Il particolare trattamento economico degli Avvocati pubblici

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Il particolare trattamento economico degli Avvocati pubblici
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Avvocatura
Il particolare trattamento
economico degli Avvocati pubblici
di Paola Cosmai
Avvocato
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Dopo aver esaminato gli aspetti macro-organizzativi e del trattamento giuridico degli
avvocati delle amministrazioni pubbliche locali, si completa l’excursus con la disamina di
quello economico, altrettanto specifico e discusso
Il trattamento economico: il rimborso
della tassa di iscrizione all’Albo
Premessi e richiamati gli aspetti salienti del trattamento giuridico degli avvocati degli enti locali (1),
incentriamo ora l’attenzione su quello economico.
Occorre innanzitutto precisare che non rientra tra
le voci del trattamento retributivo il rimborso della
tassa di iscrizione all’Albo, cosı̀ come erroneamente assunto da talune amministrazioni locali allo scopo di denegarlo in ragione della mancata previsione
nei relativi contratti nazionali collettivi di lavoro e,
per l’effetto, del generale divieto recato dall’art. 45,
D.Lgs. n. 165/2001, di corrispondere emolumenti
non autorizzati dalle fonti pattizie.
Invero, come ricordato dalla giurisprudenza (2) di
prossimità, l’erogazione da parte dell’ente datore
di lavoro al dipendente di una somma di danaro
ha natura retributiva quando è diretta a remunerare
la prestazione resa dallo stesso, avendo, viceversa,
natura di rimborso quante volte essa sia finalizzata
a reintegrarne il patrimonio inciso da una spesa
strumentale all’esecuzione della prestazione di lavoro.
Di talché il pagamento della tassa annuale di iscrizione all’Albo professionale e, segnatamente, nell’elenco speciale annessovi, rientra in quest’ultimo
genus, risultando essenziale all’esercizio dello jus
postulandi del professionista dipendente, peraltro
a totale ed esclusivo vantaggio dell’amministrazione di appartenenza stante il divieto, inderogabile, di
esercitarlo in favore di soggetti diversi.
Conforme, del resto, il consolidato orientamento
della Suprema Corte, che, confermando l’indirizzo
per cui è a carico del datore di lavoro tutto ciò che
sia necessario a consentire al dipendente di espletare la propria attività lavorativa, ha espressamente
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statuito che spetta alla pubblica amministrazione
di appartenenza il pagamento della quota annuale
di iscrizione dell’avvocato pubblico dipendente all’elenco speciale annesso all’Albo professionale (3).
Peraltro sulla rimborsabilità della tassa, oltre ai Tribunali di prossimità (4), si è espresso finanche il
Consiglio di Stato, nel parere 23 febbraio 2011,
n. 678, reso su un ricorso straordinario promosso
da diversi legali di un’Avvocatura pubblica.
Muovendo dal presupposto che sussiste un rapporto di esclusività che lega il dipendente e l’ente pubblico e che la prestazione resa assume carattere di
continuità, i Giudici di Palazzo Spada giungono alla condivisibile conclusione che la tassa in questione deve rimanere a carico dell’amministrazione di
appartenenza, quale unica beneficiaria dei risultati
ottenuti dall’avvocato pubblico, analogamente a
quanto disposto dall’art. 1719 c.c. in tema di mandato.
Né, ricorda il Consesso, richiamando gli assunti del
Giudice di legittimità, tale esborso può essere compensato con l’indennità di toga, in quanto quest’ultima ha carattere retributivo, e non può neppure essere considerata come costo sostenuto nell’interesse della persona, al pari delle spese universitarie.
Tuttavia, corre l’obbligo di precisare il netto disNote:
(1) Cfr. P. Cosmai, ‘‘Avvocature interne alla p.a.: aspetti macro-organizzativi e
status giuridico dei dipendenti’’, in Azienditalia il Personale, n. 8-9/2013, pag.
381.
(2) Trib. Treviso, sez. lav., G.U. dott. De Luca, 26 novembre 2010, n. 563.
(3) Cass., sez. lav., 20 luglio 2007, n. 3928.
(4) Ex multis: Trib. Potenza, sez. lav., 25 gennaio 2011, n. 152, in Guida al Pubblico Impiego, 2011, n. 4, 25, con nota di Lavieri.
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senso tanto dell’A.Ra.N., che con parere 5 giugno
2002, V6.27, ha sostenuto che l’avvocato dipendente di una pubblica amministrazione, pur operando esclusivamente a favore di questa, ha un interesse proprio a mantenere l’iscrizione all’albo e, quindi, non è possibile procedere al rimborso della relativa tassa, quanto del Giudice contabile - sezione
autonomie, che, con parere 21 giugno 2007, n.
6935/C21, ha affermato che, pur se l’iscrizione rappresenta un requisito per l’accesso al posto, la stessa è mantenuta nell’esclusivo interesse dell’ente e
procura, al dipendente avvocato, i benefici economici riconosciuti da norme di legge e contrattuali,
in caso di soccombenza della controparte. Secondo
la Corte dei conti non è presente, nel nostro panorama legislativo o contrattuale, una norma che
autorizzi l’ente ad assumere, a proprio carico, l’onere della tassa di iscrizione all’albo: rappresentando, quest’ultima, un requisito per l’assunzione del
dipendente, è lo stesso lavoratore che ne deve sopportare la spesa (5).
Orientamento restrittivo che, tuttavia, nella sedes
materiae, deve ritenersi di valenza recessiva per
la lapalissiana considerazione che, in caso di contestazione dell’eventuale diniego opposto alla richiesta di rimborso del legale, sulla questione sarà competente a decidere il Giudice del lavoro, espressosi
in favor lavoratoris ormai da lungo tempo e in maniera costante.
Mutatis mutandis, deve ritenersi dovuto anche il
rimborso delle spese necessarie all’attivazione della
posta elettronica certificata, individuale, per ciascun avvocato dipendente, stante la sua obbligatorietà secondo le recenti novelle del codice di rito.
Le competenze professionali:
la loro disciplina pattizia
Ai soli avvocati dipendenti delle Avvocature pubbliche, con esclusione del personale amministrativo
che, ancorché abilitato, non sia iscritto nell’elenco
speciale e non rivesta tale funzione nell’organigramma dell’ente (6), sono dovuti i diritti e gli
onorari, cd. propine, oggi denominati ‘‘competenze
professionali’’ a seguito dell’abolizione delle tariffe forensi e calcolati secondo il D.M. 20 luglio
2012, n. 140, per le cause in cui hanno patrocinato
per l’ente di appartenenza, tanto in caso di condanna della controparte al loro pagamento, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., tanto in caso di sentenza favorevole
che ne abbia disposto la compensazione tra le parti.
Spese, che, come noto, includono tanto quelle cd.
di giustizia, ossia quelle di natura tributaria dovute
per l’accesso alla Giustizia (quali, ad esempio, il
versamento del contributo unificato per l’iscrizione
a ruolo della causa, le spese di notifica degli atti
etc.) quanto quelle cd. legali, cioè gli emolumenti
professionali da corrispondere al legale.
Prebende, prima della citata novella, fissate con decreto del Ministero della Giustizia, con la cd. tariffa
professionale, periodicamente aggiornata, da ultimo con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, in G.U. 18
maggio 2004, n. 115, Serie Ordinaria, acquisiti i
pareri del Consiglio Nazionale Forense e del Consiglio di Stato.
Tariffa, come era dato evincere dalla relazione di
accompagnamento, informata ad un generale principio di ragionevolezza, che, traendo origine dall’impianto di quella previgente del 1994, era volto
a migliorarla, fissando per ciascuno scaglione di
valore delle cause direttamente l’importo minimo
e massimo degli onorari, evitando il macchinoso
calcolo percentuale secondo le aliquote in aumento
rispetto allo scaglione base previsto dalla tabella
del 1994.
La Tariffa si componeva, quanto ai giudizi civili,
Note:
(5) In termini Corte dei conti, sez. reg. Lombardia, 22 settembre 2009, n. 655.
