Quaderni Giorgiani169

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Quaderni Giorgiani169
Bollettino a diffusione interna a cura di RG
N. 169 Luglio 2014
Quaderni Giorgiani 169
appunti personali
lun 14-07-14
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Quaderni-Giorgiani-169Legnano
Indice
1 Legnano
1.1 La preistoria: la terra e l'uomo
1.2 I primi abitatori e le loro usanze
1
1.3 Cenni storici
1.4 Le origini
1.5 Le Origini
1.6 Le origini
1.7 Galli e Romani
1.8 Barbari
1.9 Il dialetto
1.10 Il Duecento
1.11 Dal Medioevo al rinascimento
1.12 Il cinquecento
1.13 Feudi e comuni
1.14 La dominazione spagnola
1.15 Nel Sedicesimo secolo "1850 anime da Comunione"
1.16 Dominazione austriaca
1.17 Dall'Ottocento al ventesimo secolo
1.18 Dal borgo agricolo allo sviluppo del primo ottocento
1.19 Il Risorgimento
1.20 Uomini illustri
1.21 Mercato
1.22 Personaggi
1.23 Il fiume OLONA
1.24 L'Olona
1.25 Il Comune di legnano nel quadro delle lotte sociali milanesi
1.26 Gli antichi mulini sul fiume Olona
1.27 Relazione sui Mulini idraulici lungo l'0lona.
1.28 Case in Legnano antica
1.29 Legnano e i suoi monumenti
1.30 Chiese ed oratori trecenteschi
1.31 Chiesa di Sant'Ambrogio
1.32 La basilica di San Magno
1.33 Le sette campane di San Domenico
1.34 Chiesa della Madonnina
1.35 Chiese Campestri
1.36 Chiesa di Sant Ambrogio in Legnano
1.37 Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La resistenza
1.38 Legnano, l'ingegnere archeologo
1.39 La sagra del carroccio
1.40 La Battaglia
1.41 La Battaglia
1.42 La battaglia di Legnano e il problema del confine meridionale del
Seprio
2
1.43 La battaglia di Legnano e il problema del confine meridionale del
Seprio
1.44 Antiche cascine del Borgo
1.45 Il palazzetto Corio
1.46 Celebrazioni storiche dell'816°
1.47 Fotografie di Legnano
1.48 Nel 1850 a Legnano c'erano 2 ricevitorie postali
1.49 I gloriosi pompieri aziendali
1.50 Breve guida alla visita delle sale Archeologiche del Museo
1.51 Un uomo, una citta', un museo: G. Sutermeister
1.52 Legnano nelle antiche rappresentazioni cartografiche
1.53 In pensione la "Biloria" con l'ultimo vetturale
1.54 Dal "Velociu" al tram elettrico
1.55 La prima autostrada costruita nel mondo
1.56 Castello di Legnano
1.57 Genealogia dei Lampugnani
1.58 Il casato Lampugnani
2 Vicinanze storiche
2.1 Torba
2.2 Monsorino
2.3 Veteres incolae manentes
3
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Preistoria La terra e l'uomo
Di alcune città e' possibile fissare l'origine se non in un anno preciso, almeno
in un certo secolo. Non e' il caso nostro. Il nome Legnano, essendo
latino, puo' indicare il periodo storico della sua formazione; ma un nome
puo' essere applicato ad una realtà già esistente da gran tempo e
sostituire quello primitivo a noi sconosciuto. Il museo cittadino infatti
contiene un reperto, trovato in Legnanello, che si fa risalire a 2000 anni
prima di Cristo, e attesta la presenza umana nel nostro territorio
quattromila anni fa. Esso pero' non segna un inizio, ma probabilmente
solo un momento di una continuità storica che si protende indietro nel
tempo, in quella che solitamente si chiama, con frase stereotipa, la notte
dei tempi.
La scienza geologica e archeologica ha pero' alquanto diradato le tenebre di
quella notte e i suoi strumenti sono in grado di ricostruire a grandi linee
l'evoluzione dell'ambiente geografico ed umano, in cui possiamo
inquadrare un punto nello spazio, e del tempo.
Sappiano ad esempio con certezza che circa sessantacinque milioni di anni fa
comincio' ad emergere dal mare la catena delle Alpi, lasciando ancora
sommersa l'attuale pianura padana. Forse dopo un ulteriore
sollevamento di cinquecento metri emerse anche il piede delle Prealpi su
cui oggi siede Legnano, ma il suolo che ci sostiene, e' formato dalla
sedimentazione dei detriti che, coll'erosione delle montagne,
precipitarono sulla pianura durante il Quaternario.
Nel corso di migliaia di millenni sotto l'influsso degli spostamenti astronomici
all'interno della nostra galassia, il variare della posizione dei pianeti e
della stessa inclinazione dell'asse terrestre, il clima dovette subire
profondi rivolgimenti. Qualcuno pensa a cicli ricorrenti ogni centomila
anni con alternanze di climi freddi e caldi che modificarono di volta in
volta la flora e la fauna. Per avvicinarsi a noi dobbiamo ricordare l'azione
determinante e grandiosa delle glaciazioni alpine dette GUNZ, Mindel,
Riss, Wurm (precedute dalla Donau, cosidetta perche' studiata lungo il
Danubio). In certi periodi, quasi un quarto delle terre emerse fu coperto
da ghiaccio, L'acqua solidificata e sottratta al mare ne abbassava il
livello. Tra una glaciazione e l'altra s'interponeva un intervallo (detto
interglaciale), il cui clima tornato caldo scioglieva il ghiaccio e risollevava
il livello marino. Durante i periodi freddi una grande crosta ghiacciata
copriva le Alpi e coll'enorme peso della sua massa plastica rosicchiava il
fondo e i fianchi delle valli spingendo in basso masse di detriti, formando
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gli anfiteatri morenici, in cui oggi si raccolgono le acque dei laghi
prealpini. Ad esempio la sponda meridionale del lago di Comabbio si
formo' con le morene del glaciale Gunz circa settecentomila anni fa: a
Cassano Magnago troviamo i depositi del Mindel (trecentomila anni fa);
le alture di Somma Lombardo sono morene del Riss (centoventimila anni
fa).
Ma troviamo anche gli alti terrazzi formati dalle sedimentazioni degli
interglaciali che si spingono a sud fino a Lonate Pozzolo e a Origgio,
mentre i terrazzi inferiori abbracciano un vasto territorio tra Tradate e
Gallarate, Busto e Legnano.
Noi non riusciamo ad immaginare l'esistenza di esseri umani durante i periodo
glaciali. Le piu' antiche presenze umane sono segnalate nell'Africa
Orientale e nella Cina Meridionale circa un milione e ottocentomila anni
fa. In Europa, alla foce del Rodano, sulla Costa Azzurra e Riviera Ligure,
dove il clima e' piu' mite, i cacciatori del Paleolitico sono presenti anche
durante le glaciazioni. Vivevano preferibilmente nelle grotte, frequentate
anche da animali come gli orsi in letargo e facilmente uccisi nel sonno,
oppure sotto le sporgenze di pareti rocciose (dette ripari), ma anche si
accampavano a cielo scoperto.
Non erano numerosi. Si calcola che ventimila anni fa fossero un milione, uno
in media ogni dieci chilometri quadrati. Naturalmente si raccoglievano in
gruppi e si spostavano continuamente seguendo le prede. Milioni di
bisonti, di cavalli selvaggi e altri animali pascolavano nelle pianure.
Immaginiamo ora la situazione sul nostro territorio. Nei periodi freddi il
ghiaccio giungeva fino a pochi chilometri a settentrione. Quando esso si
scioglieva, valanghe di acqua spazzavano il terreno. A Castellanza si
apre la val Morea incassata fra due ripidi pendii formati dal ceppo, un
conglomerato di ciotoli alpini in cui non pote' posarsi uno strato di
sedimentazione, perche' l'acqua che colmava quell'incassatura, scorreva
veloce e ripuliva le pareti di marogna. A Castellanza la fiumana si
allargava rallentando sulla pianura, depositando ghiaia e grossi ciotoli
rotondi, con cui sono stati costruiti i vecchi muri cittadini. Quanta strada
hanno percorso e quanto tempo e quali forze enormi hanno smussato e
levigato le loro già scabre superfici. Il rallentamento e la diminuita
velocità dell'acqua scavo' soltanto un piu' largo alveo tra le piu' basse
sponde su cui oggi sorgono Legnanello e San Vittore da un lato, San
Martino, San Giorgio e Canegrate dall'altro. Come avrebbero potuto
vivere gli uomini in un ambiente naturale di tale violenza?. E se pur
passarono di qui o si accamparono gruppi di cacciatori nei periodi caldi
dell'interglaciale, le successive glaciazioni e alluvioni ne fecero sparire
traccia.
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Dobbiamo dunque arrivare a diecimila anni fa coll'esaurimento dell'ultima
glaciazione (Wurm) per ammettere la possibilità di un insediamento
umano nel teatro naturale in cui viviamo, rimasto da allora immutato
nelle grandi linee. Le modificazioni riguardano la flora e la fauna. I grandi
animali amanti del freddo, renne ed orsi, si saranno spostati a
settentrione, come in tempi precedenti i leoni e i grandi elefanti si erano
spostati a mezzogiorno, mentre i mastodonti ed i mammut si erano del
tutto estinti. Alle conifere si erano aggiunte le querce, il nocciolo, l'olmo, il
tiglio. E venne il tempo in cui tra i laghi e le paludi dell'attuale Varesotto
sorsero i villaggi dei palafitticoli: l'Isolino del lago di Varese, il lago di
Monate, La Lagozza di Besnate fiorirono a pochi chilometri di qui.
L'insediamento allo sbocco dell'Olona sulla pianura non dovette essere
molto posteriore, tenendo pero' presente che le distanze temporali della
preistoria si misurano in decine di secoli, nei quali si registrano i
passaggi di una facies ad un'altra.
Si registrano tali passaggi osservando il variare delle materie e delle forme
degli strumenti fabbricati dall'uomo. Il distacco dall'animale e' segnato
appunto dal superamento dello stato naturale, ossia il sorgere di una
cultura al di là della natura. L'animale ripete per istinto sempre gli stessi
suoni: l'uomo modula la voce, crea il linguaggio, inventa la musica.
L'animale si nutre con quanto gli offre la natura, l'uomo accende il fuoco
e cuoce i cibi. Il primo strumento usato dall'uomo, assieme al bastone, fu
probabilmente il sasso, prima intero, poi scheggiato. Le schegge
vengono sempre meglio lavorate, diventano lame che tagliano e
raschiano, punte che forano, incidono, uccidono animali e anche gli
uomini. Dalle ossa delle vittime si ricavano altri strumenti, fra cui l'ago
per cucire i vestiti e gli otri di pelle. Sul piano spirituale l'uomo inventa il
culto dei morti, perche' pensa di prolungare la vita oltre la morte. I
sepolcri prima sono isolati, poi si raggruppano in cimiteri. Si inventano riti
magici e religiosi; in funzione magica e religiosa si scopre l'arte colle
stupende pitture (La Cappella Sistina dell'arte quaternaria nella grotta di
Altamira in Spagna), colle incisioni rupestri e le statuette della Dea
Madre.
Siamo poi passati attraverso piu' di un milione di anni dal Paleolitico inferiore,
medio, superiore, col probabile intervallo del Mesolitico, al Neolitico,
quando avviene una nuova, decisiva scoperta, l'avvio ad un progresso
tecnologico che con rapidità drammaticamente crescente in soli
diecimila anni conduce l'uomo dalla pietra all'energia atomica, dalla ruota
alla piroga al volo sulla Luna. La scoperta si chiama agricoltura che
trasforma la società mutando i cacciatori in contadini, pastori, allevatori
di bestiame, la tribu' in città. Si parte dalle terre calde e fertilissime
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bagnate dai grandi fiumi, Tigri, Eufrate, Nilo; poi la novità si espande
lentamente per via di terra e di mare in Europa, passando per i Balcani,
lungo il Danubio, oppure dall'Africa alla Spagna e alla Francia (usando
sempre i nomi attuali). Tra gli aspetti piu' rivoluzionari e dinamici si
registra l'accumulo della ricchezza, la formazione del capitale.
Hinc prima mali labes dirà poi Virgilio con altri poeti, pensando al peccato
originale della distinzione tra mio e tuo, alla pacifica, felice e perduta eta'
dell'oro, ma ignorando che da un milione di anni ominidi e uomini (homo
sapiens) si sono scannati e mangiati letteralmente a vicenda. La caccia
aveva impegnato le energie di ogni uomo per procacciare giorno per
giorno il cibo per se' e per la famiglia. In ogni caverna o capanna tutti
ripetevano le stesse operazioni. L'agricoltura invece riempie i granai di
cereali, che assicurano nutrimento per tutti e per molto tempo senza il
bisogno che ciascuno partecipi alla coltivazione della terra. Cosi' vi e'
che puo' dedicarsi interamente a fabbricare ceramiche, a filare o a
tessere la lana, a cercare di fondere e lavorare metalli. La necessita' di
misurare i campi promuove lo sviluppo della geometria e del calcolo
aritmetico. Nasce la scienza, si studia il cielo, si inventa la scrittura e chi
vuole dedicarsi all'arte, alla poesia e alla musica puo' farlo aumentando il
tesoro della cultura comune.
In un momento imprecisabile di questo grandioso sviluppo dobbiamo collocare
i pochi frammenti del vaso campaniforme trovato a Legnanello. Essi ci
riportano indietro di quattromila anni, ma ci autorizzano a credere che,
da un tempo piu' lungo, gruppi di uomini erano gia' insediati sulle rive
dell'Olona, provenendo naturalmente da famiglie residenti nei villaggi
palafitticoli dei laghi varesini oppure dalla vicina Lagozza di Besnate, a
loro volta oriunde dalla Francia Meridionale. La moltiplicazione dei centri
abitati e' certamente il frutto di una esplosione demografica. Il milione di
persone che si e' calcolato nel Paleolitico superiore, e' gia' decuplicato
nel Neolitico, e nel terzo millennio a.c. i milioni sono trecento.
La forma a campana del nostro vaso suggerisce il nome di Remedello,
villaggio a sud di Brescia, perche' li' fu trovata la piu' ampia
testimonianza della cosidetta cultura del vaso campaniforme, ma vasi di
questo tipo si sono trovati il molte localita', Sardegna compresa. Non si
puo' dunque inserire con sicurezza un rapporto diretto coi commercianti
di Remedello e nemmeno la scomparsa della cultura lagozziana a cui
dovevano appartenere i "legnarellesi" del tempo.
Dopo circa ottocento anni ("circa" puo' intendere una vasta ampiezza) ai pochi
frammenti di Legnanello succedono le duecento tombe di Canegrate,
che presentano un'altra grande novita' nella evoluzione delle culture
preistoriche: i morti non sono inumati, ma cremati. I reperti archelogici si
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identificano con il nome attuale delle localita' in cui vengono reperiti, il
che non deve pero' circoscriverli entro gli attuali confini amministrativi.
Quali furono i rapporti tra i "legnanellesi" che abitavano al di la' dell'Olona e i
"Canegratesi" che seppellivano i loro morti sul ciglio poco oltre la "Costa
di San Giorgio"?. Non erano forse un solo gruppo di famiglie che
vivevano e faticavano sulle rive del fiume, che forniva acqua e pesca, ma
periodicamente li inondava costringendoli a portare piu' in alto,
all'asciutto, le ceneri dei defunti?.
La quantita' dei reperti di Canegrate ha dato materia per analisi minuziose e
ampie dissertazioni. Le urne biconiche sono state facilmente
riconosciute come tipiche della cultura dei campi da urne che
caratterizzavano l'ambiente culturale della regione europea sita tra la
Vistola e le Alpi. La trasformazione sociale operata dall'agricoltura in
Egitto e Medio Oriente da alcuni millenni e la lavorazione dei metalli, poi
diffusa nelle isole dell'Egeo, avevano accumulato in quei paesi ingenti
ricchezze.
