TUNISIA: GENESI E SVILUPPO DEL FENOMENO TERRORISTICO
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TUNISIA: GENESI E SVILUPPO DEL FENOMENO TERRORISTICO
TUNISIA: GENESI E SVILUPPO DEL FENOMENO TERRORISTICO Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 145 Roma Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected] Tunisia: Genesi e sviluppo del fenomeno terroristico di Andrea Falconi Introduzione Negli ultimi mesi, due distinti attacchi terroristici hanno sconvolto il quadro della sicurezza tunisina. Il 18 marzo, tre miliziani hanno preso d’assalto il museo del Bardo nella capitale Tunisi, uccidendo 24 persone e ferendone 45, la maggior parte dei quali turisti stranieri. Il 26 giugno, invece, 38 persone hanno perso la vita a seguito dell’assalto al Riu Imperial Marhaba Hotel di Port El Kantaoui (Sousse), a 130 km dalla capitale, da parte di Seifeddine Yacoubi Rezgui, studente originario di Gaafour. In entrambi i casi, nelle fasi immediatamente successive agli attacchi è stata resa pubblica la rivendicazione da parte dell’ISIS (Islamic State of Iraq and ash-Sham). Tuttavia, la responsabilità degli attacchi risulta riconducibile all’evoluzione del fenomeno del radicalismo religioso locale e alle dinamiche conflittuali presenti nel Paese. La dichiarazione dell’ISIS, pertanto, appare come una rivendicazione a posteriori, in linea con la strategia mediatica del gruppo di al-Baghdadi. Nonostante la violenza radicale di matrice salafita non sia un fenomeno completamente nuovo in Tunisia, gli attacchi del Bardo e di Sousse segnano un importante punto di svolta nel panorama della sicurezza tunisina, sottolineandone la permeabilità alle pressioni provenienti dall’esterno e al progressivo mutamento del quadro di sicurezza regionale. Negli anni passati, la contemporanea presenza di alcuni fattori strutturali aveva permesso alla Tunisia di godere di una relativa stabilità: la bassa posta in gioco derivante dall’assenza di materie prime energetiche, la sostanziale elasticità del comparto politico tunisino, che ha saputo ricondurre le spinte centrifughe delle fazioni salafite all’interno del dialettica istituzionale, e un assetto burocratico funzionale al controllo della minaccia, dotato di un efficace apparato di sicurezza e di istituzioni di carità islamica semi-pubbliche, entrambe eredità del passato regime. La repressione governativa, ad esempio, aveva permesso di superare la fase più critica del terrorismo tunisino, iniziata con l’attentato alla sinagoga al Ghriba di Djerba dell’aprile 2002 in cui persero la vita 19 persone, e terminata con una vasta campagna di arresti mirante alla distruzione del Gruppo Combattente Tunisino (GCT) legato ad al Qaeda. Attualmente, l’intero contesto regionale nord africano risulta scosso da dinamiche conflittuali che creano riverberi in tutti i Paesi dell’area. In Libia, la completa assenza di un effettivo potere di controllo da parte del Governo centrale sta fomentando le istanze separatiste in tutto il Paese, che tuttavia non mostrano alcun segno di polarizzazione su base regionale, mentre l’Algeria di Bouteflika è paralizzata dallo scontro tra i due poteri forti del Paese, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e il ramo militare del Département du Renseignement et de la Sécurité (DRS), e da vecchi e nuovi problemi sociali e finanziari, quali la stagnazione economica, determinata dal costante calo dei prezzi del petrolio e del gas nel 2014-2015, e l’aumento del tasso di disoccupazione. L’improvvisa recrudescenza del fenomeno islamista tunisino, dunque, non può che essere considerata tramite un’analisi che prenda in esame tanto le condizioni sociali, politiche ed economiche proprie del Paese, quanto, soprattutto, la variazione del quadro strategico regionale, all’interno del quale è maturato tale cambiamento. Economia, società e identità salafita Innanzi tutto, bisogna considerare come la Tunisia centro-occidentale, e in particolare il Governatorato di Kasserine, rappresenti l’area più povera del Paese, nella quale l’assenza statale risulta legata da un duplice rapporto di causa-effetto con l’arretratezza economica, la disoccupazione e l’esistenza