Panorama, n.20, 31 ottobre 2014
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Panorama, n.20, 31 ottobre 2014
Interviste Dossier Letteratura Mirko Štifanić: «Dittatori democratici, il male oscuro della politica» CI di Abbazia. Il presidente Varljen: «Siamo una grande famiglia» Scrittori e poeti istriani, fiumani e dalmati... all over the world D. Pirjavec-Rameša p. 8 A. Velikonja p. 24 C. Rotta p. 18 www.edit.hr Anno LXII - N. 20 | 31 ottobre 2014 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Capire il passato per progettare il presente e il domani Dalla «Bancarella» emerge una nuova unione tra le genti dell’Adriatico orientale Istria Nobilissima: uscita l’Antologia 2013 Presentato ad Abbazia, a Villa Angiolina, il volume della XLVI edizione del Concorso UI-UPT sommario numero 20 | 31 ottobre Una scuola da... lode Inaugurazione solenne, lunedì 27 ottobre, del cortile interno che unisce la Scuola media superiore italiana e l’Elementare “Dolac” di Fiume, sottoposto a un intervento di rifacimento. Si conclude così una delle ultime tappe del progetto di restauro complessivo dell’edificio che fu inaugurato nel gennaio 1888, costruito per volontà dell’amministrazione Ciotta, su progetto dell’architetto triestino Giacomo Zammattio. Del resto, per la “Dolac”, soprattutto, l’anno scolastico 2014/2015 è di quelli che faranno storia. All’inizio del mese, infatti, nell’ambito della Giornata mondiale degli insegnanti, l’istituzione si è aggiudicata il premio quale miglior scuola della Regione litoraneo-montana. Il riconoscimento è stato consegnato alla direttrice, Nadia Poropat, dalla vicepresidente della Regione, Marina Medarić, nel corso di una cerimonia svoltasi al Palazzo del Governo. “Non è stato facile competere con tutte le scuole elementari, medie 3-6 | Primo piano. Amministrative in Slovenia: l’uscita di scena dei vecchi leader di Stefano Lusa di Abbazia: una grande famiglia” Intervista con il presidente Pietro Varljen di Ardea Velikonja 8-12 | Interviste. Mirko Štifanić: “Dittatori democratici, il male oscuro della politica” di Diana Pirjavec-Rameša 29-31 | Territorio. Una Marunada senza marroni - ISAP 2014: Antignana per un giorno capitale del prosciutto 21 | Attualità. Il sindaco di Zagabria in manette 28 | Società. Pirano: Europa Neu Denken Ripensare l’Europa di Marino Vocci 34-35 | Made in Italy. “Casa Moderna”: il nuovo modo di vivere la casa e l’abitare 14-16 | Eventi. Dalla “Bancarella” spunti e idee per il futuro: Giorno del Ricordo anche in Istria di Ilaria Rocchi 17-20 | Etnia. Istriani, Fiumani, Dalmati famosi all over the world di Carla Rotta 21 | Italiani nel mondo. Sono quasi 4,5 milioni i connazionali all’estero 22-23 | Agenda. Ebola: continua l’allarme Rovigno e Cittanova campioni del turismo a cura di Nerea Bulva 24-28 | Dossier. “Comunità degli Italiani Redattore capo responsabile Ilaria Rocchi [email protected] Progetto grafico-tecnico Sanjin Mačar Redattore grafico-tecnico Sanjin Mačar, Teo Superina Collegio redazionale Nerea Bulva Diana Pirjavec Rameša Ilaria Rocchi Mario Simonovich Ardea Velikonja 2 superiori e gli asili della Regione. La concorrenza era spietata e comprendeva dieci istituzioni scolastiche. Abbiamo presentato la candidatura puntando sui progetti avviati, primo tra i quali Comenius, ma anche altri, molti dei quali vengono realizzati in collaborazione con le altre scuole elementari della CNI. È stata considerata pure l’attività complessiva, che è davvero molteplice, gli ex alunni della Dolac che sono diventati personaggi importanti, i riconoscimenti che la scuola ha ricevuto finora, il contributo che ha dato a livello cittadino e regionale e tante altre cose ancora. Abbiamo inviato un librone di 200 pagine e una video presentazione. Sono molto orgogliosa di questo riconoscimento, ma anche sicura che ce lo siamo meritati”, ha dichiarato alla “Voce del Popolo” una raggiante e orgogliosa Nadia Poropat, che ha ritirato il riconoscimento circondata da alunni e docenti. Panorama 36-38 | Dal passato. Fame e tifo. L’anno senza estate: 1817 di Rino Cigui 39-41 | La storia oggi. A Udine un originale progetto didattico internazionale per insegnare la tragedia europea di Fulvio Salimbeni 42-47 | Teatro. Giovanni Battistia Storti: note a margine della prima esperienza con il Dramma Italiano di Bruno Bontempo REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-770 Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153 Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) TIPOGAFIA Helvetica - Fiume-Rijeka ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa), semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa), una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 , semestrale (12 numeri) euro 31,30, una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00, una copia euro 1,89. 48-49 | Arte. Ivan Kožarić, l’indefinibile di Erna Toncinich 50-51 | Cinema e dintorni. Le ultime ore di Pasolini secondo Abel Ferrara di Gianfranco Sodomaco 52-53 | Psicologia. False credenze sulla psicologia criminale di Denis Stefan 54-55 | Multimedia. Autunno di grandi aggiornamenti per i prodotti Apple a cura di Igor Kramarsich 56-57 | Floralia. Nel fiore del mandorlo tesori inesauribili di Daniela Mosena 58 | Scacchi. Il primo campione del mondo non ufficiale: Paul Morphy a cura di Sandro Damiani 59 | Passatempi. Cruciverba di Pinocchio Foto di copertina di Massimo Battista Versamenti: Per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. 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Errol Superina Consiglio di amministrazione: Oskar Skerbec (presidente), Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente), Roberto Bonifacio, Samuele Mori, Dario Saftich, Borna Giljević Ente giornalistico-editoriale Rijeka - Fiume Zvonimirova 20A primo piano Amministrative in Slovenia Nei comuni costieri equilibri confermati. Scheriani pigliatutto in casa CNI L’uscita di scena dei vecchi leader di Stefano Lusa L e elezioni amministrative in Slovenia non hanno cambiato gli equilibri nei comuni costieri. Non ci sono stati grandi vincitori e nemmeno grandi sconfitti. Boris Popovič si è riconfermato, al primo turno, sindaco di Capodistria, mentre i primi cittadini di Isola e Pirano, Igor Kolenc e Peter Bossman, hanno dovuto attendere il secondo turno per avere la meglio rispettivamente su Branko Simonovič del Desus e su Sebastjan Jeretič di “Slovenia per sempre”. Vittorie convincenti le loro, che avevano del resto sfiorato l’elezione già al primo turno. Netta affermazione, al primo turno, anche di Gregor Strmčnik ad Ancarano. Il padre del progetto che ha portato alla secessione del piccolo comune da Capodistria l’ha spuntata su Gašpar Gašpar Mišič di “Slovenia per sempre”. L’immobiliarista, nonché ex presidente dell’ente porto, era considerato, al pari di Jeretič, uno degli uomini di Popovič. fNaufraga un sogno fPolemiche e accuse Proprio il sindaco di Capodistria, con il suo movimento “Slovenia per sempre” sembra uscire ridimensionato da questa tornata elettorale. La sua vittoria al primo turno, del resto, è stata meno schiacciante del solito e il tentativo di estendere il suo influsso al di là dei confini cittadini pare naufragato. Sul piano generale va segnalata la confusione presente nel Partito di Miro Cerar, recente vincitore delle elezioni politiche. A Isola la compagine ha appoggiato entrambi che andavano al ballottaggio. Da Lubiana è arrivato il supporto a Simonovič, mentre la sezione locale ha dato il suo incondizionato sostegno a Kolenc. In un crescendo grottesco i candidati si sono accappigliati su chi avesse il reale appoggio della compagine del premier. Alla fine, sucitando una certa ilarità, entrambi hanno orgogliosamente ostentato il simbolo del suo partito sui manifesti. Vinctori e vinti, invece all’interno della Comunità nazionale italiana. Il trionfatore assoluto è stato Alberto Scheriani, presidente della Comunità autogestita costiera, vicesindaco di Capodistria e prezioso collaboratore di Popovič. La sua lista ha conquistato tutti e nove i posti nella Comunità autogestita comunale e ha traghettato in consiglio comunale una figura nuova della vita minoritaria, il giornalista Damian Fisher, che assieme a Scheriani e all’indipendente Mario Steffé rappresenteranno la minoranza per il prossimo mandato. Esce di scena, invece, Ondina Gregorich Diabaté, che non aveva lesinato critiche all’indirizzo del sindaco di Capodistria. Una campagna elettorale dura, quella che è andata in scena a Capodistria, senza esclusione di colpi e di reciproche accuse, con polemiche anche a livello istituzionale. Scheriani e Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva di Unione Italiana, si sono vivacemente confrontati sulla necessità di trovare un accordo che definisca il ruolo di Can e Unione in Slovenia. eeIl sindaco di Capodistria, Boris Popovič, riconfermato al primo turno, anche se con il suo movimento, “Slovenia per sempre”, sembra uscire ridimensionato da questa tornata elettorale. Infatti, la sua vittoria è stata meno schiacciante del solito; inoltre, pare naufragatoil tentativo di estendere il suo influsso al di là dei confini cittadini fL’intesa c’è? Sì, no, ni Per Scheriani l’intesa non c’è e va trovata; per Tremul la faccenda, invece, è stata risolta già al momento della registrazione dell’Unione in Slovenia. Tremul non ha mancato di accusare Scheriani e la sua lista Panorama 3 L’ennesimo scontro isolano tra le due Comunità degli Italiani vede questa volta trionfare la “Dante” sulla “Besenghi”. Un contenzioso che, ad onor del vero, questa volta, più che su grosse questioni politiche è sembrato vertere sulla gestione dei mazzi di chiavi che aprono e chiudono la porta di Palazzo Manzioli. fLa sorpesa di Pirano ccAlberto Scheriani di aver tirato in ballo l’Unione in campagna elettorale e Scheriani ha accusato Tremul di essere entrato nella sua veste istituzionale nella campagna elettorale per le amministrative. La polemica comunque non sembra aver fatto male a Scheriani e alla sua lista, che non è stata minimamente scalfita dalle critiche dei suoi avversari che hanno tirato in ballo argomenti molto simili a quelli tirati in ballo, nello scorso mandato, dall’opposizione contro la leadership di Unione italiana. fDante batte Besenghi Il grande sconfitto di queste elezioni, invece, è Silvano Sau. Il vecchio leader della minoranza, che nelle precedenti tornate elettorali aveva fatto sempre il pieno di voti, questa volta resta fuori dal Consiglio comunale di Isola, e non ce l’ha fatta nemmeno a entrare nella Comunità autogestita comunale. A Pirano la vera sorpresa è stata l’esclusione dal Consiglio comunale di Luciano Monica, che da anni rappresentava un punto fermo per la minoranza. A sconfiggerlo, per un solo voto, Daniela Sorgo. L’ex conduttrice di Radio Capodistria, attivissima negli ultimi anni in Comunità, dove spesso si esibisce con il gruppo di rievocazione storica vestita da veneziana, entra in consiglio comunale con Manuela Rojec presidente della Comunità e sempre più leader della minoranza piranese – e con Bruno Fonda, vicesindaco uscente e unico fra i tre ad avere esperienza in Consiglio comunale. Campagna elettorale praticamente senza polemiche ed anche senza novità rispetto ai discorsi già sentiti in passato. Unico strascico degno di nota il ricorso presentato da Luciano Monica, respinto dalla Commissione elettorale, per il fatto che un suo sostenitore, al momento del voto, non si è trovato iscritto nell’elenco elettorale particolare. fAncarano si stacca ma unisce i leader della minoranza Sugli elenchi elettorali si sta polemizzato parecchio soprattutto ad Ancarano, dove alcuni elettori non hanno potuto iscriversi alle liste il giorno del voto. I ricorsi alla commissione elettorale particolare sono stati respinti, ma pare che del- Comunità Autogestite della Nazionalità Italiana: rinnovata la fiducia ad Alberto Scheriani, che rimane a capo della CAN costiera, mentre Fulvio Richter si riconferma alle redini di quella capodistriana, rispettivamente Nadia Zigante di quella piranese. È a Isola che si registra la novità, dove le chiavi di Palazzo Manziol passano a Marko Gregorič – il quale subentra ad Astrid Del Ben, che le ha rette nel precedente mandato –, ma soprattutto è Ancarano ad essere sotto i riflettori, con l’esordio di Linda Rotter, prima presidente della CAN della località, una realtà ancora in fase di organizzazione. 4 Panorama la questione ora si occuperanno i tribunali. Nel piccolo Comune la sparuta comunità italiana si è comportata come gli altri cittadini: si è schierata apertamente con i due candidati sindaco. A vincere nettamente è stata quella parte che supportava Gregor Strmčnik e quindi il distacco da Capodistria della nuova municipalità; una posizione questa osteggiata, invece, da tutte le istituzioni della CNI, preoccupate dall’esiguità della minoranza e dall’assenza di forme organizzate della comunità italiana nel nuovo comune. fElenchi elettorali e «purezza etnica» In ogni modo quello che è risultato evidente da questa tornata elettorale è che non c’è alcuna uniformità sulla questione degli elenchi elettorali. A Capodistria i connazionali hanno potuto iscriversi anche il giorno del voto e votare, mentre ad Ancarano ciò non è stato possibile. A Isola un’apposita commissione verificava “l’italianità” di quelli che volevano iscriversi agli elenchi; a Pirano, invece, l’iscrizione era teoricamente possibile, ma tecnicamente impossibile visto che i nuovi iscritti sarebbero dovuti passare al vaglio di una apposita commissione, che non è ancora stata istituita. Sta di fatto che la questione dell’iscrizione agli elenchi elettorali si trascina da tempo e non è ancora stata seriemente affrontata. A Isola, da anni, la “purezza” etnica dei nuovi iscritti viene verificata. La pratica non è un’invenzione locale, ma era stata ventilata anni addietro in una delle sentenza della Conte costituzionale che riguardava gli elenchi particolari minoritari, ed è stata fatta propria dagli isolani. Ora persino la nuova legge sugli elenchi elettorali dice che bisogna farlo. Dopo qualche timida protesta, a questo punto, tutti sembrano pronti ad adeguarsi (sic!). PRESIDENZA DELLE CAN Isola, fiducia a Marko Gregorič; a Pirano resta Nadia Zigante, e a Capodistria Fulvio Richter. Ancarano, esordio di Linda Rotter primo piano Al Senato della Repubblica Italiana (sala dell’Istituto Santa Maria d’Aquino) il volume dei verbali del Consiglio Nazionale Italiano della città Fiume tra il 1918 e il 1920 biennio tormentato, epico “I l Consiglio Nazionale Italiano di Fiume, radunatosi quest’oggi in seduta plenaria, dichiara che in forza di quel diritto, per cui tutti i popoli sono sorti a indipendenza nazionale e libertà, la città di Fiume, la quale finora era un corpo separato costituente un comune nazionale italiano, pretende anche per sé il diritto d’autogestione delle genti. “Nihil de nobis sine nobis”, nulla sarà fatto senza di noi! Basandosi sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, lanciato nel bel mezzo della Prima guerra mondiale dal presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, si sancisce l’unione di Fiume alla sua madrepatria, l’Italia. “Il Consiglio Nazionale Italiano considera come provvisorio lo stato di cose subentrato addì 29 ottobre 1918, mette il daciso sotto la protezione dell’America, madre di libertà e della democrazia universale, e ne attende la sanzione dal congresso della pace”, scrive nel proclama firmato Comitato direttivo del Consiglio Nazionale Italiano. È il 30 ottobre 26 aprile 1915 1918, anche se la data in calce al documento riporta erroneamente –per la fretta – quella del 30 settembre. A 96 anni da questo storico proclama, che esprime chiaramente quello che era l’anelito del popolo fiumano dell’epoca, e a novant’anni dall’annessione della città al Regno sabaudo (a seguito del Trattato di Roma, siglato il 27 gennaio 1924), approda negli ambienti del Senato della Repubblica Italiana – nella sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro – il volume “I Verbali del Consiglio Nazionale Italiano di Fiume (1918-1920)”, pubblicato dalla Società di Studi Fiumani. Un’iniziativa di grande significato, che oltre a fornire agli studiosi un’ulteriore, preziosa fonte per ulteriori indagini di approfondimento sulla questione fiumana, riporta al centro dell’attenzione delle autorità italiane la complessa e tormentata, ma per certi aspetti quasi epica vicenda del capoluogo quarnerino. E lo fa tramite quest’opera che pone in luce l’importanza dell’operato dei governi autocto- 24 ottobre 1918 ni fiumani nei primi anni burrascosi che fecero seguito alla Grande guerra. Con i saluti dell’on. Aldo Di Biagio, moderato dal dott Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di Fiume e segretario generale della Società di Studi Fiumani a Roma, l’incontro ha coinvolto Amleto Ballarini, presidente della medesima, con un inquandramento storico su Fiume, il prof. Giuseppe Parlato (Università degli Studi Internazionali di Roma), su “L’importanza economica e strategica del porto di Fiume”, il prof. Giovanni Stelli (direttore editoriale di “Fiume”, Rivista di studi adriatici) su “La Giovine Fiume per l’Italia”, il prof. Augusto Sinagra (Università degli Studi Internazionali di Roma) su “Il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume sul piano internazionale” e del curatore del volume, il dott. Danilo Massagrande, su “I Verbali del Consiglio Nazionale Italiano: questioni archivistiche e filologiche”. I verbali pubblicati sono la preziosa testimonianza dell’attività del Consiglio nazionale 29 ottobre 1918 Patto di Londra Scontri finali Il Consiglio nazionale italiano Accordo segreto con la Triplice Intesa. L’Italia si impegna a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali in cambio di compensi sottoforma di territori. Tra questi l’Istria (compresa Volosca), Cherso e Lussino, le piccole isole del Quarnero, la Dalmazia settentrionale con le città di Zara, Sebenico e Tenin. Fiume è esclusa Inizia la battaglia di Vittorio Veneto, che il 3 novembre porterà alla sconfitta definitiva dell’Impero austroungarico. L’Italia è tra i vincitori Dalle 13 sulla torre civica di Fiume sventola il tricolore italiano. Nel salone della Filarmonica si insedia il Consiglio nazionale italiano di Fiume, presieduto da Antonio Grossich, e si richiama al diritto all’autodecisione dei popoli 28 ottobre 1918 Finisce il periodo ungherese In serata l’ultimo governatore ungherese di Fiume, Zoltán Jekelfalussy de Jekel- és Margitfalva, comunica al podestà Antonio Vio che Budapest ha deciso l’abbandono della città ai Croati. Si mette in moto il Comitato nazionale croato rappresentato da Riccardo Lenac (in seguito conte supremo) Panorama 5 italiano, del suo organo di governo, il Comitato Direttivo, e dei loro successori. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale, il primo verbale della raccolta è quello relativo alla prima seduta del primo CNI, tenutasi il 23 novembre 1918, l’ultimo quello relativo alla seduta del secondo Consiglio Nazionale, del 31 marzo 1920; per quanto riguarda il Comitato Direttivo, il primo è quello relativo alla prima riunione del primo Comitato Direttivo tenutasi il 21 novembre 1918, l’ultimo è quello relativo all’ultima seduta del secondo Comitato Direttivo tenutasi il 21 settembre 1920. carica il 5 gennaio 1921 e cadde il 27 aprile di quello stesso anno, ossia dopo le elezioni per l’Assemblea Costituente del nuovo Stato, da cui uscì vincitore il Partito Autonomista di Riccardo Zanella. Quando la città passò alla sovranità italiana a seguito dell’Accordo di Roma, fu proprio Grossich a consegnare simbolicamente le chiavi di Fiume al re d’Italia nel giorno della sua visita per ufficializzarne l’annessione. Nel 1923 venne nominato senatore del Regno d’Italia. Più che opportuna, quindi, la sede prescelta per parlare del periodo che lo ha visto protagonista e che riemerge dagli atti del CNI. fL’impronta di Grossich fSforzi di sopravvivenza I verbali delle sedute del Consiglio nazionale italiano di Fiume e del suo Comitato Direttivo sono custoditi dal 1965, in unica copia, presso la Biblioteca della Società di Studi Fiumani – Archivio Museo di Fiume a Roma. Le raccolte, ci spiega Marino Micich, sono state conservate da Arturo Chiopris, esule fiumano, allora segretario del Consiglio nazionale italiano di Fiume. Diversi portano firme autentiche di Antonio Grossich (Draguccio, 7 giugno 1849 - Fiume, 1.mo ottobre 1926), che presiedette l’organismo. Politico, medico salito alla ribalta nel 1908 ideò la tintura di iodio come sterilizzazione rapida per uso esterno (oltre ad essere già stato probabilmente il primo a praticare la sterilizzazione della sala operatoria), fu anche consigliere e poi vicepresidente del Consiglio comunale di Fiume ai tempi del corpus separatum, e per questa sua carica, nella prima fase della Prima guerra mondiale, fu confinato per un certo 30 ottobre 6 periodo in Austria, come numerosi altri italiani della Venezia Giulia. Resse il CNI dalla sua costituituzione, il 29 ottobre 1918 – per amministrare l’autonomia cittadina preesistente e gestire l’annessione al Regno d’Italia –, al suo scioglimento, l’8 settembre 1920, all’atto di proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro. Caduta alla fine del dicembre 1920 la Reggenza Italiana del Carnaro, il Consiglio nazionale – in funzione di Rappresentanza municipale a norma della Carta del Carnaro –, riassunse il 31 dicembre i poteri statali e li mantenne fino al 27 aprile 1921. Invece il Comitato Direttivo, sciolto e sostituito, due giorni dopo le sue dimissioni, dal Governo provvisorio con principale attore Gabriele d’Annunzio, in quanto tale non risorse invece più; in sua vece fu costituito un Governo provvisorio, presieduto ancora da Antonio Grossich, che entrò in novembre 1918-settembre 1919 Come scrive nell’introduzione Danilo L. Massagrande, questi protocolli sono uno strumento di notevole importanza perché testimoniano quella storia economica, sociale e amministrativa che non sempre e non del tutto è stata presa in considerazione da chi si è occupato di quel particolare momento della vicenda di Fiume. Salta all’evidenza la necessità di assicurare il funzionamento ordinario di un vivere civile, con tutti i problemi annessi e connessi: questioni amministrative e giuridiche, mantenimento dell’ordine pubblico, personale degli enti pubblici, difficile situazione economica e sociale, moeta circolante, regolamentazione del commercio grande e piccolo, disoccuapazione, crisi delle attività industriali cittadine, risistemazione e utilizzo di edifici pubblici, riordino delle scuole, creazione di una diocesi indipendente... “Questi documenti ci mostrano infatti, non 12 settembre 1919 Il plebiscito Armi e diplomazia L’impresa dannunziana Zoltan Jekelfalussy lascia Fiume e Konstantin Rojčević, commissario del Consiglio Nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi, di Zagabria, dichiara di assumere i poteri a Fiume. Fiume ricade, per la prima volta dopo il 1867, in mano dei Croati. Ma il Consiglio nazionale italiano proclama all’unanimità l’annessione “alla sua madrepatria l’Italia”, s’insedia presso il municipio, assume l’amministrazione e il governo della città mantenendo distinte le due amministrazioni, la comunale e la statale, in attesa della risoluzione della questione fiumana Arriva la Marina italiana. Ad assumere il controllo è il gen. Enrico Asinari di San Marzano. Giovanni Host-Venturi issa il tricolore italiano sul palazzo del Governo. Seguono scontri e l’occupazione interalleata (novembre 1918-settembre 1919) di Fiume. Nel gennaio 1919 si apre la Conferenza di Pace di Parigi. ,L’Italia non riesce ad affermare i suoi interessi. Il presidente Usa, Thomas Woodrow Wilson, afferma: “Fiume e la Dalmazia non saranno italiane” I Granatieri di Sardegna, usciti da Fiume il 25 agosto 1919, invocano l’azione di Gabriele d’Annunzio. Vittorio Emanuele Pittaluga assume ufficialmente il comando delle truppe a presidio di Fiume. D’Annunzio, partendo da Ronchi, entra nel capoluogo quarnerino il 12 settembre alla testa di circa 2.500 uomini. Il popolo lo acclama come liberatore. Fiume è italiana Panorama primo piano che altro, i multiformi aspetti della quotidiana attività che il reggere la città necessariamente esigeva, e costruita non solo di nobili parole ed iniziative, ma di concreta azione, di ogni giorno, per consentire a Fiume ed ai Fiumani almeno di sopravvivere in una realtà tanto diversa rispetto a quella del Corpus separatum della Corona ungarica che ci si era appena lasciati alle spalle”, rileva il curatore. fIl fiumano autentico Inoltre, questo materiale finora poco noto, ci mostra “gli autentici cittadini fiumani agire da protagonisti veri delle loro vicende, quali essi in realtà furono, e ce li mostrano a tutto tondo, in quanto i Verbali sono, tra l’altro, un impareggiabile contributo alla conoscenza del modo d’essere e di pensare (e dell’evoluzione nel tempo di tale modo) di praticamente tutti i responsabili fiumani, prima – ma soprattutto dopo –, la venuta di d’Annunzio a Fiume: e questa storia appare, come deve essere ed è, calata nella realtà viva della città, in cui essi vissero ed operarono”, scrive Massagrande. “Invero, nei Verbali i grandi temi politici e patriottici son ben presenti ed identificabili, così come la dinamica dei contrasti tra le diverse visioni che si affrontavano, dopo un brevissimo momento di generale embrassons-nous, per la soluzione del problema di Fiume, tra i politici italiani in città; i Verbali sono dunque la testimonianza viva e presente delle discussioni, dei contrasti, delle assonanze e dissonanze tra i politici fiumani sin dai primi giorni (si pensi al ruolo di