Libri Mantovani:La memoria dell`acqua, Eppur bisogna andare

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Libri Mantovani:La memoria dell`acqua, Eppur bisogna andare
 Libri M antovani Pag. 8
LA REGGIA
a cura di Bonamico
`
I libri sono un mondo sostanziale, buono e puro,
intorno al quale, avviticchiati con la forza del sangue
e della carne, possono crescere i nostri diletti e la nostra felicità
Worsworth
Letterato inglese 1770+1850
a
La memoria
dell’acqua
o b biamo
alla
prestigiosa
macchina
fotografica
di Arrigo Giovannini ed
alla incisiva prosa di Dario Ariodante Franchini
se viene ricordato con
grande vigore il più mantovano dei corsi dʼacqua
che scorrono nelle nostre
plaghe, il Mincio che poi
si riversa nel grande fiume, il Po.
Già nel 1996, per i
tipi di Promoprint s.r.l.
di Verona, è infatti uscito il volume La memoria
dellʼacqua, sassi e argille del Mincio che i due
autori virgiliani, lʼuno con le immagini, lʼaltro con le parole hanno
realizzato e che a noi, se pure assai
attenti su tutto quanto riguarda
Mantova e la sua storia e il suo
territorio era purtroppo sfuggito.
Vogliamo pertanto ora, anche se
ad un decennnio di distanza dalla
sua pubblicazione, fare ammenda
per la nostra mancanza parlando
di questa opera che costituisce una
importante base per una ulteriore e più approfondita conoscenza
della nostra terra bagnata da quel
mitico fiume. Se si toglie quel
breve tratto dallʼuscita dal lago
di Garda, ove entra dalle parti
di Riva con il nome di Sarca, a
Borghetto in terra veronese, per
il resto del suo corso il Mincio è
tutto virgiliano e da vita al territorio che percorre rendendolo una
delle zone più fertili e vivibili
della Padania.
Il fiume con i suoi tre laghi
realizzati dallʼuomo circa otto
secoli fa, circonda la sua città,
Mantova, facendola protetta e
sicura come poche altre e rende
una insperata sorpresa, per quanto
in essa custodito, a coloro che vi
accedono per la prima volta.
Le splendide foto di Giovannini ci mostrano il fiume ed i
luoghi che attraversa scendendo
verso il suo incontro con il Po,
molti dei quali di vero interesse
ambientale e storico.
Non va infatti sottaciuto che
tra lʼaltro si incontra la più vasta foresta della pianura, il bosco
della Fontana, un tempo prodiga
riserva di caccia dei Gonzaga signori di Mantova e che il fiume
di cui si parla è stato da sempre
luogo di scontro tra eserciti avversari divenendo teatro di cruenti
battaglie. Basti ricordare quelle,
diciamo più recenti, la napoleonica di Pozzolo e le risorgimentali di
Goito, Monzambano e Solferino
e San Martino.
Giovannini riesce mirabilmente a farci vivere i luminosi
paesaggi attorno al fiume, le sue
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sponde verdi di piante e di erbe,
ravvivate dai tanti fiori di svariata natura che nella primavera e
nella estate le arricchiscono di
smaglianti colori.
Per non parlare delle belle immagini che ritraggono gli abitanti
rivieraschi attenti ai loro lavoro
su quanto il fiume fornisce loro
con gli spontanei prodotti dei
suoi canneti.
E Franchini, accompagnando
le tante perfette foto con la sua
esperta e sapiente prosa, rende
ancora più realistiche le immagini
immortalate dallʼobiettivo che divengono addirittura parlanti.
In cinque capitoli, con sunto
tradotto in lingua inglese, Franchini ci parla compiutamente
della storia di Mantova dalle
origini di piccolo villaggio posto
precariamente su di un rialzo del
terreno nel mezzo di una palude,
alla solida città capitale di uno
stato piccolo ma, ben strutturato
e guidato, per quasi quattrocento
anni. Ci racconta di come il Mincio è vissuto e come, nel corso
dei secoli, seguendo le mutazioni
geologiche e le cure dellʼuomo
è giunto sino a noi per divenire
lʼimportante via dʼacqua fra Mantova e il Po e da qui allʼAdriatico
e a Venezia.
Dobbiamo, concludendo,
esprimere un sentito plauso ai
due autori per lʼopera che essi
hanno voluto e saputo realizzare
con la quale ci hanno raccontato magistralmente del fiume di
quanto lo circonda e vive assieme a lui, in ogni momento della
giornata ed in ogni stagione, con
lʼaccecante sole della piena estate
e le fitte nebbie dellʼautunno e
dellʼinverno.
