Ricorso Tar Lazio - Associazione Nazionale Avvocati Italiani

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Ricorso Tar Lazio - Associazione Nazionale Avvocati Italiani
STUDIO LEGALE
Avv. MAURIZIO de TILLA
Via A. Gramsci 36, fab. 13/02 – 00197 ROMA
Tel. 06 32652718 Fax 06/32506413
PEC: [email protected]
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
Sezione di Roma
ATTO DI INTERVENTO AD ADIUVANDUM
Per: il Comune di Scalea, in persona del Sindaco p.t., dott. Pasquale Basile,
con sede in Scalea (CS) alla via Plinio il Vecchio, 1. rapp.to e difeso giusta
procura a margine dall’avv. Maurizio de Tilla - C.F.: DTL MRZ 41D06
F839Z – P.IVA: 01006590630 – il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al seguente indirizzo PEC [email protected] legalemauriziodetilla.it - o al numero di Fax 081 – 7642418, con il quale el.te domicilia in Roma alla via A. Gramsci, 36;
interveniente
nel procedimento promosso con ricorso
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA, con sede
in Roma, via Giuseppe Gioachino Belli, n. 27 in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. MAURIZIO DEL TILLA (c.f. DTL
MRZ 41D06 F839Z) il quale agisce anche in proprio;
PROCURA
Avv. MAURIZIO DE TILLA
Vi delego a rappresentarmi e
difendermi nel giudizio di cui
al presente atto in ogni fase e
grado, anche di impugnazione,
nella esecuzione, nelle opposizioni, con tutte le facoltà di
legge, ivi comprese quelle di
redigere e sottoscrivere ricorsi,
atti di citazione, rinunziare al
giudizio, accettare rinunzie,
spiegare domanda riconvenzionale, integrare il contraddittorio, chiamare terzi in causa, proporre nei confronti di
terzi autonome domande, deferire giuramento decisorio, transigere, conciliare, rilasciare
quietanza, nominare sostituti,
incassare somme, eleggere
domicilio. Autorizzando e consentendo il trattamento di dati
sensibili ai sensi degli artt. 10 e
13 della legge sulla privacy.
Dichiaro, altresì, di essere stato
informato compiutamente ed
in maniera dettagliata sulla
possibilità di accedere preventivamente
alla
mediazione/conciliazione ai sensi del
Decreto Legislativo n. 28 del
04.03.2010 e dei benefici fiscali
di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto. Eleggo domicilio presso il suo studio in Roma
alla Via Gramsci A. 36, fab.
13/02.
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore Avv. MAURO VAGLIO, ORDINE DEGLI
AVVOCATI DI NAPOLI, in persona del Presidente e legale rappresentante
pro
tempore
Avv.
FRANCESCO
CAIA,
COORDINAMENTO
NAZIONALE DEGLI ORDINI FORENSI MINORI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. SALVATORE WALTER
POMPEO, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ARIANO IRPINO, in persona
del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. CARMINE
MONACO, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LUCCA, in persona del Pre-
Dichiaro vera ed autentica la
firma
sidente e legale rappresentante pro tempore Avv. ALESSANDRO
GARIBOTTI, ORDIRE DEGLI AVVOCATI DI LUCERA, In persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. GIUSEPPE
AGNUSDEI; ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MELFI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. GERARDO DI CIOMMO,
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MISTRETTA, in persona del Presidente e
legale rappresentante pro tempore Avv. SALVATORE PORRACCIOLO;
Avv. EUGENIO PASSALACQUA, consigliere dell’Ordine degli Avvocati
di Mistretta, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MONTEPULCIANO, in
persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. PAOLO
TIEZZI MAESTRI, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI, in persona
del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. FRANCESCO
CAIA, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ORVIETO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. SERGIO FINETTI,
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SALA CONSILINA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. MICHELE MARCONE,
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI, in
persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. BRUNO
SALZARULO, ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SULMONA, in persona
del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. GABRIELE
TEDESCHI;
tutti rappresentati e difesi dall’Avv. ANTONINO GALLETTI (c.f.
GLLNNN7OS23H5O1
e
- PEC antoninogalletti@ordineavvocati
roma.org) ed elettivamente eletti presso il suo studio in Roma alla Via Lucrezio Caro n. 63;
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ricorrenti
Contro: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro e legale rappresentante pro tempore, domiciliato per legge presso l’Avvocatura
Generale dello Stato in Roma alla Via dei Portoghesi n.12;
resistente
per l’annullamento, previa tutela cautelare,
a. della circolare del 15. 10.2012 (prot. n. 5116 doc. 1) Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria del Personale e dei
Servizi, Direzione Generale del Personale e della Formazione recante
l’invito ai Presidenti delle Corti d’Appello e delle Procure delle Repubbliche
interessati dalla riorganizzazione degli uffici giudiziari di cui ai D. Lgs. 155
e 156 del 7.9.2012, ad indire congiuntamente “… un interprello tra tutto il
personale in servizio negli uffici interessati alla soppressione ...”, nonché
b. di tutti gli atti antecedenti e/o conseguenti ed esecutivi a quelli esplicitamente impugnati, ivi incluse, le note di diramazione e comunicazione delle
Corti di Appello interessate.
***
Con il presente atto interviene in giudizio il Comune di Scalea per sostenere
le ragioni di doglianza dei ricorrenti.
Il Comune di Scalea ha interesse a dispiegare intervento ad adiuvandum in
quanto sussiste l’interesse dell’Amministrazione Comunale, quale soggetto
esponenziale degli interessi dei cittadini tutti, come indicato espressamente
all’art. 48-bis O.G..
Va, pertanto, affermata la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere del
Comune di Scalea, in quanto, a sensi dell’art. 3, corna 2, D.Lg.vo n.