Zanella, esaltato all’inizio, quindi vi- 20 settembre 1919 Pieni poteri Il dott. Antonio Grossich, a nome del Consiglio Nazionale di Fiume, consegna i pieni poteri a Gabriele d’Annunzio. La sua prima ordinanza conferma in carica il Consiglio Nazionale e ne definisce le attribuzioni ccFolla in festa per la proclamazione dell’annessione all’Italia, con il plebiscito del 30 ottobre 1918 tuperato, e sin perseguitato poi con i principali suoi seguaci) e, dopo l’avvento di d’Annunzio, principalmente dei mai facili rapporti tra il Comando e la più gran parte del mondo politico fiumano, anche di moltissimi tra gli annessionisti stessi”. Fermo restando che la natura dei problemi, per così dire, di ordinaria amministrazione, non cambiò di molto tra i mesi precedenti la venuta di d’Annunzio e quelli successivi (con l’unica differenza che, dice Massagrande, dopo l’avvento del Comandante, anche le cose più semplici parvero complicarsi, per l’ingerenza del Comando che andava facendosi in tutte le questioni, dalle rilevanti sino alle più minute, a mano a mano sempre più grave), sta il fatto 12 agosto 1920 Il nuovo Stato Al teatro Fenice, Gabriele d’Annunzio annuncia la fondazione della Reggenza Italiana del Carnaro 8 settembre 1920 La Costituzione È proclamata la Reggenza e promulgata la Costituzione, la Carta del Carnaro, accettata per acclamazione dal popolo adunato nella piazza del palazzo del Governatore che nel periodo dal novembre del 1918 al 12 settembre 1919, per gli uomini che governavano Fiume il problema politico fondamentale – o che, almeno, come tale era percepito – era quello legato alla malcerta situazione internazionale, materiato come era da un lato dalla debolezza e dall’irresolutezza dell’Italia, dall’altro dall’inframettenza e dalla dichiarata ostilità delle grandi Potenze. “Fiume voleva la tante volte da sé proclamata annessione all’Italia, l’Italia del presidente della Vittoria certo la voleva, ma non sapeva procurarsi gli strumenti necessari ad ottenerla, quella di Nitti poco la voleva e certo non molto poteva, mentre gli alleati non intendevano neppur sentirne”, conclude il curatore. I. R. 12 novembre 1920 Il plebiscito Giovanni Giolitti conclude infatti con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni il Trattato di Rapallo: Zara è annessa all’Italia, mentre Fiume, privata di Porto Baross e del Delta, costituirà uno stato autonomo, lo Stato Libero di Fiume. D’Annunzio non accetta, seguono scontri armati dicembre 1920 Epilogo di un’epoca Dopo il “Natale di sangue”, il 31 dicembre ad Abbazia i delegati di Fiume e il generale Carlo Ferrario firmano l’accordo che mette fine alla Reggenza Italiana del Carnaro Panorama 7 di Diana Pirjavec Rameša I l prof. Mirko Štifanić, sociologo e docente universitario vive tra Fiume e l’Istria. Nel suo recente libro “Dittatori democratici. Signori dell’odio, delle divisioni e della crisi” edito da Redak/Spalato, ha analizzato l’aspetto problematico dell’attuale classe politica croata, cercando di capire il perché del mancato funzionamento della democrazia rappresentativa in un Paese che nei primi anni Novanta, uscendo da un sistema politico monopartitico, ha scelto con fermezza la via della democrazia. Poi, con il passare del tempo, i sogni di democrazia si sono infranti. Si vive male, ci si imbatte quotidianamente in casi di 8 Panorama GRAZIELLA TATALOVIĆ I referendum sono in questo momento l’unica valvola di sfogo che permette ai cittadini di manifestare il proprio dissenso nei confronti dei politici e dei partiti. E di far sapere al Governo e al Parlamento quale sia la loro posizione sulle questioni di grande attualità che la società affronta interviste Dittatori democratici il male oscuro della politica corruzione, cattivo funzionamento del servizio pubblico, ma soprattutto, giorno dopo giorno, svanisce la fiducia nella classe politica che guida il Paese. di compiere quell’antipatico gesto che è il lavaggio del cervello ai cittadini. I politici croati non fanno che alimentare spaccature e conflitti invece di risolvere i problemi”. Come potrebbe essere descritta la situazione in cui si trova la società croata venticinque anni dopo l’introduzione di un sistema parlamentare pluripartitico, quello instaurato a seguito della proclamazione dell’indipendenza. In che cosa hanno sperato i cittadini croati agli inizi degli anni Novanta e con quali problemi si devono misurare oggi ? fMinoranze a rischio? “Il modello di democrazia rappresentativa è stato praticamente sottratto ai cittadini e la società è stata scaraventata in un contesto di profonda crisi e di situazioni paradossali che l’uomo comune, l’elettore, che aveva riposto numerose speranze nei cambiamenti politici d’inizio anni ’90, non ha di certo preventivato. I politici non vogliono rinunciare ai propri privilegi e, giorno dopo giorno, dimostrano incapacità e disfunzionalità. In 25 anni il PIL in Croazia è riuscito a crescere solo del 7,9 p.c., mentre in Polonia, per citare un esempio, è raddoppiato. Un grande problema nel nostro Paese è rappresentato dai conflitti su base ideologica, strumento grazie al quale i politici deformano sia il passato che il presente, cercando “Se continueremo di questo passo rischiamo di dover fare i conti con un sistema politico di palese dittatura democratica, che non si differenzia di molto da un sistema nondemocratico. I gruppi etnici, ovvero le minoranze, potrebbero essere le prime vittime di questa nuova e pericolosa situazione. In Croazia esiste un grande gap tra le classi sociali. Abbiamo qualche centinaio di miliardari e un grande numero di disoccupati (300 mila circa, ndr). Il numero dei senzatetto aumenta. Si rischia di avere così un gruppo sociale estremamente marginalizzato. Crescono pure i pignoramenti e le espropriazioni forzate. E anche lo Stato potrebbe vedersi sottratti i suoi beni, considerati i debiti. Si ingrossano le file dei cittadini che vorrebbero voltare le spalle a questo sistema in cui non vivono bene. Inoltre, la paura del futuro è sempre più pressante. Le ragioni di tutto ciò vanno ricercate nella percezione che l’uomo comune ha del politico croato, reputato quale personificazione dell’odio diffuso attraverso la comunicazione, le etichettature, il disprezzo e il man- cato rispetto dei cittadini che hanno una propria dignità da difendere. Senza ombra di dubbio, se vogliamo uscire da questa situazione dobbiamo realizzare importanti cambiamenti. Dobbiamo approvare una nuova Costituzione, una nuova legge elettorale..., ma ciò non deve essere il risultato di un gesto voluto e compiuto dalla destra o dalla sinistra, ma piuttosto il frutto del lavoro di esperti indipendenti e del loro impegno sinergico con i cittadini e le loro associazioni. Una nuova Costituzione dovrebbe essere accettabile a tutti e tener conto in particolar modo dei diritti delle minoranze”. fUna casta... feudale Perché tanta diffidenza nei confronti dei partiti? “Per il semplice fatto che solo uno su dieci elettori si fida dei politici o dei partiti che questi rappresentano. Inoltre, la disaffezione nei confronti di istituzioni come il Governo o il Parlamento è pure considerevole”. Nel libro lei sostiene che i politici si servono del proprio mandato per mantenere il potere... non certo per trovare il modo di superare l’attuale crisi. Può spiegare il concetto? “In questi venti e passa anni di ‘democrazia’ e lo dico tra virgolette, ci è cresciuta davanti agli occhi una casta di politici con privilegi di tipo feudale. Sono riusciti a dividere letteralmente la società, e si mantengono il potere perché riescono ad assicurarsi una copertura ‘legale’ per privilegi che non meritano. Tutto ciò irrita il cittadino, anche quello più paziente. Da questo atteggiamento si capisce che la missione che i politici sono dati non riguarda il superamento della crisi, bensì il mantenimento al potere. Sebbene i croati, ovvero i cittadini della Croazia, vivano in una situazione di profondo disagio, numerosi sull’orlo della povertà, nulla impePanorama 9 interviste «Bisogna girar le spalle a ques Che cosa significa dichiararsi oggi in Crozia quale appartenente alla sinistra ,ovvero alla destra? Ci sono delle sostanziali differenze tra queste due opzioni? “Un modello di democrazia svilito permette, sia alle forze di destra che a quelle di sinistra, di continuare a vendere fumo e non, come ci si aspetta, di risolvere i problemi dei cittadini. I politici dell’area di destra e quelli di sinistra sono in realtà delle anime gemelle. Quello che si riscontra negli uni è presente pure nel modo di fare degli altri: corruzione, clientelismo... Quello che poi non riusciamo a riscontrare negli uni non lo troviamo nemmeno tra gli altri, come per esempio il prendere in considerazione il parere degli esperti e il rispetto del pluralismo delle elités. Nè gli uni né gli altri sono ben disposti nei confronti delle richieste di referendum che gli arrivano dai cittadini. Chi entra in politica, sia si tratti di un economista, di un disce ai politici di rinnovare il loro parco macchine, acquistandone a centinaia di nuove, acquistando, ristrutturando o affittando nuovi e lussuosi uffici, con servizi inclusi. Per non parlare del Ministero della sanità che per mettere a posto un vano ha speso oltre un milione di kune con una spiegazione oltremodo buffa... mentre i medici sono costretti a prescrivere ai pazienti con il cancro non il farmaco più efficace bensì quello meno costoso. Per non parlare del fatto che nelle liste d’attesa degli ospedali i nominativi dei politici non figurano. Loro sono ‘rispettabili’, pur essendo la causa di molti dei nostri mali. Ma ci rendiamo conto dove siamo finiti?” La crisi in alcune situazioni è stata un’occasione di una svolta. In Croazia non si è mosso nulla. Secondo lei esistono in questo momento i presupposti affinché la società civile si metta in moto, riesca a smuovere quella massa critica che precede tutti i grandi cambiamenti? Si ha l’impressione che i cittadini siano sempre più scoraggiati, vivano cioè nella convinzione che nulla possa essere cambiato... 10 Panorama “La crisi incoraggia la classe politica e permette di servirsene per diffondere odio e spaccature all’interno di un tessuto sociale già lacerato e diviso. Scoraggia i cittadini che al sentir parlare di politica girano la testa e non si rendono conto di fare con ciò un grande favore ai governanti. La cosiddetta ‘incapacità di un’azione riflessiva’ è presente a tutti i livelli della società. Si tratta del fatto che i cittadini da una parte si rendono conto dei problemi che gli stanno intorno, ma dall’altra vivono nella convinzione di non poter incidere sulle scelte, né tantomeno cambiare nulla. “Il rapporto che la classe politica sviluppa nei confronti delle associazioni dei cittadini è quella tipica dell’’homo duplex’: nei discorsi delle grandi occasioni gli riconoscono di essere un importante tassello della società, ma poi le usano per i propri interessi... o se non altro per diffondere un rapporto di diffidenza nei confronti di chi non ci sta al gioco. Si ha l’impressione che la crisi vada bene sia all’SDP che all’HDZ perché loro ci tengono soprattutto a ‘cambiare’ per non cambiare di fatto nulla”. fL’identikit Chi è il dittatore democratico di cui parla nel suo libro? “A differenza del dittatore non democratico, le fotografie del dittatore democratico non sono onnipresenti, questi non è un carnefice né un tiranno, non uccide i propri avversari politici, non vive nell’arroganza, non riceve gli ospiti nella propria tenda, non porta la corona d’ora, non ha il grado di maresciallo, colonnello, non vince le elezioni con il 99.9 p.c. delle preferenze, né è attorniato da generali. Quando se ne va lo rimpiange solo il 50 p.c. della nazione, l’altra metà gioisce. Lui vive ed esercita il potere in un contesto pluripartitico e di democrazia rappresentativa. Può contare sulla legittimità elettorale, vive in un Paese in cui si rispettano i diritti dell’uomo e quelli delle minoranze... Si tratta di politici che in un sistema formalmente democratico esercitano il potere in modo poco democratico e si comportano così anche nell’ambito del loro partito seguendo quella massima che fa: ‘il Partito sono io’. Affrontano co- esta classe politica» medico o di un ricercatore, a prescindere dall’area di appartenenza, si riduce ad essere un ‘quasi economista’... un ‘quasi medico’... perde quel rigore e quella serietà che ne avevano caratterizzato il percorso professionale in precedenza. In una situazione del genere le riforme che si tenta di intraprendere si riducono a delle ‘quasi riforme’. Siamo costretti a concludere che in Croazia non vi sia altra priorità al di fuori della necessità di esercitare il potere politico a tutti i costi e a tutti i livelli senza pensare che questa dovrebbe essere innanzitutto un’attività socialmente accettabile in grado di assicurare sviluppo e prosperità. Da questa situazione se ne esce solo a condizione che i cittadini e le associazioni che li rappresentano decidano di girare le spalle a questi pessimi politici. Ciò può succedere o grazie ad elezioni o anche con pressioni che arrivano dalla piazza”. loro che la pensano diversamente in modo gretto e senza pietà, ricorrendo pure all’espulsione dal partito. Sebbene ci siano delle differenze tra politici quali la Tacher, Putin, Sanader o Milanović, va detto che queste persone hanno delle caratteristiche comuni: sono quelle tipiche dei dittatori democratici, i quali scaricano la responsabilità della crisi sugli altri, molto spesso sui governi e su coloro che li hanno preceduto nell’esercizio del potere. Sono attorniati da ministri assolutamente fedeli, mentre nei confronti dei cittadini si atteggiano con estrema arroganza e intolleranza. Non rispettano il parere di scienziati indipendenti di gran fama, dei giornalisti, interpretano i dati statistici come gli pare.... Dimostrano, ad ogni passo che fanno, di aver perso il contatto con la realtà”. fDivide et impera Dall’ingresso della Croazia nell’Ue è trascorso quasi un anno e mezzo. Ci sono Paesi che hanno saputo trarre il meglio dall’accesso al mercato comune. Non è però il caso della Croazia. Né il mercato si è messo in moto, né sono state realizzate le tanto auspicate riforme. Perché? “Una società divisa non può funzionare. Una società in cui non esiste consenso in merito a questioni di interesse nazionale, anzi in cui non c’è nessun tipo di consenso, non può andare avanti, non si può sviluppare. I politici, sia quelli di destra che di sinistra fanno di tutto affinché la situazione rimanga quella che è, vale a dire ‘malata’. È loro interesse mantenerla in queste condizioni perché solo così riescono a tenersi a galla, mentre i cittadini affondano. Per quanto riguarda l’Ue, invece di assicurarsi l’accesso ad un mercato di 500 milioni di persone, l’Europa ha allargato il proprio mercato grazie ai 4,5 milioni di acquirenti croati”. Ci può spiegare perché sostiene che il referendum sia lo strumento che ci porta ad una nuova nascita della democrazia? “I referendum sono in questo momento l’unica valvola di sfogo che permette ai cittadini di manifestare il proprio dissenso nei confronti dei politici e dei partiti e di far sapere al Governo e al Parlamento quale sia la loro posizione su questioni di grande attualità che la società affronta. I politici però non tengono particolarmente conto di questo fatto, ci ridono sopra, talvolta demonizzano determinate iniziative. Ciò significa che di fatto non rispettano i cittadini, i loro pareri e i loro interessi. Il risultato di questo può essere una Croazia tragicamente divisa, intollerante e disfunzionale. Nelle condizioni in cui viviamo un quesito referendario non rappresenta un ostacolo allo sviluppo della democrazia, semmai è testimone di sviluppo democratico. Il referendum può rappresentare un pericolo solo per il governante che esercita il potere in modo non democratico o se vogliamo in modo democraticodittatoriale, pur operando in un sistema politico che è strutturato Panorama 11 come democratico. Il risultato di questo è la crisi in cui viviamo. Il loro fine è quello di impedire, a tutti i costi, la nuova nascita della democrazia, anche a costo di ricorrere all’eutanasia. L’attuale classe politica si serve del modello bipartitico croato per difendere con tenacia privilegi che non si merita. E sono proprio questi a rappresentare gli impedimenti più evidenti allo sviluppo della democrazia, dell’economia, alle assunzioni di disoccupati, al diritto, messo di giorno in giorno in forse, di ottenere cure mediche adeguate, al rispetto dei diritti dell’uomo e a quelli delle minoranze, allo sviluppo e al progresso. Nella realtà in cui viviamo i risultati del referendum sono la vera alternativa all’attuale potere come pure alle forze dell’opposizione. La loro strategia principale è basata sulla diffusione dell’odio tramite i mass media. Per le forze politiche, sia di sinistra che quelle di destra, la cosa più importante è mantenere il potere e curare i propri interessi privati. Gli uni e gli altri impiegano il loro tempo ‘smontare lo Stato’ e marginalizzare tutte le sue funzioni. Questo rappresenta un grande pericolo per i lavoratori, per i cittadini, per le famiglie e per i gruppi etnici, ovvero le minoranze. In ogni caso, non si può pensare ad una democrazia autentica in Crozia senza il ricorso al referendum. In caso contrario la vita politica verrebbe ridotta a quattro anni di democrazia non democratica di sinistra e poi ad altri quattro di democrazia non democratica di destra, mentre l’unica continuità sarebbe rappresenta dalla presenza costante dei dittatori democratici, un vero flagello per lo sviluppo e l’avanzamento della società. Senza una democrazia di tipo partecipativo, senza l’adesione continua dei cittadini al processo democratico, come possiamo ben vedere, non si va avanti. E invece di trovare una soluzione definitiva alla crisi ci potremmo trovare nella situazioni di dover affrontare a breve nuovi e ulteriori nodi problematici”. 12 Panorama PIXSELL interviste ccMilan Bandić ai tempi della campagna elettorale per le presideziali di quattro anni fa in cui decise di candidarsi contro la volontà dell’SDP I l tribunale di Zagabria ha accolto la richiesta della Procura e ha imposto la custodia cautelare per il sindaco della capitale croata, Milan Bandić, arrestato domenica 19 ottobre. Sotto inchiesta sono finite per il momento una decina di persone tra cui il co-proprietario della “Cios”, Petar Pripuz, società che si occupa della raccolta e dello stoccaggio dei rifiuti industriali e il presidente della “Holding”, una specie di municipalizzata della capitale, e uomo di fiducia del sindaco, Slobodan Ljubičić. Bandić, secondo il quotidiano “Jutarnji list”, durante l’interrogatorio ha respinto tutte le accuse per corruzione mosse nei suoi confronti dagli inquirenti, ma sarebbero nel frattempo emersi i primi due pentiti: Ines Bravić, il vicecapo dell’Ufficio cittadino per le questioni legate al diritto di proprietà, e Koraljka Rožnaković Eremović, capo del Dipartimento per affari legali di Zagabria. Sono state rilasciate in quanto, secondo le fonti del quotidiano che per primo ha pubblicato la notizia dell’arresto, hanno accusato direttamente il sindaco Bandić di avere concordato lo scambio di terreni tra la città di Zagabria e l’azienda “Bramgrad projekt”. Tra le accuse mosse dall’Ufficio per la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione (PNUSKOK) croato, spicca infatti quella relativa agli scambi di terreni di proprietà della città di Zagabria con altri, di valore molto inferiore, in possesso di aziende e privati. Altri capi d’imputazione, 19 in tutto, parlano di corruzione, abuso di ufficio e ingerenze illegittime. Nei giorni scorsi la stampa ha ventilato la possibilità, già sostenuta dai difensori di Bandić, che l’arresto sarebbe scattato con una tempistica sospetta, per distogliere l’attenzione dei media da un altro caso eccellente, quello dell’ex spia dei servizi segreti jugoslavi e croati, Josip Perković, nei confronti di cui è iniziato venerdì in Germania un processo per omicidio. Il difensore di Perkovic, il noto avvocato Anto Nobilo, è rientrato infatti a Zagabria e assumerà la difesa di Bandić. A tali voci si è comunque opposto il ministro degli Esteri croato, Vesna Pusić, che ha dichiarato che “in questo momento, nessuna procedura è più importante di quella che riguarda Milan Bandić”. L’Uskok sostiene che le malversazioni di Bandić hanno causato una perdita di almeno 12 milioni di kune (1,56 milioni di euro) alla città di Zagabria. Oltre a Bandić, sono stati arrestati esponenti delle aziende pubbliche, suoi collaboratori stretti e persone “di fiducia” nonchè manager di aziende private che avevano rapporti d’affari con l’amministrazione pubblica della capitale. In particolare, Branko Mihaljević, titolare del’azienda “Bramgrad”, avrebbe concordato lo scambio dei terreni con la città di Zagabria nel 2006. La transazione vera e propria è La magistratura ha accolto la richiesta della Procura e ha imposto la custodia cautelare per Milan Bandić, indagato per corruzione e abuso di potere. Sotto inchiesta i suoi collaboratori più fedeli e alcuni imprenditori PIXSELL attualità ccGli inquirenti dell’USKOK hanno perquisito pure gli uffici della pubblica amministrazione della capitale Il sindaco di Zagabria in manette avvenuta invece soltanto nel gennaio del 2012. Mihaljević avrebbe dovuto versare la somma che corrisponde alla differenza del valore dei due terreni, ma Bandić avrebbe concesso l’ammortizzazione delle spese di bonifico e di trasferimento dell’azienda di Mihaljević. L’Uskok ha confiscato i documenti ufficiali che riguardano i due terreni ma, secondo il quotidiano, la malversazione appare difficile da provare senza la testimonianza dei pentiti. Gli inquirenti sarebbero comunque in possesso di prove che incastrano Mihaljević il quale pare abbia gonfiato le spese e falsificato le fatture. Secondo le tesi della procura, Mihaljević si sarebbe rivolto alla Bravić affermando che l’accettazione delle fatture sarebbe stata concordata con lo stesso Bandić. Le voci su un possibile arresto di Bandić, secondo la versione online di “Jutarnji list”, circolavano dal mese di luglio, quando il presidente della Commissione parlamentare per la politica interna e la sicurezza naziona- le, Miroslav Tuđman, rivelò che il cellulare di Bandić si trovava sotto sorveglianza. Bandić, persona influente ma controversa sulla scena politica croata, ricopre il ruolo di sindaco della capitale dal 2000, con una pausa nel 2002 dovuta allo scandalo montato dopo un incidente stradale. Era stato colto dopo il fatto in stato di ubriachezza e aveva tentato, secondo gli inquirenti, di sfuggire dalla polizia. In seguito è stato scagionato dalle accuse, dopo essersi difeso sostenendo di avere utilizzato un collutorio a base di alcool. Bandić era stato inizialmente nominato sindaco di Zagabria da parte del Partito social-democratico (Sdp, leader della maggioranza parlamentare attuale) ma è entrato in seguito in una disputa fortissima con i vertici del partito che ne ha causato l’uscita dallo schieramento. Nel 2009, infatti, l’Sdp aveva nominato per le primarie presidenziali Ivo Josipović e Ljubo Jurčić, ma Bandić ha deciso in seguito di “congelare” la propria appartenenza al partito e correre per le presidenziali da solo, motivo per cui l’SDP lo ha espulso dal partito. In seguito a una campagna elettorale molto controversa e definita “farsesca” da una parte della stampa, si è piazzato secondo alle presidenziali con il 14,83 per cento dei voti. Dopo le elezioni ha accusato il vincitore, Ivo Josipović, di essere “una marionetta” del leader dell’Sdp, Zoran Milanović. Personaggio tra i più controversi sulla scena politica croata, ha dovuto vedersela in questi anni con più di 250 denunce penali. Controversa anche la sua decisione di concedere lo spazio di Cvjetni trg, nel centro storico di Zagabria, per la costruzione di un centro commerciale modernissimo. Il progetto è stato realizzato nel 2009 nonostante un referendum popolare che ha raccolto 55 mila firme chiedendo di tutelare la parte più antica della capitale croata. D. P. R. Panorama 13 eventi fiere di Ilaria Rocchi N on solo libri, ma soprattutto relazioni, tra associazioni e tra persone, tra esponenti del mondo degli esuli, dei rimasti e la città. “La Bancarella – Salone del Libro dell’Adriatico orientale”, che si è svolta anche quest’anno a Trieste (16-19 ottobre), rinnovata sia nella formula che nello spirito - come sottolineato, a nome di tutti gli attori coinvolti, i presidenti di Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata e Università Popolare di Trieste, rispettivamente Renzo Codarin e Fabrizio Somma -, ha riunito in modo tangibile le produzioni letterarie di realtà che da tempo collaborano assieme, ospitando sotto un unico tendone (in piazza Sant’Antonio Nuovo) tutti i soggetti che hanno il merito di salvaguardare e diffondere la memoria e la cultura delle popolazioni di lingua italiana dell’Adriatico orientale, indicando una strada futura comune per nuove iniziative da organizzare in maniera condivisa. Non un punto d’arrivo, dunque, ma di partenza. “‘La Bancarella’ 2014 rappresenta la prima di una serie che avrà una nuova impostazione”, dichiara T ra appuntamenti speciali e rassegna dell’edito, nelle quattro giornate della “Bancarella”sono stati presentati trenta volumi. Una fiera numericamente inferiore rispetto alle precedenti edizioni, per una precisa scelta operata dagli organizzatori, che da una parte hanno voluto concentrarsi su quanto uscito quest’anno, e dall’altra parte hanno cercato di consentire al pubblico di seguire gli incontri senza dover rincorrere sezioni parallele, come avveniva in