percorso di introduzione alla teologia

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percorso di introduzione alla teologia
PERCORSO DI INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA FONDAMENTALE
Sac. Nicola Ilardo
1. L’oggetto della teologia fondamentale (Fides et ratio, 67)
2.
I verbi della rivelazione.
Dio è sempre un mistero. Il paradosso della
impronunciabilità del “nome” di Dio.
3. Il cristianesimo come “religione” di rivelazione. Un “ordine” nella Storia della
Salvezza.
3.2.
3.3.
3.4.
Rivelazione come “autorivelazione” di Dio (K. Barth)
Rivelazione come “autoglorificazione” dell’amore di Dio (H.U. von Balthasar)
Rivelazione come “promessa” e come “annunzio di liberazione (J. Moltmann)
4. L’esperienza biblica della manifestazione di Dio nella creazione
5. La rivelazione nella Parola
6. La peculiarità della rivelazione nel Nuovo Testamento. Gesù come “rivelatore” del
Padre
7. La rivelazione. La riflessione al Vaticano I (Dei Filius)
8. La rivelazione. La Riflessione al Vaticano II (Dei Verbum)
9. La mediazione testimoniale della rivelazione storica e la sua credibilità (cfr. Cap. II
della Dei Verbum)
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Bibliografia: F. LAMBIASI, Teologia fondamentale, la Rivelazione, Manuali di base, 19,
Piemme, 1991; C. GRECO, Rivelazione di Dio e ragioni della fede, Ed. San Paolo, 2012; N.
ILARDO, Dispense del Percorso.
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CAP I
L’oggetto della Teologia fondamentale
L’oggetto della teologia fondamentale è la rivelazione1 (autorivelazione) di Dio e la
sua trasmissione attraverso la Scrittura e la Tradizione. Lo afferma con chiarezza,
mettendo a tacere tutte le voci critiche e contrarie, Giovanni Paolo II nella Fides et ratio
al n. 67.
All’inizio del nostro percorso voglio leggere un testo – pietra miliare – della nostra
disciplina e di tutta la teologia, un testo conosciutissimo, ma che non finisce mai di
incantare, ed è la Dei Verbum al n. 2. Mi addentrerò anche nei nn. seguenti, del cap. I
della Costituzione:
Natura e oggetto della Rivelazione
2. Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il
mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di
Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi
partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti
Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini
come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38),
per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della
Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le
opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la
dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e
illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa
Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in
Cristo, il quale è insieme i1 mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.
Preparazione della Rivelazione evangelica
3. Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3),
offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,1920); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio
manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della
redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua
cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la
salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo
chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi
ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo
riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e
stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la
via all'Evangelo.
Cfr. CCC, Catechsismo Chiesa Cattolica, 50 – 133. I nn. dal 74 al 133 riguardano la trasmissione della
Rivelazione.
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4. Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio « alla fine, nei giorni
nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo
eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di
Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini », «
parla le parole di Dio » (Gv 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr.
Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso
della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i
miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello
Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che
cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna.
L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da
aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro
Gesù Cristo (cfr. 1 Tm 6,14 e Tt 2,13).
Le verità rivelate
6. Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua
volontà riguardo alla salvezza degli uomini, «per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che
trascendono la comprensione della mente umana ».
In questo primo capitolo della Costituzioni troviamo descritta l’opera e la
progressione della Divina Rivelazione di Dio. Qui c’è tutta la storia della Salvezza.
Torneremo sul Documento quando lo tratteremo nello specifico.
Dio si auto-rivela per far conoscere se stesso e non solo le sue opere. Ammettere l’uomo
nella sua amicizia.
La “salvezza” secondo la categoria della “comunione”. Ecco perché ci vogliono due
interlocutori!. Il fine della Riv. è dunque la comunione con Dio e di tutto il genere umano.
Germe, segno, lievito, di tutto questo è la Chiesa (Ecclesiologia).
Da questo si capisce che il cristianesimo non è una dottrina, ma una relazione!
Questo piccolo “assaggio” mi sembra importante per gustare il nostro percorso.
CAP II
Detto questo, ora, vediamo quali sono (secondo punto del nostro percorso), nella
Bibbia, i principali verbi della rivelazione. Perché l’esperienza di Dio non è nel
sostantivo, ma nel verbo.
