrotto l'acquisto.Il nuovo modulo permette di riallacciare la comunicazione con i visitatori di un sito
suggerendo acquisti correlati e personalizzando il messaggio in base al loro comportamento.L'integrazione
tra 4-Tell e MailUp, si legge nel comunicato diffuso da MailUp, "apre nuovi scenari per il marketing automatico
e l'ecommerce: perché permette alle aziende di inviare all'utente una campagna di riattivazione automatica
calibrata sulle sue specifiche attività, grazie a email ottimizzate per dispositivi mobile, create e inviate tramite
MailUp. 4-Tell permette anche di inserire facilmente nelle email raccomandazioni di prodotto personalizzate
per il ricevente".«Da oggi, anche le aziende con budget limitato hanno a disposizione un tool facile e intuitivo
per inviare email a chi visita il proprio ecommerce e non conclude l'acquisto», afferma Massimo Arrigoni,
CPO MailUp.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Tecnologia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
59 articoli
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Draghi: «Pronti ad agire» E Milano sale del 3,7%
Stefania Tamburello a pagina 18
ROMA La moneta unica ieri ha proseguito la sua discesa nei confronti del dollaro. Ha raggiunto un nuovo
minimo dal 2005, più o meno ai livelli della sua introduzione, scendendo sotto la soglia di 1,18 sul «biglietto
verde» ed è il segno di quanto sui mercati sia alta l'attesa per le mosse della Bce. Il prossimo 22 gennaio,
infatti, la Banca centrale europea, potrebbe decidere l'avvio del programma di Quantitative easing, cioè, in
particolare, di acquisto massiccio di titoli pubblici per aumentare la liquidità, contrastare la caduta
dell'inflazione, ormai negativa nella media europea, e rilanciare la crescita.
Lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, ieri in una risposta scritta ai parlamentari europei lo ha ribadito
alimentando una fiammata delle Borse. «Il consiglio direttivo rimane unanime nel suo impegno ad adottare
nuovi strumenti non convenzionali nell'ambito del proprio mandato, qualora diventi necessario affrontare
ulteriormente i rischi di un periodo di bassa inflazione troppo prolungato». E in tali strumenti, che verranno
valutati «all'inizio dell'anno» è incluso «l'acquisto di vari asset , compresi i bond sovrani», ha ripetuto dando
nuovo slancio ai listini già in salita.
Piazza Affari, dopo tre sedute negative, ha preso il volo chiudendo con un rialzo del 3,69% a 19.924 punti. A
seguire Parigi, in salita del 3,59%, che non ha subito contraccolpi finanziari per il brutale attacco terroristico di
Parigi. Bene anche le altre principali piazze finanziarie con Francoforte in progresso del 3,36%, Londra del
2,34% e Madrid del 2,26%. Giornata positiva anche sul secondario con lo spread tra i Btp decennali e i Bund
tedeschi di uguale durata, che è tornato a scendere a quota 133 con i titoli italiani all'1,84%.
L'attesa dei mercati, dunque, soprattutto dopo i dati di mercoledì sull'inflazione negativa per l'Eurozona, è
tutta per il Quantitative easing, anche se sono ancora allo studio le modalità degli acquisti, così da attenuare,
se possibile, le resistenze della Bundesbank e del suo presidente Jens Weidmann. Non si può tuttavia,
ancora escludere che l'annuncio della misura straordinaria espansiva possa avvenire in due tempi.
Centrale a questo proposito appare l'evoluzione della crisi greca che, oltre ai timori per possibili contagi, ha
portato tensioni in campo politico tra i governi dell'Eurozona e la Germania, in bilico tra le voci su un piano del
governo per favorire l'uscita di Atene dall'euro, la cosiddetta Grexit - cosa che stando ad un sondaggio diffuso
ieri dall'emittente Ard trova il consenso della maggioranza dei tedeschi - e le smentite della Cancelleria. Ieri
da Berlino sono però arrivati decisi segnali di distensione. Secondo Bloomberg, alcuni deputati della
coalizione di Angela Merkel si sono detti favorevoli al dialogo con chi vincerà le elezioni greche del 25
gennaio. E hanno anche sostenuto che si potrà parlare di agevolazioni nel rimborso dei prestiti concessi ad
Atene dall'Europa, in termini di allungamento delle scadenze e di facilitazioni sul tasso di interesse sui prestiti.
Il tutto a patto però che Atene non rinneghi gli impegni di austerità presi.
Anche la Bce si è mossa e nella riunione del Consiglio direttivo di mercoledì sera, dedicato a questioni non
monetarie: ha deciso di non interrompere ma di mantenere, come previsto, fino alla fine di febbraio la deroga
che permette alle banche greche - nonostante la garanzia di titoli collaterali con rating "spazzatura"- di
accedere alla liquidità offerta dalla Banca. In altre parole, l'accesso delle aziende di credito elleniche ai fondi
di Francoforte continuerà. Ad una condizione, che si concluda positivamente l'attuale programma di
salvataggio e che venga raggiunto un successivo accordo con la Commissione Ue, la Bce e l'Fmi - la
cosiddetta troika - per estendere il sostegno finanziario.
Stefania Tamburello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La caduta dell'euro Le munizioni della Bce Corriere della Sera lug 2014 1,36 1,34 1,32 1,3 1,28 1,26 1,24
1,22 1,2 1,18 Ago Set Ott Nov Dic Gen 2015 L'andamento sul dollaro 1,1842 ieri A settembre e a dicembre la
Bce ha lanciato due aste di prestiti alle banche a un tasso dello 0,15%, con scadenza a 4 anni, vincolati alla
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Effetto Bce sulle Borse
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
concessione di credito dalle banche a imprese e famiglie (ma non per mutui) COVERED BOND A ottobre la
Bce ha cominciato ad acquistare covered bond, cioè obbligazioni bancarie garantite QE Il QE (Quantitative
easing), è l'acquisto massiccio di titoli di Stato e corporate bond (obbligazioni aziendali) da parte della Bce. È
l'arma finale per riportare il livello dell'inflazione nell'eurozona al 2%. Oggi è a -0,2% ABS La Bce ha
cominciato ad acquistare Abs, cioè titoli cartolarizzati che impacchettano mutui e prestiti bancari a famiglie e
imprese-0,2 Il valore percentuale dell'inflazione nella zona euro a dicembre, in ulteriore discesa rispetto al
valore di +0,3% di novembre
La vicenda
Il 22 gennaio la Banca centrale europea, presieduta da Mario Draghi (foto), potrebbe decidere di avviare il
«Quantitative easing», ossia l'acquisto di titoli pubblici con denaro
di nuova emissione
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Addio anonimato sui conti in Svizzera Patto con l'Italia
Mario Sensini a pagina 19
ROMA Il governo spiana la strada al rientro dei capitali detenuti illecitamente all'estero. L'esecutivo di Matteo
Renzi è infatti pronto a chiudere l'accordo bilaterale con la Svizzera, un passaggio cruciale per il successo
della voluntary disclosure varata a fine anno, il meccanismo che prevede l'autodenuncia dei redditi nascosti
oltreconfine con il pagamento delle imposte dovute e di sanzioni penali ed amministrative ridotte.
La nuova intesa prevede lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei due Paesi (a regime
dal 2017, su richiesta per ora), un nuovo sistema di tassazione dei lavoratori transfrontalieri italiani, ma anche
l'uscita della Confederazione dalla «black list» dei Paesi che l'Italia considera non collaborativi dal punto di
vista fiscale. Una circostanza, questa, che alleggerirebbe non di poco le sanzioni previste dalla voluntary
disclosure , rendendo molto più allettante la regolarizzazione per i contribuenti.
Per la riemersione dei capitali detenuti illecitamente nei Paesi "collaborativi", infatti, le sanzioni per la
mancata denuncia dei redditi esteri in dichiarazione scendono dal 5-6% al 3%, mentre non si applica il
raddoppio della sanzione minima relativa al mancato pagamento delle imposte. Ma soprattutto le annualità
accertabili passerebbero dalle ultime dieci alle ultime cinque: in pratica si pagherebbero solo le tasse dovute
dal 2009, e non dal 2004, ad oggi.
Per far scattare questi benefici l'accordo tra Roma e Berna dovrà essere perfezionato entro il prossimo due
marzo, la data limite prevista dalla stessa legge che ha introdotto la voluntary disclosure , ma la firma
dell'intesa sarebbe in realtà questione di ore.
Lo scambio di informazioni automatico, secondo le previsioni dell'accordo e della direttiva Ue sulla
cooperazione amministrativa entrerebbe a regime, di fatto, dal 2017 e per i redditi maturati dal primo gennaio
2016. Nel frattempo le autorità svizzere forniranno a quelle italiane le informazioni necessarie "su richiesta",
ma sarà possibile chiedere dati anche su gruppi di contribuenti e non solo su singoli individui. L'accordo apre
la strada all'operatività al dettaglio delle banche elvetiche in Italia, ma solo indirettamente, con l'uscita della
Svizzera dalla «black list». Berna avrebbe voluto un via libera esplicito, che nell'accordo non c'è, ma che è
rimesso alla competenza della Commissione Ue.
Intanto, entro la fine del mese, l'Agenzia delle entrate metterà a punto il modello definitivo per l'adesione alla
voluntary disclosure ed emanerà la circolare con i chiarimenti e le istruzioni per la compilazione.
L'operazione, a quel punto potrà decollare. Le attese del governo, corroborate da quelle dei commercialisti e
dei gestori patrimoniali, sono alte. Ne deriverebbe gettito "una tantum" con la regolarizzazione del passato, di
cui 700 milioni serviranno ad evitare l'aumento delle accise sulla benzina, ed un recupero strutturale di base
imponibile.
Mario Sensini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
100 miliardi
di euro Il valore dei depositi degli italiani in Svizzera secondo le stime di Berna
700 milioni di euro La cifra
che serve
a evitare l'aumento
delle accise sulla benzina
10 mila I depositi, secondo le stime, intestati a italiani
e aperti
in banche svizzere
Le misure 1 La trattativa tra Berna e Roma È in dirittura d'arrivo, dopo due anni di trattative, l'accordo per lo
scambio automatico di informazioni tra Italia e Svizzera per la lotta all'evasione fiscale. Accordi simili sono già
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Soldi all'estero
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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stati siglati da Berna con Germania e Gran Bretagna. L'intesa prevede dal 2017 lo scambio automatico di
informazioni sui conti bancari, nel frattempo la collaborazione sarà su richiesta. Questo accordo permette alla
Svizzera di uscire dalla «black list» (l'elenco dei Paesi extra Ue considerati non collaborativi dal punto di vista
fiscale) 2 Lo scambio di informazioni Con lo scambio automatico di informazioni di fatto scompare l'anonimato
per chi ha i conti in Svizzera. Si completa così la mossa «a tenaglia» studiata dal governo, che punta a
stanare gli evasori rendendo impossibile da un lato continuare a nascondersi in Svizzera, e offrendo dall'altro
lato la possibilità di rimettersi in regola con le norme sul rientro dei capitali. La voluntary disclosure è possibile
fino al 30 settembre e prevede l'obbligo di versare le imposte evase e gli interessi in maniera integrale,
mentre le sanzioni sono ridotte 3 L'uscita dalla «black list» L'intesa con la Svizzera prevede una nuova
convenzione per le doppie imposizioni, il trattamento fiscale riservato ai lavoratori frontalieri e un accordo
sulla tassazione del risparmio. L'uscita di Berna dalla «black list» ha effetti su chi aderisce alla voluntary
disclosure, perché le sanzioni per le violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale sono dimezzate
(scendono al 3%-15% del valore non dichiarato contro il 6-30%) e la prescrizione scende a 5 anni 4 Il bilancio
Dati esatti sull'ammontare dei depositi in Svizzera intestati a italiani e non dichiarati al nostro Fisco non ve ne
sono, ma le stime vanno da 100 miliardi (secondo gli svizzeri) a 130-150 miliardi (secondo l'Italia). Il rientro
dei capitali con la voluntary disclosure potrebbe portare nelle casse dell'erario dai 5 miliardi ai 6,5 miliardi,
gettito non conteggiato ai fini di finanza pubblica e dunque nuovo ossigeno per le casse dello Stato
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«L'Europa aiuti i governi arabi a partire da Al Sisi e Assad»
Lo storico Rogan: evitiamo il caos dei gruppi radicali, meglio gli Stati
Lorenzo Cremonesi
MILANO «Sono in frantumi le antiche certezze dell'Europa di poter dominare l'Islam. Mai dal 1683 la fiducia in
noi stessi è stata tanto debole. È la data della vittoria dell'esercito imperiale cristiano contro le truppe
ottomane che assediavano Vienna. Segnò l'inizio del senso della supremazia occidentale nei confronti del
mondo arabo. Ma le nostre insicurezze sono terribilmente cresciute dopo l'11 settembre 2001. E oggi
corriamo il rischio di reagire in modo troppo oltranzista. Se in Europa vincesse la logica dei deboli, che per
difendersi abusano della forza, cadremmo nella trappola dei terroristi di Parigi, i quali vorrebbero appunto
estremizzare lo scontro tra Occidente e Islam».
Eugene Rogan non nasconde la preoccupazione per il «difficilissimo rapporto oggi tra Islam ed Europa».
Nato negli Stati Uniti 54 anni fa, docente all'Università di Oxford, autore di una nota storia del mondo arabo, è
in pubblicazione un suo volume sulla Grande Guerra nel Medio Oriente, interverrà venerdì prossimo ad un
convegno all'università di Venezia.
Professore, cosa può fare l'Europa?
«Evitare il razzismo xenofobo, bocciare le leggi discriminatorie nei confronti dei musulmani. Mi sembra che la
maggioranza dei politici e intellettuali europei ne siano consapevoli. Fanno bene a mettere in guardia contro il
rischio di giocare il gioco imposto dai terroristi e rialzare la tensione criminalizzando tutti i musulmani, senza
differenze».
Consigli pratici?
«L'Europa sostenga i governi arabi. Anche quello egiziano del presidente Al Sisi e lo stesso regime di Bashar
Assad, che pure tanti crimini ha commesso in Siria. Ma dobbiamo evitare il caos dei gruppi radicali che
alimentano le utopie del Califfato e la guerra santa qaedista. Gli Stati sono meglio dei movimenti. Non
dimentichiamo che nemico numero uno dei terroristi non è l'Occidente, bensì quei governi arabi che cercano
di reprimerli a casa loro. In Siria non è possibile cercare una soluzione concreta senza coinvolgere Iran e
Russia».
Ma lo scontro di civiltà non è più profondo della lotta politica?
«Quando nel 1991 il politologo americano Samuel Huntington uscì con la definizione di "scontro di civiltà" io
fui tra i tanti che lo criticarono. Ma poi fui costretto a ricredermi. Arrivò il fenomeno Osama Bin Laden, ci fu Al
Qaeda. Nel 2001 sia George Bush che Tony Blair parlarono apertamente di un conflitto che sarebbe durato
generazioni. In Europa cominciò e crebbe la paura dell'immigrazione musulmana. Allora ci siamo resi conto
che era ancora possibile sconfiggere gli Stati, vedi le invasioni facili di Iraq e Afghanistan. Pure i veri nemici
erano ormai le idee radicali, gli estremisti jihadisti, i Talebani, oggi Isis. Allo stesso tempo però è emerso che
questi fenomeni accompagnano laceranti tensioni nel mondo islamico».
L'Europa può approfittare di un Islam non monolitico?
«Certamente. Esistono almeno tre forme di Islam in lotta tra loro. I wahabiti, i puristi sunniti, le cui radici
politiche risalgono al 1902-4, quando la casa reale saudita conquistò Riad e si alleò a loro per il dominio della
penisola arabica. Quindi i Fratelli Musulmani, il movimento sunnita egiziano creato nel 1928 per battere
l'occidentalizzazione. Inizialmente furono più religiosi e sociali che non politici. Più tardi le persecuzioni dei
governi egiziani li spinsero nelle braccia dei sauditi, diventarono un modello in Libia, Tunisia, Algeria,
Palestina, Giordania, Siria. Oggi però gran parte di questi regimi li combattono aspramente. A Riad ne hanno
grande timore. Infine il fenomeno sciita, esploso con la rivoluzione khomeinista del 1979, diventato più forte in
Iraq, Siria e Libano dopo l'invasione americana nel 2003. Da allora i sunniti, garantiti dai sauditi, li attaccano
con ogni mezzo. È lo scontro frontale tra Riad e Teheran».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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L'intervista
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Per l'Europa i sunniti sono più pericolosi degli sciiti?
«La dottrina sciita si incentra sull'attesa del dodicesimo imam. Ma ciò non significa affatto che gli sciiti siano
più moderati. Tutt'altro. La vera differenza per l'Europa è che gli sciiti sono meno numerosi dei sunniti, per
questo sono meno visibili nelle nostre città. L'unica soluzione è dialogare con i moderati, sunniti o sciiti che
siano».
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Chi è
Eugene Rogan è docente di Storia moderna del Medio Oriente al St. Antony's College di Oxford, dove ricopre
il ruolo di direttore del centro sul Medio Oriente Il suo libro «Frontiers of the State in the Late Ottoman
Empire» ha ricevuto il premio Albert Hourani
Foto: La trappola Non bisogna reagire in modo troppo oltranzista o cadremo nella trappola dei terroristi
Foto: L'Imam della moschea di Drancy con un poster «Je suis Charlie» vicino al Charlie Hebdo
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I conti del capo del governo sui franchi tiratori: sono al massimo 150
Dal quarto scrutinio non servirebbero più a nulla agli avversari Lo scacco e i 101 Bersani dà il primo scacco,
non decisivo: dovrà rispondere sui 101 di Prodi L'attesa Secondo il premier in pochi giorni si abbasserà il
polverone sul «salva Berlusconi»
Francesco Verderami
ROMA Non si era mai visto in una partita a scacchi che la prima mossa la facesse il nero. E invece nella sfida
per il Quirinale Bersani ha deciso di anticipare il premier - cui spetta di diritto il bianco - togliendogli il compito
di aprire il gioco. Ecco una delle tante novità che già oggi rendono la prossima corsa al Colle assai diversa
rispetto alle edizioni precedenti. E c'è più di un motivo se l'ex segretario del Pd ha lanciato pubblicamente la
candidatura di Prodi come successore di Napolitano. Nel partito c'è chi dice l'abbia fatto per riproporre sulla
scena la generazione dei «rottamati», c'è chi sostiene l'abbia fatto per lanciar poi se stesso, e c'è infine
Bersani, che da tempo voleva render nota la sua idea: «Aspetto che Renzi mi risponda "Prodi no". Gli dirò
che l'avevo capito due anni fa...».
Muovere un pezzo così pregiato ed esporlo immediatamente al sacrificio, vale se garantisce al giocatore la
possibilità di mettere sotto scacco l'avversario. E Bersani infatti dichiara scacco al premier, additandolo come
regista della famosa «operazione dei 101» che fu il principio della fine per l'allora capo della «ditta». Non è
uno scacco matto, figurarsi. Ma ora le parti si sono rovesciate, ora è Renzi a dover fronteggiare lo stesso
Parlamento e un partito - il suo - dove persino dirigenti a lui vicini ammettono sottovoce che «non sarà facile
gestire i gruppi», specie dopo lo scandalo della norma fiscale «salva Berlusconi» per la quale si sentono a
disagio.
Loro, non Renzi. Addossandosi di nuovo la responsabilità del codicillo contestato - un autentico segreto di
Pulcinella nel Palazzo - e ripetendo che «la manina era la mia» e che «tornerò a metterci mano dopo
l'elezione del capo dello Stato», il premier prova a rovesciare il gioco. Visto che aspettano il voto segreto per
tendergli un agguato, lui a sua volta vuol tenere alleati e rivali tutti appesi: il Pd, i partner di governo e in
misura minore Berlusconi, che già stava appeso e che ora gli starà ancor più appresso, data la posta in palio
personale. È una mossa spericolata quella di Renzi, non c'è dubbio, ai limiti dell'azzardo. Un'altra novità
paragonata ai metodi passati.
Ma il capo dei democrat scommette su due cose: intanto è convinto che la tempesta provocata dalla norma
«salva Berlusconi» si placherà nel giro di pochi giorni, giusto il tempo che esca dal circuito politico-mediatico;
e poi ritiene che sul Quirinale nel Pd prevarrà quello che lui definisce «senso di responsabilità istituzionale», e
che i suoi avversari interni bollano come «conformismo opportunista». La traduzione, che val bene per
entrambe le versioni, è: alla fine, dove vanno? Anche perché Renzi ha fatto i conti: al momento calcola al
massimo 150 franchi tiratori, ma dalla quarta votazione ne servirebbero 190 per uccellarlo. Più che a una
mediazione, insomma, si prepara a una prova di forza. Anche in questo caso non ci sono precedenti.
Così come non era mai accaduto che per il Colle ci fosse un florilegio di candidature: avanti di questo passo
ci saranno più quirinabili che grandi elettori. E Renzi pare alimenti ad arte questa moda, muovendo pezzi
sulla scacchiera prima ancora che inizi la partita. Tolto di mezzo Padoan, vittima eccellente sull'altare del
Nazareno, il premier si esercita a testare i suoi interlocutori. Ognuno ovviamente fornisce una versione
diversa delle volontà di Renzi. «Sono a caccia di una donna». E poi compare il nome di Bassanini. «Voglio
una soluzione concordata». E poi spunta l'asse tra Lotti e Verdini. «Non è un incarico per un improvvisato». E
intanto Grasso non fa che parlare dell'imminente periodo di supplenza al Quirinale. «Niente nomi per ora». E
però chiede: «Ma secondo te, quello lì...».
Come un Mourinho che nelle vigilie importanti sente il rumore dei nemici, Renzi fa «pretattica sfrenata» per
dirla con Bersani, che l'altro giorno ai suoi compagni ha raccontato: «Matteo di nomi ne ha già fatti almeno
una decina. Praticamente tutti». E dietro quella risata c'è la consapevolezza - anche in autorevoli ministri del
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Il retroscena
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Pd - che il premier tenga coperta la vera mossa, da spendere al momento opportuno per dichiarare scacco
matto al Parlamento. Chissà. Se ci riuscisse, sarebbe un'assoluta novità.
Di sicuro una novità, un'altra, c'è. Perché non solo Renzi tiene tutti appesi con la norma «salva Berlusconi»,
anche i grandi elettori sono appesi alla data ufficiale d'inizio della corsa per il Colle. Da tempo l'ipotesi più
accreditata dal Quirinale è che Napolitano si dimetta il 14 gennaio, subito dopo il rendiconto del premier per la
chiusura del semestre italiano in Europa. Ma visto che al Senato il voto sulla legge elettorale inizierà solo il
13, da ieri in Parlamento ha preso a circolare la voce che il capo dello Stato possa posticipare di qualche
giorno il suo addio. Il Cavaliere - già in ansia per la supplenza di Grasso - ha chiesto preoccupato se il ritardo
avrebbe implicazioni politiche. Sulla corsa al Colle no. Slitterebbe solo la decisione di Renzi sul decreto
fiscale...
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673 il quorum
per l'elezione del capo dello Stato nei primi tre scrutini. Dopo basteranno 505 voti
L'iter
Il 14 gennaio, all'indomani della conclusione del semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea, il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dovrebbe rassegnare le dimissioni Dalla formalizzazio-ne
dell'addio scattano i 15 giorni entro i quali devono essere convocate le Camere in seduta comune. A deputati
e senatori si aggiungeranno i delegati regionali. In tutto gli elettori saranno 1.009 Durante il periodo di
«vacanza» al vertice del Quirinale i poteri passano alla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato
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IL CASO DEL 3% PUO' SALDARE LE OPPOSIZIONI AL LEADER PD
Massimo Franco
Il caso non sta rientrando, anzi. Quando oggi Matteo Renzi tornerà dal viaggio-lampo negli Emirati Arabi
Uniti, si accorgerà che il pasticcio del cosiddetto decreto fiscale «salva-Berlusconi» è diventato una sorta di
bandiera dei suoi avversari interni. Di più: il vessillo dietro il quale la minoranza del Pd ma anche alcuni
spezzoni delle opposizioni si schierano chiedendogli di trattare sulla legge elettorale e, sullo sfondo, sul
Quirinale. Si tratta di un segnale che contraddice quelli, più distensivi, sulla riforma elettorale: sebbene anche
sull' Italicum si contesti un sistema che porterebbe a «nominare» circa il 60 per cento dei deputati.
Il problema non è tanto il provvedimento in sé, comparso misteriosamente nel testo presentato dal ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan, il 24 dicembre scorso; e disconosciuto da tutti. A creare imbarazzo e
acuire i sospetti di uno scambio inconfessabile tra depenalizzazione di uno dei reati per i quali è stato
condannato Silvio Berlusconi, e voti per un candidato di Renzi al Quirinale, è quanto è accaduto dopo. Il fatto
che il presidente del Consiglio abbia rivendicato la paternità almeno politica del decreto - «la manina è mia» non è stato considerato sufficiente a placare la tensione.
Le molte domande sull'incidente si sono saldate con la voglia di mettere in mora il patto del Nazareno tra
Renzi e Berlusconi. Né è piaciuta la scelta di difendere il provvedimento, e in parallelo di cambiarlo per poi
ripresentarlo a Palazzo Chigi il 20 febbraio; e cioè a cavallo dell'elezione del successore di Giorgio
Napolitano. Le sue dimissioni sono previste infatti per il 14 gennaio, e le Camere dovrebbero cominciare le
votazioni in seduta comune giovedì 29 gennaio. Alcuni esponenti del Pd vorrebbero che si chiarisse la
dinamica del «salva Berlusconi» prima di cominciare a votare per il capo dello Stato.
L'ex segretario Pier Luigi Bersani, ma non solo, contesta anche il merito del provvedimento, che a suo avviso
protegge chi froda il Fisco. «Il modo per venirne fuori», secondo Bersani, «è non aspettare il 20 febbraio»; e
invece ripresentare il decreto in Consiglio dei ministri e «togliere la parte delle frodi fiscali». Renzi, infierisce
l'ex segretario del Pd, si è comportato come «l'oste che dà da bere agli ubriachi». Sono indizi di un confronto
destinato a inasprirsi in vista della competizione per il Quirinale. È come se, vedendo un premier in difficoltà,
un pezzo del Pd gli facesse capire che dovrà scendere a patti.
In questo contesto, candidare Romano Prodi, ex presidente della Commissione Ue e fondatore dell'Ulivo,
come fa Bersani, appare una mossa a doppio taglio. Si ricorda come fu «bruciato» nel 2013 da 101 franchi
tiratori, molti dello stesso Pd. E si dice a Renzi che occorre «ripartire da lì». Ma così si conferma che la vera
incognita sarà la tenuta dei gruppi parlamentari di un partito di nuovo in tensione. Renzi, che ultimamente ha
cercato di limitare al massimo le occasioni e i fattori di attrito, ha un paio di settimane per recuperare la fronda
ed evitare una replica delle lacerazioni a sinistra di circa due anni fa. Non sarà facile, ma è costretto a
provarci. Di più: se è possibile, a riuscirci.
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La Nota
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Operazione da 7,5 miliardi. Siena guadagna il 12%. La banca spagnola: non ci interessa Acquisizioni
L'istituto iberico punterebbe al Novo Banco nato sulle ceneri di Espirito Santu
F. Mas.
La speculazione continua a preferire il titolo Mps per operare sui listini. Ieri l'azione della banca senese è
letteralmente volata di oltre il 12% a 0,52 euro sull'onda dell'aumento di capitale per massimi 7,5 miliardi di
euro varato in giornata dal colosso spagnolo Santander con un collocamento accelerato di azioni.
L'interpretazione circolata tra gli operatori è che parte di quel denaro possa essere utilizzato per una mossa
sull'istituto senese, che oggi vale appena 2,38 miliardi di euro.
Il Santander - forte dei suoi 86 miliardi di capitalizzazione e di 5,8 miliardi di utile solo nel 2014, +30% - è da
sempre indicato come uno dei possibili acquirenti della banca presieduta da Alessandro Profumo e guidata
da Fabrizio Viola accanto all'italiana Ubi e alla francese Bnp Paribas, anche se un'eventuale take over
spagnolo suonerebbe come una beffa visto che i guai di Mps sono cominciati proprio con l'acquisto di
Antonveneta dal Santander nel 2007 per 9 miliardi. Ma a borsa chiusa è stato lo stesso amministratore
delegato, José Antonio Alvarez, ad escludere che Santander stia valutando un'acquisizione di Mps.
Santander ha invece dichiarato ieri alla Consob spagnola (Cnmv) che l'aumento consentirà di «cogliere le
opportunità di crescita organica nei principali mercati dove opera, alla luce del miglioramento delle prospettive
economiche. Il nostro obiettivo è guadagnare quote di mercato ora che il ciclo economico è cambiato». I
Paesi indicati sono Spagna, Portogallo, Germania, Brasile, Regno Unito, Stati Uniti, Polonia, Argentina,
Messico e Cile. Nel mirino secondo gli analisti potrebbe esserci la portoghese Novo Banco, nata dalla ceneri
del Banco Espirito Santo. In Italia il Santander sta trattando l'acquisto da Unicredit del colosso dei fondi
Pioneer. In questo caso - evidenziano gli analisti di IG - «sarebbe difficile che sia interessato anche agli asset
di Siena, dato che incrementerebbe sensibilmente l'esposizione sull'Italia».
Alcuni osservatori ieri tendevano comunque ad escludere una mossa su Mps perché Santander ha una
situazione patrimoniale debole, come emerso dall'esame approfondito della Bce e dunque ha necessità di
rafforzarsi. Non a caso ieri la banca presieduta da Ana Botin ha anche annunciato un taglio ai dividendi. Altre
interpretazioni hanno fatto invece leva sulle attese per il possibile quantitative easing della Bce e sull'ok al
piano di ristrutturazione di Mps basato sull'aumento da 2,5 miliardi. Sarebbero soprattutto le decisioni
macroeconomiche in questo periodo a influenzare il corso dei titoli, specie di quelli come Mps (o Carige) nei
giorni scorsi colpiti dalle vendite.
Ieri su Mps è intervenuto anche il presidente della Bce, Mario Draghi: in una risposta scritta al Parlamento
europeo ha detto che «attualmente la Bce sta analizzando il piano di ricapitalizzazione». Il 15 gennaio è
previsto un incontro dei vertici del Monte con i responsabili della vigilanza Bce per il via libera finale al piano
avallato a dicembre. Draghi ha ricordato che «le carenze patrimoniali dovrebbero essere coperte entro nove
mesi dalla pubblicazione dei risultati della valutazione approfondita il 26 ottobre 2014».
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L'aumento Santander mette le ali a Mps
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Rispetto al 2010 quotazioni più basse dell'11,7%. Il nodo delle tasse
Francesco Di Frischia
ROMA Il prezzo delle case continua a scendere per il terzo anno consecutivo, ma l'Istat rivela che per la
prima volta dopo due anni c'è un rialzo dei prezzi delle nuove abitazioni che registrano un segno positivo,
+0,7%, rispetto al trimestre precedente. La flessione congiunturale, segnala l'Istat, è la più contenuta tra
quelle rilevate a partire dal quarto trimestre del 2011 e dipende esclusivamente dalla diminuzione dei prezzi
delle abitazioni esistenti (-0,7%).
Luca Dondi, direttore generale dell'osservatorio Nomisma, commenta: «Nell'anno appena iniziato dovrebbero
consolidarsi i timidi segnali di miglioramento registrati sul finire del 2014, sempre che il Paese riesca
finalmente ad uscire dalla spirale di recessione e deflazione da cui fatica a divincolarsi». Intanto anche
l'assessore alla Casa del Comune di Bologna, Riccardo Malagoli, si accoda all'appello lanciato dai suoi
colleghi di Milano, Roma e Napoli per chiedere al governo Renzi di prorogare il «blocco degli sfratti».
Tornando alle valutazioni degli immobili, l'Istat spiega che nel terzo trimestre 2014 l'indice dei prezzi delle
abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie è sceso dello 0,5% sul trimestre precedente e del 3,9% rispetto allo
stesso periodo del 2013. Pur persistendo una dinamica tendenziale negativa - fa notare l'Istat - sulla base
delle stime preliminari, l'ampiezza della flessione su base annua dell'Ipab continua a ridursi dopo il picco
toccato nel primo trimestre del 2013 (-6,0%), attestandosi a -3,9%. Questo dato è la sintesi del -4,8%
registrato dai prezzi delle abitazioni esistenti e del -1,3% dei prezzi di quelle nuove. Questo andamento si
manifesta in presenza di un aumento del 4,1% del numero delle compravendite registrato dall'Osservatorio
del mercato immobiliare dell'Agenzia delle entrate nel terzo trimestre del 2014, rispetto allo stesso periodo del
2013.
Il dato medio dei primi tre trimestri del 2014, rispetto allo stesso periodo del 2013 - sottolinea l'Istat - vede
l'indice dei prezzi degli immobili diminuire del 4,6%, sintesi di un calo del 2,4% dei prezzi delle abitazioni
nuove e del 5,5% di quelle esistenti. Rispetto al 2010 (anno base dell'indice dei prezzi), il calo risulta
addirittura dell'11,7% ed è dovuto solo alle case esistenti, i cui prezzi, nello stesso arco temporale, sono
diminuiti del 16,7%, precisa l'Istituto, mentre la variazione di quelli degli appartamenti nuovi risulta ancora
lievemente positiva (+0,8%).
«L'Istat conferma la dicotomia tipica delle fasi di inversione ciclica - osserva Dondi -. Ad una moderata ripresa
delle transazioni fa riscontro una perdurante tendenza ribassista dei prezzi, seppure a tassi progressivamente
decrescenti».
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Il costo del mattone I trimestre 2011-III trimestre 2014, indici (base 2010=100) Fonte: Istat d'Arco 106 104
102 100 98 96 94 92 90 88 86 84 82 2011 2012 2013 2014 Totale Abitazioni nuove Abitazioni esistenti I II III
IV I II III IV I II 3,9 per cento
il calo dei prezzi delle abitazioni rispetto al terzo trimestre 2013 0,5 per cento
il calo del terzo trimestre 2014 rispetto al trimestre prima
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I prezzi delle case giù dello 0,5% Primo rialzo per gli immobili nuovi
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La AAA di Costamagna sbarca in Canada con Atreus
( f. sav. ) Prosegue lo shopping oltre-frontiera della biotech AAA (Advanced Accelerator Applications) guidata
dall'amministratore delegato Stefano Buono e dal banchiere Claudio Costamagna in veste di presidente. Ieri
la società ha comunicato di aver acquisito Atreus Pharmaceutical Corporation, una start-up canadese con
sede ad Ottawa. L'operazione avviene comprando il 49,9% della società restante acquisendosi così il pieno
controllo e rinominando la società AAA Canada. Tra i soci della biotech - che ha sottoscritto un aumento di
capitale da 41 milioni di euro a febbraio scorso - anche la merchant bank di Giovanni Tamburi, in previsione
di una futura quotazione a Wall Street.
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Synergo entra in Raccortubi
( f. sav. ) Prove di aggregazione nel settore dei tubi ad uso industriale. Il fondo di private equity Synergo di
Gianfilippo Cuneo (foto) ha annunciato un investimento da 25 milioni di euro per rilevare il 25% di Raccortubi
dalla famiglia Pentericci. Risorse finalizzate all'acquisizione di Petrol Raccord, azienda operante nel settore
della produzione di raccordi speciali. Con l'operazione il gruppo Raccortubi passerà a oltre 100 milioni di euro
di fatturato aggregato, tra le più alte nel comparto.