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267/2000, il Comune rappresenta la propria comunità, nella cura dei suoi interessi e nella promozione del suo sviluppo, e fra gli interessi del Comune
risulta compreso anche quello di cui è causa, finalizzato al mantenimento del
contenzioso presso la Sezione distaccata di Scalea, circondariato del Tribunale di Paola, nel proprio centro abitato, mentre il provvedimento impugnato
produce sicuramente effetti diretti ed indiretti nei confronti degli abitanti del
Comune medesimo (v. sentenza n. 578/2012 del TAR Basilicata, proposto
dal Comune di Pisticci v. allegato).
La giurisprudenza costante afferma sul punto che «gli enti territoriali sono,
per norma costituzionale, attributari di poteri generali di tutela degli interessi
rilevanti per la collettività stanziata ...> e ad essi <è stata assegnata la funzione di cura concreta degli interessi della collettività di riferimento> (Cons.
Stato, Sez. IV - sentenza 9 dicembre 2010 n. 8686.]
Quanto alle ragioni dell’intervento, si aderisce in toto ai motivi di gravame
proposti dai ricorrenti col ricorso introduttivo, da intendersi qui integralmente riprodotti.
In questa sede, con riserva di più ampiamente argomentare in prosieguo di
giudizio, saranno nel prosieguo dell’atto indicati i profili relativi alla organizzazione giudiziaria della sezione distaccata di Scalea ed alla necessità
della permanenza della stessa nonché i profili di illegittimità costituzionale
della legge di delega (art. 1, comma 2, 1. n. 148/2011) e del decreto legislativo delegato (D.Lgs. n. 155/2012) su cui si fondano i provvedimenti impugnati.
Si premette quanto segue
1. Il provvedimento impugnato interviene sull’intera organizzazione degli
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Uffici giudiziari conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie
derivante dalla prevista soppressione di 31 Tribunali (con relative Procure
della Repubblica), 667 Uffici di Giudice di Pace e di tutte le 220 Sezioni Distaccate di Tribunale,con conseguente trasferimento del contenzioso, degli
affari, dei fascicoli, dei magistrati e dei dipendenti.
2. La normativa presupposta (sia la legge delega, sia i decreti delegati) sono
palesemente censurabili sotto il profilo della legittimità costituzionale, sia
per violazione della legge delega che per illegittimità della stessa legge delega.
3. I provvedimenti impugnati sono già ora idonei a produrre effetti irreversibili, determinato un pregiudizio grave ed irreparabile in capo ai ricorrenti.
Si deduce quanto segue
I
La Sezione Distaccata di Scalea
La circoscrizione del Tribunale di Paola comprende la sezione distaccata di
Scalea, già sede di Pretura, istituita con il D.Lgs. n. 51/1998.
L’attuale circondario è costituito da n. 16 Comuni e precisamente:
Aieta, Belvedere Marittimo, Bonifati, Buonvicino, Diamante, Grisolia,
Maierà, Orsomarso, Praia a Mare, San Nicola Arcella, Sangineto, Santa Domenica Talao, Santa Maria del Cedro, Scalea, Tortora, Verbicaro.
Il territorio comprende i Comuni dell’Alto Tirreno Cosentino per
un’estensione di competenza pari a Kmq. 548,29 con una popolazione stimata all’1.1.2011 di 62.791 (oltre all’incremento esponenziale pari ad oltre
350.000 abitanti per 4-5 mesi all’anno).
Notevole è il carico giudiziario sia civile sia penale dell’Ufficio Giudiziario
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di Scalea come rilevasi dalla relazione del 13.2.2012 che si esibisce.
In particolare, si fa rilevare che da molti anni sul territorio della Sezione distaccata di Scalea è in atto una notevole espansione edilizia e turistica, nonché di altre attività economiche, con pesanti conseguenze per il lavoro giudiziario, derivante anche dal traffico sulla SS 18 che attraversa per circa 50
Km. la zona di competenza della sezione.
Il contenzioso civile e gli affari penali sono aumentati anche per il ritorno in
sede degli emigrati e per l’esplosione delle presenze dei non residenti che
vanno oltre i mesi estivi per l’elevato numero delle seconde case (solo Scalea conta 26.000 unità abitative).
Il mantenimento della Sezione distaccata è indispensabile nel contesto socio
- economico dell’Alto Tirreno Cosentino, essendo l’unico Ufficio giudiziario
di primo grado dell’intera fascia dell’alto Tirreno della Calabria, per il notevole carico di lavori derivante dalla numerosa popolazione che gravita nel
circondario e che per 4-5 mesi l’anno supera le 350.000 unità.
Sarebbe ingiusto e dannoso costringere i cittadini di un così vasto circondario impegnati quali parti o testi a raggiungere la sede di Paola.
In particolare, Aieta dista 81 Km da Paola, Tortora 78 Km da Paola.
Ben otto dei sedici paesi ricadenti nella circoscrizione facente capo alla Sezione distaccata di Scalea risultano essere paesi montani da cui è difficile
raggiungere la stessa SS 18; inoltre, la paventata soppressione arrecherebbe
notevoli disagi ai cittadini del territorio che sarebbero costretti a raggiungere
per qualsiasi incombenza e per l’aspettativa di una giustizia immediata ed
efficace la sede di Paola, aumentando enormemente i flussi migratori giornalieri su una unica direttrice (la SS 18) già di per se gravata da numerose pro-
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blematiche in termini di viabilità.
Si richiama, quanto alle distanze, il prospetto esibito.
Altro motivo non meno importante riguarda i locali che dovrebbero ospitare
gli uffici soppressi; difatti nell’eventuale sede accorpante non vi sarebbero i
locali idonei ed adatti per assorbire la mole di contenzioso ed i relativi archivi di un ufficio come la Sezione Distaccata di Scalea già di per se notoriamente corposi.