(6) Sono perciò da ritenersi illegittimi quei regolamenti che prevedano l’erogazione di una percentuale di tali propine al personale amministrativo, violando
gli artt. 2 e 45, del D.Lgs. n. 165/2001, che vietano l’erogazione di trattamenti
economici non previsti espressamente dai contratti collettivi di riferimento,
che, nel caso di specie, contemplano siffatti emolumenti solo per il personale
togato. In termini A.Ra.N. parere Ral 1176, secondo cui «destinatario della
stessa è solo ed esclusivamente il personale formalmente inquadrato nello
specifico profilo di avvocato ed assegnato all’ufficio dell’Avvocatura dell’ente;
l’art. 27 del Ccnl del 14 settembre 2000, nella sua formulazione testuale, facendo espresso riferimento alle sole Avvocature formalmente costituite secondo i rispettivi ordinamenti e rinviando, per la corresponsione dei compensi
professionali, ai principi di cui al R.D. n. 1578/1933, non ha inteso riferirsi, indistintamente, a tutti coloro che svolgono funzioni di rappresentanza o difesa
dell’ente (nozione ampia, nella quale potrebbero essere ricompresi, ad esempio, anche gli addetti all’ufficio del contenzioso che, ai sensi degli artt. 12,
D.Lgs. n. 165/2001 e 417bis del c.p.c. difendono l’amministrazione nei giudizi
di primo grado davanti al giudice del lavoro), ma solo ai professionisti legali in
servizio presso le Avvocature degli enti formalmente costituite secondo i rispettivi ordinamenti ed iscritti nell’elenco speciale dell’albo degli avvocati patrocinanti le pubbliche amministrazioni; trattandosi di compensi ‘‘professionali’’ che possono essere corrisposti esclusivamente agli avvocati in servizio presso gli enti locali a seguito di sentenza favorevole agli stessi, si esclude radicalmente che la medesima disciplina possa essere estesa, in via analogica, anche
ad altre categorie di personale non rientranti espressamente nell’ambito di applicazione del citato art. 27 del Ccnl del 14 settembre 2000; conseguentemente, non si ritiene in alcun modo possibile che una parte dei compensi possa essere utilizzata, sulla base di una autonoma regolamentazione amministrativa adottata dall’ente, per corrispondere compensi incentivanti ad altre
categorie di personale amministrativo; il trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale delle pubbliche amministrazioni è solo quello
espressamente stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro e, sulla base
delle prescrizioni di questi ultimi, quello definito dai contratti collettivi decentrati integrativi, come chiaramente disposto dall’art. 2, c. 3, e dall’art. 45, c. 1,
D.Lgs. n. 165/2001; nessuna disposizione contrattuale autorizza la erogazione
dei compensi di cui si tratta anche a favore del personale amministrativo ancorché in servizio presso il Servizio avvocatura dell’ente».
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amministrativi, tributari ed equiparati, di due tabelle, una, quella B, per i diritti, dovuti in misura fissa
e calcolati esclusivamente secondo il valore della
controversia, afferendo alla cd. attività procuratoria
(vale a dire il compimento dei cd. adempimenti); e
una, quella A, per gli onorari, oscillanti da un minimo ad un massimo a seconda sia dell’Autorità
giudiziaria innanzi alla quale risultava incardinato
il giudizio, sia dello scaglione di valore del medesimo, da liquidarsi secondo il prudente apprezzamento del giudice, se liquidati da questo nel provvedimento, ovvero del medesimo avvocato, se oggetto di nota spese al cliente, ovvero da depositarsi
in giudizio prima della decisione per la conseguente liquidazione giudiziale, afferendo alla cd. attività
defensionale (vale a dire lo svolgimento dell’attività professionale, intellettuale).
Diversi i criteri per la quantificazione delle spese
legali, sempre dovute dal cliente, indipendentemente dalla statuizione del magistrato (art. 2 del D.M.
2004 cit.), tra cui, in parte superati dalla recente riforma, quello dell’inderogabilità dei minimi; mentre, tal’altri rifluiti nella medesima, quali quello
della particolare complessità della controversia, ovvero dei vantaggi che il cliente abbia conseguito.
Già con D.L. 4 luglio 2006, n. 223, non convertito
in parte qua, il legislatore aveva cercato di intervenire abrogando i minimi tariffari, ma un più radicale e deciso intento riformatore si è avuto agli inizi
dell’anno scorso con il cd. Decreto Salva Italia, ossia con l’art. 9, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, abrogativo tout court del D.M. n. 127/2004.
L’intento della riforma era quello di innescare, mediante l’eliminazione delle tabelle economiche di
remunerazione, nei diversi ambiti professionali un
circuito virtuoso di concorrenzialità per far ripartire
l’economia italiana, attraverso la libera contrattazione tra cliente e legale del compenso dovuto all’atto del conferimento dell’incarico (art. 9 cit., c.
3), previa indicazione della polizza assicurativa
per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale e, ove richiesto, della sottoscrizione del
preventivo formalmente predisposto, se del caso tenuto conto dei nuovi parametri da fissarsi, in prosieguo, dal competente Dicastero.
In disparte le ricadute pratiche (7) innescate dal
vuoto normativo scaturente dall’abrogazione delle
precedenti tariffe, in assenza della contestuale approvazione dei nuovi parametri ministeriali e variamente risolte dalla prassi sia attraverso il ricorso alle vecchie tabelle, degradate ad ‘‘usi’’ commerciali
comunque sino ad allora impiegati ai sensi dell’art.
2233 c.c. (8), sia attraverso questioni di costituzionalità (9), in sede di conversione il Parlamento ha
provveduto ad apportare i correttivi necessari, introducendo con la legge 24 marzo 2012, n. 27, la
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previsione al c. 2, secondo periodo, art. cit., del
«termine di centoventi giorni successivi alla data
di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto» per l’adozione dei nuovi parametri, nonché la disciplina transitoria con il comma 3,
secondo cui: «3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque,
non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»; e, da ultimo, la sostituzione dell’ultimo periodo del comma 3, divenuto comma 4 in
sede di conversione, prevedendo che «4. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito,
nelle forme previste dall’ordinamento, al momento
del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di
complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico e deve altresı̀ indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le
singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi».
I nuovi parametri giudiziali di liquidazione sono
poi intervenuti con il D.M. Giustizia 20 luglio
2012, n. 140, in vigore dal 23 agosto 2012, ispirato
da un lato, ad esigenze contenitive, riassunte nei
principi di onnicomprensività ed unicità, rispettivamente remunerando i compensi tanto l’attività principale, quanto quelle accessorie, nonché tutti i professionisti associati, pur quando la stessa prestazione sia eseguita da più soci e dall’altro lato, ad esigenze sanzionatorie, disponendo che la mancata ottemperanza all’obbligo del preventivo di massima,
di cui all’art. 9, c. 4, D.L. n. 1/2012, è oggetto di
valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso; e, dall’altro lato ancora, ad esigenze incentivanti la risoluzione conciliativa della
lite, con la previsione dell’aumento fino al 40%
del compenso di base previsto.
Liquidazione che il decreto rimarca essere discreNote:
(7) Ex multis: Tar Brescia, 10 settembre 2012, ord. n. 1528.
(8) In termini i Presidenti della Corte d’Appello e del Trib. Napoli, con circolare
congiunta 30 marzo 2012, n. 50 (pubblicate sui rispettivi siti istituzionali), nonché, prima, Trib. Napoli 16 febbraio 2012, n. 1901.
(9) Trib. Cosenza ord. 1 febbraio 2012 sul sito www.cassazione.net.
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zionale, ben potendo il giudice derogare sia ai parametri minimi, che massimi, ulteriormente diminuendoli o aumentandoli, sia pur nel rispetto dei
criteri generali di quantificazione innanzi accennati
e dettati dagli artt. 1 a 4, D.M. n. 140 in disamina.
Quanto agli indicatori di valutazione, tanto per l’attività stragiudiziale, quanto per quella giudiziale,
essi riecheggiano il precedente tariffario, avendo riguardo al valore ed alla natura dell’affare, al numero e all’importanza delle questioni trattate, al pregio
dell’opera prestata, ai risultati e ai vantaggi, anche
non economici, conseguiti dal cliente, all’eventuale
urgenza della prestazione ed alle ore di lavoro occorse, oltre che all’autorità giudiziaria in caso di remunerazione dell’attività professionale in sede contenziosa. L’attività professionale in sede giudiziale
risulta poi distinta in fasi (di studio della controversia, di introduzione del procedimento, istruttoria,
decisoria ed esecutiva), ciascuna con un proprio
range di liquidazione, che in buona sostanza racchiudono i diritti e gli onorari previgenti ed ormai
abrogati nella loro distinzione (cui il nuovo decreto
accenna in via meramente semplificativa).
