Che tesoro di santa! - Città Metropolitana di Catania

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Che tesoro di santa! - Città Metropolitana di Catania
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RICORRENZE
Anche quest’anno il centro storico ha visto
scorrere la solenne processione con il busto
reliquiario della giovane martire catanese, cui
abbiamo reso onore con l’omaggio floreale del
presidente Musumeci, e l’atteso “battesimo”
della Polizia provinciale in occasione della festa.
Agata non è solo patrona etnea, ma anche
di San Marino: motivo che ha spinto
l’Amministrazione di Palazzo Minoriti a invitarne
una delegazione per avviare il progetto
di un ricco scambio economico e culturale
Che tesoro di santa!
l trecentesco busto-reliquiario di
sant’Agata adorno delle magnifiche
gioie, ci appare come una perfetta
silloge della Parola di Dio, secondo
il linguaggio medievale delle
gemme; gemme incastonate nell’oro il nobile
metallo simbolo dell’eternità e del trionfo.
Quest’unico sfavillio, che è al contempo
capolavoro della natura e dell’uomo, è dato da
quasi 400 pezzi: anelli e croci vescovili, ciondoli, collane, spille, medaglie, anelli, onorificenze,
fiori. I loro elementi d’estetica e tecnica forniscono un’analisi completa della storia del gioiello
siciliano dal XV° al XX° secolo.
I gioielli oggi allogati sul busto sono il frutto di una scelta, effettuata nel 1915 dall’allora
arcivescovo di Catania il cardinale Giuseppe
Francica-Nava, il quale volle mantenere gioie di
particolare raffinatezza e valore venale.
Tra loro spiccano la celebre corona in oro,
posta sul capo, costituita da 13 placche arricchite da altrettanti fiordalisi. La tradizione asserisce
che sia stata dono del re d’Inghilterra Riccardo
Cuor di Leone; gli studiosi pur concordando che
il manufatto sia stato confezionato per un
regnante, data l’elaborazione, non sono in grado
di indicarne il possessore.
Ricoprono il busto la sfavillante croce pettorale in smeraldi e brillanti del già citato cardinale Francica Nava, croce donata e fatta confezionare – si narra- con tutti gli smeraldi posseduti dalla madre, da orafi romani; la croce pettorale del Beato Card. G. B. Dusmet, che tante
volte, lo stesso, portò al Monte dei Pegni per
soccorrere i più bisognosi; ed ancora le croci pet-
I
Sul
prezioso
busto
reliquiario,
la storia
del gioiello
siciliano dal
XV secolo
torali dei vescovi catanesi: Deodato, Ferro,
Ferrais, Patanè, Ventimiglia. Quest’ultima –
secondo le volontà del presule- deve essere venduta in caso di necessità e il ricavato distribuito
ai poveri.
Tra gli altri magnifici pezzi ci piace ricordare i particolari ciondoli, posti nella parte anteriore bassa del busto, realizzati in oro, smalti, perle
o corallo a forma di ranocchio, di cane, d’angelo
che lancia una freccia su un drago marino, di
lanternino, di suonatore di chitarra, di struzzo e
d’aquilotto; altri due, davvero deliziosi, raffigurano uno, una sirena reggente con la destra il sole
(un rubino inciso) con la sinistra una corona; il
secondo una vittoria alata coronata, reggente
con la sinistra una palma e con la destra un
mazzo di fiori, oggetti che ci rimandono a quelli esposti al Museo degli Argenti di Firenze.
Tra i numerosi anelli, perlopiù in smeraldo
e brillanti, vogliamo ricordare l’anello in oro con
una grossa ametista girato da 12 brillanti offerto
dalla regina Margherita di Savoia nel 1881 allorquando venne in visita nella città dell’elefante
con il consorte il re Umberto; ed ancora l’anello
con topazio orientale dono del vescovo catanese Bonadies, un anello di oro con il volto di
Cristo in corallo di fattura trapanese.
Arricchiscono il tesoro della Martire Agata
numerose collane e cinture, poste nella parte
anteriore e principalmente in quella posteriore,
ove si stendono a tutto contatto serrato formando come una gradita tessitura che copre completamente le spalle; tra quelle poste sul davanti
merita attenzione la bellissima collana in ametiste dono della Baronessa Zappalà, posta sotto la
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mano sinistra. Delle cinture ricordiamo quella in
oro smaltato con lo stemma di Giulio Tudisco,
quella a maglie ovali con la medaglia in oro con
un santo e con lo scudo della famiglia Gravina.
Altri ex-voto di particolare ricercatezza
sono: un fiore smaltato con smeraldi donato da
Mario Angelo Tudisco, una crocetta di Malta di
33 brillanti, un anello di brillanti dono del Gran
Priore Paternò Raddusa, la croce d’oro che tiene
la Vergine Agata nella mano destra adorna da 10
smeraldi dono del vescovo di Catania Mons.
Secusio Bonaventura, databile agli anni del suo
vescovato 1609-1618.