passato. La manifestazione, nata nel 2006 con lo scopo di dare una visibile continuità alla produzione culturale di lingua italiana sulle sponde dell’Alto 14 Panorama Dalla «Bancarella» tanta vog Giorno de anche in Is Codarin, rilevando che il ruolo del CDM è proprio illustrare in modo moderno e multimediale, non solo alle popolazioni locali, ma a tutto il mondo, quelle che sono la cultura e la storia di Istria, Fiume e Dalmazia, di qua e di là del confine. Come ha fatto notare Somma, la grande affluenza e la nutrita rappresentanza di enti e associazioni (Associazione delle Comunità Istriane, Dalmati Italiani nel Mondo-Libero Comune di Zara in Esilio, Libero Comune di Pola in Esilio, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, CDM, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Coordinamento Adriatico, EDIT, Federazione delle Associazioni degli Esuli, Istituto Regionale per la Cultura IstrianoFiumano-Dalmata, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia I nuovi titoli proposti nell’ Adriatico, ideata e coordinata dal Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata, quest’anno è stata co-organizzata dall’Università Popolare di Trieste, con una particolare attenzione alla Comunità nazionale italiana di Slovenia e Croazia, nel solco del comune cammino europeo. Una panoramica dell’edito è stata tracciata da Adriana Ivanov Danieli e Giorgio Federico Siboni, mentre i libri (si vedano sotto le copertine), che hanno visto l’intervento dei rispettivi auto- ri, sono stati analizzati davanti alla platea con interventi dello stesso Siboni, di Davide Rossi, Paolo Radivo, Diego Redivo, Cristina Benussi, Giuseppe Parlato, Fabrizio Somma, Pamela Volpi e Marino Micich. È invece slitatta (senza ulteriori spiegazioni) la presentazione del “Vocabolario Italiano-Rovignese”, di L. BENUSSI, pubblicato lo scorso anno dalla Comunità degli Italiani di Rovigno. Ecco i titoli dell’edizione 2014: “L’Esodo Giuliano-Dalmata nella Letteratura. oglia di «renovatio Histriae» el Ricordo Istria Giulia, Lega Nazionale, Radio Capodistria, Società Dalmata di Storia Patria, Società di Studi Fiumani, Unione degli Istriani, Unione Italiana, Università Popolare di Trieste e “La nuova Voce Giuliana”) “stanno a dimostrare il successo di un’edizione molto particolare, frutto della co-organizzazione tra CDM e UPT”. Gli anniversari celebrati nella quattro giorni - i 115 anni dell’UPT, il 70.esimo de “La Voce del Popolo”, il 65.esimo di Radio Capodistria, il 60.esimo di Trieste italiana e dell’Unione degli Istriani, il decennale della Legge del Giorno del Ricordo... - hanno rappresentato un momento di riflessione per allargare le prospettive e non limitarsi alla definizione di confini orientali, ma parlare invece di un più ampio contesto adriati- l’edizione 2014 Atti del Convegno Internazionale - Trieste 28 febbraio - 1 marzo 2013” autori vari, a cura di G. BARONI, C. BENUSSI (Serra Editore, PisaRoma, 2014, pp. 433); “Tra Argento Grani e Panni. Piero Pontella, un operatore italiano nella Ragusa del primo ‘400”, di P. PINELLI (Firenze University Press, Firenze, 2013, pp. 115”); “Imprenditoria e società in Dalmazia. Il “partito” del tabacco e lo Stabilimento Manfrin nel Settecento”, di R. TOLOMEO (Società Dalmata co, europeizzando la vicenda dell’esodo. Tante le proposte, anche innovative, scaturite alla tavola rotonda sullo “stato dell’arte” a due lustri dall’istituzione del Giorno del Ricordo, al termine della quale il presidente Fabrizio Somma e il direttore generale dell’UPT, Alessandro Rossit, hanno consegnato una targa ricordo al partner storico Unione Italiana, a Furio Radin, a Maurizio Tremul e a Giovanni Radossi per i 50 anni di collaborazione tra i due enti Al dialogo, moderato da Giuseppe Parlato, del Comitato scientifico del Salone, hanno partecipato Maria Cristina Benussi, prorettore dell’Università di Trieste e ordinario di Letteratura italiana contemporanea, Giovanni Radossi, fondatore e direttore del CRS di Rovigno; Diego Vecchiato, dirigente della Direzione Relazioni internazionali della Regione Veneto, Antonio Ballarin, presidente della FederEsuli, e Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’UI. Tutti gli intervenuti hanno messo in evidenza la positività della celebrazione del 10 febbraio, che ha fatto conoscere al mondo degli studenti e a un ampio pubblico, compresi i cittadini sloveni e croati, la questione delle foibe e dell’esodo, permettendo anche lo sviluppo della ricerca scientifica sia a livello storico che letterario. I relatori si sono soffermati pure sulle prospettive di Storia Patria, La Musa Talìa Edizioni, Venezia, 2013, pp. 125); “Per l’Esercito Serbo. Una storia dimenticata”, di P. GIORDANO (riedizione a cura di M. Mihajlovic, Ufficio Informazioni della Difesa, Roma, 2014, pp. 128); “Angelo Capatangelo. Un capitano dimenticato”, di R. MENDOZA (Aracne edizioni, Roma, 2014, pp. 238); “Giornali umoristico-satirici in italiano e veneto-zaratino a Zara nell’’800 e nel ‘900”, di N. BALIĆ NIŽIĆ, Z. NIŽIĆ (Università di Zara, Zara, 2014, pp. 276); “Dalmazia Regione Europea. Biografie di future della Giorno del Ricordo. Benussi, Vecchiato e Tremul hanno ribadito l’importanza dei progetti europei, sia nella collaborazione con le università e con i centri di ricerca in Istria e in Dalmazia, sia sulla base dell’attività finora svolta attraverso la legge regionale del Veneto, che tutela i beni culturali istriani e adriatici di matrice veneta. Fondare un museo dell’esodo in Istria è l’idea caldeggiata da Radossi, ma anche collocare una lapide in memoria di Gianni Bartoli, rovignese e sindaco di Trieste. Inoltre, continuare sulla strada dell’indagine storiografica (i punti su cui fare chiarezza sono ancora diversi e perciò anche fonte di sterili diatribe e polemiche), creare una rivista scientifica comune a esuli e rimasti, “iniziare a celebrare il 10 febbraio in Istria, coinvolgendo i giovani e le scuole” (Tremul), impiantare , oltre alle attività culturali, una decisa attività economica, che servirà a sostenere il prodotto agroalimentare istriano in Italia e aprire in regione nuovi posti di lavoro, come sottolineato da Ballarin (introdotto nell’occasione il progetto “Renovatio Histriae”). Buoni propositi e spirito cooperativo non mancano. Vedremo fra un anno, alla prossima “Bvancarella”, quanto si riuscirà a realizzare. Forse non sarebbe male, intanto, promuovere dalmati illustri”, di G. Scotti (Collana di ricerche storiche “Jolanda Maria Trèveri”, Scuola Dalmata dei S.S. Giorgio e Trifone, Venezia, 2014, pp. 229); “Memorie. Zara 1937-1944”, di E. CALESTANI (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Comitato Provinciale di Udine, 2014, pp. 161, 2ª ediz. a cura di Brcic-Cattalini); “Storie dei “Senza Storia”, di FLORIAN - C. CATTAI, ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “ENRICO TOTI” (Autore/Editore, Musile di Piave, 2014, pp.131); “L’arte dell’Adriatico Orientale a Roma e nel Lazio dal V secolo a oggi” (catalogo della Mostra eponima, Roma, 29 gennaio – 5 febbraio Panorama 15 eventi fiere Studiosi e ospiti La “Bancarella” 2014 - esclusi gli autori dei volumi presentati -, ha convolto i seguenti studiosi e ospitalità (in ordine alfabetico): Alessandro Altin (membro del Consiglio esecutivo dell’associazione “Renovatio Histriae”), Antonio Ballarin (Federazione delle Associazioni degli Esuli), Maria Cristina Benussi (Università degli studi di Trieste, membro del C.d.A. dell’UPT), Renzo Codarin (presidente del Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), Bruno Crevato-Selvaggi (Società Dalmata di Storia Patria); Piero Delbello (Istituto regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata di Trieste - IRCI), Giuseppe de Vergottini (Coordinamento Adriatico), Aleksandar Saša Dender (presidente della Comunità Italiana di Cattaro - Montenegro), Karen Drioli (Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste), Dario Fertilio (“Il Corriere della Sera”, “Il Dalmata”), Elsa Fonda (), Luigi Fozzati (Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia), Mario Fragiacomo (tromba, flicorno, composizione), Adriana Ivanov Danieli (ANVGD - Padova), Domenico Guzzo (sezione eventi cinematografici e culturali dell’Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia), Susanna Isernia (UPT), Stefano Lusa (Radio Capodistria), Ilaria Rocchi (“Panorama”, EDIT), Marino Micich (Museo Archivio Storico di Fiume a Roma), Miriam Monica (attrice), Giuseppe Parlato (Università degli Studi Internazionali di Roma, Comitato Scientifico dell’Archivio centrale dello Stato, CDM, Fondazione Ugo Spirito e Renzo de Felice), Gaeta- 2013, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - Comitato Provinciale di Roma, Roma, 2013, pp. 145 + 14 tavole, saggi di D. SCHÜRZEL, E. G. BUDICIN, M. G. CHIAPPORI, B. VINCIGUERRA, V. RIBERTI e I. CASTELLI); “Provincia d’Istria della Serenissima”, di I. CACCIAVILLANI (Leone Editore, Milano, 2014, pp. 200); “L’Italia e la questione adriatica. Dibattiti parlamentari e panorama internazionale (19181926)”, di M. CATTARUZZA (Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 604); “I dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austro-ungarici nella Prima guerra mondiale”, di L. GORGOLINI (UTET, Torino, 2011, pp. 179); “La Grande Guerra nell’Alto Adriatico. La difesa austro-ungarica del Golfo di Trieste 1915-1918”, di P. JUNG (Libreria Editrici Goriziana, Gorizia, 2014, pp. 320); “Il dalmatico. L’antica lingua nei vocaboli dialettali”, di M. MASTROSANTI (Poligrafica Bellomo, Ancona, 2014, pp. 248); “L’ultimo testimone. Storia dell’agente segreto Sergio Cionci e degli Istriani nella Guerra fredda”, di A. ROMOLI (Gaspari Editore, Udine, 2014, pp. 192); “Il cardinale e l’architetto. Girolamo Aleandro (1480-1542) e il Rinascimento Adriatico Vene16 Panorama no Quagliariello (senatore, storico), Furio Radin (deputato al Sabor croato, presidente dell’Unione Italiana), Giovanni Radossi (direttore e fondatore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno), Paolo Radivo (Libero Comune di Pola in Esilio, “L’Arena di Pola”), Diego Redivo (Università degli studi di Udine, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano), Davide Rossi (Università degli Studi di Trieste, Coordinamento Adriatico, CDM, Comitato permanente per la valorizzazione del patrimonio culturale veneto nell’Istria e nella Dalmazia presso la Regione Veneto), Paolo Sardos Albertini (presidente della Lega Nazionale), Giorgio Federico Siboni (Università degli Studi di Milano, coordina progetti di studio interministeriali relativi al territorio Alto Adriatico), Fabrizio Somma (presidente dell’Università Popolare di Trieste), Maurizio Tremul (presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana), Diego Vecchiato (Direzione Relazioni Internazionali, Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Pari Opportunità - Regione del Veneto), Chiara Vigini (presidente dell’IRCI), Lino Vivoda (cofondatore del Libero Comune di Pola in esilio) e Pamela Volpi (storico dell’arte). ziano”, di A. VESENTINI ARGENTO (Apostrofo editore, Pieve San Giacomo, 2013, pp. 245); “La vittoria senza pace. Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra”, a cura di R. PUPO (Laterza, Roma-Bari, 2014, pp. 288); “Il Trattato di pace 10 febbraio 1947 nei programmi e nei testi scolastici di storia”, di M. BALLARIN (Prefazione di Giuseppe Parlato, Leone editore, Collana Téxnes, pp. 192); “Foibe ed Esodo. L’Italia negata. La tragedia giuliano-dalmata a dieci anni dall’istituzione del ‘Giorno del Ricordo’”, di C. I. E. CACE (Editrice Pagine, Collana “I Libri del Borghese”, Roma, 2014, pp. 188); “La donna che uccise il generale. Pola, 10 febbraio 1947”, di C. CARLONI MOCAVERO (Ibiskos Editrice Risolo, Collana Le protagoniste, Empoli – Firenze, 2012, pp. 248); “Quella tromba di latta del confine orientale italiano”, di L. M. GUICCIARDI (Luglio Editore, trieste, 2014); “Biglietto andata/ritorno. Il ponte sul fiume Djestr”, di M. CERMAK/V. CERMA (La Mongolfiera Libri, Trieste, 2014, pp. 183); “Fiume 1918-1924. I servizi postali e la filatelia tra vicende storiche e vita di tutti i giorni”, di O. EMOROSO (Autore/Editore, Como, 2014, pp. 430); “Protagonisti senza protagonismo: la storia nella memoria di Giuliani, Istriani, Fiumani e Dalmati nel mondo”, di V. FACCHINETTI (La Mongolfiera Libri, Trieste, 2014, pp. 460); “Carteggio Pietro Kandler – Tomaso Luciani (1843-1871)”, di G. RADOSSI (Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Rovigno, 2014, pp. 383); “I verbali del Consiglio Nazionale Italiano di Fiume e del suo Direttivo (1918-1920)”, a cura di D. L. MASSAGRANDE (Società di Studi Fiumani, Roma, 2014, pp. 650); “Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe”, di G. MELLACE (Newton Compton, Roma, 2014, pp. 328); ”Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), di E. IVETIC (Viella, Roma, 2014, pp. 332). Inoltre, all’evento sono state proposte le lectio magistralis di Furio Radin, sul 50.esimo della collaborazione Unione Italiana-Università Popolare di Trieste, di Gaetano Quagliariello su “Trieste 1954 e il contesto internazionale”, di Paolo Sardos Albertini su “La Lega Nazionale e il ritorno di Trieste all’Italia” e di Dario Fertilio su “La Dalmazia e l’Europa centrale”. Testimonianze in diretta, invece, sono state fornite da Lino Vivoda, che ha parlato della strage di Vergarolla, mentre Domenico Guizzo si è soffermato sul documentario dediato alla vicenda. etnia letteratura Istriani Fiumani Dalmati famosi all over the world Elis Deghenghi Olujić su «Poets of the Italian Diaspora», 510 pagine curate da Luigi Bonaffini e Joseph Perricone di Carla Rotta D alla Croazia e dalla Slovenia... all over the world con l’autorevole biglietto di Elis Deghenghi Olujić, docente dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola – Dipartimento di studi in lingua italiana, nonché prorettore per la Ricerca Scientifica dell’Ateneo. Ci facciamo racontare il pro- getto. “L’idea è nata nel 2005. Bonaffini, che vive in America, aveva contattato Laura Marchig, all’epoca redattrice capo del semestrale di cultura ‘La battana’, che a sua volta aveva indirizzato Bonaffini a me. Mi ha ilustrato il progetto di, diciamo, raccolta della poesia italiana nel mondo e mi aveva chiesto una collaborazione per quel che riguarda la nostra area. Ovviamente ho accettato, anche perché è la mia area di interesse, occupandomi già di questi Panorama 17 autori, sia che scrivano in italiano che nei dialetti istroromanzi locali”. Come scegliere? “Inizialmente mi era stato detto di proporre e presentare una decina di poeti, poi, meno male, è stato possibile ampliare un po’ la cerchia. Perché è molto, ma molto difficile fare una selezione. Anzi, è proprio un problema. Ho cercato di inserire un po’ tutte le generazioni, inclusi gli autori che non ci sono più, del resto sarebbe impossibile parlare della poesia della CNI senza dire di Ramous, imprescindibile in questi discorsi. Credo sia il nostro più alto poeta. Sottolineo che, comunque, mancano i tanti poeti venuti dopo, che hanno visto i lavori pubblicati e divulgati anche grazie all’EDIT e alle sue collane. Una volta consegnato il contributo certo non potevo più cambiare alcunché”. Poesie sia in italiano che in dialetto, dunque. ccOsvaldo ccLucifero Martini Ramous ccEligio Zanini “Sì, perché è molto importante pure la creatività nei dialetti locali. Anzi, reputo che a volte il dialetto superi la lingua standard; la poesia dialettale, al di là della lingua, spesso è poesia pura, ha una poetica altissima. Dico Loredana Bogliun, dico Eligio Zanini, ma anche altri, naturalmente. Mi preme sottolineare che per ogni autore pubblicato è stato necessario ottenere una sorta di liberatoria, vuoi personalmente dall’autore o, laddove i lavori sono stati tratti da antologie o altro, è stata chiesta all’Editore. L’Unione Italiana, ad esempio, laddove i versi sono stati tratti dalle antologie di Istria Nobilissima”. fDiaspora perché viviano staccati dalla madrepatria L’antologia è titolata “Poets of Italian Diaspora”: qualcuno potrebbe obiettare che noi non sia- ccAlessandro Damiani Viaggiano così Osvaldo Ramous, Lucifero Martini, Eligio Zanini, Alessandro Damiani, Giacomo Scotti, Mario Schiavato, Ester Sardoz Barlessi, Vlada Acquavita, Adelia Biasiol, Loredana Bogliun, Laura Marchig, Maurizio Tremul, Roberto Dobran e Marianna Jelicich Buić, assieme a quella di altri poeti di Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Svizzera, Stati Uniti e Venezuela 18 Panorama ccLetteratura diaspora mo propriamente diaspora. Disturba il termine? “No. In questo caso il termine è comprensivo di tutti i poeti che vivono e scrivono, creano, al di fuori degli attuali confini. Quindi anche noi che solitamente veniamo definiti ‘rimasti’, e qui intesi come ‘staccati dalla terra d’origine’. Del resto il ter- ccGiacomo Scotti ccMario Schiavato ccEster Sardoz Barlessi Un giro del mondo con sentimento «N o one will listen to the mournful/ prayer, and to the sighs of the suffers/ the only answer will be insolent/ tittle-tattle of the backwash./The most tormenting solitude/ is the one surrounded by echoes». Riconosciuti i versi? Dite di no? Rileggeteli. OK. Vi diamo una mano. “Nessuno ascolterà più la dolente/ preghiera, e ai sospiri degli afflitti/ risponderà soltanto il verso/ pettegolo della risacca./ Non vi è più tormentosa solitudine/ di quella etnia letteratura mine ‘diaspora’ per dire di noi l’aveva usato già Vera Glavinić in un saggio presentato a un convegno a Venezia. Il saggio è intitolato ‘Il gruppo nazionale italiano in Istria e a Fiume oggi – Una cultura per l’Europa’, edito dalla Longo Editore di Ravenna nel 1991; pubblicazione curata da Ulderico Bernardi. Ebbene, dice Vera Glavinić, ‘... ma la diaspora degli italiani istro-fiumani non arresta il cammino della letteratura... segue una linea di esemplare continuità’. Quindi questo termine usato per designare italiani specifici, staccati dalla terra d’origine, non fa più spavento”. Qual è il valore dell’opera? “Io ho collaborato più che volentieri al progetto. Il valore? Ha indubbiamente un grande valore per il significato in sé; nella nostra ottica è importante la nostra presenza in un’antologia di questo spessore, una presenza che ci porta fuori dai nostri ambiti, tutto sommato piccoli. La ccVlada Acquavita ccAdelia Biasiol nostra realtà quindi viene presentata e recepita in un ambito più vasto. Credo che esserci sia motivo di orgoglio anche per gli autori inclusi nell’antologia. Direi poi che è molto curioso e interessante pure il momento della traduzione. L’antologia è bilingue, italiano-inglese, laddove le poesie sono state scritte in dialetto diventa trilingue, perché ci sono tutte e tre le versioni. E non va sottovalutato il fatto che l’antologia in un certo senso fissa la presenza della componente italiana in Slovenia e Croazia, la presenza sul territorio al di là delle vicissitudini della Storia. E la poesia è a sua volta testimonianza di presenza e creatività. Ci lega indissolubilmente con il territorio, quindi”. Siamo tra le realtà meglio presentate; mi riferisco soprattutto ai numeri. “Sì, è vero. Diciamo che abbiamo occupato un bel numero di pagine. Siamo tra i meglio rappresentati”. ccLoredana Bogliun ccLaura Marchig assediata dagli echi”. Osvaldo Ramous. Che ci ha preso di proporlo in inglese, dite? Beh, perché è anche così che la poesia di Ramous va per il mondo. Assieme a quella di Lucifero Martini, Eligio Zanini, Alessandro Damiani, Giacomo Scotti, Mario Schiavato, Ester Sardoz Barlessi, Vlada Acquavita, Adelia Biasiol, Loredana Bogliun, Laura Marchig, Maurizio Tremul, Roberto Dobran e Marianna Jelicich Buić. E assieme a quella di altri poeti di Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Svizzera, Stati Uniti e Venezuela. Un giro del mondo con sentimento; emozioni confluite nel contenitore “Poets of the Italian Diaspora”, ovvero “Poeti della diaspora italiana”. La creatività, dunque, di gente che sogna e si emoziona in italiano, sparsa un po’ in tutto il mondo, come lo dimostra la geografia riportata dall’indice dell’antologia. Adesso ci vorrebbe una bella presentazione. “In Italia ci sarà. La farà il professore Bonaffini, credo a marzo dell’anno prossimo”. Dicevo di una serata in casa; a conti fatti stiamo volando ad alta quota per tutto il mondo, e sarebbe inoltre un’ottima occasione per conoscere la poesia della diaspora italiana. Si potrebbe insomma, oltre che farci vedere anche vedere a nostra volta, allargare lo sguardo. “Una presentazione sarebbe bella, e probabilmente anche opportuna. Resta da vedere chi si farebbe carico dell’organizzazione; dove presentare, come... ma non sarebbe male farlo. Per parlare della poesia nostra e di altri italiani che vivono fuori dei confini dell’Italia, ma che hanno legami culturali e affettivi con la terra d’origine, con la lingua, e che mantengono una tradizione nel segno della letteratura”. ccMaurizio Tremul ccRoberto Dobran cc Marianna Jelicich Buić Perché di questo si tratta, di un’antologia XXL che racchiude un campionario della creatività italiana fuori i confini dello Stivale. In corpose 1.534 pagine. Un’enciclopedia, si potrebbe dire, uscita dalle stampe quest’anno per la Fordham University Press di New York. Ne sono autori Luigi Bonaffini, professore di Italiano al Brooklyn College, e Joseph Perricone, professore di Italiano e Letteratura comparata alla Fordham University. Un lavoro consistente, certosino, filigranato, realizzato grazie al prezioso contributo di collaboratori delle aree di provenienza degli autori inclusi nell’opera. Infatti, è servito operare una selezione; presentare la realtà del territorio, la poetica degli italiani in generale e poi in particolare quella di ogni autore dell’antologia. I versi di ognuno, infatti, sono preceduti da una scheda sintetica sulla vita e le opere. Panorama 19 etnia letteratura Dei “nostri” autori... beh, a ben pensare, potrebbero essere tutti nostri, per la condivisione culturale e linguistica... però quando diciamo nostri, qui e ora, pensiamo ai nostri... nostri, di casa. Che pasticcio di parole! Bene, dunque, i nostri autori hanno avuto il pass autorevole di Elis Deghenghi Olujić che, offerto un volo sull’area e sulle vicissitudini che hanno determinato la nostra presenza e la nostra creatività, “il mondo culturale dell’Istria e di Fiume, in continua evoluzione...” per arrivare a “nuove tendenze e nuove voci...”, non nell’antologia per motivi di spazio, ma testimoni con gli altri della “vivacità creativa dei poeti di quest’area a partire dalla Seconda guerra mondiale...”, una vivacità creatività “... mai monotona o monolitica...”. una documentazione. Non si tratta, dice, di chi scrive per professione, carriera, bensì per la straordinaria natura dell’esperienza. Poeti sospesi tra due mondi: quello in un certo senso perduto e con il quale si mantiene un legame che passa attraverso la lingua, che si deve comunque conformare per farsi meglio capire, e i temi trattati. E anche qui ben presto si dovrà allargare a qualcosa che non sia necessariamente la memoria di casa. fConversazione tra cugini lontani “Perricone e Bonaffini hanno raccolto i migliori poeti italiani emigrati di tutto il mondo - dice Fred Gardaphe (John D. Calandra Italian American Institute) -. Sia che li si voglia definire immigrati, esiliati, rifugiati, sfollati, ognuno di loro parla dall’anima con accento italiano; esprimono sentimenti di un fenomeno globale attraverso il loro condiviso linguaggio nativo, originario. La traduzione in inglese fa sì che la loro esperienza venga compresa anche dagli anglofoni”. “Quest’antologia è al contempo una scoperta e una conversazione intima”, rileva Robert Viscusi (The Wolfe Institute). “Leggendola - aggiunge - ho iniziato a capire gli altri italiani stabilitisi in tutto il mondo, in posti che non ho mai visto; ho conosciuto così cugini lontani attraverso verità sfuggenti che solo i poeti sanno dire.” fNotevole lavoro pionieristico Presentata a Villa Angiolina, nell’ambito delle Giornate della Cultura e della Lingua Italiana IVOR HRELJANOVIĆ “Un notevole lavoro pionieristico - rileva Sante Matteo (Miami University) nell’introduzione -, che sarà una pietra miliare negli Studi Italiani e sarà alla base di una nuova discipluna, la letteratura degli Italiani della diaspora”. Francesco Durante si sofferma, invece, sui tratti salienti della Poesia degli Italiani della diaspora, concentrando tutto in sette punti. A cominciare dal concetto dell’esodo, dall’emigrazione, indubbiamente “un processo drammatico”, e sostiene che la memoria di chi ha vissuto questi momenti meriti Istria Nobilissima ecco l’Antologia EDIZIONE XLVI A fare da cornice al XLVI volume dell’Antologia delle opere premiate ad Istria Nobilissima - il Concorso d’Arte e di Cultura ideato e organizzato dall’Unione Italiana in collaborazione con l’Università Popolarfe di Trieste - la splendida Villa Angiolina di Abbazia e le Giornate della Cultura e della Lingua Italiana, che il Consolato generale d’Italia a Fiume promuove nell’ambito della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Il volume, che riassume il meglio di quanto proposto al Concorso del 2013, è stato presentato martedì 21 ottobre. L’opera “riassume la 20 Panorama vivacità creativa della Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia nei campi dell’arte, della letteratura, del giornalismo delle arti applicate, della fotografia e via dicendo”, ha rilevato Fabrizio Somma, presidente dell’UPT. Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’UI, ha ribadito che per la buona riuscita di una manifestazione importante come Istria Nobilissima sono necessarie risorse, enti organizzatori e corpo minoritario. “La realizzazione di quest’Antologia è per me un ulteriore passo avanti, il cerchio che si chiude”, ha dichiarato Marianna Jelicich Buić, responsabile del Settore Cultura dell’UI. Il console generale Renato Cianfarani si è detto lieto che la presentazione dell’Antologia si av- venuta ad Abbazia, in cui opera una Comunità italiana molto vivace, che ha un ottimo rapporto con le istituzioni croate. Marina Gašparić, vicesindaco di Abbazia, ha sottolineato che la presenza della Comunità italiana, con tutte le sue iniziative - mostre, serate letterarie, concerti, appuntamenti culturali di vario genere - rappresenta un valore aggiunto per la Perla del Quarnero. I contenuti dell’edizione sono stati introdotti dal critico letterario Elvio Guagnini e dal critico d’arte Enzo Santese. In copertina, “Ritmo II” tempera su tela di Elizabeta Močibob, primo premio nella sezione “Pittura, scultura e grafica”. Alla serata, condotta da Laura Marchig, si è esibito alla fisarmonica Michele Ivkovich. italiani nel mondo Presentato il IX Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes Q Sono 4.482.115 i connazionali residenti all’estero uasi 95 mila nel 2013, poco meno di 80 mila nell’anno precedente: non si ferma l’esodo degli italiani che vanno all’estero, un “esercito” le cui file si ingrossano di anno in anno in questo periodo di crisi economica. Infatti a partire sono soprattutto i giovani, alle prese in Italia con percentuali di disoccupazione da capogiro. A confermare questa generale percezione è il IX Rapporto Italiani nel Mondo 2014 della Fondazione Migrantes, presentato a Roma. La cifra ha superato i flussi dei lavoratori stranieri immigrati in Italia, che sono ogni anno circa la metà di questa cifra, precisamente 43 mila nel 2010. Lungo il corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani - nel 2012 sono stati 78.941 con un saldo positivo di oltre 15 mila partenze (+16,1 p.c.). Per la maggior parte uomini sia nel 2013 (56,3 p.c.) che nel 2012 (56,2 p.c.), non sposati nel 60 p.c. dei casi e coniugati nel 34,3 p.c. La classe di età più rappresentata è quella dei 18-34 anni (36,2 p.c.), a seguire quella dei 35-49 anni (26,8 p.c.), a riprova di quanto evidentemente la recessione economica e la disoccupazione siano le effettive cause che spingono a partire. I minori sono il 18,8 p.c. e di questi il 12,1 p.c. ha meno di 10 anni. Il Regno Unito, con 12.933 nuovi iscritti al’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) all’inizio del 2014, è il primo Paese verso cui si sono diretti i recenti migranti italiani, con una crescita del 71,5 p.c. rispetto all’anno precedente. Seguono la Germania (11.731, +11,5 p.c.), la Svizzera (10.300, +15,7 p.c.) e la Francia (8.402, +19,0 p.c.). A sorpresa, è una regione del Nord, la Lombardia, quella che ha subìto la maggiore `emorragia´, con 16.418 partenze, seguita dal Veneto (8.743) e dal Lazio (8.211). L’aumento in assoluto dei cittadini italiani iscritti all’Aire è di 141 mila nel corso del 2013, il 3,1 p.c. in più rispetto all’anno precedente. Nel mondo sono 4.482.115 i connazionali residenti all’estero iscritti all’Aire al primo gennaio 2014. L’Argentina è il primo Paese di residenza per tutti gli italiani, seguita da Germania, Svizzera e Francia. Il 52,1% p.c. degli italiani iscritti all’Aire è di origine meridionale. I minori iscritti all’Aire al primo gennaio 2014 sono 691.222, in lieve calo rispetto all’anno precedente (673.489), ma se il numero dei minori continua a decrescere, è in aumento quello delle iscrizioni per nascita: si passa, infatti, dal 38,8 p.c. dell’anno passato al 39 p.c. di quest’anno. Sono in aumento anche gli over 65, che sono 878.209 (+0,8 p.c. dal 2010) e la maggior parte risiede in Sud America. Non ci sta a parlare di “fuga” degli italiani il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, che ha partecipato alla presentazione del Rapporto di Migrantes. “Quella degli italiani che si trasferiscono all’estero non è una fuga come chi scappa da guerre e persecuzioni religiose, percorre deserti e mare e arriva a Lampedusa, ma è una scelta” ha sostenuto, per poi ricordare che “gli italiani che migrano all’estero non rischiano la vita, come non l’hanno rischiata i nostri nonni”. Per il sottosegretario, “bisogna tenere anche presente che oggi, rispetto al passato, migrare significa spostarsi per mantenere un contatto costante con la famiglia grazie a skype e la possibilità di tornare. Non si parte più definitivamente”. A. V. Panorama 21 agenda NEL MONDO Ebola: continua l’alla Finora i morti sono circa 4900, c’è pericolo in Europa? a cura di Nerea Bulva L e notizie intorno a ebola occupano da tempo le prime pagine dei giornali e dei media di tutto il mondo: si scrive e si legge di numeri, nuovi casi, guarigioni, classifiche, previsioni, cure e scenari presenti e futuri, e a volte si prede di vista un po’ il quadro generale. Facciamo un po’ d’ordine, per avere un’idea di come è la situazione nel mondo. Gli ultimi dati sull’attuale epidemia da virus ebola sono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli aggiornamenti risalgono al 19 ottobre e sono: 4.877 è il numero dei morti finora accertati a causa del contagio (la stima è comunque approssimativa, perché nelle aree rurali e nei piccoli villaggi dei paesi africani dove c’è l’epidemia è praticamente impossibile tenere traccia di tutti i casi di contagio) 9.936 è il numero dei casi di contagio sono nove i Paesi in cui si sono registrati dei casi di ebola, ma sono attualmente sette quelli che sono ancora coinvolti, in maggiore o minore misura. Cinque di questi sono Guinea, Liberia, Sierra Leone, Spagna, Stati Uniti. A questi si devono aggiungere il Congo (dove le morti sono 49 ma dove l’epidemia è “estranea” a quella degli altri paesi africani: si tratta insomma di un’epidemia diversa, “un evento distinto e indipendente” dice l’OMS) e il Mali (dove le autorità sanitarie hanno confermato il primo caso di ebola del paese: si tratta di una IN REGIONE D bambina di due anni, il padre è morto per ebola, non ci sono molte altre informazioni a riguardo). Per quanto riguarda i casi di ebola fuori dall’Africa, va fatta un’altra fondamentale distinzione: alcuni di questi sono stati contratti in Africa e poi diagnosticati o curati fuori dall’Africa; altri sono stati contratti invece direttamente fuori dall’Africa. I paesi dove questo è accaduto sono Spagna (il caso Rovigno e Cittanova campioni del turismo opo sei anni Rovigno è stata di nuovo proclamata “Campione turistico assoluto della Croazia” per il 2014. Ha vinto, infatti, sia il “Fiore blu col marchio d’oro” quale città costiera col migliore assetto ambientale, sia il “Fiore turistico - qualità per la Croazia 2014”. Il “doppio” premio, promosso dalla Camera di Commercio, è stato consegnato nell’ambito delle Giornate del turismo croato svol- 22 Panorama tesi ad Abbazia gli scorsi 16 e 17 ottobre in occasione dell’assegnazione dei riconoscimenti alle migliori destinazioni, hotel, marine, campeggi ed operatori turistici per la stagione appena conclusasi. “Questo premio torna a Rovigno con pieno merito perché abbiamo lavorato sodo per migliorare il più possibile la qualità delle nostre offerte sia da parte delle aziende turistiche Maistra e Valalta che dagli affittacamere privati e da tutti gli operatori turi- arme dell’infermiera Teresa Romero, che è guarita dal virus, e 83 persone sotto controllo che avevano avuto dei contatti con lei) e Stati Uniti (Nina Pham e Amber Joy Vinson, infermiere di Dallas, tutte e due in via di guarigione che si sono contagiate dopo aver avuto contatti con Thomas Eric Duncan che aveva contratto il virus in Liberia e che è morto all’inizio di ottobre). Attualmente altri casi che hanno contratto la malattia in Se ne parla moltissimo ma tante cose non sempre sono chiare: quanti sono i contagiati in Africa e fuori; il numero dei paesi coinvolti aumenta o diminuisce Africa sono: il medico Craig Spencer, Rick Sacra e il cameraman Ashoka Mukpo. In Texas 112 persone sono sotto controllo, in Ohio 153 persone che facevano parte dell’equipaggio o che erano passeggeri del volo su cui aveva viaggiato l’infermiera Amber Joy Vinson sono monitorati ma considerati a basso rischio di contrarre il virus. In Europa c’è stato un unico caso di morte per ebola: un operatore delle Nazioni Unite aveva contratto il virus in Liberia ed era stato trasferito all’ospedale di Lipsia, in Germania, dove è morto il 14 ottobre. L’emergenza riguarda insomma l’Africa, anzi: alcuni paesi dell’Africa. Come più volte è stato spiegato, i paesi occidentali hanno i mezzi per rintracciare e isolare coloro che sono stati in contatto con chiunque abbia contratto ebola, e hanno i mezzi per trattare e curare coloro che sono stati contagiati. Questo non vuol dire che non ci sia alcun rischio, ma in generale i funzionari della sanità pubblica sono sicuri della loro capacità di limitare il danno causato dal virus. In Africa però le cose sono molto diverse, per via della scarsezza di personale e risorse e della mediocre cultura sanitaria delle popolazioni. Secondo le ultime dichiarazioni del direttore della Croce Rossa ci vorranno dai quattro ai sei mesi per debellare l’epidemia a condizione però che si rispettino tutte le misure di sicurezza necessarie e che non vengano meno gli aiuti internazionali. L’OMS durante l’ultima riunione del Comitato di Emergenza a Ginevra ha detto che comunque ebola continua a costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilievo internazionale, e ha espresso “grande preoccupazione” per la situazione nei tre paesi dell’Africa occidentale più colpiti. ben il 13 p.c. “Finalmente si è ripagato tutto quello che abbiamo investito in questi anni, specialmente nell’innalzamento della qualità delle capacità ricettive, in primo luogo del campeggio Laguna come pure di tutta l’insfrastruttura turistica come le spiagge e gli stabilimenti balneari” così la direttrice dell’Ente per il turismo di Cittanova, Vesna Ferenc. All’evento erano presenti il ministro al Turismo, Darko Lorencin, quello per la Salvaguardia dell’ambiente, Mihaela Zmajlović, dei Trasporti, Siniša Hajdaš Dončić, dell’Imprenditoria ed artigianato, Gordan Maras, e dell’Edilizia, Anka Mrak Taritaš. (n.b.) Premiate ad Abbazia in occasione delle «Giornate del turismo croato» stici in generale”, così la direttrice dell’Ente per il turismo di Rovigno. “Sono molto orgogliosa di questo riconoscimento perché quest’anno abbiamo di nuovo superato i tre milioni di pernottamenti che è un record in Croazia”. Per quel che riguarda poi la categoria delle medie destinazioni la cittadina di Cittanova ha battuto sia Abbazia che Spalato con una buona stagione e con l’aumento dei pernottamenti di Panorama 23 dossier comuità Pietro Varljen Il presidente sogna un’elementare foto e testo di Ardea Velikonja Comunità degli Ita una grande fa Il sindaco: «Indispensabile ccIl presidente della Comunità degli Italiani di Abbazia, Pietro Varljen Con questo numero parte la rubrica «Dossier», un viaggio nelle nostre Comunità degli Italiani, per illustrare e promuovere l’attività che svolgono a favore del mantenimento della presenza e della cultura italiane nel territorio, per far conoscere il loro ruolo nell’ambiente in cui operano, per parlare dei problemi e dei progetti che vorrebbero realizzare “L a nostra è una comunità storica, fondata nel 1946 come Circolo Italiano di Cultura. Nel 1953, per le note vicissitudini storiche, subisce la chiusura, come del resto avviene pure per le scuole elementari in lingua italiana di Abbazia. Il primo presidente della CI è stato Alfredo Visintin, ed è stato sempre lui a riuscire a far riaprire la 24 Panorama Il rapporto tra la Comunità degli Italiani di Abbazia e il sindaco della città, Ivo Dujmić, potrebbe essere descritto così: affetto e stima reciproci. “La Comunità degli Italiani di Abbazia è molto numerosa e molto attiva – rileva Dujmić –. Sono tanti i progetti che abbiamo fatto insieme e altrettanti quelli che la Città supporta sia finanziariamente che in altri modi. A dimostrazione degli ottimi rapporti che intercorrono tra di noi sta l’assegnazione della sede alla CI in uno degli edifici più belli e funzionali. Mi riferisco a Villa Antonio. Questi ottimi rapporti, che durano da anni, hanno portato ad un’iniziativa comune. La realizzazione di un nuovo asilo in lingua italiana. E qui si sono incluse sia l’Unione Italiana che l’Università Popolare di Trieste, i competenti Ministeri e non per ultimo il Consolato generale d’Italia a Fiume”. “Il nuovo asilo è indispensabile per Abbazia e i suoi cittadini – sottolinea il sindaco – e in particolare per quelli della minoranza italiana che vive in questo territorio. Attualmente si sta lavorando sul progetto dell’istituzione che, secondo quanto mi è stato detto, sarà pronto entro la fine dell’anno. Quindi si dovranno ottenere tutti i permessi e passare, assieme ai part- ner italiani, al completamento della struttura finanziaria. Appena dopo indiremo il concorso per la realizzazione dell’edificio, che si troverà in una delle posizioni più belle di Abbazia: Punta Kolova”. Comunità nel 1971, nella primissima sede, di ben 400 metri quadrati nella bellissima villa che oggi ospita la Direzione delle entrate, vicino al Tribunale comunale, ovvero di fronte al Municipio di Abbazia. Da qui la nostra sede verrà spostata a Volosca in seno alla Casa di cultura. All’inizio avevamo a disposizione una sola stanzetta, e visto che questa cu era troppo stretta, dopo alcuni anni ci permisero di usare ancora un locale. Nonostante le difficoltà, la CI ha funzionato benissimo fino al 2010, quando ci siamo trasferiti a Villa Antonio, grazie esclusivamente alla volontà di aiutarci dimostrata dal sindaco Ivo Dujmić, oltre che ovviamente al sostegno dell’Unione Italiana. In questo contesto mi sento in dovere di raccontare il retroscena. All’epoca l’UI era alla ricerca di una sede per noi e avevamo anche una bella somma a disposizione. Ci fProva di multiculturalità “Questa è ancora una dimostrazione della multiculturalità di Abbazia di cui andiamo fieri, resa possibile anche grazie alla forte e ben organizzata comunità che associa i cittadini di nazionalità italiana che sono i fautori di tantissime attività e programmi seguiti anche dai cittadini della maggioranza. E questo per me è un esempio di come bisogna vivere e operare in una società pluralista e quindi moderna”, aggiunge. “Quanto il mio rapporto con la Comunità degli Italiani sia cordiale e di reciproco rispetto penso lo dimostri anche l’onorificienza, assegnatami dal Presidente della Repubblica Italiana di Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia, riconoscimento che mi è stato consegnato con una bella cerimonia due anni fa dal Console italiano a Fiume, Renato Cianfarani. Quindi credo che anche a livello di Repubblica Italiana hanno saputo apprezzare i miei valori e il mio lavoro nei confronti della Comunità degli Italiani. Per me aliani di Abbazia amiglia l’asilo» questo è un onore, e personalmente sono soddisfatto dei rapporti di collaborazione con tutti i gruppi minoritari che vivono ad Abbazia e in particolar modo con la comunità italiana, una comunità profondamente legata al territorio in cui affondano le loro radici”, conclude Dujmić. fu il concorso pubblico per l’assegnazione di Villa Operetta, al quale partecipammo anche noi. Il posto era ideale, grandi stanze, parcheggio, centro città. Purtroppo, per pochi spiccioli non riuscimmo ad aggiudicarci i vani. Oggi il palazzo in parola giace completamente vuoto! Grazie anche all’interessamento dell’allora console generale italiano a Fiume, Fulvio Rustico, insieme con la Città di Abbazia abbiamo Villa Antonio sede della Comunità degli Italiani Panorama 25 dossier comuità ccLa preziosa segretaria tuttofare Norma Tuliak Srbulj quindi individuati questi spazi e noi possiamo solo esserne riconoscenti. Abbiamo tre stanze con servizi tutte per noi, e possiamo usare quando vogliamo la grande sala riunioni di Villa Antonio. Inoltre ccLa prima riunione dell’Assemblea del sodalizio, dopo le rece basta contattare la Municipalità e ci è consentito l’usufrutto di Villa Angiolina per varie manifestazioni. Da non dimenticare che abbiamo a disposizione pure la Casa di cultura Zora, dove facciamo presentazioni, concerti, conferenze, spettacoli dei bimbi degli asili ecc., tutto gratis, ripeto. Insomma, una collaborazione con l’amministrazione cittadina di cui pochi possono vantarsi”. Ci dice Pietro Varljen, presidente della CI di Abbazia, che abbiamo incontrato nella sede del sodalizio, assieme alla preziosa segretaria tuttofare Norma Tuliak Srbulj. “Aggiungo che il sin- eeLa biblioteca è il luogo più affollato nel pomeriggio daco Dujmić, dopo aver incontrato le varie delegazioni che sono in visita alla Città, porta sempre i suoi ospiti qui da noi, per far conoscere la nostra Comunità a tutti, a partire del presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović”. Parliamo ora delle attività. “In tutto la Comunità conta 440 soci effettivi, più 60 sostenitori, quindi in tutto circa 500 persone, che per noi sono una grande famiglia. E come in ogni famiglia ci siamo divisi i compiti, ovvero abbiamo un responsabile alla cultura, uno allo sport, un bibliotecario e la segretaria. Nel corso dell’anno svolgiamo tantissime attività. La principale è il corso di italiano per bambini e per adulti. La scheda Si deve ad Alfredo Visintin la costituzione del Circolo Italiano di Cultura di Abbazia, avvenuta nell’agosto del 1946. Il prof. Pietro Nutrizio ed Ermanno Bonassin saranno i fondatori e i principali animatori del sodalizio. L’attività si spegnerà provvisoriamente nel 1953 con la “crisi di Trieste” e la conseguente chiusura delle scuole italiane. La riapertura del Circolo si avrà nel 1971, sotto la spinta dell’instancabile Alfredo Visintin, affiancato dal prof. Pietro Nutrizio (che nel 1975 verrà eletto presidente della CI e ne rimarrà alla guida fino al 2006) e da altri collaboratori, fra cui Arno Blecich, Francesco Belle e Ermanno Bonassin. Negli ultimi dieci anni il numero dei soci della CI di Abbazia varia dai 500 ai 550. Tra le iniziative “storiche” promosse dai connazionali della “Perla del 26 Panorama Quarnero” ricordiamo il Torneo dell’Amicizia, regionale e internazionale, la mostra di pittura internazionale ”MANDRACCHIO”, compartecipe con il Comune di Abbazia, i corsi di lingua italiana, per adulti e ragazzi (iniziati nel lontano 1983, in cui c’erano ben pochi che li frequentavano, si svolgono tuttora con successo e interesse), il raduno campestre estivo annuale, con il coinvolgiemento di tutti i soci, che giocano a bocce, ai cerchietti, a briscola e tressette e altro. Il sodalizio organizza poi le gite al fine di incontrare le altre Comunità degli Italiani, per poter far due chiacchiere e scambiare le idee. La CI partecipa, assieme alla Città, pure allo scambio internazionale con le i comuni italiani di Castel S. Pietro Terme e Cormagnola, gemellate con Abbazia. ccGli interni della sede della vecchia Villa Antonio enti elezioni Abbiamo due docenti che due volta alla settimana insegnano la lingua e la cultrua italiane a una settantina di persone. Poi c’è la scuola di musica Girotondo, riservata ai bambini dell’asilo, dove imparano a suonare il pianoforte, ma anche l’italiano. Sulla nostra CI gravitano quattro asili in tutto, uno ad Abbazia, uno a Laurana, la Scuola di musica e la sezione per l’apprendimento veloce dell’italiano di Mattuglie. Ogni anno i bimbi di tutte e quattro le istituzioni preparano uno spettacolo natalizio, che ha tanto successo di pubblico”, dice Varljen. Per quanto riguarda le attività culturali, presso la Casa Zora e Villa Angiolina avvengono presentazioni di libri, conferenze, convegni, mostre, seguitissime anche dal pubblico della maggioranza. “Prima della crisi economica, che attanaglia tutta l’Europa, facevamo gite di studio in Italia, precedute da conferenze propedeutiche organizzate dall’UI in collaborazione con l’Università Popolare di Trieste. Purtroppo, da tempo non facciamo più escursioni simili. Oggi ne facciamo un paio a nostre spese, visitando le varie Comunità degli Italiani. Ecco l’ultima l’abbiamo fatto di recente a Zara, dove abbiamo incontrato i colleghi della locale CI, mentre lo scorso anno siamo stati a Castel San Pietro Terme grazie ai sindaci delle due cittadine - spiega ancora Varljen -. Infatti, Abbazia e la cittadina dell’Emilia Romagna sono gemellate. Durante la visita che tradizionalmente una delegazione fa ad Abbazia, il sindaco Ivo Dujmić ha portato qui in Comunità il sindaco di Castel San Pietro Terme, che in occasione dei trent’anni del gemellaggio ci ha invitati a visitare la loro cittadina. Detto fatto, il ‘nostro’ sindaco ci ha organizzato l’autobus e ccLa bellissima gita offerta dai sindaci di Abbazia e Castel San Pietro Terme nella cittadina toscana ccL’ultima gita fatta dagli attivisti a Zara per visitare i colleghi della locale CI Panorama 27 dossier comuità per tre giorni siamo stati ospiti della cittadina italiana senza spendere un soldo”. Occorre tener presente che gli spettacoli e i vari eventi promossi dalla CI registrano quasi sempre “il pienone”, a testimonianza del ruolo culturale che il sodalizio svolge per tutta la città. Tutto roseo? “Un problema che condividiamo con tante altre realtà simili alla nostra è l’assenza di giovani, il r ricambio generazionale. I nostri ragazzi per lo più studiano all’estero, e poi oggi la gioventù ha altri interessi. Forse avendo una scuola elementare in lingua italian, magari solo fino alle classi inferitori, le cose potrebbero cambiare. La scuola è fondamentale per il mantenimento della lingua e dell’identità. Purtroppo, per i genitori che abitano in tutta la Liburnia, con la vita che corre, è difficile portare i figli a Fiume alle scuole italiane. Avere qui ad Abbazia almeno le prime quattro classi sarebbe l’ideale, così i ragazzi potrebbero includersi nell’attività della CI fin da piccoli”. Desideri per il futuro? “Ma noi siamo contenti così, la sede ci va benissimo - risponde il presidente -. Vero è che il contratto d’affitto scade nel 2018, ma noi rifaremo la richiesta e non dubito che il sindaco l’accoglierà. Paghiamo d’affitto solo 250 euro al mese per una sede che abbiamo preso bell’e pronta. Noi ci abbiamo messo solo i mobili. Macchè edifici da 200-300.000 euro! Noi ci accontentiamo con poco e non ne va di mezzo l’attività”. “Per il resto, vorremmo tanto che venisse riaperta la scuola, che riprendessero le conferenze legate alle gite in Italia, ma purtroppo ci rendiamo conto che il contesto nono solo italiano, ma anche croato, è limitante. Speriamo in un futuro migliore. Speriamo che i giovani vengano presto in Comunità. Speriamo, inoltre, di poter tagliare in questo mandato il nastro per l’apertura del nuovo asilo di Punta Kolova”. 