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Anzitutto il verbo galah – rivelare, nella sua eccezione del vedere e dell’udire, cioè: fare
vedere, aprire gli occhi, o far udire, aprire l’orecchio di qualcuno. Vi sono nella Bibbia testi
dove appare l’aspetto visivo e alcuno quello uditivo.
Per. es. si parla di “aprire gli occhi”o “aprire l’orecchio” allo scopo di far capire, di far
comprendere. Il contenuto della rivelazione è quindi ciò che Dio fa per Israele e questo,
come afferma Is 52, 15, o in 1 Gv, si può vedere, percepire, annunciare e credere.
Visioni e audizioni: ma, il Dio che si mostra è sempre il Dio nascosto. Dio è sempre
mistero, è sempre al di là. Lui – direbbe Isaia – sovrasta i nostri pensieri. Israele ha corso il
rischio dell’idolatria, di farsi, cioè, “immagini” di Dio, ma l’unica immagine di Dio è
l’uomo! Il popolo di Dio, ecco l’immagine di Dio.
Dio si pone di fronte all’uomo perché questi ascolti e veda la sua parola e accogliendola
con fedeltà, renda storicamente possibile la propria salvezza.
Poi abbiamo il verbo rà’ah – apparire, per es. in Es 3,2 viene descritto con precisione il posto
in cui arriva Mosè e poi si dice: Gli apparve un angelo in una fiamma di fuoco dal
mezzo di un roveto. L’apparizione è legata ad un luogo.
Ed infine, il verbo jadà – far conoscere – darsi a conoscere (cfr. Sal 9; 48; 77; 88).
Tutti questi verbi indicano un incontro, una storia, un rapporto tra Dio e l’uomo o il
popolo che si realizza nell’ambito della storia e ha un carattere salvifico.
La Bibbia non conosce mai nomi astratti di Dio, ma ne enumera le opere. Quello che la
Bibbia dice di Dio lo dice con dei verbi, non con dei sostantivi (come la tradizione
occidentale, che con l’aiuto della speculazione filosofica e teologica ha cercato di
comprendere Dio con le definizioni: sommo bene, essere perfettissimo, immutabile,
assoluto ecc). Questi verbi riguardano le grandi opere con cui Dio ha visitato il suo
popolo. Sono verbi come creare, promettere, scegliere, eleggere, guidare, nutrire. Si
riferiscono a ciò che Dio ha fatto per il suo popolo (Card. Martini). Dio si conosce a partire
da una esperienza concreta.
Il paradosso della impronunciabilità del nome di Dio.
La Scrittura non parla solo della manifestazione di Dio, ma ribadisce al tempo stesso e a
più riprese la sua invisibilità, il suo perdurare carattere si mistero.
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Visibili sono solo i segni o le mediazioni della sua presenza: il roveto che brucia (Es 3, 2);
la colonna di nube (Es 13, 21). Mosè può vedere “di spalle” Dio. Lui, Mosè, che voleva
vedere il suo volto, Dio gli dirà: Tu non potrai, perché nessuno può vedermi e restare
vivo (Es 33, 20).
Cioè, l’uomo non può impossessarsi di Dio. Quello che di Dio si vede è la sua Voce, la sua
Parola, cioè, i suoi interventi nella storia. Mosè dirà a Dio: ma, come ti chiami.
Il mio nome è: io mi rivelerò, mi farò vedere. Questo è il mio nome!
Questo lo vediamo anche nel N.T. quando Gesù parla del Regno dice che è “come”, che è
“simile”. O quando vediamo Gesù che non si lascia inquadrare da una certa religione.
Lo vedremo meglio quando parleremo della Riv. nel N.T.
La scrittura, in particolare l’A.T., conosce due dominazioni di Dio: El e Yhwh. La prima più
arcaica. Nome in uso anche nelle altre religioni.
Il primo nome lo troviamo arricchito da vari epiteti (Dio vivente – Dio altissimo – Dio
onnipotente – Dio geloso.
Ma quando Dio (El) appare ad Abramo, sotto il nome di Dio di Israele, promette una
discendenza. Si presenta come un Dio di appartenenza; un Dio a favore di. Ecco perché
porterà il nome dì.