La produzione superiore ai bisogni aveva favorito lo scambio commerciale con
i prodotti di altri luoghi. Una delle sostanze ricercate per motivi magici, religiosi
e medicinali fu l'ambra, rintracciabile a nord della Germania e in Polonia.
Carovane di commercianti attraversavano i Balcani o risalivano l'Adriatico per
raggiungere il mercato di Unetice, vicino all'attuale Praga, dove dal nord
proveniva l'ambra scambiata con oggetti di bronzo, argento e oro. Il
commercio di questi prodotti non si limitava alla via dell'ambra, ma si irradiava
per ampi spazi. Commercianti erano anche i diffusori dei vasi campaniformi a
Remedello, ma quelli del vaso biconico legato alla cremazione dei cadaveri nel
campi di urne, arrivarono probabilmente a Canegrate - Legnano direttamente
d'Oltralpe. Da est (Veneto?), da ovest (Francia) o da nord (Ticino)?. A favore
della terza ipotesi si puo' richiamare l'attenzione sul fatto che la facies di
Canegrate e' apparsa in varie localita' lungo il corso del Ticino, come, per
limitarci alle vicinanze, a Castelletto Ticino, Albairate (Scamozzina), e
Garlasco. Sono tempi di forti movimenti migratori coll'avvento anche di gruppi
indoeuropei. e tale sarebbe quello di Canegrate, se fosse vera l'ipotesi
(inaccertabile) della sua appartenenza ai Celti. Ad ogni modo dobbiamo
credere che sia stato assorbito dalle altre popolazioni locali, cui forse trasferi'
l'uso dell'incinerazione, assumendo pero' altri costumi non esclusa la lingua.
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I primi abitatori e le loro usanze
Tratto da "Legnano Romana" - Relazione degli scavi e ritrovamenti antichi di
Guido Sutermeister
Si puo' ben affermare che non ci sia citta' d'Italia che non conservi vestigia
delle imponenti costruzioni architettoniche ed artistiche delle quali i
romani avevano a dovizia dotato il nostro bel suolo. Qua' e' un edificio, la'
un'arena, un ponte, una statua, perenni fonti di orgoglio per gli odierni
abitatori. Oppure sono minori opere dell'arte, capitelli, lapidi, cippi, che
dei precursori perpetuano in tangibile ricordo.
Ma, all'infuori delle maggiori o minori vestigia, oggetti sempre d'ispirazione
d'artisti, di meraviglia per il pubblico, ci sono in copia molto piu'
abbondante di quanto non si pensi, altri ricordi ben meno appariscenti e
poco noti, che indicano i vasti limiti di occupazione raggiunti dai nostri
precedessori.
Nelle campagne ove il livello culturale e sociale era, similmente ad oggi, meno
elevato, ove le comunita' composte da poche famiglie non potevano
creare le grandi costruzioni architettoniche che sfidano i tempi furono
altrove anche difesa naturale per la conservazione delle minori opere, la'
nelle campagne, diciamo, ci sono altri ricordi che l'uomo ha
inconsciamente affidato alla terra per la conservazione: sono le tombe.
E la terra che gli fu amica e per la quale visse traendo il frutto della sua fertilita'
restituisce e restituira' i sacri pegni che rinchiude.
Se gli abitatori di questi luoghi comuni furono come anco oggi,
preponderantemente umili contadini, hanno essi tuttavia cooperato alla
grandezza di Roma con il fornirle i prodotti del suolo, gli uomini per le sue
falangi conquistatrici, gli artisti o gli ingegni, gli amministratori o i
condottieri.
Quei ricordi che essi inopinatamente ci hanno tramandato a mezzo di millenari
giacigli e che ora esamineremo, sono dunque altrettanto sacri come le
grandi opere artistiche che ammiriamo altrove; e' dunque un dovere, un
bisogno di raccoglierli per la conservazione e non sono affatto scarsi di
interessi.
La zona lombarda a Nord di Milano non ha, salvo qualche eccezione, dovizia
di avanzi importanti di antiche romane costruzioni, ma pure un attento
esame delle singole localita' ci mostra che la terra fu abitata palmo per
palmo come pure lo fu molto prima da altri abitatori meno noti dei quali
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anche piu' raramente troviamo i tangibili segni; le tombe colla loro
suppellettile funeraria.
Le via maestre da Milano ai laghi furono percorse certamente in ogni epoca
dalla presenza dell'uomo nella zona. Egli si stabili' dapprima sulle paludi
che abbondavano allora e sui bordi dei laghi. Forse anche Legnano
aveva allora la sua palude per quanto di tali abitatori non si sia ancora
trovata traccia. da noi.
Besnate ( la Lagozza) e le rive occidentali del lago di Varese ci diedero nelle
loro torbe molteplici oggetti di selce cioe' lame, coltelli, frecce, martelli
che attestano dell'esistenza semplice che condussero i remotissimi
abitatori delle capanne e delle palafitte.
E le palafitte stesse furono trovate abbondantemente nel lago di Varese e
segnatamente all'Isola Virginia; sono gli avanzi dell'abitazione umana di
un tempo, nel quale abitare sopra l'acqua gli era necessita' per garantirsi
contro gli attacchi delle fiere.
Le prime testimonianze scritte dall'uomo le abbiamo nelle stele in carattere
nord etrusco, stilate da destra a sinistra, che furono rinvenute in varie
localita' come Vergiate, Como, Lugano, Locarno e si riferiscono a tombe
di un popolo che abito' la zona fra il VII° e il VI° secolo ac..
La via da Pavia a Sesto Calende lungo il Ticino diede alla luce sovente
tumulazioni dei successivi Galli composte di anfore con ricchi corredi di
ornamenti in solo bronzo.
Il suolo ridente di queste nostre contrade fu dunque una costante attrattiva
dell'uomo nei vari periodi della sua esistenza; esso nel suo bisogno di
andare al nord le percorreva guidato dai fiumi che lo conducevano ai
valichi montani. In quel tragitto, le lenti coorti migratorie, degli elementi
si staccavano, si allontanavano dalla via principale per andare a creare
nuovi nuclei abitatori.
Si vuole che anche a Milano fosse in mezzo ad estese paludi e la sua
origine
rimonti
all'epoca
delle
palafitte.
interpretazioni etimologiche sul suo nome,
Infatti
fra
le
26
constatiamo che 11
accennano alle "paludi" e "al luogo di mezzo" (in mezzo alle acque?).
Vedere: Romussi, Milano e i suoi monumenti.
La creta accumulatesi nei terreni bassi attorno al castello, adiacenti
al decorso dell'Olona, lascia adire a tale supposizione; ma vedasi piu'
avanti.
11
Ma dicevamo, un attento esame ci mostra che dappertutto avvenne
l'espansione seguendo le leggi naturali che non cessano neppure oggi di
avere la loro costante applicazione; e dappertutto si trovano oggi o si
trovarono in passato le deboli tracce dell'esistenza umana attraverso
tempi anche molto lontani.
Gli elementi sin qui raccolti a Legnano ci attestano la presenza dell'uomo
soltanto a partire da 4-6 secoli prima di Cristo. Non raccogliemmo mai
oggetti dell'eta' delle palafitte e comunque dell'eta' della pietra, ma non
tarderemo a trovarne se pure cio' e' connesso a non lievi difficolta'.
I Galli, i Romani dell'epoca Repubblicana e quelli dei primi secoli dell'Impero
Romano erano si sa di religione pagano e avevano l'uso di cremare i
morti deponendo in un'urna sottoterra i residui del rogo.
I Romani dei secoli successivi a Cristo invece erano cristiani e seppellivano i
loro morti con il rito dell'inumazione. Le loro sepolture sono costituite da
tombe lunghe quanto la persona e create in vario modo, come vedremo.
Col rito pagano della cremazione era uso di offrire al morto cibo e bevande per
la vita che credevasi dover esso condurre nell'al di la'. E si mettevano in
un piattino o magari in bocca al morto stesso una o piu' monete onde
esso potesse pagare Caronte per il traghetto sul fiume Stige. Si
mettevano percio' nell'urna dei vasi di terracotta per cibi e bevande, e gli
attrezzi personali del morto quasi ch'egli dovesse ancora servirsene poi.
Sono il coltello, la cesoia per tosare, fibbie, anelli o nel caso di matrone,
gli oggetti di lusso o da toeletta come braccialetti, anelli, fibule, specchi e
pinzette.
I vasi di terracotta che si portavano in offerta erano talvolta cosi' numerosi che
non trovando posto tutti nell'urna venivano collocati anche fuori vicino ad
essa, dentro nello stesso loculo scavato per l'anfora,
Il loculo veniva infine riempito di carboni e terra del rogo e della terra dello
stesso scavo.
Queste usanze differenti per ognuno dei popoli che ci precedettero, sono per
noi preziose perche' ci offrono il mezzo per riconoscere a quali stirpi
appartennero le tombe che si trovano e permettono di gettare sguardi
nella vita che esse conducevano. Sono millenari segreti che la terra
polverosa od umida, fertile o arida, rinserra e via via ci restituisce per
casi fortuiti o per sistematiche ricerche.
Il suolo di legnano contenne abbondantissime le tumulazioni romano pagane
in vaso di terracotta e non meno quelli romano cristiane fatte a cassetta
con embrici in terracotta. Ne vengono ancor oggi alla luce in occasione di
scavi per fondazione ma piu' rare sono quelle dei Galli ed introvabili sin
qui quelle dei popoli preistorici.
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Il rito pagano della cremazione.
In vicinanza delle agglomerazioni maggiori, lungo la strada principale che esce
dalle abitazioni, era stabilito un luogo per le sepolture, le necropoli
preferibilmente su una vicina altura o su un dolce declivio.
Negli aggruppamenti minori o per gli abbienti, la tumulazione avveniva anche
nel giardino delle loro stesse case cio' che ci spiega alcune urne isolate
che si trovano qua' e la'.
Ma la legge prescrisse poi per ragione igienica che "in urbe ne seppellito
neve unito" percio' la maggioranza dei ritrovamenti le urne non sono
isolate, ma sono raggruppate in necropoli, il che non puo' apparire a
priori perche' per l'alternarsi delle secolari colture, molti loculi sono
scomparsi negli sconvolgimenti che subi' il terreno, diradando le
originarie tombe.
Nelle nostre campagne fu l'introduzione della coltura del gelso dal XII al XIII
secolo che die' inizio alla distruzione lenta ma costante dei ricordi che ci
interessano, inquantoche' per piantare i gelsi nuovi e per estirpare i
vecchi si fanno delle buche nel terreno che arrivano alla profondita' di
sino a un metro, giusto appunto come sono profonde le anfore dei
pagani.
La coltivazione comune della terra coll'aratro invece non toccava tali vasi sino
a tento che l'aratro era in legno. Il recente aratro in ferro che scava a
maggiore profondita' arriva piu' sovente a decapitare le anfore piu' alte.
Da questo quadro si vece come il celato materiale vada sicuramente
assotigliandosi ed urge raccoglierlo la' dove ognora si trova.
Il morto, unto di grassi aromatici o balsami contenuti nei balsamarii, vestito
degli abiti di festa ed avvolto in un drappo, veniva deposto dai parenti
sulla catasta di legna e branchie di albero preparate su uno spiazzo
(ustrinum) di un paio di metri di diametro, infossati nel terreno per 50-80
centimetri.
Ai piedi della catasta venivano dai parenti ed amici deposti alcuni balsamari
che avessero recato per simbolica offerta. La legna era cosparsa di
In talune localita' il morto veniva adagiato in un0amaca o rete di
amianto sotto al quale veniva consumato il rogo. Vediamo una tale
rete ben conservata al Museo di Aquileia.
Trovammo anche a Legnano (necropoli di Via Novara) un ustrium,
vedere la piantina.
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resina ed oli e i parenti volgendo il dorso alla catasta le appiccavano il
fuoco ed attendevano quindi raccolti la consumazione del rogo.
Il giorno successivo si recano di nuovo sul luogo per raccogliere le ceneri,
assistere alla loro introduzione nell'urna e alla deposizione nella buca gia'
preparata.
Le buche erano del diametro di 50 a 70 centimetri di profondita', distanziate un
metro una dall'altra in ordine sparso, cioe' non rigorosamente allineate.
Nell'urna venivano dunque immesse le ceneri ovvero i frammenti
maggiori delle ossa calcinate sul fuoco e sopra ad esse un piatto cogli
attrezzi personali del morto ed a fianco o0 ancor sopra agli altri vasi che i
parenti e amici avevano recato in offerta. Qualcuno degli amici graffiva
sul vaso offerto il suo nome o le iniziali relative. Intorno all'anfora, fuori,
venivano messi dei grossi ciotoli a mo' di protezione e sopra ad essi
veniva buttata la terra nera residuata dal rogo. I vasi che non avevano
trovato posto nell'interno dell'anfora venivano deposti fuori sulla terra di
riempimento nella quale i fedeli conficcavano colla punta in su dei grossi
chiodi a titolo di portafortuna per il morto onde scongiurargli gli attacchi
degli spiriti maligni.
La bocca del vaso veniva chiusa da un'embrico o dalla meta' superiore
dell'anfora stessa, quando l'anfora era stata appositamente segata per
servire alla bisogna, e la fossa veniva poi ricolmata dell'altra terra
creatasi collo scavo della buca.
I pagani avevano un culto profondo dei trapassati e delle loro spoglie mortali;
non distruggevano neppure dopo molti secoli i loculi che consideravano
perennamente sacri.
Cio' si spiega che perdutosi poi il ricordo della loro ubicazione pel trapasso al
cristianesimo, essi si sono copiosamente conservati sino ai giorni nostri.
E ci sono utili ora per conoscere la loro vita quasi ci parlino un muto
.
Vedere Rivista Arch. Comense.
Nel museo si conserva un'anfora proveniente sa San Giorgio, dalla vai
Umberto I°, che e' visibilmente segata per tre quarti alla periferia e poi
spaccata a mano. Altre trovate a San Lorenzo sono tagliate a colpo di
scalpello, mentre buon numero di quelle in via Novara a Legnano
erano anfore gia' rottesi accidentalmente. Nel museo si conservano
pure le anfore di Aquileia, nelle quali era uso frequente fare un foro
laterale per la sola immissione di ceneri.
14
linguaggio.
Dicemmo che nelle urne troviamo gli attrezzi personali dell'estinto. Il coltello da
cucina della casalinga, il coltello pugnale del lavoratore, la cesoia a molla
del pecoraio, il raschiatoio del lavoratore delle pelli, l'ago del sarto, lo
specchio della signora e cosi' via.
Non si uso' presso i popoli delle nostre regioni di sacrificare al morto gli oggetti
di ornamento in metalli preziosi. Mai trovammo oggetti d'oro o d'argento
mentre le fibule, gli anelli da dito, i braccialetti offerti sono solo in bronzo
o ferro. Gli anelli da dito che si trovano accusano sovente d'esser stati
nel rogo cioe' non furono tolti dal dito prima della cremazione.
Tali oggetti di ornamento ricorrono del resto piuttosto raramente il che ci fa
credere che erano poco usati, o era frequente l'uso di tenerli in famiglia
come ricordo.
E' prossima la supposizione che i piu' abbienti portassero l'anello d'oro o
d'argento e che esso perche' di valore venisse poi conservato dai parenti.
Un esame del corredo di ogni singola tomba mostra che su 18 agiati,
solo 10 hanno l'anello nella tomba e di questi solo 6 sono in ferro (4 con
pietre e 2 senza) e gli altri 4 sono in bronzo. E l'anello degli altri 8??.
Leggiamo che l'anello in ferro, con pietra era piu' valutato che quello in bronzo,
perche' il ferro all'epoca dei primi imperatori aveva perduto la
caratteristica del prezioso che godette fino alla seconda epoca del
bronzo quando per essere appena introdotto, lo si usava esclusivamente
per gli ornamenti.
In talune tombe ricorrono i lacrimogeni con relativa abbondanza: sino a quattro
in un'anfora: in altre non ce ne sono affatto. La supposizione e' prossima
che le prime siano tombe di signore, le seconde di uomini. Si piange di
piu' sul tumulo di una donna. Ed infatti il lacrimogeno ricorre piu'
frequentemente col coltello da cucina che non con gli altri attrezzi di uso
piu' mascolino. Pero' e' difficile stabilire fra le fialette di vetro quali erano
lacrimogeni e quali balsamari cioe' destinati ad essenze oleose ed
odorose colle quali il morto doveva venire unto.