28 Panorama ccAl “Torneo dell’amicizia” si gioca a briscola e tressette e si scambiano esperienze Due i fiori all’occhiello del sodalizio “Due sono le manifestazioni nostre, e solo nostre, di cui andiamo fieri e di cui siamo fondatori: il ‘Mandracchio’, concorso internazionale di pittura, che il prossimo anno spegnerà 30 candeline, e il ‘Torneo dell’amicizia’ di briscola e tressette, arrivato quest’anno alla 37.esima edizione”, ci ha detto Pietro varljen. “La prima, nata nel 1986 come una coraggiosa e piccola manifestazione artistica da un’idea di Claudio Frank, Diana Pamić e della Comunità degli Italiani di Abbazia, la chiamarono ‘Mandracchio’ in onore al porticciolo di Volosca, dove, in pratica, si svolge il clou della competizione, che con gli anni è cresciuta in bellezza e prosperità, seguita da migliaia di persone, fino a diventare una vera e propria festa di colori e d’arte, a cui ogni anno prendono parte, come partecipanti o solamente in veste di spettatori, centinaia ccUna delle edizioni del “Mandracchio” di artisti nostrani e dall’estero. La seconda, è il ‘Torneo dell’amicizia’, cominciato timidamente nel 1979 a Pola, con la partecipazione di 8 Comunità degli Italiani. Di anno in anno abbiamo girato per l’Istria fino a che ci siamo accorti che quando era la volta di Abbazia tutti erano felici di farsi una passeggiata per il lungomare dopo aver giocato e abbiamo concluso che anche geograficamente si era ‘nel posto giusto’ e così da sedici anni il torneo si svolge all’albergo Admiral della Perla del Quarnero, dove ormai siamo di casa e ci accolgono veramente come amici e non come ospiti. L’anno scorso erano presenti 30 CI, un po’ meno rispetto al 2012; l’appuntamento è stato comunque un successo, con una grande partecipazione. Sono stati oltre 200 i visitatori, tra concorrenti e gruppi di supporto. Al Torneo non si parla solo di briscola e tressette, ma è un’occasione per parlare di tante altre cose: di com’è andata la raccolta dell’uva, delle olive, delle riparazioni che occorrono per rimettere in mare la propria barca. Insomma, è l’opportunità per instaurare anche nuovi rapporti d’amicizia e, chissà, forse realizzare pure qualche buon affare”, ha concluso Pietro Varljen. territorio risorse Sei sette anni fa in una stagione si raccoglievano fino a 700 chili dei succulenti marroni, oggi se si riesce a raccogliere 120 chili si può esseri felici. Lo dice Edita Turkković una delle proprietarie del più grande bosco di castagne sulle falde del Monte Maggiore Una Marunada senza marroni I boschi del Lauranese sono sempre più ammalati Bisogna correre ai ripari al più presto O ttobre è il mese delle sagre dei frutti di bosco e fra queste certamente la più conosciuta dalle nostra parti è la Festa dei marroni di Laurana che si articola in tre fine settimane. Laurana, piccola cittadina ai piedi del Monte Maggiore, è fiera di avere la sua sagra che dura da ben 41 anni. E i succulenti marroni (castagne più grandi delle altre) crescono appunto sul- le falde del monte che sovrasta il Quarnero. Purtroppo quest’anno ce ne sono stati pochissimi causa l’estate piovosa e un autunno che fa le bizze. Ma gli operatori turistici della regione non hanno desistito ad organizzare le feste in tre località: Laurana, Dobreć e Liganj, dove, complice il bel tempo, c’è stata tantissima gente venuta ad assaggiare quell’alimento che Giovanni Pascoli chiamava “l’italico albero del pane” e i dolci fatti esclusivamente con castagne. Non essendoci quelle nostrane, sugli stand venivano vendute le castagne spagnole, che però come gusto nulla hanno a che fare con i nostri marroni. Gli stessi proprietari dei boschi di marroni quest’anno sono disperati. Edita Turković, una delle proprietarie del più grande bosco di castagne del Lauranese, ha detto che i marroni quest’anno sono pochissimi. “Sei-sette anni fa una settimana prima della Bela Nedeja (ovvero la prima domenica di ottobre) avevo già raccolto sui 700 chili di marroni. Quest’anno in tutto sono riuscita a raccogliere 120 chili. A parte il tempo l’80 per cento degli alberi è stato attaccato dal cinipide o vespa del castagno, l’insetto più nocivo a livello mondiale che causa il veloce deperimento delle piante che attacca. Quindi ci sono sempre meno alberi. Qui, ha concluso, bisognerà fare qualcosa al più presto se non si vuole far sparire il marrone lauranese”. Nonostante ciò il pubblico sa che in queste tre località la Marunada, come si chiama da queste parti, è un’occasione per stare all’aria aperta, per gustare sì le castagne ma anche salsicce e crauti che tradizionalmente vengono accompagnati da tanta musica e tanta allegria. A.V. Panorama 29 risorse DUŠKO MARUŠIĆ/PIXSELL territorio Sesta edizone di ISAP 30 Panorama Anche quest’anno grande interesse per la fiera internazionale dei «violini» Antignana tutte le sfumature del prosciutto fIstria vs. Dalmazia Come in ogni edizione precedente, a contendersi il titolo di miglior prosciutto sono stati l’Istria e la Dalmazia, anche se si tratta di due prosciutti completamente diversi. Un’apposita giuria, composta da quindici esperti che fanno capo all’Associazione analisi sensoriale del prosciutto, diretta da Blanka Sinčić Pulić, ha quindi scelto i vincitori del gusto: primo classificato il prosciuttificio “Antolović” di Antignana per il crudo istriano, primo posto per quello affumicato al prosciuttificio “Mrki” di Traù (Trogir). Alla manifestazione 2014 ha assistito pure un nutrito numero di ministri del Governo croato, con a capo il premier Zoran Milanović, anche perché hanno voluto annunciare in quest’occasione l’avvenuto accordo con la Slovenia in merito al marchio di prosciutto istriano dop. dell’accordo con la Slovenia sull’uso del marchio ‘prosciutto istriano dop’. L’accordo è un modello certamente utile sia per la Croazia che per la Slovenia. Entrambe potranno usarlo. Questo accordo apre a una più agile cooperazione transfrontaliera in quanto il prosciutto certo non è questione politica, governativa: appartiene al territorio. Vogliamo tutelare anche altri prodotti quali la pancetta, l’ombolo, le salsicce e il vino”, ha concluso Flego. Comunque, tornando alla due giorni di Antignana, complice anche il bel tempo, da rilevare che il numerosissimo pubblico non ha esitato a provare i numerosi “violini”, anche se per 100 grammi si pagavano 40 kune. fA ruba lo «spagolo» Andato a ruba il prosciutto spagnolo che veniva venduto a ben 100 kune per cento grammi. Tutti hanno voluto provare qualcosa di diverso e infatti lo “spagnolo” ha un gusto completamente diverso da quello nostrano: si chiama jamon iberico de bellota. Bellota in spagnolo significa ghianda e infatti il prosciutto proviene da suini neri (pata negra) che vengono nutriti esclusivamente con le ghiande. Di conseguenza la carne è molto più scura ed ha un gusto dolciastro. Forti dell’esperienza dell’anno scorso i produttori spagnoli presenti quest’anno hanno portato ben 100 prosciutti che sono andati tutti a ruba nonostante il prezzo. Ma ISAP 2014 non ha presentato solo prosciutto, c’erano stand con formaggi e con vini della zona, il tutto accompagnato da musica e tanta allegria che il pubblico ha certamente gradito. A. V. PIXSELL I n barba alla crisi economica e al forte calo del potere d’acquisto, oltre 20mila visitatori si sono mangiati ad Antignana circa 500 prosciutti e altrettanti ne sono stati acquistati interi. Questi i risultati della sesta edizione di ISAP 2014, la fiera internazionale del prosciutto, che ogni anno richiama nel piccolo borgo istriano i migliori produttori della Croazia, del Montenegro, della Spagna, dell’Austria e della Serbia. fAccordo con la Slovenia E in merito è stato Valter Flego, presidente della Regione Istriana, a ribadire: “Siamo felici e soddisfatti per il raggiungimento Certificazione dop: un marchio unico La certificazione dop non conterrà l’indicazione dello Stato d’origine. Il prosciutto istriano si ricava da una tecnologia propria di questo territorio ripartito tra tre stati, che verrà timbrato con un marchio a caldo unico. Riporterà la dicitura in croato e in sloveno “Istarski pršut-istrski pršut”. In poche parole, ha avuto un epilogo pacifico il ricorso presentato dalla Slovenia nel 2012 alla richiesta croata di registrare il Prosciutto istriano all’Unione europea. Istarski pršut-istrski pršut Panorama 31 Europa Neu Denken Ripensare l’Europa Storie e mentalità dell’Adriatico, curiosità e conflitto come segreto dello scambio di Marino Vocci L a tre giorni internazionale tenutasi nella splendida sala “Georgios” del Centro pastorale culturale di Pirano, dal 17 al 19 ottobre, in ricordo del Prof. Michael Fischer dell’Università di Salisburgo, con studiosi italiani, sloveni, austriaci, tedeschi e presente - diversamente a quasi tutti i politici nostrani, che intervengono all’apertura dei lavori e poi se ne vanno, ha partecipato a tutte le giornate di lavoro - il Commissario europeo alle Politiche regionali e prossimamente a quelle di Vicinato, Johannes Hahn, è stata una straordinaria opportunità per riflettere sul passato e sul presente. E soprat32 Panorama tutto ripensare insieme sul bisogno di riscoprire il Mediterraneo nella sua interezza e guardare al futuro comune, di questa nostra piccola parte d’Europa, partendo prima di tutto dall’Adriatico il mare dell’intimità e dal Golfo di Trieste il mare dell’amicizia. L’Adriatico, e in particolare il Golfo di Trieste lì dove il Mediterraneo abbraccia l’Europa di Mezzo, è uno straordinario eco-mosaico paesaggistico, ambientale e culturale. Mondi di terra e di mare, di pastori e contadini e di pescatori e salineri, per Fernand Braudel un mare di montanari. Un paesaggio culturale e allo stesso tempo colturale che è un piccolo compendio dell’universo. Un mondo plurale nel quale, come per Trieste ci ricordava Scipio Slataper negli ”Scritti politici” del 1925 (ripeto 1925, e quindi l’anno IV° dell’era fascista!), tutto è doppio o triplo a partire dal- eeJohannes Hahn società la flora per arrivare all’etnicità. Anche se come ebbe a dire Bobi Bazlen nel criticare la metafora di crogiolo appioppata da Slataper alla Trieste mercuriale e plurietnica: “Trieste è stata tutto meno un crogiolo” visto che qui “un tipo fuso non s’è mai prodotto”. Un territorio complesso e affascinanti, caratterizzato dal punto di vista naturale, biologico, linguistico e culturale da una profonda diversità e biodiversità: che conferisce al paesaggio colturale e culturale e non solo al paesaggio, una straordinaria bellezza. La ricchezza e la bellezza delle diversità. Questi nostri mondi plurali e dai confini mobili, nel corso dei secoli non solo ci hanno raccontato mille storie, ma ci hanno, almeno in parte e solo in parte purtroppo, anche vaccinato dai rischi che corre questo nostro mondo se rincorre i nazionalismi, i micronazionalismi e gli stereotipi. Occorre che la grande crisi che stiamo vivendo, non solo economica ma anche e soprattutto di valori, e poi l’urgenza ecologica, ci faccia prendere coscienza del legame che unisce tutte le cose. Dove la prima categoria dell’essere non è la sostanza, ma è la relazione; una relazionalità globale che supera l’antropocentrismo e l’utilitarismo che ne discende. Dobbiamo riscoprire l’etica della frontiera e scegliere di vivere o meglio buen vivir, questa nostra complessa e ricca società plurale. Dove non l’indifferenza ma il dialogo e il confronto aperto e a volte perchè no, anche aspro, devono diventare un strumento essenziale per difenderci da identità spesso gonfiate agli estrogeni, da egoismi a volte ipertrofici e soprattutto dalle mille separatezze e solitudini. Una società dove donne e uomini oltre a battersi per una conversione/rivoluzione ecologica desiderabile, abbiano la voglia di incontrare l’altro; di essere se stessi ma anche l’altro. Difendere le specificità e unire questi straordinari microcosmi plurali, capitalizzando e facendo tesoro anche economico, di tutte le diverse potenzialità presenti e ancora inespresse, poco conosciute e valorizzate. Questo ci impone non solo la storia, ma anche il presente per questo nostro mondo alto adriatico, questa piccola parte del Mediterraneo. Microcosmi complessi dove, se vogliamo guardare al futuro con fiducia e speranza, è necessario e direi fondamentale, non ricercare l’omologazione e la standardizzazione (di culture e colture, di paesaggi e visioni) e neppure identità gonfiate e monumentalizzate, esclusive ed escludenti, ma cercare insieme di superare tutti i vari confini e condividere e valorizzare la bellezza delle diversità, come quelle presenti di questi bellissimi luoghi plurali dell’Alto Adriatico. Un mare che è paesaggio dell’anima e si sente sulla pelle, è cibo per la mente. Ma anche per il corpo. Il filosofo Mirt Komel nel suo intervento “Essere Europei, essere mediterranei: monoteismo del mare, pluralismo della terra” attraverso precisi riferimenti alla filosofia di Hegel e Marx, di Lacan e con citazioni del grande Paul Valéry ha ripercorso il significato dell’essere mediterraneo, partendo dalle parole con cui i popoli si sono impossessati di questo mare dell’Intimità e della vicinanza dall’arabo (Il Mare Bianco) al latino; passando per le metafore elaborate dalla cultura greca sull’esperienza e la percezione del mare, luogo di Dei e Sirene e quindi della terribilità. La molteplicità ontologica della terra, dominata dalle polis/città, è una caratteristica che contraddistingue il mare nostrum, ed è possibile solo grazie alla profonda unità che caratterizza questo mare, che non è ridotto a limes e nemmeno a soddisfazione del lacaniano plaisir o jouissance, ma una necessità che permette di conservare attraverso il “monoteismo” del mare, la “pluralità” delle terre. Il mare non è di nessuno, ma è un bene comune di tutti; è inclusivo e non esclusivo e non distingue il colore della pelle, le nazioni, le monete. A più riprese dalle voci giovani presenti al Simposio è venuta fuori l’esigenza di riaffermare la cultura come nodo centrale di ripensare a quest’Europa sempre più piegata su valori economici e sempre meno sulle specificità umane (l’arte è proprio una di queste) del nostro stare al mondo. I giovani universitari che hanno dialogato con Johannes Hahn l’ultimo giorno, il filosofo Mirt Komel, la critica letteraria Martina Vocci (con un bellissimo intervento su “Il mare di Fulvio Tomizza”, la grande anima istriana, del et et e non dell’aut aut)), lo scrittore Marko Dinic, la germanista Claudia Höckner, la filosofa Tina Perissutti, Martina Genböck: tutti hanno concordato sul valore supremo che hanno le arti nel far dialogare persone che provengono anche da ambienti diversi ma che in questo unico linguaggio universale hanno la possibilità di rendere percepibili memorie e mondi. E allora perché non lanciare un’idea di Festival delle Arti in cui siano i giovani protagonisti, magari guidati dai loro più “navigati” mentori, in cui per qualche giorno non si possano far dialogare mondi ed eccellenze?! Panorama 33 made in italy Idea Natale edizione XXVI Dal 13 al 16 novembre la vetrina dedicata al regalo, alle produzioni artigianali, alla creatività manuale Un nuovo modo di vivere la casa e l’abitare a cura di Ardea Velikonja «Casa Moderna» si è conclusa la 61.esima edizione della più vecchia fiera del Friuli Venezia Giulia L a casa resta sempre un grande punto di riferimento, un interrogativo, un impegno e anche un grande sogno per la maggior parte delle persone: lo testimonia, ormai da oltre 60 edizioni, una fiera come Casa Moderna che ha visto passare migliaia di visitatori tra gli stand del quartiere fieristico udinese dove gli espositori ce l’hanno messa proprio tutta per dare anche quest’anno le riposte giuste alle esigenze del pubblico, ma hanno anche saputo suggerire idee, creare quelle emozioni e suggestioni che non sono da poco nella scelta di investire sul luogo dove abitiamo. Le accurate ambientazioni di soggiorni, camere, cucine e bagni ricreate negli stand intercettano piuttosto facilmente l’attenzione del pubblico, vista la bellezza dei pezzi esposti e delle firme che li caratterizzano, ma c’è tutta una parte di “Casa Moderna”, forse meno appariscente ed esteticamente meno coinvolgente, che il visitatore comunque cerca e trova per rendere la propria abitazione anche più funzionale e capiente, più sana, più attenta al risparmio energetico. Nulla va dato per scontato, specialmente in questo periodo di crisi e di incertezze, neanche quando si tratta della fiera di punta del palinsesto fieristico del Friuli Venezia Giulia appena conclusa nel quartiere fieristico udinese: ben consapevole di questo e vivendo in prima persona le problematiche che non risparmiano il sistema fieristico su scala nazionale e internazionale. “Udine e Gorizia Fiere si è ulteriormente rimboccata le maniche già da tempo - come afferma il Presidente Luisa De Marco - per far sì che esperienze, patrimoni e strumenti di promozione e di sostengo dell’economia e del territorio quali sono le fiere, e in modo particolare ‘Casa Moderna’, continuino a rinnovarsi e adeguarsi alle esigenze più attuali della domanda e dell’offerta. Il nostro impegno come organizzatori di un evento che ha voluto rappresentare e sostenere tutto il ‘sistema casa’ si è combinato con l’impegno, il coraggio e la professionalità degli espositori ai quali va sicuramente ribadito il nostro grazie e con i quali va condiviso il eeIl pubblico più numeroso: i giovani che devono mettere su casa 34 Panorama successo di questa 61.ma edizione. Un successo che sarebbe errato ridurre, oltre che peccare di miopia, alle migliaia di visitatori che negli ultimi dieci giorni hanno affollato gli stand di ‘Casa Moderna’: è cambiato l’atteggiamento del visitatore, che si dimostra sempre più attento e informato, motivato, nelle sue scelte, da fattori e motivi, culturali ed economici. Anche gli espositori hanno percepito perfettamente questa ‘nuova tipologia’ di pubblico e nel proprio stand avevano le risposte giuste per intercettare e rispondere ad un nuovo modo di vivere la casa e l’abitare. I contatti mirati nati in fiera in questi giorni sono un tesoro preziosissimo sul quale le aziende lavoreranno nell’arco dei prossimi sei/otto mesi. Questo è il risultato che più conta per la Fiera e per il futuro delle nostre manifestazioni. E in tutto questo vanno ricordati e ringraziati i nostri partner, la Camera di Commercio di Udine, e gli sponsor che sono stati anche espositori vivendo concretamente l’esperienza e l’impatto di ‘Casa Moderna’: lo sponsor bancario FriulAdria e lo sponsor tecnico Amga Energia & Servizi”. Un altro punto di forza di “Casa Moderna” n. 61 sta nella sua versione “verde”, il colore che contraddistingue da oltre un decennio la sezione espositiva di Casa Biologica dedicata all’abitare ecosostenibile: un padiglione che ha evidenziato sia l’espansione e la specializzazione dell’offerta di ma- ccTanto interesse per gli accessori Versione Verde per l’ambiente Casa Biologica: un padiglione sull’ecosostenibile efficienza e risparmio energetico da oltre dieci anni offre materiali, tecnologie e servizi teriali, tecnologie e servizi, sia l’aumento di interesse della domanda in termini di qualità della vita, efficienza e risparmio energetico. Il prossimo appuntamento B2C (Business to Consumer) sul quale la Fiera è già al lavoro è Idea Natale, che di edizioni ne raggiungerà 26, dal 13 al 16 novembre. L’obiettivo di questa vetrina, dedicata al regalo, alle produzioni artigianali, alla creatività, alla manualità e alla solidarietà, è offrire alle aziende la presidente Luisa de Marco «È cambiato l’atteggiamento del visitatore che si dimostra sempre più attento e motivato» del settore l’opportunità di presentare e promuovere in anticipo al grande pubblico idee e suggerimenti per i regali di fine anno: questo anche per evitare le corse stressanti dell’ultimo minuto a caccia del regalo, per offrire una gamma ampia e diversificata di gusti e di prezzi e per assecondare quella riscoperta e sempre più diffusa esigenza di creare il regalo su misura, magari fatto con le proprie mani. eeIl moderno design che caratterizza Casa Moderna ccLa presidente di Udine e Goriza Fiere, Luisa De Marco, in uno degli stand Panorama 35 dal passato catastrofi Fame e tifo. L’ann Il passato della Terra è disseminato di casi di forti variazioni climatiche, che hanno causato dissesto economico, sociale ed ecologico. Come avvenne due secoli fa di Rino Cigui D a alcuni decenni la tematica legata alle variazioni climatiche a cui è sottoposto il nostro pianeta è diventato uno dei problemi scientifici più importanti e dibattuti. Il crescente interesse che si registra attorno a quest’argomento è dovuto al fatto che il riscaldamento del nostro Pianeta implica, come hanno rilevato i climatologi, un insieme di cambiamenti ambientali quali, ad esempio, la variazione della quantità e del regime delle piogge, lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, l’innalzamento del eeLa porta piccola di Pinguente. In Istria il contagio non si manifestò ovunque con la stessa intensità: elevata fu la mortalità nell’Istria nord-occidentale e soprattutto in quella centrale 36 Panorama livello del mare, il cui impatto sull’umanità, sull’ambiente e sull’assetto produttivo della società umana può essere devastante. La storia della Terra è purtroppo disseminata di catastrofi provocate da forti e brusche variazioni del clima, intervenute nell’arco di alcuni decenni o secoli, che hanno inferto ferite e causato un insieme di conseguenze negative su vaste aree del Pianeta. Una di queste è la grande carestia che colpì il continente europeo e l’Istria negli anni 18161817 e che, a giudizio degli storici, fu per durata, estensione e intensità, l’ultima apparizione di questo fenomeno nella sua forma traumatica di dissesto economico, sociale ed ecologico. fPiogge e freddo Negli anni 1815-1817 l’Europa fu investita da una pandemia di fame, crisi di sussistenza e malattie le cui cause erano da ascrivere alle guerre rivoluzionarie e napoleoniche, che avevano lasciato ai governi gravi scompensi economici e gravami finanziari, a conflitti sociali non del tutto spenti e a una serie di particolari aberrazioni climatiche coincidenti con un periodo di bassa attività solare (Minimo di Dalton) e con temperature globali ben al di sotto la media, che determinarono il crollo della produzione agraria e, secondo lo storico americano John Dexter Post, “l’ultima grande crisi di sopravvivenza nel mondo occidentale”. Le avvisaglie della crisi, che ebbe il suo culmine nel 1817, furono avvertite tuttavia già nel 1816, noto in ambito climatologico come “l’anno senza estate”, quando alcune gravi anomalie estive distrussero i raccolti originando una delle più drammatiche crisi di sussistenza che l’Ottocento europeo ricordi. Se quell’anno l’inverno e la primavera erano trascorsi, a parte alcuni episodi di freddo nel mese di maggio, nella normalità, la vera sorpresa fu rappresentata dall’estate. Il 6 giugno, infatti, un’ondata di aria fredda raggiunse il Nord America e l’Europa settentrionale e per cinque giorni si registrò una brusca diminuzione della temperatura con nevicate e gelate che rovinarono le coltivazioni. Il giornale “The Independent Chronicle” di Boston registrò l’inconsueta inversione climatica di quei giorni e riferì che “Il 5 giugno c’è stata una mattinata calda, seguita da forti piogge nel pomeriggio, accompagnate da tuoni e lampi, con venti freddi da nord-est. Il 6, il 7 e l’8 giugno i fuochi nei camini delle nostre case erano molto gradevoli”. Intorno al 10 luglio vi fu una nuova irruzione di aria artica alle alte e medie latitudini, che diede il colpo di grazia a un’agricoltura già provata e causò un aumento dei prezzi del mais e del frumento. Il ritorno, tra la fine di luglio e la prima metà no senza estate: il 1817 eeVeduta di Gimino. Il parroco locale scriverà di fame nera patita dalla sua gente, alla quale si aggiunsero “intiere schiere di mendici tanto austriaci, che ex Veneri, Furlani, Cadurini, etc., che correvano da porta in porta da 50, e 60 al giorno gridando pietà, e chiedendo socorso” di agosto, a condizioni meteorologiche normali fece sperare che il peggio fosse passato. L’ottimismo, tuttavia, lasciò ben presto il posto alla disperazione: a fine agosto, infatti, un nuovo fronte freddo investì tutto l’emisfero boreale e si spinse fino al Mediterraneo, distruggendo gran parte del raccolto di granoturco, patate, fagioli e uva che diventò alimento per il bestiame. fGuerra per il cibo La scarsità dei raccolti, con il conseguente aumento del prezzo dei viveri di prima necessità, provocò la fame principalmente negli stati europei coinvolti nelle guerre napoleoniche, i quali, tuttavia, affrontarono la crisi in modo differente. Se nei territori tedeschi i governi e le amministrazioni si mantennero a debita distanza dagli affamati e, se necessario, ricorsero alla forza militare per arginare i disordini e le violenze, in Gran Bretagna e in Francia ci furono vere e proprie rivolte per il cibo, che portarono al saccheggio dei magazzini di grano; in Svizzera il governo fu costretto a proclamare l’emergenza nazionale, mentre nell’Impero asburgico a soffrire con maggiore intensità fu l’Ungheria e, in genere, tutti i paesi alpini della Monarchia, dal Tirolo alla Stiria. La fame trovò sfogo in comportamenti violenti e antisociali, che misero a dura prova l’istinto di conservazione di molte persone, e fece emergere il peggio della natura umana. Le vittime dell’inedia diventarono disperate ed egoiste, persero dignità e cedettero a pulsioni che in tempi normali sarebbero stati addirittura impensabili. Le anomalie climatiche e la conseguente carestia ebbero ripercussioni anche a livello sanitario. Oltre al tifo petecchiale, responsabile dell’ultima grande epidemia d’ancien régime, una delle conseguenze provocate dal tempo inconsueto fu, in base agli studi del già citato John D. Post, l’esplosione della prima pandemia di colera a livello mondiale. Questa malattia, endemica da secoli nella regione indiana del delta del Gange, divenne epidemica in conseguenza della carestia provocata dai mancati raccolti e, nel 1817, dal Bengala iniziò la sua lunga marcia di avvicinamento all’Europa, raggiunta nel 1830, dove ebbe effetti catastrofici. La fredda estate del 1816 non sfuggì comunque all’attenzione degli scienziati dell’epoca, che cominciarono a indagare su quali fossero state le cause di tali anomalie. Una delle ipotesi riguardava un’apparente intensificarsi delle macchie solari comparse, negli anni precedenti, in numero e intensità maggiori, mentre il fisico tedesco Ernst Chladni imputò il freddo all’espansione dei ghiacciai artici nell’Atlantico settentrionale. Altri, infine, attribuirono la responsabilità di tali fenomeni agli esperimenti compiuti anni prima da Benjamin Franklin per studiare l’elettricità atmosferica e realizzare il parafulmine, i quali, si credeva, avessero influenzato il flusso del calore della Terra che scorreva sotto la sua superficie. fL’eruzione del Tambora Il reale motivo di quest’anomalo abbassamento delle temperature fu scoperto solo nel 1913 dal fisico americano William Humphreys, il quale, grazie alle sue osservazioni, mise in correlazione la diminuzione globale della temperatura con l’immissione di polvere nell’atmosfera terrestre dovuta a eruzioni vulcaniche particolarmente intense. Nell’aprile 1815 si verificò una spaventosa eruzione del vulcano Tambora sull’isola di Sumbawa, nell’arcipelago indonesiano della Sonda, considerata dai vulcanologi a tutt’oggi una delle più potenti mai verificatesi dalla fine dell’ultima Era glaciale (è classificata del settimo grado secondo l’Indice di Esplosività Vulcanica o VEI). Si ritiene fossero stati proiettati in aria 1.300 metri di cono vulcanico, equivalenti a circa 150 miliardi di metri cubi di roccia, cenere e altri materiali; l’altezza della montagna, dai 4.100 metri originari, si ridusse agli attuali 2.850, mentre fu stimato che le ceneri emesse negli strati superiori dell’atmosfera, a 44 chilometri d’altezza, provocarono in conseguenza della riflessione della radiazione solare una diminuzione globale della temperatura quantificabile in 1.2-3 gradi centigradi. Le persone che persero la vita a causa dell’improvvisa attività vulcanica furono circa 10mila e altre 12mila perirono per i violenti maremoti. Quella del Tambora era, in ordine di tempo, l’ultima di una serie di eruzioni vulcaniche: nel 1812 erano entrati in attività i vulcani Soufrière nei Caraibi e Awu in Indonesia, l’anno dopo il Suwanose in Giappone e nel 1814 il Mayon nelle Filippine. In Europa nessuno associò la fredda estate del 1816 con un avvenimento così lontano e che nulla, apparentemente, aveveva a