Ferma, dunque, l’ormai pacifica applicazione dei
nuovi parametri di cui al decreto 140 per la liquidazione delle competenze professionali spettanti agli
avvocati per l’attività procuratoria e defensionale
svolta in sede giudiziaria (10), il diritto a percepirle, era già contemplato per gli avvocati dipendenti
degli enti locali dall’art. 69, c. 2, D.P.R. 13 maggio
1987, n. 268, laddove i diritti e gli onorari cui la
controparte fosse stata condannata risultassero effettivamente recuperati dai legali medesimi, e purché vi fosse la relativa deliberazione comunale di
ricezione della citata previsione regolamentare, in
considerazione di quanto disposto dall’art. 8, c. 3,
legge 29 marzo 1983, n. 93, secondo cui l’applicazione dei regolamenti disciplinanti lo stato giuridico ed economico dei dipendenti degli enti locali necessita di un atto di recepimento ad opera dell’amministrazione (11).
Disapplicata la prefata norma per effetto del D.Lgs.
30 marzo 2001, n. 165, allegati B e C, le prebende
de quibus rinvengono oggi la loro disciplina negli
articoli contrattuali di qui a poco esaminati.
Alcun particolare problema si verifica nella prassi
allorquando le competenze professionali risultino
determinate dal Giudice a carico della parte soccombente ed in favore del legale costituito per
l’amministrazione, appartenente all’Avvocatura interna alla medesima, il professionista ne curerà l’esazione, anche in via coattiva, secondo il procedimento previsto dalla legge, incamerandone il relativo importo, previo rimborso all’ente delle spese vive sostenute in via anticipata per il giudizio de quo
(quali, ad esempio, il versamento del contributo
unificato, le spese di notificazione degli atti e di copia degli stessi).
Importo che, nel caso di un’Avvocatura composta
da più professionisti dipendenti andrà suddiviso
tra questi ultimi secondo i criteri stabiliti dal regolamento predisposto da ciascun ente.
Residuando, giova da ultimo precisare, che il rischio dell’insolvenza del debitore, ovvero dell’incapienza del patrimonio escusso, grava sul legale
dell’ente e non su quest’ultimo, dovendo perciò ritenersi illegittimi quei regolamenti che prevedano
che, in caso di esito infausto della procedura esecutiva intrapresa dall’avvocato interno per il recupero
delle competenze professionali liquidate in sede
giudiziale, si faccia carico del pagamento l’erario
dell’amministrazione (12).
Viceversa, nell’ipotesi in cui il giudizio si concluda
con la compensazione tra le parti delle spese di lite,
cui deve assimilarsi il caso in cui il Giudice nulla
disponga in proposito (13), esse saranno quantificate in apposite notule o cd. parcelle predisposte
e sottoscritte da ciascun legale costituito in giudizio
secondo i nuovi parametri di cui al D.M. del 2012
e, a valere sullo stanziamento debitamente previsto
ed appostato (14), quale partita di giro, nell’ambito
delle risorse per la contrattazione decentrata, erogate dall’Amministrazione secondo quanto disposto
dall’art. 27 del Ccnl - Comparto regioni -enti locali,
del 14 settembre 2000, ovvero dall’art. 37, del Ccnl
del medesimo comparto per la dirigenza, siglato il
31 marzo 1999, di analogo tenore, secondo il quale:
«gli enti locali provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i
principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n.
1578 e disciplinano, altresı̀, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali
compensi professionali e la retribuzione di risultato
Note:
(10) Cass. civ., sez. un. 12 ottobre 2012, n. 17405, che ritiene vadano applicati
i nuovi parametri anche se parte dell’attività professionale sia stata espletata in
vigenza dei precedenti, dovendo aversi riguardo alla definizione del mandato.
(11) Cons. Stato 23 giugno 2005, n. 3349.
(12) Cfr. Corte dei conti, sez. reg. contr. Basilicata 22 gennaio 2010, n. 2.
(13) Cons. Stato 30 agosto 2004, n. 5644, secondo cui: «Ai sensi degli artt. 27
e 37 Ccnl del 14 settembre 2002 e del 23 dicembre 1999, negli enti locali provvisti di avvocatura costituita, devono essere riconosciuti in favore degli avvocati
dipendenti - secondo specifica regolamentazione da parte della p.a. - i compensi professionali a seguito di sentenza favorevole per l’ente, anche nel caso
di provvedimento giurisdizionale che non contenga la pronuncia sulle spese,
ovvero che disponga la compensazione delle stesse».
(14) Anche da integrarsi, in caso di incapienza previsionale di spesa: Corte dei
conti, sez. reg. Liguria 16 maggio 2011, n. 16.
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di cui all’art. 10 del Ccnl del 31 marzo 1999 (n.d.r.
per i titolari di posizione organizzativa)», ovvero,
mutatis mutandis, per la dirigenza, «valutando l’eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti
interessati dalla erogazione della retribuzione di risultato».
Disposizioni contrattuali entrambe, che, in ogni caso, all’ultimo capoverso dispongono che «Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti
abbiano applicato la disciplina vigente per l’Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione
del presente Ccnl».
Regolamento che, approvato con R.D. 30 ottobre
1933, n. 1611, sancisce, per quanto qui in rilievo,
all’art. 21, commi da 1, a 3, che «1. L’avvocatura
generale dello Stato e le avvocature distrettuali
nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano
la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali
competenze siano poste a carico delle controparti
stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia
o transazione. 2. Con l’osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre
1971, n. 1041, tutte le somme di cui al precedente
comma e successivi vengono ripartite per sette decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio
in base alle norme del regolamento e per tre decimi
in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori
dello Stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse,
siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le
transazioni per approvazione. 3. Negli altri casi di
transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà
corrisposta dall’Erario all’Avvocatura dello Stato,
con le modalità stabilite dal regolamento, la metà
delle competenze di avvocato e di procuratore
che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia
parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sarà corrisposta dall’Erario
la metà della quota di competenze di avvocato e di
procuratore sulla quale cadde la compensazione».
Disciplina mutuata, cosı̀, anche nei restanti comparti e, segnatamente, in quello delle regioni ed enti
locali, allo scopo di uniformare il trattamento economico di dipendenti appartenenti alla medesima
categoria professionale, in linea con i principi dettati dal D.Lgs. n. 165 cit.
La materia della disciplina dell’erogazione delle
propine non rientra tra quelle di contrattazione, né
di concertazione, se non per l’aspetto della eventuale compensazione, totale o parziale, delle stesse
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con l’indennità di risultato previsto per gli avvocati
funzionari - titolari di posizione organizzativa e per
gli avvocati dirigenti (15).
Contrattazione, peraltro, che l’A.Ra.N. esclude anche con riferimento alle modalità ed al quantum
della erogazione, osservando in sede consultiva
(parere ral. 1176) che «le fonti di finanziamento
dei vari istituti del trattamento economico del personale sono solo quelle espressamente previste dall’art. 15 del Ccnl del medesimo Ccnl dell’1 aprile
1999 e successive modificazioni ed integrazioni;
nessuna delle diverse previsioni del citato art. 15
del Ccnl dell’1 aprile 1999 si presta a ricomprendere le risorse destinate al finanziamento del compenso di cui si tratta, neppure quella dalla lett. k), che
fa riferimento solo alle ‘‘... risorse che specifiche
disposizioni di legge finalizzano alla incentivazione di prestazioni o di risultati del personale, da utilizzarsi secondo la disciplina dell’art. 17’’; nel caso
in esame non solo non vengono in considerazione
risorse previste da specifiche fonti legislative e finalizzate all’incentivazione del personale, ma i
compensi dei professionisti legali, di cui al richiamato art. 27 del Ccnl del 14 settembre 2000, non
sono neppure oggetto di contrattazione né per l’individuazione dei destinatari né per ciò che attiene
alla misura ed alle modalità di erogazione degli
stessi».
Non per i destinatari, provvedendovi già il contratto nazionale, che li individua esclusivamente nel
personale togato, non per la misura, a tanto valendo
i parametri fissati dal recente D.M. n. 140, non per
le modalità, il Ccnl individuandone il presupposto
nella sentenza favorevole che abbia compensato
le spese.