Talvolta troviamo nell'urna delle piccole riproduzioni in terracotta delle urne
stesse: Si tratta di una offerta di minima spesa e chi la porto' non fu
certo un adulto che potesse umiliarsi a regalare un tale trastullo. E' il
bambino o il nipotino che commosso fece sacrificio al suo caro di tale
oggettino che poteva ben servirgli come giocattolo.
Nelle urne si ripetono con molta regolarita' tre oggetti di suppellettile in
terracotta: sono il piatto, il vasetto a bordo extroflesso e la brocca per il
liquido con ansa e beccuccio.
Essi costituiscono l'offerta minima necessaria ad ogni morto, direi il corredo
normale di una sepoltura, il quale e' intuitivo che fosse offerto dai parenti
15
stretti del trapassato. Tali oggetti sono deposti immediatamente sulle
ceneri come dicemmo e nel mito pagano servivano per l'offerta del cibo e
della bevanda dei quali doveva nutrirsi nel lungo viaggio.
In alquanti casi trovammo sicuri indizi che degli alimenti erano stati deposti nei
vasetti accessori e persino riconoscemmo che erano cibi cotti. Nelle
collezioni del museo civico di Legnano si conservano ossicini di pollo e di
capretto estratti dallo scrivente da tali ciotoline. Soventissimo a seconda
dei luoghi, le ciotole, piatti e brocche compaiono in soprannumero e
come dicemmo non trovando piu' posto van deposti fuori a contatto con
l'urna stessa. Sono le offerte di molti amici intimi che mossi dalla
credenza o dal rispetto umano concorsero ad alimentare l'estinto per piu'
lungo viaggio. Ma dopo i parenti e gli intimi amici, ci sono altri gruppi di
persone che pur debbono un tributo al morto ma non sono in famigliarita'
di offrirgli gli alimenti od oggetto di utilita'.
Essi recheranno la lucernetta ad olio simbolo di quella lunga vita che
precisamente e' mancata al morto, ma che l'affetto dell'offerente
vorrebbe ancora perdurare, le ciotoline eleganti, leggiere, oggettini di
lusso che indicano in chi offre piu' un bisogno di sdebitarsi di qualche
favore ricevuto che non di dimostrare un affetto sentimentale.
Vediamo la schiera degli offerenti circondare il loculo aperto nel quale e' gia'
introdotta l'urna e i residui del rogo. Ognuno reca in mano il suo oggetto e
i parenti prima e gli amici poi, gareggiano per porgergli al "vespillo" onde
essi vadano a toccare le ceneri, o almeno risultino vicino all'urna.
Egli depone prima il piatto vi ripone sopra gli attrezzi personali purificati dal
fuoco e contorti o spezzati a dimostrare che anche il loro uso deve
essere finito dopo la dipartita dell'affezionato detentore. Sopra la brocca
od idria e di fianco una ciotola per alimento coprono facilmente il non
grande spazio interno. Se nella ciotola erano realmente contenute delle
cibarie, le si metteva sopra un piatto od altro onde la terra non vi
penetrasse egualmente e noi tutto troviamo invaso da terra di
infiltrazione apportata dalle acque nei periodi di allagamento annuale del
sottosuolo.
L'obolo per Caronte era generalmente posto in una ciotolina, talvolta dentro,
talvolta fuori dal cinerario. Trovammo in un sol caso una pignetta di tre
monete sovrapposte mentre non sempre la moneta vi fu immessa e
generalmente una sola eravi deposta.
Dei vasi offerti, ne venivano messi nell'interno dell'urna quanti ce ne stavano
per coprire il piano delle ceneri, il quale raggiungeva l'altezza del
massimo rigonfiamento dell'olla. Siccome l'urna era previamente
contornata all'esterno con un po' di terra che la reggesse in piedi e
questa e' terra nera del rogo mista a detriti carboniosi, le offerte che non
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avevano trovato posto nell'interno venivano ora messe fuori intorno
adagiate sulla terra nera. E piu' fuori a mo' di protezione venivano messi
dei giri di grossi ciotoli che circondando il tutto venivano quasi sempre a
riempire la buca. Gli intersizi esterni venivano via via riempiti colla terra
vergine della buca stessa, mentre quelli interni venivano colmati colla
terra nera del rogo.
Mentre tale operazione procedeva per mano dell'affossatore, gli intervenuti
buttavano nella fossa dei chiodi o ferri vasi che avevano analoghe
funzioni. Era credenza popolare che tali offerte avessero la proprieta' di
scacciare gli spiriti maligni d'attorno al morto nella sua nuova vita. Dei
chiodi di trovavano non di rado anche nell'urna. Per esercitare la loro
supposta funzione, essi dovevano essere conficcati punta in su nella
terra; ma tale regola era poco conservata. Per analogia che corre, ci
viene naturale di rievocare qui un'odierna credenza tedesca per la quale,
verso la fine della grande guerra, i tedeschi accorrevano a conficcare dei
chiodi nella statua di Hinderburg.
L'urna veniva poi coperta da un tegolone rettangolare di circa 54x45 cm. e
spesso 3 a 3 cm. avente due risvolti sui due lati piu' lunghi, oggetto
caratteristico perche' fu sempre trovato munito di una sigla interessante
eseguita con un pettine d'osso o legno a soli 3 denti.
Vedremo piu' avanti che tale embrico ebbe anche un suo uso particolare per le
tombe cristiane, ma qui in epoca romana esso era noto anche come
tegolone del quale erano coperti i tetti delle case in muratura.
La sigla che si vede in fotografia aveva indubbiamente il significato
dell'"omega" cioe' dell'ultima lettera dell'alfabeto greco con la quale si
volle indicare l'uso particolare dei tegoloni per le tombe.
Negli scavi di Via Novara del primo secolo trovammo sui tegoloni la sigla 1°
mentre su quelli dei secoli avanzati trovammo promiscue sigle I° e II°.
Su quelli della costa di San Giorgio dei tardi secoli trovammo pure le sigle I° e
II° molto piu' vicine benche' mai nella stessa tomba.
Su quelli di San Lorenzo del I° secolo trovammo la sigla 3°.
Nella necropoli romana di Gallarate, nel podere dei fratelli Coarezza verso
Arnate, gli embrici sono privi di sigla sebbene da speciali incastri che essi
posseggono risulti evidente che essi erano appositamente costruiti per
l'uso esclusivo delle tombe.
A Milano in Castello Sforzesco, ci sono degli embrici che posseggono
analoghe sigle, ed altri con diciture incise a mano prima e dopo la
cottura.
Gli embrici delle tombe di Savona sono identici a quelli di Via Novara, anche
nella sigla che e' del tipo di sinistra. Cio' conferma lo scopo non solo
rituale animistico mistico della sigla ed esclude l'ipotesi che essa fosse
17
marca di fabbrica. Le differenze riscontrate stanno a dimostrare che la
costumanza della sigla fosse ad libitum del figulino.
Le diciture incise dopo la cottura sono espressioni dei dolenti verso l'estinto,
sono gli ultimi contatti spirituali fra i famigliari ed il trapassato; le troviamo
qualche volta anche sui vasetti.
Pure la scelta del tipo di urna cineraria, non vigeva una costumanza
rigidamente osservata. Nel 70% dei casi e' un'anfora vinaria che riceve le
ceneri e la suppellettile; divideremo in due categorie queste anfore:
quelle adoperate nuove per la bisogna e quelle gia' rotte, inservibili ormai
per l'uso dei liquidi le quali trovano una conveniente utilizzazione. E sono
queste le piu'. Ma anche le anfore nuove non potevano senz'altro servire
per la sepoltura perche' il loro collo stretto non avrebbe permesso
l'introduzione delle suppellettili sul letto di ceneri, ond'ecco che esse
vennero segate o spaccate dopo averle intaccate tutto attorno con un
bulino. Aperte che sono in due meta', il bisogno impellente del rito di
posarvi le suppellettili accompagnatorie ha il suo libero sfogo. L'anfora
viene poi interrata in piedi con sovrapposta la meta' superiore a guisa di
copertura vedere anche le anfore di San Lorenzo). E cosi' troviamo in
terra l'anfora apparentemente intiera e riparabile.
Invece le anfora gia' inutilizzate per precedente rottura troviamo facilmente
mancante qualche coccio. In altre localita', per esempio a Verona ed
Aquileia, vedemmo anfore che furono adoperate nuove, senza segarle,
introducendovi solo la cenere senza gli oggetti accessori che erano
deposti fuori vicino.
Nel 30% dei casi, altri tipi di vasi furono adoperati per le sepolture. Sono vasi a
fondo piano, sono pentole curiose, sono perfino grandi ciotole del tipo
per alimenti, sono brocche per liquido previamente decapitate.
Qualche povero morto fu deposto su un semplice coccio di anfora.
Questa variabilita' dei modi di tumulazione e' ai nostri occhi ricca di significato
e ci permette di penetrare con sguardo indiscreto nell'umilta' di talune
cerimonie mentre ci rendno evidente la relativa agiatezza di altre.
Risulto' chiaro che la famiglia di un ricco significava un'anfora nuova, quella di
un povero trovava il sacrificio duro e ricorreva alle economia. Cosi' si
spiega che un adulto potesse essere deposto in una brocca; o in un
vasetto di alimenti; un bambino su un solo coccio di anfora, grande non
piu' di due palmi di mano.
Vedremo poi che alla Costa di San Giorgio e a San Lorenzo un numero
notevole di tumulazioni nel tardo paganesimo avvenne senza il minimo
uso di suppellettile ne' di anfore.
Nella terra si riconobbero ivi le buche di tumulazione e a piccola distanza fra di
loro, riempite della terra nera del rogo, ma non un coccio, non un chiodo,
18
non un segno della pieta' di patenti ed amici. Un senso di tristezza ci
accompagna in tali luoghi di dolore non alleviato da una parola amica.
Chi puo' penetrare nel mistero di tali tumulazioni? Epidemie? Condannati?
Morti in tempo di Guerra?.
IL RITO CRISTIANO DELLA INUMAZIONE
Coll'avvento del cristianesimo per opera degli apostoli di Cristo e sei suoi
seguaci i martiri delle catacombe, il modo di tumulazione ando'
mutandosi. I cristiani usavano l'inumazione della salma percio' col
proseguire del tempo scompare la cremazione per dare luogo
all'inumazione.
Con l'editto di Costantino Magno che nel 323 dopo Cristo promulgava il
cristianesimo religione di stato la cremazione e' in contrasto colla legge e
deve scomparire. Scompare il rito, ma sono rispettati i i luoghi sacri delle
generazioni passate che noi ancor oggi troviamo qua' e la'.
Nelle nuove epoche dunque non piu' urne cinerarie colle ossa e ceneri del
morto, ma tombe fatte in vario modo e sempre colla lunghezza normale
della persona. Le tombe contengono lo scheletro disteso del morto.
Ma come ogni cosa umana l'abitudine e' difficile da sradicare ed un congruo
tempo occorre per spegnere le usanze e sostituirle ad altre, cosi' nelle
tombe cristiane perdurera' per un certo tempo l'usanza delle suppellettili
funerarie pagane composta come dicemmo dei vasetti di terracotta e
degli attrezzi personali del morto. Negli scavi della Costa di San Giorgio
di epoca tarda cioe' del III° e IV° secolo, si constata chiaramente questo
sfasamento di riti e lo spegnersi successivo delle usanze pagane.
La sepoltura cristiana dei primi secoli e' formata a Legnano, come in tutta la
pianura fra Milano e e le prealpi, dalla cassa detta a "alla capuccina",
lunga circa due metri e costituita da tegoloni di forma rettangolare aventi
circa 43x56 cm. e 13 di spessore con due labbri a risvolto.
Tre tegoloni adagiati sul piano della fossa formavano un letto sul quale si
deponeva il morto; ai due lati si accostavano quattro tegoloni per parte in
posizione semiverticale che formando un triangolo sopra ad esso si
incontravano fra di loro al vertice. Ad ogni estremita' u altro tegolone
messo verticalmente chiudeva il foro triangolare. E cosi' sono 13 tegoloni
per ogni tomba di adulto. Senza dubbio la triste nomea del n. 13 ha la
sua origine nella circostanza che i 13 tegoloni fanno la cassa del morto.
Ogni giunta di tegoloni veniva coperta all'esterno da tegole a canale, le
tegole dette "romane" anche oggidi', lunghe 50 cm. che differenziano da
19
quelle odierne solo perche' piu' lunghe e molto piu' convesse, cioe' a
semicerchio quasi completo.
Molti ciotoli contornavano anche qui i tegoloni a mo di protezione e la
suppellettile offerta veniva adagiata in contatto con le falde della cassa o
presso il suo vertice man mano che la fossa veniva riempita di terra dello
scavo.
Il coltello o gli attrezzi personali erano deposti sul corpo del morto ed al suo
fianco nell'interno della stessa fossa. Pochissimi vasi accompagnavano
la tomba.
Queste tombe si seguivano ad uno o due metri di distanza l'una dall'altra ed il
loro orientamento era all'incirca da Nord a Sud.
Coll'andare del tempo la suppellettile si fece scarsa e poi scomparve del tutto.
Piu' tardi anche la cassa di terracotta non venne piu' usata e si passo'
certamente alla cassa di legno, ma nessuna delle tombe del territorio
nostro, nelle quali la tumulazione era avvenuta senza i tegoloni fu
possibile accertare la presenza della cassa di legno. Invece appare
sicuro in molti casi che la tumulazione avvenne nella fossa senza alcuna
protezione per il morto salvo forse un solo drappo o lenzuolo, un mezzo
di occultazione della salma che era gia' in uso presso i pagani per il
trasporto dalla casa al luogo del rogo, e che e' oggi ancora in uso nei
popoli arabi ed altri.
Col cessare di ogni oggetto nella tumulazione, le tombe dei piu' non destano
alcun interesse per noi; esse non ci recano piu' le espressioni del rito
compiuto, non ci fanno piu' rivivere quell'attimo fugace di affetti e
tristezze che costitui' il saluto al trapassato. Polvere era e polvere
ritorno'.
Caduta la tangibile espressione dell'affetto e sacrificio dei dolenti, si
comprende facilmente come col rito cristiano si spegnesse il culto della
conservazione secolare delle spoglie mortali. Esso rimane ancora un
privilegio per le persone elette le quali anche in tarde epoche furono
deposte in tombe rettangolari in muratura coperte da una volta di mattoni
o da beole (quale fu una trovata fra Legnano e Castellanza che
descriveremo piu' avanti) oppure avelli scolpiti nel sasso massiccio e
ricoperti da pesante coperchio pure di pietra. Non di rado gli avelli
portavano una dedica incisa nel sasso come ad esempio quello trovato a
San Lorenzo che illustreremo piu' avanti. Queste perenni sepolture erano
fatte piu' frequentemente ai personaggi o guerrieri i quali vi venivano
immessi in cappa e spada.
Cosi' pare che fosse anche la sepoltura trovata a San Giorgio in via Umberto I°
della quale riferiro' cogli scavi di San Giorgio stesso.
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VECCHIE RICERCHE E RITROVAMENTI IN LEGNANO
Il Professor Serafino Ricci, in uno ospucoletto di 15 pagine intitolato "La
necropoli di Legnano" presentava nel 1901 le fotografie di vari
interessanti ritrovamenti fatti in Legnano in localita' alquanto discoste fra
di loro e riguardanti epoche varie dalla Gallica alla Medioevale.
Riprodurremmo tali notizie e le relative fotografie poiche' l'opuscolo e' esaurito
e difficile riuscirebbe a rintracciarne qualche copia.