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Aon Benfield compra un broker assicurativo in Svizzera
( f. sav. ) Circa 25 milioni di dollari per acquisire il portafoglio clienti di Sipex, un intermediario assicurativo
attivo nel settore marittimo con base a Lugano in Svizzera. È l'investimento della filiale italiana di Aon
Benfield, il maggior broker riassicurativo al mondo.
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Garavoglia lascia Amplifon
( d.pol. ) Luca Garavoglia lascia il board della Amplifon dopo due anni di permanenza. Un biennio in cui ha
svolto il ruolo di consigliere indipendente a fianco di Giovanni Tamburi e Andrea Guerra, oltre a quelli di
membro dei comitati Controlli e rischi e Remunerazioni. Altri incarichi che lascia per conseguenza. È quanto
ha comunicato ieri la società dopo le dimissioni «per motivi personali» del presidente e maggiore azionista
della Campari, che siede anche nei consigli di Rcs Mediagroup, editore del Corriere della Sera, e di Coesia
della famiglia Seragnoli. Garavoglia lascia Amplifon con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza di
aprile 2016 quando arriverà a termine l'intero board Amplifon. La società guidata da Franco Moscetti ha
comunicato che al momento delle dimissioni Garavoglia non risultava detenere azioni Amplifon. Ora il gruppo
degli apparecchi acustici - che ha ringraziato il consigliere uscente per l'impegno svolto - dovrà selezionare
un nuovo rappresentante indipendente. Una ricerca svolta dai maggiori azionisti, il presidente onorario Anna
Maria Formiggini Holland e la figlia Susan Carol che tre anni fa indicò proprio Garavoglia.
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Sussurri & Grida
09/01/2015
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Pag. 53
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L'epidemia dimenticata dell'era degli smartphone
Massimo Gaggi
A Singapore è ormai quasi impossibile assumere nell'esercito per mancanza di candidati coi requisiti minimi
di vista. Alle reclute viene così richiesto di sottoporsi, a spese dello Stato, a operazioni di chirurgia laser per
correggere la miopia.
Alimentata da fattori genetici, ma soprattutto dai comportamenti umani, l'epidemia di miopia in Asia ha
raggiunto dimensioni impressionanti: a Taiwan i bimbi di sette anni che non vedono bene da lontano sono
passati in vent'anni dal 5,8 al 21 per cento, mentre in Corea del Sud la miopia colpisce addirittura il 96% dei
ragazzi di 19 anni. Tutti o quasi. In Occidente, dove i fattori di predisposizione genetica hanno un'incidenza
inferiore, le cose vanno un po' meglio, ma la crescita è comunque fortissima: in America i cittadini miopi di età
tra i 12 e i 54 anni sono passati in trent'anni dal 25 al 41%. Un incremento dei due terzi. L'Europa (crescita
dal 20 al 33%) è in condizioni analoghe e l'Italia, dove i miopi sono quasi raddoppiati in 40 anni (da 13 a 25
milioni), sembra messa anche peggio.
Eppure se ne parla poco: solo qualche articolo durante i congressi medici, presto dimenticato. Un po' perché
la patologia è diffusa e si corregge facilmente con le lenti, un po' perché siamo abituati a considerare la
miopia come la conseguenza ineluttabile di una predisposizione genetica. Ma i medici ci dicono che le cose
stanno così solo nel 20% dei casi. Negli altri pesano i comportamenti individuali: troppe ore spese mettendo a
fuoco solo uno schermo a breve distanza dagli occhi.
Basterebbe seguire la regola del 20-20-20 (interrompere il lavoro ogni 20 minuti fissando per 20 secondi un
oggetto a 20 metri di distanza) per essere meno esposti alla miopia. Chi ha questa costanza? E intanto il
problema peggiora con la diffusione di tablet e smartphone: schermi piccoli, da tenere vicini agli occhi, molti
dei quali emettono quella luce blu che danneggia ulteriormente la vista. Ma chi se la sente di imporre ai
ragazzi di dimezzare il tempo speso in videogiochi, a messaggiare o sui social network ? E chi vuole sentirsi
dire che tenere un bimbo di due anni tranquillo al tavolo del ristorante con un iPad è nocivo per la sua salute
visiva? Porterà gli occhiali e magari un giorno si opererà col laser. Sono già 150 mila l'anno gli interventi di
questo tipo in Italia. L'alba di un nuovo business (per la cataratta siamo a quota 500 mila): in fondo anche la
cura della miopia fa crescere il Pil. Il tempo passato all'aria aperta no.
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Visti da lontano
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Draghi fa volare le Borse: «Acquistiamo titoli di Stato»
Piazza Affari +3,7%, l'euro cade sotto 1,18 dollari
Maximilian Cellino
Svolta delle Borse (Milano +3,7%) dopo che il presidente Bce Draghi ha ribadito di essere pronto al
quantitative easing dal 22 gennaio, compreso l'acquisto di titoli di Stato. Spread a 134 , euro sotto 1,18
dollari.
Servizi e analisi pagine 2 e 3
Al terzo tentativo il rimbalzo delle Borse europee va finalmente a segno. È servita però una mano (indiretta)
dalla Banca centrale europea, oltre alla «collaborazione» della Federal Reserve e di Wall Street per relegare
momentaneamente in secondo piano le tensioni legate alla crisi greca così da riportare il denaro sui listini
azionari dopo un inizio d'anno a dir poco problematico e anche da far abbassare di nuovo i rendimenti dei
titoli di Stato periferici. Unica vittima (predestinata) resta l'euro, che ieri ha aggiornato i minimi degli ultimi 9
anni scivolando sotto quota 1,18 dollari.
Il bilancio finale, tornando alle Borse, parla di un recupero del 3,69% per Piazza Affari, dove Monte dei Paschi
è tornata a rialzare la testa (+12%) sulle speculazioni relative all'ingresso nel capitale del Banco Santander.
Poco più indietro gli altri listini principali: con Parigi in rialzo del 3,59%, Francoforte del 3,36%, Madrid del
2,26% e Londra del 2,34 per cento. Ancora in calo invece Atene, che ha lasciato sul campo un altro 2 per
cento. New York, positiva per il secondo giorno consecutivo, non ha fatto altro che aggiungere sostanza al
recupero.
Il maxi-rimbalzo era in realtà già partito di prima mattina sui progressi di Wall Street e di Tokyo dopo la
diffusione dei verbali dell'ultima riunione Federal Reserve in cui si parla di un rialzo dei tassi non prima di
aprile e soprattutto soggetto alla qualità dei dati macroeconomici che saranno diffusi nei prossimi mesi. Nella
nottata poi Charles Evans - presidente della Fed di Chicago (e membro votante nel board di Washington) aveva in un certo senso rincarato la dose sostenendo che aumentare i tassi Usa «sarebbe una catastrofe».
La svolta sui mercati è però arrivata a poche ore dalla chiusura, complice la diffusione della lettera che Mario
Draghi ha scritto in risposta all'interrogazione dell'europarlamentare irlandese Luke Flanagan. Il presidente
della Bce ha ribadito che esiste unanimità all'interno del board per introdurre nuove misure non convenzionali
di politica monetaria e soprattutto che tra gli asset oggetto di acquisto sarebbero inclusi anche i titoli di Stato:
non è la prima volta che si parla di un'ipotesi del genere, ma è la prima volta che viene messa direttamente
per iscritto e questo ha rilanciato le attese per un intervento che gli operatori ormai si aspettano già dal 22
gennaio prossimo.
La reazione del mercato è stata quindi pressoché immediata e ha riguardato questa volta anche i titoli di
Stato: il rendimento del decennale italiano è di nuovo sceso all'1,85% e quello spagnolo all'1,68%, entrambi
hanno ridotto rispettivamente a 134 e 117 lo spread nei confronti del bund tedesco che invece è leggermente
salito (0,51%). Il tutto mentre Francia e Spagna piazzavano rispettivamente 9,5 e 5 miliardi di titoli a medio
termine a tassi in ulteriore discesa e ai minimi di sempre. Martedì prossimo sarà il Tesoro italiano a provare a
sfruttare il momento, con un quantitativo fino a 7 miliardi di BTp a 3, 7 e 15 anni (il giorno precedente sarà il
turno dei BoT a 12 mesi).
Da segnalare infine anche il ritorno del titolo a 10 anni ellenico sotto il 10% (9,75% per la precisione),
nonostante ieri la Bce abbia messo in guardia Atene attraverso le parole di un portavoce sul fatto che
l'accesso delle banche elleniche ai finanziamenti dell'Eurotower potrà continuare soltanto a seguito di una
«conclusione positiva dell'attuale programma di salvataggio e di un successivo accordo» con la Troika per
estendere il sostegno finanziario. Ieri evidentemente il mercato era in vena di chiudere un occhio anche sulla
Grecia.
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Il presidente Bce scrive all'Europarlamento: pronti al Quantitative easing il 22 gennaio
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Ieri -0,29% Da inizio anno Francoforte Dax +3,36% Ieri +0,33% Da inizio anno Madrid Ibex 35 +2,26% Ieri 1,60% Da inizio anno 200 250 150 100 50 01/01/2014 Ieri Italia 134 Spagna 116 1,42 1,36 1,30 1,24 1,18
01/01/2014 08/01/2015 1 Italia 203 Spagna 18 202 La giornata sui mercati LE BORSE. Variazioni % di ieri
LO SPREAD. In punti base Parigi Cac 40 +3,59 Milano Ftse Mib +3,69 Madrid Ibex 35 +2,26 Francoforte Dax
+3,36 01 gennaio 2014 Ieri 50 100 150 200 175 125 75 225 202 203 1 Spagna 134 Italia Spagna Italia 116
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Foto:
IL RIMBALZO DEI MERCATI
Foto:
LA GIORNATA SUI MERCATI
L'andamento delle borse europee, del cambio euro-dollaro e dello spread Btp-Bund
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Il Sole 24 Ore
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Banche, salgono le soglie di capitale
Claudio Gatti
Mentre si aspettano con ansia le mosse espansive di Mario Draghi, in Italia è arrivata una nuova doccia
fredda per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza europea che potrebbe, nell'immediato, avere effetti
opposti.
pagina 27
Continua da pagina 27
Con punte drammatiche come quella del Monte dei Paschi di Siena, il cui nuovo floor è del 14 per cento.
Perquello che riguarda le popolari, invece, la relativamente virtuosa Ubi ha visto la propria soglia minima
passare al 9,6%, per la Popolare di Vicenza l'asticella è stata alzata oltre l'11,6 .
A queste banche il motivo dell'irrigidimento è spiegato senza mezze parole: «le strategie e i meccanismi
adottati dall'istituto e i suoi fondi non garantiscono una copertura completa dei rischi».
Come specifica l'oggetto della lettera, per ora si tratta solo di un draft, cioè di una bozza. Le banche hanno
tempo fino a venerdì prossimo, 16 gennaio, per presentare le proprie controdeduzioni e cercare di convincere
Francoforte a ridurre il proprio floor, ma se non vi riusciranno, da febbraio o marzo dovranno applicare nuovi
requisiti di capitalizzazione significativamente più severi.
Il Sole 24 Ore ha chiesto un commento a Banca d'Italia che però ci ha detto di «non avere osservazioni».
L'obiettivo di Francoforte è comunque chiaro: sulla base delle specifiche condizioni emerse con gli stress test
e l'Asset quality review autunnali vuole introdurre requisiti di patrimonializzazione che riducano il rischio di
nuovi dissesti bancari dovuti a un eccesso di leva e/o insufficienza di capitale. Più che legittimo. Ma secondo
addetti ai lavori consultati da Il Sole 24 Ore il risultato pratico immediato dell'aumento dei coefficienti sarà
quello di incentivare le banche a comprare titoli di Stato anziché erogare credito. In risposta a un improvviso
aumento dei coefficienti patrimoniali minimi, le banche si troveranno infatti di fronte a due opzione: aumentare
il proprio capitale per poter mantenere gli stessi margini di oppure assumere posizioni difensive e diminuire il
proprio rischio. Poiché gli aumenti di capitale in questo momento sono fuori della portata di tutti - e a maggior
ragione di chi è in difficoltà - alle banche non resterà che la seconda strada.
Occorre dire che già nel giugno del 2011, per gli stessi motivi della Bce, l'European Banking Authority, l'altra
autorità di vigilanza bancaria continentale, presieduta dall'italiano Andrea Erria, aveva comunicato alle
banche la necessità di alzare l'asticella dal 7% di Basilea 3 al 9 per cento. Ma era stata una misura
temporanea, poi rescissa nel 2013.
Così come è bene precisare che le banche italiane si trovano tutte sopra quella soglia. Ma come ci spiega un
banchiere, che chiede l'anonimato, «un conto è operare con un abbondante margine sopra la soglia minima,
un altro conto avere un margine risicato. In questo secondo caso si tende a essere molto più prudenti».
L'impatto sarebbe su due fronti: quello delle future acquisizioni, perché la restrizione del margine sopra la
soglia, mettendo le ganasce su capitali liberi, limita chiaramente la potenza di fuoco di chi vuole crescere.
L'altro effetto sarebbe quello di un'inibizione dell'attività creditizia.
«Le banche sono come le aziende», aggiunge il banchiere. «Fanno quello che più conviene. E l'innalzamento
delle soglie favorisce l'investimento in titoli di Stato, che di fatto diventa adesso ancora più competitivo
dell'impiego di credito. Sul titolo di Stato non sono infatti richiesti accantonamenti, né ci sono coefficienti di
capitale. Come si dice in gergo tecnico, hanno ponderazione zero. E poiché per riattivare il ciclo economico
serve invece la ripresa del credito, questa misura potrebbe avere un impatto pro-ciclico, alimentando cioè
l'attuale ciclo di stretta creditizia».
Il Sole 24 Ore ha chiesto un commento ad Andrea Resti, professore della Bocconi esperto di
regolamentazione bancaria e di rischi finanziari. «Premesso che io non credo alla supply side economics
applicata al credito, e che secondo me il calo degli impieghi in Italia è soprattutto un problema di domanda,
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La Bce aumenta il «common equity ratio» - Ecco le richieste inviate con una lettera ai singoli istituti
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da studioso noto che se si alzano i requisiti patrimoniali, magari in modo perfettamente giustificato, si
riducono automaticamente gli spazi per una futura ripresa del credito», dice Resti.
C'è inoltre un altro aspetto di tutt'altra natura. Le regole di trasparenza prevedono che, quando ha notizie che
possano incidere sul valore del proprio titolo, il management di una banca ha l'obbligo di comunicarle al
mercato e alle autorità di vigilanza. In questo caso a Il Sole 24 Ore risulta che nessuno abbia ancora
comunicato nulla.
«In linea generale, ogni informazione riservata e price sensitive, cioè che ragionevolmente può muovere in
modo sensibile il prezzo delle azioni o delle obbligazioni quotate emesse dalle banche, deve essere
comunicata al pubblico», commenta Luca Enriques, ex commissario Consob oggi professore di Corporate
Law a Oxford. Che aggiunge: «Ma in un caso come questo gli emittenti potrebbero sostenere che i
procedimenti sono ancora in corso, che i requisiti di capitale non sono stati ancora fissati in modo definitivo, e
che quindi la notizia non è sufficientemente precisa per essere comunicata».
Il messaggio sui nuovi e più alti coefficienti patrimoniali minimi si va inoltre a sommare a una comunicazione
fatta nel novembre scorso dall'Eba in cui l'Authority informava le banche della propria intenzione di alzare
un'altra soglia, quella della cosiddetta materialità negli sconfinamenti (che in pratica è il minimo oltre il quale
lo sconfinamento continuativo trasforma il credito in non-performing ovvero in stato di default).
Nell'ambito di un processo di omogeneizzazione di regole e comportamenti, dopo aver portato a 90 per tutti il
termine massimo di giorni consecutivi oltre i quali uno finanziamento deve essere classificato come nonperforming (fino all'anno scorso nel Sud Europa era di 180), l'autorità europea ha fatto sapere di star
valutando criteri che uniformino il calcolo della soglia di materialità, finora diversi da Paese a Paese.
Oggi in Italia questa soglia è pari al 5% del totale delle linee di credito del cliente. L'Eba sta invece valutando
l'introduzione di una soglia con due componenti: un minimo relativo pari al 2 anziché il 5% delle linee di
credito e un minimo assoluto, che per i clienti retail sarà di 500 euro e per corporate di 600. Nel "documento
di consultazione" inviato alle banche, l'Eba chiede alle banche di esprimere la propria opinione su questi due
requisiti e chiede se si ritiene preferibile che siano alternativi ovvero debbano essere entrambi valicati perché
ci sia uno sforamento della soglia.
C'è da aspettarsi che le banche risponderanno che il secondo scenario sia preferibile. Ma anche solo
l'abbassamento dal 5 al 2%, in Italia potrebbe avere un impatto significativo, mentre in Paesi come la
Germania non provoca praticamente alcuno scossone. Il motivo è semplice: in Germania debitori e creditori
sono più rigorosi, e un credito scaduto da 90 giorni si trasforma quasi automaticamente in sofferenza. In
Italia, dove c'è da sempre una cultura diffusa di flessibilità interpretativa e adesso si sta vivendo un momento
di fortissimo aggravamento del problema degli incassi (e lo Stato è il primo inadempiente!), è molto più
normale sforare sulle scadenze. Ma nella maggior carte dei casi lo scaduto di 90 giorni viene rimborsato e la
situazione torna poi normale.
In pratica i nuovi requisiti suggeriti dall'Eba non avrebbero alcun impatto nei paesi nordici, mentre
penalizzerebbero l'"insubordinazione" di Paesi come l'Italia.
«Qui occorre farsi una domanda: vogliamo una vigilanza europea integrata? Io la vorrei. Se è così,
evidentemente si tratta di unificare prassi e regole. Qualche volta toccherà a noi farlo. E nel momento gli altri
Paesi hanno soglie anche assolute di entità modesta, non è pensabile che l'Italia possa continuare ad andare
per conto suo. Perché altrimenti ognuno si riserverebbe di fare lo stesso», commenta il professor Resti. «Non
si tratta dunque a mio giudizio di fare resistenze o battaglie contro l'uniformità delle regole, perché dalle
regole comuni alla fine guadagnerebbero tutti, Italia inclusa. Piuttosto si tratta di accettare il principio senza
procedere in modo draconiano, bensì stabilendo una scaletta di tempi che tenga conto dell'attuale contesto
economico difficile».
Per capire il potenziale impatto di questo possibile cambiamento, le banche stanno nel frattempo facendo
simulazioni a ritroso che permettano di calcolare l'incidenza delle nuove soglie.
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
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A Il Sole 24 Ore risulta che dai calcoli finora fatti sia emerso che se nel 2014 fossero stati applicati i nuovi
requisiti, anche se applicato solo quello del 2%, diverse centinaia di migliaia di clienti sarebbero stati
qualificati come in default. Ma il dato ancora più interessante è che oltre la metà di questi hanno poi risolto
totalmente la propria situazione di sconfinamento.
In un periodo congiunturale difficile quale quello attuale, secondo la nostra fonte bancaria il nuovo criterio
potrebbe penalizzare proprio la categoria di imprese che occorrerebbe invece sostenere, cioè quelle
sostanzialmente solide ma oggi in bilico tra la sopravvivenza e default. Basti pensare infatti che dalle
rilevazioni fatte nel terzo trimestre del 2014 da Crif, società di fornitura di informazioni creditizie, risulta che in
Italia solo il 37,5% delle imprese paga alla scadenza e i ritardi nei pagamenti commerciali sono aumentati del
200% rispetto al 2010.
A questo il professor Resti risponde dicendo che «è sbagliato valutare una regola solo sulla base di
comportamenti passati perché le regole cambiano i comportamenti». E poiché il consenso in Europa è che i
comportamenti vadano uniformati in senso migliorativo, come nel caso della riduzione dei termini da 180 a 90
giorni si tratta di definire le opportune tappe di avvicinamento all'obiettivo.
Nell'immediato, però, i nuovi coefficienti della Bce e le misure prese in considerazione dall'Eba potrebbero
minare gli effetti positivi dell'attesa l'iniezione di liquidità data dal quantitative easing che ci si attende ora da
Mario Draghi.
.http://gradozeroblog.it
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C LA PAROLA CHIAVE
Common equity tier 1
Per valutare la solidità patrimoniale delle banche vengono impiegati degli indicatori, chiamati ratio. Quello che
oramai è diventato il parametro più utilizzato per valutare la solidità di una banca è il Cet 1 (Common equity
tier 1) ratio, il rapporto tra Cet 1 (rappresentato principalmente dal capitale ordinario versato di primaria
qualità) e la attività ponderate per il rischio, i cosiddetti Risk weighted asset (Rwa). Secondo le norme della
Bce, il Cet 1 ratio deve essere superiore all'8%. Tuttavia, la Banca Centrale Europea, a valle del
Comprehensive Assessment, ha innalzato ulteriormente l'asticella del Cet 1: oggi la soglia media del settore
italiano è indicativamente al 10,5%
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Vigilanza Bce. Daniele Nouy
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
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Ottimismo solo sul breve
di Morya Longo
I mercati festeggiano per le manovre della Bce. E brindano per la «pazienza» della Fed. Ma guardando al
futuro, restano scettici sulla ripresa economica e sull'inflazione. pagina 3
Le Borse festeggiano perché Mario Draghi ribadisce la volontà di comprare titoli di Stato. Brindano perché la
Fed Usa dimostra ancora una volta di non avere alcuna fretta ad alzare i tassi d'interesse. Ma in mezzo a
tanto giubilio, arrivato dopo qualche giornata di passione sui mercati, dietro le quinte alcuni indicatori
dimostrano che gli investitori non hanno alcuna fiducia sulla ripresa dell'economia mondiale nel lungo
termine. E non ripongono grande speranza neppure sulla locomotiva americana. A gettare un'ombra sinistra
sul futuro economico sono gli indicatori sull'inflazione attesa nei prossimi 10 anni: perché sono tutti sui minimi.
E continuano a scendere.
In Germania il mercato crede che l'inflazione media nel decennio sarà appena dello 0,66%: mai le previsioni
di lungo termine erano scese così in basso. L'inflazione decennale prevista in Giappone è dello 0,76%: stima
più elevata rispetto ai minimi toccati tra il 2008 e il 2012, ma sostanzialmente in linea con i livelli del 20042007. Cioè quando il Giappone era nella trappola della deflazione. E anche negli Stati Uniti, dove il Pil
cavalca al ritmo del 5%, nei prossimi 10 anni il caro-vita è atteso dal mercato dei titoli legati all'inflazione
mediamente all'1,67%: l'ultima volta che le previsioni erano scese così in basso era nel 2010, quando la Fed
fu costretta ad avviare una nuovo round di iniezioni di liquidità. E se si guardano i futures sull'inflazione attesa
tra 5 anni per i successivi 5(indicatore molto guardato dalle banche centrali), il messaggio è lo stesso: il
mercato è convinto che il caro-vita non si riprenderà per molto tempo. Encefalogramma piatto.
Questo può avere due significati. È possibile che il mercato sbagli le sue previsioni (non sarebbe la prima
volta), e che proietti sul futuro le tensioni deflazionistiche che oggi si vedono sul petrolio. Oppure è possibile e questa è l'opinione prevalente tra gli economisti - che gli investitori siano convinti che le banche centrali
siano destinate a fallire l'obiettivo di far risalire l'inflazione e di far ripartire veramente l'economia. Se questa
previsione può sembrare sensata per l'Europa, sorprende se si pensa agli Stati Uniti. Eppure questo è il
punto: nonostante il balzo del Pil del 5% nell'ultimo trimestre, nonostante il calo della disoccupazione e i
record di Wall Street, gli investitori continuano a guardare anche gli Stati Uniti con apprensione. Forse
temono che le difficoltà europee finiscano prima o poi per contagiare anche l'America. Forse pensano che le
misure monetarie abbiano un effetto solo temporaneo anche negli Usa. O che prima o poi la bolla della
liquidità globale sia destinata a scoppiare.
Sta di fatto che se le aspettative sul futuro fossero rosee, l'inflazione in un arco di tempo così lungo dovrebbe
essere prevista in rialzo. Non in continuo calo. Il petrolio basso di oggi aumenta infatti il potere d'acquisto
delle famiglie: questo dovrebbe in futuro far crescere consumi e dunque l'inflazione. E in generale la ripresa
economica - robusta negli Usa e timidamente attesa nel 2015 anche in Europa - dovrebbe tradursi in
maggiori consumi. Dunque in maggiore inflazione. Eppure il mercato non ci crede: nè quando guarda
all'Europa, né quando pensa al Giappone, né quando si rivolge verso gli Stati Uniti.
Questo conferma quanto i mercati obbligazionari sembrano segnalare da tempo: i tassi d'interesse
resteranno molto bassi per un lungo periodo.
E le banche centrali manterranno l'abbondanza di liquidità. Anche negli Stati Uniti, sebbene la Federal
Reserve si stia preparando - con «pazienza» - a rialzare piano piano il costo del denaro. Insomma: prima di
tornare nel mondo «normale» passerà ancora molto tempo. Almeno così pensano oggi i mercati finanziari.
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L'ANALISI
09/01/2015
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Delega fiscale, rischio tempi più lunghi
No dall'Ncd: «Decreto subito in Aula» - Il governo valuta un provvedimento attuativo unico
Marco Mobili Marco Rogari
LA PROROGA
L'esecutivo punta
su un emendamento al milleproroghe per allungare la scadenza per l'attuazione oggi fissata al 27 marzo
roma
Un decreto unico sulla certezza del diritto da varare il 20 febbraio. Una data che però scontenta quasi tutti
perché viene considerata troppo lontana. Mentre Ncd con Maurizio Sacconi chiede di portare subito il
provvedimento all'esame del Parlamento e la minoranza Pd sollecita l'esecutivo a riferire alle Camere, il
Governo lavora per ampliare ed arricchire il testo, ma anche per prorogare il termine di esercizio della delega
fiscale(scade il 27 marzo) facendo leva su un emendamento al milleproroghe. I tecnici già da ieri hanno
riaperto il cantiere sulla certezza del diritto per arrivare a presentare il nuovo provvedimento il 20 febbraio
prossimo. Ai tre capitoli sull'abuso del diritto, sulla contestata revisione dei reati tributari e sulla cooperative
compliance, se ne aggiungeranno altri tre: l'accertamento con i ritocchi agli strumenti deflattivi del
contenzioso, le liti tra fisco e contribuenti e la fiscalità internazionale.
Le associazioni di categoria, dal canto loro, chiedono che siano rispettati i tempi di attuazione dell'intera
riforma già fissati per fine marzo. Ma ormai sia all'Economia che in ambienti parlamentari la proroga di tre-sei
mesi viene ormai data per certa. A chiederla al premier è stato a più riprese il presidente della Commissione
Finanze della Camera, Daniele Capezzone (Fi). Ieri l'ufficio di presidenza ha deciso di incardinare le proposte
di legge di proroga della delega presentate dallo stesso Capezzone e dal capogruppo del Pd in
Commissione, Marco Causi, mentre sulla norma salva-Berlusconi ha chiesto di audire il Governo (il ministro
Padoan e il viceministro Casero) e poi il presidente emerito della Consulta Franco Gallo.
Ma le polemiche non si placano. «Il Governo venga subito in Parlamento con quel decreto delegato, a
prescindere da coloro che ne sarebbero i beneficiari, esprima il suo convincimento e - chiede il capogruppo di
Ncd al Senato Sacconi - ci dica cosa pensa sia giusto per il nostro sistema tributario e per il nostro
ordinamento». Ma l'esecutivo fa muro. E si oppone anche alla richiesta della minoranza Pd e di una parte
consistente dell'opposizione a dare subito conto nelle Aule parlamentari della gestione del decreto da parte di
Palazzo Chigi. Dal ministro Maria Elena Boschi arriva un no alle conferenze dei capigruppo di Camera e
Senato. Con il rischio di far salire ulteriormente la tensione con la minoranza Pd.
«Renzi in Aula per spiegare? Certo non guasterebbe», afferma a La7 l'ex segretario dem Pierluigi Bersani.
Che aggiunge: «Renzi se ne è presa la responsabilità, ha detto la "manina" è mia. A me piace la franchezza
ma non riesco a fargli i complimenti. Il modo per venirne fuori - prosegue Bersani - è non aspettare il 20
febbraio ma affrontare di nuovo quel decreto in Cdm e togliere la parte delle frodi fiscali». E che le acque nel
Pd non siano tranquille lo conferma la richiesta arrivata da Massimo Mucchetti al Governo di riferire in Aula al
Senato, alla quale si sono associati M5S, Sel e Lega. Con il vicepresidente dei senatori Pd, Giorgio Tonini,
subito costretto a precisare che la richiesta di Mucchetti era a titolo personale. Anche Pippo Civati sollecita
Renzi a chiarire in Aula. Ma per la Boschi i provvedimenti dell'esecutivo non potrebbero essere oggetto di
informativa. Silvio Berlusconi, da parte sua, avrebbe coniato una storiella ad hoc sul presunto codicillo in suo
favore: «Quando si viene a sapere che» sull'imbarcazione che sta per affondare «ci sono io a bordo, ogni
soccorso viene bloccato...». Norma che comunque per il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini va
eliminata.
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IL CALENDARIO TRA SCADENZE E RINVII
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Le misure per l'economia
09/01/2015
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20 FEBBRAIO
Il varo del nuovo decreto
È la data fissata per il varo del nuovo decreto dopo il "congelamento" del precedente. Nel testo all'abuso di
diritto, alla contestata revisione dei reati tributari e alla cooperative compliance, si aggiungeranno:
accertamento, gestione delle liti e fiscalità internazionale
27 MARZO
Il termine per l'attuazione
Il termine previsto dalla delega fiscale (legge 23/2014) per l'adozione di tutti decreti legislativi necessari
all'attuazione. Una scadenza che ora, dopo il rinvio del decreto sull'abuso di diritto, sembra troppo vicina per
poter essere rispettata
GIUGNO-SETTEMBRE
La proroga per l'attuazione
Sia all'Economia che in ambienti parlamentari lo spostamento della data per la delega viene data per certa. Si
parla di tre-sei mesi (giugno-settembre) con un emendamento al milleproroghe. A chiederla al premier il
presidente della commissione Finanze della Camera, Capezzone (Fi)
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 9
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Sprint dei fondi Ue, spesa al 70,7%
Nel 2014 spesi 7,9 miliardi, ne restano 13,6 nel 2015 - In ritardo solo tre programmi su 52, persi 51,4 milioni
Giorgio Santilli
IL TAGLIO
A perdere risorse sono
il programma nazionale Reti per le grandi infrastrutture,
il piano Attrattori culturali
e quello «sociale» di Bolzano
ROMA
C'è stata un'accelerazione della certificazione della spesa di fondi strutturali Ue 2007-2013 nell'ultima parte
del 2014: la spesa annuale è cresciuta a 7,9 miliardi, quella complessiva da inizio programmazione è salita a
33 miliardi, pari al 70,7% del totale, ponendosi di 1,9 miliardi al di sopra del target europeo di fine anno.
Restano ora 13,6 miliardi da spendere entro la fine del 2015 per completare il ciclo della vecchia
programmazione ed evitare la perdita di fondi. L'obiettivo di uscire indenne dai tagli di Bruxelles è
praticamente riuscito nel 2014: solo tre programmi su 52 hanno registrato performance inferiori al target Ue, il
disimpegno è stato pari a 51,4 milioni, pari allo 0,11% del totale delle risorse programmate. Palazzo Chigi
canta vittoria, anche se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ringrazia «il lavoro di
tutti».
Renzi e Delrio rivendicano soprattutto il merito di avere introdotto novità nel metodo di lavoro. «L'obiettivo afferma la nota di Palazzo Chigi - è stato raggiunto grazie alle misure specifiche messe in atto e ad un'azione
congiunta che ha visto le regioni con maggiori criticità, Calabria, Campania e Sicilia, molto impegnate e
supportate dalle tre task force specificamente dedicate all'attuazione dei programmi operativi».
Nelle cinque regioni convergenza (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia) la spesa ha raggiunto il
67,3% mentre nelle regioni competitività, quindi il centro-nord, il tasso di spesa ha raggiunto il 77,9%».
Fra i tre programmi che non hanno raggiunto il target e dovrebbero quindi subire il disimpegno di fondi, c'è
anzitutto il Pon Reti che finanzia le grandi infrastrutture. Il danno è limitato a 23,7 milioni e certamente il
programma ha beneficiato del trasferimento al Piano azione coesione (Pac), negli ultimi tre anni, dei grandi
lavori infrastrutturali come la Napoli-Bari.
Anche il Pon Attrattori culturali subirà una penalizzazione molto centenuta pari a 4,3 milioni di euro: si tratta di
un programma, gestito dal ministero dei Beni culturali in stretta collaborazione con le Regioni, che è stato
fortemente in ritardo, con percentuali ben più elevate, nel corso dell'intera programmazione. Il finanziamento
del «progetto Pompei» con questi fondi ha consentito una forte accelerazione soprattutto grazie al
monitoraggio costante effettuato sulla spesa e sul piano delle gare e degli appalti. C'è infine il programma del
Fondo sociale della provincia autonoma di Bolzano che dovrebbe subire una decurtazione di 23,4 milioni per
un ritardo nella procedura di certificazione della spesa.
Gli altri 49 programmi superano tutti i target fissati da Bruxelles.
Il 2015 non sarà comunque un anno facile, soprattutto per le grandi regioni del Sud. Hanno superato
l'obiettivo di fine 2014 anche perché l'asticella per quest'anno non era altissima (grazie alla possibilità data
dalla Ue di rinviare all'ultimo anno la contabilizzazione della spesa per i grandi progetti infrastrutturali). Ma a
fine 2015 bisogna completare il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) che presenta percentuali di
spesa che fanno tremare: la Campania deve ancora spendere 2.025,7 milioni pari al 44,3% dell'intero
programma, la Sicilia 1.895,1 milioni pari al 43,5%, la Calabria 806,3 milioni pari al 40,3% del totale
programmato. Se si sommano anche le risorse del Fondo sociale, le tre regioni dovranno in tutto spendere
5,5 miliardi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Le misure per l'economia
09/01/2015
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Anche per il programma nazionale Reti resta da recuperare molto terreno con una somma da spendere di
896,7 milioni (pari al 49,6%). Target alti anche per il programma nazionale Ricerca con 976 milioni da
spendere.
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09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 11
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Porto Marghera può ripartire
Previste 23 azioni per riqualificare e rendere attrattivi 2mila ettari di aree produttive
Barba ra Ganz
NUOVA FILOSOFIA
L'obiettivo del piano
è la creazione
delle condizioni ideali
per l'insediamento
di nuove imprese
VENEZIA
Porto Marghera riparte da 152 milioni: serviranno a finanziare 23 interventi di risanamento territoriale e messa
in sicurezza idraulica, ripristino e potenziamento, per mettere l'area - la riqualificazione industriale riguarda i
2mila ettari di insediamenti produttivi, commerciali e terziari, canali navigabili e bacini, porto commerciale e
infrastrutture che fanno del sito una delle più grandi zone industriali costiere d'Europa - in grado di tornare
attrattiva.