che vedere con quanto stava accadendo nel vecchio continente. fL’orribile carestia “Nella orribile carestia dell’inverno 1816-1817, questa miserabile popolazione si conservò in vita unicamente con legumi, e particolarmente con fave e lenticchie di minor prezzo, e per la maggior parte guaste ed ammuffite ne lunghi viaggi di mare, di segale d’infelice qualità, di formenti bagnati e quasi putridi, d’erbe di qualunque specie vegetavano nelle campagne, e con foglie secche, e con peggiori e più nauseanti alimenti; quindi, innanzi che cadessero ammalati, si vidde un numero sorprendente di visi pallidi, e tetri, di cachetici, di leucoflegmatici, di atrofici consunti dalla fame, di spetri ambulanti mal coperti con lacere e succidissime vesti che trascinavano a stento un avvanzo di vita odiosa e languente”. Questa drammatica testimonianza sulla crisi di sussistenza, che aveva colpito Rovigno nell’inverno-primavera 1816-17, redatta dal medico comunale dottor Giovanni Battista Fiorencis, è sintomatica delle condizioni in cui vennero a trovarsi gli abitanti della località e di alcune altre zone della penisola. La lunga sequela di congiunture, che aveva attanagliato l’Istria nei Panorama 37 dal passato catastrofi secoli precedenti, raggiunse il suo apice proprio nel 1817, quando sulla provincia si abbatté una devastante pandemia di fame e crisi di sussistenza che, seguita dall’insorgenza del tifo petecchiale, fu responsabile di un’accentuata mortalità tra la popolazione. Fin dallo scadere del 1816, infatti, in alcune zone del Litorale furono registrati casi di morti per fame, principalmente tra la popolazione rurale che, esaurite le scorte alimentari e non avendo ormai più nulla da consumare, per sopravvivere cominciò a nutrirsi di erbe e funghi, sovente non commestibili, e di altre stomachevoli sostanze. Questa circostanza mise ben presto in allarme le autorità austriache, le quali, mediante circolari contenenti elenchi dettagliati dei vegetali che erano da evitare, cercarono di mettere in guardia la popolazione sui pericoli che il loro uso poteva recare alla salute. A tal proposito merita di essere ricordato il fisico distrettuale di Capodistria, Sebastiano Grandis: elaborò un progetto volto a istruire la gente di campagna nella conoscenza dei semplici che vegetavano spontaneamente in Istria, “per trarne quindi efficaci e gratuiti soccorsi nel caso de’ loro bisogni”. fSchiere di mendicanti La fame intanto mieteva vittime un po’ dappertutto: a Momiano, ad esempio, 51 individui perirono in poco più di un anno per mancanza di cibo, mentre a Pinguente, su 89 decessi registrati nel 1817, ben 74 ebbero quale causa mortis proprio l’inedia. A Rovigno, un povero agricoltore fu addirittura condannato alla forca per aver rubato un po’ di frumento a una donna. Un provvedimento certamente severo, che tuttavia trovava la sua giustificazione nel fatto che di fronte alla disperazione della gente gli episodi di furto si sarebbero potuti moltiplicare in modo esponenziale, generando disordini e tensioni. Il parroco di Gimino, Francesco Saverio Glogovaz, descrisse dettagliatamente i drammatici avvenimenti in quel fatidico 1817. “Già nel mese di Marzo - leggiamo nelle sue note cominciarono questi Popoli a sentire la nera fame (...); consumato il tutto si videro tutto ad un tratto intiere schiere di mendici tanto austriaci, che ex Veneri, Furlani, Cadurini, etc., che correvano da porta in porta da 50, e 60 al giorno gridando pietà, e chiedendo socorso (...) Quelli che avevano animali costretti dalla fame doveano macellare a casa, e cibarsi della carne senza pane, altri faceano il pane dalla cenere, e polvere di felce (Paproth), altri dalle 38 Panorama nocchie d’ulivi, che provisto avevano per li loro Suini, e finalmente altri scorevano la Campagna mondando le Biade da diverse erbe (...) che oppressi dalla fame mangiavano parte crude, parte cucinate senza sale (...). Si chè ridotti all’estrema miseria, con gonfie mani, piedi, e facia caminando cadevano morti chi a casa propria, chi lungo le Strade, chi nei boschi. Io stesso ho veduto de mendici, che caciarono dalla mangiatogia li Porci, e si saciarono delle loro scilique, che erano parechiate loro per cibo. Fu veduto fra li altri uno, che avendo ritrovato un Sterco umano secco ed indurito gli diede una legera forbita attorno li bragoni, e lo mangiò saporitissimamente (...). Vi basti, Signori, sapere, che era uno spavento vedere li Sembianti famelici, questi parevano tanti cadaveri rissorti dal Sepolcro, e li stessi loro occhi parlavano: fame! fame! E chi in quest’anno non ha sottrato a se stesso del suo Vitalizio non meritò il Cielo, ne misericordia nel estremo giorno del Giudizio Universale”. fE arrivò il morbo Gli effetti catastrofici prodotti dai repentini mutamenti climatici e dalla conseguente crisi economica si sommarono alla pessima situazione igienica in cui versavano le nostre cittadine, contraddistinte in generale da gravi deficienze strutturali dell’assetto urbano, che pregiudicò l’organizzazione della vita associata, soprattutto in rapporto alle abitudini igieniche e all’approvvigionamento di cibo e acqua della popolazione. Le condizioni di degrado sociale e ambientale favorirono pertanto la proliferazione dei pidocchi responsabili del tifo petecchiale (esantematico), che si manifestò come reazione dell’organismo umano all’agente patogeno conosciuto scientificamente con il nome di Richettsia prowazeki. L’infezione non incontrò nessuna difficoltà a diffondersi tra la popolazione, intaccando organismi già debilitati dalla fame, e furono soprattutto gli strati sociali meno abbienti a patire il morbo, la cui letalità si aggirava mediamente intorno al 20 p.c. per raggiungere, in certe epidemie, anche il 30-40 p.c. Le inadeguate cognizioni mediche del tempo furono da ostacolo a una rapida individuazione dell’eziologia e della patogenesi della malattia che, secondo il luogo del contagio, fu generalmente qualificata come febbre bellica, febbre carceraria, febbre navale, febbre castrense. In Istria il contagio non si manifestò ovunque con la stessa intensità. Nelle tre cittadine costiere dell’Istria settentrionale, che furono tra le più esposte all’epidemia di tifo, la mortalità toccò l’apice nel 1817, per poi assestarsi, fin dall’anno successivo, su valori ritenuti normali. Elevata fu la mortalità nell’Istria nord-occidentale e soprattutto in quella centrale, dove i livelli raggiunti riprodussero valori propri del Medioevo e delle gravi epidemie, carestie e fame che avevano contraddistinto i secoli XVIXVIII. La zona del Prostimo, Carnizza, Marzana, Filippano e i villaggi circostanti vennero a trovarsi ai margini della pandemia, per cui i valori di mortalità raggiunti furono notevolmente inferiori alle altre località. fL’esempio di Rovigno L’infezione si accanì con particolare violenza a Rovigno, dove l’impatto del morbo sulla mortalità generale fu notevolmente maggiore di quello prodotto dalla denutrizione, il che differenziò la città dalle altre località istriane, particolarmente da quelle dell’Istria centrale. Per contrastare la diffusione della malattia fu creata una commissione di funzionari con il compito preciso di proporre altre misure, oltre a quelle già in vigore, per far fronte al flagello. È curioso rilevare che alle solite disposizioni igieniche, previste dalle normative in materia di contagi, furono affiancati due provvedimenti che si potrebbero definire di carattere “psicologico”: il divieto di rintocco delle campane in caso di morte, per evitare il disagio che destava il suono nella gente, e le grida e i gemiti durante i funerali, che avrebbero potuto impressionare e rattristare la popolazione. Tuttavia, nonostante gli accorgimenti presi, l’epidemia si diffuse rapidamente in città: il numero di vittime fu talmente elevato che, non bastando più il cimitero di S. Eufemia, per seppellire i morti, l’amministrazione della Collegiata acquistò un campo contiguo alla chiesetta suburbana di S. Gottardo, mentre si procedette pure all’organizzazione di un ospedale per gli ammalati. A dispetto del traumatico dissesto economico e socio-demografico provocato in Istria dagli eventi del 1816-1817 si assistette a una pronta ripresa della popolazione, che tornò a crescere già dal 1818 e si assestò, nell’arco di alcuni anni, sui valori antecedenti la crisi. Anche le strutture produttive, nonostante gli squilibri dovuti alla congiuntura si protraessero fino al 1818, reagirono prontamente. La fame diede impulso alla coltivazione del mais e si sperimentò pure quella della patata, la cui diffusione, tuttavia, incontrò gravi difficoltà a causa della riottosità dei contadini ad accettare la nuova coltura. la storia oggi Come studiare la Grande Guerra Un originale progetto didattico di carattere internazionale per insegnare la tragedia europea di Fulvio Salimbeni O rmai la Grande Guerra imperversa nelle librerie, sui giornali, nei convegni e nelle presentazioni delle novità editoriali. Se in molti casi, come s’è già avuto modo di notare in questa sede, si tratta di riproposte di testi classici o di iniziative alquanto estemporanee o di circostanza, ve ne sono altre, invece, meritevoli d’apprezzamento e d’esser fatte conoscere, proponendosi come modelli per la loro qualità scientifica e valenza educativa. È questo il caso del convegno internazionale Insegnare la Grande Guerra, promosso nell’ambito del progetto La Grande Guerra: racconti da fronti diversi – che vede coinvolte scuole secondarie superiori del Friuli Venezia Giulia, della Carinzia e della Slovenia –, svoltosi a Udine il 17 ottobre a cura dell’Educandato Statale “Collegio Uccellis”. Articolato in dodici relazioni di specialisti e una tavola rotonda finale di docenti impegnati in prima linea (è proprio il caso di dirlo!), l’incontro è riuscito denso di stimoli e sollecitazioni metodologiche e didattiche, che tengono conto dei più recenti e avanzati orientamenti storiografici Panorama 39 in materia, valorizzando in modo particolare letteratura, arte, memorialistica, per prospettare un diverso e più stimolante approccio a un così cruciale tema, accostandolo, come è stato rilevato da più d’uno degli intervenuti, dal basso, lasciando sullo sfondo la più tradizionale impostazione dall’alto, politica, diplomatica, militare e istituzionale, che non ha certo un’analoga forza di coinvolgimento emotivo sui giovani. Dopo i tradizionali saluti delle autorità, il coordinatore del progetto, Jens Kolata, docente dell’“Ucellis”, lo ha illustrato nei suoi punti essenziali, rilevando l’importanza e validità della collaborazione sovranazionale e dell’impostazione pluridisciplinare, che mette in gioco competenze e prospettive diverse, attribuendo agli stessi studenti un ruolo attivo, e non semplicemente passivo. Un’indiretta conferma di ciò è venuta, d’altronde, dalla massiccia presenza di scolaresche coinvolte nel programma e dall’attenzione e partecipazione con cui hanno seguito i lavori. fLa cultura della pace Più volte abbiamo avuto modo di ricordare le illuminanti e profetiche pagine di Stefan Zweig sull’importanza della scuola nel forgiare futuri cittadini consapevoli dei loro diritti, amanti degli ideali europeisti e pacifisti, mediante un corretto e innovativo insegnamento della storia, non più come racconto di battaglie, bensì dei principali fenomeni di civiltà, in tale ottica analizzando pure la tragica vicenda del primo conflitto mondiale, che è quanto è stato fatto nelle due sessioni del convegno, ponendo sin dall’inizio in evidenza che esso pose termine al lungo Ottocento, con il connesso mito del Progresso e dell’impossibilità di conflitti, vista la potenza distruttiva dei nuovi armamenti. Werner Wintersteiner, infatti, da anni impegnato nell’ateneo di Klagenfurt sui temi della cultura della pace, li ha ripresi discutendo di come Insegnare la pace. Lezioni dalla Grande Guerra per oggi; Giulia Caccamo (Università 40 Panorama di Trieste), invece, ha parlato dei Nemici da sempre: l’estate del 1914 nelle relazioni tra Roma e Vienna. Dopo queste due relazioni, proposte come “Keynotes” d’introduzione e inquadramento generale, Željko Cimprič (Museo della Grande Guerra di Caporetto) in “Non potevamo immaginare una guerra così...” s’è soffermato sulla memorialistica, citando espressamente Henrik Tuma, mentre Vanda Wilcox (John Cabot University di Roma) è intervenuta su un versante nuovo, di frontiera, delle indagini in materia, parlando di Menti e corpi nella trincea: esperienze ed emozioni nella Grande Guerra. Se Fabio Todèro (Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia), cui si devono già numerosi, importanti contributi al riguardo – ultimi dei quali, almeno per ora, Una violenta bufera: Trieste 1914 (2013), e Le trincee della persuasione: fronte interno e forme della propaganda (“Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, 2013) –, ha preso in esame La Venezia Giulia e la Grande Guerra, Wolfram Dornik (LBI-Zentrum fur Kriegsfolgen-Forschung di Graz) in Inventing World War One? Culture della memoria austriache nel contesto delle commemorazioni transnazionali nell’anno 2014, ha svolto un’interessante panoramica sui nuovi modi e forme del ricordo della guerra, con specifico riguardo all’Austria. Nella seduta pomeridiana Renato Podbersič (Università di Nova Gorica) ha illustrato La vita quotidiana dei civili sul fronte isontino, un tema finora piuttosto negletto – con l’eccezione dei pionieristici studi degli anni Settanta del benemerito maestro Camillo Medeot –, la memoria ritornando protagonista nei contributi successivi, rispettivamente di Ulfried Burz (Università di Klagenfurt), incentrato su Carinzia ed Italia durante e dopo la Grande Guerra (1915-1918). Le molteplici culture della memoria, e di Gianluca Volpi (Università di Udine), Il disgelo della memoria. L’impero austro-ungarico e la sua ultima guerra 1914-1918. Altrettanto innovative e originali le considerazioni di Alessandro Sfrecola (Università di Trieste) su “I custodi dell’orrore”: guerra meccanizzata, disumanizzazione individuale e nevrosi post-traumatiche (PTSD) tra i combattenti e i reduci dell’Isonzo-Front (1915-1920). La relazione finale, di Imelda Rohrbacher (Università cattolica di Linz), è stata incentrata su La Grande Guerra nella letteratura austriaca. Karl Kraus e Georg Trakl, anche se poi, per ragioni di tempo, s’è parlato solo del primo. fEsperienze a confronto Nella tavola rotonda conclusiva, coordinata da Jens Kolata, Come insegnare la Grande Guerra nella zona Alpe-Adria?, cinque docenti, coinvolti nel progetto, hanno portato le proprie esperienze, in larga misura incentrate sull’uso della letteratura, dell’arte, della memorialistica, del recupero di memorie familiari, di visite ai musei e ai campi di battaglia, suscitando un notevole interesse nei loro allievi. Già quest’elencazione dei soli titoli degli interventi, tutti d’alto livello, ma svolti sempre con un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori, dà una precisa idea del radicale cambiamento nelle modalità d’insegnamento della Grande Guerra, dov’è rivoluzionario, rispetto a un tempo neppure tanto lontano, il fatto di mettere a confronto le diverse interpretazioni e memorie nazionali, senza privilegiarne alcuna, cercando, inoltre, d’impostare un discorso di storia condivisa, così come è stato formulato da Gianluca Volpi muovendo dall’analisi delle memorie delle diverse nazionalità comprese nell’esercito magiaro. Oltre che in quelli specificamente a ciò dedicati, un po’ in tutti i contributi – in cui mai sono stati fatti i nomi di condottieri o elencate sequele di battaglie – s’è parlato del trauma delle nuove tecniche belliche, delle atroci esperienze psicofisiche dei combattenti, destinate a la storia oggi lasciare un’impronta indelebile anche in coloro che apparentemente tornarono sani e salvi dal fronte, del dramma dei civili, per la prima volta coinvolti in pieno nell’esperienza bellica (donde i circa sette milioni di morti tra loro per fame, malattie epidemiche, deportazioni e internamenti), della condizione delle donne, mobilitate per sostituire gli uomini militarizzati, dell’accelerata modernizzazione della società e dell’ascesa sulla scena pubblica delle masse mobilitate – con le note conseguenze postbelliche sul piano sociale e politico –, del ruolo, affatto trascurabile, della religione nella mobilitazione degli spiriti, come ha giustamente osservato Paolo Ferrari, dell’ateneo udinese e uno dei nostri migliori esperti di storia militare, in un intervento a margine. fCapire tutti gli aspetti Né sono mancati i richiami all’importanza di quella nuova arma che fu la propaganda, usata capillarmente per plasmare l’opinione pubblica e forgiare lo spirito dei combattenti, né i riferimenti, di particolare interesse, a come la guerra è stata raccontata e raffigurata durantee dopo il suo svolgimento da artisti e letterati: da qui i richiami a Gadda, Lussu, Ungaretti, Hemingway, Remarque, Voranc, al Kraus de Gli ultimi giorni dell’umanità e a Joseph Roth, di cui è stato esplicitamente menzionato Fuga senza fine: una storia vera (in italiano edito da Adephi), mentre sul versante artistico, a parte le citazioni di Sironi, Grosz, Dix, non poteva mancare il richiamo al celebre, e allucinante, affresco, Senza nome, di Albin Egger Lienz, che rappresenta in maniera eloquente l’anonimato e la spersonalizzazione cui furono ridotti gli uomini in uniforme e l’orrore che si trovarono a sperimentare sul campo di battaglia. Quest’impostazione didattica e storiografica, d’altronde, ha trovato un puntuale riscontro e piena conferma nelle due pagine monografiche dedicate alla Grande Guerra nell’inserto culturale del “Sole 24 Ore” del 12 ottobre prendendo spunto dalla mostra del MART di Rovereto, appena inaugurata, su La guerra che verrà/Non è la prima, in cui s’affronta il tema prendendo in esame il ruolo dell’arte, della memorialistica, del cinema, altra nuova arma messa allora in campo a fini propagandistici. A questo riguardo, un solo appunto si può muovere al convegno udinese, quello d’aver trascurato completamente l’apporto dei film e l’analisi di qualcuno di quelli più significativi – che sul versante didattico hanno una forte presa emotiva e capacità di coinvolgimento sui giovani –, tema sul quale, tra l’altro, è da poco uscito l’importante e documentato contributo di Giuseppe Ghigi Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande Guerra (Rubbettino). Gli Italiani della Duplice e il conflitto di un secolo fa CONVEGNO A ROMA Gli italiani dell’AustriaUngheria e la Grande guerra”è il titolo del convegno che si svolgerà nella capitale italiana il 12 e 13 dicembre, a cura della Società Dalmata di Storia Patria e dell’Università Roma Tre - Dipartimento di Scienze politiche. L’incontro si svolgerà presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’ateneo romano. Nella prima sessione (venerdì 12), con tema I governi e la nazionalità italiana nella Duplice Monarchia (presiede Lucio Toth, Società Dalmata di Storia Patria), dopo i saluti introduttivi di Marino Zorzi, presidente Società Dalmata di Storia Patria, e Francesco Guida, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche - Università Roma Tre, Antonio Trampus (Università Ca’Foscari, Venezia) introdurrà il problema e le sue premesse storiche, Luca Riccardi (Università di Cassino) esporrà il punto di vista di Roma, rispettivamente Andreas Gottsmann (Istituto Storico austriaco, Roma) il punto di vista di Vienna. Nella seconda sessione (venerdì pomeriggio), Gli italiani delle province austro-ungariche tra fedeltà alla Corona, diserzione e volontariato patriottico (presiede Francesco Guida, Università Roma Tre, Dipartimento di Scienze Politiche), Ester Capuzzo (Università di Roma “la Sapienza”) proporrà un approfondimento sulla Venezia Giulia, Achille Ragazzoni (Istituto per la Storia del Risorgimento) si soffermerà sul Trentino, mentre Gianluca Volpi (Università degli Studi di Udine) parlerà di Fiume ed Egidio Ivetic (Università degli Studi di Padova) della Dalmazia. ccLa “Giovine Fiume” in gita a Roma Sabato 13 si avrà la terza sessione, Comunicazioni (presiede Ester Capuzzo), nell’ambito della quale Rita Tolomeo (Università di Roma “la Sapienza”) interverrà su “Il dalmata” e il presidente. Ghiglianovich, Wilson e la questione dalmata, Francesco Guida (Università Roma Tre) su L’irredentismo degli altri popoli: i legionari romeni in Italia, Stefania Bartoloni (Università Roma Tre) su L’irredentismo di Irma Melany Scodnik, femminista e pacifista. Il titolo della relazione di Giovanni Stelli (Società di Studi Fiumani, Roma), è invece Volontari. Internati fiumani nella Grande guerra: autonomisti e “Giovine Fiume”; Bruno Crevato-Selvaggi (Società Dalmata di Storia Patria) ricorderà Gli internati civili giuliani in Austria. Mostra iconografica sul tema di Carlo Cetteo Cipriani (Società Dalmata di Storia Patria). (ir) Panorama 41 teatro dramma italiano DI E PLAUTO, BUONA LA PRIMA Debutto stagionale per il Dramma Italiano di Fiume con «Le fatiche di Pseudolus», un testo ispirato a Plauto, famoso per essere stato il primo autore latino dell’antichità a dedicarsi a un solo genere letterario, la commedia. Ebbe grandissimo successo, immediato e postumo, e fu molto prolifico, conoscendo rifacimenti, interpolazioni, opere spurie. Il Plauto del DI si presenta nella versione di commedia musicale, che vede impegnata tutta la Compagnia, alcuni attori ospiti e otto ballerini del Teatro «Zajc», nonché una band che si esibisce dal vivo, diretta da Zvjezdan Ružić, autore delle musiche originali. Adattamento, integrazione e regia portano la firma del friulano Giovanni Battista Storti, che abbiamo incontrato alla vigilia della prima fiumana 42 Panorama di Bruno Bontempo G iovanni Battista Storti è approdato per la prima volta sulle rive del Quarnero per lavorare con il Dramma Italiano. Per il suo debutto ha scelto Plauto, “riveduto e corretto”: ne è venuta fuori una commedia musicale, Le fatiche di Pseudolus, suggerita dalla rilettura di tre opere plautine con alcuni passaggi di “rilegatura” dello stesso Storti, che è attore, regista e insegnante di tecniche di recitazione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano e alla Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine. Ed è da qui che si dipana il filo che lo ha portato a lavorare a Fiume, in quanto all’Accademia di Udine sono stati suoi allievi anche Giuseppe Nicodemo, ormai accasato al DI e impegnato nel ruolo di Pseudolus (nonché in quello di aiutoregista e autore dei testi delle canzoni) in questa produzione, e Alessandro Maione, 26enne udinese, che ha vinto l’audizione per interpretare Calidoro nella commedia di Plauto. La prima domanda, dunque, è più che legittima: perché Plauto e perché Pseudolus? “Ci sono due ottime risposte per entrambe le cose - ha spiegato Storti, sangue misto di friulano (è nato a Udine, città di sua madre) e veneto (papà di Cessalto) -. Con Plauto si ha la possibilità di risalire alla fonte delle nostre tradizioni teatrali, ma anche letterarie, e di scoprire che commedie scritte nel 200 a.C., nonostante il passare dei secoli, sono rimaste integre e ci sono perfettamente familiari, le soluzioni drammaturgiche e di messa in scena affatto corrispondenti alle nostre. In poche parole, la struttura portante della commedia, almeno per la nostra cultura occidentale, risiede proprio lì. Plauto è sicuramente un maestro della commedia, intesa come ccGiovanni Battista Storti Tradizi bassa la un genere chiuso al divertimento, sia per un intrattenimento, sia per una riflessione. Pseudolus è il suo schiavo più perfetto, in una galleria di schiavi e di servi che ha eletto a protagonisti delle sue commedie”. Quanti e quali sono stati i tuoi interventi nel testo, al di là della contaminatio, che peraltro Plauto usò abbondantemente nella sua scrittura? “Mi sono veramente permesso di tutto, proprio in nome di questa contaminatio. È inutile ricordare quanto Plauto sia rappresentato ovunque in occidente - i maggio- DRAŽEN SOKČEVIĆ Giovanni Battista Storti Attore, regista e docente udinese, alla sua prima esperienza con il Dramma Italiano: note a margine DRAŽEN SOKČEVIĆ ione culturale, troppo soglia d’accesso ri filologi plautini sono tedeschi -, esistono tantissime derivazioni e versioni delle sue opere ma è stato anche imitato, tantissimi hanno attinto da lui, a volte solo per un intreccio, a volte per intere scene se non addirittura per la vicenda nel suo insieme. Nel nostro caso, la contaminazione nasce già dall’inizio, in quanto Le fatiche di Pseudolus unisce in una sola commedia personaggi che vengono da diverse opere di Plauto, in particolare da Pseudolo, il Miles Gloriosus o Solda- eeGiuseppe Nicodemo nei panni di Pseudolus to fanfarone, come si suole tradurre, e da La casa del fantasma, o Mostellaria. Ho inserito anche un pezzo dell’invocazione tratta dall’Aulularia (chiamata anche La commedia della pentola o La Pentola d’oro, nda) ed ho scritto dei raccordi tra scena e scena, attingendo a volte anche a un repertorio che chiamerei genericamente di gag, di meccanismi che danno vita alla gag. Alcune cose si sono aggiunte, infine, nel corso del lavoro di prova, per cui è un testo con molti innesti di diverso genere, che fino all’ultimo sono stati suscettibili di qualche sviluppo. Ho avuto una certa presunzione nell’operare Panorama 43 BRUNO BONTEMPO STORTI PARLA DEL TEATRO ITALIANO Si sta tornando a una drammaturgia molto da... tinello Come vedi l’attuale panorama teatrale italiano? “Siamo sempre in attesa che crolli un sistema di conservazione legato agli stabili, che sono molti. C’è una nuova legge, ci auguriamo che questa li renda veramente degli stabili, cioè dei servizi al territorio, e sgombrino invece il campo offrendo la possibilità alle compagnie di far circuitare i propri spettacoli a condizioni economiche dignitose e in contesti adeguati. Perché in Italia la circuitazione è diventata impossibile, si può andare in tournée soltanto se hai la possibilità di scambiare l’ospitalità. Un meccanismo asfittico che impedisce alle giovani forze, alle giovani compagnie, di emergere. Questa nuova legge promette dei cambiamenti, entra in vigore nel gennaio 2015, con qualche piccola speranza. Mi auguro che possa dare una scossa. Per quanto riguarda invece un aspetto prettamente di genere, o poetica, l’impressione è che siamo in una regressione e forse non è nemmeno un caso che questa si accompagni a una crisi più vasta, economica. Si sta tornando a una drammaturgia molto scritta, e molto da tinello. Brutalmente Antonioni ebbe a dire una volta ‘quando non si hanno i soldi, si finisce per filmare la propria cucina...’