L’argenteo busto-reliquiario è custode della
croce della Legion d’Onore con la quale Luigi
Filippo D’Orleans, sovrano dei francesi, insignì,
nel 1835, Vincenzo Bellini. La Croce fu donata
alla concittadina Agata dai familiari del Cigno nel
1876, in occasione delle feste belliniane, svoltesi per il ritorno dei resti mortali del compositore.
La devozione alla Patrona di Catania non è
prerogativa dei soli catanesi: ciò lo testimonia la
croce pettorale, in topazi gialli, del Beato Papa
Pio IX nel cui rovescio, entro una corona di spine
si Legge: 1877 PIO IX OFFRI’ 6 GIUGNO;
Una piccola croce in oro e lapislazzuli,
donata dal monaco Dom. Cesare Goto di
Messina; Una croce di Malta d’oro con una corniola in mezzo offerta da D. Diego Pappalardo di
Pedara. I tempi moderni non hanno cancellato
nei catanesi la gioia di offrire alla loro Patrona
“preziosi” come testimonianza d’affetto, profonda devozione o per grazia ricevuta.
Antonio Torrisi
La sfida Catania-Palermo
La “quistione” tutta palermitana e catanese nel contendersi la cittadinanza di sant’Agata fu talmente accesa,
dai primi del ‘600 alla fine del ‘700, che ad un certo punto
si arrivò, fra i dotti fautori delle due fazioni, pungenti
insulti, come avvenne da parte dell’erudito Francesco
Serio, palermitano, nei confronti del nobile Giacinto
Paternò Boinaiuto, sostenitore accanito “e giusto della
catanesità della regina delle vergini e martiri siciliane”.
Al Serio si aggiunse il Torremazzo, e un prelato, l’abate Scinà, formando così – dice lo storico catanese
Castorina – “un campo di battaglia senza utilità e della
Chiesa e della buona letteratura nazionale”.
La polemica era nata nel 1601 quando un anonimo
ricercatore di Palermo diede alle stampe un opuscolo riportante alcune asserzioni del pio Metafraste, scrittore greco
del IX secolo, che portava dati e indizi a favore dalla nascita della santa non a Catania, come fino ad allora mai
messa in discussione, bensì nella capitale dell’Isola. Tale
“scoperta” naturalmente scatenò l’entusiasmo fra i fedeli
palermitani e sconcerto fra quelli dell’altra sponda, mentre
da parte degli eruditi di Palermo si rafforzarono le ricerche
per ben più consolidare “tal loro pretesa”. La diatriba
venne addirittura posta all’attenzione del pontefice
Benedetto XIV, che apertamente se ne disinteressò poiché
“la grande Chiesa celebra nei suoi altari martiri e santi e
non i loci ove ebbero i natali”. Fallita che fu anche la
“sacra missione”, le parti avverse non mollarono e tentarono allora di accaparrarsi giudizi compiacenti di letterati e
storici per così avere, a fianco delle loro tesi, voci di peso
a livello nazionale. Ma anche questi tentativi fallirono,
nessuno degli eruditi interpellati volendosi impantanare in
questa controversia così delicata in cui avrebbero rischiato di grosso.
Ben altre contese erano precedentemente avvenute:
per esempio quella al tempo di Clemente VIII, tra un gruppo di eruditi palermitani contro il venerando padre
Bernardo Colnago, catanese. A tutt’oggi la pratica è soltanto dischiusa, i palermitani dedicandosi con più costrutto, a venerare la loro santa Rosalia, e i catanese a onorare
con la passionalità di sempre Agata. Sotto sotto però il
fuoco non è ancora spento. Ci pensò a rinfocolarlo, alcuni anni addietro, lo studioso catanese Giarrizzo pubblicando sul quotidiano La Sicilia, e in bella mostra, un suo
lavoro (“Ma Agata necque a Palermo”) che inopportunamente uscì proprio il giorno – o nei giorni – in cui si
festeggiava la patrona di Catania. Non volendo entrare in
merito all’età della santa (le note più accreditate la danno
morta a quattordici anni) ci pare nebulosa l’origine della
famiglia tant’è che il cardinale Baronio (1538-1607), non
sapendo nei suoi sforzi di ricerca, precisarne una, ne enumera ben sette! Fra le più probabili, ci fa sapere, ci sarebbero le famiglie degli Asmari, Anzalone, o Antiflores,
oriunda palermitana e dei Colonnesi, di origine romana.
Sconoscendo la famiglia viene impossibile identificare la
casa ove nacque anche se la tradizione individua la casa
paterna nell’attuale Museo Biscari. Comunque sia Agata è
storicamente esistita e subì un atroce martirio pur di non
abiurare la fede cristiana. E questo è certo. Tutto il resto (la
tavoletta di marmo deposta da un angelo, accanto al capo
della martire, oggi custodita a Cremona; la lava fermatasi
più volte davanti al suo velo; e altri miracoli nel corso dei
secoli) non è altro che appassionata coloritura popolare,
mano a mano ampliatasi in seguito a immaginazioni, favolette e casualità. E che la Santuzza, se il paradiso esiste
realmente, mi perdoni.
Aldo Motta