E' vero che esso portava un titolo un po' al di la' di quanto realmente poteva
desumersi dai ritrovamenti enunciati, ma dobbiamo essere veramente
grati al prof. Serafino Ricci relatore, ed al defunto Sig Aristide
Mantegazza che ne fu l'informatore oltre che l'appassionato raccoglitore
degli oggetti illustrati. Ma diciamolo subito che purtroppo gli oggetti la'
ricordati sono oggi smarriti perche' nessuno penso' di radunarli sotto la
tutela di chi ha cura della cosa pubblica; forse pochi potranno ritornare a
Legnano.
La parte saliente dell'opuscoletto e' costituita dal ritrovamento di un'olla di
terracotta fatto nella casa che il Sig. Borsani Cristoforo eresse in via
Sempione (oggi casa del Comm. Fabio Vignati) e dalla disanima che
l'autore fa del contenuto dell'olla stessa.
L'olla ando' in frantumi come purtroppo suole accadere quando il ritrovamento
e' fatto accidentalmente. Il Sig. Mantegazza accorso pote' raccogliere gli
oggetti di bro0nzo ma non l'anfora ne' un vasetto in terracotta che vi era
contenuto. L'anfora era come si intuisce l'ossario di un cremato, anzi dai
bronzi ritrovati si arguisce che trattasi di una donna e che l'epoca risale
ad almeno tre secoli avanti Cristo.
Nel centro un anello scendimpetto con raggiera a globetti, un dischetto sottile
con foro, avanzo di un tintinnambulo composto da due dischi a emivalva
che contenevano una pallina mobile tintinnante, Un braccialetto o collare
con secchiolini tintinnambuli. Un'armilla; una catenella composta da
anelli a maglia tonda. Varie fibule del periodo della Tene'. Vari secchiolini
tintinnanbuli isolati. Alcuni anelli digitali.
Tutti questi oggetti sono cosi' tipici che classificano la sepoltura ad epoca
.
Purtroppo gli oggetti che si vedono in figura paiono passati nel 1902
al Museo Archeologico di Torino, ne' ivi sono rintracciabili in mezzo ad
altri di provenienza non classificata
21
preromana e ci riportano alla seconda eta' del ferro corrispondente al
periodo di Golasecca e la Tene' II°. Il Prof. Castelfranco ritiene piu'
esattamente di fissare l'epoca fra 400 e 300 anni avanti Cristo.
I vari fittili riprodotti intorno ai bronzi della figura non appartengono alla tomba
dei bronzi ma sono di altre provenienze da Legnano e suo territorio e
hanno carattere preromano quelli piu' rozzi, di pasta impura essicata al
sole, e carattere gallico gli altri meno rozzi.
Il confronto con i fittili di Ornavassso e delle necropoli della Valsassina illustrati
dal Castelfranco ci pongono in grado di riconoscere degli elementi liguri o
celtici prima, gallici poi, e ci permettono di fissarci anche per essi sulla
seconda eta' del ferro nel periodo di transizione tra l'elemento etnico dei
Liguro-Galli e dei Galli-Romani.
La figura 11 invece contiene oggetti in bronzo, terracotta e ferro propriamente
romani e di solito reperibile nelle necropoli romane, come i cucchiai, le
armille ed altri oggetti in bronzo e le ampolline lacrimatoie e i balsamari in
vetro e lucerne fittili. Altri oggetti sono di carattere Gallico come alcuni
degli utensili in ferro. Si notino due fibule frammentose tipo La Tene' che
occorrono spesso nelle antichita' Lomelline e di Ornavasso e che bene si
accordano con alcuni oggetti in ferro della stessa tavola e figura 12.
In quel miscuglio di oggetti di varie eta' che furono scelti fra i piu' caratteristici e
che non potevansi altrimenti distribuire anche pel modo in cui erano gia'
disposti, si trovano nella fig. 11 accanto alle chiavi, a fibbie, a utensili
romani e di tempo tardo un chiodo gallico, una punta di lancia, un'armilla,
oggetti che mi convincono della presenza copiosa a Legnano
dell'elemento Gallico al quale accennava come ho detto il Castelfranco.
Cosi' pure ad elemento Gallico pare accennino alcune delle spade e le cesoie,
mentre al elemento barbarico cioe' molto piu' tardo e di stirpe diversa
pare accennino invece l'umbone di scudo ed altre armi della stessa figura,
nonche' una specie di targhetta da cintura lavorata di cui si vede un
Bianchetti Ferrero " I sepolcreti di Ornavasso
Atti della societa' Archeologica e Belle Arti di Torino per
Lomello e
Ornavasso
.
Di questi oggetti non si conosce la provenienza esatta salvo che essi
sono della nostra citta'; solo pel lacrimogeno piatto a mo' di borraccia
asserisce la Signora Mantegazza che proviene dalla casa Legnani di via
Ponte Carrato (oggi via Corridoni).
22
frammento sotto l'armilla in ferro della figura 11.
Questi oggetti hanno intima analogia con quelli rinvenuti a Testone (odierna
Moncalieri) esposti nella sezione piemontese del Regio Museo delle
Antichita' di Torino.
Gli oggetti delle altre figure dell'opuscoletto appartengono piu' propriamente a
periodo vario, come ognun vede, e servono a confermare la notizia di
una necropoli gallo-romana e poi romano-barbarica a Legnano, cioe' la
continuazione dell'esistenza della necropoli nella citta' e nel territorio, e la
conferma di cio' che era stato rinvenuto nel 1886 dal Castelfranco, molto
piu' che i ritrovamenti non provengono dal medesimo luogo. Infatti gli
oggetti rappresentati non furono ritrovati in occasione di lavori della
ferrovia Milano-Arona, ma alcuni in occasione degli scavi per la grande
vasca dello stabilimento Dell'Acqua nel 1887 (molti oggetti in ferro), altri
nell'anno 1894 in seguito a scavi fortuiti in via Garibaldi.
L'anno dopo 11895 altri oggetti furono rinvenuti negli scavi per aprire cantine in
casa Agosti in corso Garibaldi.
.
Fu nel costruire la fondazione di un alto camino che a 5 metri di
profondita' si trovarono un umbone di scudo, gli speroni e una spada,
tutto di epoca barbarica. Gli oggetti furono portati a Milano in casa del
Sig. Dell'Acqua, via Settala 45, ma oggi non si trovano piu'. In questo
luogo sorgeva il convento di Santa Caterina dal quale alla sua ultima
distruzione del 1924 si staccarono alcuni affreschi.
Ove esisteva l'osteria della Stella, di proprieta' di Lampugnani al n. 7
di via Garibaldi si trovo' l'umbone di scudo della figura e di alcune
spade, ma oggi non possiamo piu' particolarmente designarli. Essi pare
che siano passati al Museo di Torino, ma la' non si possono piu'
distinguere da altri non essendo classificati.
Si tratta invece della casa in corso Vittorio Emanuele 17, angolo
Alberto da Giussano, che e' la casa dell'ex sindaco Agosti (oggi casa
Cittera) e il Sig. Aristide Mantegazza, sempre solerte raccoglitore,
23
Queste le notizie che nel 1901 scriveva il Prof. Serafino Ricci sui ritrovamenti
antichi in Legnano; ma come si vede mancano alcune indicazioni dei
luoghi.
Il maestro Pirovano Giuseppe, segretario della Congregazione di Carita' nelle
sue "Memorie postume su Legnano" datate 1883 (egli aveva
precedentemente scritto altre brevi memorie su Legnano), riferisce alcuni
luoghi di ritrovamento con queste pagine:
".... Nelle vicinanze della borgata con ci fu dato di ritrovare antichita' romane,
ma bensi' tanto da una parte che dall'altra delle due coste che la
nascondono alla distanza di mezzo chilometro, se ne trovavano a
sufficienza, ne' e' fuori dubbio che i campi della Ponzella possano ancora
fornircene..."
Delle reliquie romane trovate nei nostri campi, fanno fede oltre quelle dei vari
particolari possessori, la bella raccolta fattasi da Don Giuseppe Brambilla
di Castellanza, consistente in anfore, vasi cinerari, speroni, fibule e altri
oggetti dell'epoca, ritrovati nei suoi poderi posti nel territorio di Legnano e
di altri su quello di Castellanza.
Facendosi un nuovo tronco della strada provinciale del Sempione che dal
nuovo ponte dell'Olona, lasciando Castegnate in disparte e
attraversando Castellanza sul piu' alto della sua costa per la Cascina
Buon Gesu', detta popolarmente delle Corde perche' qui facevansi corde,
ritiro' i cocci dell'anfora che era gia' spezzata e gli oggetti che
conteneva... ma oggi non c'e' piu' a Legnano.
"
Ponzella (anticamente Poncena, vedi questo nome ripetuto piu' volte
nei registri dell'ospizio di S. Erasmo del 1471) . In questa localita' piu'
volte si ritrovarono vasi cinerari, sepolcreti e lucernette nonche'
monete di Aureliano 270-275 d.c., Probo 276-282 dd.c., Massimino
286-305 d.c., nota del Pirovano stesso.
Dalle indagini da me fatte per ritrovare tale collezione, risulto' che
essa sicuramente ando' distrutta (non dispersa) per vandalismo del
detentore, ereditario, verso il 1900.
24
fattosi un taglio di terreno per mettere piu' a dritto il tronco che ascende,
fui io presente allo scoprimento delle due belle anfore cinerarie, che
vennero comperate dall'Ing. Introini di Busto Arsizio.
Piu' oltre di questa localita', andando per la costa verso Olgiate, non abbiamo
altre notizie in proposito, quantunque questo comune sia antico come
vedremo in seguito.
Delle antichita' legnanesi delle quali siamo possessori accenneremo a monete
romane quale quelle che ci danno schiarimenti di colonie romane qui
stanziate e di cui ci ricordiamo non solo i vasi cinerari ma acnhe la terra
che raccolse le ceneri dei corpi abbruciati entro la quale raccolsimo un
sasso eguale quasi nella sua struttura lamellare alla lignite con traccia di
opalino formato dall'ardenza del fuoco. In generale i zappatori di terreno
tanto piu' negli scavi di ghiaia per le strade, allorche' vi trovavano qualche
vaso, anfora o sepolcreto, amanti piu' della scoperta di un tesoro che
delle rispettabili antichita', queste cadono a pezzi sotto ai colpi
dell'impavida zappa a pronta soddisfazione dell'ingorda avarizia di chi la
maneggia. In tal modo vanno dispersi i frantumi dei quali riesce il piu'
delle volte ad un conoscitore di difficile argomento di conoscere l'origine
storica e la configurazione dell'infranto oggetto.
Il contadino qualche volta nello scavo fosse per piantagione di gelsi, scopre
qualche vaso o sepolcreto ma di cio' osservato non esservi di che possa
interessarlo si serve del vaso per qualche ordinario uso proprio e il
mattone romano che serviva di coperchio se non e' spezzato prima che
veda la superficie, viene adoperato come sedile.
Circa alle citate monete antiche, crediamo opportuno di non nuovamente
trascriverle essendo queste palesate gia' nell'Omaggio della Societa'
Lombarda al VII centenario della Battaglia di Legnano e brevi cenni
storici della Battaglia di legnano - Busto Arsizio - Tipografia Volonterio, da
Si tratta evidentemente del punto ove la via 29 Maggio si innesta
nella via del Sempione, all'estremo nord di legnano.
Si fecero poi dei ritrovamenti modesti in localita' Fiorenza e quelli piu'
ricchi dal cavo di sabbia che e' fra il cimitero di Castellanza e la Cascina
del Buon Gesu' dai quali traemmo la fotografia di un elegantissimo
poculus presso l'Ing. Prandoni.
Presso gli eredi Pirovano non si pote' nulla rintracciare.
Volumetto esaurito ma visibile a Brera a nell'Accademia.
25
noi fatto stampare per l'accennato centenario a corredo di quanto venne
omesso nel capitolo Legnano dal suddetto Omaggio.
Del periodo dei Longobardi pure abbiamo scoperte da ricordare; per esempio:
" nel 1868 ai 3 di marzo scavandosi la creta nel prato di San magno, verso
Levante fu ritrovata una tomba coperta da un vergine banco di creta che
dalla sua base sollevavasi all'altezza di metri 1,5, contenete un polveroso
scheletro reso annichilito dall'infiltrazione cretacea che ne investi' il
contenuto fino alla citata altezza, al di sopra del tumulo di un metro".
Ci domandiamo quanti anni ci sono voluti per formare quel banco a furia di
torbidio delle acque? Quel banco di creta non contava la misura della
cotecca del prato ed era a un fondo piuttosto solido e non pantanoso. Noi
non possiamo convincerci che quel tumulo composto di embrici della
dimensione di 40x55 cm. e di buona cottura da fornace, fosse posto in un
fango; attesoche' lo trovammo appoggiato su un solido terreno e la creta
presentava la sua vergine compagine, da escludere totalmente la mano
dell'uomo. Questi embrici si collegavano assieme nei lati e nel coperchio,
Il Pirovano cade nell'errore di credere che la tomba sia stata posta sul
nudo terreno e che il tempo a mezzo di allagamenti avesse deposto la
creta per lo spessore di 1,5 metri sopra di esso. Come concilia del resto
egli la deposizione di tombe in questo luogo ove a dir suo in epoca
romana esisteva un lago?.
Gli e' che se non un lago certo una zona di
allagamento annuale del fiume Olona esisteva intorno al castello di
Legnano, ma in epoca ben piu' lontana, preistorica, alla quale va
ascritto il deposito della creta, proveniente dai terreni cretacea
dell'Alto Varesotto; depositi di creta che troviamo del resto non solo
qua ma anche molto piu' sotto, fino ad oltre Milano e danno il lavoro
alle numerose fornaci che vi si trovano. Come vedemmo gia' prima, le
tombe romano--cristiane a cassetta venivano poste a circa un metro
di profondita', ma seguendo un criterio gia' constatato per le tombe
pagane, tale profondita' subiva variazioni piu' o meno a seconda del
terreno alluvionale (ciotoli e sabbia) era piu' o meno profondo. La
26
con gli appositi risvolti e marcati da una sigla che la ricordiamo nelle
pietre della chiesa di S. Ambrogio a Milano.
Nel ripostovi scheletro rimasero solo le corone dei denti d'uomo piuttosto
giovane e qualche rimasuglio di femore. Se le zappe dei fornaciari non
avessero rotta quella creta internatasi (sotto gli embrici) si sarebbe
potuto stabilire dall'investitura rimasta a modo di stampo, la grandezza e
forse la forma di quel sepolcro ma di cio' nulla, se non che' l'ocria tinta di
un lungo spadone, che' pur esso corroso; cio' non di meno possiamo
attestarne la lunghezza di metri 1,05; larghezza verso l'elsa di cm 5;
grossezza cm. 2 dipartendo dal manico che manca del tutto per indicarlo
di ferro, non avendo la creta nessun segno di ruggine; per il che lo
supponiamo che fosse d'osso o di legno.
La lunghezza e grossezza di questo spadone assai dimostrano essere arma
adoperata a due mani.
Da qualcheduno tale sepolcro si volle attribuire ad un avanzo della battaglia di
legnano, da altri da quella di Parabiago; ma ne' l'una ne' l'altra induzione
ci fornisce abbastanza prove a credere veritiere, da che supponiamo che
i guerrieri di quei secoli portavano celata ed usbergo maneando invece
nello scoperto tumulo totalmente ogni indizio di corrosa armatura od
impronta che ne indicasse colla ruggine l'esistenza di tali oggetti, come si
verifico' nel 11818, facendosi la strada comunale da Legnano a San
Giorgio; sulla colma di questa ritrovossi un mortuario avello con scheletro
ed armatura, che fu portata via (ben inteso venduto dai zappatori) al
Dottor Gaspare Bossi notaio legnanese.
regola appare essere "le tombe siano deposte colla loro base
direttamente sul terreno permeabile", il che si fonda su principi di
igiene. Il Sig. Francesco Dell'Acqua mi disse che in tale prato furono
trovate piu' volte delle tombe formate da tegoloni disposti a triangolo
con ossa dentro e vasetti, ma nulla si salvo' all'infuori di qualche
moneta che peraltro non potemmo vedere e quindi erano tombe del
III IV secolo d.c.
.