. Ecco qui non è solamente una questione di soldi ma di limitatezza di sguardo”. In Italia, qualcuno ha parlato della necessità di “Un teatro della crisi per la crisi del teatro”... “Accipicchia. Da questo punto di vista ogni tanto ho l’impressione di aver vissuto metà della mia vita all’insegna della crisi, quella teatrale. Se ne parla da fine anni ‘80 e ogni stagione si pensa che sia l’ultima e invece non c’è limite al peggio. Almeno in Italia, dove il Governo dedica veramente una percentuale irrisoria allo spettacolo dal vivo, in gran parte intercettato dalle fondazioni liriche. Abbiamo il recente caso del licenziamento in blocco di orchestra e coro dell’Opera di Roma, ma la stessa Trieste, da quello che sento dire, è inguaiatissima dal punto di vista finanziario. Direi che la crisi economica, sicuramente pesante, è normalmente epocale, perché si è chiuso un secolo, perché alcune esperienze hanno concluso una traiettoria e sicuramente riemergeranno come un fiume carsico grazie a degli epigoni. Che però in Italia ancora non si vedono...” ccLa compagnia del DI al completo impegnata ne Le fatiche di Pseudolus Hai qualche progetto in cantiere? “Sì, c’è uno che spero di portare a termine tra breve, un desiderio grandissimo che ho da tanto tempo e faccio quasi fatica a parlarne. Ultimamente mi sono occupato un po’ di Karen Blixen, nota per La mia Africa, che non ha scritto per il teatro, ma solo prosa. Soprattutto alcuni suoi racconti brevi hanno avuto delle fortune straordinarie. La versione cinematografica de Il pranzo di Babette nel 1987 le è valso l’Oscar come miglior film straniero. C’è un altro racconto della Blixen che vorrei portare in scena, è per un’attrice e un attore, e questa volta vorrei vestire sia il ruolo di regista che di protagonista. Un doppio ruolo che non ho fatto molto spesso perché rischia di essere un limite, però l’ho fatto”. Ti senti più attore o più regista? “Di cuore attore, ma non vivo le due cose come molto diverse”. 44 Panorama DRAŽEN SOKČEVIĆ Attore e regista su testo di Karen Blixen teatro in questo modo, ma credo di averlo fatto anche nella luce di quella contaminazione che nell’antica letteratura di Roma veniva vista come una qualità artistica e non una mancanza di immaginazione...” Che poi, a partire dal Rinascimento e per tutta l’età moderna, le opere plautine furono molto apprezzate e ispirarono drammaturghi come Machiavelli, Molière, Goldoni, Gotthold Ephraim Lessing... “Si parla anche di Shakespeare. Quando si ha la fortuna di veder arrivare attraverso i secoli un’Arca di Noè di questo tipo, ventuno testi, più tanti altri a lui attribuiti, vi sarà sempre qualcuno che li coglierà, quasi fortuitamente. Un autore del ‘700, che costruì una commedia sviluppando lo stratagemma della parete bucata, attraverso la quale passano e dialogano due amanti, aveva scritto chiaramente in una sua corrispondenza di ritenere che questo artificio era stato utilizzato già da Plauto. Ho lavorato per sette anni con Tadeusz Kantor, pittore, scenografo e regista teatrale polacco, tra i maggiori teorici del teatro del Novecento, un autore assoluto, nel senso che trascendeva i limiti del regista teatrale. Ed ho potuto scoprire, nel corso del tempo, che usava delle piccole note che risalivano a Mejerchol’d oppure a qualche foto d’epoca. L’uomo è una spu- gna che immagazzina, innanzitutto, e restituisce nel miglior modo possibile ciò che la vita gli offre”. fVolgarità e ilarità ieri e oggi La vis comica di Plauto fa leva su lessico, espressioni e figure tratte dal quotidiano e una fantasiosa ricerca di situazioni che possano generare l’effetto comico. Quale uso ne hai fatto tu in questa produzione? “Quella descritta ne Le fatiche di Pseudolus è la tradizionalissima vicenda di due giovani innamorati il cui amore fortemente osteggiato assume anche un valore di denuncia, cioè la forza giovane, innovatrice, che viene avversata dalle forze conservatrici, siano esse la famiglia o la società, per arrivare fino all’ordine militare. Denuncia che, diciamolo, Plauto non era particolarmente interessato a sviluppare. A lui importava soprattutto creare una macchina di sopraffina comicità, tutte cose che ci riconducono al quotidiano. Abbiamo cercato di dare il ritmo e il brio a questi dialoghi che sono, come si usa dire, sorprendentemente moderni, ovviamente nel senso della loro funzionalità. E poi la lingua. Quella di Plauto non è popolare e immediata, è una lingua affinata”. dramma italiano Il linguaggio di Plauto è spesso volgare, come lo sono le trame e le situazioni delle sue commedie. Visto e considerato che a distanza di oltre 2000 anni la stessa volgarità la ritroviamo in alcune tipologie di film, come quelli natalizi di Boldi e Christian De Sica, la domanda nasce spontanea: perché la volgarità suscita ilarità immediata e con tanta facilità? “È un’ottima domanda. Non saprei rispondere perché questo filone cinematografico fa così grandi incassi. Tralasciamo per un attimo le responsabilità della televisione, spiegarle sarebbe troppo lungo. Credo che molti altri fattori abbiano concorso a far sì che le attese, le aspettative, la soglia di accettabilità del pubblico, si siano abbassati sempre di più. Pensa, Federico Fellini al teatro di varietà vedeva esibirsi Totò. Noi, invece, vediamo, è inutile che faccia dei nomi, gli ultimi rincalzi di una qualsiasi trasmissione tv cosiddetta comica. La differenza è abissale. Oggi, spesso, non si ha neanche più il tempo di costruzione della scena, ma si ha semplicemente la successione di battute autoreferenziali. Tutti siamo corresponsabili del fatto che non si riesce a mantenere in vita le cose più preziose e più utili, però credo che qualcheduno abbia ben pianificato questo appiattimento della qualità Panorama 45 dramma italiano della comunicazione e di quello che chiamiamo intrattenimento, senza nessuna nota negativa”. Mi hai parlato di Totò, Eduardo, Cesco Baseggio e il suo memorabile Sior Todero brontolon, figure di portata storica. In tempi più recenti, c’è stato qualcuno che ha lasciato una traccia importante in questo genere di teatro? “Una figura di spicco di questi clown teatrali, in senso lato, è il boemo Bolek Polivka. Attore e regista, classe 1949, ha lavorato tantissimo anche in Italia ma adesso è meno presente sulle scene perché si occupa di televisione. È su questa scia, e parliamo di livelli astronomici, che si dovrebbe andare...” Qual è la tua visione di teatro, attraverso il prisma dell’attore, del regista, del docente? “Amo un teatro che sia contemporaneamente verbale e fisico, tanto che a volte preferisco la danza contemporanea alla prosa strettamente detta. E Kantor sicuramente aveva questa caratteristica. Chi assisteva a La classe morta (lo spettacolo che gli ha dato notorietà mondiale e che ancora oggi continua ad essere considerato una tappa fondamentale della ricerca teatrale del Novecento, nda), recitata in polacco, non aveva mai l’impressione di perdere la com- prensione di alcunché. Ho cercato, e mantengo tuttora, contatti con i danzatori della Bausch, lavoro con Julie Anne Stanzak, danzatrice del Tanztheater WuppertalPina Bausch. Ho collaborato con il cosiddetto Teatro danza italiano più giovane, di Caterina e Carlotta Sagna. Sì, questo è il teatro che mi interessa di più”. BRUNO BONTEMPO teatro fDramma Italiano esperienza irripetibile A tuo giudizio, il teatro è solo strumento di cultura, oppure riesce a porsi anche come critico del potere politico? E in quale misura? ccGiovanni Battista Storti “Ah, in misure sorprendenti, a volte al di là delle aspettative. Uno spettacolo a cui ho preso parte come attore, Giudici, scritto e diretto del drammaturgo milanese Renato Gabrielli (prodotto nel 2002 dallo Stabile di Brescia, nel cast, assieme a Storti, anche Giuseppe Battiston, Elena Callegari, Sandra Toffolatti, nda), era stato invitato alla 19esima Mostra mercato di Drammaturgia contemporanea di Heildelberg, dedicata quell’anno all’Italia. Il testo ironizzava su un giudice messo ai domiciliari per una sospetta corruzione. In realtà il poveretto era solamente vittima di una macchinazione di vari pote- ri. Ebbene, l’Istituto italiano di cultura di Stoccarda tentò di bloccare la presentazione dello spettacolo, ritirando il già garantito finanziamento. Perché? Perché i riferimenti a Silvio Berlusconi e alla sua traiettoria politica, apparvero troppo evidenti alla solerte funzionaria dell’Istituto. A volte rimpiango, sì, un pochino gli anni ‘70, in cui c’era un teatro anche più direttamente politico. Penso alla grandissima forza dei Brecht di Strehler o agli spettacoli del Gruppo della Rocca, che per me, ragazzo, erano veramente una scossa, una spinta all’impegno...” Decroux, Kantor, Schmidt, Michela Lucenti... Quali sono state le tue esperienze più significative, al di là di quella, nodale, con Kantor? “Sicuramente la mia primissima formazione, che è stata all’insegna, appunto, del teatro fisico e di movimento, perché la primissima Accademia che ho frequentato era di arti, di circo e di mimo secondo i principi di Etienne Decroux, che nel mondo occidentale è considerato il padre del mimo moderno. I sette anni con Kantor sono stati importanti per la formazione quanto per l’esperienza di palcoscenico, debuttare in un ruolo maggiore, su un palcoscenico di New York, non capita così spesso. Sicuramente 46 Panorama devo molto anche a nomi meno noti. Mi piace ricordare Maurizio Schmidt, regista e insegnante all’Accademia Paolo Grassi di Milano, con il quale ho fatto numerosi lavori come attore e gli devo moltissimo per avermi illuminato sull’approccio logico e storico al testo. Ma poi credo che potrei nominare tanti altri, tutto il capitolo danza, quanto mi ha arricchito. La giovane coreografa e attrice ligure Michela Lucenti, poco più che quarantenne, fa degli spettacoli che sposano magistralmente la parole e il movimento. Però le basi formative sono state quelle di Parigi con la scuola di Decroux e poi Kantor”. DRAŽEN SOKČEVIĆ Dove si collocherà, nella scaletta del tuo percorso professionale e umano, l’esperienza con il Dramma Italiano che hai vissuto a Fiume? “Professionalmente è un progetto ambiziosissimo, con una complessità di elementi da unire che ne hanno fatto per me un’esperienza unica a tutt’oggi. Circa 25 persone in scena, attori impegnati pure come cantanti, musiche originali eseguite dal vivo, il balletto, le coreografie curate dall’attrice Elena Brumini, questa volta, dunque, impegnata nella doppia veste. Sono al tempo stesso felice di questa opportunità e anche spaventato. Ringrazio questo Teatro per avermi chiamato e spero che lo spettacolo possa richiamare anche un pubblico giovane. Plauto sarebbe un nome da tradizione classica, ma credo che noi lo affrontiamo con molta libertà e molta, chiamiamola così, innovazione, per dirla in due parole. La prova umana è stata altrettanto gratificante. Da bambino passavo le vacanze a Grado da dove potevo scorgere, in lontananza, delle punte di terra e mia madre mi diceva quella è l’Istria. Oggi sono qui a Fiume, e queste terre le ho potuto conoscere nel migliore dei modi, cioé attraverso l’opera e l’attività quotidiana di artisti, giovani e più navigati, che qui hanno sempre vissuto e hanno sempre lavorato, e ne portano tutti gli umori e le sfumature”. ccAlcuni dei protagonisti de Le fatiche di Pseudolus nel loro ambiente... orginario, il Pretorio della Clausura Alpina in Cittavecchia, a Fiume. Seduto Giuseppe Nicodemo (Pseudolus), al centro Elvia Nacinovich, Elena Brumini, Bruno Nacinovich e Alessandro Maione, dietro Rosanna Bubola Il palcoscenico come metodo di cura Alkaest è, in alchimia, una presunta medicina universale, in grado di sconfiggere tutte le malattie. Quali malanni riesce a “curare” il Teatro Alkaest di Milano, di cui sei cofondatore, attore, regista e coordinatore di laboratori teatrali? “Non esattamente curare, ma sicuramente l’uso della pratica teatrale aiuta a riacquisire, ritrovare una tranquillità nel manifestarsi, nel riportare lo sguardo chiaro verso la vita. Abbiamo svolto questo tipo di attività presso diversi Istituti (Caterina da Siena, Marie Curie) e varie scuole ma abbiamo operato soprat- tutto con attori non professionisti in età di pensione, per approfondire i rapporti tra teatro e memoria e tra diverse generazioni, poi a San Vittore con le detenute, mentre mia moglie Marzia Loriga lavora tutt’ora con le donne operate al seno. In tutti questi casi abbiamo verificato che il teatro allunga e vivacizza la memoria, crea gruppo, solidarietà, anche litigio. Ma ben venga la dinamica quando magari una persona o è isolata o è ritirata dalla vita. In questi ormai trent’anni, facendolo abbiamo imparato moltissimo anche noi e direi che ci siamo aiutati a vicenda...” Panorama 47 arte il personaggio cc“Il poeta Antun Gustav Matoš” (1972) si trova nella Città Alta di Zagabria di Erna Toncinich S embra uno dei tanti pedoni che ad ogni ora del giorno transitano, chi a passo spedito e chi a passo lento, per il Corso, la passeggiata dei fiumani, ma quello lì... “quello lì” è Il camminatore, figura creata nel 2010 da Ivan Kožarić, nome tra i maggiori della scultura croata contemporanea, il più importante scultore croato vivente. Novantaduenne. “Il camminatore”, figura che dichiara essenzialità e purezza, scevra da ogni descrizione, priva degli arti superiori: tutta la carica formale ed emotiva è concentrata sulla posizione del suo corpo proteso in avanti e sugli arti inferiori, atteggiamenti che giustificano il nome dell’opera. Da quasi quattro anni l’argentea figura è testimone del movimento umano nella “via più amata dai fumani”. C’è ancora un altro signore, altra creatura dello scultore croato, che “osserva” i passanti. E questo ha anche un nome, si chiama Antun Gustav Matoš, poeta e scrittore croato. Seduto su una panchina 48 Panorama nella Città Alta di Zagabria, nella Passeggiata Strossmayer, osserva il sottostante panorama di Zagabria, la città in cui vive. Essenziale come forma anche questa, ma esente da ogni dispersione illustrativa, la figura di Kožarić invita il passante e sedergli accanto, a fargli compagnia, a conversare con lui. Una scena questa che piace, che riesce molto vicina alla gente. Due figure, queste citate, due accostamenti di forme sintetiche; priva di ogni particolare, più pulita quella del “Camminatore”, più descrittiva quella del “poeta seduto”. E sono due dei tanti modi di operare dell’artista croato. Igor Zidić, lo storico dell’arte autore della presentazione in catalogo e curatore della mostra personale di Kožarić allestita la scorsa primavera all’Adris di Rovigno, sostiene che “è impossibile definire questo artista, inquadrarlo in una tendenza. Quando si parla di Kožarić ogni definizione - anche la più elastica, flessibile -, è destinata all’insuccesso”. Ivan Kožarić, nato a Petrinja nel 1921, studia all’Accademia di Arti Figurative di Zagabria, prosegue ancora gli studi con August Augustinčić, soggiorna per un certo periodo a Parigi dove ha modo di conoscere artisti e tendenze del momento, i suoi lavori vengono notati e apprezzati, un gallerista lo vorrebbe intrattenere a Parigi ma il giovane sceglie la via del ritorno a casa. A Zagabria, dove molti degli artisti si ribellano al realismo socialista allora di moda, si unisce ad uno dei gruppi d’avanguardia, Gorgona, un parallelo dell’EXIT 54, altro gruppo che snobba e rifiuta la corrente artistica amata dal potere. L’artista inizia un’attività molto intensa, molti saranno i suoi ee“Il Sole atterrato” (1994) in una delle piazze di Zagabria Sperimentatore da sempre, inquadrarlo in una tendenza è praticamente impossibile ee“Il camminatore”, scultura dal 2010 nel Corso di Fiume ccIvan Kožarić linguaggi come molti i materiali che userà per le sue opere. Parallelamente alla sua feconda e variegata creatività si presenta con mostre personali e partecipazioni a collettive sia nell’allora Jugoslavia che all’estero. Nel 1976 è presente alla Biennale di Venezia, sempre negli anni Settanta sarà presente alla Biennale di Sao Paolo in Brasile. Curioso, poliedrico, sperimentatore da sempre, Zidić così lo descrive: “... Praticamente è impossibile immaginare un repertorio di tecniche, di materiali, di accostamenti di generi: incontriamo ritratti, autoritratti, figure e composizioni figurali, paesaggi, immagini tachismati-astratte, installazioni geometriche, interventi urbani virtuali, composizioni ready made, contenuti ecologici, provocazioni ironiche, umoresche e fantasie; la dimensione della sua opera è immensa: a momenti è passionale, indifferente, senza riserve, narrativa; a momenti è cinico, bruto, provocatorio, bonario, sicuro di s, confuso, tragico, e poi violento, malinconico, innamorato, rassegnato.Tutto è in lui e lui è tutto”. Il suo atelier, con i suoi seimila pezzi che conteneva - tra suoi lavo- ri, attrezzi, materiali, ecc. - è stato acquistato dalla Città di Zagabria che lo ha donato al Museo di Arte Contemporanea. Il 1994 è l’anno della realizzazione di un’opera pubblica, Il Sole atterrato, un’enorme sfera color oro, posizionata in una piazza centrale di Zagabria. È un’enorme sfera (purtroppo già copiosamente imbrattata dai soliti vandali), che dopo aver trovato temporanea sistemazione in altri spazi cittadini, pare che il posto attuale sia definitivo. Definitivo? Almeno così si pensa, perché proprio di recente è scoppiata una polemica riguardo questo “Sole” kožariciano. Conclusi i lavori del nuovo edificio dell’Accademia di Musica in piazza Maresciallo Tito, zona in cui si trovano importanti palazzi ottocenteschi, si è pensato di porvi, anzi di riporvi, dinanzi all’edificio appena eretto, proprio questo “Sole”, che già anni prima vi si trovava. Il suo autore però si è rifiutato del trasferimento e il progettista dell’edificio, l’architetto Milan Šošterić ha piazzato una sua sfera, uguale a quella dell’anziano scultore, solo leggermente più piccola e di colore arancione. E via alle polemiche a alle solite voci pro e contro di numerosi personaggi della vita culturale e artistica della metropoli croata. Molti sono coloro che condannano l’intervento dell’architetto, che risponde: “La forma della sfera si adatta bene a questo spazio, e dato che al ‘Sole’ di Kožarić è stato negato l’‘atterraggio’ in questo spazio, allora ho sistemato un mio ‘sole’”. Che alla gente, pare, piaccia molto, e si fotografa accanto ad esso. Ma il “Sole” di Ivan Kožarić non è solo “un Sole’” è anche uno degli elementi - il più importante -, di un’installazione ideata nel 2004 da un altro artista, Davor Preis, un’installazione comprendente altre nove sfere, i nove pianeti, posizionati in varie parti della città. C’è poi un’altra opera pubblica che l’anziano scultore sogna da tempo di realizzare: una scultura immensa, mastodontica, di venti metri di altezza da sistemare in un crocevia non distante da casa sua, una specie di arco sotto il quale transiterebbero persone e veicoli, anche il tram. Della sua realizzazione se ne parla da tempo, magari di realizzarla in un altro punto della città. Quando verrà eseguita? E dove? Panorama 49 cinema e dintorni N di Gianfranco Sodomaco on è il primo film su Pier Paolo Pasolini, ricorderò solo uno: “Pasolini, un delitto italiano”, di Marco Tullio Giordana (1995). E non è difficile comprendere perché un regista come Abel Ferrara (tra i suoi 23 film ricordiamo almeno due capolavori: “Il cattivo tenente” (1992) e “Fratelli” (1996), dove il tema della Vita e della Morte sono intrecciatissimi) abbia voluto cimentarsi in una operazione del genere, ricordare, partendo dal suo ultimo giorno di vita, l’indimenticabile 2 novembre 1975, la sua figura: perché regista eclettico, poliedrico, anticonformista, fuori di ogni “scuola”, “toccato” dolorosamente anche lui dalla vita in ogni senso (droga prima di tutto). I due, o prima o poi non potevano non incontrarsi. Vediamo come si sono incontrati. Dunque Ferrara racconta l’ultimo giorno di vita di Pasolini. Cercando di essere brevi: inizia con sua madre (Adriana Asti) che lo sveglia con un bacio, appena tornato da Stoccolma dove ha presentato la traduzione delle sue poesie “Le ceneri di Gramsci”. Si alza e va a leggere subito il “Corriere della Sera” (per cui ha scritto degli importanti articoli “critici”, che non stiamo a ricordare). Il giornale riporta fatti di cronaca nera, di violenza e Pier Paolo “ricorda” (lo spettatore 50 Panorama Da trentanove anni la sua morte è un m che tesse trame imperfette di macchin crimini, confessati, ritrattati, mai svela Le ultime ore di secondo Abel Fer li vede) frammenti tratti dal suo ultimo film: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Nel frattempo incontra persone a lui care: la nipote Graziella Chiarcossi, che gli fa da segretaria, Nico Naldini, il cugino friulano, amico e collaboratore (Valerio Mastandrea), e l’amica del cuore, l’attrice Laura Betti (Maria De Medeiros) che gli racconta della sua ultima esperienza cinematogra- Diviso tra il mondo dell’intellettuale borghese che vive con la madre scrivendo sui giornali, e quello dell’uomo che segue natura e temperamento di notte consapevole del prezzo che deve pagare mistero senza risposte, nazioni, complotti e ati Pasolini rrara fica in Jugoslavia. Poco dopo arriva Furio Colombo, importante giornalista de “La Stampa” di Torino, che gli fa un’intervista “importante” dove P.P. esprime tutto il suo pessimismo sulla “situazione” attuale, da una parte, ma riconosce, dall’altra, come unica speranza valida il proprio lavoro. Vengono anche a parlare della “parabola” che sta ultimando di scrivere (e che non ultimerà), “Petrolio” (e lo spettatore vede una festa “borghese” e una scena d’aereo che cade con due dei protagonisti del romanzo. Dopodiché inizia a scrivere a Eduardo De Filippo del film che da tanto tempo vorrebbe fare con lui: “Porno-Teo-Kolossal”, e lo spettatore inizia a vedere la “strana storia” di Nunzio, l’angelo custode di Epifanio, e di loro due che inseguono una stella cometa, attraversano un “casino” dove gay e lesbiche quel giorno di accoppiano, e finiscono su una scala che potreb- be portare in cielo ma, dicono, “non si sa mai dove si va a finire anche se qualcosa succederà...”