Presupposto atto ad includere, per il diritto pretorio,
anche il caso in cui il giudice nulla abbia disposto
sulle competenze professionali, nonché, in applicazione delle disposizioni del codice di rito civile tutti
i provvedimenti giudiziali che definiscano e decidano la controversia, abbiano la forma di sentenza,
ovvero di decreto (come quello ingiuntivo) o di ordinanza (come nel caso di rilascio di immobile, di
procedimento monitorio ex art. 700 c.p.c., o di procedimento ex art. 28 della legge n. 300/1970).
Del pari devono ritenersi incluse le sentenze rese in
sede amministrativa o tributaria, come pure le transazioni e conciliazioni giudiziali (per il conseguimento delle quali il D.M. n. 140 cit. prevede addirittura l’aumento fino al 40% delle competenze
professionali spettanti all’avvocato che ne abbia incentivato la conclusione).
Nota:
(15) Conf. A.Ra.N. parere ral 1176 sul sito istituzionale.
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In proposito deve evidenziarsi che il contratto collettivo non prevede il passaggio in giudicato del titolo in parola, con ciò potendo ammettersi la corresponsione del compenso anche in difetto di tale requisito.
Corresponsione che, non di meno, è da reputarsi
inopportuna, dovendo il singolo avvocato provvedere poi, evidentemente, alla restituzione all’amministrazione di appartenenza del compenso percepito
in caso di riforma giudiziale del titolo.
L’esclusione dal tetto retributivo ...
In ordine alle citate prebende, spesso foriere di malcelata invidia, si è dubitato della loro tenuta all’indomani dell’adozione delle misure economiche restrittive per i dipendenti pubblici, onde contenere la
spesa complessiva del personale (16).
Ci si riferisce, in specie, al D.L. 31 maggio 2010, n.
78 (17), convertito, con modificazioni, con legge
30 luglio 2010, n. 133, recante Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, il cui Capo III, rubricato Contenimento delle spese in materia di pubblico impiego,
invalidità e previdenza, che all’art. 9, ha introdotto
rigorosi blocchi di crescita, pluriennali, incidendo
tanto, a valle, sul trattamento economico individuale, quanto, a monte, sulle risorse stanziabili per la
c.c.d.i., peraltro in sostanziale fase di stallo, per effetto del generale sbarramento ai rinnovi dei Ccnl
per il triennio 2010-2012, come previsto dal comma 17, del medesimo art. 9 cit.
Strumenti contenitivi poi reiterati e rafforzati dal
D.L. 13 agosto 2011, n. 138, di approvazione di
Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.
In disparte le prescrizioni di dettaglio, per quanto
qui di interesse, rilevano le disposizioni recate dal
c. 1 e dal c. 2bis, introdotto in sede di conversione,
del prefato art. 9, a tenore dei quali «1. Per gli anni
2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica
dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio,
previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall’Istituto economico di statistica
(Istat) ai sensi del c. 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi
straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse
le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d’anno,
fermo in ogni caso quanto previsto dal c. 21, terzo
e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni
svolte all’estero, effettiva presenza in servizio, fatto
salvo quanto previsto dal c. 17, secondo periodo, e
dall’art. 8, c. 14» e «2bis. A decorrere dal 1º gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l’ammontare
complessivo delle risorse destinate annualmente al
trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di
cui all’art. 1, c. 2, del decreto legislativo 30 marzo
2010, n. 165, non può superare il corrispondente
importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».
Sulla portata applicativa della disposizione è dapprima intervenuto il Ministero dell’Economia e delle finanze, che, con la circolare 15 aprile 2011, n.
12, ha sottolineato, da un lato, come il limite retributivo individuale fissato dal comma 1 abbia una
valenza di carattere generale e di cornice in relazione alle più puntuali misure di contenimento erariale
dettate dai commi successivi, tutte finalizzate a garantire l’invarianza dei trattamenti retributivi in godimento per il successivo triennio; e, dall’altro, che
per ‘‘trattamento economico complessivo’’ e ‘‘trattamento economico ordinariamente spettante’’, devono intendersi il solo trattamento fondamentale
(stipendio, tredicesima, IIS e Ria, ove previste) e
quello accessorio avente carattere fisso e continuativo (indennità di amministrazione, retribuzione di
posizione fissa e variabile, indennità pensionabile,
indennità operative, importo aggiuntivo pensionabile), essendo quelle variabili disciplinate dal successivo c. 2bis, incidendo non già sul trattamento
economico individuale del lavoratore, bensı̀ solo
sulla spesa complessiva del personale, nei termini
del tetto triennale del fondo disponibile per la
c.c.d.i. destinato a finanziare, appunto, tali voci
aleatorie di compensi.
Fondo che, a giudizio del Dicastero, deve essere
ragguagliato a quello determinato nell’anno 2010
e non accrescibile nel triennio successivo, pur potendo discrezionalmente la contrattazione decentrata, in sede di effettivo utilizzo, variamente quantificare le singole voci che lo compongono.
Note:
(16) Per un’approfondita analisi dell’evoluzione normativa in materia: P. Cosmai, ‘‘Non tutte le voci del trattamento economico accessorio rientrano nel
blocco retributivo e dei c.c.d.i.’’, in questa Rivista, 2011, 12, mentre sulle modalità applicative e sulla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 3
agosto 2012, n. 8, si rinvia a P. Cosmai, ‘‘Dipendenti pubblici: modalità applicative del tetto retributivo’’, in Dir. prat. lav., 2013, 8.
(17) Tra i chiarimenti più recenti e generali rispetto a quelli specifici approfonditi nel testo: Corte dei conti, sez. Autonomie, parere 21 gennaio 2013, n. 2.
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Successivamente si è intrattenuta sulla problematica anche il Giudice contabile, le cui diverse Sezioni, fino all’arresto dirimente in sede Riunita, hanno
oscillato tra una impostazione tollerante ed una di
rigida chiusura sulla possibilità che talune voci retributive accessorie e, in particolare, gli incentivi di
progettazione e le competenze professionali degli
avvocati pubblici, potessero o meno ritenersi escluse dal limite individuale e collettivo del trattamento
economico in base al citato comma dell’art. 9.
Secondo il primo orientamento (18), in favor lavoratoris, propugnato dalla Corte dei conti Piemonte
e Liguria, rispettivamente con le decisioni, 11 febbraio 2011, n. 14 e 21 febbraio 2011, n. 8 e 28 aprile 2011, n. 16, l’esclusione dei citati incentivi, ivi
inclusi quelli derivanti dal recupero Ici e del condono edilizio, sarebbe giustificata dalla necessità di
evitare di ricorrere all’affidamento del servizio a
terzi estranei all’apparato burocratico, con ulteriore
e ben più oneroso esborso di danaro pubblico, argomentando, il Collegio genovese che per quanto
concerne i diritti e gli onorari spettanti agli Avvocati dipendenti, derivanti da condanna della controparte alle spese (19), essi non inciderebbero nemmeno sul bilancio dell’ente di appartenenza.
Diverso il secondo orientamento, aderente all’impostazione ermeneutica più rigida coniata dalla
Corte dei conti della Regione Veneto con il parere
3 maggio 2011, n. 285, sollecitato dalla richiesta di
un sindaco locale afferente alla possibilità o meno
di includere nel limite fissato dal prefato c. 2bis talune componenti del fondo per la c.c.d.i., di cui all’art. 15, lett. d) e k), del Ccnl Comparto regionienti locali, del 1º aprile 1999, trattandosi di mere
partite di giro, essendo vincolate a finanziare determinate funzioni svolte da specifiche categorie di
personale.
Confermando la precedente delibera 14 dicembre
2010, n. 154, con la quale aveva sottolineato come
«la riduzione della spesa per il personale rappresenti uno specifico obiettivo di finanza pubblica al cui
rispetto devono concorrere sia gli enti sottoposti al
patto di stabilità, che quelli esclusi, in guisa che l’obiettivo di contenimento e riduzione della spesa per
il personale non sia più da considerare mera espressione di un principio di buona gestione al quale tendere, ma rappresenti un vero e proprio obiettivo
vincolato», il Collegio veneto ha ritenuto che gli incentivi previsti da specifiche normative contrattuali
ancorché escluse dal calmiere retributivo individuale di cui al citato art. 9, c. 1, comunque incappano
in quello del fondo per le risorse destinate alla
c.c.d.i. nel 2010, di cui al comma 2bis, di guisa
che «l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, non può supe-
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rare il corrispondente importo dell’anno 2010, trattandosi di norma di stretta interpretazione. Con la
conseguenza che detto ammontare, legato ai corrispondenti importi dell’anno 2010, non può comunque essere superato».