Il Pirovano ha misurato lo spessore di 2 cm. sul pezzo enormemente
ingrossato dall'arruginimento; pero' lo spessore originale non poteva
superare 6-8 mm. anche se molto grossa.
27
Nel 1851 nel prato Pellegrini si rinvenne una cisterna o tombino continuato
verso settentrione del Castello contenente qualche palla grossa di
cannone e dei calci di fucile.
In uno scavo di ghiaia fatta nel 1863 in vicinanza della filatura (in oggi Bianchi
Cuttica) fu rinvenuto uno scheletro di cavallo e poco lungi uno umano con
monete d'argento dei Cantoni di Unterwalden, Uppenzell, ecc,
coll'impronta di San martino patrono di quei cantoni svizzeri. Tutte queste
scoperte ci guidarono alla storia dei loro tempi, imperroche' se quella di
San Giorgio ci porta alla battaglia di Federico Barbarossa anche per la
quantita' delle ossa ritrovate poco piu' in la' del corazzato guerriero e per
il nome che aveva il villaggio di San Giorgio Sottero, quasi ad indicare
con tal nome la localita' dei sepolti battaglieri, ben totalmente opposte
sono le scoperte del 1851 e del 1863 che chiaramente ricordano
l'ammutinamento dei polacchi, ecc.
Ora ritornando al tumulo di San magno noi siamo pienamante convinti essere
quello di un guerriero Longobardo attesoche quei popoli discesero in
Italia non forniti di armi certamente come i popoli civilizzati ma
semplicemente armati di una mazza e alabarda ed i piu' di un lungo
spadone che per grossezza quasi serviva piu' di colpo che di taglio non
avendo quella tempera che rese in seguito tanto celebri le fabbriche di
Milano. A causa della mancanza di tempera infatti lo spadone si corrose
assumendo una struttura lamellare a sfoglie. A farci piu' identici nel
nostro esposto. concorrono pure varie monete di quei tempi che faremo
conoscere al lettore:
" nel suddetto prato consumandosi la creta si trovo' pure due monete una d'oro
e l'altra di rame". La prima appartiene a Tiberio II° (578-582 dopo Cristo)
cioe' ad un'epoca in cui le arti e la scienza della lingua latina erano
all'estremo della decadenza per il che le monete di quell'epoca erano
quasi tutte spropositate dando ai numismatici un difficile compito a
decifrarle. Nel retro di questa prima moneta si legge Victoria Augustorum
Conob.
La seconda e' una moneta bizantina cuprea del diametro di 25 millimetri nel
cui diritto presentasi il mezzo busto di Leone VI visto di fronte, con
diadema orientale adorno di tenie, sormontato da una piccola croce;
In possesso del fisico Dott. Ferrario a Gallarate ed ora di suo figlio
Scipione a Samarate.
Venne descritta dal Sig. Vigore, giudice del mandamento di Busto
Arsizio, appassionato cultore di numismatica.
28
l'ampio suo paludamento scende in larghe pieghe da destra a sinistra del
petto, in giro la leggenda: Leon Basileus Romeon. Nel retro senza tipo la
leggenda + Leon ENOEO BASILEUS ROMEON. (Leone VI detto il
filosofo fu imperatore di oriente dal 886 al 911 dopo Cristo).
Fra le tante monete ritrovate, meritano particolare menzione quelle d'argento
rinvenute in un'anfora sepolta nella creta del prato detto di San Magno
dietro al castello, sulla destra del ramo dell'Olona che per un tratto
fiancheggia la strada per San Vittore.
Erano numerosissime monetine coniate ai tempi della repubblica romana,
riferentesi agli anni 485 della fondazione di Roma ossia 753 (?) anni
avanti la venuta di Cristo. Queste monete ben conservate sono di
famiglia portante le figure di Castore e Polluce a cavallo e la parola
Rome sotto alle loro cavalcature; le altre invece avevano un leone; tutte
queste monete portavano sul retro una testa di donna, taluna con cimiero
e ali all'orecchio.
.
Fu un ritrovamento eccezzionale ricchezza e soprattutto molto
interessante per noi. Era un vero tesoro personale nascosto; uno di quei
ritrovamenti quali accadono di rado ( (ed oggi sono passati 44 anni)
ma pur accendono la fantasia e le smanie degli sterratori al danno
dell'archeologia.. Di tali monete ce ne sono 28 al Castello Sforzesco a
Milano, pervenuteci a mezzo del pittore Bertini, ed una ventina o piu'
ne possiede l'ing. Roberto Dell'Acqua a Milano delle quali ce ne cedette
una che porta nel diritto: Testa di Diana e nel rovescio: Gallius
Lupercus colla legenda: MASSA.
Le altre moltissime sono passate a
mani ignote a noi e vedremmo volentieri che venissero portate al
Museo.
Si tratta di monete galliche coniate nella stessa Lombardia
fra il 2° e il 1° secolo avanti Cristo, gia' sotto la dominazione della
Repubblica Romana. Infatti nel gruzzolo si trovavano anche monete
consolari romane coll'effigie di Roma con elmo alato sul diritto e due
dioscuri a cavallo in corso sfrenata con la dicitura ROMA nell'esefra,
quali ne conserva il ing. Dell'Acqua. E' cosa singolare che in epoca
29
Uno scheletro che ci riporta ad epoca preistorica venne ritrovato il 22 marzo
1871 in un vergine strato di sabbia, frapposto a due di conglomerata
ghiaia, alla profondita' di 3 metri sotto le fondamenta di una casa del
1200. Lo scrivente conserva di questo scheletro la mandibola inferiore e
un pezzo di femore.
Scrive poi il Pirovano nel suo diario: "4 settembre 1885: alla cascina San
Bernardino si scopre un'ala romana. Ne e' avvisata la societa'
Archeologica - 5 settembre: invitatolo scrivente a portarsi a San
Bernardino come sopra, ne fu dato di constatarne un'altra, e un pezzo di
frammento lapidario.
politicamente romana si coniassero ancora molte monete galliche, ma
e' un fatto accertato e non esclusivo in quell'epoca. Tale moneta era
benvisa dal popolo nel quale le tradizioni ataviche non erano ancora
del tutto estinte. Alla moneta gallica o Massaliota che dir si voglia
veniva attribuito un alto grado di fido che la faceva desiderare, un po'
come oggi noi tratteremo piu' volentieri la moneta aurea anziche' la
moneta cartacea o di nichelio. Cosi' si spiega che in periodo politico
Romano si aveva la coniazione delle monete galliche. Non sono
falsificazioni ma imitazioni ufficiali.
.
Non c'e' piu' oggi.
.
Le cosidette are sono due cippi i quali appunto ci racconta il Rag. Figini
che furono ritirati dalla cascina San Bernardino non senza difficolta'
per le pretese di possesso accampate da un contadino. Il frammento
lapidario e' smarrito; sara' al Castello a Milano?. (26 bis) Vi e' una
ragione
per
credere
che
questa
via
era
in
quella
direzione
Ponente-Levante per accedere alle scuole Mazzini della I° epoca e
ancor oggi (1962), cioe' un avanzo del sepolcreto gallico che io potei
scavare piu' sotto nel 1937 ma nella sola via Calatafimi, com'e' noto
dalle mie relazioni.
30
14 febbraio 1888: Innalzandosi una fabbrica nel primo cortile del palazzo
arcivescovile in via Magenta, con al di sotto una ghiacciaia, si rinvenne
un fondamento d'antica origine avente la larghezza di metri 2 ed uno di
altezza, nell'eguale costruzione del vecchio campanile di San Salvatore
(ora San Magno) - 15 settembre 1889: nella via fattasi al centro del fondo
dell'ex convento di San Angelo si rinvennero vari cocci di vasi cinerari e
di stoviglie antiche che vi subirono gia' un rivolgimento di terra". (26 bis)
Questo dunque cio' che ci racconta il Pirovano che benche' poco erudito ci da'
una serie di indicazioni precise che troveranno conferma dai ritrovamenti
da noi stessi fatti dal 1925 in avanti nelle stesse localita' ed in varie altre
e dalle informazioni assunte presso persone anziane allo scopo di
integrare il lavoro del Pirovano possibilmente senza soluzione di
continuita' nel tempo.
Un'altra importante notizia ci da' il Prof. Castelfranco, gia' direttore del Museo
Archeologico di Milano, che scrisse nel 1886:
"Durante i lavori di costruzione della ferrovia Minano-Arona si trovarono vicino
a Legnano molte tombe con ferri, vasi, ampolline di vetro, braccialetti di
ferro di epoca romana e gallo-romana. Gli oggetti furono a me
consegnati dall'Ing. Miani dirigente dei lavori". Di essi oggi null'altro ci
resta che una parziale riproduzione in una rivista di archeologia
dell'epoca malgrado che tutta la collezione personale del prof.
Castelfranco da lui donata al Castello Sforzesco sia la raccolta; gli
oggetti di Legnano non ci sono, ne' e' conosciuta la localita'. Che
l'indicazione del Prof. Castelfranco "vicino a Legnano" debba intendersi
nel senso piu' stretto, cioe' di "molto vicino" e' logico, se si pensa che la
professione esige di precisare quanto piu' si puo' i luoghi dei ritrovamenti.
31
Cenni storici
Le sponde Legnanesi dell'Olona furono popolate in preistoria da genti
genericamente definite liguri: della cultura di Canegrate, alla quale e'
ascritta la vasta necropoli del XIII° secolo a.c., e della successiva
golasecchiana.
Scarsa penetrazione vi ebbe l'invasione dei celto-galli, scesi da oltr'Alpe tra il
V° VI° secolo a.c.: protetta dai boschi, la zona tra Legnano e Busto
meglio conservo' la sua etnia, come sembrava provato dal persistere di
assonanze liguri nel locale dialetto.
Alla romanita' risale il toponimo Legnano: certo da Laennius, nome del
proprietario del fondo.
Popolatosi per gradi, in eta' imperiale Leunianum fu vicus di qualche rilievo, a
giudicare dai sepolcri scavati in varie zone cittadine e viciniori: i cui
corredi (ved. Museo) attestano organizzazione del lavoro e discreta
qualita' di vita.
Declinato l'impero d'Occidente, il distretto del Seprio ( con la plaga (4)
Legnanese ) fu conteso fra i Goti e i Bizantini. Invaso dai longobardi dopo
il 568, nel 774 passo' ai Franchi di Carlo Magno, restauratori dell'idea
imperiale. Furono i Carolingi a conferire le terre della zona ( con i redditizi
mulini mossi dalle acque dell'Olona a quei tempi limpide e pescose ) agli
arcivescovi di Milano.
Legnanello ( a sinistra del fiume, oggi parte integrante della citta') e' citata per
la prima volta in un documento del 789: atto con cui l'Arcivescovo Pietro
cedeva al Monastero di San Ambrogio terre ereditate in luogo. Il borgo sottoposto alla chiesa plebana di Parabiago - si trovava al confine del
Seprio con Milano: tale posizione influi' sulla sua importanza verso la fine
del X° secolo, quando si andarono delineando contrasti tra la nobilta'
feudale di campagna e le classi medie del capoluogo.
Nel 1066 il diacono Arialdo - fustigatore del clero concubinario e corrotto e
portavoce della nuova borghesia cittadina contro nobili e curia
filo-imperiali - fu costretto a fuggire da Milano. Trovo' riparo a Legnano,
nel palazzo del suo partigiano Erlembardo Cotta: ma venne catturato e
4
Regione
32
condotto in quel d'Angera, a morte per mano dei sicari del vescovo
Guido.
Il crescente progresso economico in Lombardia premio' infine le classi
mercantili, che si organizzarono nel comuni, organismi anelanti
all'autonomia del potere imperiale.
Il piu' forte di essi, Milano, diede inizio ad un attivo espansionismo a danno dei
vicini, usurpando senza scrupoli le regalie (prerogative, imposte )
dell'imperatore. Ad esso si lego' Legnano, abbandonando il Seprio, la cui
nobilta' parteggiava per l'impero.
Federico I di Svevia il Barbarossa - nel tentativo di rafforzare la sua sovranita'
fruendo nel contempo delle strutture italiche in pieno sviluppo intrapprese una decisa lotta contro Milano ed alleati. Nel 1160, per ridurre
alla fame l'ostinata ribelle, ne devasto' le campagne, comprese quelle
Legnanesi; due anni piu' tardi giunse ad espugnarla e ne fece atterrare le
difese.
Papa Alessandro III° - anch'egli in contrasto con Federico per secolare
antagonismo di potere - incoraggio' allora la costituzione di una Lega di
citta' venete e lombarde, i cui aderenti formarono un comune esercito
giurando irriducibile ostilita' allo svevo.
Nel 1176 barbarossa fu sconfitto a Legnano. L'evento preoccupo' l'imperatore
e rafforzo' Milano, ma l'anno successivo la curia romana - che temeva
l'eccessiva potenza dei comuni - venne a patti con il Barbarossa; ne
segui' una tregua di sei anni. Infine il trattato di Costanza ( 1183 ) sanci' la
pace, con il riconoscimento dei comuni e di alcuni diritti dagli stessi
acquisiti; ferma restando la sottomissione all'impero (del resto mai
contestata) con giuramento di fedelta', pagamento di determinate
imposte, investitura sovrana dei consoli eletti.
Il 29-5-1176 Barbarossa con poche migliaia di armati marciava da Como
alleata verso la fedele Pavia. A Legnano erano le forze della lega con il
Carroccio: un carro trainato da tre paia di buoi bianchi, ideato a Milano
dal battagliero arcivescovo Ariberto d'Intimiano (XI° secolo)
successivamente adottato da quasi tutti i comuni italici.
Simbolo della collettivita' comunale, il carroccio era una macchina tattica, con
gonfalone inalberato e martinella (campana) per orientare i combattenti,
33
presidi di sostegno materiale (farmaci, vettovaglie energetiche) e morale
(crecefisso, prete officiante).
Un reparto di cavalleria lombarda intercetto' a Borsano l'avanguardia imperiale
e l'attacco', ma dovette ripiegare. Tedeschi e comaschi, inseguendolo,
raggiunsero il Carroccio ( nei pressi della chiesetta di San Martino, in
fondo all'attuale corso XXIX maggio).
La cavalleria del Barbarossa non risparmio' gli attacchi, ma i militi della Lega,
in quadrato, resistettero con tenacia; intanto i cavalieri in ritirata, rinforzati
da freschi contingenti, erano tornati in campo. Il loro attacco al fianco
divise in due l'esercito imperiale: i tedeschi sbandarono verso il Ticino
con gravi perdite; lo stesso Federico - entrato coraggiosamente in
battaglia - riusci' a malapena a salvarsi e a raggiungere Pavia, perdendo
armi e insegne.
Una tradizione - dal cronista Milanese Galvano Fiamma (XIV secolo) attibuisce la vittoria alla Compagnia della Morte: formazione volontaria di
poche centinaia di cavalieri decisi a tutto, guidata da Alberto da Giussano.
Intorno a tale personaggio (del quale in realta' neppure e' certa la
partecipazione alla battaglia) fiori' nell'800 romantico e patriottico
un'epoca suggestiva ma storicamente poco convincente (Carducci,
Pascoli). Anche il senso della lega venne alterato: la precaria, utilitaristica
alleanza dei comuni fu considerata atto di cosciente unita' nazionale
contro lo straniero. Si enfatizzo' l'importanza della vittoria (netta, ma
affatto risolutiva!), e non solo da parte italiana (ved. Hegel).
Per il 7° centenario in citta' fu improvvisato un monumento: di gesso e
cartapesta color bronzo, su alto basamento, trasse in inganno il pubblico,
ma fortunatamente - brutto e poco pertinente, come lo mostrano le
fotografie - non resse alle prime intemperie.
Ben diverso l'attuale (in piazza omonima) certo tra i piu' felici del Butti, 1990:
un bronzeo guerriero in maglia, elmo e scudo, la spada levata in segno di
vittoria. Sul basamento in granito grigio, altri bronzi in rilievo: il carroccio
e i monaci soccorrono i feriti dopo la battaglia.