II
Non incidenza della gestione sul bilancio statale
Dalla prevista soppressione della Sezione Distaccata di Scalea non si otterrebbe l’effetto, evidentemente, perseguito dal Governo centrale, ossia il raggiungimento di obiettivi legati al risparmio sulla spesa pubblica, in quanto
nel caso della Sezione Distaccata di Scalea il costo del personale attualmente
in servizio non verrebbe risparmiato (trattandosi, piuttosto, di un mero spostamento del costi), mentre per quel che concerne la struttura che ospita
l’ufficio giudiziario predetto, già di proprietà esclusiva del Comune di Scalea, quest’ultimo per i costi di gestione e mantenimento dello stesso si è dichiarata, pienamente disponibile a rinunciare al (modesto) contributo che il
Ministero della Giustizia prevede annualmente per il suo mantenimento e,
dunque, di farsene carico unitamente agli altri Comuni rientranti nella circoscrizione.
III
IL CONTESTO NORMATIVO
Come è stato puntualmente illustrato nel ricorso introduttivo, l’art. 1, comma
2, L. 14.9.2011, n. 148, in sede di conversione del D. L. 13.8.2011, n. 139,
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conferiva (come si vedrà; in modo improprio) delega al Governo per «riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire
la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di
provincia alla data del 30 giugno 2011;
b) ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari
limitrofi, l’assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi
e omogenei che tengano conto dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell’indice delle sopravvenienze, della
specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d’impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree
metropolitane;
c) procedere alla SOPPRESSIONE OVVERO ALLA RIDUZIONE DELLE
SEZIONI DISTACCATE DI TRIBUNALE, anche mediante accorpamento
ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b);
d) assumere come prioritaria linea di intervento, nell’attuazione di quanto
previsto dalle lettere a), b), c) e d), il riequilibrio delle attuali competenze
territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area
provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni ...”:
In applicazione (per altro erronea) della legge delega, il Governo ha adottato
uno schema di decreto sottoposto alla valutazione delle Commissioni parlamentari.
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In proposito va rilevato che la Commissione Giustizia del Senato (doc. n. 6),
per ciò che qui interessa, prospettava le seguenti considerazioni (che sono
state del tutto ignorate):
“Con riguardo alle sezioni distaccate ubicate in aree montane è indispensabile il loro mantenimento avuto specifico riguardo a sezioni caratterizzate
da un’altimetria media particolarmente elevata, significativi disagi infrastrutturali e difficoltà di collegamento conseguenti anche a fattori climatici
specialmente nel periodo invernale”.
Ciò in relazione alla valutazione che:
“per quanto concerne le sezioni distaccate ubicate in aree montane sia indispensabile il loro mantenimento avuto specifico riguardo a sezioni caratterizzate da un’altimetria media particolarmente elevata, significativi disagi
infrastrutturali e difficoltà di collegamento conseguenti anche a fattori climatici specialmente nel periodo invernale”.
Inoltre, la Commissione Giustizia della Camera (doc. n. 7) evidenziava la
necessità del:
“mantenimento, sempre per un periodo transitorio non superiore a cinque
anni, di quelle sole Sezioni distaccate, anche previo accorpamento, attualmente esistenti che per carico di lavoro riferito alle sopravvenienze, bacino
di utenza, estensione territoriale (in alcuni casi più ampio della sede accorpante), caratteristiche specifiche della collocazione geografica, quale ad esempio l’insularità e le peculiarità delle zone montane o di confine, risultano oggettivamente necessarie per ovviare, soprattutto nella prima fase di attuazione, a disagi organizzativi per la popolazione e funzionali per il servizio giustizia. Sul punto si rinvia alle oggettive indicazioni provenienti dai
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Consigli giudiziari, che si intendono richiamate integralmente».
In sede di adozione del decreto legislativo 7.9.20 12, n. 155 (doc. n. 11), il
Governo ha del tutto ignorato e negletto le puntuali osservazioni delle
Commissioni Giustizia di Camera e Senato ed ha sancito la soppressione di
tutte le sezioni distaccate, stabilendo, all’art. 11, comma 2, che l’efficacia
delle norme avvenisse “decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del
decreto”.
All’art. 9 è stato stabilito che le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici
destinati alla soppressione per una data compresa tra l’entrata in vigore del
presente decreto e la data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2, sono
tenute presso i medesimi uffici. Le udienze fissate per una data successiva
sono tenute dinanzi all’ufficio competente a norma dell’articolo 2.
Fino alla data di cui all’articolo 11, comma 2, il processo si considera pendente davanti all’ufficio giudiziario destinato alla soppressione.
Il decreto legislativo impugnato, dunque, prevedeva anche la soppressione
della Sezione distaccata di Scalea, ma decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso.
IV
L’ATTIVITÀ DEL COMUNE DI SCALEA
Nel corso dell’iter di formazione del decreto legislativo il Comune di Scalea
non rimaneva inerte, ma offriva dati e collaborazione all’approfondimento
delle specificità territoriali.
In particolare, in data 13.02.2012 è stata inviata al Ministero della Giustizia
in persona del Ministro una specifica richiesta di non sopprimere la Sezione
distaccata di Scalea, allegando atti e studi volti a dimostrare l’utilità e la ra-
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gionevolezza dell’esistenza di un edificio giudiziario in tema di
‘NDRANGHETA (come si evince dalla relazione annuale al Senato che si
esibisce).
V
LA QUESTIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ
Nel ricorso introduttivo si sono sollevate una molteplice fondata questione di
incostituzionalità per quel che riguarda la previsione, nella legge di conversione, di una delega al Governo di provvedere alla riorganizzazione della
distribuzione sul territorio degli uffici Giudiziari.
La legge delega manca del tutto del requisito di straordinaria necessità ed
urgenza dichiarata nel preambolo del decreto-legge n. 138 del 2011 che
testualmente recita:
“ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per
la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica al
fine di garantire la stabilità del Paese con riferimento all’eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilità dei mercati e per rispettare gli
impegni assunti in sede di Unione Europea, nonché di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo e la competitività del Paese e il sostegno
dell’occupazione”.