L'accordo di programma per la riqualificazione, firmato al ministero dello Sviluppo economico dal ministro
Federica Guidi, dal governatore del Veneto Luca Zaia e dal sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta,
prevede risorse messe a disposizione in parte dal Mise (circa 103 milioni, frutto dei rimborsi dell'Alcoa per
aiuti di stato non compatibili) e dalla Regione Veneto (20 milioni). L'intesa è «un ottimo esempio di come
riqualificare anche dal punto di vista ambientale, senza disperdere le caratteristiche industriale che possono
essere messe a disposizione di nuove iniziative», ha detto il ministro Guidi. Per le imprese che investiranno ci
sarà anche un credito di imposta.
Per la prima volta, al centro dell'attenzione non sono bonifiche e crisi aziendali, «ma un insieme coordinato di
interventi infrastrutturali capace di creare condizioni per l'insediamento di nuove attività e il supporto e lo
sviluppo di quelle già presenti», sottolinea Paolo Costa, presidente dell'Autorità portuale di Venezia, uno dei
soggetti in prima fila per la realizzazione degli interventi descritti nell'accordo. Sono, aggiunge, le basi «per la
creazione della Porto Marghera di domani. L'accordo esalta quell'unicum che, da sempre, ha fatto la fortuna
di quest'area: il porto per l'industria e l'industria per il porto». L'obiettivo è ora attrarre attivitàche sappiano
sfruttare al meglio la vicinanza al mare e le potenzialità logistico-infrastrutturali, la ritrovata accessibilità grazie
ai lavori di escavo dei canali, delle banchine esistenti e il ripristino dei tracciati ferroviari «e, infine, la
realizzazione del porto offshore», elenca Costa, mentre Matteo Zoppas, presidente Confindustria Venezia,
mette l'accento «sull'erogazione condizionata alla definizione dei progetti entro 6 mesi e alla realizzazione
degli stessi entro 30 mesi. Si tratta di tempi e risorse certe, da gestire in piena trasparenza eliminando ogni
rischio di corruzione e malaffare».
Secondo l'ultima indagine conoscitiva sull'area, nel 2014 il numero totale di aziende operanti a Porto
Marghera è stato di 1.034, per un totale di 13.560 addetti, circa 2.440 in più del 2013. «Abbiamo dato uan
risposta concreta a chi opera qui - sottolinea Zaia - Resta aperta la grande partita delle aree che abbiamo
acquisito da Eni, oltre 110 ettari che andiamo a bonificare. Ci sono imprese, perlopiù italiane, pronte a
investire per oltre due miliardi di euro, ma è altrettanto vero che l'attrattività di capitali stranieri passa anche
attraverso la sburocratizzazione, la semplificazione normativa e soprattutto la certezza del diritto».
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L'INTERVENTO PER RILANCIARE IL SITO VENETO
La cifra
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Industria. Firmato l'accordo di programma che impegna 152 milioni di euro per interventi di risanamento
territoriale
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 11
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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I 153 milioni serviranno per la creazione e la rivitalizzazione di infrastrutture materiali e immateriali che
daranno vita nei prossimi tre anni alla nuova Porto Marghera
I termini
I L'accordo di programma prevede l'erogazione condizionata dei fondi alla definizione dei progetti entro sei
mesi e alla loro realizzazione entro 30 mesi
L'Autorità portuale
Si occuperà di interventi per 69,5 milioni, in particolare realizzazione e modifica di banchine, opere di viabilità
e implementazione di piazzali per migliorare capacità e accessibilità
L'area
Secondo l'ultima indagine conoscitiva a Porto Marghera operano 1.034 aziende con 13.560 addetti, in
aumento nel 2014 rispetto al 2013
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 12
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Catania: «Un credito d'imposta sul digitale»
«La decrescita del settore rallenta. Sorrido, ma non sono contento». Elio Catania, presidente di Confindustria
Digitale, giudica il 2014 un anno importante per le basi messe. Il 2015 però «sarà l'anno decisivo. O si
accelera sulle cose da fare o si perderà terreno in maniera irreparabile».
Lei è alla guida della Federazione da aprile e queste cose le ha ripetute spesso. Essere ancora agli
inviti accorati non sembra un gran segnale...
Quest'anno tante cose si sono messe in moto, va riconosciuto. Alessandra Poggiani alla guida dell'Agenzia
per l'Italia Digitale sta facendo un buon lavoro e i due documenti strategici su banda larga e crescita digitale
prodotti dal Governo a novembre rappresentano un aspetto positivo e importante. Ora però serve lo scatto.
Dobbiamo convincere più cittadini a utilizzare internet e digitale per la loro vita quotidiana. E abbiamo bisogno
di più imprese che abbraccino il digitale. Per giungere a questo risultato dobbiamo fare due cose. La prima:
girare l'interruttore come fatto con la fattura elettronica. Come? Imponendo che tutta una serie di operazioni
con la Pa le si facciano in digitale o non le si fa. Punto! A ciò va unito, poi, l'impegno a convincere anche le
aziende più riottose che il digitale conviene. Per questo crediamo che serva un credito d'imposta sul digitale
tout court. Stiamo lavorando a una nostra proposta che prevede la defiscalizzazione significativa della quota
di investimento eccedente quella dell'anno precedente.
Qui si arriva al nodo dei fondi. Che mancano. Come si fa?
Questa è una questione di politica industriale. O si comprende che il digitale può fare da leva alla crescita del
Paese o non si va da nessuna parte. Il commercio elettronico può rappresentare una chiave di volta per
aziende come quelle italiane, eppure ancora si usa poco. Altro esempio: quanto può servire agli imprenditori
del turismo l'investimento in digitale? Io sono d'accordo con Renzi sul fatto che gli investimenti pubblici nel
digitale vadano tenuti fuori dal Patto di stabilità. E vanno aumentati i fondi Ue dedicati: solo 4,7 miliardi su 32
nel nostro Paese sono pochi.
Oltre ai soldi su cosa occorre concentrarsi per la "svolta digitale"?
È senz'altro positiva la consapevolezza che occorra puntare su pochi progetti, ben identificati. Ci sono però
due aspetti da considerare con la massima attenzione. Uno è il tema della convergenza digitale fra il centro e
le Regioni, e il Titolo V non aiuta. L'interconnessione delle banche dati, l'integrazione dei sistemi distribuiti sul
territorio, la condivisione degli standard, sono invece essenziali per far sì che la digitalizzazione possa pagare
in termini di efficacia e resa economica. E c'è un altro punto.
Quale?
La cultura dell'innovazione passa anche attraverso le regole. Vedo troppa paura che sfocia poi in
demonizzazione dei nuovi attori che si stanno affacciando sulla scena. Il regolatore deve considerare di più
gli aspetti di opportunità e di crescita po in arrivo da queste esperienze. Altrimenti il digitale finirà per essere
un'occasione mancata.
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Alla guida. Elio Catania
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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INTERVISTA
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 16
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Fca, al voto in ordine sparso sulla sicurezza
Filomena Greco
torino
Si torna a votare i rappresentanti dei lavoratori negli stabilimenti FCA. Ma con percorsi "paralleli". Dal 18
dicembre scorso i sindacati firmatari del contratto hanno aperto nei vari stabilimenti le procedure per eleggere
rappresentanze aziendali (Rsa) e della sicurezza (Rls) mentre la Fiom ha avviato in questi giorni le procedure
a Pomigliano e alla Maserati di Grugliasco, alle porte di Torino, per scegliere gli Rls.
Nei mesi scorsi non è stato raggiunto alcun accordo sull'elezione delle rappresentanze sindacali unitarie
(Rsu), dunque i metalmeccanici della Cgil hanno scelto di aprire il capitolo rsl. Un passaggio formalmente più
semplice rispetto al voto per le Rsu perchè sull'elezione dei rappresentanti della sicurezza non "grava" il tema
della esigibilità dei contratti e delle sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole. Tema chiave su cui si è
consumato lo scontro nei mesi scorsi tra le diverse organizzazioni sindacali in seno al gruppo Fca.
«Dopo il ritorno in fabbrica delle rsa, all'indomani della sentenza della Corte Costituzionale, abbiamo posto
come organizzazione sindacale - sottolinea Michele De Palma - il problema dei rappresentanti della
sicurezza, che come prevede la legge devono essere scelti dai lavoratori, e lo abbiamo fatto a partire da
quegli stabilimenti dove in passato le altre organizzazioni sindacali non hanno proceduto alle votazioni per
scegliere i delegati».
L'apertura della procedura equivale, sottolinea la Fiom in una nota, «ad un invito a tutte le organizzazioni
sindacali a procedere ad una elezione a suffragio universale». Invito che resterà probabilmente sulla carta.
«Abbiamo avviato le elezioni secondo quanto stabilito dal regolamento sottoscritto tra i sindacati firmatari del
contratto - chiarisce Ferdinando Uliano della Fim-Cisl - e per noi questa è la procedura formalmente
corretta».
«Il nodo - fa notare Federico Bellono, segretario della Fiom di Torino - è il voto dei lavoratori, cioé la
democrazia: ma non nel senso che ognuno vota i "suoi", ma nel senso che tutti si sottopongono insieme al
giudizio dei lavoratori».
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Auto. Le organizzazioni firmatarie aprono le procedure per l'elezione dei delegati senza la Fiom, pronta a
scegliere gli Rls a Pomigliano e in Maserati
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 37
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Italia-Svizzera, patto a due velocità
Subito l'effetto sul rientro dei capitali - Soluzione sui costi black list in una seconda fase
Francesca Milano Giovanni Parente
MILANO
Un accordo con effetti in due tempi. Prima sulla voluntary disclosure. E poi in un secondo momento sui limiti
alla deduzione dei costi in Unico e alle comunicazioni black list. L'intesa che Italia e Svizzera si preparano a
siglare (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) prevede, infatti, lo scambio di informazioni e quindi la possibilità di
sanzioni più leggere per il rientro dei capitali, visto che la Svizzera entrerà a far parte dei Paesi black list che
hanno stipulato intese con l'Italia. Ma questo non implica l'uscita automatica a 360 gradi dalla lista di Stati a
fiscalità privilegiata. Per quanto riguarda la deducibilità dei costi black list (che richiedono una delle due
esimenti di effettiva attività economica della controparte o di concreto interesse all'operazione) e della
comunicazione degli scambi effettuati, nell'immediato non dovrebbe cambiare nulla. L'uscita vera e propria
dalla black list avverrà in un secondo momento, con il decreto del ministero dell'Economia che modificherà la
lista allegata al decreto ministeriale 21 novembre 2011 ratificando l'esclusione della Svizzera (come è
avvenuto il 23 dicembre per il Lussemburgo). Una sorta di «aiuto» in tal senso arriva dalla norma inserita
nella legge di stabilità, in base alla quale per la lista dei Paesi a fiscalità privilegiata rilevante agli effetti della
deducibilità dei costi sostenuti con i fornitori esteri non si terrà più conto anche del criterio della tassazione
"congrua" ma solo della mancanza di un adeguato scambio di informazioni. Quindi chi collabora potrà essere
depennato con un decreto ministeriale anche se la tassazione non è congrua. Ecco perché su questo fronte
si sta studiando come intervenire in un secondo momento.
Per ora resta il nodo sulla retroattività dello scambio di informazioni: in base alla Convenzione di Vienna sui
trattati internazionali, lo scambio di informazioni dovrebbe riguardare solamente le informazioni bancarie
relative a un periodo successivo a quello dell'entrata in vigore dell'accordo bilaterale stipulato fra gli Stati (in
questo caso Italia e Svizzera). È da verificare, adesso, la possibilità di attivare la retroattività attraverso un
protocollo aggiuntivo.
Nell'accordo che dovrebbe essere firmato la prossima settimana potrebbe essere inserita anche una novità
relativa ai lavoratori transfrontalieri: si tratta dello spitting fiscale, un meccanismo che prevede la tassazione
suddivisa tra i due Paesi. In pratica, secondo le indiscrezioni circolate finora, invece di tassare i frontalieri alla
fonte e riversare il 38,8% degli introiti a Roma, in futuro dovrebbe entrare in vigore lo splitting in base al quale
la Svizzera tasserebbe una parte e l'Italia un'altra della base imponibile.
La Svizzera punta a far entrare nell'accordo anche l'apertura sugli intermediari, che dovrebbe permettere agli
operatori finanziari elvetici di lavorare anche in Italia.
Intanto prosegue l'iter della ratifica dell'accordo tra Italia e isole Cayman sullo scambio di informazioni in
materia fiscale, fatto a Londra il 3 dicembre 2012: ieri l'intesa è stata discussa dalla commissione Affari esteri
e comunitari della Camera.
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a cura diValentino Tamburro
GLI EFFETTI
REDDITI PRODOTTI IN ITALIA E DEPOSITATI IN SVIZZERA
INVESTIMENTI IN SVIZZERA NON DICHIARATI
IL PROSPETTO
IL PROSPETTO
100.000
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Fisco internazionale. L'intesa con Berna deve affrontare anche i nodi degli intermediari finanziari elvetici e dei
frontalieri
09/01/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 37
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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100.000 a cura diValentino Tamburro
100.000
1.000.000
La base di partenza
Imponibile Irpef e Iva evasi
Attività finanziarie al 31 dicembre 2013 a cura diValentino Tamburro
La base di partenza
Imponibile Irpef evaso
Attività patrimoniali al 31 dicembre 2013
01 LA SITUAZIONE
Un contribuente ha depositato il 31 dicembre 2013 in Svizzera 100mila euro, ossia una parte dei proventi
relativi all'attività professionale svolta in Italia. Si tratta di attività finanziarie che non hanno prodotto interessi
02 LE SANZIONI
In caso di accordo Svizzera-Italia, per l'omessa compilazione di RW si applicherà la sanzione del 3%
dimezzata e ridotta ad un terzo in adesione. Per i redditi prodotti in Italia la sanzione è pari al 100%
dell'imposta evasa ridotta di 1/4 e ulteriormente ridotta a un sesto in adesione all'invito al contraddittorio a
cura diValentino Tamburro
IMPORTI DA REGOLARIZZARE Imposte evase 68.000 di cui: Irpef e relative addizionali 46.000 Iva 22.000
Sanzioni sulle imposte evase 8.500 Sanzioni relative a RW 500 Interessi (3,5% per anno) 2.380 Costo totale
della regolarizzazione 79.380
01 LA SITUAZIONE
Un contribuente italiano ha delle quote di partecipazione in una società svizzera non dichiarate e ricevute per
successione nel corso del 2013. Il valore delle azioni al termine del 2013 è pari a un milione di euro mentre i
dividendi ricevuti sono pari a 100mila euro
02 LE SANZIONI
In caso di accordo Italia - Svizzera, per l'omessa compilazione del modulo RW si applicherà la sanzione del
3%, dimezzata e ridotta a un terzo in adesione. Per i redditi prodotti all'estero la sanzione è pari al 100%
dell'imposta evasa aumentata di 1/3 e successivamente ridotta di 1/4 e a 1/6 in adesione
IMPORTI DA REGOLARIZZARE Imposte evase (Irpef e addizionali) 46.000 Sanzioni sulle imposte evase
7.667 Sanzioni relative a RW 5.000 Interessi (3,5% per anno) 1.610 Costo totale della regolarizzazione
60.277
L' impatto dell'accordo tra Italia e Svizzera sulla procedura di voluntary disclosure. Valori in euro
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Pennac: ci eravamo illusi ora il nemico è in casa
FABIO GAMBARO
A PAGINA 16 PARIGI «SONO tristissimo.
Conoscevo bene Tignous e Bernard Maris. E poco tempo fa avevo cenato con Charbe Cabu. Mi era anche
capitato d'incontrare Wolinski. Di fronte alla loro morte sono senza parole». Appena avuta la notizia
dell'attacco a Charlie Hebdo , l'altra sera Daniel Pennac si è recato alla manifestazione sulla Place de la
Republique, dove insieme a migliaia di altre persone ha protestato contro la barbarie di un odio
ingiustificabile. «Erano persone coraggiose, capaci di continuare a fare il loro lavoro nonostante le molte
minacce ricevute. Ma al di là delle qualità professionali erano persone adorabili, lontanissime da ogni violenza
e aggressività.
Grazie al loro entusiasmo, Charlie Hebdo ha sempre rappresentato la forza e il piacere di un'assoluta libertà
di pensiero, che certo poteva scioccare chi preferisce trincerarsi dietro certezze incrollabili. I terroristi hanno
voluto assassinare la loro libertà».
Gli assalitori gridavano «abbiamo ammazzato Charlie».
Ci sono riusciti per davvero? «Assolutamente no. Charlie Hebdo continueràa vivere. Io, come molti altri, farò
di tutto per aiutarli. Troveremo il modo di far sopravvivere lo spirito libero e irriverente del giornale, scrivendo,
disegnando, abbonandosi, aiutando finanziariamente la redazione. L'ironia e l'autoironia sono sempre
necessarie: un'anima senza ironia diventa un inferno». A chi parla dei limiti della satira, cosa risponde? «È
tutta la vita che ne sento parlare. Chi invoca questo tipo di limiti in realtà vuole solo imporre i propri limiti agli
altri. I cattolici, i musulmani, i tradizionalisti, ciascuno vuole far prevalere le proprie regole. Ma ciò non ha
senso. Solo una convinzione ottusa e prigioniera di certezze ideologiche e religiose può sentire il bisogno
d'imporre un limite all'ironia. Gli unici limiti concepibili sono quelli che l'umorista, l'artista si pone da solo. Io so
che ci sono ambiti su cui non scriverò mai, ma questo lo decido io. Nessuno potrà mai impormi gli argomenti
su cui scrivere o meno».
La situazione, però, è diventata da guerra.
«La Francia è in guerra, solo che finora il campo di battaglia era geograficamente lontano, in Mali, in
Afghanistan. Quindi ci siamo illusi che gli estremisti contro cui stavamo combattendo non avrebbe mai potuto
colpirci. Oggi sappiamo che non è vero. E temo che in futuro assisteremo ad altri attacchi di questo tipo».
Come spiega la radicalizzazione di certi giovani che imboccano la strada del terrorismo? «È il risultato di
molti fattori, tra cui il capitalismo odierno che fa la guerra ai poverie non alla povertà. In questo modo
marginalizza una parte della popolazione che si sente esclusa e isolata dalla società. Se a ciò si aggiungono
le discriminazioni subite, si comprende come certe persone possano progressivamente radicalizzarsi al punto
da odiare la società in cui vivono. Spesso manipolati, costoro diventando disponibili alla violenza e alla follia
del terrorismo». Per la società francese, quali saranno le conseguenze di quanto è accaduto? «Purtroppo le
vittime simboliche di questa strage sono innanzitutto i musulmani di Francia che si ritrovano presi tra due
fuochi. Da un lato, ci sono gli assassini che pretendono di parlare in loro nome. Dall'altra, un'opinione
pubblica che chiede loro di dimostrare continuamente di essere diversi e lontani dagli assassini. Per i
musulmani è una situazione molto difficile. Se i terroristi incarnano una malattia mortale, a modo suo anche
l'estrema destra è una malattia mortale, sebbene di un altro tipo. Ma possiamo produrre degli anticorpi».
Come fare? «Non dobbiamo cedere alla paura degli altri. Non cedere al terrore è il migliore degli anticorpi».
La cultura può contribuire? «Mi piacerebbe rispondere di sì, ma purtroppo l'esperienza del passato c'insegna
che nonè vero.
La cultura non ha mai evitato le catastrofi. La Germania aveva la cultura più avanzata, ma questa non ha
potuto evitare la Shoah.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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L'INTERVISTA
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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La cultura può alimentare le coscienze, non può disarmare gli assassini. Il che naturalmente non significa
che non si debba continuare a battersi e a lottare contro tutte le forme d'intolleranza e di violenza».
(L'ultimo libro di Daniel Pennac è Storia di un corpo, pubblicato come gli altri da Feltrinelli)
CHARLIE HEBDO
Incarna da sempre la forza e il piacere di un'assoluta libertà di coscienza Senza mai cedere alle
minacce
LA SATIRA
Ironia e autoironia sono indispensabili perché un'anima senza alcuna ironia finisce per diventare un
vero inferno
Daniel Pennac
LA CULTURA
Mi piacerebbe pensare che risolve tutto, ma non è così Basta pensare alla colta Germania e alla
Shoah
Foto: LA MANIFESTAZIONE I cartelli "Io sono Charlie" alzati ieri durante una manifestazione di solidarietà
per Charlie Hebdo
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
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(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il Front National: "Noi i soli a difendere i francesi"
(a. d'a.)
PARIGI. «Da tempo diciamo che bisogna chiudere le frontiere, controllare l'immigrazione e istituire la pena di
morte per i terroristi e per chi uccide i poliziotti». Wallerand de Saint Just, tesoriere del Front National di
Marine Le Pen, incolpa il presidente Francois Hollande e il suo predecessore Nicolas Sarkozy per l'attacco
jihadista al Charlie Hebdo costato la vita a dodici persone. «Hanno tagliato il budget delle forze di sicurezza,
ma più di tutti è la sinistra ad avere gravi responsabilità morali e politiche per quanto accaduto mercoledì a
Parigi», afferma il capo dell'Fn parigino nonché membro dell'Ufficio esecutivo del partito dell'estrema destra
francese.
Il Front National andrebbe alla marcia repubblicana di domenica? «Se verremo invitati, ma al momento
siamo completamente esclusi dal Partito socialista di Hollande. Se le condizioni sono queste, certo non ci
presenteremo».
Marine Le Pen, dopo la strage del Charlie Hebdo ha lanciato il referendum sulla pena di morte: si combatte
così il terrorismo? «Il Front National ha molte proposte per battere i terroristi, in particolare ce ne sono due
che oggi vogliamo ribadire con forza. Primo, chiudere le frontiere francesi, controllare chi entra e chi esce e
ridurre l'immigrazione. Si tratta di un provvedimento che serviva già da tempo visto che questi terroristi hanno
trovato nell'immigrazione terreno fertile per il reclutamento». E la seconda? «Ovviamente la pena di morte per
i terroristi e per chiunque uccida poliziotti. Per questa ragione vogliamo un referendum, devono essere i
francesi a decidere. E poi basta con i tagli alle forze di sicurezza iniziati da Sarkozy per motivi di bilancio e
proseguiti da Hollande».
Ritiene che il presidente in carica abbia responsabilità per l'attentato? «In Francia da tempo i presidenti di
sinistra hanno paura di essere accusati di razzismo quando attaccano il terrorismo.È così, anche noi veniamo
tacciati in modo vergognoso di xenofobia solo perché siamo contro i terroristi e questo atteggiamento
deprime molto il morale dei francesi che si sentono poco protetti. In questo la sinistra ha una grande
responsabilità morale e politica». Credete nell'unità nazionale in momenti drammatici come questi? «Certo,
noi siamo un partito responsabile mentre chi ci esclude per calcolo politico come fanno i socialisti ne deve
portare tutta la responsabilità».
Foto: Le accuse di xenofobia che ci rivolgono deprimono il Paese Chiudiamo le frontiere
Foto: ESTREMISTA Wallerand de Saint Just, tesoriere del Front National
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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L'INTERVISTA. WALLERAND DE SAINT JUST, TESORIERE DEL PARTITO: LA SINISTRA È TIMIDA CON
I TERRORISTI
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 30
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Greggio, Riad pronta ai tagli produttivi Merrill Lynch: riserve valutarie a
rischio
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. L'Arabia Saudita, proprio il Paesea cui tutta l'Opec ha guardato finora invano perché tagliasse la
produzione per rialzare il prezzo del greggio, non ha retto allo stress-test. Ora che il Brent è crollato a 50
dollari, il livello più basso dal 2009, dopo che fino a settembre viaggiava costante intorno a 100, i regnanti di
Riad si sarebbero decisi a cambiare politica e pilotare i prezzi verso il rialzo. Ne è sicura la Merrill Lynch, che
in un report pubblicato ieri mattina per la prima volta dipinge il nuovo scenario: i prezzi avrebbero toccato il
fondo, e i sauditi per primi vogliono ora farli risalire. Sarà un caso, ma ieri pomeriggio il Brent, che era sceso
fino a 49 dollari in apertura di seduta, ha ripreso quota e ha chiuso a quasi 52 dollari. La previsione formulata
dalla banca d'investimenti è che il regno tagli da 11 a 9,7 milioni di barili al giorno la produzione in tempi
rapidi. Il changeover , il passaggio strutturale dall'epoca del caro-petrolio a quello del greggio low-cost , torna
insomma in discussione. I sauditi si sarebbero accorti che con valori troppo bassi non riescono a finanziare i
loro programmi di sviluppo, a meno di intaccare pesantemente le riserve in valuta. «Solo un petrolio a 90
dollari potrebbe tutelare il livello delle riserve monetarie da qui al 2025», scrive la Merrill Lynch.
L'alternativa è che Riad mantenga immutate le spese sui livelli del 2013, il che contraddice i programmi di
sviluppo. «Il deterioramento delle condizioni finanziarie con un greggio a 50 dollari potrebbe essere
compensato solo con una serie di dolorosi aggiustamenti e manovre fiscali». Uno "scenario-Italia" dal quale i
sauditi vogliono tenersi bene alla larga.
Jean-Michel Saliba, l'economista della Merrill Lynch di origini arabe che da Londra coordina le analisi sul
Medio Oriente, è andato a spulciarsi i bilanci di previsione di Riad per il 2015 e ha scoperto che nei calcoli
sauditi già con un petrolio a 75 dollari il rapporto deficit/Pil schizzerà al 9% dal 4% del 2014, e con una
quotazione di 50 arriverebbe al 20%. E tutto questo solo a patto che non salgano le spese correnti. Per un
Paese che ha conosciuto in passato le angustie di alti deficit è un'impennata intollerabile.
Identico discorso per il debito pubblico, che l'Arabia Saudita è riuscita a contenere nell'invidiabile livello
dell'1,6% del Pil (da un picco del 102% nel 1998) e che schizzerebbe anch'esso subito. «Gli scenari simulati
dimostrano che gli squilibri macroeconomici crescerebbero rapidamente a meno di aggiustamenti fiscali». Di
qui la decisione di invertire la tendenza. Non sarà questione di giorni, ovviamente. Secondo la Merrill Lynch
per i sauditi sarebbe per ora sufficiente riportare le quotazioni in tempi rapidi a 60-65 dollari, per poi farle
risalire almeno a 70, il livello del pareggio di bilancio. Ma Riad vuole andare oltre: «Solo un greggio a 90
dollari permetterebbe al regno di salvaguardare i livelli delle riserve valutariee di impostare programmi
d'investimento», scrive l'analista. «Viceversa se si andrà avanti ai valori attuali, le riserve saranno
completamente esaurite entro il 2023 e il debito pubblico supererà il 40% anche senza spese ulteriori». Di
più: «Anche con il greggio a 70 dollari i depositi governativi finirebbero nel 2026». Insomma ce n'è
abbastanza per dire basta ai prezzi attuali.
in % del Pil
11112222222222222
Gli scenari del debito saudita
L'Arabia Saudita sarebbe tentata dal provocare un rialzo dei prezzi fino a quota 90 dollari
Ai valori attuali il debito esploderà, ma la decisione non sarà una questione di giorni 90 dollari al barile
Prezzo del petrolio: 70 dollari al barile 50 dollari al barile
Foto: CONTROFFENSIVA I mercati si affidano all'Eurotower che per combattere la caduta dei prezzi in
Europa acquisterà anche titoli di Stato
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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LO STUDIO
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 31
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La tendenza è rinviare gli acquisti alimentando un pericoloso circolo vizioso Gli unici a guadagnare sono i
creditori o chi ha in banca una forte liquidità
ETTORE LIVINI MILANO. L'apparenza inganna.
La deflazione, a prima vista, non è un mostro di cui aver paura. Anzi: i prezzi calano - è il ragionamento a
prima vista - e io sono più ricco, visto che con 100 euro metto nel mio carrello della spesa più roba. Errore. La
storia insegna che il risultato è l'opposto.
La deflazione, sancita ufficialmente da Eurostat martedì, svuota dal basso gli stipendi, rende più costoso
onorare i mutui e scoraggia i consumi. In una spirale rischiosissima per l'economia in cui le uniche mosche
bianche che guadagnano davvero sonoi creditorio chi ha in banca una forte liquidità. Gente che dalle crisi, in
genere, ha poco da temere. IL MIRAGGIO DELLA MINI-SPESA Pane, pasta, frutta, lavatrici e vestiti in uno
scenario deflattivo costano di meno per un motivo vecchio come il mondo: perché l'offerta supera la
domanda, spia certa di un paese in difficoltà. In un primo momento - specie per le spese necessarie e
quotidiane come gli alimentari - è un vantaggio. Visto che con la stessa cifra si compera più carne.
I problemi sono due: se l'idea è che i prezzi continueranno a scendere, si tendono a rinviare gli acquisti.
Come si fa per la casa quando si immagina che il costo a metro quadro tende a calare. E a quel punto il gatto
si morde la coda: le aziende per vendere i loro prodotti devono tagliare ancora i prezzi. Il risultato - come
testimoniano le esperienze dei paesi che hanno vissuto la palude della deflazione - è disastroso: le imprese
tagliano stipendi e posti di lavoro per rimanere competitive e permettersi listini più bassi, la gente spaventata
dall'impasse consuma sempre meno. In un circolo vizioso che si autoalimenta in cui - è vero - i prezzi dei beni
di consumo calano ma dove di soldi per comprarli, causa disoccupazione e calo delle entrate, ce ne sono
sempre meno.
IL PROBLEMA DEI MUTUI La deflazione è una pessima notizia anche per chi ha sul groppone un mutuo o
un prestito da pagare. Qui il discorso è più lineare: in uno scenario dove il denaro vale sempre di più, i 300
euro di una rata - pur rimanendo uguali - sono una cifra che diventa sempre più cara. Specie di fronte ai
prevedibili cali delle entrate (stipendi e pensioni sono agganciati all'andamento dei prezzi sia all'insù che
all'ingiù).
La polizza contro questo salasso, in teoria e per chi è esposto a rendimenti variabili, sono i tassi. In uno
scenario di crisi economica e con i prezzi in calo, le Banche centrali riducono il costo del denaro per favorire
la ripresa e far ripartirei prezzi. Peccato che la Uee l'Italia abbiano già tagliato i tassi quasi a zero (i Bot hanno
quotato anche a tassi negativi sul secondario)e quindi di margini su questo fronte non ce ne sono più.
Il discorso, moltiplicato per duemila miliardi, è ancora più grave per l'Italia. Una volta l'inflazione rendeva un
po' meno oneroso ogni anno onorare il nostro debito. Gli 80 miliardi di interessi annuia gennaio valevano di
più della stessa cifra a dicembre. La deflazione - che tende oltretutto a ridurre anche le entrate fiscali - dà il
risultato opposto: e alza a livelli pericolosi la montagna che dobbiamo scalare ogni anno per pagare gli
interessi.
CHI CI GUADAGNA L'altra faccia della deflazione sono le poche persone che hanno da guadagnare. La
prima categoria, ovvia, sono i creditori. Per il motivo esattamente opposto rispetto a chi ha un mutuo:
incassano soldi che (per il loro potere di spesa) valgono molto di più di quando li avevano prestati. La
seconda sono le persone che hanno sul conto in bancao in portafoglio molta liquidità. Tesoretti che anche
rimanendo nel classico materasso crescono di valore solamente perché il calo dei listini ne aumenta il valore,
senza bisogno che si muova un dito. Sapendo tra l'altro che il momento più basso della deflazione (se si
azzecca il timing) è un'occasione unica per investire questo capitale cavalcando la ripresa. Il rischio è che
succeda quello che è successo in Giappone, dove la gelata dei prezzi è durata oltre dieci anni con
conseguenze disastrose per tutta l'economia nazionale. I CREDITORI Il calo dei prezzi fa salire il valore reale
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Prezzi in caduta e mutui più pesanti chi vince e chi perde con la deflazione
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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delle cifre che sono state date in prestito
PRO I "LIQUIDI" Chi ha liquidità in banca ne vede salire il valore senza doverla nemmeno investire I TASSI
L'arma antideflazione è il calo dei tassi. Peccato ora siano già quasi a zero I MUTUI Chi ha un mutuo alla fine
vede salire il valore reale delle rate che rimborsa
CONTRO LA SPESA Il calo dei prezzi incoraggia il rinvio degli acquisti e fa crollare l'economia LA
DISOCCUPAZIONE In deflazione le aziende tagliano posti e stipendi per poter ridurre i loro listini
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Le nostre matite per continuare la lotta"
JEAN-GUILLAUME SANTI
PLANTU, lei è vignettista sulle colonne di Le Monde e conosceva bene il gruppo di Charlie : è sempre
altrettanto sbalordito, a un giorno di distanza? «È una tragedia. Bisogna ricordare che si tratta di grandissimi
vignettisti.
Penso anche alle altre persone che sono state assassinate e ai due poliziotti.
Quei disegnatori li conoscevo tutti da 35 anni, Charb, il direttore, da una ventina d'anni. Ogni volta che ci
incontravamo ci scambiavamo le nostre impressioni e trovo interessante osservare che, anche se questa
libertà è stata calpestata, si è subito rialzata. Io stesso credo che non smetterò di lavorare nelle scuole.
Poco tempo fa sono stato in Corsica, in alcune scuole, a raccontare come ci si possa esprimere attraverso le
immagini. Perché non bisogna dimenticare che abbiamo a che fare con gente che ha paura delle immagini.
Quando gli mostriamo delle immagini, noi parliamo con le matite e loro con cosa rispondono? Con i
kalashnikov! E la lotta è questa: su queste colonne di giornale che portano letteratura, cronache e
giornalismo, la lotta continua attraverso i nostri disegni e con l'impertinenza che dobbiamo sempre avere».
Vuol dire che il modo migliore per rispondere a questa tragedia è continuare a disegnare? «Continuare a
esprimersi. Disegnare, da qualche ora, è un dramma per i vignettisti, maè un dramma per la libertà di
espressione. Bisogna contravvenire ai divieti. Ci saranno sempre degli hashtag, ci saranno sempre persone,
su Facebook o su Twitter, che ti diranno che quello sì, lo potevi dire, ma quello no! E questo è l'inizio di una
nuova lotta che dobbiamo costruire, utilizzando i social network ma scavalcando tutte le forme di divieto che
si stanno organizzando». Abbiamo conosciuto vignettisti in pericolo, uccisi, all'estero, per aver fatto delle
caricature. Ma lei pensava che una simile violenza - morire per delle vignette, per aver fatto satira - potesse
verificarsi anche in Francia? «Purtroppo, nelle interviste degli ultimi dieci anni, dopo lo shock per l'assassinio
del vignettista danese, è stato il mio discorso principale. "Prima o poi succederà". Quando sono stato a
Copenaghen, non molto tempo fa, i vignettisti che ho incontrato avevano le guardie del corpo. Continuo a
incontrare in Venezuela, in Russia, in Medio Oriente, ma anche in Tunisia - solo un anno fa - disegnatori che
mi dicono questa frase: "Sai, forse chiederò delle guardie del corpo". E ce ne sono, naturalmente, che le
guardie del corpo ce le hanno».
(Copyright Le Monde.