Tuttavia El non è conosciuto come il vero Dio di Israele, se non quando Dio si rivelerà al
suo popolo con il nome di Yhwh : Io sono colui che sono; io sono colui che si rivelerà; che si
manifesterà. Ecco il “nome” di Dio. Questo nome indica la garanzia della vicinanza di Dio
e della sua benevolenza. E’ un nome che non definisce l’essenza di Dio, ma un nome che
rinvia alla storia: Io sono per voi! ecco perché l’uomo non lo può nominare, non lo può
tenere in pugno. Il secondo comandamento ne fa divieto. Non si può pronunciare senza
che questo nome sia vicinanza, presenza. Altrimenti sarebbe un nominarlo invano!
«C’è un “differimento” del senso del nome inscritto nella sua impronunciabilità: questo
differimento non è quello apofatico dell’ineffabile, ma quello della promessa di una
presenza che apre sempre di nuovo lo spazio per l’incontro col Dio che elegge e che
salva»2.
In conclusione, la Scrittura non si preoccupa di dare una dottrina su Dio, ma piuttosto di
incontrare l’Io divino nella sua manifestazione storica.
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G. COZZI, Dio ha molti nomi, 2010, 53.
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CAP III
O Dio, che nel tuo Figlio fatto uomo ci hai detto tutto e ci ha fato tutto, poiché nel disegno
della tua provvidenza tu hai bisogno anche degli uomini per rivelarti, rendici testimoni e
annunciatori della tua Parola che salva. Amen
Il cristianesimo come “religione” di rivelazione.
Solo un accenno alla questione.
La scienza delle religioni, o la teologia delle religioni, parlano di religione – di
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rivelazione quando il centro vitale di una religione è determinato dall’azione esplicita e
originaria di Dio. Dio prende l’iniziativa. Questa rivelazione prima si manista ad uno o a
un gruppo, che in seguito la testimoniano ad altri. Vedi Abramo – Mosè – i profeti – il
popolo di Israele – la Chiesa. Nel Cristianesimo la specificità sta nel fatto che in esso il
mezzo di rivelazione non è un insegnamento o uno scritto, ma un uomo concerto: Gesù di
Nazaret e il contenuto di questa rivelazione è la creazione di una nuova comunione di vita
con Dio che vice la morte perché Dio è immortale3.
Questo argomento meriterebbe una ulteriore trattazione. Non ci addentriamo in essa.
Un “ordine” nella rivelazione (storia della Salvezza).
Nella storia della Rivelazione troviamo delle costanti nel modo libero di agire di Dio.
Costanti che sono delle “leggi” osservate da Dio in piena libertà, ma che ci fanno
comprendere che il suo agire – il suo Rivelarsi – non è caotico, confusionario, ma sapiente,
che persegue con intelligenza in suoi scopi con armonia.
Alcuni esempi più comuni:
1. la suprema legge della Rivelazione è che Dio è amore. Dio agisce per amore. Dio ha
tanto amato il mondo…
2. la seconda legge è quella dettata dal Mistero della Trinità: tutto viene dal padre, per
mezzo del Figlio nello Spirito, il quale ci unisce al Figlio e ci riconduce al Padre.
3. la sovrana iniziativa di Dio (cfr. Rm 11, 33 – 36).
4. la quarta legge è il rispetto e la libertà delle creature. L’Alleanza.
5. la legge della salvezza in una comunità (Israele e Chiesa)
6. la legge della incarnazione.
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Cfr. AA.VV, Corso di Teologia fondamentale 2, Trattato sulla Rivelazione, Queriniana 1990, 13- 15.
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7. la legge della mediazione – sacramentalità della Chiesa.
8. la legge della gradualità e della pedagogia. L’uomo è un essere educabile.
Ancora nello specifico: quali le tappe della Rivelazione?
(qui vi rimando al CCC4 che immette progressivamente le fasi che segnano l’economia
della rivelazione). Dalla rivelazione nella creazione fino alla manifestazione in Gesù
Cristo.
Vediamo tre grandi passaggi o tappe: la rivelazione attraverso la creazione; attraverso la
storia di Israele e poi in Gesù nella pienezza dei tempi. Una Rivelazione che si è conclusa
ma che non è stata ancora pienamente manifestata. E’ come un seme piantato che pian
piano si sviluppa e cresce. C’è sempre una maggiore comprensione del Dato rivelato5.