La legge di conversione n. 148 del 2011 si è, infatti, limitata ad introdurre,
ex professo, per la prima volta in sede di conversione, una disciplina —
quella relativa alla riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli
uffici giudiziari — della quale non vi era alcun cenno nel decreto poi convertito con modificazioni se non nella parte che indica il fine del perseguimento delle finalità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
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98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111” e, dunque, ivi si fa rinvio addirittura a quanto previsto da un decreto legge diverso
e, oltretutto, già convertito con altra legge!
Appare, così, evidente, il vulnus inflitto alla norma procedimentale prevista
dalla Costituzione che limita l’adozione del decreto legge ai soli casi di straordinaria necessità ed urgenza e sancisce la perdita di efficacia dello stesso
decreto in caso di mancata conversione parlamentare entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione.
Solo in tal caso (e nella differente ipotesi del decreto legislativo, dove però
la delega parlamentare interviene prima dell’inizio del procedimento di formazione legislativo) è consentito derogare al procedimento legislativo ordinario previsto dall’art. 72 della Costituzione.
L’art. 72, comma 4, Cost., prevede inderogabilmente che la procedura di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata, tra
gli altri, per i disegni di legge di delegazione legislativa.
Ciò significa che il conferimento della delega e la sua approvazione parlamentare deve avvenire secondo i dettami di cui all’art. 72, comma 1, Cost.
(ai sensi del quale “ogni disegno di legge ... è esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale”).
Il medesimo vincolo procedurale è previsto per i disegni di legge di conversione dall’art. 96 bis del regolamento della Camera dei Deputati e dall’art.
35 e 78 del Regolamento del Senato della Repubblica.
Nella fattispecie è quindi palese la violazione non solo dell’iter ordinario di
produzione legislativa (sancito dagli artt. 70 e 72 commi 1 e 4). ma anche di
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quello previsto per la c.d. decretazione d’urgenza (art. 77 comma 2), perché
non sussistono — per espressa dichiarazione del legislatore, che neppure li
ha enunciati con clausola di mero stile! — ragioni di necessità ed urgenza a
sostegno e supporto dell’introduzione, soltanto in sede di conversione, di una
disposizione relativa alla riorganizzazione nella distribuzione degli uffici
giudiziari, del tutto eterogenea rispetto al contenuto del decreto-legge convertito, anzi dichiaratamente (rectius, “confessoriamente”) legata ad altro
decreto-legge (già oggetto di conversione con altra legge).
Trattasi, dunque, di espressa ammissione contenuta nella legge di conversione, che introduce una nuova disciplina (e, propriamente, una delega al Governo a legiferare con successivi decreti legislativi in materia di riorganizzazione della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio), evidentemente estranea all’insieme delle altre disposizioni del decreto-legge
che il primo comma dell’articolo uno provvede a convertire.
Di ciò si sono resi conto anche gli esperti della stessa Assemblea legislativa
al punto che, nel dossier della Camera dei Deputati n. 317 del 8.9.20 12 (Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale), è stato
precisato come il Comitato per la Legislazione ha costantemente ritenuto
che:
“… l’inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale, soprattutto se recanti disposizioni di delega, non appare
corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo
rappresentato da tale tipologia di legge”.
Tant’è che nel Parere reso dallo stesso Comitato per la legislazione nella seduta dell’8.9.20 11, proprio con riferimento al testo della legge 148/2011, è
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stata avanzata la condizione che:
“siano soppresse le disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 - volte a conferire
una delega al governo in materia di riorganizzazione della distribuzione sul
territorio degli uffici giudiziari — in quanto non appare corrispondente ad
un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato dal
disegno di legge di conversione di un decreto — legge, l’inserimento al suo
interno di una disposizione di carattere sostanziale, in particolare se recante
disposizioni di delega, integrandosi in tal caso, come precisato in premessa,
una violazione del limite di contenuto posto dal gia citato articolo 15, comma 2, lett. a) della legge n. 400 del 1988”.
In conclusione, nella fattispecie in esame appare evidente come sia stato
compiuto un vero e proprio “stravolgimento” del sistema delle fonti e di
quello di produzione normativa delineati nella Costituzione, che qui sono
“invertiti” e “piegati” per giustificare esigenze certamente diverse da quelle
di straordinaria necessità ed urgenza che invece sono le sole che legittimano
il ricorso al decreto legge.
La norma che attribuisce la delega al Governo, quindi, deve essere ritenuta
illegittima costituzionalmente, in quanto la sequenza procedimentale disegnata nella Costituzione (decreto legge / legge di conversione) è stata sostituita con la differente sequenza:
decreto legge e legge di conversione che contiene una norma di delega al
Governo a legiferare in futuro in materia del tutto estranea al decreto convertito, ma riferita ad altro e diverso decreto già convertito con altra legge di
conversione I decreto legislativo.
Palese è quindi la violazione dell’art. 72 comma 4 della Costituzione e degli
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artt. 35 e 78 del Regolamento del Senato, laddove una diversa interpretazione legittimerebbe la sovrapposizione di ruoli tra delegante e delegato.
Inoltre,la tecnica legislativa usata nel caso concreto comporta anche una palese violazione “sostanziale” dell’art. 15 della legge n. 400 del 1988 (recante
la disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri) che prevede che i decreti devono contenere norme
d’immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Inoltre, l’art. 15 della predetta legge vieta espressamente al Governo l’uso del decreto-legge per conferire deleghe legislative a se medesimo.
La disciplina dettata dalla legge n. 400 del 1988 ha nel nostro ordinamento
valore “rafforzato” (o almeno peculiare), in quanto i regolamenti interni, sia
della Camera che del Senato, invitano le Camere a verificare il rispetto, da
parte dei decreti-legge, dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente (e perciò dalla L. 400/1988) ed il Capo dello Stato, già in un suo messaggio alle
Camere del 2002, aveva esaltato il valore regolamentare della legge in questione e ne ha chiesto il rigoroso rispetto.