Traduzione di Elda Volterrani)
Foto: "LA PAURA
Foto: Temono le immagini Noi parliamo con i disegni, loro rispondono con i mitra
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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INTERVISTA IL PERSONAGGIO. PLANTU, IL VIGNETTISTA DI "LE MONDE"
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
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L'INTERVISTA RODOLFO SALA
MILANO. «I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima
sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente». Lo dice il filosofo Massimo
Cacciari E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare? «Negli ultimi venti-trent'anni abbiamo
vissuto tutti nell'illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che
la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e
prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israelee palestinesi) che
anche per colpa dell'Occidente restano pesantemente irrisolti».
Risultato? «Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo
tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine
extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l'altra parte, con il mondo islamico.
Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi».
A che cosa allude? «In Europa, per non dire dell'Italia, in questo momento c'è una deficienza paurosa di
personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c'è un'Europa in guerra, ci sono conflitti da
disinnescare anche con le armi dell'intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo,
difficile, faticoso. Ma non c'è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano
proprio i terroristi».
Le armi dell'intelligenza, lei dice...
«Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la
lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato
della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un
indiscutibile salto di qualità».
In che senso? «Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella
di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà».
Quindi? «Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le
disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si
pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell'Unione alla Lituania: è pazzesco».
Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra...
«Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare
nell'Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti».
Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l'Islam...
«Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di
tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di
voti.
Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo». E cioè?
«Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si
abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a
ragionare.È del tutto logico,e porta anche voti: maè anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande
sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo
essere vaccinati. Anche se adesso non pare così».
PER SAPERNE DI PIÙ www.leganord.org www.beppegrillo.it
Foto: ERRORE MADORNALE
Foto: Mancano leader politici all'altezza Errore madornale additare l'Islam come nemico
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Cacciari: "Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa"
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
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Foto: Il filosofo Massimo Cacciari
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09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 19
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"Romano dice che non ci sta ma per molti è un nome possibile"
TOMMASO CIRIACO ROMA.
Dopo l'endorsement di Bersani, è il momento di sondare l'inner circle di Romano Prodi. Quale miglior
termometro di Sandra Zampa, vicepresidente del Pd e storica portavoce dell'ex premier? «Posso dirle che
bisogna partire dall'indisponibilità del Professore. Il tempoè dinamico, nonè fermo...».
In che senso, onorevole? «Il tempo passa. E passando ha determinato un cambio nel punto di vista del
Professore. L'ha detto anche Bersani: "Non dico altro perché Prodi si arrabbia..."».
Vuole dire che Prodi è infastidito con Bersani? «No, guardi, Bersani parla del Professore sempre con affetto
sincero. Se comunque parliamo di fantapolitica, posso dirle che il nuovo Presidente non deve essere il
candidato di una parte, né deve sanare un vulnus.
Il Pd deve cercare il Presidente di cui l'Italia ha bisogno. E basta».
Resta un ostacolo: il Parlamento dei 101. «Questoè un punto. Ma ce n'è un altro: l'unica cosa che non si può
fare è che qualcuno ponga dei veti. Questo sarebbe inaccettabile. Per il Pd e per la comunità che
rappresentiamo». Pensa a veti interni al Pd? «Dentro e fuori dal Pd. Comunque credo che nel Pd non ci siano
veti. Quello del 2013 fu un voto determinato da una molteplicità di ragioni diverse che finirono per
intrecciarsi». E naturalmente non è accettabile alcun veto da Berlusconi.
«Certamente. E poi...».
Dica.
«La trattativa va fatta con tutti».
Pensa ai cinquestelle? «Anche, sicuramente. Se l'obiettivo è candidare un nome condiviso - e se davvero il
Colle non fa parte di alcun accordo - allora l'interlocutore non può essere un solo gruppo». Qualche timido
segnale di disgelo su Prodi, a dire il vero, è arrivato anche dal mondo berlusconiano.
«E questo dimostra ancora di più la dinamicità del clima politico. Pensi al 2013, a quell'atmosfera allucinante.
Oggi è diverso, sembra che siano passati più anni di quanto non sia effettivamente».
L'occasione per sanare la ferita dei 101? «Prodi ha detto che considera chiusa quella vicenda. Rilevo che su
quella storia è calato un silenzio che politicamente pesa.
Nessuno ha spiegato: "Ho votato contro perché...". Nulla».
In molti, comunque, tifano Prodi per il Quirinale.
«Il movimento d'opinione c'è, non c'è dubbio. Per molti è un candidato possibile.
E non c'è bisogno di spiegare perché, viste le caratteristiche del suo profilo. Le sue relazioni con Pechino,
Russia e Africa sono arcinote. Il giorno in cui ha incontrato Renzi, ha incrociato per caso Kerry in un ristorante
e si sono fermati a discutere insieme».
A proposito di Renzi: come vanno i rapporti con lui? «Penso siano rapporti corretti. Si sono parlati a lungo e
non credo ci sia un pregiudizio: né in positivo, né in negativo. Capisco anche che Renzi, in questo momento,
non voglia fare il nome di nessuno».
Prevede un intervento di Prodi, nei prossimi giorni? «No di certo. Ha già detto quello che aveva da dire e si
terrà fuori da questa vicenda.
Fermo restando che al Quirinale non ci si candida».
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.partitodemocratico.it
Foto: isogna trattare con tutti, anche con Berlusconi Nel Pd nessuno ponga dei veti
Foto: "DEPUTATO PD SANDRA ZAMPA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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L'INTERVISTA/ LA FEDELISSIMA SANDRA ZAMPA
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"No al forum omofobo l'Italia sta abusando del logo dell'Expo"
Parla il segretario generale del Bie, l'ente che sovrintende all'evento "Ci arrivano proteste da tutto il mondo,
Sala e Martina intervengano"
ALESSIA GALLIONE MILANO.
«L'opposizione del Bie è frontale». Risponde da Parigi, Vicente Gonzales Loscertales. È il segretario
generale del Bie, il Bureau international des Expositions che riunisce 168 Paesi e sovrintende gli eventi
globali come quello di Milano. Di Expo, Loscertales ne ha viste molte, fin da quella del 1992 nella sua Siviglia.
È un diplomatico di lungo corso, abituato a parlare con il mondo e a misurare le parole. Ma questa volta, per
affrontare il caso - diventato già internazionale - del convegno in odore di omofobia organizzato da Regione
Lombardia il 17 gennaio, usa toni decisi. Che effetto le fa vedere il logo di Expo accostato a un convegno
accusato di omofobia? «Mi fa l'effetto di un abuso. Un'Esposizione universale è una manifestazione basata
sul rispetto di tutto e di tutti. Non è un evento partigiano o politico e non può essere mai discriminatorio di
gruppi di cittadini che hanno il diritto di avere le proprie opinioni religiose, i propri orientamenti sessuali.
Utilizzare in modo abusivo a fine politico il logo non è accettabile ed è in contraddizione con i valori di Expo e
del Bie».
Il Bie prenderà una posizione ufficiale? «Scriveremo una lettera al commissario unico Giuseppe Sala che
sarà inviata in copia al ministro che ha la delega a Expo, Maurizio Martina, per chiedere di fare di tutto per
eliminare il logo di Expo dal convegno». È giusto che, come sta facendo Regione Lombardia, il simbolo del
2015 venga accostato in modo indiscriminato a qualsiasi tipo di iniziativa? «L'uso del logo deve essere
regolato. Non è possibile che la Regione o un altro socio lo utilizzi se non per la promozione di Expo o dei
temi di Expo. Chiederemo alla società e al governo di fare il necessario. Ma in questi giorni ho già visto la
reazione del ministro Martina, ho letto le dichiarazioni di Sala: sono sulla stessa linea del Bie. Adesso tutti
insieme dobbiamo fare in modo che questa situazione finisca».
Anche se Expo non ha mai autorizzato l'accostamento del proprio marchio, è la manifestazione a essere
finita al centro delle polemiche: in pochi giorni alla società sono arrivate 700 mail di protesta. Teme che scatti
qualche forma di boicottaggio? «Anche noi abbiamo ricevuto proteste e non solo dall'Italia, ma anche dalla
Francia, dagli Stati Uniti. Chi ci ha scritto? Persone che, giustamente, non possono capire come un evento
come l'Expo sia utilizzato in questo modo.
Hanno ragione. Perché per me il problema non è il boicottaggio: questa è una questione che ha a che fare
prima di tutto con i diritti elementari delle persone e con il rispetto. Con o senza boicottaggio, non può essere
accettato».
Dalle sue parole, insolitamente dure, il Bie sembra essere estremamente irritato.
«Il Bie è sorpreso da quanto è successo ed è fermamente contrario».
Anche il sindaco Pisapia invita Maroni a fare un passo indietro e a togliere il simbolo di Expo, ma il
governatore ha già deciso di tirare dritto. A questo punto si rivolge anche a lui? «La società Expo ha regole
precise sulla concessione dei patrocini e, ripeto, non si può fare di Expo un elemento di lotta politica.
Chiederemo al presidente Maroni di fare il necessario per evitare questa situazione. Possiamo capire che la
Regione non abbia avuto cattive intenzioni, ma visto che questo convegno può essere considerato offensivo
e discriminatorio, adesso bisogna rispettare i diritti di tutti. E bisogna rispettare il logo di Expo, che è di tutti».
Segretario, mancano cento giorni all'inaugurazione: come stanno andando, i lavori? «Sono sicuro che il
Primo maggio tutto sarà a posto».
PER SAPERNE DI PIÙ www.expo2015.org http://milano.repubblica.it
Foto: IL SIMBOLO L'albero della vita, simbolo dell'Expo di Milano, che inizierà a maggio (e durerà fino al 31
ottobre)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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INTERVISTA La polemica Intervista
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 25
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Foto: RISPETTARE TUTTI
Foto: L'Esposizione è basata sul rispetto di tutti. Non potrà mai essere partigiana, politica o discriminatoria
Foto: I PROTAGONISTI Dall'alto: Vicente Gonzalez Loscertales, segretario Bie (l'ufficio internazionale delle
Esposizioni), il governatore Maroni e Sala, ad di Expo
09/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Il traffico andata e ritorno "sull'autostrada turca" della jihad
Le reclute agganciate sul Web passano da Istanbul In Siria e Iraq i campi per trasformarle in combattenti
MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME Reclutati online dai «disseminatori di Jihad», accompagnati da
staffette sull'«autostrada turca» e addestrati in Siria ed Iraq nei campi paramilitari che portano il nome dei
leader storici di Al Qaeda e Isis: è il percorso seguito dai volontari occidentali nei ranghi del Califfato come
delle altre sigle dell'estremismo sunnita, ripercorrendolo al contrario quando decidono di tornare in patria per
commettere attentati come quello al Charlie Hebdo. Disseminatori online Il primo passo è il reclutamento ed
avviene quasi sempre online grazie ai «disseminatori» di Jihad ovvero volontari madrelingua - francese,
inglese o tedesco - che gestiscono forum per intercettare i simpatizzati. Il francese Ichigo Turn, 24 anni, è fra i
più popolari: per nome ha scelto un cartoon nipponico, scrive nello slang delle banlieues, conduce dibattiti e
sommava 2000 friends su Facebook quando la chiusura della pagina lo ha spinto a trasferirsi su Twitter. È
andato a combattere in Siria, dove è stato ferito ed è in convalescenza: racconta nei dettagli l'esperienza
perché ciò spinge i seguaci a imitarla. I «disseminatori» sono centinaia, sfuggono ai controlli ed hanno piena
libertà d'azione dal Califfato che ne sfrutta la motivazione ideologica per infondere entusiasmo nelle reclute.
L'autostrada turca Se un simpatizzante decide di partire per Siria o Iraq sale quasi sempre su un volo per
Istanbul o Ankara. La Turchia è l'«autostrada jihadista» dal 2012 quando Ankara decise di consentire il
passaggio dei volontari anti-Assad. Europa e Stati Uniti più volte hanno chiesto al presidente Erdogan di
chiudere il passaggio ma le testimonianze online dei jihadisti attestano che resta aperto. In particolare, sono
tre le città dove i volontari arrivano per essere presi in consegna da cellule di Isis: Sanliurfa, Gaziantep e
Adiyaman. Si trovano ai confini con la Siria e alcuni hotel sono i punti di incontro da dove partono le staffette
per superarli. È un'«autostrada» che ha consentito l'arrivo nel Califfato di almeno mille turchi e quasi tremila
occidentali, inclusi da cinquanta a, forse, cento di italiani. I campi paramilitari Per chi arriva, la destinazione
sono i campi di addestramento di cui i forum jihadisti diffondono i video: a Kirkuk è intitolato a Omar al
Baghdadi, predecessore del Califfo; a Dayr az Zour ad Ayman al Zawahiri, leader di Al Qaeda; a Damasco ad
Abu Musab Al Zarqawi, fondatore de facto di Isis. Ovunque l'addestramento è all'uso di kalashnikov,
lanciagranate ed esplosivi ma ci sono anche corsi di corpo a corpo e indottrinamento ideologico. Si dorme
sotto tende dell'Us Army, rubate da Isis nelle basi dell'esercito iracheno rifornito dagli americani. Il rientro in
patria Chi termina l'addestramento va a combattere a tempo indeterminato ma può decidere di tornare
indietro sull'«autostrada turca» come i fratelli Kouachi per mettere a segno un piano definito oppure anche
solo per andare a trovare i famigliari, come fatto da un dottore arabo-israeliano di Ashdod finito in manette.
Fra gli occidentali c'è chi cede allo stress e vorrebbe disertare ma la punizione del Califfo è feroce: fucilazione
seduta stante.
2000 seguaci Per Ichigo Turn, un reclutatore francese su Facebook
3000 occidentali Passati dalla Turchia per unirsi agli jihadisti dell'Isis
Foto: Internet È il principale strumento per reclutare combattenti occidentali
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Retroscena
09/01/2015
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"Non serve addestrarsi al fronte basta la rabbia che cova in città"
L'esperta di anti-terrorismo Giudicelli: emarginazione e disagio sufficienti a decidere di procurarsi un'arma
LEONARDO MARTINELLI PARIGI
Ifratelli Kouachi avevano avuto già problemi con la giustizia. Ed erano tra i «terroristi potenziali» individuati
dai servizi segreti . Eppure hanno fatto quello che hanno fatto. «È evidente che esiste un problema nella
prevenzione degli atti terroristici: il sistema ha fatto cilecca». A parlare è Anne Giudicelli, alla guida della
società Terrorisc e una delle specialiste dell'anti-terrorismo più ascoltate a Parigi. Quali lezioni trarre dal
massacro alla redazione del Charlie Hebdo? «Le autorità pubbliche francesi devono cambiare strategia. Ci
vuole un coordinamento da parte di chi assicura la sicurezza (la polizia), la prevenzione vera e propria (i
servizi segreti) e la giustizia. Devono lavorare insieme per individuare e fermare i sospetti». Il problema
sarebbe rappresentato da coloro (forse già più di mille) che sono andati a combattere la jihad in Medio
Oriente e lì sono stati istruiti alla guerriglia. Per poi ritornare in Francia... «Non è vero. Perché i problemi
possono venire anche dai giovani che da qui non sono mai partiti. Prendiamo i fratelli Kouachi: qualche anno
fa, quando si erano avvicinati agli integralisti, dovevano andare a combattere in Iraq. Ma poi erano stati
fermati e quel viaggio non l'hanno mai compiuto. Ora si dice che la scorsa estate siano partiti per la Siria ma
non è chiaro se sia andata davvero così. Il problema è che oggi basta che uno di questi giovani attratti
dall'integralismo si procuri un kalashnikov e può diventare protagonista di una strage: non deve essere
andato per forza in Siria. Siamo stati a lungo a credere che un attentato potesse essere organizzato solo da
commando in arrivo dall'estero. Poi si è iniziato a temere questi francesi che rientravano dalla jihad. Le
autorità francesi hanno perso troppo tempo, non hanno capito che un certo tipo di aggressività può essere
sviluppato direttamente qui, senza dover per forza partire». Sembra quasi un problema irrisolvibile, un bacino
di terroristi poten- ziali che si allarga sempre più. Che fare? «Al di là delle strette questioni di intelligence,
occorre riflettere sul perché alcuni francesi possano arrivare a esprimere così tanta aggressività nei confronti
dei loro concittadini. Sul fatto che il nostro Paese ha generato esclusioni, fratture, problemi di identità. Questo
dibattito non l'abbiamo mai cominciato in maniera seria. Nel Regno Unito, invece, dopo gli attentati del 2005,
lo hanno fatto. Prendiamo esempio da loro». Adesso c'è chi dice che i servizi segreti francesi sono troppo
esigui, che i 3.200 dipendenti di quelli interni sono troppo pochi, che bisogna assumere altri agenti segreti e
poliziotti. È una soluzione? «Se non procediamo con quello che ho chiamato approccio globale, non servirà a
nulla». Nel lutto la Francia sembra più unita, non trova? «È una buona base di partenza per ricominciare.
Stiamo mostrando quello che vorremmo essere».
Foto: Analista Anne Guidicelli è alla guida della società «Terrorisc» Sostiene che debba essere rivista la
strategia della prevenzione
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Intervista
09/01/2015
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Plantu: "Continueremo a prendere in giro Con le matite denunciamo le
violenze"
Il vignettista di "Le Monde": gli artisti hanno tutti i diritti, ma bisogna stare attenti
CESARE MARTINETTI PARIGI
Eadesso? «Il faut continuer se moquer», dice Plantu, non dobbiamo smettere di prendere e prendersi in giro
con i disegni. Dunque la satira vive, a Parigi, a cominciare dal grande bureau di Jean Plantu, al settimo piano
di Le Monde. Il suo studio è una foresta popolata dalle sagome dei suoi personaggi, la sua scrivania un
accumulo di bruillon, schizzi, prove, colori. Plantu ci mostra la vignetta che ha appena concluso per il giornale
di oggi: una macchia rossa in strada, il tricolore a mezz'asta sulla tour Eiffel, la bandiera di Charlie Hebdo
sull'ingresso dell'Eliseo, una Marianna in lacrime, due barbuti che si allontanano con il kalashnikov sulle
spalle e il topolino (l'alter ego del disegnatore) che li guarda reggendo un cartello: «gros connards», diciamo
grandi bastardi. Plantu dal 1985 disegna la vignetta sulla prima pagina di Le Monde e dieci anni fa ha creato
«Cartoonist for peace». Che fate? «Cerchiamo ogni giorno di dialogare con disegnatori cristiani, ebrei,
musulmani, agnostici, atei e arriviamo talvolta a fare dei ponti con le nostre piccole matite là dove altri con le
loro asce scavano fossati». Nel vostro programma c'è l'impegno ad essere rispettosi dei credenti. Ci riuscite
sempre? «Ci sono mille modi di raccontare le cose, ho passato la notte qui al giornale a ricevere disegni dal
medioriente, dal maghreb di tutte le religioni. C'è l'immagine seria e rispettosa e ci può essere quella un po'
folle. E noi vogliamo tentare di essere più forti degli intolleranti, essere impertinenti senza offendere i credenti.
Bisogna continuare la battaglia avendo rispetto per il dolore delle persone che vivono in Iraq o in Afghanistan
e smettere di dire che la guerra è lontana. No è qui, a casa nostra». Ma se c'è di mezzo la religione tutto si
complica. Come si superano queste divisioni? «A noi non interessa sapere se Gesù Cristo ha camminato
sulle acque o cosa ha fatto Maometto. Quello che ci interessa è: c'è una donna lapidata? Non è un problema
di religione ma di diritti umani, e prendiamo matite e pennarelli per denunciare le violenze. E capita che ci
riusciamo perché l'arte e la creatività sono sempre più forti dell'intolleranza». Lei ora si sente un bersaglio?
«Non lo considero un problema. Io lavoro molto con le scuole. Un disegno è qualcosa che ognuno vede, se
ne appropria, ci si può esprimere in mille modi, lascio la mia matita a qualcun altro. Oggi siamo con tutto il
cuore con Charlie Hebdo e tutti possono firmare questo disegno, la mano è anonima». A Charlie Hebdo
qualcuno aveva passato il segno del rispetto? «Io penso che gli artisti abbiano tutti i diritti, di disegnare e fare
il ritratto di chiunque. Ciò detto siamo nel 2015, e bisogna fare attenzione perché laggiù all'angolo della
strada c'è un mascalzone che aspetta soltanto che gli facciamo un regalo per liberare la sue folle armate di
kalashnikov e granate. Abbiamo creato l'associazione dieci anni fa per battere l'imbecillità dei farabutti». I
quattro di Charlie erano nell'associazione? «Solo Tignous». Twitter @cesmartinetti
Foto: Satira Jean Plantu, 63 anni, disegna la vignetta della prima pagina di Le Monde dal 1985. A sinistra il
manifesto che ha disegnato quando ci fu il caso delle vignette: un Profeta tratteggiato con la scritta «io non
devo disegnare Maometto»
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Intervista
09/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Mogherini: "Non cediamo agli impulsi La Ue difenda i valori della
convivenza"
Il capo della diplomazia europea: non confondere terrore con Islam
MARCO ZATTERIN INVIATO A RIGA
Fuori nevica e all'Opera di Riga Federica Mogherini assiste insieme a tutta la Commissione Ue al concerto
che celebra l'inizio del semestre di presidenza europea della Lettonia. «Bisogna separare la parola
"terrorismo" da "Islam"» ha detto poco prima in conferenza stampa l'Alto rappresentante europeo per la
politica estera. In un attimo di pausa, aggiunge che l'«Europa deve comunque mantenere i nervi saldi, agire
rapidamente per garantire la sicurezza di tutti ed evitare di far d'ogni erba un fascio, perché si alimentere b b
e ro p ro b l e m i a n c h e maggiore». Puntare sui valori. E sui risultati. Dopo Charlie Hebdo, cosa cambia
nella strategia Ue? «Anzitutto faremo il possibile per raccordare il lavoro dei ministri degli Interni, della
Giustizia e degli Esteri, partendo dalla libera circolazione dei cittadini per arrivare al nodo dei "foreign
fighters". Questo è il valore aggiunto più importante. Al contempo, vanno coordinati anche i servizi di
informazione. Conosciamo bene le gelosie esistenti, non hanno senso. Dobbiamo lavorare insieme, davvero,
per prevenire le tragedie». Con quali strumenti? «Tutto quelli disponibili, a partire dal Pnr, l'intesa sui dati dei
passeggeri delle compagnie aerei bloccata all'Europarlamento da due anni. Ogni commissario sta mappando
il lavoro già fatto per valutare nuove misure concrete. Ci vorrà tempo, ma non ne dobbiamo perderemo. I
ministri degli Esteri ne parleranno il 19. I responsabili di Giustizia e Interni entro la fine del mese». Mica facile,
con l'aria che tira. «È necessario diffondere il messaggio della razionalità, serve a rafforzare le condizioni di
convivenza civile. Significa, ad esempio, assicurare alla Giustizia i criminali di Parigi senza toni che
alimentano il confronto e le tragedie. Le autorità francesi stanno facendo bene». Marine Le Pen parla di
ripristinare la pena di morte, la Lega vuol bloccare Schengen. E voi? «Noi dobbiamo difendere i principi
europei, la libertà di stampa, i valori della democrazia e della convivenza, la libera circolazione, la certezza e
l'adeguatezza delle pene. L'Europa è capofila nella lotta contro la pena di morte, non si torna indietro. La
risposta nel cercare di vivere insieme essendo differenti, come l'Europa che è nata per far star stare insieme
popoli che da sempre si facevano la guerra». Quando ci sono i morti dicono tutti così. Qualcuno dovrebbe
fare autocritica, non le pare? «Si, ma bisogna andare oltre. La politica ha sempre due scelte. Seguire o
mostrare la strada. È qui che servono leader forti, qui che si misura la loro capacità». Come lo spiega a chi
crede che l'Islam sia la causa di ogni male? «Coi risultati. So bene che chi ti ascolta si attende che qualcuno
parli di "pugno duro" o "di pena di morte". Invece si deve dire che fra i valori centrali dell'Unione, oltre la
"libertà di vignette", c'è la capacità di agire razionalmente per il bene comune. Occorre essere efficienti e
agire in modo concreto». Lo si vede raramente. «Troppo spesso si fanno sparate mediatiche, si dice ciò che
si pensa che i cittadini vogliono sentire e si dimentica di agire. Non serve. Dobbiamo rispondere all'esigenza
di sicurezza e ricordare che l'intolleranza si esprime in molti modi. Servono regole. Ma anche un lavoro
culturale di rigenerazione delle radici dell'esperienza europea, quelle dell'unità nella diversità».
Evitiamo di far di ogni erba un fascio perché si alimenterebbero problemi maggiori Federica Mogherini
Alto Rappresentante per la Politica estera Ue
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Intervista
09/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Quirinale, l'ipotesi primarie riapre i giochi dentro il Pd
Renzi incerto se cavalcarle o scartarle. Il primo a realizzarle fu Moro
FABIO MARTINI ROMA
Non c'è ancora una proposta compiuta, ma per la prima volta se ne comincia a parlare e se la cosa va avanti
potrebbe cambiare la storia delle prossime settimane: perché il Pd non sceglie il candidato al Quirinale
attraverso una Primaria a voto segreto tra i suoi grandi elettori? Ieri mattina l'ex segretario del Pd Pier Luigi
Bersani ha aperto ad uno scenario di questo tipo: rispondendo ad una domanda nella trasmissione «L'aria
che tira», l'ex leader del Pd ha ricordato che nell'aprile 2013, «erano pronte le schede» per fare votare i
grandi elettori Pd a scrutinio segreto, ma poi quando lui stesso propose Romano Prodi, «una ovazione»
interruppe l'iter e non se ne fece più nulla. Bersani di fatto ha aperto la strada ad una discussione sull'utilizzo
d una procedura di democrazia interna che peraltro ha precedenti illustrissimi. Nella Prima Repubblica La Dc
- accompagnata da una «damnatio memoriae» ben oltre le sue «colpe» - sperimentò in diverse occasioni
democratiche Primarie interne. Il primo a proporle fu Aldo Moro, nel 1962 segretario della Dc. Lo sbarramento
dei franchi tiratori era imponente e Moro indisse una votazione segreta tra i grandi elettori Dc. Come scrisse
un grande giornalista Vittorio G orresio de «La Stampa» - «si era convenuto che gli scrutatori avrebbero
dovuto proclamare soltanto il nome del primo in classifica, senza indicare il numero dei voti che egli avesse
raccolto, né la sua percentuale, né la distanza dal secondo, né alcuna graduatoria: e poi bruciare le schede in
un forno». Raffinato rito da conclave per preservare la (successiva) unità interna della Dc e che premiò
Segni. Procedura ripetuta nel 1971: primo Leone, secondo Moro. Nel 1985, grazie alla regia di Ciriaco De
Mita, voto segreto con plebiscito per Francesco Cossiga. Anche stavolta schede bruciate. La tentazione
Matteo Renzi, che è diventato leader grazie alle Primarie, si sentirà insidiato dalla suggestione bersaniandemocristiana o la cavalcherà? Una cosa è certa: Bersani, nelle elezioni presidenziali del 2013, ha scartato la
opzione del voto segreto tra candidati alternativi. Da questo punto di vista la ricostruzione da lui fatta
dell'ultima corsa presidenziale, omette alcuni passaggi decisivi. Nella primavera del 2013, dopo la clamorosa
bocciatura in aula della candidatura di Franco Marini, appoggiato anche da Forza Italia, Bersani fece sapere
ai notabili del partito di essere pronto a virare bruscamente su Romano Prodi. A quel punto - e non è dettaglio
da poco- Massimo D'Alema fece sapere di essere pronto a candidarsi anche lui, in un testa a testa con Prodi,
del tipo, vinca il migliore. La notte del 18 aprile furono preparate le schede per votare e l'indomani i grandi
elettori del Pd furono convocati al cinema Capranica. Dietro le quinte si sapeva che subito dopo Bersani (che
avrebbe proposto di votare Romano Prodi), si sarebbe alzata Anna Finocchiaro per proporre D'Alema. Ma
non andò così: il presidente dell'assemblea, Luigi Zanda propose di votare per alzata di mano e, in assenza
di uno «scatto» da parte dello schieramento opposto, la candidatura dell'ex presidente della Commissione
europea passò per acclamazione. Una forzatura che fu vissuta dallo schieramento pro-D'Alema come uno
schiaffo e aprì la strada ad una successiva, in qualche modo «fisiologica» rappresaglia.
101 voti mancanti Quelli del Pd che voltarono le spalle a Prodi nella scorsa elezione al Colle
Foto: LUIGI MISTRULLI /EMBLEMA
Foto: Nel 2013, segretario del Pd Bersani, D'Alema fu a un passo dal giocarsi la candidatura Pd al Quirinale
con Prodi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Retroscena
09/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Terremoto al vertice della Consob
Lascia Caputi, direttore generale voluto da Vegas "Ragioni personali". E il governo accelera sul riassetto della
Commissione
Gaetano Caputi, attuale direttore generale della Consob, si è dimesso dall'incarico con effetto dal prossimo
12 gennaio. Non sono note i motivi ufficiali della decisione, anticipata da Glistatigenerali.com, che però viene
ufficiosamente ricondotta a «ragioni personali». La nomina di Caputi in Consob era stata fortemente voluta
dal presidente Giuseppe Vegas, che aveva nominato Caputi, in precedenza dirigente del ministero
dell'Economia, prima segretario generale nell'aprile del 2011 e poi direttore generale nel settembre
successivo. All'epoca la nomina causò alcune polemiche per la scelta di un esterno e l'esclusione di
candidature interne, come previsto dal regolamento della Commissione. Caputi, 50 anni, ha alle spalle una
solida carriera da grand commis di Stato. Prima di essere capo dell'ufficio legislativo dell'Economia durante
l'ultimo governo Berlusconi - con Giulio Tremonti ministro e lo stesso Vegas viceministro - era stato nello
stesso ruolo al ministero delle Infrastrutture guidato da Antonio Di Pietro. Dal 2002 al 2005 fa parte della
Commissione di Appello Federale presso la Figc e dal 2005 al 2009 è stato membro della Camera di
conciliazione ed arbitrato presso il Coni. Per la nomina di Caputi e per altre nomine effettuate in Consob,
Vegas è indagato dalla procura di Roma per abuso d'ufficio, anche se la circostanza non sarebbe da mettere
in relazione con la decisione di Caputi. La nomina del successore dovrebbe arrivare in tempi brevi, spiegano
fonti della Commissione. Per l'incarico circola tra gli altri il nome di Angelo Apponi, capo della divisione
emittenti, finito anche lui al centro di polemiche con lo stesso Vegas per il ruolo avuto nella vicenda FondiariaSai. La decisione di Caputi potrebbe avere riflessi sul riassetto dell'Autorità di controllo dei mercati. Al vertice
della Consob restano, oltre a Vegas, i due commissari Paolo Troiano e Anna Genovese. Il governo Renzi
deve nominare i due commissari mancanti, ma potrebbe anche decidere di ridisegnare il ruolo dell'Autorità sul
modello di quanto fatto dal governo Monti con l'Isvap, il controllore delle assicurazioni rinominato Ivass e finito
sotto l'ombrello di Bankitalia.
Foto: ANSA
Foto: Giuseppe Vegas, presidente di Consob
Foto: Indagine Gaetano Caputi era arrivato in Consob nel 2011. La sua e altre nomine hanno portato ad una
indagine della procura di Roma per abuso d'ufficio
Foto: Nomine La Consob, attualmente composta da Vegas e due membri, attende la nomina di due
commissari da parte del governo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Retroscena
09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:210842, tiratura:295190)
SU QUESTO AMMONTARE ANCHE IL FRONTE TEDESCO POTREBBE DIRE SÌ MA PONE PALETTI
SULLA TIPOLOGIA DI TITOLI DA COMPRARE IL 22 CONFRONTO DECISIVO
Rosario Dimito
IL RETROSCENA R O M A Era l'8 agosto 2011, epoca fra le più drammatiche della storia finanziaria europea
recente e italiana in particolare. Lo spread Btp-Bund superava quota 400, i tassi del nostro decennale
salivano oltre il 6%, tre giorni prima il presidente in uscita della Bce, Jean Claude Trichet, e quello in pectore,
Mario Draghi, avevano fatto recapitare una lettera al premier Silvio Berlusconi con le condizioni per mettere in
sicurezza il Paese. Quel giorno la Bce investì 5 miliardi per acquistare titoli italiani e spagnoli sul mercato
secondario in base al programma denominato Smp: l'iniezione di liquidità ebbe l'effetto benefico di far
scendere lo spread di 100 punti a quota 308. Questo scenario aleggiava due giorni fa durante il consiglio
direttivo di Eurotower a Francoforte. Sotto osservazione non c'era più il temuto differenziale tra titoli decennali
italiani e tedeschi (oggi attorno a 130 punti), quanto la possibilità di un nuovo intervento, questa volta diretto,
della Banca centrale per acquistare debito pubblico europeo. Sì, ma di quale Paese? La Bce potrebbe
lanciare misure «che includono l'acquisto di vari asset, inclusi i bond sovrani», ha scritto giorni fa Draghi in
una lettera di risposta all'interrogazione di un europarlamentare. La discussione l'altro giorno non sarebbe
entrata nel merito della decisione che sarebbe invece rinviata alla riunione del 22 gennaio, in programma tre
giorni prima delle elezioni in Grecia. Si sarebbe invece incentrata a lungo sulle analisi delle potenziali
conseguenze degli effetti sull'inflazione di un acquisto massiccio di titoli di Stato. Disquisizioni tecniche
abilmente gestite da Draghi per misurare la temperatura interna al board fra i 20 rappresentanti delle banche
centrali, dove le posizioni restano nella sostanza disallineate specie fra tedeschi, francesi, lussemburghesi,
baltici, qualcuno del mondo dell'est e gli altri. Da parte italiana, Ignazio Visco da tempo si è espresso a
sostegno della linea Draghi di acquisto di titoli, che a questo punto diventerà solo una decisione politica e non
più tecnica, dove il caso Grecia è uno spartiacque che potrebbe indirizzare la decisione per le tensioni degli
ultimi giorni. L'ACCOLLO DELLE PERDITE L'accordo andrà calibrato sulle modalità. Quali titoli acquistare?
Con quali scadenze? Quanto conviene investire: 500, 1000 o 1500 miliardi? E soprattutto, con quale
meccanismo di allocazione dei rischi, cioè le eventuali perdite verrebbero sopportate dalle singole banche
centrali che procederebbero all'acquisto come quattro anni fa, oppure verrebbero condivise a livello di Bce?
Di sicuro su quest'ultimo punto vi è una netta frattura con la fazione dissidente guidata da Jens Weidmann,
presidente della Bundesbank da tempo arroccato sul niet politico e punta i piedi insieme alla cancelliera
Angela Merkel. Questa differenziazione dimostra ancora una volta quanto i tedeschi e i loro alleati siano i veri
nemici dell'integrazione europea, di cui solo a parole la stessa cancelliera ne auspica la più rapida
realizzazione. C'è un nemico in agguato, avrebbe spiegato l'altro giorno un importante governatore di un
paese non allineato con la Germania: è la deflazione che abbatte il Pil e fa aumentare il debito pubblico nel
rapporto con il prodotto interno. Pur rimanendo nel campo delle dissertazioni teoriche, era evidente il
riferimento alla necessità di intervenire per allargare il bilancio della Bce con iniezioni di liquidità sul mercato.
Quanto al che fare, Draghi cercherà di coagulare il consenso un investimento di 500 miliardi, anche se
nessuno è in grado di prevedere quanto sia necessario spendere per riportare l'inflazione attorno al 2%.