L’impasse è stato superato solo con l’intervento
delle sezioni riunite, sollecitate dalla sezione Marche, con la deliberazione 10 marzo 2011, n. 9, e
dalla sezione Lombardia con delibera 5 luglio
2011, n. 435.
Infatti, la Suprema Assise, con la deliberazione 4
ottobre 2011, n. 51, riassunte le due distinte posizioni insorte tra le Sezioni regionali in merito, muove dall’Accordo che il Governo stipulò con le parti
sociali il 23 luglio 1993, col quale, abolita la scala
mobile, stabilı̀ che la dinamica degli effetti economici della contrattazione dovesse essere coerente
con i tassi di inflazione programmata, a salvaguardia del potere di acquisto dei salari, rimandando al
rinnovo contrattuale, con cadenza biennale, l’eventuale recupero della differenza tra l’inflazione preconizzata e quella effettivamente verificatasi nel
precedente biennio.
Tale correttivo concordato, tuttavia, palesatosi fallace in ragione del costante e notevole ritardo dei
rinnovi contrattuali, è stato nella prassi sostituito
da una serie di aggiustamenti empirici, di volta in
volta introdotti da specifiche disposizioni normative o da direttive impartite dagli organi di Governo
ai Comitati di settore, come gli anticipi salariali su
futuri recuperi, ovvero lo storno di risorse destinate
a finanziarie voci retributive accessorie e variabili a
favore di trattamenti fissi.
Fattori, tutti, che hanno impedito la reale quantificazione dei costi del personale e dei fondi da destinarvi in sede di c.c.d.i. da parte di ciascuna amministrazione, foriera di uno slabbramento della spesa
pubblica, soprattutto a livello locale, non coerente
con l’andamento economico-finanziario nazionale,
come più volte stigmatizzato dalla stessa Corte
dei conti nelle relazioni annuali al Parlamento.
Tra l’altro il fondo per la c.c.d.i., rammentano le
Sezioni Unite, risulta alimentato da una pluralità
di fonti, il cui gettito, legato ad una congerie di norNote:
(18) In termini anche la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome,
che, con circolare 10/133/CR6/C1, ha specificato che restano esclusi dal tetto
economico individuale i compensi previsti da specifiche disposizioni di legge
ed inclusi nel fondo di cui all’art. 15, lett. k), del Ccnl Comparto regioni - enti
locali del 1º aprile 1999 e dall’art. 26, lett. e), del Ccnl Area Dirigenza, del medesimo Comparto, siglato il 23 dicembre 1999.
(19) Emolumenti peraltro già esclusi dalle spese del personale di cui alla legge
finanziaria per l’anno 2007 dalla Corte dei conti, sez. controllo, Regione Campania 30 giugno 2010, n. 100 e Regione Veneto 19 gennaio 2011, n. 25, di cui
dà contezza il Giudice contabile ligure.
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me legislative e contrattuali, spesso neppure compiutamente censite, risulta di difficile quantificazione.
Senza contare che il fondo in parola è in concreto
impiegato solo in minima parte per incentivare la
produttività del personale, essendo piuttosto destinato a finanziare trattamenti fissi e continuativi,
passaggi di livello retributivo e progressioni di carriera.
Ne consegue che l’ammontare delle risorse destinate alla c.c.d.i. influisce in maniera determinante sulla spesa pubblica del personale e sulla Ccnl, costituendo la base per i successivi incrementi percentuali da quest’ultimo fissati in sede di rinnovo.
Circolo vizioso di lievitazione che il legislatore è
più volte intervenuto ad interrompere, dapprima
nel 2005, con la legge finanziaria per il 2006, n.
266, successivamente con il D.L. n. 112/2008, e,
da ultimo con il D.L. n. 78/2010, tutti recanti un limite di incremento del fondo per la c.c.d.i., parametrato ad un determinato anno di riferimento e,
quanto all’ultima disposizione normativa, corroborato, tra l’altro, da tetti retributivi individuali e fermi di rinnovi contrattuali.
La ratio dell’art. 9, c. 2bis, citato, dunque, prosegue il Giudice contabile, è quella di cristallizzare
al 2010 il tetto di spesa relativo all’ammontare
complessivo delle risorse presenti nei fondi unici
che dovrebbero tendenzialmente essere destinate
al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna della amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, del Tupi.
Norma che rafforza il limite posto alla crescita della
spesa necessaria a mantenere la compagine pubblica, che, secondo il Collegio, «prescinde da ogni
considerazione relativa alla provenienza delle risorse, applicabile, pertanto, anche nel caso in cui l’ente disponga di risorse aggiuntive derivanti da incrementi di entrata» (cfr. pag. 10 della deliberazione),
dovendo tale disposizione raccordarsi con quella
contenuta nel successivo art. 14, c. 9, D.L. n. 78,
sui limiti assunzionali introdotti per gli enti non virtuosi, in uno al più recente D.Lgs. 6 settembre
2011, n. 149, recante misure premiali e sanzionatorie in materia per le regioni e gli enti locali.
Alla stregua di tali previsioni normative, di stretta
interpretazione ed alla luce delle considerazioni
premesse, le sezioni riunite ritengono che le sole risorse di alimentazione del fondo di cui all’art. 15,
c. 1, lett. k), del Ccnl Comparto regioni-enti locali
del 1º aprile 1999 e ss. mm. ed ii., che devono ritenersi sottratte al tetto introdotto dall’art. 9, c.
2bis, D.L. n. 78/2010, sono quelle «destinate a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuabili e che peraltro potrebbero essere
acquisite attraverso il ricorso all’esterno dell’ammi-
nistrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi
per il bilancio dei singoli enti. Pertanto in tali ipotesi dette risorse alimentano il fondo in senso solo
figurativo dato che esse non sono poi destinate a finanziare gli incentivi spettanti alla generalità del
personale dell’amministrazione pubblica» (cfr.
pag. 11-12 del parere delle sezioni riunite).
Caratteristiche che ricorrono, prosegue il Giudice
contabile, soltanto per quelle risorse finalizzate a
remunerare prestazioni poste in essere per la progettazione di opere pubbliche e per la difesa in giudizio dell’amministrazione, da parte, rispettivamente, del personale tecnico e dell’avvocatura interna,
in quanto trattasi di prestazioni professionali specialistiche offerte da personale qualificato in servizio presso l’ente, che, qualora non ne disponesse,
dovrebbe ricorrere al mercato per reperire professionisti esterni con aggravi di spesa per il bilancio.
Diversamente, per quanto concerne le voci del fondo derivanti dal recupero dell’Ici, dai contratti di
sponsorizzazione e da altre attività, esse non si sottraggono al blocco introdotto dal citato c. 2bis, dell’art. 9, in quanto non correlate ad attività professionali qualificate nei termini anzidetti e destinabili
alla generalità del personale dipendente dell’ente
attraverso lo svolgimento della c.c.d.i.
In altri termini, concludono le Sezioni riunite, «le
risorse che affluiscono al fondo che siano state destinate a compensare le attività poste in essere per
la progettazione di opere pubbliche e quelle riservate all’erogazione dei compensi legati agli incentivi per la progettazione e per l’avvocatura interna
devono ritenersi escluse dall’ambito applicativo
dell’art. 9, c. 2bis, del D.L. 31 maggio 2010, n.
78».
Assunto confermato e, per certi versi, recentemente
dilatato dalla Sezione contabile campana con il parere 21 marzo 2013, n. 130, nella cui massima ufficiale riportata sul sito istituzionale si osserva che
sul parere richiesto dalla Provincia di Avellino «in
ordine alla possibilità di conoscere se gli incentivi
per l’avvocatura previsti dall’art. 27 (e art. 37 per
i dirigenti avvocati) del Ccnl del 14 settembre
2000 - a natura retributiva, afferenti solo figurativamente (idem delib. Corte dei conti n. 51/2011) al
fondo delle risorse decentrate variabili, considerati
esclusi dal blocco di cui all’art. 9, c. 2bis, D.L. n.