di una criminalità organizzata dedita alla gestione dei proventi di vari tipi di commerci clandestini. Allo stesso tempo, la mancanza di alternative d’inclusione sociale, scaturita dall’assenza delle istituzioni statali ha portato alla diffusione dell’ideologia salafita quale forma di aggregazione e sostegno reciproco tra le frange più povere della popolazione. Tale strategia è stata alla base della nascita di Ansar al Sharia, fondata nel 2011 da Abu ‘Ayyad alTunisi, anche noto come Sayf Allah Umar bin Hussayn, ex-membro del GCT graziato e scarcerato proprio durante l’ondata di proteste popolari del 2011, e da al-Khatib al-Idrissi, clerico tunisino di Sidi Bouzid formatosi nelle scuole wahabite della penisola arabica. Fin dalla sua creazione, tale organizzazione si è posta quale elemento di coesione sociale, preposta al mutuo aiuto dei membri della Umma tramite politiche assistenzialiste proprie dei movimenti neosalafiti non violenti, analogamente alla strategia di conquista del consenso dal basso perseguita dalla Fratellanza Musulmana. La microeconomia garantita dalle comunità assistenziali religiose, tuttavia, non è riuscita a porsi quale valida alternativa alle varie forme di contrabbando che, nel tempo, si sono venute a creare nella zona, determinate in estrema istanza dalla porosità dei confini e dall’assenza di controllo statale. L’evoluzione dei traffici illegali tunisini Tradizionalmente, il territorio centro-meridionale della Tunisia è stato impiegato come una terra di transito per diversi traffici clandestini, dalle montagne berbere della Cabilia fino alle regioni occidentali della Libia, per commerci che, tuttavia, non andavano oltre il contrabbando di generi di prima necessità, sigarette e carburanti. L’orografia del confine di Kasserine, caratterizzato da aree boschive, altopiani e piccoli villaggi a cavallo della frontiera, infatti, ha da sempre favorito gli spostamenti umani e reso quasi nulla l’incisività del controllo statale della frontiera. La stessa area del massiccio del Chambi costituisce la propaggine orientale dell’Atlante Sahariano, in diretta comunicazione, dunque, con gli altri territori berberi dell’Algeria, come le montagne dell’Awras e la Cabilia. La principale rotta transitante per il territorio tunisino è quella che dal Governatorato di Kasserine e dal deserto di al-Matrouha giunge a Gafsa, per poi proseguire verso il confine con la Libia e i sebkha semi-paludosi compresi tra i due posti di frontiera di Ras Ajdir e Dehiba. Tale rotta ha costituito a lungo un’importante diramazione della fitta rete di traffici clandestini procedenti da Tamanrasset e collegati ad altri Paesi subsahariani, come il Mali e il Niger, che hanno fatto la fortuna di trafficanti come Mokhtar Belmokhtar, Khalid al-Barnawi e Abdelmalek Droukdel, poi divenuti leader di proprie milizie regionali e transnazionali. Nell’ottica del commercio clandestino, infatti, l’identità islamista fornisce un fattore strumentale di trasformazione dei vari gruppi criminali, che evolvendosi a milizie radicali acquisiscono prestigio, legami internazionali e capacità di reclutare adepti. Negli ultimi anni, due distinti fenomeni hanno contribuito ad alzare notevolmente la posta in gioco nei vari traffici clandestini trans-sahariani: il sempre maggiore afflusso di cocaina dal sud America e l’improvviso flusso di armi provenienti dagli arsenali libici, riversatesi nel continente africano a seguito della caduta del regime di Gheddafi. Per quanto riguarda il traffico di cocaina, la costante implementazione, da parte degli Stati Uniti, del sistema di controllo dei traffici procedenti dal Golfo del Messico e diretti verso l’America settentrionale ha reso più conveniente per i narcotrafficanti l’apertura della rotta atlantica, che collega i grandi produttori sudamericani, Bolivia, Colombia e Perù, ai porti di Mauritania, Senegal, Guinea, Sierra Leone e Nigeria, per poi continuare via terra verso l’Europa. Fino ai primi mesi del 2014, la rotta tunisina era considerata di secondaria importanza per questo tipo di traffici, impiegata solo raramente come via di raccordo tra le due principali rotte sud-nord, quella del Mali-Algeria-Spagna, lungo