Sempre caro mi fu quest`ermo Collio

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Sempre caro mi fu quest`ermo Collio
Tre cantine, tre signore del vino e tre piatti preparati
da una chef. Ecco l’incontro enogastronomico
di mezza estate in questa collina bagnata dall’Isonzo
friuli venezia giulia
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di frontiera
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Sempre caro
mi fu
quest’ermo Collio
di Leila Salimbeni foto di Alberto Moretti
In questa pagina, vista del Collio dall’Argine a Vencò di Antonia Klugmann e Romano De Feo, ristorante dove si incontrati i tre produttori di questa zona protagonisti di questa liaison
tra la storia della loro cantina, i loro vini e i piatti della chef appositamente preparati per l’occasione. A fianco, da sinistra, Elena, la compagna di Marco Felluga, titolare dell’omonima
cantina, Barbara Pali di Castello di Spessa e Rossella Livon della cantina di famiglia con i vini protagonisti di questo incontro: Russiz Superiore, Sauvignon Segrè 2015 e Braide Alte 2014.
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Regione nella regione, il Collio è un cucuzzolo screziato di terrazze pettinate, balconcini scanditi dalla zigrinatura ordinata dei
filari che, ovunque, si intrecciano nel reticolo parallelo e perpendicolare di un disegno che potrebbe sembrare tanto gioco quanto
giardino, in una parola: labirinto. Costituito nel 1964, il Collio è la
terza Doc più antica d’Italia, e alla vocazione dei suoi consociati,
tanto rurale quanto illuminata, si unisce una concentrazione tale
sul territorio che al visitatore di primo pelo sembrerà naturale, se
non addirittura provvidenziale, perdersi tra i tentacoli delle sue
seduzioni: dall’altissimo livello della sua proposta gastronomica,
antica e peculiarissima, alla stratificazione di quella enologica.
Ovunque, poi, le lusinghe di centri abitati come per esempio Cividale del Friuli, con le sue otto chiese, lo strapiombo del Ponte
del Diavolo, il tempietto longobardo e l’ipogeo celtico, e Cormons,
col suo bon ton dignitoso e colorato forte di un’estetica passata e
benedetta dal tempo di matrice asburgica. Il tutto, a formare la
cornice di un’amenità senza compromessi, al punto che le uniche
fabbriche che ivi sopravvivono sono vecchi mobilifici lasciati a
mo’ di monito a ricordare che qui il futuro è sì nella presenza di
realtà vivaci come Calligaris, certo, ma anche nella campagna,
negli scenari aperti dalle viti e dagli ulivi e che tanto dicono del
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Livon, custodi del terroir
Alla direzione dei fratelli Tonino e
Valneo partecipano le donne, tra
cui Rossella (qui sopra, a sinistra,
con il Braide Alte 2014 abbinato
al carré di vitello con acetosella,
purè di cannellini e acqua di mandorle) e i rispettivi figli, i cugini in
primo grado Matteo e Francesca,
divisi l’una tra l’amenità raccolta
dal «clos» del relais di charme in
stile country-chic di Villa Chiopris
e l’altro tra le manifestazioni e i
centri aziendali distribuiti tra Dolegnano e Ruttars. In che cosa
consiste il loro lavoro? Come sostiene Piero Zaramella, export
manager ormai membro di questa grande e numerosa famiglia, è
quello di esaltare le differenze di
questo inimitabile e inestimabile
terroir di cui Villa Chiopris, appunto, è rappresentante (www.livon.it).
La vocazione per il vino ma anche luoghi dove l’ospite è il re
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Castello di Spessa, ospitalità d’eccellenza
Barbara (qui sopra, con Sauvignon
Segrè 2015 abbinato al coniglio
disossato e ripieno del suo stesso
succo, di mele, pane e lardo) e Loretto Pali sono i custodi del Castello di Spessa dove l’ospitalità trova
la massima espressione nelle sue
forme più eleganti: ecco le 18 buche tra le vigne del campo da golf
o il menù del ristorante gourmet
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La Tavernetta fino al salottino dove trova dimora il bistrò di Paolo
Span, Il Gusto di Casanova asilo di
una proposta culinaria cucita sulla
carnosità del crudo in tutte le sue
ricercate declinazioni. E poi c’è il
vino (nell’altra pagina, i vigneti) e
l’irretimento definitivo innescato
dal Pinot nero; in una parola: irresistibile (www.castellodispessa.it).
carattere friulano dove il passato e il futuro sapientemente si mescolano, e dove convivono lo zelo e la parsimonia, la leggerezza e
la solidità, la laboriosità e l’edonismo.
Come fa per esempio Livon che, nata nello stesso anno del Consorzio, non ha fatto che migliorarsi al fine di poter investire nel
rinnovo, anche generazionale, dell’azienda, che asseconda come il
naturale susseguirsi delle stagioni sia nella vigna quanto nella vita. Ed è infatti nelle ampie e ariose camere che la dimora immerge
l’ospite nella pace di un mondo che ha saputo edificare la propria
identità nel territorio che ancora oggi interpreta preservando viti antiche fino a oltre ottant’anni, aprendo al visitatore un museo
ampelografico a cielo aperto di cui godere da angoli privilegiati,
come per esempio la terrazza dell’acetaia, divertissement famigliare affacciata sopra le viti del grandissimo Braide Alte e quelle,
accanto, dedicate invece all’indimenticabile Friulano o, pardon,
Manditocai che significa, appunto, «Ciao Tocai!».