Piuttosto, i paletti che almeno otto rappresentanti del fronte Weidmann nel board piantano sul terreno
dell'accordo riguardano le tipologie di titoli da acquistare: quelli con la tripla A, li vorrebbe fortemente
Weidmann, quindi titoli tedeschi e olandesi. Altri azzardano l'acquisto di soli titoli con la singola A. Altri ancora
solo investment grade. Va da sè che per abbassare la tensione bisognerà acquistare anche titoli di Paesi in
difficoltà: è il banco di prova sul quale Draghi da qui al 22 cercherà di cucire una mediazione.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Il presidente Bce cerca la mediazione dimezzando l'intervento a 500
miliardi
09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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Foto: Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Il patto del Nazareno è in super salute», garantisce il capo di Forza Italia: «Con me in campo si vincono
anche le regionali» L'ex Cavaliere vuole bruciare i tempi confidando nel contestato decreto fiscale che lo
renderebbe di nuovo eleggibile: «Renzi lo farà» LA BARZELLETTA: AFFONDA UNA NAVE, SCATTANO I
SOCCORSI. MA POI SI SCOPRE CHE CI SONO ANCH'IO A BORDO E LASCIANO AFFOGARE TUTTI
Alberto Gentili
IL RETROSCENA R O M A Silvio Berlusconi sembra finalmente uscito dall'afasia e dalla persistente
depressione che l'ha accompagnato da più di un anno, da quando fu espulso dal Parlamento a causa della
condanna per frode fiscale e destinato al lungo limbo (sei anni) dell'ineleggibilità. Lo dimostra la richiesta di
uno sconto di pena di 45 giorni, «per buona condotta», presentata dai suoi avvocati. Ed è provato
dall'iniziativa per evitare «l'esproprio» del 20 per cento di Mediolanum a causa della «perdita dei requisiti di
onorabilità» innescata dalla stessa condanna. «Voglio mandare un messaggio chiaro», ha confidato l'ex
Cavaliere, «a febbraio o marzo io sarò in campo. Riprendo l'iniziativa...». SPERANZE E OTTIMISMO
Berlusconi vuole bruciare i tempi, «per tornare al più presto nell'agone politico» ed economico. E intende
bruciarli anche grazie al contestato articolo 19 bis contenuto nel decreto fiscale - parcheggiato dopo le
polemiche da Matteo Renzi fino al 20 febbraio - che gli consentirebbe di essere immediatamente candidabile
ed eleggibile. A via del Plebiscito c'è ottimismo. Il leader di Forza Italia è convinto che il 20 febbraio, una volta
chiusa la partita del Quirinale, Renzi «varerà la norma». «Perché serve agli italiani, agli imprenditori, alla
casse dello Stato che potranno recuperare 4 miliardi. E perché Renzi, al contrario dei comunisti del suo
partito, non è affetto del virus del becero anti-berlusconismo». Non a caso il leader di Forza Italia definisce il
Patto del Nazareno «non in salute, ma in super-salute...». Soprattutto se la partita del Colle si concluderà con
«l'elezione di un Presidente amico». Professioni di fede e di fedeltà a parte, Berlusconi ha bisogno di tornare
in campo «al più presto», perché «solo così si mettono in riga i ribelli» guidati da Raffaele Fitto e «si può
sperare di vincere in primavera le elezioni regionali in Campania e Veneto». E perché soltanto tornando al
timone di Forza Italia con poteri effettivi, e senza e s s e r e a z z o p p a t o dall'ineleggibilità, può «progettare
il futuro». Un futuro che Berlusconi immagina tale e quale al passato: lui unico leader riconosciuto e
candidato alla premiership per il centrodestra alle prossime elezioni. «Voglio il giro di ritorno, voglio prendermi
la rivincita che mi aspetta. E sono sicuro che vincerò», ha confidato in queste ore, rialzando l'ammaccato
morale dei fedelissimi. «Sembra tornato quello di un tempo», confida chi l'ha ascoltato. Dopo il "sì" del Senato
alla clausola di salvaguardia, quella che prevede che la nuova legge elettorale non entrerà in vigore prima del
settembre 2016, Berlusconi sta parametrando la sua ricandidatura a premier «tra la primavera del 2017 e
quella del 2018», scadenza naturale della legislatura. E, raccontano, l'ex Cavaliere se la ride quando
qualcuno gli ricorda della richiesta di Fitto e di altri ribelli di procedere alle primarie per la scelta del leader. «Il
leader sono io», è il ritornello tornato a echeggiare al Plebiscito. Per dimostrare di avere cambiato umore,
Berlusconi si è messo a raccontare una barzelletta. Questa: «Una nave sta per affondare a largo della costa
italiana, scatta l'allarme, la Capitaneria di porto viene subito avvertita e si mobilita. Cominciano le operazioni
di salvataggio, si muovono i rimorchiatori. A un certo punto si sparge la voce che a bordo, tra i passeggeri, c'è
anche Berlusconi. Subito arriva il contrordine: "Bloccate ogni soccorso!"». E' seguita spiegazione didascalica:
«Avete visto tutto il casino sul decreto fiscale? La verità è che in questo Paese lo sport nazionale è
prendersela con me e pur di danneggiarmi si preferisce colpire anche chi non c'entra nulla e impedire
operazioni di buonsenso».
Foto: Silvio Berlusconi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Berlusconi: mi ricandido a palazzo Chigi
09/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 17
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Le mosse di Bersani per Prodi al Quirinale
Massimiliano Scafi
Roma Il Rieccolo del terzo millennio ha la faccia rotonda e il carattere ombroso di Romano Prodi. Lui, ancora
scottato dalle 101 coltellate del 2013, aveva chiesto agli amici di tenere un profilo basso: «Non fare il mio
nome, per carità, lasciatemi perdere». Invece eccolo di nuovo il corsa, lanciato da Pier Luigi Bersani: «Per il
Quirinale bisogna ripartire da dove ci si è fermati». La sinistra Pd sembra pronta a votarlo. «Quella ferita è
aperta e sanguina ancora», dice ad esempio Rosi Bindi. Sel è entusiasta e dai grillini arrivano segnali espliciti
di gradimento: è pure in testa nelle quirinarie del Fatto Quotidiano . Resta solo da capire se la minoranza del
Nazareno vuole davvero puntare su di lui, come arma finale contro il Cavaliere e come «commissario
politico» del premier, o se lo sta usando tatticamente per dare fastidio a Matteo Renzi. Insomma, Il
Professore è un aspirante vero o farà la fine del Rieccolo originale, Amintore Fanfani, sempre candidato e
mai nominato? «Il tritacarne mediatico - osserva Matteo Orfini, presidente del Pd - danneggia il nome che si
fa». Comunque ce n'è abbastanza per agitare le acque del Pd. Del resto a sbilanciarsi non è uno qualsiasi, è
l'ex segretario. «Non ho bisogno di dire niente, altrimenti poi Prodi si arrabbia... Nel 2013 c'era qualche
complotto in giro, poi c'era una platea di senatori e deputati eletti da pochi giorni e che ora invece hanno un
anno di esperienza. Io sono sempre quello lì». Una frasetta, ma è sufficiente per trasformare l'ex presidente
della Commissione Ue da simbolo storico dell'antiberlusconismo a ipotetico grimaldello contro il Patto del
Nazareno. È presto per dire quanti voti ha sulla carta, non è presto però per registrare la trama. Il segnale di
Bersani, il cui silenzio dei giorni scorsi era stato letto dal premier come una tregua, può forse significare che il
ventre molle del Pd si sta preparando all'ultimo capitolo della guerra dei vent'anni con Berlusconi. Come?
Come al solito, ricorrendo ancora una volta al Professore bolognese. Pure il sito di scommesse Paddypower ,
citato dal blog dei Cinque Stelle, considera Romano Prodi il più probabile dodicesimo presidente della
Repubblica. La sua quota è sette a uno. Seguono Stefano Rodotà a otto, Emma Bonino a dieci e, staccati,
tutti gli altri, D'Alema, Veltroni, Grasso e Del Rio, Zanda sono agli ultimi posti. Più che un sondaggio sembra
un vaticinio, però è indicativo dell'interesse di M5S. Così, nonostante i numeri sulla carta negativi, Prodi resta
in pista, sperando che l'intesa tra Renzi e il Cavaliere non regga alla prova dei fatti e puntando sui voti sparsi
di qualche dissidente anti-Patto di Forza Italia. La buona notizia per Renzi è che i suoi oppositori interni
sembrano fare più fumo che arrosto: l'Italicum sta viaggiando tra le polemiche ma senza troppi problemi
pratici, la richiesta del senatore Pd Massimo Muchetti di un'informativa del governo sul decreto fiscale è stata
bocciata e la sinistra non appare avere le forze per rovesciare il tavolo. Anche perché se salta tutto si tornerà
al voto. «Basta chicchiericci - conclude Orfini - la discussione vera deve ancora iniziare».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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il retroscena
09/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Fassino: odio e paura si vincono con politiche di integrazione
Il sindaco di Torino e presidente dell'Anci: «Senza azioni adeguate si alzano muri di diffidenza e si formano
ghetti. Ma bisogna anche tenere alta la guardia sulla sicurezza. Per fare questo serve coinvolgere di più gli
immigrati» «I capi delle comunità straniere collaborino con le istituzioni, isolando i violenti e denunciando i
comportamenti illegali» «Non possiamo lasciare affondare i barconi, ma serve un piano per stabilizzare la
Libia» «Basta con una sorta di relativismo culturale, i diritti umani son
GIOVANNI GRASSO
La tragedia di Parigi non riguarda solo la Francia, ma l'Europa e il mondo. Una sorta di relativismo culturale secondo il quale il rispetto per le culture e le religioni altre può far finire in secondo piano la rivendicazione
dell'universalità dei diritti umani - mostra chiaramente la corda. La convivenza di una società che sarà
inevitabilmente sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa non può prescindere dall'affermazione
di valori come la libertà, la democrazia, il pluralismo». Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente
dell'Associazione nazionale dei Comuni, è un convinto fautore dell'integrazione, che «comincia proprio dalle
città». Ma che «di fronte a tragedie come quella di Parigi ha bisogno di un supplemento di impegno politico e
culturale anche livello internazionale: i diritti dell'uomo devono essere proclamati e rispettati in ogni parte della
terra, senza eccezioni». Dopo la strage di Parigi, la domanda dell'uomo della strada è se non siamo andati
troppo avanti nell'apertura delle nostre frontiere... La globalizzazione, la sempre maggiore interdipendenza, i
flussi migratori sono fenomeni epocali. La politica non può impedirli, ma deve saperli governare. Integrazione
significa far sparire la paura: sia quella di chi arriva che quella di chi accoglie. Ma l'integrazione nella società
non si forma spontaneamente: è un processo che va costruito. Senza un intervento deciso della politica, delle
istituzioni, avviene l'esatto contrario: si alzano muri di diffidenza, si formano ghetti, si alimenta la paura
reciproca, che poi sfocia nell'odio. L'integrazione è sufficiente o servono anche politiche di sicurezza?
Integrazione e sicurezza sono le due facce della stessa medaglia. È chiaro che vanno messi in campo tutti gli
strumenti di prevenzione, di intelligence , di repressione, per fare in modo di isolare i violenti, di fermare i
potenziali terroristi, di sventare gli attentati. Ma per far questo dobbiamo esigere la collaborazione dei leader
religiosi e dei capi delle comunità straniere presenti in Italia. Non solo si devono astenere da ogni forma di
fanatismo o di predicazione dell'odio, ma devono incoraggiare il rispetto della legalità e, soprattutto, vigilare
fattivamente sugli appartenenti al loro gruppo etnico o religioso. C'è un problema che va affrontato con forza:
spesso le persone appartenenti alle comunità straniere, anche le più pacifiche e integrate, mostrano una
certa remora nel denunciare comportamenti illegali e pericolosi dei loro compatrioti, anche se non li
condividono. È un malinteso senso di appartenenza che finisce per renderli indirettamente complici. Questa
ambiguità non può essere tollerata. C'è chi ora chiede di dire stop alla costruzione delle moschee. È
d'accordo? Rispondo con le parole di suor Giuliana, una religiosa molto impegnata a Torino nella costruzione
dell'integrazione. Lei dice che è meglio che si preghi il proprio Dio alla luce del sole, in strutture pubbliche e
riconosciute, piuttosto che farlo di nascosto. Altro slogan in voga: stop all'immigrazione straniera, respingiamo
i barconi di profughi nel Mediterraneo... Fa comodo a qualcuno confondere le acque, mettendo nello stesso
calderone immigrati stranieri regolari, immigrati irregolari (i cosiddetti "clandestini") e i profughi, che fuggono
dai loro Paesi di origine a causa di guerre e violenze. Nessuno può pensare che la clandestinità sia un valore
e non piuttosto un fenomeno illegale da fronteggiare, con misura e umanità. L'equazione "clandestino" uguale
terrorista non è però accettabile. Stesso discorso per i barconi di profughi. Che facciamo? Li lasciamo
affondare? Facciamo morire affogati donne e bambini? Ben diverso sarebbe cercare accordi con i Paesi di
partenza dei barconi, per impedire che prendano il largo. Ma oggi i profughi partono in prevalenza dalla Libia,
dove c'è una situazione di completa anarchia. E dunque occorre che la comunità internazionale e in primo
luogo l'Unione Europea e abbiano una strategia che consenta alla Libia di ritrovare rapidamente una
condizione di stabilità e di normalità. C'è anche ci dice che Islam e democrazia siano inconciliabili... La storia
recente ci insegna che ci sono e ci sono stati Paesi islamici, penso alla Turchia, alla Giordania, alla Tunisia,
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L'intervista
09/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:105812, tiratura:151233)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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che nonostante difficoltà e problemi hanno imparato a convivere con la democrazia e il pluralismo. Non c'è,
insomma, una ragione costitutiva, "genetica", che impedisca all'Islam di fare i conti con la libertà e la
democrazia. Il problema è che in molti Stati islamici non è avvenuto quel processo di secolarizzazione che
abbiamo conosciuto nelle società occidentali da alcuni secoli a questa parte: quel processo che porta a
distinguere l'ambito religioso da quello politico e statale. È un processo che va incoraggiato a livello
internazionale con molta decisione: la dichiarazione dei diritti fondamentali dell'uomo è stata approvata da
tutti i Paesi aderenti all'Onu. Bisogna però che siano fatti rispettare a ogni latitudine. Matteo Salvini "consiglia"
a Papa Francesco di finirla con il dialogo interreligioso... È vero esattamente il contrario Il dialogo
interreligioso è un elemento indispensabile in un processo di conoscenza reciproca che è alla base della
comprensione, del rispetto e della convivenza.
Foto: SINDACO. Piero Fassino
09/01/2015
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:24728, tiratura:83923)
«Un atto odioso, ma la colpa è di Francia e Stati uniti»
I successi militari in Iraq e in Siria hanno fatto proliferare i sostenitori del «califfato» nel Maghreb come in
Europa. Prime vittime, i musulmani Saddam e Gheddafi contenevano la deriva islamista, ma sono stati
abbattuti»
Giuseppe Acconcia
Abbiamo raggiunto al telefono a Parigi Samir Amin, filosofo ed economista, direttore del Forum del Terzo
mondo, con sede a Dakar, per commentare l'attacco alla redazione di Charlie Hebdo. Perché i terroristi
hanno colpito così duro al cuore dell'Europa? È una conseguenza diretta della politica occidentale in Libia. In
particolare il Sud del paese è diventato una base di approvvigionamento gigantesca. Quella regione è stata
strategica per la Francia, senza di essa l'esercito francese non sarebbe potuto intervenire in Sahel. Dirò di
più. Credo anche che la tempistica degli attacchi abbia una relazione con l'avanzata dell'esercito francese dal
Ciad dei giorni scorsi. I jihadisti hanno voluto riaffermare che il Sud della Libia deve rimanere la loro base e
una terrà di nessuno. Ovviamente tutto questo è poi conseguenza diretta degli attacchi della Nato con• tro il
colonnello Muammar Gheddafi del 2011. Chi è quindi il vero responsabile di queste azioni. È forse il caso di
mettere in discussione la politica occidentale in Medio oriente? Si tratta di un odioso atto di terrorismo dì
sedicenti islamisti che hanno una comprensione del tutto particolare .dell'Isiam e della religione. Ma la
responsabilità di questi attentati è di Francia e Stati uniti. Le potenze occidentali continuano a sostenere
Arabia Saudita, Qatar e paesi del Golfo. Consentono tutto a questi paesi, che danno un appoggio gigantesco
al terrorismo. Per essere più chiari, le potenze occidentali considerano l'alleanza con i paesi del Golfo un
fondamento della politica neo-liberale. Il secondo errore occidentale è di aver combattuto gli autocrati che
hanno cercato di porre un freno all'Isiam politico, da Saddam Hussein a Muammar Gheddafi. Per esempio in
Iraq Saddam Hussein sebbene riuscisse ad assicurare la coesistenza tra sciiti e sunniti è stato brutalmente
deposto. E Gheddafi aveva chiaramente contenuto le derive islamiste in Libia. Ci sono delle responsabilità
specifiche della Francia? La Francia ha una responsabilità in più: aver sostenuto gli islamisti in Algeria,
presentandoli come vittime della dittatura dell'esercito. Una parte di questi islamisti si è rifugiata in Arabia
Saudita ma anche in Europa: in Gran Bretagna ancor più che in Francia. Perché le potenze occidentali hanno
interesse a continuare a fomentare il terrorismo internazionale? Il solo obiettivo delle potenze occidentali è
portare avanti la loro politica neo-liberale. Per questo, per loro, il mondo si divide in due: i paesi che
appoggiano incondizionatamente il neo-liberismo sono i soli amici dell'Occidente, anche se si tratta di odiosi
islamisti; i paesi recalcitranti sono invece nemici della dittatura del capitale internazionale. In altre parole, le
potenze occidentali hanno un solo criterio: il liberismo assoluto. A chi lo sostiene gli si perdona tutto. E la
democrazia non ha niente a che vedere con questo. Alcuni degli attentatori avrebbero fatto riferimento ad Al
Qaeda in Yemen durante gli attacchi. Non mi stupisce, in Yemen per anni gli islamisti sono stati sostenuti
dagli Stati uniti in funzione anti-comunista, insieme all'Arabia Saudita. In quel caso la battaglia era contro il
"pericolo" nazional popolare dell'ex Yemen del Sud. È plausibile poi che si tratti di jihadisti con passaporti
europei, come spiega questo fenomeno? Le potenze occidentali hanno tollerato che cittadini europei
partissero per la Siria per combattere Bashar al-Assad. Questo meccanismo è stato sostenuto dalla Turchia e
dagli altri governi occidentali. Ma bisogna stare attenti a non cadere nell'islamofobia. La maggioranza
schiacciante degli immigrati che vivono in Francia, credenti e non, non sono per nulla fanatici dell'Isiam
reazionario. Invece non è da sottovalutare che siano coinvolti molti atei e convcrtiti in questi movimenti
radicali. Gli attentatori, come al solito, sono ben preparati. Lo stesso avvenne con i Taliban in Afghanistan
che erano stati addestrati dalla Cia in Pakistan. E così questi "jihadisti europei" non sono amatoriali,
probabilmente si sono formati in Siria e in Iraq. Per questo sono stati estremamente efficaci. Perché è stata
scelta proprio la stampa come obiettivo? Gli attentatori hanno scelto un obiettivo "intelligente". Il loro scopo è
di diffondere terrore nei media. L'obiettivo, in ultima analisi, è quello di costringere l'Occidente a rinunciare
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Radici INTERVISTA • Gli errori occidentali e i danni neo-liberisti secondo Samir Amin
09/01/2015
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:24728, tiratura:83923)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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alla laicità e alla libertà di espressione.
Foto: MILIZIANI DELLO STATO ISLAMICO ENTRANO ' A MOSUL, IN IRAQ. A SINISTRA. UN JIHADISTA
DEL FRONTE' AL NUSRA, SEMPRE A MOSUL. A DESTRA, UN SOLDATO FRANCESE IN MALI /FOTO
REUTERS
09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Daniel Pipes: «Suicida la strategia europea verso i musulmani»
ANDREA MORIGI
a pagina 14 Visto dagli Stati Uniti, dove raggiungiamo al telefono il direttore del Middle East Forum Daniel
Pipes, il massacro compiuto a Parigi appare come l'ultimo atto dell'avanzata islamica nelle terre degli infedeli.
Le analisi sull'islam militante di questo intellettuale neocon hanno suscitato interesse e anche numerose
polemiche. Ma non hanno mai lasciato indifferenti, per la loro profondità. L'attentato contro Charlie Hebdo
rappresenta a suo parere un punto di svolta nella strategia jihadista? «Direi che i jihadisti diverranno una
minaccia via via sempre maggiore in Europa. L'impatto sulla popolazione occidentale, tuttavia sarà così forte
che prima o poi finirà per provocare una reazione». Quindi, lei prevede che, finalmente, l'Europa si
risveglierà? «Certo, perché gli episodi di violenza che si moltiplicano stanno provocando una preoccupazione
crescente nell'opinione pubblica». Chi si ribella, tuttavia, rischia di essere etichettato come xenofobo,
islamofobo, di estrema destra. È quello che sta accadendo ai partiti come la Lega Nord in Italia o il Front
National in Francia . «Purtroppo,è così . Ma occorre dire che si tratta di un terribile errore ». Lei come
consiglierebbe di rispondere? «Direi: non preoccupatevi. Non è estremismo opporsi alla legge islamica. È una
reazione naturale. Perciò dite di no. Solo così si potrà fermare la barbarie». Molti commentatori sostengono
che i terroristi non uccidono nel nome di Allah. E i capi religiosi islamici in Europa hanno condannato l'attacco,
ma anche gli episodi di blasfemia. E i terroristi hanno scelto di colpire proprio un luogo simbolico come la
redazione di un settimanale satirico. Crede che siano in pericolo i diritti civili? «Non penso che il problema
centrale riguardi la libertà di stampa e di espressione.Certamente,i musulmani non tollerano le critiche
all'islam. E oltre a questo agiscono allo scopo di seminare il terrore fra la gente. Ma il loro vero obiettivo è
instaurare la sharia, la legge coranica, che punisce con la morte i nemici dell'islam. Del resto vi stanno
riuscendo». Intende dire che oramai ci sono zone sfuggite al controllo delle autorità civili e passate sotto il
dominio dell'islam radicale? «Ovvio.È un fatto acclarato. In molti Paesi, la Gran Bretagna in testa, si applica
già la sharia per quanto riguarda il diritto civile e familiare, ma in alcuni casi anche in campo penale. Così, se
solitamente si va dall'imam o presso una corte sharaitica per regolare matrimoni, separazioni, divorzi e
questioni ereditarie, c'è una tendenza ad amministrare la giustizia all'interno della comunità anche quando si
tratta di crimini. E dal fenomeno purtroppo non è esclusa nemmeno l'Italia». È una minaccia che tocca anche
altri Paesi. Dopo aver colpito negli Stati Uniti nel 2001, il terrorismo islamico recentemente ha preso di mira
anche il Canada e l'Australia. Non è a rischio tutto l'Occidente? «Non si verifica la stessa situazione in tutte le
aree del mondo. In America e in Oceania il pericolo è minore perché non si associa al progetto di
islamizzazione della società. Attualmente il pericolo maggiore viene dalla Francia, dalla Svizzera, dalla
Danimarca e dai Paesi Bassi. Senza dimenticare l'Italia dove, benché non vi troviate allo stesso livello di altri
Paesi europei, sarete prima o poi coinvolti». In effetti, la rivista dell'Isis, Dabiq, ha già messo sulla propria
copertina una bandiera nera che sventola sull'obelisco di piazza San Pietro . È quello l'obiettivo, almeno
propagandistico? «Non credo che la loro priorità sia colpire il Vaticano. Quello che sperano, semmai, è di
sottomettere l'Italia». Insomma, lei intravvede un pericolo che va oltre le azioni militari e sanguinarie?
«Diciamo che non ci si può limitare alla questione, pur importante, dell'ordine pubblico e della sicurezza. Al di
là dell'emergenza terrorismo, in Europa si assiste un tentativo di cambiare la società attraverso le scuole e le
assemblee parlamentari. In più, su tutto questo, si innesta il fenomeno dell'immigrazione che aggrava il
problema». Eppure, la tendenza dominante sembra quella di prodigarsi per concedere sempre maggiori diritti
agli stranieri, favorendo anche il proliferare delle moschee. «Non servirà a nulla». La ritiene una strategia
suicida? «Ma certo che è una strategia suicida . Comunque sono sicuro che gli europei si risveglieranno
prima che sia troppo tardi».
Daniel Pipes
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Le interviste
09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
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Favorire l'immigrazione è un suicidio DANIEL PIPES
Foto: Musulmani pregano per le strade della Francia [web]
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Matteo Salvini: «Basta regali a chi ci vuole morti»
MATTEO PANDINI a pagina 9 Accusano la Lega di essere addirittura nazista. «Eh sì. È frustrante e
pericoloso». Sostengono che i terroristi non sono islamici. «Questi qui, quelli che dicono queste cose, sono
dall'altra parte della barricata! Non so se per ignoranza, stupidità o malafede...». Dicono che la Lega non
deve strumentalizzare la strage di Parigi. «Sono il ventre molle di cui parlava Oriana Fallaci. Fanno il gioco
dei fanatici di Allah. Sono collaborazionisti degli islamici». Matteo Salvini traccia un bilancio dei recenti
dibattiti televisivi. Quelli per commentare, a caldo, il massacro nella redazione di Charlie Hebdo . Da sinistra
gli hanno detto di tutto. E lui ha ricambiato. Su La7 , tanto per cominciare, s'è beccato con Lia Quartapelle,
Pd. La giovane renziana che ha sfiorato la Farnesina dopo l'addio della Mogherini. Salvini, nei dibattiti è stato
protagonista di scontri infuocati. «Mah, per certi versi lo considero fuoco amico. Gliel'ho già detto: questi qui
stanno dall'altra parte della barricata e non capiscono che l'islam è pericoloso. Pe-ri-co-lo-so, capisce? E
invece mi danno del nazista. Pazzesco». Iniziamo dalla deputata democratica. Lei l'ha definita addirittura
«squallida». Conferma? «Ah, è stata imbarazzante. Ha detto che non si deve parlare di terrorismo islamico.
Difende l'indifendibile. Quelli che sparavano a Parigi urlavano "Allah è grande"». Ma la Quartapelle ha
ribattuto citando la strage del norvegese Breivik. Sbaglia? «Sì, è l'unico caso che citano per dire che non ci
sono soltanto assassini islamici. Ma quello è uno psicopatico che tutto il mondo ha condannato e condanna.
E che spero resti tutta la vita in galera. Breivik è un folle». Lei è stato anche a Matrix , Canale5. Oliviero
Toscani le ha dato del nazista. «Vedrò se fare la terza querela contro di lui. Mettere sullo stesso piano la
Lega, Hitler e gli assassini di Parigi vuol dire fare un favore a quella gente lì. Sa cos'è la cosa più
fastidiosa?». Dica. «Penso alle risate degli estremisti islamici mentre sentono queste cose. In Occidente ci
stiamo facendo del male da soli». Sempre su Canale 5 c'era il parlamentare Pd Chaouki. Musulmano. Ha
criticato i toni della Lega facendo l'esempio di Borghezio. «Ah be'...». Sbuffa. «Canada, Gran Bretagna,
Australia, Spagna, Olanda, Stati Uniti, adesso Francia. Gli estremisti hanno colpito ovunque e pare stiano
aspettando di fare il disastro in Italia. E temo che prima o poi capiterà. L'islam è il problema. Sbaglia chi
subisce questa occupazione militare e culturale eppure tace. Diamo piscine e palestre solo per musulmane.
Togliamo il presepe. Censuriamo film o opere d'arte per non urtare gli islamici... Ora basta». Non parli di
cultura. La Quartapelle ha detto che lei, Salvini, non ne ha. «Ah certo, la cultura è solo di sinistra.
Evidentemente non ha letto il 28esimo Canto dell'Inferno della Divina Commedia. Questi qui sono pericolosi.
Anche Alfano... Ha detto che in Italia sono transitati 53 terroristi ma sono censiti. Secondo me dovrebbe
arrestarli, cosa aspetta?». Pure la Boldrini e la Kyenge hanno detto che le religioni non uccidono. L'ex
ministro chiede alla Lega di non strumentalizzare. Cosa risponde? «Rispondo che tutti dovrebbero
condannare quanto accaduto a Parigi, senza se e senza ma. Invece attaccano me e la Lega...». Per la
Kyenge la Lega deve tacere perché alimenta l'odio. «Vergognoso.Solo un cretino potrebbe festeggiare i 12
morti perché spera di guadagnare voti». Ma voi e la Le Pen state salendo nei sondaggi, non è vero? «Dico
quello che penso! Ma voglio andare al governo per le mie idee e non per le stragi degli islamici. Solo un
mentecatto può pensare che qualcuno gioisca per dodici morti». Su Sky ha litigato anche con Bubbico, Pd,
vice di Alfano. Anche lui ha accusato la Lega di speculare sulla tragedia perché tirate in ballo Mare Nostrum.
«In sostanza ha detto che gli italiani che votano la Lega sono stupidi o buzzurri. Questo genio è il vice di
Alfano, e vigila sulla nostra sicurezza! In ogni caso, meglio buzzurro che amico degli invasori come lui». Lei
sta ricevendo minacce? «Su Twitter e Facebook di tutto e di più. Ho segnalato a chi di dovere, ovviamente.
Suggerisco di dare un'occhiata algruppo Facebook dei giovani musulmani d'Italia. Fanno una condanna
veloce di quanto successo a Parigi e poi attaccano la Lega. Ma pensa te». Cosa si aspettava? «Mi sarei
aspettato migliaia di islamici in piazza, anche in Italia, contro il terrorismo. Mi viene il sospetto che qualcuno
non pianga per la strage di Parigi». Faccia una classifica. Quartapelle, Toscani, Chaouki, Kyenge, Boldrini,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Le interviste
09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Bubbico, Alfano. Chi le ha dato più fastidio? «Purtroppo sono tutti sullo stesso piano. Così si fa il gioco di chi
ci vuole morti in nome di Allah. Ma io non mollo. E spero che Pisapia fermi subito il progetto di fare una nuova
moschea a Milano».
Foto: Il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, 41 anni [Ansa]
09/01/2015
ItaliaOggi
Pag. 2
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Berlusconi azionista di Mediolanum andrebbe encomiato, non sanzionato
Nel 2008 pagò di tasca propria per risarcire i clienti di Lheman Brothers
SERGIO LUCIANO
Mentre si discetta giuridicamente e ci si sbrana politicamente sull'esito del decreto che, depenalizzando
alcuni reati fiscali, ridarebbe prima del previsto a Berlusconi l'«agibilità politica», c'è una normativa che vuol
togliere al medesimo un pezzo di agibilità imprenditoriale, non solo senza alcuna finalità pratica ma anzi
contro un'evidenza recentissima che gli meriterebbe, semmai, un encomio solenne. È la vicenda
Mediolanum. La storia è nota, ma gli sviluppi delle ultime ore la tingono, fatalmente, di una sorta di
«personalizzazione», forse inevitabile ma nociva, perché i legali della Fininvest hanno portato in tribunale la
Banca d'Italia e la sua emanazione per il controllo del settore assicurativo, l'Ivass. Ma qui non è in ballo una
«persecuzione» di qualcuno contro qualcun altro, ma una norma di legge che, giusta in linea teorica, stavolta
cade a sproposito. Con la condanna in giudicato per frode fi scale, Berlusconi, azionista di Mediolanum al
35% tramite la Fininvest, ha perso il requisito dell'onorabilità previsto per i soci rilevanti delle compagnie
d'assicurazione e viene quindi costretto, dalla norma che via Nazionale applica, a scendere dall'attuale 30%
fin sotto il 10%. Ora, bisogna ricordare che quando nel novembre del 2008 fallì la Lehman Brothers, e anche
alcune società italiane si scoprirono danneggiate, con i loro clienti, dal crack, Mediolanum fu la prima (seguita
poi da Unipol) a metter mano alla tasca e risarcire integralmente gli 11 mila clienti (su vari milioni) colpiti. Ma
con un dettaglio: essendo già quotata, Ennio Doris, fondatore e gestore del gruppo, propose al suo socio
storico Berlusconi di sborsare di tasca propria i 120 milioni di euro necessari alla bisogna: 64 Doris e 56
Berlusconi, risparmiando dall'esborso i soci di minoranza, e inducendo addirittura la Consob a inventarsi un
modo nuovo per consentire questo strano «soccorso» di due soli soci di un'azienda al patrimonio dei clienti. I
detrattori potrebbero dire che fu solo una scelta di marketing, perché in termini di reputazione e fidelizzazione
dei clienti quel rimborso valse più di tanti spot. Ma resta il fatto che nessun altro banchiere o assicuratore ha
mai fatto un gesto del genere. Veramente meritorio. Ora la macchina burocratico-sanzionatoria è partita e
Fininvest non può che andare a contenzioso. Quando nel '97 fu Ligresti, alla Sai, a trovarsi nella stessa
situazione anziché far causa, beffò i giudici vendendo le sue azioni ai fi gli. Per una volta Berlusconi è andato
frontalmente al nocciolo, e per vie legali. Evidentemente ci tiene. E stavolta ha ragione. Viva la faccia:
l'onorabilità può averne molte. © Riproduzione riservata
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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IL PUNTO
09/01/2015
Financial Times
Pag. 3
(diffusione:265676, tiratura:903298)
Political shockwaves
STEFAN WAGSTYL - BERLIN
Germany's nascent anti-Islamisation movement has called on sympathisers to wear black arms bands at its
next rally to mourn victims of the Paris terror attack in a sign of how Europe's resurgent rightwing is trying to
capitalise on the tragedy. "The Islamists have . . . shown in Paris that they are not at all ready for democracy
but seek answers in violence and death," the Pegida group said yesterday, as it prepared for a demonstration
in Dresden on Monday and pushed to spread its movement to other German cities and even Scandinavia.
Pegida's words were echoed by similar far-right and anti-immigrant movements across the continent. In the
Netherlands Geert Wilders, leader of the anti-Islam Freedom party, criticised the Dutch premier, Mark Rutte,
and other western leaders for their allegedly conciliatory approach to radical Islam. "When will Rutte and other
western government leaders finally get the message?" Mr Wilders said. "It's war." In France, where the nation
was plunged into mourning, Marine Le Pen, leader of the surging National Front, called for an end to
"hypocrisy" in addressing Islamism. "We must not be scared of saying the words: this is a terrorist attack
carried out in the name of radical Islam," she said. In Italy, Matteo Salvini, head of the anti-immigrant Northern
League said that for Europeans "to respond with tolerance and political correctness is suicide". In an unusual
criticism of the Vatican for an Italian politician, Mr Salvini added that the reformist Pope Francis "wasn't doing
a good service" to Catholics by "promoting dialogue with Islam". Meanwhile, the head of the Danish People's
party called for the closure of a mosque in the country's second-largest city. Kristian Thulesen Dahl said
Denmark needed to take a "much more aggressive approach" to Muslims expressing sympathy for
extremism. Even before Wednesday's attack, rightwing and populist political groups were surging in Europe,
helped by resentment over globalisation, faltering economies and rising immigration - from within the EU as
well as several war-torn Muslim lands, including Iraq, Syria and Afghanistan. The National Front and Danish
People's party came first in their respective countries in May's EU elections. In Britain, the UK Independence
party has become a political force while the Sweden Democrats have overturned that nation's staid political
order. Some analysts warned the Paris attack would provoke a backlash that would help rightwing groups
gain more support for an agenda that includes tougher immigration controls and pressure on Europe's
Muslims to distance themselves from radicals. "There will be a strong anti-Muslim movement," said KarlHeinz Kamp, academic director at the German government's Academy for Security Policy. "We are in a
changing situation. There will be a reassessment of Islam and Islamisation." Others were less convinced.