l’asse Tamanrasset-Ouargla-Orano, e quella del Mali-NigerLibia-Italia, via Agadez-Sebha-Tripoli. Proprio quest’ultima rotta, tuttavia, sconta attualmente gravi problemi nel suo terminale libico, tra le montagne di Nafusa e le zone costiere, a causa del deterioramento dei rapporti tra distinte fazioni, solo in parte riconducibili alle lotte tra le milizie di Zintan e Misurata per acquisire il pieno controllo del territorio e del lucrativo settore dei traffici clandestini che lo interessano. I vari scontri che hanno interessato la Tripolitania occidentale, infatti, sono giunti a uno stallo in cui nessuna delle due fazioni è riuscita a prevalere. Ciò ha determinato l’impossibilità di una gestione unitaria dei traffici, inficiati ora dalla contemporanea presenza di troppi intermediari e di scarse garanzie di sicurezza per i carichi. La rotta tunisina, dunque, ha acquisito in breve tempo una fondamentale importanza come asse di congiungimento tra la via algerina e il terminale dei porti tripolitani, attraverso il già citato valico di Ras Ajdir. Ciò ha incrementato notevolmente le risorse a disposizione delle milizie tunisine. In tal senso, gli attacchi degli ultimi mesi, soprattutto a danno dei posti di frontiera algerinotunisini, come quello che, nel luglio del 2013, ha visto la morte di otto soldati tunisini nell’area del Chambi, possono leggersi come un tentativo delle milizie tunisine di forzare la mano per l’apertura del passaggio tra Ouargla e Tripoli attraverso Kasserine, e porsi dunque come una valida alternativa ai signori del narcotraffico tripolitani. É significativo, in tal senso, che l’attacco di Sousse sia stato perpetrato da un giovane, Seifeddine Rezgui, la cui radicalizzazione è andata di pari passo con la progressiva dipendenza dall’uso di cocaina, sempre più a buon mercato in varie zone della Tunisia. Il commercio clandestino delle armi di Gheddafi, invece, dopo una prima fase di confluenza verso il Mali, dove ha alimentato la guerra civile del 2012, sembra essere ora maggiormente orientato verso il Sinai e il conflitto siriano. Tuttavia, il loro rapido ingresso nel mercato nordafricano ha contribuito ad abbassarne il prezzo sui mercati neri, determinando così una maggiore facilità di reperimento di armi di vario tipo, come le granate e gli AK-47 impiegati in entrambi gli attacchi di Tunisi e Sousse. Il radicalismo tunisino alla luce del quadro regionale L’area del Kasserine si è dunque trovata al centro di un cambiamento degli assetti di sicurezza dell’intera regione, che ha determinato una situazione di caos generalizzato e l’incapacità, da parte delle forze di sicurezza tunisine, di prevederne lo sviluppo. Eppure, gli stessi cambiamenti in corso nell’affiliazione delle milizie, da al Qaeda all’ISIS, contribuiscono a delineare un quadro chiaro delle dinamiche in corso in un’ottica transnazionale. Esemplare in tal senso è il caso della Brigata Uqbah Ibn Nafaa, ufficialmente indicata dal Governo di Tunisi quale responsabile dell’attacco al museo del Bardo e il cui primo riconoscimento ufficiale è giunto a seguito di un attacco contro un posto di frontiera sulle montagne del Chambi nel dicembre del 2012. Secondo le fonti di sicurezza tunisine, la milizia sarebbe nata come costola di Ansar al Sharia nella zona del Djebel Chambi, dove ha gestito per anni alcuni campi di addestramento per conto di milizie algerine riconducibili ad AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), come gli Jund al Khilafa dell’allora comandante Abdelmalek Gouri (anche noto come Khaled Abou Slimane). Proprio l’area del Chambi, infatti, è stata tradizionalmente impiegata da tali milizie come un retroterra logistico al di fuori della portata dell’azione repressiva delle forze di sicurezza di Algeri, nella quale costituire campi di addestramento per giovani provenienti dalla aree più povere dei due Paesi, successivamente inviati a combattere all’estero. Tale situazione ha portato nel tempo alla crescente presenza di combattenti tunisini anche in teatri distanti dal Maghreb, come la guerra civile siriana e il conflitto iracheno, e ha contribuito ad alimentare la percezione, da parte delle forze di