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ORA TOCCA A ME!
Il mio nome è Amir Madani, e ho 12 anni. Sono piuttosto basso per la mia età,
ma sono molto veloce. Ho i capelli e gli occhi neri, come tutta la mia famiglia. La
mia passione più grande è quella per i videogiochi. All'inizio non mi piacevano
molto, ma dopo che mi sono trasferito in questa casa ho cominciato ad
apprezzarli, fino ad amarli.
I miei giochi preferiti sono quelli di guerra, mi attirano soprattutto le armi e i
combattimenti, perchè ci vuole molto coraggio e sangue freddo. I miei genitori,
di loro non mi ricordo molto, e non mi piace parlarne. So solo che sono nato
vicino a Damasco, in Siria il primo gennaio del 2003. Mamma mi diceva sempre
che, essendo nato il primo giorno dell'anno, sarei stato sempre il primo in tutto,
e, in effetti, nei videogiochi sono il più bravo della mia nuova famiglia.
La mamma era molto bella, aveva i capelli scuri e gli occhi color nocciola, l'unica
parte del viso che mostrava in pubblico, era molto giovane e snella. Mio padre
era invece un uomo forte e muscoloso, non aveva capelli e aveva gli occhi
molto scuri e severi.
Mi ricordo che una notte, quando avevo quattro anni, mi addormentai sul mio
letto e la mattina dopo mi svegliai dentro un furgone. Avevo già visto gli uomini
che lo stavano guidando, erano gli stessi che si trovavano davanti a casa nostra
la settimana prima, gli stessi che mio padre aveva allontanato in malo modo.
Erano tutti vestiti di nero: avevano una sciarpa nera che copriva il viso fino alla
bocca, una maglietta e dei pantaloni militari. Ai piedi avevano degli stivaletti
anfibi, con la suola grossa e di gomma.
Appena sveglio, mi dissero che dovevo fidarmi di loro, che erano amici di mio
padre. Annuii dubbioso e, quando chiesi che cosa fosse successo ai miei
genitori, risposero che dovevo aspettare: “Non temere” dissero “Appena
arriveremo a destinazione ti sarà spiegato tutto”. Annuii, stranamente mi sentivo
molto stanco, così mi riaddormentai.
Mi svegliai sdraiato in una poltrona, davanti a me c'era un uomo dall'aria
imponente, indossava una giacca damascata, e una camicia nera, dei jeans neri
e delle scarpe eleganti di coccodrillo. La sua pelle era più chiara della mia, e mi
guardava con i suoi occhi neri, sorridendo. Era seduto dietro ad una scrivania in
vetro, con un computer moderno ed una risma di fogli bianchi non ancora
aperta. La stanza era abbastanza grande, con una finestra e una porta a vetri,
entrambe chiuse. Appesi al muro c'erano molti quadri che mostravano scene di
guerra e un bersaglio per freccette. Un gatto persiano arancione gironzolava per
la stanza. Fu l'animale ad attirare per primo la mia attenzione, l'uomo mi vide e
disse: “Ah, lui si chiama Dix, è il mio gatto, bello vero?”.
Mi girai a guardarlo, lui mi sorrise ancora e disse: “Bene bene, Amir Madani,
giusto?” “Si, signore” risposi educatamente.
“Non chiamarmi signore, chiamami Capitano Ahmed. Sai, sono un grande
amico di tuo padre, ci conosciamo da quando eravamo piccoli, ti trovi a Tripoli,
in Libia.”
Gli chiesi cosa fosse successo a mio padre, lui ignorò la domanda e mi
condusse nella mia nuova camera: “Starai qui con noi per un po' di tempo,
questo sarà il tuo rifugio segreto.” disse.
Io ero sbalordito: era una camera gigantesca rispetto a quella di Damasco, con
una terrazza tutta per me, un letto a due piazze e un televisore al plasma
enorme, sulla scrivania c'era un computer. Mi chiese se mi piacevano i
videogiochi, gli risposi di no e allora lui me ne fece provare uno di guerra.
Giocarci diventò presto il mio passatempo preferito e presto conobbi anche
quello che diventò il mio migliore amico, Viktor.
Viktor era biondo e aveva gli occhi azzurri, viveva in Norvegia, ma aveva la
madre irachena che gli aveva insegnato l'arabo, perciò potevamo comunicare.
Anche lui non sapeva cosa fosse successo ai suoi genitori e, con mia grande
sorpresa, compiva anche lui gli anni il primo gennaio.
Mentre noi due giocavamo, ogni giorno alcuni soldati in divisa come l'autista del
furgone, uscivano dall'accampamento armati, poi tornavano la sera, ma sempre
in numero minore di quelli che partivano.
Una volta, spiai il Capitano Ahmed che consolava un soldato appena tornato:
“Non essere triste se Amos ha fatto Game Over, rendigli onore cercando di
vincere la sfida”. Non capii nulla e lasciai perdere.
Ma sei anni dopo, il giorno del nostro decimo compleanno, il Capitano Ahmed ci
convocò nel suo studio, sulla scrivania di vetro vi erano due fucili d'assalto M16
(ero diventato molto bravo a riconoscere le armi grazie al videogioco). Dix
gironzolava nervoso per la stanza.