Da ultimo, l’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha richiamato l’attenzione sull’ampiezza e sull’eterogeneità delle modifiche apportate nel corso del procedimento di conversione del decreto - legge 29 dicembre 2010, n. 225 (c.d. “milleproroghe”).
Il Capo dello Stato, nel ricordare i rilievi già ripetutamente espressi fin
dall’inizio del settennato. ha evidenziato che la prassi irrituale con cui
s’introducono nei decreti legge disposizioni non strettamente attinenti al loro
testo si pone in contrasto con puntuali norme della Costituzione, delle leggi e
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dei regolamenti parlamentari, eludendo il vaglio preventivo spettante al Capo dello Stato in sede di emanazione dei decreti-legge.
Non si può, quindi, non condividere l’autorevole Ammonimento Presidenziale secondo il quale:
“questo modo di procedere ... si pone in contrasto con i principi sanciti
dall’articolo 77 della Costituzione e dall’articolo 15, comma 3, della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988, recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari. L’inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso
prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, elude il vaglio
preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti legge. Inoltre, l’eterogeneità e l’ampiezza delle materie
non consentono a tutte le Commissioni competenti di svolgere l’esame
referente richiesto dal primo comma dell’articolo 72 della Costituzione,
e costringono la discussione da parte di entrambe le Camere nel termine
tassativo di 60 giorni”.
Deve, pertanto, riaffermarsi nella sua pienezza il principio costituzionale secondo il quale il potere normativo spetta in via generale al Parlamento e
l’utilizzo del decreto-legge rappresenta una deroga e la legge di conversione
non può riguardare materia estranea al decreto legge.
Ne deriva che l’iter agevolato della legge di conversione appare giustificato
soltanto dalla necessità di convertire in legge disposizioni dettate sul presupposto della straordinaria necessità ed urgenza (e non certo per conferire deleghe al Governo a legiferare in futuro in una materia oltretutto estraneo al
contenuto del decreto legge convertito).
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VI
La sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012
Le indicazioni e i richiami anche giurisprudenziali sin qui riferiti appaiono
vieppiù confermati dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 22 del
2012 che ha definitivamente tacciato d’illegittimità la prassi già oggetto di
censura nei messaggi dei Presidenti Ciampi del marzo 2002 e Napolitano del
febbraio 2011.
La Corte costtuzionale, infatti, ha ritenuto incostituzionali talune disposizioni, evidentemente estranee, aggiunte al testo del decreto legge durante la fase
parlamentare della conversione.
La Consulta ha così definitivamente sancito il c.d. divieto di «assalto alla diligenza” in sede di conversione dei decreti legge e, in particolare, dei decreti
c.d. «milleproroghe, laddove - con la citata sentenza 16 febbraio 2012 - ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, ex art. 77 Cost., dei decreti legge,
anche per effetto di emendamenti introdotti in sede di conversione, che contengono norme spurie che esulano dalla materia trattata e, in particolare, delle norme dei decreti legge “milleproroghe” che finiscono per dettare una disciplina “a regime” di materie o settori.
E, tuttavia, il monito della Corte costituzionale non sembra essere bastato al
legislatore nostrano: con la geografia giudiziaria addirittura la vicenda appare ancora più drammaticamente incostituzionale.
La disciplina estranea ed eccentrica rispetto al testo del decreto legge ed alle
finalità di questo, infatti, non è stata aggiunta al testo del decreto legge medesimo in sede di conversione, ma è stata addirittura INSERITA EX NOVO
NELLA SOLA LEGGE DI CONVERSIONE e la disciplina in questione poi
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pretende anche d’essere legge di delega al Governo per un successivo intervento riformatore!
Il Parlamento ha introdotto nella sede di conversione del decreto-legge un
emandamento il cui contenuto non solo è eterogeneo rispetto a quello del decreto-legge, ma introduce e utilizza uno strumento (quello della delega legislativa) privo dei presupposti della decretazione d’urgenza, che devono essere presenti per le materie contenute nella legge di conversione.
Si ribadisce che la delega per la «geografia giudiziaria” è del tutto estranea
rispetto al testo del decreto legge originario; all’art. 1 co. 2 della legge di
conversione n. 148 del 2011 sono state introdotte disposizioni del tutto disomogenee rispetto al contenuto del decreto originario; il tutto, grazie a un
maxi-emendamento, sul quale il Governo ha posto la questione di fiducia, approvato, rispettivamente dalla Camera il 7.9.2011 e dal Senato il
8.9.2011 e che dispone una delega in favore del Governo da esercitarsi entro
un anno.
Appare così palese la violazione degli artt. 76 e 77 Cost. attraverso
l’utilizzo di un procedimento parlamentare particolare (la conversione
in legge del decreto legge) per raggiungere finalità prive di qualsiasi riferimento all’urgenza del provvedere che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il procedimento legislativo ordinario.
VII
LA ISTANZA DI REMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CORTE
COSTITUZIONALE
A
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Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, 1. n. 148/2011 e del
D.Lgs. n. 155/2012 per violazione dell’art. 77 Cost., che regola la procedura di conversione in legge dei decreti legge.
Tale procedura, infatti, è caratterizzata da un iter del tutto peculiare rispetto
al procedimento legislativo ordinario disciplinato dall’art. 72, 1° co, Cost.
(ed imposto, come detto, dal 40 comma della medesima disposizione per
l’approvazione dei disegni di legge di delegazione legislativa).
E’ sufficiente ricordare, a tal proposito, che il disegno di legge di conversione del decreto legge appartiene alla competenza riservata del Governo che
deve presentano alle Camere il giorno stesso dell’emanazione dell’atto normativo urgente. Anche i tempi del procedimento sono particolarmente rapidi,
giacché le Camere anche se sciolte sono convocate appositamente e si riuniscono entro cinque giorni. In coerenza con la necessaria accelerazione del
procedimento 1 i regolamenti delle Camere prevedono norme specifiche, mirate a consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di
sessanta giorni.