Manfred Güllner, head of the Forsa polling agency in Berlin, noted there was no such upsurge after the New
York terror attack of 2001. Helped by high birth rates, Islam has become Europe's fastest-growing religion,
with 44m adherents (excluding Turkey) in 2010, up from 30m in 1990, according to the Pew Research Centre.
Although only 4 per cent of the EU population is Muslim, key cities have much higher concentrations, among
them Paris (over 10 per cent), Stockholm (20 per cent) and Birmingham (22 per cent). Tensions have
worsened with the recent emergence in Syria of the Isis Islamist force and its recruitment of EU citizens. A
study this week by the Bertelsmann Foundation, a German think-tank, revealed that 61 per cent of Germans
believe Islam does not belong in the west. EU governments have struggled to develop a coherent approach
to immigration. Promises of tough controls have rarely reduced overall flows and calls for immigrants to
integrate have been softened with demands for respect for their cultures. Additional reporting by Richard
Milne in Oslo and Rachel Sanderson in Milan Marine Le Pen: France's FN leader called for an end to
'hypocrisy' in dealing with Islamism
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Europe's rejuvenated rightwing anti-immigration parties seek to exploit
magazine killings
09/01/2015
International New York Times
Pag. 18
(diffusione:222930, tiratura:500000)
BY MICHAEL T. LUONGO
Among the many ways that Pope Francis has changed the tone of the Vatican is with his seeming openness
to groups that have been long shunned, from divorced Catholics to children of gay couples. His approach has
inspired one Italian travel company for gay people, Quiiky, to look at the Vatican Museums' art collections
from a gay perspective. Called ''The Untold History,'' the tours focus on the sexuality of classical and
Renaissance art and artists.Alessio Virgili, 30, is the chief executive of Quiiky, a division of the travel
company Sonders and Beach. A native of Rome, he also heads the Italian Association of Gay Tourism, which
he helped start in 2010. Following are edited excerpts of a conversation with Mr. Virgili.Q. What gave you the
idea for these tours and who is taking them?A. I ama great lover of art and classical history and myths. In
ancient Greece and Rome homosexuality was practiced openly, but my investigation led me to discover the
facts of which I was unaware [for the Renaissance]. I decided with our tour guides and some historians and
art critics to create routes that would reveal those aspects often omitted in traditional tours.Q. What are some
of the secrets people learn?A. To understand heroes of antiquity or works of artists it is necessary to know
them thoroughly, omitting nothing of their private life. For example, we tell of Michelangelo. He was a devout
Catholic and at the same time a homosexual, with a constant feeling of guilt and inner conflicts reflected in his
works. When we look at the Sistine Chapel's ''Last Judgment,'' our guides do not fail to show at the top right
two male figures who kiss to celebrate the ascent into heaven. In Milan, we retrace Leonardo da Vinci's affair
with his disciple Salai, who maybe inspired the depiction of St. John the Baptist alongside Jesus in ''The Last
Supper.''Q. Technically, these tours do not have formal Vatican approval.A. It's true. Our tours are made with
recognized guides but without formal agreement of the Vatican. We are in a free country and what we tell has
foundations. The news in Italy at the time did not create a stir and we have not received complaints from the
Vatican.Q. How is the pope affecting gay tourism in Rome?A. Surely the church by Pope Francis has been
working hard on marketing, but we come from a place where for many years the church did not even care
about appearances. This opening is affecting a lot of L.G.B.T. tourism to Rome, the capital of a country that
still has not been able to produce a law that protects unmarried couples, gay and heterosexual, while the rest
of Europe has laws on gay marriage.Q. What are some of your favorite gay recommendations in Rome?A.
Rome has begun to offer a lot for the L.G.B.T. community, like the gay street in front of the Colosseum [Via
San Giovanni in Laterano], and the disco Cow Killer [Muccassassina]. In summer there is a big event, which
welcomes more than 4,000 people every night Thursday to Saturday from June to September, the Gay
Village.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Tours of Vatican from a gay perspective
09/01/2015
The Guardian
Pag. 27
Stephanie Kirchgaessner Rome
A high-speed railway linking the ancient Italian cities of Verona and Padua could destroy a 17th- century
wonder that is home to the works of Andrea Palladio, one of the most influential architects in western history,
experts have warned.The proposed railway will not only damage the cultural landscape created by Palladio in
Vicenza but may also destroy a famous Italian villa, the Valmarana ai Nani, named for the 17-stone "nani", or
dwarfs, that surround the home, they said. Irreplaceable frescoes by the Venetian artist Giambattista Tiepolo
and his son are also said to be at risk.Regional trade associations say the rail line would create economic
opportunities by connecting Vicenza to the wider European rail network. Conservationists from Italian and
other universities say the project will disturb "vital elements on the cultural continuum of world heritage".A
draft plan is expected to be passed by Vicenza city council on Monday and is strongly supported by local
politicians and the city's mayor, Achille Variati. "You can either be a victim of this project or you can drive it,"
Variati told the Corriere della Sera newspaper. He sought to reassure citizens that no harm would come to the
site.The town of Vicenza and the Palladian villas of the Veneto were designated a world heritage site in 1994,
largely because they are seen as the birthplace of Palladian architecture, a style that spread to England, the
rest of Europe and the United States. Unesco, which protects such sites, is getting involved in the row,
according to local media reports, and has requested more information about the impact of the project on the
area.Francesca Leder, a professor at the University of Ferrara who is leading the charge against the project,
said it violates the international agreement signed in 1994 and argued that the public has not had the
opportunity to discuss the development. He has asked Dario Franceschini, the Italian culture minister, to get
involved.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Rail link would destroy historic architectural gem
09/01/2015
The Guardian
Pag. 27
Xylella bacterium gains foothold in southern Italy Middle Eastern pathogen is notoriously hard to treat
Arthur Neslen Brussels
First it was Europe's ash trees under threat from disease. Now it's the continent's olives in the firing line. A
killer pathogen that has established itself in southern Italy is very likely to spread, posing a major risk to
European olive trees, according to an assessment by the European Food Safety Authority (Efsa).Xylella
fastidiosa, also known as olive leaf scorch, has taken hold in the Apulia region at the southernmost tip of Italy,
where several thousand hectares of olive plantations are now affected. The bacterium kills infected plants by
preventing water movement in trees, causing leaves to turn yellow and brown before falling off, their branches
following soon after.Its establishment and spread in the EU is very likely, the scientists' report says. "The
consequences are considered to be major because yield losses and other damage would be high and require
costly control measures."The disease's impact comes on top of a particularly bad year for Spanish and Italian
olive growers in 2014 due to pests and adverse weather, with harvests in Italy down 40-50%. Spain and Italy
account for 70% of Europe's olive output, leading to warnings that olive oil prices will rise."The outbreak in
Apulia is very severe," said Giuseppe Stancanelli, one of the report's advisers. "The bacteria is deadly and
many plants in Lecce province are dying because of it."Xylella is an exotic pathogen common in the Americas
and the Middle East, which is thought to have been brought to Europe by insects carried with plant
commodities, or travelling as stowaways."There seems to be a link between the changing patterns of global
trade and the spread of this disease," Stancanelli said.Once established, the bacterium spreads via fluidfeeding insects and its varying strains have a notoriously large range of hosts, affecting oak, sycamore, citrus,
cherry, almond, grapefruit, peach, oleander and forest trees. Combating it is difficult because insecticides
used to kill hosts have their own environmental impacts, the Efsa panel says. Apulia's centuries-old olive
trees are also highly valued by Italian farmers, many of whom have resisted eradication programmes."There
is serious concern that this disease could spread from the Apulia region as it has been increasing in the last
few months," said Enrico Brivio, a European commission spokesman. "We will evaluate the situation and
decide if additional measures are necessary at a standing committee meeting on the 19-20 January."Last
November, the commission earmarked €7.5m (£5.9m) for fighting several pests, including Xylella. Some
€751,000 of this went to Italy, with the Italian government providing the same amount. The EU will consider
new funding to fight the bacterium at the January meeting.Quantifying the rate of the bacterium's expansion
has been made more tricky by the time lag between a plant's infection and the appearance of
symptoms.Emergency measures have already been put in place, creating infection and buffer zones to
prevent Xylella's spread and mandating surveys on its prevalence. But the Efsa report recommends the
introduction of screened greenhouse production and certification schemes for plants grown in nurseries,
along with the eradication of infected insect populations, and specific treatments for imported plants.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Killer disease threatens European olive groves
09/01/2015
The Times
Pag. 27
Tom Kington Rome
He has fought criminal masterminds, sharks and men with metal teeth, but as he shapes up for a car chase
through the streets of Rome, James Bond has found a tougher foe: the city's heritage bosses.In a setback for
the makers of Spectre, the next Bond instalment, officials in Rome have blocked filming at the famous Four
Fountains intersection, where Daniel Craig was due to shoot part of a high-speed pursuit.With filming due to
start next month, the 16th-century fountains have been deemed too fragile to risk being hit by hurtling cars
and the crossing is also uncomfortably close to Italy's presidential palace. Federica Galloni, a culture ministry
official, suggested that the director use special effects instead.The veto is the latest challenge faced by the
Bond team. Last month, nine cars customised for filming scenes in the Alps were reported stolen from a
garage near Düsseldorf shortly before they were due to be shipped to the set.Producers also revealed that an
early version of the script was stolen during the cyberattack on Sony Pictures, raising concern that it would be
published online before the film's planned release this November.The makers of Spectre did manage to
dodge one bullet from Italian bureaucrats after the Rome city government proposed new legislation under
which all guns used on film sets would require expensive testing to ensure they could only fire blanks. Under
pressure from the local film industry, the new rules were postponed until December, sparing the Bond film,
which is due to finish its shooting in Rome by March.In Spectre, the 24th Bond adventure, Craig plays 007 for
the fourth time, starring with Monica Bellucci, Ralph Fiennes and Christopher Waltz, who is rumoured to be
reviving the villain Ernst Stavro Blofeld.Craig will race his Aston Martin around Rome in a night-time chase in
which one car will fly into the River Tiber. A production source has said that he will eject from his car and
parachute down on to Ponte Sisto, the 400-year-old bridge. The car chase will reportedly take in the narrow
streets close to the Vatican, as well as Via della Conciliazione, the main avenue leading up to St Peter's
Basilica. The fountains are undergoing a £250,000 restoration that is not due to finish until March. That added
to the risks of filming there, a source close to thet production team said. "Any damage would run to millions
and it could also push the insurance too high."
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Rome puts brake on Bond's Italian job
09/01/2015
Le Monde - Des livres
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Erri de Luca : " Pour moi, la parole -contraire est un devoir avant d'être un droit " Voici ce que déclare
l'écrivain italien dans La Parole contraire (Gallimard, 44 p., 8 €), en librairie aujourd'hui. Accusé d'avoir incité
à saboter le chantier de la ligne TGV Turin-Lyon, il sera jugé le 28 janvier 2015.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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En bref
09/01/2015
Le Monde - Dossier
Pag. 3
(diffusione:30179, tiratura:91840)
L'ancien président du conseil italien Silvio Berlusconi a demandé, mercredi 7 janvier, au tribunal de Milan,
que sa peine d'une année de travaux d'intérêt général (TIG) soit réduite de 45 jours, a-t-on appris, mercredi,
de source judiciaire. Une décision devrait être annoncée la semaine prochaine. M. Berlusconi a commencé
ses TIG le 9 mai 2014. L'ex-Cavaliere, 78 ans, avait été condamné, en août 2013, à quatre ans de prison
ferme pour fraude fiscale dans l'affaire Mediaset. Cette peine a été commuée en obligation -d'effectuer quatre
heures de travail hebdomadaire dans une maison de retraite près de -Milan. - (AFP.)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Silvio Berlusconi veut une réduction de peine
09/01/2015
Les Echos
Pag. 19
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Pierre de Gasquet
Matteo Renzi lance une nationalisation temporaire pour remettre le complexe aux normes. ArcelorMittal
pourrait encore prendre une part minoritaire. L'initiative plaira sans doute à Arnaud Montebourg, même s'il
s'agit surtout d'une nationalisation par défaut. Compte tenu des risques juridiques élevés liés aux coûts de la
remise aux normes de la première aciérie d'Europe (1,8 milliard d'euros), le gouvernement italien a donné le
coup d'envoi officiel à la nationalisation temporaire du complexe Ilva de Tarente. Le décret publié le 8 janvier
prévoit la mise sous administration extraordinaire (dans le cadre de la loi Marzano) du complexe sidérurgique
en vue d'une nationalisation pour une durée maximale de trente-six mois.L'objectif est de garantir la
bonification adéquate du complexe sidérurgique (qualifié par la justice italienne de « désastre
environnemental ») et d'assurer la relance de la production et le maintien de l'emploi (16.000 salariés). «
C'est une solution provisoire. La solution préférentielle aurait été de vendre l'entreprise à un investisseur
privé, mais compte tenu des incertitudes judiciaires, il était quasi impossible d'offrir les garanties demandées
», explique une source proche du dossier. Le plan du gouvernement déjà approuvé à la veille de Noël prévoit
la mise sous administration extraordinaire de l'Ilva à partir du 14 janvier en vue d'un transfert ultérieur des
actifs et des 16.000 salariés à une nouvelle entité contrôlée par Fintecna, le holding public italien spécialisé
dans l'industrie lourde. Outre un capital social de 250 millions d'euros, la nouvelle gestion disposera de
financements de la BEI (Banque européenne d'investissement) et du 1,2 milliard d'euros de fonds confisqués
au groupe Riva, ex-propriétaire du site, qui ont déjà été mis sous séquestre, sur les comptes d'UBS.
Protestations de l'opposition « Le décret ne correspond pas aux déclarations faites par le gouvernement et
équivaut à une amnistie environnementale », s'est insurgé le leader des Verts italiens, Angelo Bonelli, en
critiquant le flou du financement. « Une colossale opération de bluff médiatique basée sur zéro », a renchéri
le leader du mouvement M5S, Bepe Grillo, sur son blog, tandis que l'association environnementale
Legambiente déplore l'absence de précision sur les 2 milliards d'euros initialement promis par le
gouvernement et le calendrier de la bonification. Le décret se contente de préciser que 80 % des travaux de
remise aux normes devront être réalisés avant le 31 juillet 2015. A la veille du décret, Matteo Renzi, le chef
du gouvernement, s'était engagé à faire du sauvetage de l'Ilva et de la relance de la ville de Tarente la
première de ses priorités de l'année. Selon « Il Messaggero », ArcelorMittal pourrait encore devenir
partenaire minoritaire en vue d'obtenir une option sur la majorité à terme, une fois conclus les travaux de
bonification.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Sidérurgie : Rome nationalise le plus gros site d'Europe
09/01/2015
Les Echos
Pag. 39
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Pierre de Gasquet
A quatre mois de l'ouverture, l'Exposition universelle de Milan est loin d'être en phase de rodage. Retards et
scandales ont pesé sur le chantier. Mais les organisateurs misent encore sur 20 millions de visiteurs. Un
frisson d'impatience (et de nervosité) court entre Corso Como et le Piccolo Teatro. Les B&B fleurissent aux
quatre coins des quartiers branchés de la capitale lombarde : corso Garibaldi, Brera et les Navigli. Malgré
l'avalanche de scandales et les retards du chantier, l'Expo 2015 - une « formidable opportunité » pour Matteo
Renzi -, se prépare à accueillir, du 1er mai au 31 octobre, quelque 20 millions de visiteurs (dont 6 à 8 millions
d'étrangers) pour un investissement public de 1,35 milliard d'euros et un « impact touristique » estimé à 5
milliards d'euros. Quelque 144 pays, dont un tiers auront leurs pavillons nationaux, participeront à cette
première Exposition universelle consacrée à la sécurité alimentaire et la diversité de l'alimentation, sous le
slogan : « Nourrir la planète, énergie pour la vie ». « Nous avons déjà vendu 6,5 millions d'entrées dans le
monde ; dont un million auprès du public chinois », a récemment confié Giuseppe Sala, le commissaire italien
à l'Expo 2015. Un résultat jugé encourageant par rapport à l'objectif de 10 millions de tickets vendus avant
l'ouverture fixé par Matteo Renzi. Le ministre de la Culture, Dario Franceschini, table même sur un autre
million de visiteurs chinois. A quelques jours près, l'Expo coïncidera avec l'ouverture de la 56e Biennale
internationale d'art de Venise (du 9 mai au 22 novembre) - confiée cette année au Nigérien Okwui Enwezor -,
dont les collectionneurs chinois sont très friands. Vladimir Poutine a aussi confirmé sa venue à l'Expo de
Milan. Malgré les sanctions occidentales, qui ont réduit de 10 % les échanges entre la Russie et l'Italie au
premier semestre 2014, Rome et Moscou veulent encourager la coopération entre les secteurs non soumis
aux restrictions. « Les flux de touristes en provenance de Moscou et de la Russie sont en augmentation
continue. Les pôles d'attraction sont principalement liés à la mode, au design et à l'art, mais l'intérêt de la
classe moyenne pour un tourisme non lié à la mode se renforce aussi », estime Giuliano Pisapia, le maire de
Milan. Pavillon Baltard écolo En vue d'animer la scène culturelle, les organisateurs de l'Expo ont fait appel au
Cirque du Soleil qui présentera un spectacle original, « Allavita ! », du 6 mai au 23 août. « Milan s'est
entièrement mobilisé dans la perspective de l'Expo en rénovant entièrement l'aéroport de Malpensa qui
accueille 18 millions de passagers par an », ajoute Pietro Modiano, président de la SEA qui gère les
aéroports de Malpensa et Linate. Certains Cassandre n'excluent pas un « flop retentissant » comme à Séville
en 1992. Principale certitude : l'inflation sans frein des tarifs des hôtels de Milan pendant six mois, le pic de
fréquentation étant prévu en juin. Côté français, la délégation menée par Alain Berger a choisi une option low
tech avec sa grande halle de « marché durable » de 2.000 mètres carrés (en bois du Jura démontable), sorte
de version écolo du Pavillon Baltard. Le pavillon (conçu par le cabinet d'architectes X-TU) proposera aux
visiteurs un parcours dans un « jardin labyrinthique et luxuriant » illustrant la diversité des cultures françaises
à travers des dispositifs pédagogiques et ludiques. « C'est une occasion énorme pour Milan et l'Italie »,
assure le styliste Giorgio Armani qui a décidé d'ouvrir au public ses archives privées dans une nouvelle
galerie aménagée par Tadao And dans l'ancienne fabrique Nestlé, via Bergognone. En cas de succès, l'Expo
de Milan pourrait servir de test grandeur nature pour la candidature italienne pour les JO de 2024. Mais les
jeux sont loin d'être faits.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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L'Expo 2015 à Milan : scandales et ambitions à l'italienne
09/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.22
BY JEANNETTE NEUMANN AND CHRISTOPHER BJORK
MADRID- Banco Santander SA, dogged by concerns that its capital cushion is too thin, plans to raise as
much as € 7.5 billion ($ 8.88 billion) by selling new shares, the latest move by Executive Chairman Ana Botín
to put her stamp on the bank since taking over in September after the death of her father.Santander said in a
regulatory filing Thursday that it would sell as much as 1.26 billion shares overnight to institutional
investors.Ms. Botín said Thursday that the share sale rounds out three issues she set out to tackle upon
taking the helm: increasing the number of independent directors on the board, shaking up the management
team, and shoring up the lender's capital base.Analysts estimated that the share sale would put Santander's
capital level- under international regulations known as "fully loaded" Basel III criteria- at around 10%, more in
line with its European peers. A bank's capital ratio is the amount of equity it holds in relation to risk- weighted
assets on its balance sheet, and it provides a buffer against potential losses.Santander plans to end 2015
with a capital ratio above 10% and maintain its cushion between that figure and 11% in the "medium to long
term," Chief Financial Officer José García Cantera told reporters Thursday. Other European lenders such as
Deutsche Bank AG scrambled to raise capital last year ahead of a balance- sheet checkup by regulators.
While Santander passed those "stress tests," analysts said it remained weaker than some major
competitors.Santander also said Thursday that it is cutting its dividend in 2015 to 20 European cents a share
from the 60 cents it has paid since 2007."The key message is that there is a change in the thinking of
management," Carlos García González, an equity analyst at Société Générale SA, wrote in a research note.
"The bank has, until now, defended its dividend policy and capital levels as adequate."Santander said in its
most recent earnings report, in November, that its capital ratio was expected to be about 8.5% to 8.6% of riskweighted assets at the end of 2014, too low for many analysts and investors.The capital increase coupled
with the dividend cut means Santander's capital ratio will be 11.8% by 2017, Citigroup Inc. analyst Stefan
Nedialkov said Thursday in a research note."We view this capital increase and change in dividend policy as a
needed reality check," Francisco Riquel, an analyst with Madridbased financial- services firm N+ 1 Group,
said in a research note. "After years of running the bank with a tight capital position and an unsustainable
dividend policy, we think the new chairman is coming with a more orthodox financial policy."The dividend cut,
however, "is likely to disappoint both yield and retail investors," Mr. Riquel said, "thereby putting additional
pressure on the share price."The share sale will dilute the holdings of existing Santander investors. The bank,
the eurozone's largest by market value, said the new stock would amount to 9.9% of its capital before the
increase.Ms. Botín said the new capital would help support an expansion of lending in Santander's markets in
Europe and Latin America.Chief Executive José Antonio Álvarez told reporters Thursday that while the bank
wasn't planning to use the proceeds to make significant acquisitions anytime soon, he didn't rule out
analyzing deals like ones that Santander made last year. He cited as examples a joint venture with a payrolllending company in Brazil and the purchase of a consumerfinance business that operates in Norway, Sweden
and Denmark. Mr. Álvarez said Santander will analyze deals that could bolster the bank's units in countries
where Santander's presence is weaker.Santander had been mentioned among traders as a potential buyer of
Banca Monte dei Paschi di Siena SpA, and the speculation helped send the Italian lender's shares soaring
12% Thursday. Mr. Álvarez said Santander wasn't interested in the Italian bank but was looking at Novo
Banco, the Portuguese bank created out of failed lender Banco Espírito Santo SA. Santander has a unit in
Portugal.Goldman Sachs Group Inc. and UBS AG are overseeing the stock sale, which is set to price Friday
morning in Madrid. The Spanish stock- market regulator suspended trading in Santander's shares Thursday
ahead of the bank's afternoon announcement and said the suspension will be lifted Friday morning.The sale
is one of several major decisions since Ms. Botín took over from her father, Emilio Botín, who became a
Santander board member in 1960 and succeeded his own father as chairman in 1986.Since taking the helm,
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Santander To Raise Capital, Cut Payout
09/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 1.22
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Ms. Botín has ousted Javier Marín, an executive who was close to her father, as Santander's chief executive.
She disbanded an international advisory board, distancing the bank from a board member who is the target of
a high-profile criminal investigation into suspected fraud during his leadership of a different bank.She also
appointed Mr. Cantera as new chief financial officer and three other board members, a bid to rejuvenate a
board that analysts and investors had criticized as too old and chummy with Mr. Botín.Ms. Botín has
overseen the launch of competitive terms for a checking account in Catalonia, a bid to bolster the bank's
presence in the economically powerful Spanish region. Analysts have said that move won't make a major
difference in Santander's revenue in Spain but shows that Ms. Botín won't be outpaced by rivals who have
expanded in Catalonia recently.Ms. Botín "has put in place a strong new management team. She is now
addressing the capital issue," said Mr. Nedialkov, the Citigroup analyst. "What is left is to hear her views on
the company's long-term strategy for its businesses around the world."
09/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 8
BY PAULO TREVISANI
BRASÍLIA- Belt tightening in Brazil is forcing the government's giant development bank to scale back its
lending activities, a major shift in Latin America's largest country and a risk during an economic
slowdown.The change is important because most companies seeking long-term loans depend heavily on the
staterun Brazilian National Development Bank, which doles out subsidized credit at far cheaper rates than
commercial lenders.But facing a fiscal imbalance after years of lavish spending on social programs for the
poor and support for companies, President Dilma Rousseff's newly re-elected administration has begun
tightening the spigot to state-run banks to balance the budget.Finance Minister Joaquim Levy has vowed to
further scale back public funding for Bndes, as the development bank is known, and to continue raising
interest rates on Bndes loans after a December rate increase.Mr. Levy also has drawn attention by calling for
equal economic opportunity for all Brazilians and an end to "patriomonialism." His remarks have been widely
interpreted as a signal that he will try to reduce the flow of subsidized loans to Brazil's corporate titans. A
person close to Mr. Levy said that interpretation "isn't wrong."Bndes clients include a Who's Who of the
nation's biggest companies, including Petróleo Brasileiro SA, meatpacking giant JBS SA and airplane maker
Embraer SA. Just this week, Bndes announced a $242.1 million loan to Italian car maker Fiat Chrysler
Automobiles NV to upgrade a plant in southeast Brazil, the auto maker's seventh Bndes loan in four
years.Many economists have long advocated a smaller role for Bndes to encourage development of more
robust financial and capital markets in Brazil. By Bndes's own calculations, the bank is responsible for about
three-quarters of all business loans in Brazil's economy with maturities longer than five years.Armando
Castellar, an economist at the Getúlio Vargas Foundation, an educational institution in Rio de Janeiro,
estimates the Treasury has funneled low-cost loans to Bndes equivalent to around 1% of gross domestic
product in recent years. The bank owes the Treasury around $186 billion."The cost of supporting Bndes is
shared by the whole society, but the benefits are bestowed upon a few," Mr. Castellar said.In the short run,
however, a major pullback by the development bank could worsen the nation's already weak economy, which
is forecast by many economists to grow just 0.5% this year.And weaning Brazilian businesses off cheap
government credit won't be easy. Industry leaders have defended the low-cost financing as critical to offset
Brazil's high taxes, notorious red tape and other expensive operating costs."It would be difficult to find
equilibrium," without the Bndes loans said a Fiat executive.In addition, Brazil's history of inflation and
economic stability has made it difficult for many companies to issue debt in the private market. Bndes officials
contend the institution has stepped in to play a critical role that won't be easily filled by mainstream
lenders."It's a complicated process. It's like changing course for a battleship," said Claudio Leal,
superintendent of Bndes's planning department.Bndes was created in 1952 to finance industrial projects and
agribusiness. But its role in Brazil's economy ballooned in the past decade, under the direction of Ms.
Rousseff's ruling Workers' Party.The bank lent heavily following the 2008 financial crisis to prop up growth. It
also set out to create and bolster so-called national champions, companies that could compete on a global
scale. In addition to loans, the company has taken equity stakes in companies including JBS.Bndes lending in
2013 totaled $71 billion, a nearly sixfold increase since 2003. The bank's assets put it as Brazil's fifth largest
when measured against conventional banks.Bndes loan losses are low. And the bank is profitable, earning
$2.8 billion through September 2014, up 51.4% from the period in 2013. In keeping with its mission, Bndes
plows most of its profits back into operations to support more lending.Still, the organization has required
regular injections of taxpayer money to keep expanding its credit portfolio. Last year alone, the Treasury
transferred $22.4 billion to the bank. Bndes President Luciano Coutinho said recently the bank will need more
in 2015.While Bndes has trumpeted its support of small and medium-size businesses, more than half of its
loans go to large businesses that could easily secure financing elsewhere. It is easy to see why these big
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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Brazil Takes Risky Shift on Cheap Loans
09/01/2015
Wall Street Journal
Pag. 8
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 09/01/2015
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players don't.Bndes borrows from the Treasury at a special 5.5% rate. It then lends to its clients for just a few
percentage points more. In contrast, experts say private-sector banks pay close to the benchmark Selic rate
of 11.75% to secure funding for their long-term loans.Business borrowers say low-cost Bndes loans have
been key to funding their Brazilian operations. For example, when Fiat Chrysler set out to build large plant in
Brazil's northeastern state of Pernambuco, Bndes in 2012 lent the company more than a third of the total.Mr.
Castellar said there was likely to be tension over any reductions in state-subsidized loans amid concerns over
jobs losses and investments as influential businesses resist them."All Brazilian business leaders" will oppose
a reduction of Bndes role in the economy, he said.
09/01/2015
Il Venerdi di Repubblica - N.1399 - 9 gennaio 2015
Pag. 7
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Incredibile ma vero: la Lega di Salvini fa rimpiangere il Dio Po
Curzio Maltese
A chi sostiene che i francesi siano degli italiani di cattivo umore, i nostri cugini spesso replicano che gli italiani
sono francesi un po' troppo remissivi, soprattutto nei confronti del peggio. La storia di questi decenni sembra
autorizzare la loro tesi. Fenomeni di malessere politico e sociale che in Francia si sono manifestati come
febbriciattole efmere, da noi sono diventati malattie croniche e devastanti. Il terrorismo che aveva soltanto
sforato le lotte sociali francesi degli anni Sessanta, in Italia è durato quasi un ventennio. Il primo miliardario
proprietario di reti televisive e squadre di calcio a scendere nel campo della politica si chiamava Bernard
Tapie, ma è fnito prima abbandonato dagli elettori e subito dopo in galera. Il nostro miliardario ha invece
governato più di ogni altro presidente del Consiglio dal dopoguerra, mentre i processi fnivano (quasi) tutti in
prescrizione o afossati dalle leggi ad personam . Così il primo comico che si è messo in testa di fondare un
partito si chiamava Coluche, ma la cosa è durata appena un paio di mesi. Il nostro comico ha fondato un
partito che ha preso un quarto dei voti ed è ancora lì a decidere le sorti dell'opposizione nel Paese, mentre
ancora non s'è capito se faccia davvero sul serio o non si tratti piuttosto di uno show. Da tutti questi
precedenti si evince che non c'è molto da essere ottimisti sulla breve durata dell'ondata di xenofobia e
razzismo partita dalla Francia lepenista e approdato in Italia con la nuova versione della Lega. È
impressionante come in pochi mesi Matteo Salvini abbia buttato nella spazzatura una narrazione leghista che
era durata quasi trent'anni. La Padania, il Nord libero e indipendente, il secessionismo e il federalismo, la
sacra ampolla presa al Monviso e portata con i barconi fno a Venezia, i Serenissimi armati di trattori-tank e
bandiere di San Marco, i barbari e il mito di Braveheart, la statua di Alberto da Giussano sul pratone di
Pontida, le leggende celtiche e il celodurismo, tutto questo è già modernariato. Tutto è stato azzerato e
sostituito dallo slogan più antico del mondo: fuori gli stranieri. Non importano i dati reali, il fatto che la
migrazione economica verso l'Italia sia già ai minimi storici: gli unici stranieri che arrivano sulle nostre coste
sono poveri profughi in fuga disperata dalle guerre. La caccia all'immigrato ofre la soluzione più stupida ma
anche più semplice ai complessi guai del Paese. Tanti anni fa scrivevamo che Bossi in fondo era un capo
migliore del suo popolo. Pare fosse proprio così, ma non pensavamo di dover rimpiangere così presto il Dio
Po.
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CONTROMANO
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L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
Pag. 7
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Queste parole vorrei sentire
Carceri, tortura, aborto, disabilità, matrimoni gay, fecondazione eterologa, eutanasia. Tutti temi scomparsi dal
dibattito pubblico dove trovano spazio solo le questioni che riguardano i politici
Roberto Saviano
L'Italia è un Paese in cui il dibattito pubblico è dettato unicamente dall'agenda politica. Se un'inchiesta
coinvolge politici, allora assume centralità, se uno scandalo coinvolge politici, i media se ne occupano. Le
priorità della politica diventano le priorità del Paese. Questo aspetto mi colpisce e mi sconforta perché è
prova tangibile del disorientamento che gli italiani stanno vivendo. Se la scarsa affuenza alle urne delle ultime
Regionali ci restituisce un quadro disastroso dell'affezione degli italiani alla politica è purtroppo vero che
siamo della comunicazione politica succubi. Di contro esiste un atteggiamento che considero peggiore del
disinteresse, ovvero quel "tutto è merda", quel "tutto è massoneria", quel "tutto è inquinato", quel "tutto è
corrotto" che spegne qualsiasi possibilità di dialogo e di reale cambiamento oltre un tifo che se possibile è
addirittura peggiore di quello cui ci ha abituati lo "scendere in campo" di Berlusconi. Cambiare il Paese non è
facile, e farlo in poco tempo è impresa complicatissima. Ma da questo Governo, da quasi un anno in carica,
mi sarei aspettato un'apertura maggiore a riforme a costo zero, a riforme necessarie che avrebbero avuto
come effetto immediato un miglioramento delle condizioni di vita di molti italiani. Ci sono parole che il
governo, nell'anno che si è appena concluso, non ha pronunciato e, quel che è peggio, che noi non abbiamo
preteso con forza venissero pronunciate, parole che avrebbero reso il nostro Paese una democrazia che
attraversa una profonda crisi economica, ma comunque una democrazia. Non ho sentito pronunciare da
questo governo la parola "carceri". L'Italia non ha carceri, ma luoghi di tortura e viene costantemente
sanzionata dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Le carceri italiane non sono luoghi di rieducazione ma
di affliazione. Entri da povero cristo ed esci con una protezione importante e un ingaggio nelle organizzazioni
criminali. Il governo non ha pronunziato la parola "reato di tortura". Un Paese che non contempla nel proprio
codice penale questo reato, sarà un Paese nel quale si potranno applaudire i poliziotti che hanno ucciso
Federico Aldrovandi, sarà un Paese in cui le forze dell'ordine si sentiranno perennemente immuni da ogni
accusa e i cittadini sempre più distanti da chi dovrebbe rappresentare una garanzia e invece si trasforma in
potenziale pericolo. Non ho sentito pronunciare la parola "eutanasia" eppure dal nostro Paese si emigra non
solo per trovare lavoro, ma anche per trovare una morte dignitosa. Non ho sentito la parola "aborto"
nonostante la 194 in gran parte del sud Italia sia costantemente tradita dalla incredibile mancanza di medici
abortisti nelle strutture ospedaliere, nonostante ci siano farmacisti che si rifutino di vendere la pillola del
giorno dopo. Non ho sentito parlare di "fecondazione eterologa", nonostante da Roma in giù vigano ancora le
vecchie linee guida della legge 40 dichiarata incostituzionale lo scorso aprile dalla Consulta. Ora anche le
coppie sterili potranno accedere alla fecondazione, ma in molte città questo resta un diritto tradito. Non ho
sentito parlare seriamente di "coppie di fatto", ho sentito invece troppe parole inutili e assurde sul "matrimonio
gay" e sull' "adozione gay". Non ho sentito pronunciare la parola "migrante" se non dopo l'ennesima strage in
mare, ma mai per affrontare l'emergenza senza toni razzisti o caritatevoli. Non ho sentito parlare di
"disabilità", quando i cittadini diversamente abili sarebbero una risorsa e non un peso se solo si dessero alle
famiglie gli strumenti per poter provvedere alla loro educazione, alla loro cura, alla loro crescita. L'itaLia resta
un paese in cui i diritti civili e umani si continua a farli passare per concessioni, per elemosina. Resta un
Paese dove per nascere, studiare, sposarsi, lavorare, essere felici e morire dignitosamente bisogna emigrare.