A. GIOVANNINI - D.A. FRANCHINI
La memoria dellʼacqua,
sassi e argille del Mincio
Promoprint s.r.l. Verona
Euro 58,00 in libreria
ilberto Cavicchioli,
scrittore
molto attento
a tutto quanto riguarda
Mantova ed i
suoi abitanti
nel presente
e nel passato ha incontrato, andando indietro nel tempo, una
quarantina di suoi conterranei che
hanno partecipato alla seconda
guerra mondiale, li ha intervistati
uno ad uno e si è fatto raccontare le loro singole esperienze che
egli ha confezionato in un libro
recentemente edito nel quale,
questi venti mantovani, narrano
con semplicità, la parte che ciascuno di essi ha avuto in questo
tremendo conflitto mondiale
incluso il tragico epilogo della
guerra civile in Italia.
Il libro pubblicato per i tipi
di Postumia reca il titolo Eppur
bisogna andare con sottotitolo
“soldati mantovani nella bufera
della seconda guerra mondiale”,
è, possiamo ben dirlo, per niente
fazioso e gli eventi in esso descritti sono, usando un termine scientifico, perfettamente asettici.
Così sono stati correttamente
riportati i racconti di chi, dopo
anni di guerra sui vari fronti, non
volendo aderire alla neo costituita
Repubblica Sociale Italiana, preferì rimanere tra i reticolati dei
lager germanici, chi finì prigioniero dei gulag sovietici, chi attenendosi al giuramento di fedeltà
reso al re, continuò a militare nel
così detto esercito del sud sotto
il controllo degli anglo-americani e chi, anchʼegli nel segno
dellʼonore, entrò nellʼesercito
della R.S.I. combattendo contro
gli anglo-americani al fianco dei
tedeschi che, peraltro, avevano
a loro volta assunto il controllo
dellʼAlta Italia.
Lʼuna dopo lʼaltra, alternandosi tra loro, si snodano le testimonianze dei protagonisti del
libro, dai due piloti di aereo che
narrano della loro attività bellica
prima del tragico otto settembre
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Eppur bisogna andare
1943, che divise lʼItalia in due
tronconi, lʼuno a al sud sotto gli
anglo-americani, lʼaltro al centronord sotto i tedeschi.
Entrambi i piloti fecero poi
parte dellʼaeronautica militare
del regno del sud compiendo
missioni di guerra nei cieli balcanici rifiutando però di agire
nello spazio aereo italiano per
non dover combattere contro
piloti che volavano per lʼaeronautica della R.S.I.
Chiara e ben definita la relazione di un ufficiale degli alpini
che passati ben oltre due anni
in guerra tra il Montenegro, la
Bosnia ed il confine orientale,
dopo il vergognoso armistizio,
aderì alla Repubblica Sociale e
combattè con la X Flottiglia Mas
sul fronte di Nettuno e quello del
Senio contro il variegato esercito
anglo-americano guadagnandosi
un anno di prigionia in un campo di concentramento inglese in
Algeria.
Ed ancora assai importante è
quanto narrato da un soldato di
cavalleria del Reggimento Savoia
che, durante la campagna di Russia, partecipò alla cosidetta carica
di Isbuscensky, lʼultimo episodio
bellico del genere registrato
dalla storia. Né va trascurato il
racconto di un ufficiale medico
fatto prigioniero sul fronte russo
e rientrato in patria ben dopo la
fine delle ostilità.
Vi è chi riferisce sulle sue esperienze di militare di leva, classe
1924, sotto la R.S.I., addestrato
in Germania in una delle quattro divisioni che poi, integrate
da due tedesche, costituirono
lʼarmata Liguria che, sotto il
comando del maresciallo dʼItalia
Rodolfo Graziani, combatté sul
fronte appenninico ed al confine
alpino con la Francia.
Né prive di interesse sono le
testimonianze di due marinai
lʼuno imbarcato sullʼincrociatore San Giorgio, alla fonda nel
porto di Tobruk, fu testimone
dellʼabbattimento dellʼaereo del
governatore della Libia Italo
Balbo e lʼaltro, sommergibilista,
dopo aver partecipato a numerose
azioni nel Mediterraneo, con la
resa della nostra flotta, rimase in
servizio in un porto dellʼItalia
meridionale.
Anche la testimonianza di
un paracadutista della divisione
Folgore con la quale ha partecipato alla grande battaglia di El
Alamein nellʼautunno 1942 è
assai significativa. Egli, fatto prigioniero dai britannici, dopo lʼ8
settembre rifiutò di collaborare,
assieme a tanti altri suoi compagni
con gli alleati, e rimase quindi
in un campo di concentramento
africano sino al 1946.