Si tratta di ritmi di procedura che non consentono, secondo una interpretazione di buona fede che vale anzitutto per le norme costituzionali, modifiche
sostanziali e, tanto meno, nuovi inserimenti, ma, al più, correzioni di errori o
aggiustamenti tecnici.
In questo senso si è del resto pronunciata la stessa Corte Costituzionale, la
quale, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dei poteri parlamentari di emendamento esercitabili in sede di conversione di un decreto
legge, ha precisato, da un lato, che pure le norme aggiunte in sede di conversione devono essere caratterizzate dai presupposti di necessità ed ur-
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genza richiesti dall’art. 77 Cost. (sent. n. 171/2007) e, dall’altro, che le
norme aggiunte devono essere comunque omogenee per contenuto e finalità al testo del decreto legge convertito (sent. n. 22/2012).
Nel caso di specie sono stati ignorati entrambi gli insegnamenti della
Consulta. Da un lato, infatti, il conferimento della delega legislativa sulla
revisione della geografia giudiziaria in sede di conversione di un decreto
legge non può dirsi caratterizzata da necessità ed urgenza: innanzitutto, per
ragioni di carattere testuale, poiché le ragioni di urgenza poste a base del decreto legge convertito (d.l. n. 138/2011) non sono ripetute nella legge di
conversione (1. n. 148/2011), la quale, anzi, si limita a richiamare le finalità
di un precedente decreto legge (d.l. n. 98/2011), già oggetto di conversione
con altra legge (1. n. 11/2011); in secondo luogo, e soprattutto, per ragioni di
ordine logico e concettuale, poiché l’urgenza del provvedere non si concilia
con la previsione di una delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. L’attribuzione di una delega legislativa, in altri termini, esclude di per
sé l’urgente necessità di disciplinare la materia delegata e, pertanto, non può
trovare spazio in una legge di conversione di un decreto legge.
Dall’altro lato, la delega alla revisione della geografia giudiziaria è norma
eterogenea, del tutto slegata rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto
legge convertito, dovendosi pertanto denunciare l’uso improprio da parte del
Parlamento di un potere che la Costituzione gli attribuisce con speciali modalità di procedura allo scopo tipico di convertire o non in~eg~e un decreto
legge.
B
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Illegittimità costituzionale dell’ad. 1, comma 2, 1. n. 148/2011 per violazione dell’art. 76 Cost. in virtù della genericità dei principi e criteri direttivi stabiliti nella legge di delegazione, al punto che, come è stato osservato dal prof. Giuseppe Verde, l’evanescenza dei principi e criteri direttivi
consente al Governo l’esercizio della funzione di legislatore riservata al Parlamento, specie in materia di organizzazione giudiziaria, ai sensi dell’art.
108 Cost..
Infatti, secondo l’art. 1 della legge di delegazione 148/11 alla lettera a) il criterio è quello di ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, conservando
quelli del Tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data 30 giugno 2011. Il che significa carta bianca per tutti i Tribunali
non capoluogo di provincia e conservazione delle attuali sedi provinciali di
Tribunale come Isernia che conta circa 30.000 abitanti contro altri ben maggiori comuni sedi di Tribunale e non capoluogo di Provincia.
Alla lettera b) il criterio allarga il potere ma non lo definisce, consentendo di
ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari
limitrofi, l’assetto territoriale degli uffici giudiziari. Il che significa addirittura smembramento di circoscrizioni. Alla lettera c), poi, per quel che riguarda
gli uffici requirenti non distrettuali, si consente addirittura di accorparli indipendentemente dall’accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo che
l’ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più
tribunale e che l’accorpamento sia finalizzato a esigenze di funzionalità ed
efficienza; e qui c’è da domandarsi come si realizzi l’efficienza e non la confusione con questo tipo di accorpamento.
Alla lettera d) per le sezioni distaccate la soppressione è carta bianca, con-
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sentendosi anche l’accorpamento ai Tribunali limitrofi sulla base dei criteri
di cui alla lettera b) dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti,
dei carichi di lavoro etc. Apprezzamento sostanzialmente politici di competenza del legislatore.
Non si capisce poi come alla lettera e) possa parlarsi di criterio potendosi assumere come prioritaria linea di intervento, nell’attuazione il riequilibrio
delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di
dimensioni.
Alla lettera f) si dice, sostanzialmente, che ogni distretto di corte d’appello,
comprese le sezioni distaccate comprenda non meno di tre Tribunali con relative procure della Repubblica, dove non si vede dove sia il limite perchè
una Corte d’appello con meno di 3 tribunali sostanzialmente non sarebbe tale, almeno nell’ordinarietà della nostra esperienza.
Quanto al personale poi nulla si dice perché alla lettera g) si ripete del notissimo criterio del trasferimento dei personale insieme alle funzioni negando
alla lettera h) che questo trasferimento costituisca trasferimenti ad altri effetti; ma si è sempre ritenuto in simili casi l’abbinamento tra passaggio nelle
funzioni e del personale. Alla lettera i) si attribuiscono alla competenza del
Ministro della Giustizia le modificazioni delle piante organiche del personale della magistratura e qui non si sa cosa ne penserà il Consiglio superiore,
della Magistratura stante il disposto dell’art. 105 Cost..
Alla lettera 1) si prevede la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, e anche qui poco o nulla si vincola
l’azione del governo.
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Alla lettera m) prevede che il personale amministrativo in servizio presso gli
uffici soppressi del giudice di pace venga riassegnato in misura non inferiore
al 50% presso la sede del Tribunale o di procura limitrofa e la restante parte
presso l’ufficio del giudice di pace presso cui sono trasferite le funzioni delle
sede soppresse. E anche qui ci troviamo, in presenza di un fatto di parallelismo di trasferimento di funzione e personale meno che per la utilizzazione
della metà del personale degli uffici del giudice di pace presso le sedi di Tribunale o procura per conservare loro il posto di lavoro.