Ma siamo certi che tutto questo dipenda solo da chi ci governa? Siamo certi di non essere anche noi sordi ai
bisogni di chi ci sta accanto? Io so solo che quando parlo di eutanasia, immigrati, carceri, disabili, unioni gay
mi si risponde che farei meglio a occuparmi d'altro, magari di mafa, di economia, dell'articolo 18, dello
scempio che si starebbe facendo alla Costituzione. Eppure per me, un Paese in cui le minoranze non
vengono ascoltate, un Paese in cui i deboli sono ignorati, abbandonati, vessati, è un paese in cui la
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L'antitaliano
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Costituzione viene tradita ogni giorno, ogni ora, ogni momento.
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L'incubo di HOULLEBECQ
L'Islam prende il potere in Francia. E opprime le donne. Lo scrittore più provocatorio d'Oltralpe qui racconta
"Sottomissione" il suo nuovo romanzo
Colloquio Con MICHEL HOULLEBECQ di SYLVAIN BOURMEAU
Siamo nel 2022. La Francia ha paura. Il Paese è da tempo in preda a disordini misteriosi. E le elezioni
presidenziali hanno un risultato clamoroso: il leader del giovane partito della Fraternità musulmana,
Mohammed Ben Abbes, batte nettamente Marine Le Pen al ballottaggio. Dall'oggi al domani la Francia
cambia. Le donne indossano lunghe bluse su pantaloni larghi e lasciano in massa il lavoro, le università
diventano islamiche: chi non è musulmano è obbligato alla pensione o alla "Sottomissione". È questo il titolo
del nuovo romanzo di Michel Houellebecq, pubblicato in Francia da Flammarion il 7 gennaio tra le polemiche
(in Italia esce il 15 per Bompiani). Nel suo sesto romanzo, l'autore di "Le particelle elementari" si mette
improvvisamente e atrocemente a somigliare a quegli editorialisti politici di serie B - Eric Zemmour, Alain
Finkielkraut, Renaud Camus... - che nei loro bestseller preelettorali hanno agitato lo spauracchio
dell'invasione dell'Islam. E lo fa con quello che si deve decisamente defnire un vero suicidio letterario. Perché
l'abiezione politica e la debolezza letteraria sono in questo libro strettamente legate. Un romanzo arido e
triste, approssimativo, mal documentato, senza dialoghi e senza poesia: "Sottomissione" suona falso da cima
a fondo e non è certamente degno di apparire nella bibliografa di quello che rimane comunque uno dei più
importanti scrittori contemporanei di lingua francese. Parola mia, cioè del critico che negli ultimi vent'anni ha
più spesso intervistato Houellebecq: per questo l'autore aveva deciso di dare a me la prima intervista su
"Sottomissione". Ci siamo incontrati il 19 dicembre nell'uffcio di Flammarion. Houellebecq, perché questo
libro? «Per molti motivi, penso. Non amo usare questa parola, ma ho la sensazione che questo sia il mio
"mestiere". Ho vissuto a lungo in Irlanda e quando sono tornato in Francia ho trovato grandi cambiamenti,
cambiamenti che non sono specifcamente francesi, del resto, ma dell'Occidente in generale. Secondo
motivo, forse, il mio ateismo non ha veramente resistito alla serie di perdite che ho subito. Le ho trovate
insopportabili, in realtà». Allude alla morte del suo cane e dei suoi genitori? «Sì. Sono state molte perdite in
un arco di tempo ristretto. Il tutto forse è stato aggravato dal fatto che, contrariamente a ciò che credevo, non
ero un vero ateo, ma un vero agnostico. Riesaminando alla luce di ciò che so la faccenda dell'esistenza di un
creatore, di un ordine cosmico, di qualcosa del genere, mi sono reso conto che non mi sentivo in grado di
rispondere né sì né no. Questa seconda motivazione è stata probabilmente più forte della prima nello scrivere
questo libro. C'è un terzo motivo per il quale ho scritto questo libro, ed è che l'inizio mi è piaciuto moltissimo.
In pratica, in una volta sola, di getto, ho scritto tutta la prima parte fno alla pagina 26. E l'ho trovata molto
convincente... Il mio progetto originario però era molto diverso. Non doveva intitolarsi "Soumission" ma "La
conversion" (La conversione). E inizialmente, nei miei piani, il narratore si convertiva sì, ma al cattolicesimo.
Poi però non ci sono riuscito. Perché non funzionava». Definirebbe satirico questo romanzo? «No. La
defnizione di "fantapolitica" mi sembra la migliore. Al massimo, ma solo molto parzialmente, è una satira del
giornalismo politico. Della classe politica, forse, un po' di più. Ma i personaggi principali non sono una satira».
Come le è venuto in mente di inventare un ballottaggio tra Marine Le Pen e un musulmano? «Beh, per
Marine Le Pen mi pare del tutto verosimile che ci arrivi già nel 2017. Quanto al partito musulmano, qui siamo
al nocciolo della questione. Ho cercato di calarmi nei panni di un musulmano e mi sono reso conto che i
musulmani in verità vivono in una situazione del tutto alienata. È evidente che sono molto lontani dalla
sinistra, e ancor più dagli ecologisti. E non si vede perché mai dovrebbero votare per la destra, o per
l'estrema destra, che li rifutano con tutte le forze. Che cosa può fare quindi un musulmano che vuole votare?
Si trova in una situazione impossibile, perché non è rappresentato. Di conseguenza, secondo me, l'idea del
partito musulmano è plausibile». Ma da qui a immaginare che un partito del genere tra sette anni possa
trovarsi a vincere un'elezione presidenziale... «Sono d'accordo, questo è poco plausibile. Per due ragioni
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INTERVISTA CULTURA
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principali. La prima è la più diffcile: i musulmani dovrebbero riuscire a mettersi d'accordo tra loro. Dovrebbero
trovare una persona estremamente intelligente e di un talento politico eccezionale, qualità che io ho dato al
mio personaggio Ben Abbes. Poco probabile, ma supponiamo che esista: questo partito potrebbe compiere
passi avanti, ma servirebbero più di sette anni. Se si considera il metodo utilizzato dai Fratelli Musulmani,
notiamo una rete sul territorio fatta di associazioni di benefcenza, di luoghi di aggregazione culturale, di centri
di preghiera, di vacanza, di cura... Un po' l'equivalente di quello che aveva fatto il Partito Comunista. In un
Paese nel quale la miseria dilaga tutto ciò potrebbe effettivamente convincere anche più gente dei musulmani
"normali" - se così posso dire - perché oltretutto non ci sono soltanto i musulmani "normali", ma anche i
convertiti, persone che non sono di origine maghrebina... Un tale processo, in ogni caso, richiederebbe
parecchie decine di anni. In realtà, a questo proposito il sensazionalismo mediatico riveste un ruolo negativo.
Alludo, per esempio, a come è stata accolta la storia della conversione di un tizio che abitava in un piccolo
villaggio della Normandia, francese al cento per cento, e che per di più non aveva alle spalle una famiglia
disgregata. Beh, si è convertito ed è partito per combattere in Siria. In effetti, è ragionevole supporre che per
uno così ci siano svariate decine di persone che si convertono senza partire per la Siria. Combattere il jihad
in Siria non è divertente. In fn dei conti, quindi, fa presa soltanto su individui fortemente motivati dalla
violenza. Ovvero, una minoranza». Si potrebbe anche dire che ciò che interessa a queste persone più che
altro è partire per la Siria, non convertirsi... «Non credo. Io credo che esista un bisogno reale di Dio, e che il
ritorno del sentimento religioso non sia uno slogan, ma una realtà». Questa ipotesi è fondamentale per il suo
romanzo, ma è risaputo che in realtà è smentita da tempo da numerosi studiosi che hanno dimostrato che
stiamo assistendo a una fase di graduale laicizzazione dell'Islam. «Non è quello che vedo io. Del resto non è
solo l'Islam a giovarsi di questo ritorno della spiritualità, e non riguarda solo la Francia: in America del Nord e
del Sud sono gli evangelisti a giovarsene. Così accade in Asia, anche se non sono molto informato in
proposito, mentre in Africa si vanno affermando sempre più due grandi forze religiose: l'evangelismo e l'Islam.
In buona parte sono rimasto kantiano e non credo che una società senza religione possa durare». Ma perché
ha deciso di "drammatizzare" le cose, se anche per lei è inverosimile che nel 2022 possa essere eletto un
presidente musulmano? «Beh, qui forse è entrata in gioco la parte di me che adora far presa sul grande
pubblico, che ama il thriller». La drammatizzazione assume la forma di descrizioni molto vaghe di
avvenimenti che accadono senza che si capisca chiaramente di che cosa si tratta. È la politica della paura?
«Forse sì. Sì, un po' di paura c'è. In effetti sfrutto il fatto di incutere paura». Quindi lei sfrutta coscientemente
la paura che nasce dal parlare di un Islam che conquista la maggioranza? «In realtà, non si sa bene di che
cosa si ha paura. Tutto resta nell'ombra». Si è chiesto quali conseguenze può avere un romanzo che
contiene un'ipotesi simile? «Nessuna. Nessuna conseguenza». Non crede che contribuirà a rafforzare
l'immagine di una Francia sulla quale l'Islam incombe come una spada di Damocle? «Già ora i media non
parlano d'altro. Non potrebbero parlarne più di così. Quindi il mio libro non avrà nessuna conseguenza». E
questa constatazione non le fa venire voglia di scrivere d'altro? Di non inserirsi nel flusso del conformismo?
«No, oggettivamente fa parte del mio lavoro parlare di ciò di cui parla la gente. Io vivo nella mia epoca». In
questo romanzo lei sottolinea che gli intellettuali francesi hanno una propensione particolare a non sentirsi
mai responsabili. E la sua responsabilità di scrittore? «Ma io non sono un intellettuale. Non mi schiero, non
difendo alcun regime. Respingo ogni responsabilità, rivendico l'irresponsabilità, senza mezzi termini. A
eccezione di quando nei miei romanzi parlo di letteratura, nel qual caso mi assumo la responsabilità del
critico letterario. In verità, sono le opere di saggistica a cambiare il mondo». Non i romanzi? «Forse sì. Ma
non quelli grossi. Anche "Il Capitale", ho la sensazione che fosse troppo grosso: a essere letto e ad aver
cambiato il mondo penso sia stato il "Manifesto del Partito Comunista". Se si ha intenzione di cambiare il
mondo bisogna dire chiaramente: "Ecco, il mondo è così e questo è quanto va fatto", senza perdersi in
considerazioni romanzesche. Perché non serve a niente». Nel libro lei riprende contrapposizioni discutibili
come quella tra antirazzismo e laicità. «È innegabile che ci sia una contraddizione». Io non la vedo. Anzi,
molte persone sono allo stesso tempo militanti antirazzisti e ferventi difensori della laicità, e le loro radici
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L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
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risalgono alla filosofia dei Lumi. «Beh, sulla flosofa dei Lumi possiamo anche tracciare una croce: fnita. Vuole
un esempio calzante? La candidata col velo nella lista Besancenot, di estrema sinistra. Ma non sono soltanto
i musulmani a trovarsi in una situazione di alienazione di questo tipo: a livello di quelli che in genere si
chiamano valori, le persone di estrema destra hanno più cose in comune con i musulmani che con la sinistra.
Tra un musulmano e un ateo c'è più opposizione innata che tra un musulmano e un cattolico. Mi sembra
evidente». Lei dice che nel suo libro non c'è una contrapposizione razziale, ma certamente ce n'è una
religiosa: la religione cattolica è sostituita dall'Islam. «È in atto un processo di distruzione della flosofa nata
dal secolo dei Lumi, che non ha più senso per nessuno, o lo ha per pochissime persone. Il cattolicesimo,
invece, pare che oggi sia abbastanza in forma. Io sostengo effettivamente che un'intesa tra cattolici e
musulmani è possibile. Lo abbiamo già visto. E può ripetersi». Lei, che è agnostico, vede di buon occhio
questa distruzione della filosofia nata dall'Illuminismo? «Sì. Doveva succedere e tanto vale che succeda
adesso. Su questo punto torno a essere kantiano. Eravamo in quella che egli chiamava la fase metafsica,
iniziata nel Medio Evo e che aveva come unico scopo la disintegrazione della fase precedente. Di per sé,
essa non può produrre nulla, se non il nulla e il dolore. Quindi sì, sono contrario a questa flosofa nata
dall'Illuminismo, occorre dirlo chiaramente, senza mezzi termini». Con questo romanzo lei prende un ruolo da
Cassandra: ne parla anche nel testo... «Ma non si può defnire "Sottomissione" una predizione pessimista. In
fn dei conti le cose non vanno poi così male...». Forse non per gli uomini, ma per le donne... «Ah, quello è un
altro problema...». Comunque il libro è davvero triste. «Sì, c'è una tristezza sottintesa, fortissima. A mio
parere l'ambiguità culmina nell'ultima frase: "Non avrò nulla da rimpiangere", quando in realtà si ha
l'impressione che sia vero il contrario». Traduzione di Anna Bissanti Foto: W. Daniels - PANOS / LUZ, A.
Albert - Getty Images Foto: J. Rousselot - Laif / Contrasto, E. Feferberg - Afp / Getty Images
Guastafeste a distanza
Cinquantotto anni, nato nella colonia francese della Réunion, cresciuto fino a 6 anni in Algeria, Michel
Thomas viene affidato dai genitori alla nonna paterna Henriette Houellebecq, della quale adotta il cognome.
Studia agraria a Parigi (si laurea in ecologia), poi inizia a occuparsi di cinema e narrativa. Il suo primo
romanzo "Estensione del dominio della lotta" viene pubblicato nel 1994 ma è "Le particelle elementari" (1999,
uscito in Italia da Bompiani come tutti i suoi libri) a farlo conoscere in Francia e in tutto il mondo. Nel 2005
esce "La possibilità di un'isola", nel 2010 "La Carta e il Territorio" vince il Goncourt. Scrittore controverso e
senza peli sulla lingua, nel 2001 viene processato per islamofobia. Vince la causa, ma lascia la Francia: dopo
aver vissuto per anni in Irlanda, si è trasferito in Spagna.
Foto: musulmano in un prato di parigi. a destra: michel houellebecq
Foto: marine le pen. a sinistra: dentro la moschea di puteaux, vicino alla défense, a parigi
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L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
Pag. 54
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IL POTERE DEL FANGO
Il nuovo romanzo di Eco racconta una redazione che sforna ricatti. E apre un dibattito tra lui e Saviano su
media e nazione
colloquio con umberto eco e roberto saviano Di wloDek golDkorn
IL POTERE DEL FANGO IL POTERE DEL FANGO Un semiologo e intellettuale, il più importante oggi in
Italia, prestato, con successo e da decenni, all'arte del romanzo, e che ha 83 anni. E uno scrittore 35enne,
autore di libri, saggi e articoli di denuncia dell'intreccio tra criminalità e politica, e per questo da anni sotto
scorta e spesso diffamato e delegittimato. Umberto Eco e Roberto Saviano ragionano su "Numero zero", il
romanzo in cui Eco racconta una immaginaria redazione, messa in piedi nel 1992, l'anno di Tangentopoli e di
Mani pulite, con un solo scopo: costruire dossier, ricattare, diffamare gli avversari. In questo dialogo,
spiegano come la questione dei media sia cruciale non solo per la democrazia ma perfno per il progetto di
costruzione di una nazione. E suggeriscono: forse quel progetto, in Italia, è fallito. Ma, dicono, rimane la
questione delle responsabilità personali di ciascuno di noi. E forse da lì, dalla testimonianza, si può e si deve
ricominciare. SAVIANO In "Numero zero" c'è uno sguardo sui meccanismi della comunicazione che in Italia
non c'è ancora stato e che mi ricorda le analisi di Julian Assange. Tu, Eco, parli a modo di romanziere, non di
saggista, quindi nel modo più godibile possibile, di un meccanismo di comunicazione il cui scopo non è
informare. Immagino che volevi costruire un romanzo che riuscisse a dire una molteplicità di cose. Ma per me
è quasi un manuale della comunicazione del nostro tempo. Vorrei allargare il discorso alla Rete, visto che i
giornali sono letti ormai da una minoranza. Oggi la macchina del giornale spesso funziona solo da innesco di
una catena interpretativa che dilaga nel Web e serve agli altri per commentare. È un paradosso: i blog, i
social media nascono dal lavoro di una redazione. Ma quel lavoro non viene letto, viene solo interpretato. Eco
Non ho voluto scrivere un trattato sul giornalismo; ho insistito su una particolare redazione, che fa parte della
macchina del fango. Però da oltre quarant'anni continuo a rifettere e discutere sui limiti e sulle possibilità del
giornalismo. In questo romanzo ho riusato una quantità di cose che ho già scritto, a partire dalla polemica,
negli anni Settanta, con Piero Ottone, sulla possibilità di separare i fatti dalla rifessione. Quindi la mia è una
storia sui limiti dell'informazione giornalistica. Ma non ho parlato dei giornalisti in genere. Ho disegnato il
peggiore dei casi, per dare un'immagine grottesca di quel mondo. Aggiungo che il meccanismo della
macchina del fango, dell'insinuazione era usato già ai tempi dell'Inquisizione. Saviano Parli dei giornali. Oggi,
nell'era di Internet le nuove generazioni spesso si illudono che basta non avere un editore che cerca il proftto,
basta fare le cose gratuitamente, per fare un'informazione onesta, giusta, pulita. Ma non è così. Pensa
all'universo della dietrologia. È un mondo fiorente in Rete. Da quella gente, noi due siamo considerati
massoni, appartenenti all'ordine degli illuminati e robe simili. Chi costruisce in Rete le teorie cospiratorie lo fa
spesso senza compenso in denaro. E la gratuità è un aspetto interessante. È come si volesse sollecitare la
parte più vendicativa dell'essere umano. Insinuare è un modo per ridistribuire i peccati: nessuno si salva,
siamo tutti colpevoli. Ti chiedo: tu che hai conosciuto il mondo prima di Berlusconi (io sono troppo giovane
per ricordarmelo), pensi che con Berlusconi sia cambiato tutto o che il nostro ex premier ha solo peggiorato lo
stato delle cose esistente? Eco Rispondo così. Una volta esistevano le istituzioni della macchina del fango. Si
trattava di giornali specializzati. Non era invece pensabile una macchina del fango messa in opera da un
grande quotidiano. Ai tempi della "Tribuna politica" in tv, se tre personaggi si fossero parlati addosso e
insultati in pubblico, tutti li avrebbero presi per pazzi, oggi invece viene accettata la tecnica dell'insulto e della
sopraffazione. Non sto dicendo che è colpa di Berlusconi, ma prendendo il 1992 come la data di displuvio, un
cambiamento c'è stato. Prendiamo il caso Montesi, e siamo nel 1953. È stato usato, in un modo canagliesco,
un fatto di cronaca, un'orgia fnita male, cui partecipò il fglio di un ministro democristiano, per distruggere
questo ministro. L'operazione è stata fatta da avversari interni alla Dc. Ma tutto si è svolto dietro le quinte.
Non si è travalicato il confne di una certa riservatezza. Oggi invece tutto è in pubblica piazza. il buon
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INTERVISTA Il caso letteratura e giornalismo
09/01/2015
L'Espresso - N.2 - 15 gennaio 2015
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giornalista parte sempre da un punto di vista. Secondo voi, dove finisce il punto di vista e comincia invece la
manipolazione? Saviano Io credo che la macchina del fango comincia là dove fnisce l'inchiesta. L'inchiesta
fornisce una serie di fatti che permettono al lettore di farsi un'idea generale, anche se sono elementi scelti dal
giornalista. La macchina del fango invece ne prende uno solo di questi elementi e su questo, isolato dal
contesto, costruisce una realtà. Nel suo libro Eco spiega cosa sia la macchina del fango. Ad esempio, il
gossip. Il gossip è una parola che copre un meccanismo terrifcante: il mondo del retroscena. La Rete ha
generato da questo punto di vista dei veri mostri. Eco Tipico della macchina del fango è che raramente
l'aggressione è diretta. Non si dice il signor Tal dei Tali è un noto pedoflo e ha strangolato la nonna. Si dà
invece un elemento apparentemente innocuo, ma che genera sospetto. Un episodio che ho usato nel
romanzo ma che è vero: per destare il sospetto nei confronti di un magistrato si disse che portava i calzini blu
e fumava tanto. Ecco, non c'è niente di male nel portare calzini blu e fumare tanto, ma presentato come fatto
isolato desta sospetti nel lettore e lo induce a porsi la domanda: ma che cosa vorrà dire questo? Vorrei citare
un episodio della mia infanzia. Avevo dieci o undici anni. Una signora mi ferma e mi chiede: "scriveresti una
lettera per me? Ti darò una lira". Ho pensato che per qualche motivo non poteva scrivere lei e ho detto che
l'avrei fatto gratis. Poi mi ha offerto un gelato. E la lettera era per un signore, un negoziante della città e
diceva più o meno: "noi abbiamo saputo che lei vuole sposarsi con la signorina Tal dei Tali. Della signorina
possiamo solo dire che è una persona perbene. Cordiali saluti". Quando ho raccontato a casa l'episodio mi
hanno detto: "Ti hanno usato per una lettera anonima!". Cosa ha fatto questa signora? Non ha detto niente di
sgradevole sulla futura sposa. Non ha scritto che era una puttana. Ma in chi ha ricevuto la lettera, per il fatto
stesso che qualcuno se ne interessava, ingenerava un sospetto, "forse la signorina non è così perbene come
credevo". Ecco questo è il sospetto che infanga. Saviano Il punto centrale è che la delegittimazione non parla
ai tuoi nemici ma ai tuoi amici, alla tua famiglia, a chi ti ama. E poi, insisto, fare un'inchiesta costa tanti soldi,
mentre per far gossip basta poco. Nelle redazioni dei giornali, dove si parla troppo dell'ultima dichiarazione
del politico di turno e poco delle vere questioni nazionali e internazionali, sono ossessionati dal gossip. E i
politici fanno a gara per essere presenti sui giornali senza aver niente da dire. In Rete è anche un vantaggio
economico. Basta vedere quanti contatti quindi quale giro di pubblicità genera un servizio su un presentatore
tv o su un'attricetta e quanti gli articoli politici, per non parlare della cultura che dovrebbe essere la spina
dorsale dell'informazione. Eco Pensa al recente episodio di una ministra raffgurata mentre mangia il gelato.
Cosa c'è di male nel mangiare un gelato? Ma basta mettere un titolo leggermente allusivo e goliardico ed
ecco che fai la delegittimazione del personaggio. Torniamo al romanzo. L'impressione è che Eco voglia dire
alla fine: in Italia il progetto di costruzione della nazione è fallito. Eco Questo Paese ha attraversato momenti
in cui sono successe cose incredibili e di cui tuttavia non è fregato niente a nessuno. Sì, sotto sotto, c'è
un'idea di una nazione e di uno Stato incapaci di funzionare. La stessa idea, del fallimento di noi tutti, si trova
in un recente articolo di Saviano su "la Repubblica" circa "Mafia capitale", quando dice: la terra di mezzo, il
mondo di mezzo di cui parla carminati, siamo tutti noi... SavIano La terra di mezzo non è la cerniera tra i
colletti bianchi e la teppa. È invece un territorio, l'Italia, in cui se non forzi le regole, non puoi fare business,
non puoi lavorare. Ed è anche un modo per dire: liberi tutti, tutti si comportano così. Quindi tutti colpevoli
nessun colpevole. Eco L'Italia ha scelto dal 1861 di vivere nel mondo di mezzo. In questo senso è fallita l'idea
di uno Stato unitario. avete detto peste e corna dei retroscena, del gossip. Però il genere retroscena, gossip
politico, il ministro fotografato con l'aspirapolvere in mano, lo ha inventato in Italia "l'Espresso", di cui voi siete
rubrichisti illustri... Eco Ma non ha insinuato, ha denunciato. Il problema è lo stato della nostra informazione.
Prendi la mattina il giornale, anche il più importante, e trovi quattro o più pagine di pettegolezzi su fatti politici
nostrani. Se prendi "Le Monde", trovi invece pagine su quanto avviene in Africa o in Asia, tanto che quasi mi
chiedo, ma perché mi parlano di queste cose e non dell'amante di Hollande? "Le Monde" ha parlato
dell'amante del presidente. Eco Sì, ma perché la storia è stata fatta circolare da un altro giornale,
specializzato negli scandali, e solo così è diventata notizia. nel libro Eco presenta una teoria cospiratoria, un
personaggio suggerisce che lo stragismo in Italia è stato manipolato da Mussolini che non è stato fucilato il
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28 aprile 1945 ma fatto fuggire all'estero. E arriva a essere convincente. Perché le teorie complottiste hanno
tanto successo? Eco Faccio un esempio. Sabato pomeriggio mi trovo in un'autostrada intasata. Mi arrabbio e
comincio a chiedermi di chi è la colpa. Cerco istintivamente il Grande Vecchio. Non mi viene in mente che la
colpa è mia, che sono uscito di sabato in macchina, sapendo di contribuire all'intasamento. Ma se la stampa
con un'inchiesta, mi desse una spiegazione sul perché l'autostrada si intasa, anziché raccontare la
polemichetta tra un assessore e un deputato, forse non cercherei il Grande Vecchio. E invece, immagino che
a far intasare l'autostrada siano stati Andreotti, la massoneria, la Trilaterale. Facciamo un n esempio al
contrario? La vicenda "Mafa Capitale". Dal momento che i magistrati spiegano come stanno le cose e i
giornali lo raccontano bene, nessuno cerca una teoria cospirativa. Chi c'è dietro Carminati? C'è Carminati.
Non credo che a qualcuno verrà in mente di dire che dietro Carminati ci siano i Rosacroce. SavIano Io insisto
sul ruolo della Rete. Basti pensare alla diffusione dei Protocolli degli anziani savi di Sion da quando esiste il
Web. Aggiungo: per un dietrologo chiunque si oppone alla sua teoria, fa parte del complotto. avete descritto
un mondo assai brutto, di diffamazione, fango, dossieraggio. voi come fate a opporvi? Eco Ciascuno di noi
cerca di fare bene il proprio mestiere. Per quanto mi riguarda: io ho dato la mia testimonianza. Io vi ho
raccontato come stanno le cose. SavIano Io ho sentito che la mia testimonianza ha innescato molto. Dall'altro
lato ho sempre sentito l'esigenza di rimarcare la mia diversità. Diversità, non superiorità morale. Mi hanno
proposto incarichi politici, ma me ne sono sempre tenuto lontano, perché temevo che il sistema mi avrebbe
stritolato. Confesso: mi sento isolato. Non ci sono più gruppi che condividono un percorso intellettuale, come
accadeva quando Eco aveva la mia età. Eco Anche gli intellettuali sono vittime della liquidità della società.
Oggi, non ti rimane altro che lasciare il tuo messaggio nella bottiglia. Saviano lo fa, dovrebbe mettere su una
bottiglieria. Io ho scritto questo romanzo, di più in una società liquida non si può fare. Testimoniare non è
agire politico. Eco Se dico che la società è liquida dico anche che non c'è più la nozione dell'agire politico.
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LA CoPERTINA DEL RoMANzo EDITo DA BoMPIANI (224 PAGINE, 17 €). A SINISTRA: UMBERTo ECo.
SoTTo: RoBERTo SAVIANo
lo stato si dimostra incapace di funzionare. non ci resta che la responsabilità personale
Nella fucina dei numeri zero
È un Paese grottesco, così deforme da non avere nemmeno la dignità di incarnare un destino tragico, l'Italia
narrata da Umberto Eco in "Numero zero", il nuovo romanzo in uscita con Bompiani. La realtà, sembra dire
l'autore, ha oltrepassato ogni immaginazione. Ma se è così, se la cronaca è più fantasiosa dell'invenzione
letteraria, ha senso ancora costruire, appunto, dei romanzi? La risposta, paradossale, a questa domanda, sta
nella lettura del libro. Se la realtà oltrepassa la fantasia, il dovere dello scrittore è trasfgurare a sua volta la
realtà in un'invenzione verosimile, suggerisce Eco. E lo fa con uno stratagemma geniale: la storia è
ambientata nella redazione di un giornale, a Milano nella primavera del 1992. Geniale, perché sono i mass
media il punto d'incrocio tra fatti e narrazione dei fatti e perché la primavera del 1992 a Milano signifca
Tangentopoli, Mani pulite, lo svelamento del marcio della Prima repubblica; ma anche il passaggio alla
Seconda repubblica, quella dominata da Berlusconi con il suo modello mediatico. La voce narrante del
romanzo, un thriller e che per certe atmosfere richiama gli hard boiled americani, è un giornalista coltissimo,
di nome Colonna, chiamato a far parte della redazione di uno strano giornale. Il direttore gli spiega che la
testata appartiene a un uomo d'affari, commendatore Vimercate. Compito della piccola équipe è preparare
una dozzina di numero zero (così in gergo si chiamano i numeri preparatori all'uscita di un giornale vero), che
Vimercate leggerà, forse stamperà. Insomma, Colonna («un perdente compulsivo») capisce di essere
approdato in una fabbrica di dossier, un meccanismo al cui centro è il ricatto, una macchina del fango. Per
molti versi "Numero zero", riprende il tema del "Pendolo di Foucault"; il complotto, la teoria di cospirazione
che spiegherebbe le cose che accadono ogni giorno. Uno dei protagonisti, un collega di Colonna, è convinto
che Mussolini non sia stato ucciso dai partigiani nel 1945, ma sia riuscito a fuggire all'estero e che dall'estero
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abbia continuato a manipolare la politica italiana; comprese le varie forme di eversione. La sua teoria, così
come la espone Eco, risulta convincente; salvo poi... La fne di un thriller non può essere rivelata. Ma intanto,
tra una supposizione e l'altra ci si diverte seguendo il modo con cui Eco, da bravo semiologo, smonta il
meccanismo di una certa informazione. Nel giornale della macchina del fango i lettori sono trattati da esseri
infantili; i giornalisti debbono scrivere quello che il lettore vuole, quindi non devono sorprendere, ma non
potendo sorprendere non possono dare notizie e via elencando. Da non perdere una serie di barzellette in
apparenza "sceme", in realtà un esercizio per illustrare il meccanismo chiamato slittamento semantico;
consiste nel mettere parole e fatti fuori contesto ed è uno strumento formidabile per distorcere la realtà, come
fa la macchina del fango.
Foto: savIano: costruendo le teorIe cospIratorIe sI sollecIta la parte pIù vendIcatIva dell'essere umano
l'interno di una redazione. a destra: giornali appena stampati in una tipografia
Foto: eco: si usano elementi innocui come il colore dei calzini per destare il sospetto contro le figure da
colpire
Foto: eco: glI IntellettualI sono vIttIme della socIetà lIquIda possono solo. lascIare messaggI nella bottIglIa
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Come ti prendo l'EvasorE
Tre strutture vigilano sul lavoro. Il governo vorrebbe accorparle per renderle più efficienti. Ma ci sono
resistenze. Ecco perché
stefano livadiotti
La posta in palio è altissima: i 102 miliardi che, secondo i calcoli dell'Istat, ogni anno sfuggono alle casse
dello Stato a causa del fenomeno dell'evasione contributiva. E la partita fnale si giocherà, nelle prossime
settimane, intorno a un testo di dodici righe, ben nascosto alla lettera "L" del settimo comma dell'articolo 1 del
Jobs Act. Nella delega sul lavoro affdata al governo, il parlamento ha lasciato aperte due strade contrapposte
su come impostare la guerra ai furbetti dei contributi. La prima prevede un maggior coordinamento tra gli 007
del ministero del Lavoro, quelli dell'Inps e quelli dell'Inail, i tre soggetti incaricati dell'attività ispettiva a livello
nazionale (insieme ad Asl e Arpa regionali). La seconda si basa sull'istituzione di un'agenzia unica, che
farebbe capo al dicastero guidato da Giuliano Poletti, all'interno della quale far confuire gli ispettori ministeriali
e quelli dei due enti. In questo caso, a farne le spese sarebbe (poco coerentemente) in primo luogo l'Inps,
l'istituto che proprio nei giorni scorsi ha ricevuto un riconoscimento di effcienza dal governo di Renzi, pronto
ad affdargli, dopo lo scandalo dei vigili urbani capitolini, il controllo sulle assenze per malattia dei dipendenti
pubblici, finora svolto con risultati assai poco lusinghieri dal circuito delle Asl. Al di là della scelta del cappello
sotto il quale far confuire gli ispettori, quella dell'unifcazione sembra una via obbligata. Anche per l'ottimo
motivo che i tre drappelli di segugi fniscono, spesso e volentieri, per pestarsi i piedi tra loro. Istituzionalmente
hanno compiti diversi (il ministero verifca la regolarità dei contratti dei dipendenti; l'Inps il versamento dei
contributi; l'Inail la sicurezza sul lavoro), ma non è certo un caso raro che si rivolgano quasi
contemporaneamente a una stessa azienda, chiedendo peraltro la medesima documentazione, e fnendo in
questo modo per paralizzarne l'attività. «Succede regolarmente», accusa Francesco Verbaro, consulente e
docente di organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, già segretario generale del ministero.