La creazione è posta come lo scenario su cui porre la prima rivelazione di Dio. E’ l’atto
iniziale, ma anche atto permanente nella storia fino alla fine dei tempi, quando tutto sarà
ricapitolato in Cristo (cfr. Ef 1, 10; Col 1, 16). La creazione è un atto in fieri, l’universo è
aperto ad un compimento. Attraverso la creazione, infatti, l’uomo ad ogni stadio della sua
storia può verificare la costante presenza creatrice di Dio. Lo ricorda il Canone I della
Messa: Tu, o Dio, crei e santifichi sempre, fai vivere, benedici e doni al mondo ogni bene.
La rivelazione tramite il cosmo, permette di riconoscere , anzitutto, che tutto è dono
gratuito di Dio e che Egli è all’origine di ogni cosa. Lo dice chiaramente il profeta Isaia: Io
ho fatto la terra e su di essa ho creato l’uomo; io con le mani ho disteso i cieli e do
ordine a tutte le schiere (45,11).
L’Alleanza anzitutto con Noè. Egli è figura di una alleanza per tutte le nazioni. La figura
di Noè è particolarmente significativa, egli è assunto come prototipo dell’uomo giusto che
fruisce della salvezza nonostante il peccato. Il suo nome significa “attesa”. Egli è segno di
consolazione. Diventa segno concreto dell’intera umanità con la quale Dio si riconcilia
sempre: Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, né colpirò più ogni vivente come
ho fatto (Gn 8, 21).
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Cfr. Commento di mons. Rino Fisichella.
Ad es. c’è tutto un linguaggio che va adattato ai tempi per una maggiore comprensione. Si pensi, ancora,
alla riflessione biblica e teologica che sono sempre in evoluzione e mai definite una volta per tutte.
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L’universalità di questa alleanza fatta con Noè rimarrà nella storia come il segno della
pazienza di Dio e della misericordia di Dio: Ora è per me come ai giorni di Noè, quando
giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non
adirarmi più con te e di non farti più minacce (Is 45, 9).
E’ anche memoria costante che un “resto” di Israele sarà in ogni caso pronto ad assumersi
la responsabilità di essere pater di una alleanza con Yhwh.
La figura di Abramo è quella dell’uomo chiamato da Dio per compiere una alleanza che si
sarebbe trasmessa per intere generazioni. Messo alla prova, ma colmato di benedizioni,
Abramo risponde con l’abbandono fiducioso e totale a Dio. In Abramo Dio rende visibile il
primo abbozzo di questa benedizione. Se in Noè la benedizione di Dio poteva avere i tratti
generici, in Abramo essa diventa concreta e finalizzata all’uomo credente.
Rivelando, poi, a Mosè, il suo Nome, Dio indica il progetto della sua rivelazione: salvare
Israele e condurlo nella terra dove scorre latte e miele (Es 3, 16). Il popolo risponde a Dio
con la fede. Con l’Alleanza a Mosè, la rivelazione esprime uno dei tratti essenziali delle
sue finalità: il disegno che Dio ha di riunire a sé tutto gli uomini realizzando una
comunità, depositaria della sua promessa e capace di mettere in pratica il comando di
giustizia e di amore.
Nonostante il peccato e il tradimento, l’amore di Dio e la fedeltà alla sua parola
mantengono il primato. Il tempo del fidanzamento sta per ritornare (Os 2). Israele tornerà
ad essere per sempre la sposa del Signore.
Infine Cristo Gesù. Con la presenza di Gesù nella storia, Dio ha visitato il suo popolo e
adempiuto alla sua promessa. La rivelazione in Gesù è sintesi piena di tutto l’agire di Dio
nella storia, perché Dio stesso prende parte della natura umana. Nessuno meglio di Lui, di
Gesù, poteva esprimere meglio il mistero di Dio: chi vede me vede il Padre (Gv 14, 9).
La manifestazione di Dio nelle altre religioni.
Il pluralismo religioso è senza dubbio una grande sfida per il cristianesimo, a livello
teologico e pastorale. Una sfida più radicale dell’ateismo. Bisogna prendere atto di questa
realtà: esistono altre religioni, come considerarle alla luce del vangelo e della riflessione
teologica? Cosa dice il Vaticano II in proposito?