Il Capitano Ahmed disse: “Buongiorno ragazzi miei”. Noi lo salutammo
incuriositi.
“Avete passato sei anni a giocare con il videogioco, ora conoscete più o meno le
tecniche, giusto?”. Annuimmo, io personalmente non capivo dove voleva
arrivare.
“Ora, dovete sapere che la vita reale, qui in Libia, é uguale al gioco: ogni volta
che uccidi qualcuno fai punti e se vieni colpito ripetutamente perdi una vita; se
perdi tutte le vite....Game Over, come é successo ai vostri poveri genitori”.
“Game Over” ripetemmo preoccupati, i soldati e il Capitano Ahmed in particolare
ci avevano detto di non sperare più nel ritorno dei genitori, e così avevamo fatto,
perciò non eravamo tristi.
“Oh, non preoccupatevi” disse il Capitano Ahmed “So che voi siete molto forti,
sarete quindi in grado di affrontare una sfida”. Io e Viktor ascoltammo attenti:
“Avete due anni di tempo per fare più punti possibile: colui che dopo il tempo
stabilito riuscirà ad avere più punti dell'altro vincerà un premio molto speciale,
ma non posso dirvi ancora di cosa si tratta.”
Ero molto emozionato in vista di un confronto con Viktor; lui sembrava più
tranquillo, come se avesse già una strategia in mente, come se avesse già vinto
la partita.
Così iniziò la gara: il primo giorno uscimmo con i soldati e andammo sul campo
di battaglia: era un giorno invernale, ma faceva comunque caldo ed il terreno
era brullo e sabbioso, tipico di una savana africana. Non riuscivo a distinguere i
nemici, in questo gioco non era chiaro chi fosse l'avversario. Mi chiedevo come
mai il mirino del fucile non diventasse rosso alla vista di un nemico, quello che di
solito succedeva al computer, lì non si poteva sbagliare: segnale rosso, nemico
ucciso, punti guadagnati con bonus ogni dieci ammazzati. Tuttavia decisi di
sparare comunque, basandomi sulle divise. Non avevo paura, solo voglia di
vincere. Quel giorno superai Viktor nel punteggio e non mi colpirono
nemmeno una volta. Al ritorno alla base, il Capitano Ahmed si congratulò con
noi ma non lo ascoltammo, eravamo troppo stanchi.
Nelle settimane successive, anche Viktor riuscì a fare la sua bella figura:
entrambi totalizzavamo punti su punti e tornavamo sempre illesi.
Non ci importava rientrare senza un graffio, tanto potevamo disporre ancora di
dieci vite, e il gioco ci avrebbe avvertito della fine, lo avremmo capito da un
suono profondo, quasi una campana che ti rimbomba nello stomaco.
Alla resa dei conti dei due anni, Viktor vinse di pochi punti e venne acclamato e
festeggiato da tutti.
Non ero per niente invidioso, Viktor aveva fatto il record e, da buon amico, lo
ammiravo per il coraggio e la bravura, aveva collezionato 3000 punti uomo e
300 bonus, il tutto mantenendo tutte e dieci le vite. Mi disse che l'indomani
sarebbe partito molto presto per una destinazione speciale, Viktor aveva
passato il livello uno. Promise di salutarmi prima della partenza, ma non riuscii a
vederlo. Infatti la mattina dopo trovai solamente un biglietto sul mio comodino
che diceva: “Caro Amir, stavi dormendo profondamente e non volevo svegliarti.
Non mi hanno detto dove mi porteranno, non so neanche se tornerò, non so
quanti livelli ci siano e quanto tempo ci vorrà per completarli tutti, so solo che
entrerò tra i migliori gamers di tutti i tempi, e sono così emozionato! Ti auguro di
riuscire in quest'impresa la prossima volta e di poterci incontrare in un qualche
livello”.
Ero molto triste, perchè sapevo che non l'avrei più visto, fino a ieri, quando il
Capitano Ahmed mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha detto: “Sai, Viktor ha
vinto solo di pochi punti, quindi voglio dare anche a te la stessa possibilità che
ho dato a lui.” Io ero incredulo e molto felice, potevo finalmente rivedere Viktor!
Domani partirò all'alba e mi hanno già spiegato cosa dovrò fare.
Mi porteranno nel mercato centrale di Tripoli e avrò indosso la cosiddetta cintura
dei gamers, incrociata sul petto, fatta di cilindri stretti rossi, con una piastra di
controllo e dei comandi. La cintura dà al gamer il potere di un attacco speciale,
da usare quando la barra di energia si riempie. Sulla cintura c'è un segnale di
pericolo con una scritta in inglese, che non riesco a leggere.
In questo livello non è importante sparare, ma ci si deve confondere nella folla e
attivare il potere nel momento più propizio.
Mi hanno detto che Viktor ha fatto bene, adesso ha raggiunto il paradiso dei
videogiocatori, il livello più alto del gioco.
Mi hanno detto che Allah protegge i gamers coraggiosi, e io non avrò paura.
Viktor, sto arrivando, ora tocca a me!
Olografiko