Finalmente alla lettere o) e p) ci si ricorda dell’art. 5 della Cost. (sulla cui
violazione si tornerà subito infra) ma solo per gli uffici del giudice di pace,
legittimando gli enti locali a chiederne la conservazione, mentre questa facoltà non è prevista per l’accorpamento delle sedi di Tribunale.
Alla lettera q) poi si dice che dall’attuazione delle norme delegate non devono derivare nuovi o maggiori oneri finanziari e non si vede come una previsione del genere possa ritenersi realistico pensando alle spese di attuazione
dell’accorpamento.
C
Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, 1. n. 148/2011 e del
D.Lgs. n. 155/2012 per violazione dell’art. 5 Cost., perché secondo detta
norma la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione all’esigenza dell’autonomia e del decentramento.
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Ora, in Italia esistevano fino agli anni ‘90 Preture, Tribunali e Corti
d’Appello, oltre che la Corte di Cassazione, per quel che riguarda l’autorità
giudiziaria ordinaria cui si riferisce l’impugnato decreto delegato.
Il decentramento dell’amministrazione giudiziaria era sostanzialmente realizzato attraverso le Preture, che avevano come circoscrizione il mandamento, comprendente o grandi comuni o un certo numero di piccoli comuni, secondo le condizioni geografiche e le Preture erano oltre 1000.
Con la 1. 19/2/98 n. 51 furono attribuite ai tribunali le cause pendenti davanti ai Pretori e furono create laddove vi erano le Preture le sezioni distaccate
di tribunale che in certo modo conservavano il decentramento giudiziario ed
offrivano il vantaggio di unificare i giudici di primo grado, migliorando, sotto il profilo della certezza della competenza, l’accessibilità della giustizia al
popolo.
Attualmente, con l’accorpamento delle sedi giudiziarie distaccate nei tribunali preesistenti, che questa poi è la sostanza della modifica, non si vede che
fine abbia fatto la metodologia del decentramento in sede di organizzazione
giudiziaria, e quello che è peggio è che si è dimenticato il significato della
presenza decentrata della giustizia sul territorio dello Stato ai fini della aggregazione delle formazioni sociali e dell’efficacia della stessa resa del servizio giustizia, che ora sempre più si va allontanando sia per gli accorpamenti degli uffici, che vengono unificati nei grandi uffici e nelle città di grandi e
medie dimensioni, sia per gli aumentati costi della giustizia e, peggio ancora,
per la costruzione del sistema delle impugnazione riducendo i poteri del giudice di appello, introducendo sostanzialmente una fase di admittatur sia per
l’appello che per la cassazione e, nello stesso tempo, allontanando dal foro i
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giudici di primo grado. Il che si traduce in un sostanziale peggioramento del
servizio giustizia ed in una palese violazione dell’art. 5 Cost. per quanto prevede il decentramento dei servizi che dipendono dallo Stato, quale appunto il
servizio giustizia.
D
Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, 1. n. 148/2011 e del
D.Lgs. n. 155/2012 per violazione degli artt. 3, 24 e 25 Cost., che garantiscono a tutti, in condizioni di eguaglianza di fatto, e non solo a tutti i cittadini delle città medie e grandi, il diritto di agire in giudizio per la tutela di
qualsiasi interesse giuridicamente rilevante e a non essere distolti dal giudice
naturale, accordando come diritto inviolabile la difesa di ogni stato e grado
del procedimento, ed assicurando ai non abbienti i mezzi per agire davanti
ad ogni giurisdizione.
Va ancora una volta precisato che l’accorpamento degli uffici in sedi distanti, in genere città grandi e medie, crea una situazione di diseguaglianza per
chi vive in piccoli centri, ambienti limitati e non è abituato ad accedere ad
uffici lontani, praticati da professionisti altrettanto lontani e che appaiono estranei.
La stessa assenza degli operatori di giustizia dai piccoli centri per effetto
dell’accorpamento, peggiora le condizioni di vita sociale di quanti chiedono
giustizia e che finiscono col rinunciare alle azioni, che pure a loro spetterebbero, in quanto le vedono collocate in un ambiente non solo lontano, ma che
sentono estraneo.
In ragione di tutto quanto sopra esposto, ci si associa alle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale dai ricorrenti ai sensi
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dell’art. 1, 1. cost. n. 1/1948 e dell’ari. 23 della 1. n. 57/1983.
La non manifesta infondatezza di tali questioni emerge chiaramente da quanto si è sopra evidenziato.
Analogamente, è pacifica la rilevanza di tali questioni nel presente giudizio,
dal momento che la legittimità degli atti impugnati deve essere valutata alla
luce dei citati provvedimenti legislativi incostituzionali.
E
L’incostituzionalità dell’art. 1 comma 2 della legge dì conversione e di
delega n. 148 del 2011.
Sono stati acutamente evidenziati diversi profili d’irragionevolezza e irrazionalità del contenuto della disposizione citata la quale, da un lato, ha convertito in legge il DL 138/2011, con norme che rimettono ad un redigendo
documento l’individuazione dei settori e delle modalità del risparmio e,
dall’altro, ha assegnato al Governo una delega per la riorganizzazione del
settore giustizia.
Il DL 138/2011 (come modificato dalla L. 148/2011) già pone un procedimento di revisione integrale della spesa pubblica che concerne anche la «razionalizzazione dell’organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete” e la previsione dell’ampia delega sulla geografia giudiziaria prescinde completamente da quel procedimento previsto e
disciplinato dalla stessa L. 148/2011 (e da questa introdotto nel DL
138/2011).