78/2010, sono da considerarsi soggetti al limite di
riduzione delle spese di personale e di contenimento della dinamica di crescita della contrattazione integrativa, di cui all’art. 1, c. 557, legge n. 266/
2006, come modificato dall’art. 14, c. 7, D.L. n.
78/2010 cit., ovvero rientrano e vanno computati
ai fini del tetto di spesa del personale di cui al medesimo c. 557 dell’art. 1, legge n. 266/2006. Qualora nel corso dell’esercizio corrente risultino uti-
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lizzate tutte le risorse finanziarie, all’uopo impegnate per la corresponsione dei compensi agli avvocati interni con riferimento a sentenze favorevoli
con compensazioni di spese, la conseguente e necessaria variazione di bilancio ai fini della integrazione del predetto fondo risorse ‘‘variabili’’ (escluse dai vincoli di cui all’art. 9, c. 2bis, D.L. n. 78/
2010), è da ritenersi svincolata dal principio di auto
alimentazione, per essere le stesse reperibili attraverso le ordinarie azioni contabili, fermo il rispetto
del pareggio di bilancio ex art. 175 D.Lgs. n. 267/
2000, senza che detta ‘‘spesa’’ (compensi) vada ad
incidere sui costi del personale ex art. 1, c. 557, legge n. 266/2006» (20).
... ma con l’accollo degli oneri
previdenziali ad esclusione dell’Irap
Ferma la legittima percezione degli emolumenti
professionali di che trattasi anche oltre il tetto retributivo fissato dalle disposizioni di contenimento finanziario innanzi ricordate, negli ultimi anni discusso è stato, però, il loro regime fiscale e previdenziale, in particolare controvertendosi sull’assimilabilità o meno dell’Irap agli ‘‘oneri riflessi’’ all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 1, c. 208,
della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che ne ha accollato l’intero importo ai professionisti dipendenti.
Infatti, ab origine suddivisi in maniera paritaria tra
amministrazione e personale togato in applicazione
del principio generale fissato dall’art. 2115 c.c., la
legge finanziaria per il 2006, nell’ottica del contenimento della spesa pubblica per il personale, in
deroga al citato criterio di solidarietà, ha accollato
sui soli professionisti il pagamento degli oneri riflessi dovuti sugli emolumenti accessori de quibus,
disponendo al c. 208 che «le somme finalizzate alla
corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell’avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare
comprensive degli oneri riflessi a carico del datore
di lavoro» (21).
Fin dalla sua entrata in vigore la legge finanziaria,
particolarmente gravosa per i professionisti dipendenti, ha destato un vivace dibattito tra gli operatori, dapprima focalizzato sui dubbi della sua legittimità costituzionale, tempestivamente fugati dalla
competente Corte con la decisione 6 febbraio
2009, n. 33.
Decisione con la quale la Consulta ha precisato che
la norma censurata non viola i cardini della Carta
fondamentale, sia in quanto il principio dell’equa
ripartizione degli oneri riflessi tra lavoratori e datore di lavoro fissato dall’art. 2115 c.c. è espressa-
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mente derogabile dalla legge, sia in quanto l’accollo degli oneri in parola ai soli dipendenti non mira
ad una riduzione del loro trattamento retributivo,
bensı̀ ad una diversa distribuzione del carico previdenziale con conseguente esclusione della materia
dall’ambito di quelle rimesse alla contrattazione
collettiva ai sensi dell’art. 39 della Costituzione.
Successivamente, però, una volta superato il vaglio
del Giudice delle Leggi, sul suo ambito applicativo,
ulteriore dibattito si è intessuto sul corretto perimetro applicativo della norma, secondo taluni dilatabile fino a comprendervi l’Irap, con ulteriore assottigliamento delle prebende.
Opzione ermeneutica, restrittiva, inizialmente propugnata dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso due circolari del 10 febbraio e del 14 giugno
2006, rispettivamente n. 7 e n. 28, e basata esclusivamente sull’inciso contenuto nella menzionata disposizione finanziaria a tenore della quale dall’erogazione degli incentivi professionali «non possono
derivare oneri diretti o indiretti a carico delle singole amministrazioni».
Il citato orientamento, benché non supportato da alcuna argomentazione giuridica, è nondimeno invalso nella prassi di diverse amministrazioni locali, nel
timore di incorrere in responsabilità erariale laddove nell’erogazione dei compensi professionali ai
propri legali non avessero computato in loro danno
oltre agli oneri previdenziali, anche l’Irap.
Preoccupazione avallata inizialmente anche dai primi interventi consultivi di talune Sezioni regionali
del Giudice contabile (22) sull’identica questione
del calcolo degli oneri per gli incentivi di progettazione destinati al personale tecnico, secondo cui
«pur tenendo conto che gli enti pubblici sono autonomi soggetti passivi ai fini dell’Irap e che l’ammontare delle retribuzioni di lavoro dipendente costituisce unicamente la base imponibile per la determinazione dell’imposta, non si può fare a meno
di osservare che se dal calcolo del fondo di progettazione interna fosse esclusa l’Irap, l’ente locale si
troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con conseguente maggior aggravio di
imposta Irap. Si tratterebbe di una duplicazione dell’onere a carico del comune che non trova alcuna
giustificazione nel contesto del contenimento della
spesa pubblica».
Note:
(20) Per la lettura del testo integrale del parere si rimanda al sito ufficiale della
Corte dei conti.
(21) Identica previsione, peraltro, è stata prevista nel precedente comma 207
per il personale tecnico per gli incentivi di progettazione.
(22) Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, 11 febbraio 2008, n. 4 e 4 dicembre 2008, n. 101.
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Di talché, la somma necessaria al versamento dell’imposta de qua dev’essere contemplata nell’ambito del fondo per la contrattazione decentrata, pena
la mancanza di copertura nel bilancio dell’ente
per fronteggiare l’espansione dell’Irap a seguito
dell’incremento della retribuzione accessoria dovuta ai legali (oltre che ai tecnici dipendenti).
In seno al medesimo Plesso, tuttavia, è emerso anche un opposto orientamento (23) (successivamente avallato anche dall’Agenzia delle Entrate, con
due risoluzioni (24)), secondo cui, poiché l’Irap costituisce un onere diretto esso non partecipa della
natura di quelli indiretti contemplati dalla normativa finanziaria de qua, cosı̀ da permanere a carico
del datore di lavoro, quale unico soggetto passivo
di imposta, ai sensi dell’art. 3, c. 1, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Laddove si aderisse all’opposta teorica, infatti, secondo tale ultimo indirizzo della Corte dei conti,
la peculiare natura dell’imposta, che mira a colpire
il valore aggiunto prodotto dalle attività delle organizzazioni autonome, verrebbe contraddetta, trasformandosi, per effetto della supposta traslazione
sul lavoratore, in un’imposta sul suo reddito.
Approdo aberrante collidente finanche con l’interpretazione testuale e sistematica della legge, atteso
che, mentre i commi 181, 185 e 198, trattando della
spesa pubblica complessiva fanno esplicito riferimento all’Irap, i commi 207 e 208 introducono specifici calmieri (rectius: la traslazione degli oneri riflessi) per determinate categorie di dipendenti e solo per gli speciali emolumenti per questi ultimi
esclusivamente contemplati.
Come anticipato, ha aderito all’impostazione in favor lavoratoris anche l’Agenzia delle Entrate che,
in una prima risoluzione, ha chiarito ad un comune
di dovere considerare nel calcolo della propria base
imponibile ai fini Irap, come definita dall’art.
10bis, legge n. 446/97, anche i compensi corrisposti al proprio personale togato, difettando quest’ultimo di soggettività passiva ai fini tributari di specie, non essendo né autonomo, né titolare di una organizzazione produttiva, presupposti di imposta a
norma dell’art. 2 della legge n. 446 (25).
Mentre, in un secondo intervento, si è spinta fino
ad avallare la restituzione agli avvocati dipendenti
delle somme loro già stornate ai fini Irap dal comune datore di lavoro, in adesione alla più restrittiva
tesi di cui si è dato poc’anzi conto.