Conferma Enzo De Fusco, coordinatore scientifico della fondazione studi dei consulenti del lavoro. Che
aggiunge: «Una banca dati centralizzata evitereb be queste sovrapposizioni». Di agenzia unica si parla da
anni (ha iniziato Maurizio Sacconi; titolare del ministero con Silvio Berlusconi), senza che il progetto riesca a
fare passi avanti. Per un motivo semplice: in ballo ci sono, oltre agli interessi degli evasori più incalliti e delle
loro lobby, anche quelli dei quasi 5.000 ispettori in attività, oggi contrattualmente inquadrati (e pagati) in
maniera non omogenea. Sulle dodici righe messe a punto dopo una faticosa mediazione in parlamento,
dunque, sarà ancora battaglia. Oggi funziona (si fa per dire) così. Gli ispettori sono 4.800: 3.000 fanno capo
al ministero di via Veneto, 1.400 all'Inps e 400 all'Inail, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro. Tutti insieme, nel 2013 sono riusciti a mettere il naso nei registri di 235.122 aziende,
cogliendone in fallo 152.314, scoprendo 239.021 lavoratori irregolari e 86.125 completamente in nero. Alla
fne, hanno contestato omessi pagamenti per un miliardo e 471 milioni. Già così sarebbe un risultato ben
magro. Ma, secondo quanto risulta a "l'Espresso", le cose stanno ancora peggio: lo Stato, di fatto, è riuscito a
incassare solo 250 milioni. I conti dunque non tornano. Secondo l'ultimo (2013) Rapporto annuale sull'attività
di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale elaborato dal ministero di via Veneto, in Italia risultano in
attività un milione e 600 mila aziende che dichiarano almeno un dipendente. Vuol dire che solo il 14,7 per
cento del totale è stato oggetto di qualche attenzione da parte degli 007 di ministero, Inps e Inail. Troppo
poco. E lo stesso vale per i 250 milioni che lo Stato è riuscito a incassare: rappresentano l'inezia dello 0,25
per cento rispetto ai 100 miliardi di evasione stimata. E il trend sembra addirittura in peggioramento. Il
rapporto del ministero segnala infatti un calo del 3,6 per cento delle imprese ispezionate nel 2013. Un dato
che i sostenitori dell'attuale regime spiegano con una sempre più effcace attività di intelligence, capace di
orientare gli interventi sulle irregolarità di maggior rilevanza, quelle cioè in grado di garantire un gettito
superiore. A supporto di questa tesi citano quella parte del rapporto del ministero dove si rileva un incremento
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i furbetti dei contribute Economia
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della percentuale di verifiche andate a segno, salita in un solo anno dal 63 al 64,78. Dimenticando però
quanto gli uomini di via Veneto scrivono solo poche righe più sotto. E cioè che le somme contestate nel 2013
risultano inferiori del 13 per cento rispetto a quelle del precedente anno (da un miliardo e 631 milioni a un
miliardo e 421 milioni). Con buona pace dell'intelligence. Contraddizioni che non sono sfuggite alla Corte dei
Conti. I magistrati contabili si sono presi la briga di verifcare gli effetti del protocollo di intesa per un maggior
coordinamento frmato da ministero, Inps, Inail e Agenzia delle entrate nell'agosto 2010, quando l'allora
titolare del Lavoro, Sacconi, si era reso conto che il suo progetto di agenzia unica era destinato ad arenarsi
una prima volta. «L'analisi dell'attività di verifica e controllo sviluppata nel periodo 2010-2013», si legge nella
relazione datata 26 settembre 2014, «non consente di stabilire la misura dell'effettivo contributo derivato al
sistema dalla (parziale) messa in comune delle banche dati e dalle maggiori sinergie sviluppate tra istituzioni
ed enti diversi». E ancora:«Nell'istruttoria sono state segnalate criticità e diseconomie sul versante del
coordinamento, con sovrapposizione ovvero duplicazione di controlli da parte dei soggetti istituzionali
competenti e problemi nello scambio di dati e informazioni». Tranchant la conclusione dei magistrati contabili:
«In caso di persistente inadeguatezza del complessivo sistema di controllo, la soluzione pressoché obbligata
rimane quella dell'accentramento in un unico soggetto di diritto pubblico dell'attività di pianificazione e di
gestione delle proiezioni ispettive nella materia giuslavoristica e previdenziale». «In un Paese normale
l'agenzia unica sarebbe una realtà già da dieci anni», dice Verbaro. Ma siamo in Italia. E anche le riforme più
diffcili da contestare possono arenarsi davanti alle resistenze corporative di esigue minoranze, soprattutto se
ben organizzate sul fronte sindacale. Già, perché il nocciolo della questione è la retribuzione degli ispettori.
Quelli di via Veneto hanno il contratto dei ministeriali, che garantisce loro una retribuzione fssa media annua
di 27.710 euro e una accessoria di 1.000 euro tondi. Quelli di Inps e Inail, inquadrati come dipendenti di enti
pubblici non economici, godono di una paga fssa media annua leggermente inferiore (27.447 euro), ma
anche di una accessoria che arriva a 10.538 euro. Cui si somma una fantozziana indennità di ente da 6.000
euro ogni dodici mesi. Il pallottoliere dice che la differenza è di 15.275 euro. Se fossero messi insieme ai
ministeriali, gli ispettori degli enti dovrebbero mettere in comune con gli altri il fondo accessorio e
diventerebbero più poveri. Se invece fossero i ministeriali, in base al criterio del galleggiamento inventato dai
sindacalisti del pubblico impiego, a essere equiparati ai parenti ricchi, lo Stato dovrebbe sborsare, tra stipendi
e indennità, 45.824.608 euro in più l'anno (facendo saltare il delicato equilibrio tra entrate e uscite su cui si
regge oggi il sistema della vigilanza sui contributi). Ed è intorno a questi calcoli che sta prendendo corpo una
terza ipotesi, che alla fine potrebbe rappresentare una sintesi realistica. E cioè riunifcare sì gli ispettori, ma
all'interno dell'Inps, che già oggi vanta la struttura di gran lunga più effciente (il confronto è improprio, ma dà
l'idea: nel 2013 l'istituto affdato da pochi giorni all'economista Tito Boeri ha assicurato da solo l'84,3 per cento
del totale dell'evasione contributiva accertata a livello nazionale). Un rapporto di 46 pagine, messo a punto
dalla Direzione centrale vigilanza, prevenzione e contrasto all'economia sommersa dell'Inps (e quindi un
documento in un certo senso di parte) spiega cosa accadrebbe se si decidesse di percorrere questa terza
via. Dice che il tasso di successo delle ispezioni salirebbe dall'attuale 65 per cento scarso all'81 dopo cinque
anni e al cento per cento dopo dieci. E che alla fne del percorso (15 anni) si avrebbe un recupero di
contribuzione evasa pari a 48 miliardi. Se i calcoli stessero davvero in piedi, allora forse per una volta il gioco
di aprire i cordoni della spesa pubblica potrebbe anche valere la candela. In odio agli evasori. Foto: E.
Mancuso/Contrasto Foto: FotoA3(2)
Record edilizia Quote di aziende irregolari sul totale di quelle ispezionate, suddivise per settori (in %)
Q uote di aziende irre g olari sul totale di quelle ispezionate, suddivise per setto r i ( i n % ) Fonte: Ministero
del Lavoro
Due su tre barano Attività ispettiva sulla regolarità dei rapporti di lavoro nelle aziende (anno 2013) ENTE
AZIENDE AZIENDE LAVORATORI LAVORATORI VISITATE IRREGOLARI IRREGOLARI IN NERO
Ministero del lAvoro 139.624 52,7% 115.919 44.652 inps 71.821 80,8% 53.009 33.490 inAil 23.677 87,6%
70.092 7.983 ToTale 235.122 64,8% 239.020 86.125 Fonte: Corte dei Conti
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Foto: tito boeri, presidente designato inps. in alto: giuliano poletti
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Panorama - N.2 - 14 gennaio 2015
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L'Agnelli che vuole salire in Fiat
Andrea Agnelli considera conclusa la missione alla Juventus e ambisce ad avere un ruolo nel gruppo Fca. Ma
quale potrebbe essere l'approdo del figlio di Umberto? Le voci torinesi indicano la Ferrari come il traguardo
ideale dopo la quotazione in borsa.
Quarant'anni, è tempo di cambiare. Potrebbe essere questa la regola che Andrea Agnelli, classe 1975,
seguirà nel 2015. E il cambiamento si porterà dietro l'addio all'amata Juventus per approdarea nuovi incarichi
all'interno di Fca, la grande galassia industriale disegnata da Sergio Marchionne e nata dalla fusione tra Fiat
e Chrysler. Il figlio di Umberto Agnelli e Allegra Caracciolo considererebbe conclusa con successo la sua
stagione ai vertici della «squadra di famiglia» ereditata nei tempestosi giorni del dopo Moggi e trasformata a
suon di scudetti nella più forte squadra di calcio italiana. Il trasloco pare deciso e imminente, ma ancora
avvolto nel mistero è l'approdo. Non è una scelta facile e forse neppure Andrea Agnelli potrebbe oggi
rispondere alla domanda su quale poltrona occuperà una volta appesa ad un chiodo la maglia bianconera.
Nell'attesa, il presidente juventino ha curato una poderosa rete di alleanze all'interno di un universo di
complicati equilibri come è la multinazionale che si estende da Torino a Detroit. La principale sostenitrice
dell'addio al calcio per dedicarsi ad altre e più importanti «province» dell'impero italo-americano è sempre
stata la madre Allegra. Di recente all'elenco degli sponsor siè aggiunto Sergio Marchionne che non ha mai
dimenticato che fu proprio il padre di Andrea, Umberto, a volerlo nel consiglio d'amministrazione di Fiat nel
2003. A Torino in molti si ricordano ancora la scena di Umberto Agnelli che presentò l'allora quasi
sconosciuto italo-canadese a margine del suo primo ingresso nel cda descrivendolo come «uno dei più bravi
manager che ho incontrato». Da quel lontano giorno molta acqua è passata sotto i ponti torinesi: la Fiat non
c'è più, Marchionne è diventato forse ancora più potente del mitico Vittorio Valletta (protagonista della
ricostruzione dell'azienda e della sua grande espansione negli anni Cinquanta), ma il legame di Marchionne
con la famiglia dell'uomo che gli spalancò le porte del Lingotto non è venuto meno. E proprio da questo
legame potrebbe spuntare nei prossimi mesi il nuovo indirizzo di Andrea Agnelli, che nonostante i contorni di
un mosaico tutto da comporre lascia già intravedere qualche particolare di colore rosso Ferrari. Ovviamente il
trasferimento a Maranello sarà possibile solo una volta che Marchionne avrà terminato lo sbarco in borsa
dell'icona del made in Italy. Chiusa la partita finanziaria sembra improbabile che il «numero uno» di Fca abbia
ancora voglia e tempo di occuparsi di piloti, gran premie formula uno e se questo scenario dovesse diventare
realtà a breve difficilmente qualcuno potrà sbarrare la strada verso Maranello ad Andrea. Di certo l'attenzione
del figlio di Umberto per le vicende industriali e automobilistiche ha conosciuto recentemente una netta
accelerazione. Non è un mistero che Roberto Ginatta, l'industriale torinese che ha salvato l'ex stabilimento
Fiat di Termini Imerese e i suoi 700 dipendenti destinati altrimenti ad essere licenziati l'ultimo giorno del 2014,
è sempre stato «un uomo di Umberto». Ginatta, titolare della torinese Metec, azienda specializzata nella
componentistica automobilistica, è socio in affari di Andrea col quale ha fondato una società di investimenti
industriali edè anche assiduo frequentatore delle case immerse nella tenuta de La Mandria del presidente
della Juventus e della madre Allegra alle porte di Torino. L'operazione targata Termini Imerese non può
essere stata progettata senza il favore di Andrea ed anzi molti sono convinti che sia stato proprio lui a
sostenerla fin dall'inizio ed a strappare il consenso a Marchionne perché Fca acquisti parte della
componentistica che uscirà dalle catene di montaggio siciliane insieme forse ad una vettura ibrida,
recuperando così il ritardo italiano in questo settore. Il favore con il quale Marchionne ha seguito l'avventura
di Termini è ulteriormente dimostrato dal coinvolgimento di Magneti Marelli, la società di componenti elettrici
ed elettronici di Fca, guidata da Eugenio Razelli, altro manager cresciuto all'ombra di Umberto. La crescita
del peso di Andrea Agnelli all'interno della galassia Fca è favorita anche dall'affievolimento del ruolo di
Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens in seno alla famiglia, che hanno affiancato dopo la morte
dell'Avvocato e di Umberto sempre rispettando la regola «in Fiat si comanda uno alla volta». E proprio gli
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Panorama - N.2 - 14 gennaio 2015
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equilibri della famiglia, degni eredi dei complicati rapporti in uso alla corte sabauda, giocheranno l'ultima e
definitiva carta sul destino post-Juventus del quasi quarantenne Andrea. Lui in questi anni in bianconero si è
costruito una fama di uomo equilibrato, dimostrando sul campo di essere pronto per altri incarichi, ma sullo
sfondo resta ancora indecifrabile il rapporto con il potente cugino John Elkann, l'erede designato. O forse
nella storia della dinastia torinese cambiano solo i nomi ma i riti, regole e carriere si ripetono immutabili in una
sorta di interpretazione industriale dei «corsi e ricorsi storici» di Giambattista Vico. E allora come non vedere
nelle traiettorie di Sergio Marchionne, John Elkann e Andrea Agnelli le immagini di un film già proiettato ai
tempi di Vittorio Valletta, Gianni e Umberto? (Gianni Pintus)
E marchionnE prEpara il rilancio dEll'alfa ma sogna il «big dEal» IlD day sarà il 24 giugno 2015, 105°
compleanno dell'Alfa Romeo. Quel giorno Sergio Marchionne mostrerà al mondo il «progetto 952», ovvero il
primo degli otto modelli con cui intende rilanciare la casa del Biscione. La vettura che, assicurano gli addetti
ai lavori, non si chiamerà Giulia, guiderà la nuova flotta che dovrà centrare l'obiettivo di portare l'Alfa dalle
attuali 74 mila vetturea oltre 400 mila pezzi nel 2018. Gli analisti intanto rivedono al rialzo le stime su quanto i
mercati siano prontia pagare per entrare in Ferrari, l'altra grande scommessa di super Sergio, convinto di
poter rilanciare la Rossa ai vertici della Formula Uno. Ma sono in molti a scommettere che Marchionne puntia
traguardi ancor più ambiziosi: il processo di consolidamento del mondo a quattro ruoteè tutt'altro che finito.
Nel 2015 Fca potrebbe guardare all'Asia, dove Mazda e Suzuki sono partner ideali per crescere in India. Ma il
sogno segretoè il megadeal, cioè le nozze con uno dei big, sufficiente ad insidiare Toyota. Si continuerà a
parlare, perciò, di possibili contatti con Fordo Volkswagen. Max Warburton di Sanford& Bernstein, analista
trai più stimati, conferma ad Automotive News che Exor manterrà il controllo di Ferrari mentre «potrebbe
essere disponibile a cedere quote in Fca». (U.B.)
Foto: Nel disegno, Allegra Caracciolo, Andrea Agnelli, John Elkann e Sergio Marchionne.
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Corriere della Sera - Sette - N.2 - 9 gennaio 2015
Pag. 14
Entriamo nel "15" con le paure del "14"
Gli inquietanti paralleli con l'epoca della Grande guerra non sono finiti, tra Stati nazionali snervati, "non Stati"
che proliferano, la crisi russa e una violenza cieca diffusa
Antonio Ferrari /
Ora che lo abbiamo alle spalle, possiamo concederci un sospiro di sollievo. Fuggevole però, perché il 2014 è
fnito ma l'inquietudine che ci accompagna non si è certo spenta, in questo mondo violento che non riusciamo
più a decifrare e che ci ha reso più fragili, insicuri e spaventati. Incontrando giovani studenti in Italia e in
Grecia per parlare di problemi mediorientali e balcanici, sono rimasto molto sorpreso, quasi sconcertato, dal
fatto che molti chiedevano informazioni non sull'attualità, ma sulla Prima guerra mondiale, che scoppiò nel
1914 e fu provocata dell'assassinio, avvenuto a Sarajevo, dell'arciduca Francesco-Ferdinando d'AsburgoEste, e della moglie. L'attentatore, Gavrilo Princip, era un nazionalista serbo. E pensare che l'arciduca aveva
un atteggiamento abbastanza tollerante nei confronti dei serbi e dei loro diritti. Mi aveva poi colpito sapere
che i collaterali-2014 dei maggiori quotidiani, a cominciare dal Corriere della Sera, avevano raggiunto vendite
lusinghiere proprio sulla rievocazione della Prima guerra mondiale. Pensavo a diffuse nostalgie dei parenti
dei reduci. Sbagliavo. Infatti, non riuscivo a comprendere la ragione di tanto interesse da parte dei più
giovani. Sono stati alcuni studenti ad aprirmi gli occhi. Nelle loro ricerche storiche, e negli scambi di notizie
via Google, Facebook e Twitter, avevano trovato inquietanti paralleli tra gli anni che precedettero l'esplosione
della Grande guerra, dopo l'esaurimento della Belle époque, e quanto stiamo vivendo qui, adesso, nei nostri
giorni. È davvero un quadro da brividi: Stati nazionali snervati dalla sfducia e dal pessimismo; "non Stati" che
proliferano, non solo nel Medio Oriente e nei Balcani, ma anche nella nostra Europa; la grave crisi ucraina,
che richiama le pesanti eredità del passato; la Russia piegata dal crollo del prezzo del barile di greggio e
umiliata dalla caduta verticale del rublo; le crisi economiche che stanno immiserendo la classe media e
spaventando persino i ricchi, che consumano molto meno di prima; violenza cieca diffusa e dilagante. Nel
2001 ci furono gli aerei lanciati dai terroristi contro le Torri Gemelle, mentre oggi il terrorismo fai da te è
devastante. Chiunque, in Australia, negli Stati Uniti, e magari nelle nostre città europee può decidere di
scendere in strada per uccidere alla cieca. È proprio questa esplosiva miscela a diffondere la paura,
sicuramente alimentata dal cinico utilizzo dei social, che sono diventati l'incontrollato palcoscenico della
comunicazione globale. Pensate soltanto a un paradosso: il numero complessivo di cellulari, smartphone e
tablet ha superato quello degli abitanti della Terra.
Foto: Cent'anni dopo, l'interesse è dei giovani Sono i giovani i più interessati alla Prima guerra mondiale per
capire il presente.
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Contromano
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Le pétrole bon marché, un remède à la crise ?
Energie. Le prix du baril de brut a plongé de 40 % depuis juin, pour s'établir à 60 dollars environ. Di icile de
prédire les conséquences de ce nouveau choc pétrolier. La reprise économique sera-t-elle au rendez-vous ?
Rien n'est moins sûr.
-Financial Times Le monde est soudain inondé de pétrole. Une hausse brutale et inattendue de la production
ainsi qu'une demande plus faible que prévu ont fait grimper les réserves en èche, entraînant un e ondrement
des cours. Le plongeon de 40 % depuis le mois de juin du prix du brut - qui tourne autour de 60 dollars le
baril - est de loin le plus gros choc encaissé par l'économie mondiale en 2014. L'expérience du passé nous
enseigne que les conséquences seront à la fois profondes et durables. En temps normal, les économistes
ajouteraient "positives", mais cette fois ils hésitent. L'ampleur du choc est indéniable. Pendant que les
marchés et les analystes financiers étaient obnubilés par la recrudescence des tensions géopolitiques et par
les derniers revirements politiques des banques centrales américaine, européenne et japonaise, des
mouvements plus puissants sont passés inaperçus. Jusqu'en octobre, l'une des "principales p r é o c c u p a t
i o n s " du Fonds monétaire international (FMI) était une éventuelle ambée des cours du pétrole provoquée
par les tensions géopolitiques. Mais en réalité, les fournisseurs ont dû rivaliser pour trouver des acheteurs, en
raison de la hausse de la production et de la faible croissance de la demande. Malgré l'approche de l'hiver
dans l'hémisphère Nord, les stocks des pays riches n'ont pas diminué, ils ont même atteint leur plus haut
niveau depuis 2012, selon l'Agence internationale de l'énergie. Les crises en Ukraine et en Irak n'ont pas
provoqué de pénurie de pétrole ni de ambée des prix, comme l'anticipait le scénario du FMI. Bien au
contraire, c'est l'économie qui a in uencé la sphère politique. L'e ondrement du cours du baril menace
désormais le niveau de vie et les fi nances publiques en Russie, au point que c'est un pays diminué,
belliqueux - et équipé d'armes nucléaires - qui aborde l'année 2015. Au Moyen-Orient, ceux qui fi nancent les
con its en Irak et en Syrie voient leurs moyens diminuer, ce qui promet de mettre tous les belligérants en di
culté. De leur côté, les Etats-Unis sont moins disposés à faire la police dans le monde maintenant qu'ils
subviennent eux-mêmes à près de 90 % de leurs besoins énergétiques (contre 70 % en 2005). Transfert de
richesses. temps normal, l'e et d'une chute du prix du pétrole sur l'économie mondiale est clair : c'est
l'équivalent d'un plan de relance international. Mais aujourd'hui les économistes s'interrogent : le monde a-t-il
changé et d'autres facteurs comme le recul de l'in ation et un dollar fort vont-ils enrayer la mécanique
économique ? Aucune loi d'airain ne garantit qu'une dégringolade du cours du pétrole entraîne une
accélération de la croissance économique mondiale. L'e et principal de la chute des cours est un transfert
massif de richesses des pays producteurs de brut vers les consommateurs, qui bénéfi cient d'une énergie et
de transports moins coûteux, ce qui leur permet d'acheter d'autres biens et services ou de mettre de l'argent
de côté. La plupart des économistes sont toujours d'accord avec la directrice générale du FMI, Christine
Lagarde, qui déclarait en novembre que la chute des cours était "une bonne nouvelle pour l'économie
mondiale" . Un e et positif sur la croissance devrait se faire sentir car, comme l'explique Gabriel Sterne, du
cabinet d'analyse et de conseil Oxford Economics, " l e s p r o d u c t e u r s d i s p o s e n t d'excédents fi
nanciers et sont peu portés à réduire leurs dépenses, alors qu'une baisse des prix 36 (extraits) Londres
entraîne une redistribution des revenus vers ceux qui ont une plus forte propension à consommer et à
investir". L'ampleur de cet e et à l'échelle mondiale est considérable. Selon Oxford Economics, toute
diminution de 20 dollars du prix du baril entraîne une hausse de la croissance mondiale de 0,4 % sous deux à
trois ans. Les simulations du FMI arrivent à des conclusions semblables. Ainsi, la baisse actuelle de 40
dollars pourrait largement compenser le recul d'un demipoint de la croissance mondiale que prévoyait il y a
quelques mois le FMI pour la période de 2014 à 2016. Ce coup de pouce s'amplifi erait ensuite s'il provoquait
un regain de confi ance, ce qui encouragerait les entreprises à investir et à dépenser. L'e et classique de la
baisse des cours sur l'économie mondiale a beau être important, il est néanmoins toujours a aibli par les
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Transversales / Economie / FOCUS PETROLE
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mouvements de bascule qui profitent à certains pays et en désavantagent d'autres. Les grands gagnants
seront les gros consommateurs d'énergie qui dépendent fortement des importations pétrolières. Selon
l'agence de notation Moody's, les pays "confrontés à une forte in ation et qui subventionnent largement les
carburants, comme l'Indonésie et l'Inde, bénéficieront t o u t p a r t i c u l i è r e m e n t d e l a faiblesse des
prix". Après avoir analysé 45 économies, Oxford Economics conclut que les pays émergents importateurs de
pétrole seront ceux qui tireront le mieux leur épingle du jeu. Les économies les plus avancées en profi teront
aussi, bien qu'elles soient moins dépendantes du pétrole pour chaque dollar de produit intérieur brut (PIB), ce
qui signifi e que leurs gains seront proportionnellement plus faibles. De nombreux pays émergents peuvent
aussi profi ter de la baisse des prix pour réduire les subventions pétrolières, allégeant ainsi la pression sur les
fi nances publiques. Selon Nicholas Stern, de la London School of Economics, "c'est le moment idéal pour
abolir les subventions accordées au x combustibles fossiles et augmenter les taxes sur le carbone". Pour les
pays exportateurs de pétrole, les perspectives sont en revanche moins réjouissantes. Ceux qui avaient
tendance à dépenser et non à épargner leurs revenus pétroliers sont les moins préparés à la nouvelle réalité.
Selon Moody's, la Russie et le Venezuela seront les plus touchés, car ils font face à "d'importantes dépenses
récurrentes qu'il sera politiquement délicat de réduire". L'Arabie Saoudite, premier producteur pétrolier au
monde, jouit d'une plus grande marge de manœuvre budgétaire, car le royaume a épargné plus qu'il n'a
dépensé. Les marchés monétaires ont déjà fortement pénalisé les pays jugés vulnérables, faisant notamment
baisser le rouble de 40 % par rapport au dollar au cours du second semestre 2014. Profond malaise. rien
d'anormal. Mais, selon de nombreux observateurs, ceux qui anticipent une reprise mondiale pourraient bien
être déçus. Stephen King, économiste en chef à la banque HSBC, estime que c'est la morosité de la
demande en Chine, au Japon et en Europe au cours de l'été qui a été la principale cause de l'e ondrement
des prix. Selon lui, l'affirmation traditionnelle "un pétrole bon marché c'est bon, un pétrole coûteux c'est
mauvais" n'est "plus forcément vraie" . Il existe "de nombreuses situations où la chute des prix pétroliers n'est
que le symptôme d'un plus profond malaise". Par le passé, ajoute Stephen King, c'est surtout une baisse
conjointe des taux d'intérêts et de l'in ation qui a permis de tirer profit de la faiblesse des cours du pétrole.
Cela ne peut pas se produire lorsque la politique monétaire fait déjà son maximum pour soutenir l'économie
[comme aujourd'hui]. Si les ménages chinois, européens et japonais estiment qu'ils ont de bonnes raisons
d'épargner, l'augmentation de la demande mondiale sera sévèrement freinée. Et il est fort possible que les
consommateurs soient moins disposés que par le passé à puiser dans leur porte-monnaie, car le spectre
d'une faible in ation hante de nombreux pays riches. Si le recul des prix permet à la population de s'enrichir, il
peut aussi l'inciter à attendre que cette tendance s'accentue avant de consommer. De même, les entreprises
sont tentées de retarder leurs investissements. Tout cela peut avoir l'effet d'une prophétie autoréalisatrice
entraînant une croissance morne et une lente désin ation. Cette menace ne doit pas être prise à la légère.
Oxford Economics estime que si le prix du baril se maintenait à 60 dollars, 13 pays européens auraient une in
ation négative en 2015, au moins pendant quelques mois [ce qui pourrait déboucher sur la dé ation si la
baisse des prix est générale et durable]. L'histoire nous aide à évaluer le bien-fondé de ces nouvelles
craintes. En 1986, le cours du pétrole a plongé de plus de 50 % lorsque l'Organisation des pays exportateurs
de pétrole (Opep) n'a pas réussi à maîtriser l'o re. Cela a provoqué un rebond qui a accéléré la croissance
mondiale jusqu'au pic de 4,6 % atteint en 1988, un taux qui n'a ensuite été égalé qu'en 2000. En 2008, la
torpeur de la demande mondiale a entraîné une chute du cours du baril, qui est passé de 133 à 40 dollars.
Mais alors que l'on craignait la dé ation, le pétrole bon marché a contribué à la reprise de la croissance en
2010. Ainsi, l'histoire semble valider l'analyse traditionnelle selon laquelle un pétrole bon marché peut
stimuler l'économie mondiale pendant les périodes prospères comme dans les moments di ciles. Cependant,
les économistes savent bien que depuis six ans l'expérience du passé n'a pas permis d'anticiper de
nombreuses tendances économiques. Si un rebond mondial est plus probable aujourd'hui qu'il y a quelques
mois, rien ne garantit que la formule magique marchera aussi bien que par le passé. -Chris Giles Publié le 15
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Sciences ......... 37 Signaux .......... 38 Dessin de Haddad paru dans Al Hayat, Londres.
Les gagnants
(en fonction du nombre de +)
Etats-Unis ++ La chute des cours du brut pourrait ralentir la révolution du gaz et du pétrole de schiste, mais
elle reste une bonne nouvelle pour l'économie américaine, car l'argent économisé sur le plein d'essence
soulage le portefeuille de centaines de millions de consommateurs. Cela leur permettra de consacrer sur un
an 75 milliards de dollars [61 milliards d'euros] à d'autres achats - montant qui représente environ 0,7 % de la
consommation totale du pays. Les analystes prévoient une baisse des investissements dans le secteur
pétrolier, mais Goldman Sachs l'évalue à seulement 0,1 % du PIB. Quant aux perspectives pour 2015, la
banque HSBC a relevé sa prévision de croissance de 2,6 % à 2,8 %.
Zone euro + Au premier abord, la baisse des coûts énergétiques est un coup de pouce bienvenu pour
l'industrie européenne, qui a du mal à maintenir sa compétitivité par rapport à ses concurrents américains.
Pour Mario Draghi, président de la Banque centrale européenne (BCE), la chute des cours est une "nouvelle
indubitablement positive" pour les prix à la consommation. Pour Jens Weidmann, membre du conseil des
gouverneurs de la BCE, c'est comme un "miniplan de relance" . Mais l'UE redoute déjà que l'in ation
s'approche de zéro et se transforme en dé ation. Or de nombreux pays misent sur l'in ation pour alléger le
fardeau de la dette, qui étou e leur pouvoir d'achat. Mario Draghi a averti qu'un pétrole bon marché risquait
d'être associé à de bas salaires. La chute des prix a également frappé les Bourses européennes, notamment
celle de Londres, où l'indice FTSE compte de nombreuses entreprises du secteur énergétique. Plusieurs
grands
Les grands importateurs et exportateurs d'hydrocarbures en milliards de dollars* (chires en blanc) en %
du PIB* en milliards de dollars* (chires en blanc) en % du PIB* Proportion des recettes de l'Etat générées par
le gaz et le pétrole en 2013 (en %) * sur 12 mois à fin septembre 2014. Prix du brent nécessaire pour
équilibrer le budget de l'Etat d'un pays exportateur en 2014 (en dollars par baril)
projets, notamment ceux du Royaume-Uni en mer du Nord, pourraient être gelés. L'Allemagne, première
économie européenne, opère une transition vers les énergies renouvelables, mais le pétrole représente
encore un tiers de sa consommation énergétique. Toutefois, selon l'Institut Ifo, le PIB devrait croître de 1,5 %
en 2015, un quart de point étant dû à la baisse des prix du pétrole. Chine + Bien qu'elle soit le premier
importateur mondial de pétrole, la Chine ne bénéfi ciera pas tant que ça de la baisse des cours. Son
économie est en e et surtout dépendante du charbon, et seul le secteur des transports est fortement exposé
aux prix pétroliers. Les prix du diesel et de l'essence, fi xés par l'Etat, ne sont plus étroitement alignés sur le
cours pétrolier à partir de 80 dollars le baril. C'est une bonne nouvelle pour les ra neurs publics, CNPC et
Sinopec, mais pas pour les entreprises ni pour les particuliers. Les banques sont également à la merci des
grands exportateurs pétroliers, notamment le Venezuela, qui, du fait de la chute des prix, peinent à
rembourser leurs emprunts. Les perdants (en fonction du nombre de -) Arabie Saoudite -- Le premier
exportateur mondial de pétrole sera l'un des pays du Golfe les plus touchés. A 60 dollars le baril, le défi cit
budgétaire serait équivalent à 14 % du PIB en 2015, selon Moody's. Les vastes réserves de change,
estimées à 740 milliards de dollars [600 milliards d'euros], compenseront en partie l'e ondrement des prix,
mais il faudra sans doute procéder à des coupes dans les programmes sociaux qui avaient été renforcés à la
suite des troubles liés au printemps arabe. Pourtant, Riyad, poids lourd de l'Opep, a convaincu ses
partenaires de ne pas augmenter la production de brut. Venezuela --- On estime que le Venezuela perd 700
millions de dollars [568 millions d'euros] à chaque fois que le prix du baril baisse de 1 dollar. Avant même le
dernier plongeon, certains annonçaient un défaut de paiement du pays, dont 96 % des recettes d'exportation
proviennent du pétrole. L'économie devrait se contracter de 3 % en 2014, alors que la population est déjà
confrontée à une pénurie de biens essentiels et à une in ation de 63 %. Le président, Nicolás Maduro, a
déclaré que le prix équitable du pétrole était de 100 dollars le baril, mais à Caracas le cabinet Ecoanalítica
estime que le pays a besoin d'un baril à 130 dollars pour équilibrer son budget. Pour compenser une partie
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du manque à gagner, le Venezuela devrait produire davantage de brut, mais cela prendra des années dans
le meilleur des cas. Norvège - Le royaume est l'un des pays producteurs les mieux placés. Non seulement la
Norvège dispose du plus grand fonds souverain du monde - il pèse 870 milliards de dollars [706 milliards
d'euros], soit le double de son économie - mais elle peut aussi supporter des prix bas. Selon l'agence de
notation Fitch, Oslo parviendrait à équilibrer son budget, même à 40 dollars le baril. Toutefois, la dépendance
du pays au pétrole inquiète les autorités. Contre toute attente, la banque centrale a baissé ses taux d'intérêt
en novembre à un niveau historiquement bas, malgré un marché immobilier en e ervescence. Elle craint
qu'un prix du baril inférieur à 70 dollars ne pousse les entreprises à retarder certains projets, notamment dans
l'Arctique. Nigeria --- Si le Nigeria est devenu la première économie d'Afrique, c'est essentiellement grâce à la
croissance rapide du secteur des services. Néanmoins, le pétrole représente plus de 60 % des recettes de
l'Etat. Pour cette raison, une période di cile s'annonce pour le principal pays producteur de pétrole d'Afrique,
déjà frappé par la recrudescence de l'insurrection islamiste dans certaines régions du Nord. La production
pétrolière est également amputée par les vols, perpétrés à une échelle industrielle, et par le manque
d'investissements en raison de cinq années de paralysie législative sur les réformes dans le secteur. L'Etat a
considérablement réduit les dépenses pour 2015, la Bourse accuse une baisse de 23 % sur un an et le naira
reste sous pression depuis sa dévaluation de 8 % en novembre. Russie --- L'e ondrement des cours
pétroliers et la crise ukrainienne ont provoqué une véritable tempête sur l'économie russe. Le rouble, qui
avait déjà subi la pression des risques géopolitiques, a plongé depuis que la chute des cours s'est accélérée.
De ce fait, le fardeau de la dette contractée par les banques et les entreprises à l'étranger (600 milliards de
dollars [487 milliards d'euros]) s'alourdit de jour en jour, alors que les sanctions occidentales empêchent la
plupart des emprunteurs de faire appel aux banques américaines ou européennes. Comme la Russie dépend
des importations pour presque tout hormis les matières premières, l'in ation devrait atteindre 10 % à la fi n
2014. -Financial Times Andres Schipani (Caracas), Kathrin Hille (Moscou), Robin Harding (Washington),
Lucy Hornby (Pékin), Richard Milne (Stockholm), Jeevan Vasagar (Berlin), Christian Oliver (Bruxelles),
William Wallis and Anjli Raval (Londres).
Les compagnies aériennes en profitent Le secteur aérien est l'un des grands bénéfi ciaires de la chute des
cours du pétrole : le carburant représente en e et plus de 30 % des coûts des compagnies. Pour autant,
prévient The New York Times, le prix des billets "ne devrait pas baisser de sitôt". Même la surcharge pour
carburant imposée par les compagnies - elle peut atteindre 500 dollars (400 euros) pour un aller-retour
intercontinental - risque fort d'être maintenue. L'explication est double, selon le quotidien américain. D'abord,
les transporteurs achètent une partie de leur kérosène à l'avance, à un prix déterminé. Ils devront donc
attendre plusieurs mois avant de profi ter de la baisse des cours. Ensuite, "les compagnies ne sont guère
incitées à baisser leurs tarifs", car elles n'ont actuellement aucun mal à remplir leurs avions. Du coup , "la
majeure partie de leurs bénéfi ces est réinvestie dans leurs opérations ou redistribuée aux actionnaires sous
forme de dividendes ou au personnel sous forme de primes". Les investissements visent essentiellement à
améliorer le confort des voyageurs les plus rentables - ceux qui choisissent la classe a aires -, dans les
avions comme dans les aéroports. Et l'argent ne devrait pas manquer : selon l'Association internationale du
transport aérien, qui prend pour hypothèse un prix moyen du pétrole de 85 dollars le baril, les bénéfi ces de la
branche augmenteront de 26 % en 2015, pour atteindre le niveau record de 25 milliards de dollars (20
milliards d'euros).
"Cheiks versus [pétrole de] schiste : la nouvelle économie du pétrole", titrait The Economist le 6 décembre.
Le boom de la fracturation hydraulique aux Etats-Unis aggrave la surproduction mondiale, explique
l'hebdomadaire britannique.
Plongeon (en dollars/baril) Cours du brent à Londres
Foto: ARABIE SAOUDITE
Foto: Dessin de Falco, Cuba.