Ogni ultima domenica di maggio si celebra in citta' la sagra del carroccio, con
un carosello di circa 1500 comparse a piedi e a cavallo in costumi
medievali fedelmente allestiti. Segue la corsa ippica nello stadio, tra le
otto contrade: per la conquista del palio, un crecefisso in rame sbalzato,
copia di quello donato da Ariberto al nascente comune di Milano.
L'interessante manifestazione - istituita nel 1933 - ripristinata nel
dopoguerra - non manca mai di attirare folle di appassionati e curiosi.
34
Verso meta' 1200 l'Arcivescovo Leone da Perego tento' l'avventura della
signoria personale a Milano, appoggiandosi all'aristocrazia contro i
popolari; scacciato dai Torriani si rifugio' a Legnano, dove teneva una
dimora estiva nei pressi della chiesa di San Salvatore (5). Ivi confluirono
le forze dei nobili con lui fuoriusciti, intenzionate a battersi per la rivincita:
ma l'ottantenne prelato venne a morte improvvisa.
In quell'epoca il giovane canonico Ottone Visconti, uomo di fiducia di leone,
fortifico' a Legnano un nucleo del castello: in seguito, divenuto a sua
volta Arcivescovo, si appoggio' anch'egli alla parte nobiliare per
contendere il potere ai Torriani.
Dimorava nel borgo il frate laico umiliato Bonvesin della Riva ( 1240 - 1313 ).
Considerato il piu' importante letterato milanese del suo tempo, aveva
preso nome dalla ripa di Porta Ticinese, dove teneva casa e scuola. Egli
stesso fa cenno alla sua permanenza a Legnano, nel poemetto "le
cinquanta cortesie da desco"
I Visconti finirono con il prevalere sugli antagonisti Torriani: nel '300
affermarono definitivamente una signoria ereditaria, sotto la quale
Legnano segui' le vicende del milanese.
Nel 1450 Francesco Sforza si impadroni' del Ducato. La signoria sforzesca
duro' tutto il secolo; quindi per oltre 30 anni il milanese fu al centro di
aspre guerre tra Francia e Carlo V d'Austria e di Spagna
Prevalsero gli Ispano-Imperiali.
Integrato nei possedimenti asburgici, nel 1596 il ducato venne assegnato a
Filippo II di Spagna, che lo resse tramite governatori.
Il '500 fu per Legnano un periodo di splendore: gia' luogo di soggiorno estivo
dei notabili milanesi, si era ingrandita attorno alla chiesa di San salvatore,
ricostruita e dedicata a San magno; il borgo era vivace, attivo, con campi
fertili, vigneti, frutteti. Nel 1584 San Carlo lo stacco' da Parabiago
facendolo capo-pieve: contava 2083 abitanti.
Il secolo successivo porto' decadenza, per guerre e carestie che
danneggiarono i domini lombardi di Spagna. Nel 1630 anche Legnano fu
spopolata da una grave epidemia di peste; nel 1649 il paese trovo' la
somma necessaria per evitare una sgradita infeudazione decisa dal
governo.
5
Oggi San magno
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Nel primo '700 subentrarono gli austriaci: la cui amministrazione piu' moderna
ed efficiente, contrassegnata da riforme illuminate di Maria Teresa e di
Giuseppe II°, sollevo' l'economia lombarda.
Durante il ventennio napoleonico, Legnano con il dipartimento dell'Olona fece
dapprima parte della Repubblica Cisalpina, poi italiana; infine del Regno
d'Italia (1805).
Al declino di Bonaparte tornarono gli austriaci, bene accolti dalla popolazione
contraria alle spese di guerra ed alle continue leve militari francesi.
Nel 1821 l'indistriale svizzero Carlo Martin impianto' a Legnano la prima
filanda di cotone. Nel 1859 - al termine della seconda guerra contro
l'Austria - Legnano ( con il centro autonomo di Legnanello) fu aggregata
all'Italia unita.
Sorsero altre fabbriche, ubicate sulle sponde dell'Olona per trarre forza
motrice dalla corrente. Nel 1861 vi passo' il primo treno a vapore della
ferrovia MI-VA.
Il primo '900 porto' un rapido sviluppo, grazie alle nuove industrie tessili e
metallurgiche fondate dai Krumm, dai Bernocchi, dai Dell'Acqua e da altri
imprenditori. Con le fabbriche si estesero i quartieri, vennero istituite
scuole professionali, il lavoro diffuse un certo benessere.
intorno agli anni '20 vi si affermo' il fascismo, debolmente contrastato da
opposizioni di sinistra alimentate negli ambienti operai. Nel 1942
Legnano ebbe titolo di citta'; vi fece visita ufficiale Benito Mussolini, che
ritornera' trionfalmente 10 anni dopo. (2)
Nell'ultimo conflitto due legnanesi ottennero la medaglia d'oro: Roul Achilli e il
giovane Carlo Borsani (fascista, cieco di guerra, aderi' alla repubblica
Sociale e fini' assassinato a Milano nei giorni della liberazione).
Anche la Resistenza ebbe le sue vicende ed i suoi protagonisti (scioperi nelle
fabbriche fin dal '43; uccisioni, deportazioni, attacco finale delle Brigate
Garibaldi e Carroccio agli ultimi preside fascisti).
Il processo di industrializzazione - in crescendo fra le due guerre - riprese
dopo il 1945, conferendo a legnano quel volto progredito ed operoso che
la distingue.
2
E' da verificare
36
La citta' e' oggi un centro industriale, artigianale e terziario di 49.000 abitanti,
percorso dall'animatissima arteria del Sempione. Dista 27 chilometri da
Milano ed e' praticamente inurbata con i centri vicini.
In Viale Toselli. In origine forse cenobio (3) Agostiniano, ebbe un primo nucleo
fortificato verso il 1230 da Ottone Visconti, allora fiduciario di Leone da
Perego. Nel 1257 fu acquisito da Martino della Torre; nel 1273 ospito' re
Edoardo I d'Inghilterra reduce della terrasanta; quattro anni dopo fu
ripreso da Ottone, ormai signore di Milano. I successori lo tennero a
scopi difensivi, pr la sua posizione su un'isoletta formata dalla
biforcazione dell'Olona.
Filippo Maria Visconti nel 1437 lo dono' al fedele capitano Oldrado II da
Lampugnano: che lo muni' di mura merlate, vallo, 6 torri cilindriche, e
porto' l'ingresso da Ovest a Nord, dove innalzo' il torrione con ponte
levatoio.
Occupato dallo Sforza, subi' in seguito un incendio da parte di Teodoro
Trivulzio, condottiero al servizio dei francesi sul finire del '400.
Rimase sempre ai Lampugnani, che non cessarono di apliarlo ed abbellirlo,
utilizzandolo come dimora. Nel 1729 Francesco Maria - non avendo eredi
- lo lascio' all'ospedale maggiore di Milano; da cui nel 1795 l'acquisto' il
mercante cotoniero Cristoforo Cornaggia marchese di Castellanza. I
nuovi padroni lo tennero come casa di campagna.
Da fine '800 alloggio dei coloni della vasta tenuta circostante, divenne
fatiscente, quasi un rudere (ad eccezzione della chiesetta interna di San
Giorgio, del torrione di ingresso e dei 4 superstiti laterali).
Acquistato dal Comune nel 1973, e' da anni in progetto di restauro. Affreschi
del '500 sono stati rimessi in luce nel salone delle feste; si e' scoperto un
impianto di riscaldamento a canaletti sotto il pavimento delle camere da
letto.
Nei pressi, Parco Pubblico, (immenso e frequentatissimo): con prati, laghetti,
uccelli acquatici e di ogni specie. Tra gli alberi, scultura equestre del
contemporaneo Giacomo Corti.
3
Comunita' di religiosi
37
38
Le origini
Legnano durante il sorgere e il consolidarsi della signoria
viscontea
Abbiamo gia' visto ripetutamente nei capitoli precedenti che la particolare
posizione di Legnano ne fece un punto importante del sistema difensivo
milanese, finche' la situazione della citta' rimase incerta e le fazioni si
avvicendavano al potere. Osserveremo ora come, con il consolidarsi a
Milano di un governo signorile, in grado, ormai di controllare vasti
territori e di imporre la propria volonta', Legnano sia divenuta, nel corso
del secolo XIV, un semplice luogo di soggiorno per i nobili milanesi,
sebbene non avesse perso del tutto la propria importanza militare, come
vedremo.
Ottone Visconti, divenuto arcivescovo di Milano nel 1262, non aveva potuto
prendere possesso dei propri beni a causa della ferma opposizione dei
Torriani alla sua elezione. Unitosi al partito dei fuoriusciti e messosi a
capo di esso nel 1276, tento' ripetutamente di abbattere il potere della
fazione avversa, finche' nel 1277 si giunse al fatto risolutore. Essendo i
Ottone entrato nella Martesana e puntando decisamente su Milano, i
Torriani tentarono di fermarlo attestandosi a Desio, ma l'arcivescovo,
che era stato canonico in quel borgo e vi aveva degli appoggi, riusci' a
penetrarvi: parte dei Torriani restarono uccisi, altri prigionieri, mentre
alcuni di loro, che al momento dell'agguato si trovavano a Cantu',
rientrati precipitosamente a Milano, dovettero constatare che la loro
autorita' era lesa irrimediabilmente e furono costretti a lasciare il paese.
Il 21 gennaio 1277 Milano riconobbe Ottone e bandi' i Torriani.
Durante tutta questa lunga lotta la situazione del borgo di Legnano non era
probabilmente mutata: nel catalogo delle famiglie nobili ammesse al
rango degli ordinari della Metropolitana, redatto in un periodo
L'incostanza delle popolazioni milanesi dimostra come in realta' le due
fazioni, che avevano assunto i nomi di Guelfi e Ghibellini, non fossero
sostanzialmente diverse per ideologia o composizione sociale, ma
fossero piuttosto divise da odi personali e famigliari.
39
imprecisato compreso tra il 1277 e il 1377, compaiono gli Oldrendi di
Legnano,
i quali avevano forse approfittato dello scarso controllo
esercitato in questo periodo sui beni dipendenti dalla mensa
arcivescovile per aumentare la propria autorita' sul borgo. In seguito, i
loro rapporti con l'arcivescovo si faranno assai stretti e si giungera' ad
una collaborazione assai fruttuosa per entrambi, come vedremo piu'
avanti.
La situazione di Ottone non era pero' certamente tranquilla, dal momento che i
Torriani, estromessi dal governo e banditi, non avevano abbandonato la
speranza di riacquistare cio' che avevano perduto, e, ottenuti numerosi
appoggi, facevano numerose scorrerie nei territori attorno a Milano. La
sfida aperta tra le due fazioni si ebbe nel 1285 quando Goffredo Torriani,
dopo essere entrato a Bergamo e a Como, conquisto' Castelseprio: ben
conosceva l'arcivescovo e i sentimenti del Seprio verso Milano e verso il
partito dominante in esso, qualunque esso fosse, percio' riuni' tutto
l'esercito a Legnano, dove rimase per otto giorni cioe' fino al 13 aprile.
Probabilmente lo stesso Ottone aveva innalzato, in quei tempi ancora torbidi
per il suo governo, il muro che circondava il borgo, correndo lungo il
fosso scavato ai tempi di Leone da Perego; vi aveva inoltre costruito
numerosi edifici, anche di una certa importanza. Tutto cio' rendeva
Legnano adatta ai soggiorni di una certa durata e permetteva di
utilizzarla come base logistica per le operazioni militari da svolgere nel
vicino Seprio: infatti, essendo, come abbiamo detto ripetutamente, una
porta sul territorio piu' prossimo a Milano, l'arcivescovo poteva da qui
osservare le intenzioni del nemico e decidere se attaccarlo direttamente
e bloccarlo prima che entrasse nel milanese. In questo caso
l'arcivescovo opto' per la prima possibilita' e, uscito da Legnano, si
trasferi' a Gallarate e di la' si avvio' a Castelseprio, ma circa un miglio
fuori di Gallarate ricevette la notizia che i nemici erano usciti dalla rocca
e si accampo' a Bassano, mentre i nemici rientravano in Castelseprio e
Giulini - Gli ordinari della Metropolitana attraverso i secoli.
Il
Castiglioni avanza molti dubbi sull'epoca di redazione di questo elenco
e dubita addirittura della sua autenticita'
Localita' che non sono riuscito ad individuare, a meno che non si tratti
di Cassano Magnago che si trovava appunto poco fuori di Gallarate in
direzione di Castelseprio. Il Corio indica appunto la localita' di Bassano,
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ne miglioravano le fortificazioni.
L'arcivescovo allora, dimostrando ancora una volta quanto poco si fidasse del
Seprio, si porto' immediatamente a Varese per tagliare i rifornimenti, che
pero' nel frattempo erano gia' pervenuti, per opera di Guido da
Castiglione, dalla vicina rocca omonima. Il maltempo che ostacolava le
operazioni militari indusse le due parti a trattare la tregua, conclusa il 15
maggio con la consegna di Guido da Castiglione di Castelseprio e di
Febo e Zanino della Torre come ostaggi, avvenuta il 18 maggio,
dopodiche' i Torriani si recarono a Como e i Visconti a Milano. Tuttavia
al momento di concludere la pace il 21 maggio a Castiglione, le trattative
si ruppero per le eccessive pretese di Ottone che voleva fare da arbitro
unico negli accordi.
Dopo brevi scorrerie nei reciproci territori, sembrava che fosse tornata la
calma, ma ben presto i Torriani minacciarono Varese con l'intenzione di
riprendersi Castelseprio. Nuovamente l'esercito milanese si sposto' a
Legnano, da dove l'arcivescovo dopo aver invano tentato di ottenere
pacificatamente Castelseprio da Guido da Castiglione gli lancio' u
ultimatum di due giorni: per tutta risposta Guido consegno' la rocca ai
Torriani e fu percio' bandito. L'esercito milanese si porto' a Gallarate,
dove si riuni' il 12 ottobre con altri corpi provenienti da Milano; dopo una
breve sosta dovuta al maltempo, assali' e saccheggio' il borgo di
Castelseprio, ma non potendo prendere la rocca ed essendo impedito
da ulteriori operazioni militari dalla piena dell'Olona, lascio' Castelseprio
il 28 ottobre, di la' retrocesse su Fagnano e Busto Arsizio e in novembre
rientro' a Milano.
Nel febbraio dell'anno successivo si fecero nuovi tentativi di pace;
l'arcivescovo torno' nuovamente il 27 febbraio a
Legnano, che
funziono' ancora una volta come punto di appoggio, e presso Legnano,
probabilmente il castello di San Giorgio, costruito alcuni anni prima dai
Torriani, si incontro' con Guido da Castiglione e Loterio Rusca. Le
trattative, proseguite in Barlassina, si conclusero in Lomazzo il 30 marzo
con la pace pubblicata il 3 aprile fra Lomazzo e Rodello, in base alla
quale veniva revocato il bando ai Torriani, senza pero' permettere che
rientrassero in Milano o nel suo contado.
mentre la Storia di Milano riferisce la vicenda in termini troppo vaghi
per permettere un raffronto.
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Ottone tuttavia non ebbe pace finche' mediante uno stratagemma, non riusci' il
28 marzo 1287 ad impadronirsi di Castelseprio e a farla radere al suolo,
vietandone in perpetuo la ricostruzione. Eliminata questa minaccia,
Ottone incomincio' a preparare il terreno per aprire la successione a suo
nipote Matteo, che, dopo aver ricoperto cariche sempre piu' importanti,
ottenne nel 1294 dal re dei romeni Adolfo di Nassau il titolo di vicario
imperiale per la Lombardia, che gli fu riconfermato da Alberto d'Austria
nel 1298. Frattanto l'8 ottobre 1295 era morto l'arcivescovo Ottone.
Ma nonostante tutto cio' il potere di Matteo Visconti era tutt'altro che solido:
oltre alle guerre esterne e alle ribellioni delle citta' soggette, anche in
Milano si ordivano congiure contro di lui. Il capo di una di esse, Pietro
Visconti, scoperto ed imprigionato a Settezzano, godeva grande
autorita' nel Seprio, forse perche' aveva sposato Antiochia, della famiglia
dei Crivelli, che dalla sede originaria di Nerviano aveva probabilmente
esteso il proprio potere anche su parte del Seprio.