sicurezza tunisine e di gran parte dell’opinione pubblica internazionale, di un terrorismo tunisino rivolto solamente all’esterno del Paese. In estrema istanza, è plausibile che tale convinzione abbia influito sull’attuale impreparazione del comparto di sicurezza tunisino di fronte alla recrudescenza del fenomeno della violenza radicale. Anche in questo caso, così come in quello della variazione delle rotte del narcotraffico, tuttavia, i segnali di svolta erano ben chiari, profondamente connessi alla variazione dei rapporti di potere tra i principali finanziatori della Katibat Uqbah Ibn Nafaa: i leader delle milizie algerine. Nei primi anni 2000, la leadership di AQMI, rappresentata dagli eredi dell’Emirato Centrale del GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento) e guidata da Abdelmalek Droukdel, ha cercato di porsi quale ombrello per tutte le milizie radicali dell’Africa nord occidentale, soprattutto grazie al notevole afflusso di fondi ed expertise militare garantito dalla sezione centrale di al-Qaeda. Negli anni, tuttavia, il forte giro di vite imposto dalle forze armate algerine, seguito all’attacco alla sede delle Nazioni Unite di Algeri nel dicembre 2007, ha determinato il progressivo arretramento dei miliziani di AQMI sulle montagne della Cabilia, alla ricerca di una terra a scarso o nullo controllo governativo e in comunicazione geografica con il retrovia tunisino del Jebel Chambi. Allo stesso tempo, il sempre minore invio di risorse ai gruppi operanti sul campo, esacerbato da vari contrasti interni sul controllo delle rotte dei traffici illegali di armi, droga ed esseri umani ha portato a un progressivo sfaldamento del gruppo e all’abbandono da parte delle milizie di estrazione sahariana, guidate da Mokhtar Belmokhtar e Abdelhamid Abou Zeid. In Algeria, dunque, Droukdel ha gradualmente perso il controllo sulle bande criminali reclutate tra gli sbandati e i disoccupati delle zone montuose e impiegate come milizie operative. Nel settembre del 2014 il leader della sezione nordafricana di al Qaeda ha dovuto scontrarsi con l’abbandono da parte degli Jund al Khilafa, l’ultimo braccio operativo di AQMI nella Cabilia. Tramite un comunicato pubblico, infatti, il leader della milizia Abdelmalek Gouri ha giurato fedeltà all’ISIS, nella speranza di ottenere dall’ISIS tutti quei fondi prima garantiti da AQMI in cambio dell’adozione dei metodi di lotta del movimento di al-Baghdadi. Pertanto, il primo atto dimostrativo della propria affiliazione ha riguardato il rapimento e la successiva uccisione di un cittadino francese, Herve Gourdel. Il quadro internazionale – tra ISIS e al Qaeda É possibile ipotizzare, dunque, che le sempre maggiori evidenze dell’avvicinamento in corso tra la Brigata Uqbah Ibn Nafaa e l’ISIS, riscontrabile in varie dichiarazioni pubbliche dei propri leader, vadano di pari passo con la progressiva diminuzione dei fondi garantiti da AQMI alla milizia, in maniera analoga a quanto successo con il gruppo algerino degli Jund al Khilafa. In tale ottica è possibile spiegare sia il drastico cambiamento degli obiettivi colpiti dalla milizia tunisina, dai posti di frontiera del Kasserine ai luoghi turistici di Tunisi e Sousse, sia la rapida rivendicazione dei due attentati da parte dell’ISIS. Allo stesso tempo, la conclamata nascita di una nuova milizia, denominata Ajnad al-Khilafa e riconducibile alla galassia dell’ISIS, che ha rivendicato di essere dietro l’addestramento ricevuto dagli attentatori del Bardo e di Sousse, testimonierebbe l’esistenza di una fazione interna ad Uqbah Ibn Nafaa già disponibile alla definitiva affiliazione allo Stato Islamico. Qualora la brigata tunisina decidesse di entrare a far parte stabilmente del gruppo di al Baghdadi, i quadri della milizia vedrebbero riaffermato il proprio ruolo di gestori dei notevoli fondi esteri nell’area del Jebel Chambi, in cambio della sottomissione ai metodi di lotta e alle linee di condotta dell’ISIS. In particolare, nel caso della Tunisia, le condizioni richieste dall’ISIS sarebbero quelle relative alla completa adesione alla cosiddetta “Strategia dell’Estero Vicino” (Near Abroad Ring Strategy), che prevede che le milizie