A noi qui basta accennare al problema.
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Partiamo, ripeto, solo per sfiorare il problema e giungere alle “conclusioni” del Vaticano II.
Con il termine “rivelazione” si intende designare l’auto - comunicazione di Dio,
testimoniata dalla Scrittura, che si realizza nella storia e che giunge in pienezza in Gesù
Cristo. Solo in Gesù si da – dice il Concilio – l’auto comunicazione di Dio (DV, 2). Così
Gesù non è solo l’occasione privilegiata di una conoscenza di Dio che potremmo
conseguire anche senza di Lui, ma la sua umanità, la sua vicenda, costituiscono il mezzo
della conoscenza del vero Dio (cfr. 1 Tm 6, 14; Tt 2, 13).
Solo Cristo, infatti rende possibile la perfetta intelligenza anche di tutte le esperienze
religiose dell’umanità. Si può affermare che dove c’è una genuina esperienza religiosa è
sicuramente il Dio rivelato in Gesù a entrare maniera nascosta, segreta, misteriosa, nella
vita degli uomini.
Una certa riflessione teologica ha dato l’ipotesi di un’unica rivelazione divina universale
percepita in modi diversi nelle varie religioni.
Contro questa deduzione ha preso posizione la Dichiarazione Dominus Iesus dove al n. 6
afferma: «E’ contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere limitato, incompleto e
imperfetto della rivelazione di Gesù che sarebbe complementare a quella presente nelle
altre religioni […]». E al n. 23 si afferma […].
Quali le “conclusioni” del Concilio?
La Dei Verbum non fa accenno alla questione.
La Gaudium et spes al n. 22 afferma che la vocazione di tutti gli uomini è quella divina e che
Dio da a tutti la possibilità di venire a contatto col Mistero Pasquale in modo misterioso.
La Nostra aetate al n. 2 dice che la Chiesa non rigetta nulla di quanto e di vero è presente
nella altre religioni e che riflettono un raggio della verità di Dio.
L’Ad gentes al n. 7 dice che Dio attraverso vie note solo a lui porta gli uomini di altre
religioni, che senza colpa ignorano il vangelo, alla fede.
Ed infine Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio afferma che le altre religioni sono una
sorte di preparazione al vangelo. Si parla, quindi, non di rivelazione ma di
“illuminazione”.
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Ritorniamo all’esperienza del credente.
L’esperienza biblica della manifestazione nella creazione e nella storia.
La Rivelazione di Dio ha delle risonanze, degli atteggiamenti che coinvolgono tutta la
persona.
La meraviglia o lo stupore – il senso del mistero – il timore – la percezione della Gloria.
La meraviglia o stupore.
Sono ciò che più di ogni altra cosa caratterizza l’atteggiamento dell’uomo credente nei
confronti della creazione e dell’esperienza con Dio.
Vi propongo alcuni brani biblici: il salmo 8 che come uno sviluppo di Gn 1, 26. Il sl 19 e
146, il sl 118: ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostro occhi. O il sl. 139: ti rendo
lode sono stato formato in modo stupendo. O l’esperienza di Mosè davanti al roveto
ardente (Es 3).
La meraviglia nel tempo del disincanto! Lo stupore nel tempo delle ovvietà e del vuoto!
Il senso del mistero.
Il sl. 18: pose intorno a sé le tenebre come suo velo e come una tenda.
Gb 36: Dio è grande e noi non lo possiamo conoscere.
Is. 55: i miei pensieri non sono i vostri pensieri..le mie vie non solo le vostre…
Il mistero non è sinonimo di ignoto, ma qualcosa che si manifesta progressivamente e che
ci supera grandemente.
Il timore.
E’ quel senso di umiltà che nasce dall’incontro con Dio. Non è certo la paura, ma un senso
di penetrazione di un mistero più grande di noi.
La percezione della gloria.
La gloria è la presenza di Dio. Dare gloria significa dare “peso” a questa presenza. Dare
importanza. La gloria di Dio è la sua misericordia. Tutta la terra è piena della gloria di Dio,
significa che tutta la terra è piena della sua presenza misericordiosa.
La “gloria” è la percezione della Sua presenza.
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