Anche lo scopo del previsto risparmio della spesa pubblica appare irrazionalmente perseguito con la previsione di risparmi per “soli” 76 milioni di euro, laddove sono facilmente ipotizzabili costi diretti e indiretti ben maggiori
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derivanti dall’operazione attuata con la chiusura d’ogni singolo ufficio giudiziario.
Un’altra distorsione, insita nella disposizione normativa, riguarda il dato
prettamente sostanziale di uno dei fondamentali criteri sottesi alla manovra,
tale da porsi in aperto contrasto sia con i profili di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. che con i principi tesi ad assicurare l’effettività
dell’esercizio del diritto difensivo ex ad. 24 Cost.
Difatti, il legislatore (rectius: il Governo!) ha scelto di concentrare il riordino degli uffici giudiziari sulle città capoluogo di provincia, dimenticando
tuttavia che tali centri non assicurano la necessaria “centralità” rispetto al
territorio di riferimento, accentuando il rischio (anzi, la certezza) che grandi
territori possano venire a trovarsi completamente sprovvisti di uffici giudiziari. Una concentrazione nel solo capoluogo di provincia porta inevitabilmente alla produzione di fenomeni di grave disagio per i cittadini, con
conseguente “denegata giustizia”, considerato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’oggettiva difficoltà di esercizio di un diritto equivale a
negazione del medesimo.
Queste sono le nefaste conseguenze derivanti dalla primaria e a-sistematica
applicazione da parte della Commissione studi incaricata dal Ministro, del
criterio indicato nel sub lett. f) secondo cui la manovra deve “garantire che,
all’esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di Corte
d’Appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative Procure della Repubblica”.
In sostanza, la presenza di almeno tre tribunali a prescindere dall’estensione
delle Regioni e dalla relativa popolazione, pone una palese e potenziale di-
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sparità di trattamento, laddove una qualsiasi Regione avente nel relativo distretto di Corte d’Appello tre Tribunali manterrebbe tale numero di Uffici a
prescindere dalla sua estensione, popolazione, cause pendenti e dove il medesimo numero potrebbe coincidere anche per Regioni più estese e con maggiore popolazione, ledendo i principi di uguaglianza e proporzionalità che
avrebbero dovuto sottendere l’esplicazione dei criteri direttivi.
***
Alla luce di quanto esposto, l’interveniente, ut supra rappresentato, difeso e
domiciliato, con riserva di ulteriormente produrre, dedurre e documentare,
rassegna le seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia a Codesto Ecc.mo Tribunale Amministrativo adito disporre
l’annullamento degli atti impugnati, previa declaratoria della rilevanza e non
manifesta infondatezza delle diverse questioni di legittimità costituzionale
evidenziate nel corpo del presente atto di intervento e del ricorso introduttivo, che comporteranno anche esse viepiù l’illegittimità dei suddetti provvedimenti, e previo rinvio degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell’art.
23 L. 11/3/1953 n. 87 - l’annullamento degli atti impugnati.
Con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese.
Scalea – Roma, 14 gennaio 2013
(avv. Maurizio de Tilla)
Si allegano:
a) delibera Giunta Comune di Scalea dell11.12.2012;
b) istanza Comune di Scalea del 13.2.2012 con allegati;
c) provvedimento del Tribunale di Paola del 3.10.2012;
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d) ordinanza Tribunale di Montepulciano del 20/21.12.2012;
e) sentenza TAR Basilicata del 30.12.2012;
f) relazione annuale criminalità.
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RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE
Io sottoscritto Avv. Maurizio de Tilla, nella qualità di cui sopra, con studio
legale in Roma alla via Gramsci, 36, ho oggi notificato copia del su esteso
atto a:
1) Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex lege
per la carica presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Roma con sede
nella Via dei Portoghesi, 12;
2) ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA, con sede in Roma, via Giuseppe Gioachino Belli, n. 27 in persona del Presidente e
legale rappresentante pro tempore Avv. MAURIZIO DEL TILLA (c.f. DTL
MRZ 41D06 F839 Z) il quale agisce anche in proprio;
3) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. MAURO VAGLIO;
4) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI, in persona del Presidente e
legale
rappresentante
pro
tempore
Avv.
FRANCESCO
CAIA,
COORDINAMENTO NAZIONALE DEGLI ORDINI FORENSI MINORI,
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv.
SALVATORE WALTER POMPEO;
5) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ARIANO IRPINO, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. CARMINE MONACO,
6) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LUCCA, in persona del Presidente e
legale rappresentante pro tempore Avv. ALESSANDRO GARIBOTTI,
7) ORDINE DEGLI AVVOCATI Dl LUCERA, In persona del Presidente e
legale rappresentante pro tempore Avv. GIUSEPPE AGNUSDEI;
8) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MELFI, in persona del Presidente e le-
30
gale rappresentante pro tempore Avv. GERARDO DI CIOMMO;
9) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MISTRETTA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. SALVATORE
PORRACCIOLO;
10) Avv. EUGENIO PASSALACQUA, consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Ristretta;
11) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MONTEPULCIANO, in persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. PAOLO TIEZZI
MAESTRI;
12) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI, in persona del Presidente e
legale rappresentante pro tempore Avv. FRANCESCO CAIA;
13) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ORVIETO, in persona del Presidente
e legale rappresentante pro tempore Avv. SERGIO FINETTI;
14) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SALA CONSILINA, in persona del
Presidente
e
legale
rappresentante
pro
tempore
Avv.
MICHELE
MARCONE;
15) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI,
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. BRUNO
SALZARULO;
16) ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SULMONA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Avv. GABRIELE TEDESCHI;
tutti rappresentati e difesi dall’Avv. ANTONINO GALLETTI (c.f.
GLLNNN7OS23H5O1
E
- PEC antoninogalletti@ordineavvocati
roma.org) ed elettivamente eletti presso il suo studio in Roma alla Via Lucrezio Caro n. 63;
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