assoggettate, seppur impegnate in campagne regionali indipendenti, debbano anteporre ad esse la tempestiva esecuzione delle direttive provenienti dalla casa madre. La casistica degli ultimi due anni aiuta a comprendere come tale strategia, applicata a scenari non troppo lontani dalle terre dell’autoproclamato Califfato, sia spesso risultata funzionale per controbilanciare gli effetti mediatici di alcuni eventi bellici negativi per l’ISIS nel “settore interno” (Internal Ring), il teatro iracheno e siriano. In tal senso, l’attacco al museo del Bardo del 18 marzo, al pari di quello perpetrato contro due moschee sciite a Sanaa del 20 marzo e degli attentati di Bengasi del 25 marzo, sarebbero inquadrabili come un tentativo di riaffermare la propria forza a livello internazionale, e far passare in secondo piano la sconfitta nella battaglia di Tikrit (2 marzo – 17 aprile). Analogamente, l’attentato del 26 giugno potrebbe essere considerato, assieme a quelli commessi il 25 a Kobane e Baghdad, e lo stesso giorno in Kuwait, come una risposta alle voci fatte trapelare dalle forze di sicurezza statunitensi, secondo le quali circa 10 mila miliziani sarebbero stati uccisi dall’inizio dei raid internazionali in Siria e Iraq. Conclusione In ultima istanza, le dinamiche sociali ed economiche che hanno portato allo scoppio della rivoluzione tunisina, e che fanno sentire maggiormente il proprio peso nelle aree più povere del Paese sembrano destinate a durare a lungo. Il deterioramento del panorama di sicurezza lascia presagire una brusca frenata nel settore del turismo, vero e proprio motore trainante dell’economia tunisina. Allo stesso tempo, il sempre maggior numero di miliziani di ritorno dal fronte siriano, richiamati nella regione dalla guerra dichiarata in Libia contro la coalizione del Generale Khalifa Haftar, inasprisce ancora di più il quadro della sicurezza, ingrossando le file delle milizie tunisine. Anche in questo caso, è utile sottolineare come il fenomeno dei cosiddetti foreign fighters tunisini sia determinato dallo sforzo costante di radicalizzazione portato avanti da gruppi salafiti nelle aree più povere del Paese, che fa leva, dunque, sull’arretratezza economica e la mancanza di alternative: senza l’esclusione sociale, la disoccupazione dilagante e l’attrattiva offerta della criminalità organizzata, infatti, è probabile che molti giovani tunisini non considererebbero così allettante l’eventualità di andare a combattere in Siria e Iraq in cambio di denaro per sé o per la propria famiglia. Per quanto riguarda lo sviluppo economico, l’incognita maggiore riguarda l’effettiva volontà statale di impegnarsi nel sostegno delle aree più arretrate del Paese, Kasserine in primis, anche laddove eventuali partner internazionali decidessero di fornire il supporto economico e la liquidità necessari per l’implementazione di tali programmi. La recrudescenza del fenomeno radicale, infatti, potrebbe di fatto alienare dall’elettorato moderato, riconducibile al partito di Governo Nidaa Tounes, la disponibilità ad accettare investimenti statali per lo sviluppo di aree considerate come il feudo del radicalismo islamico. É molto più probabile, altresì, che gli organizzatori degli attuali attentati siano riusciti nel loro intento di acuire il divario ideologico già esistente tra il partito di Beji Caid Essebsi e il fronte islamico moderato di Annahda. E’ dunque nelle forme dirette al contrasto del fenomeno radicale, infine, che si riscontrano i principali margini di manovra del Governo. Rispetto ai propri partner regionali, infatti, il vantaggio comparato della Tunisia risiede nella mancanza di sfide di natura convenzionale, come quelle che impegnano l’Egitto sul fronte orientale o l’Algeria su quello occidentale. In tal senso, a differenza dei propri partner regionali, il Governo di Tunisi potrà permettersi, nel medio-lungo periodo, un’allocazione delle risorse per la sicurezza completamente orientata all’implementazione delle capacità di guerra asimmetrica delle proprie Forze Armate, tralasciando i costosi programmi di acquisizione di mezzi e capacità convenzionali che stanno dissanguando le casse del Cairo. 8 Agosto 2015