In tale occasione infatti, l’Agenzia, partendo dall’insegnamento della Corte costituzionale, secondo
cui l’Irap colpisce con carattere di realità un fatto
economico diverso dal reddito espressivo di capacità contributiva, gravando su chi «in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali
deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i
diversi soggetti, che in varia natura concorrono alla
sua creazione», ha concluso per l’imputazione dell’imposta sulla sola amministrazione e giammai sul
dipendente, avendo gli emolumenti accessori di che
trattasi pacifica natura retributiva (26).
Sul contrasto in seno alle singole articolazioni regionali, è poi intervenuta la Corte dei conti a Sezioni Riunite, con decisione 7 giugno 2009, n.
33 (27), che ha optato per l’impostazione più vantaggiosa per i professionisti dipendenti, imputando
l’Irap al relativo datore di lavoro pubblico, cosı̀
scorporandolo dagli emolumenti da corrispondere
loro.
Peraltro, il Supremo Consesso ha precisato che i
due orientamenti possono ben ricomporsi, in quanto il primo, più restrittivo, nel ritenere che «nella
quantificazione dei fondi statali per la contrattazione collettiva nazionale dei dipendenti pubblici (art.
1, commi 181 e 185 della legge n. 266/2005) l’onere relativo all’Irap è espressamente compreso e che
tra le componenti del costo del personale che gli
enti locali devono prendere in considerazione al fine del contenimento è inclusa l’Irap (art. 1, c. 198 e
ss. della legge n. 266/2005)» non si pone affatto in
antinomia con l’altra, prevalente, teorica che esclude l’Irap dagli oneri riflessi imputabili ai professionisti dipendenti secondo le citate disposizioni finanziarie.
Difatti è solo la prospettiva ad essere diversa, avuto
riguardo ai due blocchi di precetti presenti nella
legge 266: il primo dei quali, proprio perché volto
a regolamentare e quantificare in via preventiva e
determinata i fondi per la contrattazione, precisa
che nella provvista finanziaria l’amministrazione
deve computare e tenere presente tutti gli oneri derivanti dalle spese per il personale, ivi inclusi gli
onorari e gli incentivi per la progettazione, onde
evitare di dover corrispondere ulteriori somme al
di fuori del bilancio di previsione (concorrendo anche detti emolumenti a determinare la base imponiNote:
(23) Corte dei conti, sez. contr. Emilia Romagna, 27 giugno 2007, n. 34; Corte
dei conti, sez. contr. Umbria, 22 ottobre 2007, n. 11 e 28 febbraio 2008, n. 1;
id. Veneto, 21 maggio 2008, n. 22 e 3 luglio 2008, n. 49; id. Puglia, 30 ottobre
2008, n. 31; id. Basilicata, 26 novembre 2008, n. 185; id. Molise, 24 febbraio
2009, n. 6.
(24) Risoluzioni 14 novembre 2007, n. 327/E e 2 aprile 2008, n. 123/E.
(25) Sui presupposti di imposta ex multis: Cass. civ., sez. un., n. 12111/2009,
nonché Corte cost. 21 maggio 2005, n. 156 e Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Utet.
(26) Conf. Cons. Stato, ad. plen., n. 32/1994.
(27) Orientamento più di recente seguito da Corte dei conti Basilicata, 22 gennaio 2010, n. 2, id. Piemonte, 23 febbraio 2012, n. 16 e id., Toscana, 30 maggio 2013, n. 146.
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bile per le imposte gravanti sull’ente); il secondo
dei quali, viceversa, mirante a traslare sui dipendenti la quota parte degli oneri riflessi dovuta ordinariamente dal datore di lavoro per le finalità di
welfare.
Con ciò significando che, concludono le sezioni
riunite, il primo esprime un’esigenza contabile, il
secondo una finalità economica che, in buona sostanza, si traduce nel risultato per cui mentre ai fini
della quantificazione dei fondi di copertura per l’incentivazione dei tecnici e le spettanze degli avvocati interni, andrà calcolata anche la corrispondente
percentuale di Irap, stanziandola e rendendola disponibile per il successivo versamento all’erario
da parte (e a carico) dell’ente pubblico, i fondi cosı̀
stabiliti andranno però corrisposti tanto ai periti,
quanto ai legali, «al netto, rispettivamente, degli
‘‘oneri assicurativi e previdenziali’’ e degli ‘‘oneri
riflessi’’, che non includono, per le ragioni sopra
indicate, l’Irap».
La qual cosa comporta, detto in altri termini, che
l’amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ai professionisti interni accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l’Irap, come avviene anche per le altre voci retributive, fisse e variabili, del personale dipendente, che
devono essere corrisposte scorporando la citata imposta.
In maniera conforme sulla questione, tra l’altro, oltre alle diverse Sezioni regionali del Giudice contabile (28), si è poi espresso anche il Garante del
Contribuente della Regione Marche, a seguito della
segnalazione di alcuni legali dell’Avvocatura civica
di Ancona in danno dei quali il Comune computava
il pagamento dell’Irap sulle competenze professionali, disattendendo gli approdi del Giudice contabile (29).
Il Garante, mirando alla corretta applicazione da
parte del Servizio ragioneria del comune delle disposizioni regolatrici dell’Irap (tributo di carattere
‘‘erariale’’, secondo la Corte costituzionale) (30)
dopo aver ricordato i numerosi pareri del Giudice
contabile, da ultimo a sezioni riunite, ha evidenziato l’ulteriore, terzo, intervento dell’Agenzia delle
Entrate, che, con la circolare 13 giugno 2008, n.
45/E, ha confermato l’orientamento già espresso
nelle precedenti risoluzioni n. 327/2007/E e n.
123/2008/E), in tema di applicazione del tributo
ai professionisti, precisando che «sussiste autonoma organizzazione quando ricorre almeno uno dei
seguenti presupposti : a) l’impiego in modo non occasionale di lavoro altrui; b) l’utilizzo di beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, le necessità minime per l’esercizio dell’attività», di guisa che
il contribuente «sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi,
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inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità e interesse».
Presupposti che, osserva il Garante, difettano nel
caso del personale togato dipendente delle pubbliche amministrazioni, che eroga le proprie prestazioni non nell’ambito di un’autonoma attività professionale, bensı̀ in esecuzione di un rapporto di lavoro subordinato e nell’ambito di una struttura organizzativa facente capo al medesimo ente datore
di lavoro «il quale eroga ai propri dipendenti, nelle
situazioni specifiche previste dalla contrattazione
collettiva, particolari emolumenti che costituiscono
parte integrante della retribuzione».
Né a giudizio del Tutore del contribuente il tributo
può formare oggetto di ritenuta, da parte dell’ente,
per la parte corrispondente ai c.d. ‘‘compensi professionali’’ corrisposti ai singoli dipendenti nei casi
considerati dagli accordi collettivi.
Tanto non solo alla stregua delle considerazioni già
esposte, ma anche in ragione della prerogativa della
legge statale di individuare i soggetti gravati d’imposta, che, nella specie, sono tassativamente elencati nell’art. 3, D.Lgs. n. 446/1997, «con la conseguenza che nessun diverso soggetto può essere obbligato - direttamente o in via di rivalsa - al pagamento di un tributo che la legge non pone a suo carico, verificandosi altrimenti una traslazione dell’onere fiscale non consentita dal citato art. 3 (né da
alcun’altra disposizione del citato D.Lgs. o di leggi
successive) e palesemente in contrasto con il fondamentale principio sancito dall’art. 23 della Costituzione, secondo il quale ‘‘nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non
in base alla legge’’», deliberando, pertanto, «di raccomandare ai Dirigenti delle competenti strutture
del Comune di Ancona di desistere dall’operare
la ritenuta di quote Irap sulle retribuzioni degli avvocati-funzionari addetti all’Ufficio legale del Comune e di restituire ai medesimi le somme a tal titolo indebitamente prelevate, nei limiti della prescrizione del diritto al rimborso, cosı̀ evitando l’insorgere di un contenzioso di vasta portata, il cui
esito, in caso di soccombenza e di condanna alle
spese dell’Amministrazione, potrebbe comportare
responsabilità per danno erariale».
Contenzioso che, difatti, risulta essere stato promosso da diversi avvocati pubblici quante volte le
diverse amministrazioni di appartenenza hanno
Note:
(28) Ex multis: Corte dei conti, sez. reg. Piemonte 23 febbraio 2012, n. 16.