Castelseprio costituiva un pericolo essendo un castello assai forte in
una zona notoriamente infida: per Ottone mantenervi un presidio
sarebbe stato assai costoso, mentre restava aperta la possibilita' che i
nemici della citta' se ne servissero in futuro come avevano gia' fatto in
passato come rifugio sicuro. La stessa politica di distruzione dei castelli
che era impossibile controllare era gia' stata seguita dai Torriani negli
anni precedenti all'avvento del dominio di Ottone.
.
Pietro Visconti e Antonia Crivelli sono i genitori di Lodrisio Visconti
che, secondo il Giulini, avrebbe ricevuto da Arrigo VII ampi poteri sul
Seprio: cio' e' assai probabile e potrebbe essere semplicemente la
sanzione di uno stato di fattom derivante dalla parentela coi Crivelli.
Questa famiglia di Valvassori, che e' nota agli inizi del secolo XII e che
acquisto' rapidamente una notevole potenza, compare sulla predetta
matricola degli ordinari della Metropolitana, suddivisa in quattro
rami, uno dei quali e' privo di ulteriori specificazione, mentre gli altri
tre sono relativi rispettivamente a Parabiago, Uboldo e Nerviano: cio'
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L'influenza di Antiochia Crivelli, che aveva provocato l'ennesima ribellione nel
Seprio, un assalto delle citta' nemiche di Milano e tumulti in citta'
provocarono congiuntamente il tracollo di Matteo, che dovette chiedere
la pace e dimettere il capitanato il 13 o 14 giugno 1302. I Torriani
rientrarono in Milano e i Visconti dovettero mettersi rapidamente in salvo,
colpiti dal bando.
Milano rientrava cosi' nello schieramento delle forze anti-imperiali e
filo-francesi e ne diveniva uno dei capisaldi.
Tutto cio' favoriva evidentemente i mercanti milanesi, che, per i loro commerci
oltremontani, necessitavano di un buon accordo coi principi occidentali.
Attorno ai Torriani interpreti di queste aspirazioni si stringeva la classe
dei fabbricanti, artigiani mercanti e banchieri. Ma la buona posizione
politica della famiglia della Torre era minata dal latente dissidio tra Guido
e il cugino Cassone, nuovo arcivescovo di Milano, che gia' nel 1303 si
era ritirato nei propri castelli di Angera e Cassano. Nel maggio 1305 in
seguito ad una congiura furono banditi da Milano alcuni nobili, tra cui
Cressone Crivelli che, approfittando di una spedizione milanese con la
lega Guelfa contro Brescia entro' in Nerviano, cercando invano di
provocare una sollevazione e di impadronirsi di Rho e Legnano, ma
all'arrivo dei milanesi dovette lasciare Nerviano, che fu data alle fiamme.
Da cio' si puo' dedurre che i Crivelli godevano, o ritenevano di godere,
autorita' nella zona di Nerviano e del Seprio; il progetto di impadronirsi di
Legnano fa pensare ad u tentativo, attraverso il possesso di quel borgo,
di fare insorgere il Seprio. Il fatto poi che i Crivelli dopo aver favorito
l'avvento dei Torriani, mediante l'appoggio a Pietro Visconti e a sua
moglie Antiochia, tentassero ora di scalzare il dominio, si spiega
facilmente dal momento che proprio Pietro aveva da tempo cambiato
partito ed era stato bandito assieme agli altri Visconti. Ma piu'
dell'infelice tentativo di Cressone Crivelli, danneggio' Guido Torriani il
dissidio con l'arcivescovo Cassone. Quando infatti Arrigo VII annuncio'
la sua discesa in Italia, Guido si trovo' in posizione critica dal momento
che,se egli voleva una ferma opposizione al sovrano, gli altri Guelfi
erano incerti, soprattutto perche' l'imperatore si era precedentemente
accordato con il papa. Quando poi gli inviati dei Guelfi alla corte di Arrigo
permette di stabilire che esistevano dei rapporti precisi tra i Crivelli e
quanto meno, la zona attorno a Legnano, se non tutto il Seprio, ipotesi,
quest'ultima, suggeritaci dal presitgio che in quella zona godevano
Pietro Visconti e Antiochia Crivelli.
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si videro messi alla pari con Matteo, che si era frattanto presentato
anch'esso all'imperatore, caddero tutte le loro speranze di guidare
l'azione del sovrano secondo i propri desideri.
Frattanto l'arcivescovo Cassone, il cui dissidio con il cugino era ormai palese,
si accordo' con Matteo; i patti consistevano nella rinuncia da parte di
Matteo ad una eventuale signoria su Milano e nel rispetto dei beni
dell'arcivescovo, tra cui compare Legnano. Arrigo VII giunto a Milano
ordino' la pacificazione fra le fazioni, ma poco dopo, sembra che per un
accordo intervenuto tra i figli dei capiparte, Galeazzo Visconti e
Francesco Torriani, scoppio' un tumulto contro l'imperatore, dal quale
pero' Matteo riusci' a tenere fuori tutti i Visconti. Benche' la colpa
ricadesse sui Torriani, anche i Visconti erano fortemente indiziati e il
bando di Arrigo colpi' entrambe le famiglie. Tuttavia dopo breve tempo
Matteo fu richiamato e nel campo imperiale sotto Brescia assediata, il 13
luglio 1311, ricevette il titolo di vicario imperiale per Milano e contado a
tempo illimitato e revocabile solo alla restituzione della ingente somma
prestata da Matteo all'imperatore.
Poco dopo in Pavia o in Genova raggiunsero Arrigo 12 nobili milanese,
deputati della repubblica per accompagnarlo a Roma, e ricevettero da lui
varie donazioni tra di essi, secondo il Giulini, c'era forse Lodrisio Visconti,
figlio di Pietro e di Antiochia Crivelli, il quale avrebbe ottenuto dunque in
questa occasione quella signoria su tutto il Seprio che sembra
possedere in seguito. Sempre secondo il Giulini sarebbe stato lo stesso
Matteo, timoroso dell'ambizione del cugino, a procurargli questa
concessione, tuttavia considerata l'autorita' dei suoi genitori, come
abbiamo visto, godevano nel Seprio, potrebbe trattarsi del semplice
riconoscimento di uno stato di fatto.
Si erano frattanto guatati i rapporti fra Matteo e l'arcivescovo Cassone, che
lascio' Milano e scomunico' l'antico alleato. La causa del dissidio e'
probabilmente da ricercarsi nella somma versata da Matteo
all'imperatore in cambio del vicariato: poiche' i Visconti in questo
momento non avevano una grande disponibilita' finanziaria, e' probabile
,
Forse intervenne realmente un accorso, temendo i Visconti, in caso di
successo della sommossa, di restre isolati come filo-imperiali, ma la
parte principale spetta a Firenze che per rallentare la discesa di Arrigo
verso Roma per l'incoronazione aveva suscitato tumulti in molte citta'ì
del nord.
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che si siano procurato il denaro necessario impegnando o vendendo i
beni della mensa arcivescovile. Infatti nel documento di scomunica,
riferito senza data dal Corio l'arcivescovo accusa Matteo, e i suoi parenti
e i suoi fautori di aver occupato alcune terre dell'arcivescovado, di cui si
fa un elenco dettagliato: Legnano non compresa tra esse, probabilmente
resto' proprieta' della mensa e l'arcivescovo infatti vi abito' ancora in
seguito, anche se la sua autorita' sul borgo era stata da tempo offuscata
da quella dei Visconti.
Alle difficolta' create a Matteo all'arcivescovo, si uni' l'accordo tra i Torriani e
Roberto d'Angio', stipulato il 5 novembre 1312 a Pavia e messo in atto
l'anno successivo, quando un esercito guidato dai Torriani e dal
maresciallo del re di Napoli, Tommaso Marzano conte di Squillace,
entrato nel milanese dal lato di Pavia, dopo aver tentato invano di
attaccare direttamente Milano, si porto' a Legnano dove pose il campo. Il
borgo offriva evidentemente una protezione sicura e la possibilita' di
alloggiare molte truppe: tutto cio' era dovuto probabilmente alle
modifiche apportate al complesso degli edifici e delle fortificazioni da
Ottone che, come abbiamo visto, se ne era servito spesso. Il fatto poi
che Legnano, solitamente cosi' legata alla politica di Milano, offrisse ora
ospitalita' ai suoi nemici, e' spiegabile considerando la potenza
esercitata su tutta la zona dai Crivelli, che, al dire di Cermenate,
appoggiavano i Guelfi.
In ogni caso, malgrado le insistenze dei Torriani che volevano si assalisse
immediatamente Milano, il Maresciallo che comandava l'armata era
titubante, perche' non riteneva abbastanza consistenti gli aiuti offerti dai
nobili locali, finche' decise di abbandonare l'impresa. Secondo il
Cermenate in questa ritirata ebbe una parte notevole l'ospite del
Maresciallo, Sigisbaldo da Lampugnano, il frate dell'ordine militare della
Beata Vergine Gloriosa o, secondo il nome piu' comune della
congregazione, frate Godente, il quale, per proteggere le sue proprieta'
e il borgo dai danni di una troppo prolungata permanenza delle truppe e
anche perche' piu' incline ai Visconti che ai Torriani, convinse il
maresciallo dell'opportunita' di allontanarsi prima che i milanesi
accorressero. Vediamo dunque qui gia' insediato nel borgo una ramo
della famiglia Lampugnani la cui influenza, gia' notevole ora, crescera'
ulteriormente col passare del tempo.
Di fronte a questa ripresa, per altro assai inconsistente, della resistenza
Guelfa, Matteo penso' di consolidare il proprio dominio e, convocata a
Soncino nel dicembre 1318 una adunanza dei principali signori
Ghibellini, ottenne in essa notevoli appoggi. Tutto cio' ovviamente non
riusciva molto gradito al papa e di conseguenza, quando Matteo seppe
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che il re Roberto di Napoli si stava appunto recando ad incontrarlo in
Avignone, cerco' di guadagnarsi le simpatie del pontefice riconoscendo
come arcivescovo frate Aicardo, dell'ordine dei Minori che, eletto nel
1317 al momento della rinuncia di Cassone, non aveva ancora potuto
prendere possesso del suo arcivescovado. Ma la rottura con il pontefice
era ormai inevitabile, dal momento che un accordo con lui avrebbe
necessariamente implicato la rinuncia da parte di Matteo alla Signoria su
Milano a favore di Roberto d'Angio', re di Napoli. Per conseguenza si
ebbero la scomunica di Matteo, l'interdetto su tutto il suo dominio e
numerosi processi ecclesiastici contro di lui; infine nel 1322 il papa
indisse addirittura una crociata contro i Visconti.
Di fronte all'inquietudine causata in Milano da questa situazione, Matteo
dovette rassegnarsi ad intavolare trattative di pace, che implicavano la
sua rinuncia alla signoria: Matteo depose bensi' il suo titolo, ma fece
assegnare la successione a suo figlio Galeazzo. Nel giugno dell'anno
1322 Matteo mori' e il consiglio generale di Milano confermo' la carica a
Galeazzo: la guerra di conseguenza riprese e Galeazzo, temendo per il
proprio potere, non volle sentire piu' parlare di pace. Questa decisione
riusci' sgradita a molti che auspicavano una conclusione della guerra,
qualunque essa fosse; si apri' cosi' una netta frattura nel partito
visconteo: Francesco da Garbagnate, Simone Crivelli e Lodrisio Visconti,
tratti dalla loro parte i capi delle truppe straniere stipendiate da Milano,
costrinsero Galeazzo a lasciare la citta'.
Tuttavia Lodrisio, che aveva preso parte alla congiura solo per fare i propri
interessi personali, nella speranza cioe' di soppiantare Galeazzo,
quando vide deluse le proprie aspettative, richiamo' il cugino mentre il
Garbagnate e il Crivelli lasciavano Milano. Lodrisio, pero', se non era
riuscito in questa occasione a realizzare le sue mire, non le aveva certo
abbandonate ed era pronto a cogliere l'occasione opportuna appena
questa si fosse presentata. Per il momento comunque appariva in
assoluta concordia con Galeazzo e i suoi fratelli: infatti quando nel 1323
proseguendo la guerra e facendosi i Torriani nuovamente minacciosi,
molti nobili ghibellini, ostili a Galeazzo, pensarono bene di riconcigliarsi
con lui, si recarono a Legnano, dove si trovava Lodrisio coi quattro
fratelli del signore di Milano, ed ivi avvenne una generale riconciliazione.
Il fatto stesso che i cinque Visconti si trovassero a Legnano che, come
abbiamo visto era nell'area di influenza di Lodrisio e dei Crivelli suoi
parenti e fautori, dimostra che Galeazzo e i suoi fratelli avevano ora
piena fiducia in Lodrisio: se avessero o meno ragione di farlo lo vedremo
in seguito. Continuava frattanto la guerra contro l'esercito pontificio e
nuovamente Lodrisio, questa volta appoggiato da Marco, fratello di
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Galeazzo, che era insieme a lui il principale artefice delle vittorie militari
di Galeazzo, avanzava pretese sulla signoria di Milano. La frattura si
andava facendo sempre piu' insanabile e Galeazzo cercava di calmare
Marco e Lodrisio concedendo loro molti beni, probabilmente attingendo
al patrimonio ecclesiastico e approfittando del fatto che l'arcivescovo e
quasi tutto il clero, in seguito della guerra col papato, avevano lasciato,
lo stato visconteo. Lodrisio in particolare ottenne, secondo il Giulini,
varie concessioni di giurisdizione nel Seprio: non e' impossibile che
abbia ottenuto in questa occasione la conferma del suo potere su
Legnano, che appunto era parte del patrimonio arcivescovile.
In seguito pero' quando Galeazzo prese ad intavolare trattative di pace col
legato papale, incontro' nuovamente l'opposizione di Marco e Lodrisio,
che forse temevano, in caso di pace con il pontefice, di dover restituire i
beni ecclesiastici che detenevano abusivamente. Percio' essi
appoggiarono la discesa di Ludovico il Bavaro nel 1327, il quale destitui'
Galeazzo e lo fece prigioniero, ma, per l'unanime pressione dei ghibellini,
fu poi costretto a liberarlo. Galeazzo tuttavia mori' poco dopo e gli
successe il figlio Azzone, il quale nel 1329 con l'appoggio dello zio
Giovanni si accordo' con il Bavaro che gli concesse il vicariato imperiale.
Nel dicembre del 1329 la situazione incerta in Germania costrinse Ludovico a
lasciare l'Italia e Azzone, che aveva gia' ottenuto in settembre
l'assoluzione papale, si schiero' apertamente col papa contro
l'imperatore. Cio' frutto' a Giovanni Visconti nel 1332 la riconferma
dell'amministrazione dei beni della mensa arcivescovile, che aveva gia'
ottenuto da Ludovico il Bavaro, in cambio di una pensione annua allo
arcivescovo Aicardo. Nelle abili mani di Giovanni la situazione della
mensa cambio' radicalmente: egli rivendico' i suoi diritti e li fece valere
con la forza della sua autonomia, recupero' i beni perduti e arricchi' di
edifici l'arcivescovado di Milano e le terre che da lui dipendevano.
Forse proprio per questo motivo alcuni signori milanese, che probabilmente
avevano dovuto restituire cio' che ormai consideravano di loro proprieta',
congiurarono contro Azzone e furono da lui arrestati nel novembre del
1333. Tra di essi c'era un Crivelli, mentre Lodrisio, che probabilmente
era a capo della congiura, lascio' Milano e dopo essere rimasto in esilio
per alcuni anni, assoldo' nel 1339 l'esercito licenziato da Mastino della
Scala in seguito alla pace con Venezia, e attraverso Brescia, Bergamo,
Cernusco e Sesto di Monza si porto' a Legnano. Quivi giunto prese a
Marco Visconti era morto all'inizio del settembre del 1329 in
circostanze misteriose.