. Dopodiché la catarsi finale, l’incontro col “famoso” Pino Pelosi in una accogliente osteria (dove Pasolini esterna tutta la sua simpatia per il giovane “borgataro” che divora gli spaghetti all’amatriciana e parla della sua ragazza) e lo spostamento al mare, al lido di Ostia dove avviene il noto irreparabile: mentre i due stanno amoreggiando arrivano tre giovani delinquenti che, gridando contro quel “succhiacazzi”, cominciano a picchiarlo a sangue finché, dopo essere stato schiacciato da Pelosi con la sua stessa automobile, non muore. La scena finale sarà di nuovo con la madre in preda alla disperazione. Ma raccontato questo è detto niente. Perché Pasolini è un film impossibile da tradurre in parole, ricco com’è di tutti i particolari piccoli e grandi, di tutte le sugge- stioni che Ferrara ha vissuto prima e durante la lavorazione del film. E nel film si “respira” questo coinvolgimento sincero, questo bisogno di andare oltre la cronaca e cercare di restituire, in modo il più possibile significativo, il maggior numero possibile di frammenti di una vita assolutamente “frammentata” ma, attenzione, mai dualistica, schizofrenica: ciò che emerge dal film, sicuramente la cosa più bella, è l’integrità fisica, morale, esistenziale di Pasolini, la coerenza del suo mondo espressivo, artistico, realistico e fantastico nello stesso momento. Inevitabile, perciò, che il film lasci, in qualche modo, insoddisfatti, dia, qua e là, come qualcuno ha scritto (Paolo d’Agostini, 25 settembre su “la Repubblica”), il senso dell’imperfezione, ma non poteva andare che così vista la complessità del protagonista e la scelta stilistica di Ferrara, visto, lo ripetiamo, il suo coinvolgimento affettivo con la figura di Pasolini, il considerarlo, in qualche modo, il suo alter ego. Per non dire, poi, della commovente adesione/identificazione di Villem Dafoe col personaggio, il suo calarsi nella parte ben oltre la prestazione attoriale. Il volere, da parte di Ferrara, che gli assomigliasse al massimo crea un effetto sdoppiamento inquietante, problematico ma nello stesso arricchente. No, non poteva andare che così e ne siamo contenti per ciò che Pasolini ha rappresentato e rappresenta nella cultura e nella vita italiana, per il bene che gli abbiamo voluto. Panorama 51 psicomiti cronaca nera La scienza del comportamento interpreta le scene del delitto per inferire alcune caratteristiche dell’autore del reato per facilitarne l’arresto riducendo l’elenco dei possibili sospettati False credenze sulla psicolo comportamenti aggressivi, ma tutto sommato queste patologie non sono tanto frequenti da giustificare l’affermazione iniziale. fAltro che “squilibrati” L di Denis Stefan a vastissima produzione letteraria, televisiva e cinematografica, come pure la cronaca nera e i sempre più diffusi talk show dedicati a crimini recenti e passati, contribuiscono abbondatemente alla diffusione di psicomiti concernenti la psicologia criminale e il ruolo di psichiatri e psicologi in simili faccende. Come stanno veramente le 52 Panorama cose? Vediamo in questo numero alcuni psicomiti in “cronaca nera”. La maggior parte dei crimini violenti sono commessi da persone con disturbi mentali. Niente di più falso! Però ne è convinto, in varia misura, circa l’80 p.c. delle persone. C’è qualcosa di vero nel senso che in alcune patologie come il delirio paranoide, il disturbo bipolare (maniaco-depressivo) o anche in degli stati patologici dovuti ad abuso di sostanze si possono manifestare Inoltre il 90 p.c. circa delle persone affette da patologie mentali, anche gravi, non compie mai atti violenti ed è stato calcolato che solo dal 3 al 5 p.c. dei crimini violenti commessi hanno all’origine delle patologie mentali. Semmai è molto più vera la condizione in cui le persone affette da patologie mentali sono vittime di violenze e aggressioni, da una parte perché alcuni loro comportamenti “bizzarri” vengono interpretati come delle provocazioni da coloro che non sono a conoscenza dello stato della persona e dall’altra perché spesso tali persone sono completamente incapaci di difendersi. Come spiegare allora il forte radicamento di questo psicomito? Si dà spesso una forte risonanza mediatica a delitti efferati che sono stati compiuti da persone affette da disturbi mentali ed allora funziona l’euristica della disponibilità, per la quale ciò che è disponibile, perché diffuso ed attuale, ci sembra frequente e crea le correlazioni illusorie. Agiscono poi dei fattori emotivi e motivazionali per i quali il crimine violento ci appare come qualcosa di estremamente inaccettabile ed allora tendiamo e credere che sia più facile che lo commettano delle persone “squilibrate”. La realtà, per quanto sgradevole possa essere, è che abbiamo una ccIl numero di confessioni false a volte è impressionante, soprattutto nei casi di delitti efferati ogia criminale probabilità maggiore di finire vittime di persone conosciute che di “pazzi furiosi”. Il criminal profiling aiuta a risolvere i casi. A caldo mi sentirei di sostenere questa affermazione, ma la valanga di sceneggiati polizieschi in cui si vedono delle squadre di criminal profiler, formate da psicologi e psichiatri, che analizzando i crimini nei dettagli riescono a stilare un profilo perfetto delle caratteristiche fisiche, personologiche e comportamentali del reo, individuandolo e prevedendo le sue mosse per coglierlo sul fatto, ci mostra cose esagerate ed ho smesso di guardarli. Nel mondo reale abbiamo dei casi di clamorosi fallimenti dei criminal profilers, uno recente e famoso è del 2002 e si riferisce al caso del “cecchino di Washington”. Secondo i criminal profilers avrebbe dovuto trattarsi di un bianco di cca 25 anni, ma quando il “cecchino” venne preso risultò che effettivamente erano due, neri, e che l’uno aveva 41 e l’altro 17 anni. Se la polizia avesse dato retta ai profiler non avrebbe mai risolto il caso. fGli esperti sono inutili I criminal profiler ottengono dei buoni risultati quando hanno a disposizione dei dati dettagliati sui casi in questione ma non si tratta poi di risultati impressionanti. Molte ricerche hanno evidenziato che i profiler “esperti“ non ottengono risultati molto superiori a quelli ottenuti da studenti che hanno cercato di stilare un profilo dei delinquenti usando informazioni derivanti da casi giudiziari realmente avvenuti. Tutti possono servirsi delle probabilità di base note (ad es. il 90 p.c. dei serial killer negli USA è di sesso maschile e il 75 p.c. è di razza bianca) e ottenere così dati ben azzeccati in casi criminali che si somigliano e con un semplicissimo ragionamento si può concludere ad es. che uno che ha ammazzato una persona con un portacenere è necessariamente un tipo “forte”. Va molto, ma molto, peggio quando si tratta di stimare le caratteristiche personologiche. Se le prove scientifiche a favore della precisione del criminal profiling sono così deboli, per quali ragioni esso è così frequente e popolare? Potrebbero esserci tante ragioni, ma mi limiterò a descriverne tre: 1) l’eccessiva risonanza data ai “colpi andati a segno”, ovvero alle previsioni corrette rispetto a quelle sbagliate, che inducono ad una percezione selettiva; 2) l’“euristica della competenza”, ovvero la tendenza a fidarsi e credere a ciò che dicono delle persone ritenute “esperte in materia”; 3) l’effetto Barnum, ovvero il fare delle affermazioni tanto vaghe e generiche che possono riferirsi praticamente a tutti, criminali compresi (come abbiamo visto nei pezzi dedicati all’astrologia o al “cold reading”). Coloro che confessano di solito sono colpevoli. Bello da credere, ma non è così affatto. Un pensiero di questo tipo è rassicurante, il reo ha confessato, ora sta al fresco e il pericolo è cessato. Nella pratica giudiziaria invece il numero di confes- sioni false a volte è impressionante, soprattutto nei casi di delitti efferati. Nel noto caso di cronaca detto “Il delitto della Dalia nera”, un’aspirante attrice uccisa e poi mutilata, i “rei confessi” furono una trentina, ma il caso è tutt’ora irrisolto. fChi confessa è reo? Cosa può spingere degli innocenti a confessare un crimine? Ci sono delle confessioni volontarie che possono essere dettate dalla mania di protagonismo, altre che derivano dal desiderio di “autopunizione” per delle violazioni passate vere o anche solo immaginate, la volontà di proteggere il/i vero autore del crimine (coniuge, figlio, genitore), qualche disturbo psichico che rende difficile distinguere la fantasia dalla realtà. Queste confessioni spesso possono creare intralci alla giustizia deviando le indagini nel senso sbagliato. Inoltre ci possono essere ancora due tipologie di confessioni false, quelle condiscendenti e quelle interiorizzate. Le prime sono delle confessioni fatte per “togliersi dai guai”, per cadere in guai anche peggiori. In questi casi le persone confessano per sottrarsi a situazioni stressanti come possono essere gli interrogatori della polizia, ritenendo che poi non avranno problemi a ritrattare e che la verità verrà comunque a galla. Invece non di rado capita che la giustizia, forte della confessione, non allarghi affatto le indagini ma raccolga “prove” che supportano la falsa confessione per arrivare alla condanna. Le seconde sono rappresentate dai casi in cui persone vulnerabili vengono indotte a credere di aver veramente commesso un crimine. Difficile da credere che possa capitare, ma non tanto. Può capitare che una persona sia effettivamente stata a contatto con la vittima, ma per vari motivi potrebbe avere dei buchi di memoria, dovuti magari all’ubriachezza. In casi simili non è raro che le “suggestioni” dell’interrogatore diventino dei “falsi ricordi” ritenuti veri anche dal sospettato. (5 - continua) Panorama 53 multimedia IOS Autunno di grandi aggiornamenti per i prodotti Apple a cura di Igor Kramarsich P er tutti gli amanti dei prodotti Apple settembre e ottobre sono stati i mesi dei grandi aggiornamenti. Infatti sono ufficialmente disponibili iOS 8 (e di recente l’iOS 8.1) per i dispositivi mobili e l’aggiornamento 10.9.5 per OS X Mavericks e OS X 10.10 Yosemite. Dopo aver visto le novità per i dispositivi mobili, sondiamo ora quelle per gli altri. i IOS 8 e IOS 8.1 OS 8 è come sempre gratuito per gli utenti di iPhone, iPad e iPod touch. Offre nuove funzioni nelle applicazioni Messaggi e Foto, l’immissione testi predittiva per la tastiera QuickType di Apple e l’opzione per la condivisione In famiglia. iOS 8 comprente inoltre la nuova app Salute, che offre una visione d’insieme su stato di benessere e dati di fitness dell’utente, e iCloud Drive, per archiviare e accedere ai file ovunque. fMessaggi Con Messaggi ora basta un tap per aggiungere la propria voce alla conversazione e per condividere le foto e i video. Si possono mandare pure più foto e video insieme, e scorrerli facilmente da un unico posto, senza lasciare la conversazione. fFoto L’app Foto mette a disposizione nuovi strumenti di editing. L’app 54 Panorama Funzioni e applicazioni raddrizza in automatico l’orizzonte nelle immagini e basta sfiorare la foto per regolare velocemente luce e colore. Per un editing più preciso, è possibile accedere ad altri tool più evoluti per regolare esposizione, luminosità, contrasto, toni chiari, ombre e molto altro. fSalute La nuova app Salute raccoglie le informazioni definite dall’utente dalle varie app per la salute e i diversi dispositivi di fitness per fornire una panoramica chiara e aggiornata. Le API HealthKit offrono agli sviluppatori la possibilità di far comunicare fra loro le app per la salute e il fitness. Con l’autorizzazione dell’utente, ogni app può usare informazioni specifiche da altre app per offrire una gestione più completa della salute e del benessere. fiCloud Drive Con iCloud Drive è possibile archiviare, accedere e modificare in tutta sicurezza documenti di ogni tipo. Quando si apportano modi- fiche su un dispositivo, la versione più aggiornata del documento appare sugli altri dispositivi iOS, i Mac, i PC Windows e sul sito www. icloud.com. iCloud Drive porta la collaborazione fra app a un livello del tutto nuovo, offrendo un accesso intuitivo e la possibilità di lavorare sullo stesso file da app diverse. fiOS 8.1 E poi alla fine di ottobre è venuto l’aggiornamento 8.1 con altre importanti novità. - in Foto ora di nuovo abbiamo troviamo l’album “Rullino foto” nell’app Foto e dell’album “Il mio streaming foto” quando Libreria foto di iCloud non è abilitata. - possibile l’invio di avvisi quando lo spazio libero non è sufficiente prima di realizzare video in timelapse. - con messaggi ora esiste la possibilità per gli utenti iPhone di inviare e ricevere messaggi SMS e MMS da iPad e dal Mac. - sono stati risolti i problemi relativi alle prestazioni Wi-Fi che potevano verificarsi durante la connessione con alcune basi. - correzione di un problema che poteva impedire la connessione ai dispositivi vivavoce Bluetooth. - correzione di errori che potevano impedire allo schermo di ruotare correttamente. - aggiunta di un’opzione che permette di selezionare le reti 2G, 3G o LTE per i dati cellulare. - correzione di un problema in Safari che a volte non consentiva la riproduzione di video. - aggiunta del supporto AirDrop per i biglietti di Passbook. - introduzione di un’opzione, indipendente da Siri, che abilita Dettatura nelle impostazioni Tastiere. - possibilità per le app di HealthKit di accedere ai dati in background. Panorama 55 fioralia sapori Nel fiore del mandorlo tesori inesauribili eeFillide, una principessa tracia, dopo aver atteso invano Acamante si uccise impiccandosi ad un albero. La dea Era, impietosita, la trasformò in un mandorlo di Daniela Mosena A ndiamo verso la stagione, quella invernale, in cui un fiore bellissimo sboccia, anomalo per chi abita sopra un certo parallelo ma che alcuni accudiscono in casa proprio per ornarla di questo fiore. Parliamo del mandorlo che vediamo fiorire in pieno inverno, naturalmente nelle zone temperate. I Greci narravano che Fillide, una principessa tracia, si era invaghita di Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno mentre navigava verso Troia. Al ritorno delle navi greche la fanciulla, dopo averlo atteso invano, morì disperata. La dea Era, impietosita, la trasformò in un mandorlo che Acamante, 56 Panorama giunto in ritardo, non poté fare altro che abbracciare, sconsolato. Da quel giorno, primo fra tutti gli alberi, il mandorlo fiorisce alla fine di gennaio. Per gli Ebrei era promessa di Vita nuova. Scriveva Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Che cosa vedi, Geremia?”. “Vedo un ramo di mandorlo” rispose. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”. Non a caso Mosè incontrò il Signore sotto un mandorlo del monte Oreb; e Giacobbe soleva porre bacchette di mandorlo nell’acqua dove si abbeveravano le sue pecore “affinché i greggi concepissero guardandole: e così avveniva che le pecore, accoppiandosi con quei rami davanti agli occhi, partorissero agnelli macchiettati, variegati e vaiolati. Nel Libro dei Numeri si racconta che il Signore ordinò a Mosè di scegliere i sacerdoti, ovvero coloro che avrebbero esercitato il servizio religioso nella tenda del convegno: “Parla agli Israeliti e fatti dare da loro dei bastoni, uno per ogni casato paterno: cioè dodici bastoni da parte di tutti i loro capi secondo i loro casati paterni: scriverai il nome di ognuno sul suo bastone (...) poiché ci sarà un bastone per ogni capo dei loro casati paterni. Riporrai quei bastoni nella tenda del convegno, davanti alla testimonianza, dove io sono solito darvi convegno. L’uomo che io avrò scelto sarà quello il cui bastone fiorirà e così farò cessare davanti a me le mormorazioni che gli Israeliti fanno contro di voi”. Così avvenne: Mosè ripose i bastoni davanti al Signore nella tenda della testimonianza dove fiorì quello di Aronne, della tribù di Levi: “Aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle”. Poiché in latino bastone si dice virga, termine quasi eguale a virgo, vergine, il simbolo di quello non fertilizzato ma che reca frutti venne trasferito alla Vergine Maria. Sicché il mandorlo, che nel Vicino Oriente era consacrato alla dea Astarte, divenne uno degli alberi della Madonna. Nell’arte medievale anche san Giuseppe è talvolta raffigurato nell’atto di reggere un ramo di mandorlo fiorito, per rammentare la sua paternità putativa ottenuta attraverso il miracolo già ricordato a proposito del giglio. Nel linguaggio ottocentesco dei fiori, il ccLe mandorle sono semi oleosi ricchi di vitamine e minerali. Aiutano a mantenere in buona salute il cuore, le arterie e le ossa, e rappresentano anche un valido rimedio naturale contro l’anemia SIMBOLISMO Sono i primi a sbocciare in primavera, talvolta nel tardo inverno, e per questo significano speranza, oltre che il ritorno in vita della natura, ma, sfiorendo nell’arco di un breve lasso di tempo, rappresentano anche la delicatezza e la fragilità mandorlo evoca invece Sbadataggine, quello a fiore doppio Falsità, il nano Vigilanza. In termini botanici è denominato Prunus amygdalus, mentre Linneo lo aveva battezzato Amygdalus communis. fLe mandorle, l’essenziale celato sotto l’apparenza Inevitabile parlare di ciò che da questo bellissimo fiore nasce, il suo frutto, la mandorla, che ha ispirato, fin dall’antichità, simboli divini perché essa interpreta l’essenziale celato sotto l’apparenza, ovvero il cuore dell’essere. Non è facile infatti raggiungerne la candida polpa croccante: si deve prima di tutto aprire il mallo carnoso e verdastro, poi rompere la corazza legnosa e infine levare la pellicina dentro la quale apparirà finalmente il frutto denso di oli e di aromi sicché in ogni tradizione rompere il guscio della mandorla significa allegoricamente giungere al termine del cammino che conduce a scoprire il tesoro invisibile in noi. In quella ebraica la mandorla, detta luz, esprime il nucleo indistruttibile dell’essere insieme con la luce che manifesta la sua presenza. Tale simbolismo si ritrova non soltanto nel linguaggio dei mistici ma altresì nelle favole dove si racconta di mandorle che contengono doni meravigliosi. Nel mondo cristiano la mandorla allude all’interiorità nascosta nell’esteriorità e perciò racchiude il mistero dell’illuminazione interiore, il mistero della Luce. Il riflesso luminoso a forma di mandorla che circonda la Madonna o il Cristo in maestà nelle opere d’arte medievali simboleggia l’emanazione della luce divina nell’apparizione di Dio e nello stesso tempo la velatura di questa luce per chi la contempla. Una mandorla può evocare il Cristo stesso perché la sua natura divina era celata nella sua natura umana. Questo frutto, che pur essendo di origine asiatica è ormai da millenni tipicamente mediterraneo, è entrato nella pasticceria arabo-sicula e andalusa con moltissimi dolciumi, dai torroni ai confetti sino a quella pasta reale o marzapane che grazie alla sua malleabilità ha permesso di creare i celebri frutti di martorana e le ossa dei morti che si mangiano alla Commemorazione dei Defunti. Anticamente si riteneva che la mandorla fosse un rimedio contro l’ubriachezza, come riferiscono Plinio e Plutarco. Quest’ultimo narra di un medico, ospite abituale di Druso, figlio di Tiberio, che sfidava chiunque a bere del vino senza ubriacarsi: e riusciva sempre a vincere la sfida. Ma un giorno fu sorpreso a mangiare mandorle amare prima del pasto: sicché dovette confessare che senza quella precauzione il vino, pur in modesta quantità, gli avrebbe dato alla testa. Dalle mandorle si ricava un olio, ottimo protettivo cutaneo, ammorbidente e rassodante, in grado di combattere anche le smagliature, come già aveva osservato il Mattioli. In Normandia si usa un gioco, rammentato anche da Marcel Proust: se si trovano due mandorle gemelle nello stesso guscio se ne offrirà una alla persona cara accordandosi con lei sul giorno e l’ora del prossimo incontro. Panorama 57 scacchi curiosità Considerato universalmente il primo campione del mondo non ufficiale, la sua tecnica è ricordata come una delle più brillanti nella storia dello... sport delle meningi Paul Morphy l’inventore della «strategia» a cura di Sandro Damiani I ntroduciamo una rubrica dedicata agli scacchisti che hanno attraversato quel lasso di tempo che va dalla metà dell’Ottocento a oggi, cioè da quando questo millenario gioco è uscito dai castelli e dalle corti fino a conquistare le meno raccomandabili bettole dei Balcani e dei Pirenei, della Selva Nera e del Caucaso, delle Ande e dell’Himalaya. Il nostro primo protagonista è l’americano Paul Charles Morphy (1884). Proveniente da una famiglia benestante, a quattro anni impara a giocare. Padre e zio lo sfoggiano nei salotti cittadini come si fa col figlio/nipote/fratellino genialoide e talentuoso (si tenga presente che all’epoca, nella puritana e incolta America, gli scacchisti sono considerati poco meno che dei lussuriosi giocatori d’azzardo e il fatto che un bambino sappia giocare ha il valore della scimmietta ammaestrata da esibire). Per il futuro del piccolo Paul si prospetta la carriera forense. Intanto, gioca, vince e sbalordisce. A tredici anni batte uno dei più forti scacchisti del momento, l’esule ungherese Janos Johann Lowenthal e a venti si aggiudica il primo American Chess Congress, strapazzando i migliori scacchisti, tra cui il tedesco Louis Paulsen. Neanche a dirlo, viene immediatamente proclamato il Numero Uno degli Stati Uniti. Frattanto consegue la laurea in Giurisprudenza in un solo anno di studi: conosce a memoria tutti i testi universitari. Siccome la legge non gli consente ancora di darsi alla professione, continua a giocare e a seguire quanto avviene nello scacchismo europeo. Nel 1858 si reca in Europa per sfidare Howard Staunton, che i circoli londinesi, parigini e viennesi reputano l’Uomo-da-battere. Ma questi, famoso esegeta di William Shakespeare e animatore di riviste scacchistiche, sa chi è e come gioca l’Americano, sicché lo evita in tutti i modi. A Morphy non resta che vedersela con gli altri campioni. Che batte, regolarmente. Tra costoro c’è il tedesco Adolf Andersenn, di un gradino inferiore a Staunton, ma molto più amato 58 Panorama dell’Inglese, e per il gioco invero scintillante e fantasioso e per l’indole. Infatti, sarà l’unico ad avere parole di ammirazione per Paul Morphy, nonostante le brucianti sconfitte patite. “Dov’è finito il suo gioco estroso”, gli chiedono. E lui: “Morphy non mi permette di svilupparlo”. “Eppure alcune partite le ha vinte”. “Certo - risponde il Tedesco - ma dopo cinquanta e più mosse, mentre lui mi batte in venti”... Ma non è il solo Andersenn a stimare Paul Morphy, sicché alla fine del suo tour, per acclamazione la crema dello scacchismo europeo incorona il ventunenne di New Orleans “Numero Uno al Mondo”. Paul torna a casa, e ad attenderlo trova l’intelligentia culturale e scientifica americana, che lo “saluta” come Campione del mondo. A lui tutto ‘sto entusiasmo non piace. Per lui gli scacchi rimangono un gioco. Tant’è che quando gli viene proposto di scrivere un libro a quattro mani sul “Morphy scacchista”, si offende a morte. È il 1861: Morphy ha l’età per darsi all’avvocatura, solo che gli Stati Uniti sono in guerra, una guerra fratricida. Alla quale partecipa. Secondo alcuni avrebbe combattuto al seguito del generale, suo concittadino, Pierre Beauregard; secondo altri, questi non l’avrebbe preso in considerazione. C’è chi dice di averlo visto in talune battaglie e chi, invece, che non c’era affatto, altrimenti come si spiegherebbero le sue presenze a Cuba e nuovamente in Europa (dove peraltro non gioca con nessuno!). Qualcosa di vero sulla sua partecipazione alla più grande carneficina in terra americana (e di tremendo trauma) ci dev’essere, se è vero che terminato il conflitto e messo in piedi uno studio legale, comincia a dare i primi segnali di squilibrio. Acuiti dal rifiuto di una giovane donna di sposarlo - gli avrebbe detto che lei con uno scacchista non si metterebbe mai - e l’impossibilità di trovare clienti, nonostante la fama. Morphy smette di giocare. Vede nemici dappertutto, accusa lo zio di volerlo derubare del lascito paterno, si barrica in casa e chiude col mondo, a parte le quotidiane brevissime passeggiate, sempre solo, alla medesima ora, intento a bor- bottare tra sé e sé. Un anno prima di morire, accoglierà in casa lo scacchista tedesco, e coetaneo, Wilhelm Steinitz (pochi anni dopo diverrà il primo Campione del Mondo ufficiale, giunto in America per fare un po’ di soldi nei tornei), ma a patto che non si parlerà di scacchi. Paul Morphy muore di cuore a 47 anni, nella vasca da bagno. Tra le sue carte troveranno gli appunti di centinaia di partite, con tanto di note. Lo scacchismo statunitense lo proclama primo Campione USA non ufficiale, titolo che gli viene riconosciuto a cominciare dal 1857 fino al 1872, benché negli ultimi anni non si fosse nemmeno avvicinato ad una scacchiera. La data è stata scelta in base al fatto che in quel ‘72 si tenne il secondo American Chess Congress - il campionato nazionale ufficioso - che sarà vinto da George MacKanzie. Gli esperti - dai grandi campioni sovietici del secondo dopoguerra al connazionale Bobby Fisher - hanno sempre sostenuto che Morphy è stato uno scacchista geniale, e che avrebbe dato filo da torcere anche ai “mostri sacri” del ’900. Inoltre, è stato l’inventore della “strategia” e dello sviluppo dei pezzi. Niente arrembaggi, voli pindarici e “o la va o la spacca”, ma puro ragionamento, e appena dopo fantasia e sacrifici. passatempi 1 2 3 4 5 16 6 7 8 17 20 26 30 34 42 40 44 56 54 58 Idrocarburo Policiclico Aromatico (sigla) – 29. Non essere intonato – 31. Il re di Tebe padre di Edipo – 32. Tredici si chiamavano Benedetto – 33. Cammina dondolandosi – 34. L’acido desossiribonucleico (sigla) – 35. Si suona col mazzuolo – 36. Una palla d’avorio – 37. Girarsi a sinistra – 38. Un frenetico ballo – 41. L’Ecuador su targa d’auto – 42. La pelliccia di coniglio – 44. Sfocia nella Manica presso Caen – 45. Era l’abbreviazione Soluzione del numero precedente delle lire italiane – 46. Componimento lirico d’argomento elevato – 47. Il leggendario fondatore di Troia – 48. Mitico re e sacerdote di Delo – 49. Dare una mano – 51. Superato per la moda – 52. Si van- 55 59 62 65 ORIZZONTALI: 1. Fa da contorno ad un personaggio importante – 9. Si diletta tra le aiuole – 16. Semplice melodia tedesca – 17. Celebre carro armato alleato della seconda Guerra Mondiale – 19. Col dare nel mastro – 20. Ornamenti muliebri – 22. L’altopiano che delimita ad est il Mar Morto – 23. Nel proverbio non fa bollir la pentola – 24. Correlativo dell’altro – 25. Elemento chimico fortemente radioattivo – 27. 50 53 57 61 46 49 52 28 41 45 48 51 15 36 39 47 14 32 35 43 13 27 31 38 12 23 25 33 11 19 22 24 29 10 18 21 37 9 63 60 64 66 ta senza merito – 54. Periodi storici – 56. Si combatte col vaccino Sabin (abbr.) – 58. Cura la manutenzione delle strade in Italia (sigla) – 59. Il colore… del topo – 61. Sospensione del respiro – 62. Giudicare il valore – 64. Pregevoli qualità – 65. Salsa per fritture – 66. Assilla l’incendiario. VERTICALI: l. Copricapo metallico – 2. Isola delle Cicladi – 3. Esteso possedimento agricolo – 4. Aveva la propria dimora nel Valhalla – 5. Era la sigla della Repubblica di Salò – 6. Esclamazione di meraviglia – 7. Pietre preziose – 8. Eccelle nel coraggio – 9. Fu papa dal 236 al 250 – 10. Preposizione semplice – 11. Porta foglie, fiori e frutti – 12. Il nome di Andrić – 13. Trasmissione televisiva a puntate – 14. Il cavalletto per la macchina fotografica – 15. Nelle casse e nel baule – 18. L’investigatore privato creato da Raymond Chandler – 21. Scrisse Il richiamo della foresta – 23. Antico precettore – 25. La regione spagnola con Saragozza – 26. Il rumore della ruota che stride – 28. Ulisse lo defraudò delle armi di Achille – 29. Una barca… da salvataggio – 30. Affermazione a Praga – 32. Molto religiose – 33. Alimenta il Lago d’Iseo – 35. Lo sono molti tifosi liguri – 36. Aperitivo amaro – 38. Prefisso per vita – 39. Colorate come l’arcobaleno – 40. Ci va chi scende – 43. Grossi serpenti – 46. Lo stato USA con Salem – 48. Pianta erbacea velenosa detta anche gigaro – 49. A sufficienza – 50. Secca e sterile – 52. Giovanni davanti a Paolo – 53. Gioca nel derby della Lanterna – 55. Il fagiolo cinese – 57. Il nome di Valiani – 59. La terra nei prefissi – 60. Andati – 61. Nel tram e nel camion – 62. Sassari su targa d’auto – 63. Doppio ostacolo per blesi. Pinocchio Panorama 59