(29) Garante del contribuente della Regione Marche, procedimento n. 126/
2008, su segnalazione del 18 dicembre 2008, delibera del 7 gennaio 2009.
(30) Corte cost. 19 luglio 2004, n. 241.
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Il punto su...
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perdurato nell’accollare loro l’Irap sugli emolumenti professionali dovuti e che i Tribunali del lavoro, a quanto consta, hanno puntualmente accolto (31).
La questione del rateo di tredicesima
mensilità e della pensionabilità delle
competenze professionali
Ancora aperte le questioni del computo degli emolumenti cosı̀ percepiti ai fini del rateo di tredicesima
mensilità e della base di computo per il trattamento
pensionistico, che scontano la relativa novità dell’istituto in parola tenuto conto che, in caso di mancata applicazione spontanea del datore di lavoro è un
tipo di rivendicazione che il professionista dipendente porterà all’attenzione della Magistratura solo
dopo il collocamento a riposo (all’uopo suggerendosi, in ogni caso, la periodica interruzione della
prescrizione con idonei atti di diffida e messa in
mora indirizzati al legale rappresentante dell’Ente
e, ad abundantiam, al dirigente del personale o di
quello che, secondo il regolamento degli uffici, dovrebbe curare l’applicazione dei menzionati istituti).
Sul primo dei due segnalati aspetti, si registra infatti, a quanto consta, un solo precedente giurisprudenziale, peraltro favorevole ai togati, del Tribunale del lavoro di Bologna, G.U. dott. Palladino, che,
con la sentenza 18 dicembre 2007, n. 704, ha incluso le competenze professionali nell’ambito della
base di calcolo per la tredicesima mensilità, conformemente condannando il Comune di Bologna a
corrisponderla al proprio personale togato dipendente.
A parere del giudicante, infatti, non osta a tale conclusione né l’art. 45 del D.Lgs. n. 165/2001, a tenore del quale ricorre il divieto di erogazione di emolumenti non contemplati nel Ccnl, né l’art. 3, del
Ccnl del Comparto regioni-enti locali per la dirigenza, biennio economico 2000/2001, secondo
cui la tredicesima mensilità è pari ad un tredicesimo dello stipendio tabellare e della retribuzione
di posizione in godimento, al rateo del maturato
economico annuo di cui all’art. 35, c. 1, lett. b,
Ccnl 10 aprile 1996 (ove acquisito) ed al rateo delle
retribuzione individuale di anzianità (ove acquisita), atteso che tale enumerazione non possiede il
carattere della tassatività.
Carattere che, difatti, argomenta il Tribunale bolognese «non viene esplicitamente affermato dal contratto, il quale non esclude espressamente il computo di ulteriori voci; nella fattispecie, poi, occorre
considerare che i compensi professionali per le cause effettuate si riferiscono ad una categoria di dirigenti estremamente peculiare e non certamente pre-
sente in tutti gli enti locali; ciò induce a ritenere che
la non menzione nell’elenco di cui all’art. 3 del
Ccnl non valga come esclusione».
Peraltro, conclude il Giudice del lavoro, «anche nel
nuovo contesto contrattuale la voce retributiva in
questione perdura ed è salvaguardata, né si rinviene
una volontà esplicita di privarla di effetti ai fini del
calcolo della tredicesima mensilità, onde la sua natura retributiva, derivante dalla continuità e non
aleatorietà della corresponsione, induce a ritenerla
computabile ai fini della tredicesima mensilità».
Natura retributiva che, giova evidenziare, è stata ribadita di recente anche dalla Consulta, con la menzionata decisione n. 33/2009, relativa all’integrale
accollo degli oneri previdenziali da parte dei legali,
nonché dalla giurisprudenza amministrativa e del
lavoro ratione temporis munita del potere di cognizione della problematica de qua (32).
Quanto alla prassi, tuttavia, di contrario avviso si
mostra l’A.Ra.N. che, con il parere ral 1176, pubblicato sul suo sito istituzionale, ha ritenuto che
«l’attuale disciplina della tredicesima mensilità,
contenuta nell’art. 5 del Ccnl 9 maggio 2006, prende a base di calcolo esclusivamente gli elementi retributivi riconducibili alla nozione di retribuzione
di cui all’art. 10, c. 2, lett. c), Ccnl 9 maggio
2006. Detta nozione, come risulta dall’espressa formulazione della clausola contrattuale, ricomprende:
la retribuzione tabellare iniziale; gli incrementi tabellari per progressione economica orizzontale nella categoria; la retribuzione individuale di anzianità; la retribuzione di posizione dei titolari di posizione organizzativa; gli assegni ad personam a carattere continuativo e non riassorbibile. Si tratta di
Note:
(31) App. Palermo, sez. lav., 17 maggio 2012, n. 879, secondo cui le disposizioni contrattuali nazionali hanno «solo demandato alla contrattazione integrativa la disciplina relativa alla corresponsione dei compensi professionali dovuti in
caso di sentenza favorevole all’ente, ma non ha certamente inteso conferire alle
parti alcun potere in ordine alla ripartizione degli oneri contributivi e neppure in
ordine all’ambito di applicazione dell’Irap. D’altronde, come è stato precisato
dalla Corte costituzionale (v. sentenza n. 33, del 26 gennaio 2009) la materia
è estranea all’ambito dell’autonomia negoziale collettiva» (la Corte ha cosı̀ confermato il decreto ingiuntivo 30 marzo 2005, n. 252 reso dal Tribunale ed opposto dal Comune di Palermo, vittorioso in primo grado con sentenza resa dal
Trib. Palermo, sez. lav., 3 febbraio 2009, n. 270, ma soccombente nell’appello
promosso dai legali dell’Avvocatura civica).
In termini App. Palermo, sez. lav., (in diversa composizione collegiale), 24 luglio
2012, n. 838. Conf. Trib. Treviso, sez. lav., G.U. dott. De Luca, 26 novembre
2010, n. 563, che osserva che non funge allo scopo di traslare l’imposta sul dipendente nemmeno un eventuale regolamento comunale, essendo la materia
tributaria di esclusiva competenza statale e le relative leggi non derogabili.
(32) Tra le tante: Cons. Stato 30 agosto 2004, n. 5644, con richiami giurisprudenziali; Cass., sez. lav., 21 giugno 1995, n. 6977; Trib. Fermo, sez. lav., G.U.
dott. Cozzolino, 22 luglio 2008, n. 203; Tar Puglia, Lecce, 25 marzo 2010, n.
847; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 14 giugno 2001, n. 879; Tar Umbria, Perugia,
31 gennaio 1998, n. 137.
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Il punto su...
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un’elencazione tassativa ed esaustiva e, quindi, insuscettibile di essere estesa nel senso di ricomprendere nella stessa altre indennità o altri compensi,
contrattualmente previsti per remunerare particolari
categorie di lavoratori o per compensare specifiche
prestazioni. Pertanto, nel caso rappresentato, proprio per la mancanza di una specifica indicazione
in tal senso nel citato art. 10, Ccnl 9 maggio
2006, si deve escludere che possano essere inclusi
nella base di calcolo della tredicesima mensilità anche i compensi professionali previsti dall’art. 27,
Ccnl 14 settembre 2000».
Infine, per quanto concerne la computabilità degli
onorari ai fini del trattamento pensionistico, nella penuria delle pronunce aventi ad oggetto la nuova disciplina pattizia, presumibilmente per la novità delle
questioni poc’anzi detta, si registrano opposti approdi tra la giustizia amministrativa e quella contabile.
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Per la prima, infatti, si è espressa in senso favorevole l’Adunanza Plenaria, con decisione 1 dicembre 1995, n. 32, che, a proposito della computabilità degli onorari percepiti ai sensi dell’art. 69, del
D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, nel trattamento
di quiescenza degli avvocati dipendenti degli enti
locali, ha affermato discenderne la pensionabilità
dalla continuità e non aleatorietà degli emolumenti
de quibus, cosı̀ da essere in toto assimilabili al trattamento retributivo, la percezione dei compensi
rappresentando il proprium dell’attività professionale spiegata in favore dell’amministrazione.
Di contrario avviso, tuttavia, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale III, che, decidendo la questione per gli avvocati dello Stato, con sentenza 26 febbraio 1990, n. 64298, ha ritenuto che gli onorari
non costituiscono emolumento utile alla determinazione del trattamento pensionistico.