Abbiamo citato solo alcune
delle interviste riportate da Cavicchioli ritenendo, con queste,
di dare una panoramica plausibile
di questo libro che rievoca, a ben
sessanta anni di distanza, un periodo denso di luci ed ombre che,
come abbiamo visto, ha ben toccato attraverso tanti suoi uomini,
la nostra terra, basti pensare al
sacrificio dei circa seicento fanti
mantovani inquadrati nel mitico
80° che non fecero ritorno.
GILBERTO CAVICCHIOLI
Eppur bisogna andare
Edizioni Postumia
Euro 18,00 in libreia
Andrea, mio padre
Un uomo comune
che visse non comunemente
ndrea,
mio
padre.
Un
uomo comune
che visse non
comunemente
è il titolo del
volume che
Vladimiro
Bertazzoni
ha dedicato al suo genitore.
Un libro a quattro mani e carico
di ricordi e di piccole lezioni: la
veste grafica evidenzia unʼalternanza di quinterni grigi e bianchi.
I primi riportano integralmente
lʼintrovabile volume di Andrea
Bertazzoni Una vita tra le tempeste sociali e che può pertanto
essere letto come un libro a sé.
Le pagine bianche sono invece gli interventi di Vladimiro
Bertazzoni: capitoli nuovi,
commenti, integrazioni, documentazioni, bibliografie, scritti
inediti intorno e su Andrea.
Un libro dal sapore dolceamaro, affettuoso per lʼamorosa
dedizione che lo storico e slavista Vladimiro, già sindaco
di Mantova, riversa nellʼopera
A
A
e verso la memoria del padre.
Una figura “normale”, comune,
se si vuole, ma la cui biografia
rivela come vissuta tuttʼaltro che
comunemente, sempre allʼinterno dei grandi eventi della storia
difficile del ventesimo secolo,
spesso vissuta con sofferenza
proprio a causa della coerenza
di Andrea, sempre pronto a battersi di fronte agli eventi giudicati come soprusi per la propria
e lʼumana dignità. Il ponderoso
e piacevole volume è corredato
da un ricchissimo apparato iconografico che con scatti dʼepoca,
documenti, cartine, illustrazioni
varie, oggetti... accompagna il
testo e fissa nellʼimmaginario
collettivo la narrazione di Bertazzoni. Una vita non comune,
così è descritta da Mario Artioli
la successione delle vicende di
Andrea Bertazzoni. Definizione
quanto più indovinata: Andrea
Bertazzoni visse “pericolosamente” in uno dei momenti più intensi della storia contemporanea.
Fin da giovane dedito al lavoro
nonostante le belle qualità intellettuali, venne coinvolto nella
drammatica guerra 1915-1918.
Il suo travaglio umano toccò
qui apici indicibili, spesso mitigati in extremis dalla fortuita
conoscenza di un graduato o
dalla scelta drastica di spararsi
in una mano per sottrarsi dalla carneficina del fronte. Ma
probabilmente il carattere di
Andrea Bertazzoni venne ancor
più forgiato nel dopoguerra
quando si trovò alla direzione
della cooperativa di San Benedetto nel fiorire del fascismo.
Di qui la conseguente fugaesilio dapprima in Francia e
quindi in Unione Sovietica, dove
venne raggiunto dalla fidanzata e
da dove, solo nel 1946, riuscì a
rientrare in Italia. Né il “paradiso sovietico”, che donò il figlio
Vladimiro (o, secondo il nome
assunto colà, Wowa Mukas) gli risparmiò sia esaltanti scoperte, sia
momenti drammatici, quali quello
notissimo legato alla vicenda del
gorgonzola: Bertazzoni aveva iniziato, nel 1936, a produrre varii
tipi di formaggio, tra cui questo
morbido italiano, ma le striature
di muffa verde insospettirono la
dirigenza dello stabilimento che
lo denunciò come “sabotatore
e avvelenatore del popolo”.
Numerosi sono gli episodii
e le riflessioni cui porta il volume, legati alla seconda guerra
mondiale e al rimpatrio. Quella
di Bertazzoni certamente fu una
vita non comune, che lui stesso
descrisse, in una poesiola, così:
«Né Caino, né Abele, / né aggressione né viltà, / per esser più
fedele / alla Pace e Libertà». (p.be.)
VLADIMIRO BERTAZZONI
Andrea, mio padre.
Un uomo comune
che visse non comunemente
Editoriale Sometti, Mantova
Euro 18,00 in libreria