Analoga sensibilità, ma calata in un contesto fiabesco e fatato,
è quella che si respira a Castello di Spessa, dimora di Barbara
e Loretto Pali nonché di tutti coloro che qui si spingeranno per
assecondare, oltre allo spirito di vino, i più legittimi pretesti: dalla
necessità di scoprire l’affascinante campo da golf tra le vigne fino
all’urgenza di celebrare l’anniversario per antonomasia e questo
sebbene anche il single, troverà illustri pretesti e prodromi come
il Casanova, che ivi dimorò nel 1773 e che da qui fu cacciato,
guarda caso, per aver corteggiato, e naturalmente conquistato,
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la serva di cui si era invaghito, ma senza successo, anche il suo
ospite, il conte Ludovico Torriani. E al Casanova qui ci si rivolge tramite citazioni tessute nell’ordito aziendale, come il menù
del ristorante gourmet La Tavernetta oppure del bistrò Il Gusto
di Casanova, appunto, asilo di una proposta culinaria cucita sulla carnosità del crudo in tutte le sue ricercatissime e passionali
declinazioni. Completa il quadro enologico e familiare di questo
Collio, Russiz Superiore, la seconda realtà creata da Marco Felluga qui rappresentato dal figlio Roberto, signore di un mondo antico e cavalleresco cui si accede da un varco nella collina omonima.
È questo il luogo del piacevole letargo delle barrique, ingresso
a un interno solenne che, aprendosi, inibisce il lavorio di muffe
secolari le quali, come fiori, tutto avvolgono e tutto proteggono. Ad
alleggerire e allietare la carrellata di stemmi, effigi e i fantasmi
delle passate generazioni arrivano Elena, la compagna di Roberto,
e la cagnolina Vic le quali, come per magia, riescono a rendere gli
ambienti e i vini semplicemente di casa.
Eccoli qui, quindi, questi produttori riuniti, insieme, in una mattinata di mezza estate in un luogo che, anch’esso, pare esistere
da sempre ma che invece ha aperto i battenti da appena un anno
e sette mesi: siamo a L’Argine a Vencò di Antonia Klugmann e
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Russiz Superiore, dimora dei reali
Elena (qui sopra, con Russiz Superiore abbinato a risottino in bianco
burro e salvia) è la compagna di
Roberto Felluga, figlio di Marco. In
questa leggendaria azienda si narra abbia dormito persino Vittorio
Emanuele II, ma in questo luogo
reale tutto riesce a diventare famigliare. Anche i vini, in un certo
senso, somigliano ai loro proprietari: longevi e delicati, stratificati
nella frutta, nelle erbe aromatiche
e nell’abitino cucito loro addosso
dal legno; vini raccolti e compiti che
fanno sussultare, ma senza sensazionalismi, come fa per esempio il
Pinot grigio e il Sauvignon mentre il
Rosso degli Orzoni, assaggiato nella
versione 2005, è un nettare nobile
e ombroso che si concede a poco
a poco sapendo lusingare non poco il bevitore (www.marcofelluga.it).
Costituito nel 1964 il Collio è la terza Doc più antica d’Italia
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Antonia Klugmann, sapori secondo natura
L’Argine a Vencò è il buen retiro di
Antonia Klugmann (sopra) e Romano De Feo, meta del pellegrinaggio
di curiosi, esteti e gourmet che dal
limitrofo mondo austroungarico arrivano qui, in questo luogo secondo
natura nella costruzione, posizione
e piatti, a pretendere ciascuno la
sua porzione di amenità. Peraltro
è qui che finisce la strada, nella
campagna, declinazione materiale
di un paesaggio e di un passaggio,
sì, ma interiore, culla per l’anima e
materializzazione di un’attesa, per
esempio, come attesa è il confine,
vicino, tra Italia, Austria e Slovenia.
Ma poiché alla geopolitica preferiamo il trompe l’oeil, ecco che il confine diventa argine, appunto, figurativo e allegorico (largineavenco.it).
Romano De Feo. Il ristorante, a Dolegna del Collio in provincia
di Gorizia, è avviluppato dal fiume e sviluppato per lungo imitandone il letto e i suoi contenuti fatti di sassi, legni, colori, forme e
materiali che innescano e che trasportano, come una corrente sì,
ma dolcissima, l’ospite disposto a lasciarsi andare, a naufragare,
anche, tra le lusinghe di una cucina proteiforme e metamorfica,
appunto, come l’acqua, che è sia veicolo sia veicolato.
E come in natura, dove tutto si tiene, tutto tengono e trattengono i refoli delle erbe aromatiche quale leitmotiv tanto del pasto
quanto dei vini, accordati sapientemente da Antonia e Romano
a partire dalla fresca ouverture sul modello di un consommé, ma
di zucchine, con un pesto di basilico e skuta, ossia una ricottina
maison che è tutto un flirt col Friulano di Russiz Superiore, mentre il coniglio, disossato e ripieno del suo stesso succo, di mele, di
pane e di lardo, è di struggente consistenza e freschezza nella balsamicità delle erbe che lo adornano e che rimano col Sauvignon
Segrè 2015 di Castello di Spessa, coi suoi refoli di menta e di pesca bianca. Arriva quindi, secondo Romano, «un piatto da Tocai»,
ovvero un risottino in bianco burro e salvia che è la quintessenza
della rarefazione, dell’infusione, e che ci riporta da capo, a Russiz Superiore. Quindi l’acme: un carré di vitello con acetosella,
purè di cannellini e acqua di mandorle che, in combo col Braide
Alte 2014 di Livon, con le sue suggestioni di mandorle, vernici e
albicocche, ci traghetta in una dimensione di pura libidine: in un
sogno, insomma, di nome Collio.
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