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riscuotere le tasse dovutegli dal Seprio: Legnano fungeva ancora una
volta da base logistica e da quartiere generale, in questo caso pero'
orientato in senso contrario a quello consueto. Cio' era dovuto al fatto
che Lodrisio godeva grande autorita' in questa zona e forse aveva
qualche titolo giuridico che giustificava il suo potere in questi luoghi:
infatti si era portato subito a Legnano e vi aveva stabilito il campo, ben
sapendo che non vi avrebbe incontrato alcuna resistenza, inoltre aveva
ordinato che in questa localita' si recassero gli abitanti della zona per
pagargli le imposte dovute.
Ma anche questo tentativo non ebbe un esito migliore dei precedenti, perche'
l'esercito di Lodrisio, scontratosi con quello milanese a Parabiago, dove
era penetrato furtivamente il 21 febbraio 1339, dopo un successo iniziale
dovuto alla sorpresa, subi' una rotta totale, mentre Lodrisio stesso fu
fatto prigioniero. Eliminato Lodrisio, Giovanni Visconti, che alla morte di
frate Aicardo, avvenuta il 10 agosto 1339, era stato eletto arcivescovo, e
a quella di Azzone, avvenuta sei giorni dopo, era stato chiamato a
succedergli insieme con il fratello Luchino, pote' riaffermare in pieno la
propria autorita' su questo borgo favorendo la famiglia Oldrendi o
Oldradi, di cui si servi' per realizzare i propri disegni politici su Bologna.
Infatti Giovanni, dopo essere stato confermato arcivescovo dal papa nel
1342, si era dedicato totalmente agli affari ecclesiastici, lasciando a
Luchino quelli della Signoria, ma alla morte di questi, assegnata la
propria successione ai tre nipoti Bernabo', Galeazzo II e Matteo II, figli di
suo fratello Stefano, si diede a governare personalmente.
Nel 1350 ottenne da Giovanni de' Pepoli la signoria su Bologna in cambio di
una ingente somma; giusto in quest'epoca giunse a Bologna il giurista
Giovanni Oldrendi da Legnano, che compare in un mandato di
pagamento del 1350 insieme a coloro che dovevano ricevere i
pagamenti dal governo, non come lettori dello studio, ma per sevizi
politici e amministrativi: probabilmente egli faceva parte di quel gruppo di
fedeli dei Visconti che, inviati a Bologna per politico provvedimento,
avevano preparato l'avvento dei signori di Milano. Il Legnano ebbe poi a
Bologna una carriera sfavillante, sia come giurista che come uomo
politico. Per quanto riguarda Giovanni Visconti, dopo aver incontrato
l'opposizione della Santa Sede che rivendicava a se' Bologna, la restitui'
nel 1352, al Sommo Pontefice e la riottenne da lui in vicariato, insieme
con l'assoluzione dalla scomunica.
Giovanni mori' poco dopo, il 5 ottobre 1354 e la signoria passo' ai tre nipoti
Galeazzo II, Bernabo' e matteo II, che mori' l'anno successivo.
La morte di Giovanni apri' anche il problema della successione alla cattedra
arcivescovile: fu eletto Roberto Visconti, confermato anche dal pontefice.
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Cio' provoco' gravi danni al patrimonio della mensa, perche', finche' il
potere ecclesiastico e quello civile avevano fatto capo entrambi a
Giovanni Visconti, vi era stata una grande confusione di competenze e,
al momento di operare la divisione, risulto' assai difficile stabilire quali
beni e diritti spettassero all'arcivescovo e quali ai signori di Milano.
Cosi' i beni dell'arcivescovado diminuirono ulteriormente: furono perdute per
sempre molte proprieta' e la stessa residenza dell'arcivescovo si ridusse
ad una abitazione assai modesta, che non meritava neppure il titolo di
palazzo.
Anche questa volta pero' Legnano, sulla quale Giovanni
aveva riaffermato il proprio potere, resto' di proprieta' dell'arcivescovado.
Infatti nel 1361, quando la peste stermino' gran parte della popolazione
dell'Italia settentrionale, i signori di Milano si ritirarono nei loro castelli di
campagna e l'arcivescovo a Legnano, dove mori'. Queste le
testimonianze: il continuatore del Manipulus Florum del Fiamma sotto
l'anno 1361 dice: " Die VIII Augusti Robertus Vicecomes Archiepiscopus
Mediolani in Legnano moritur"; l'autore degli Annali Milanesi afferma
"Isto anno Robertus Mediolani Archiepiscopus in Legnano moritur de
mense Augusti".
Con la morte di questo arcivescovo si apri' per i beni della mensa un periodo
assai infelice, perche', per la politica condotta dai due signor di Milano
Bernabo' e Galeazzo II, quasi costantemente ostile al papato, i
successori di Roberto, che furono, nel 1361, Guglielmo della Pusterla e,
dieci anni piu' tardi, Simone da Borsano, non ebbero la possibilita' di
prendere possesso del loro arcivescovado, mentre la politica dei
Visconti, il cui potere si era fatto ormai solido, diveniva sempre piu'
accentrata od esercitava un rigido controllo sulle terre del suo dominio.
Da tempo ormai la Bulgaria era stata unita al Seprio e la Barzana alla
Martesana e i due contadi principali avevano ciascuno un vicario, dotato
di mero e misto imperio, con autorita' di giudicare tutte le cause civili e
criminali senza alcuna limitazione. Quando poi a Galeazzo II successe il
figlio Gian Galeazzo, nel 1378, egli dovette provvedere a limitare
l'autorita' di questi vicari, che si stendeva ormai fino alle porte di Milano,
per escludere dalla loro giurisdizione le terre attorno a Milano per un
raggio di 10 miglia. Il borgo di Legnano aveva ormai perduti la sua
importanza militare, mentre l'abbiamo visto ancora nel primo quarto del
secolo XIV fungere da piazzaforte di confine a base logistica, volta a
volta nelle operazioni militari contro il Seprio e contro Milano. Era nel
contempo enormemente decaduta l'autorita' dell'arcivescovo, che
conservava bensi' la proprieta' degli edifici e delle terre di Legnano,
spettanti alla mensa, ma aveva ormai perduti qualsiasi potere civile sul
borgo e se ne serviva solo come luogo di soggiorno. Legnano e' ormai
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entrata nell'orbita delle famiglie nobili milanesi, le quali investono i loro
capitali acquistando terre nel contado e recandosi a trascorrere i periodi
di riposo e di festa. Quest'uso si fara' diffusissimo per Legnano nel
secolo successivo comincia gia' nel presente a prendere piede, specie
nella seconda meta'. Ne troviamo un'eco nella scorreria di una
compagnia militare inglese proveniente dal novarese, che, nel 1362,
assali' Legnano, Nerviano, Vittuone, Castano e Sedriano. Cio' avvenne
secondo l'Azario nei primi giorni di gennaio e proprio in quei giorni festivi
gli inglesi trovarono in tutti quei borghi famiglie nobili, che si erano recate
a trascorrere le feste di fine anno in campagna. Inoltre negli statuti
pubblicati da Gian Galeazzo nel 1396 si dice espressamente: "Quilibet
civis vel capitaneus vel Vavassor habitator Mediolani possit ire ad
Hbitandum in burgis, locis, vilis, cassinis,
et molendinis, in quibus
habet possessiones suas, et ibi possit stare a Kalendis Maij usque ad
Sanctum Martinum, absque eo quod teneatur solvere, et sustinere
aliquod cum Nobilibus, vel cum Communitate tam nobilium quam
vicinorum". Qui si indica chiaramente l'usanza dei nobili a recarsi a
soggiornare nelle loro proprieta' di campagna dall'inizio di Maggio
all'inizio di Novembre e li si esenta dal sostenere i carichi murali,
distinguendoli nettamente da coloro che vivevano nel borgo tutto l'anno.
Ovviamente, trattandosi di famiglie nobili e potenti, la loro autorita' nel piccolo
borgo si faceva in breve tempo grandissima anzi, col passare del tempo,
era una sola di esse a dominare il borgo: cosi' in Legnano nel secolo XIV
troviamo numerose famiglie nobili, ma nel secolo XV appare chiaro che i
Lampugnani hanno ormai soppiantato tutte le altre, che, seppure non
estromesse dal borgo, vivono ormai nell'ombra della famiglia dominante.
Nel secolo XIV la famiglia piu' potente sembra essere ancora quella degli
Oldrendi: infatti Gerolamo, nonno di quel Giovanni Oldrendi di Legnano
giurista a Bologna, e suo padre Conte, sono signori di Oldrendo,
Legnano, Legnanello e Cerro. Dal testamento di Giovanni da Legnano in
data 27 marzo 1376 si ricava che i suoi fratelli erano Princivallo e Bianco.
Appunto Princivallo, ai figli di Bianco, gia' morto, e a sua nipote Caterina,
figlia di suo cugino Nioto anche egli gia' morto, concede l'usofrutto di tutti
i suoi beni a Legnano e Cerro, costituendo erede universale il figlio
Battista. In un codicillo del 15 febbraio 1383 revoco' poi l'usufrutto gia'
concesso e lo limito' agli alimenti. Quindi questo ramo degli Oldrendi,
sebbene si fosse gia' stabilmente trasferito a Bologna, conservava
ancora notevoli proprieta' nel suo luogo di origine.
Un'altra famiglia nobile che possedeva beni e autorita' nel borgo era quella dei
crivelli, che vi aveva esteso il suo potere dalla sede originaria di
Nerviano, seppure fosse rientrata un po' nell'ombra dopo l'insuccesso di
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Lodrisio Visconti a Parabiago. conservava tuttavia grandi proprieta', che
vendera' in parte ai Lampugnani nel secolo successivo.
Un ramo dei Lampugnani stessi, diverso da quello che dominera' il borgo agli
albori del 1400, doveva essersi stabilito a Legnano gia' dall'inizio di
questo secolo, se crediamo al racconto del Cermenate circa il campo
Guelfo in Legnano nel 1313: cio' sarebbe comprovato dal fatto che,
quando Oldrado Lampugnani e la sua famiglia acquistarono beni nel
borgo, alla fine del secolo XIV e all'inizio del secolo XV, tra i venditori vi
furono alcuni discendenti da un ramo diverso dal suo.
In questo secolo XV si stabili' a Legnano anche un'altra nobile famiglia, quella
dei Vismara o Vincemala, nota nel borgo piu' per la sua attivita' a favore
delle fondazioni religiose che per il suo peso politico. Gia' nel 1334 un
Pudeo o Tadeo Vismara, pagava all'arcivescovo di Milano un livello per
le terre in Legnano, nel 1357 da un atto del 26 gennaio risulta che "
Vincimala Jacobinus coheret cum bonis Archiepiscopi Mediolani in
burgo Legnani et dictus Jacobinus possidet in dicto burgo unum
molendinum". Giocabino era figlio del predetto Taddeo e dovette insieme
ai suoi figli, accrescere notevolmente le sue proprieta' in Legnano,
giacche' vedremo quanto esse fossero vaste nel secolo successivo.
Gli appartenenti alle famiglie citate vivevano per lo piu' a Milano, tranne forse
qualche ramo secondario che si era stabilito a Legnano, e trascorrevano
nel borgo solo la stagione estiva e i periodi festivi. Nel secolo successivo
invece molti di loro si stabilirono definitivamente nel borgo e
prenderanno parte attiva alla sua vita politica e sociale.
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Le Origini
Tratto da: Legnano nel Medioevo "Memorie Societa' Arte e Storia.
Capitolo I°.
Legnano sorge a mezza strada Tra Milano e i Laghi, sulle rive dell'Olona, nel
punto in cui la valle di questo fiume, dopo un lungo tratto nel quale si
presenta stretta e ripida e nel quale tocca tra gli altri gli abitati di
Castelseprio, Cairate, Fagnano, Solbiate, Olgiate e Castellanza e si
allarga e si abbassa. Da tutto ciò si comprende facilmente quale ruolo
la posizione geografica abbia avuto nello sviluppo di questo borgo. ()
Infatti già in epoca preromana, essendo i traffici abbastanza vivaci da
portare alla formazione nell'Europa centrale di un'unica cultura detta
"La Tène", è presumibile che la valle dell'Olona fosse percorsa da una
strada; questo fatto sarebbe confermato dal ritrovamento di tracce di
borgate di epoca preistorica a Parabiago, Legnano e Castelseprio.
In particolare quindi Legnano risulterebbe abitata da epoca remotissima e del
tutto appare infondata, di conseguenza, la tradizione secondo la quale
il villaggio sarebbe stato fondato dal console Lucio Licinio Grasso,
Governatore della Gallia Cisalpina, il quale, guerreggiando in Val
d'Olona con Quinto Muzio Scevola, avrebbe fondato il borgo
imponendogli il nome Forum Licinii. ().
Questa fantasiosa ipotesi, sempre secondo questa tradizione, sarebbe
confermata dall'antico nome "Licinianum" che ricollegherebbe la
fondazione, se non al console, per lo meno a qualcuno dei numerosi
capitani che in questo esercito portavano il nome di Licinio.
Su questa ipotesi non si può certo essere d'accordo, dal momento che non e'
suffragata da alcuna testimonianza: inoltre non risulta altrove il
toponimo "Licinianum", secondo l'Olivieri () il nome più antico sarebbe
Lemoniano o Leminiano. Tuttavia questo toponimo, che compare in
alcune carte medioevali, e tra l'altro Ledegnano, anch'esso attribuito al
(
) Da "Il territorio Insubre nella Eta' Romana" in Storia di Milano.
(
) Da Legnano, in "Legnano"
(
) Aggiunte al dizionario di toponomastica Lombarda in "Archicio
Storico Lombardo", 1939, pag. 264
52
nostro borgo, non sembrano avere alcuna relazione con esso, mentre
nel documento più antico e noi pervenuto il nome di Legnano, nella
variante di Legnanello, suona Lenianellum. Per quanto riguarda il
nome quindi l'ipotesi piu' probabile resta quella secondo la quale esso
deriverebbe da un nome di persona (), probabilmente Laenius e Linius:
si tratterebbe quindi di un aggettivo prediale sorto in eta' romana.
Quale sia l'origine del nome, e' comunque certo che in questo luogo si ebbe
uno stanziamento in epoca molto antica, forse da parte di una tribu'
ligure rimasta isolata tra i boschi e sopravvissuta al generale
insediamento gallico; questa ipotesi e' suffragata da substrati
tipicamente liguri presenti nel dialetto locale.
Cio' nonostante si sono avuti nella zona di Legnano alcuni importanti
ritrovamenti di origine gallica: in particolare essi si riferiscono alla
cosiddetta civiltà gallo-romana, cioè a quella civilta' nata dalla fusione
dei Galli invasori con le popolazioni da loro sottomesse e
successivamente con i Romani. ().
I ritrovamenti in questione sono elencati dall'Ing. Sutermeister () che
presenzio' personalmente ala maggior parte degli scavi, e attualmente
raccolti nel museo civico di Legnano.
I luoghi che hanno dato piu' cospicui ritrovamenti sono la zona del sagrato
della chiesa quattrocentesca del monastero di Santa
Maria degli
Angeli, ormai da tempo distrutta (), la zona cosiddetta <DATA>
(
<DATA>) e, a Canegrate, la zona a circa 100 metri dalla chiesetta di
Santa Colomba (). Di altri ritrovamenti dello stesso tipo Sutermeister
(
) L'Olivieri a sostegno di questa ipotesi riporta l'esempio di Luminiano,
anticamente Liminiano che deriva da Limenius, nome di persona.
(
) A. Passerini.
(
) da Legnano Romana, Legnano 1939
(
) Si tratta di una tomba senza anfora cineraria e con corredo di
ornamenti di epoca tipicamente gallica e di un' altra tomba con vaso
cinerario e corredo di oggetti in bronzo.
(
) Tra l'altro n vaso gallico a .
(
) Da ciò Sutermeister argomenta la continuità attraverso i secoli di
una zona sacra a vari culti successivi.
53
dà notizie che trae indirettamente da alcuni opuscoli e delle quali non si
può trovare conferma essendo andati dispersi gli oggetti in questione.
In particolare il Ricci () riferisce sul rinvenimento di una tomba di donna
in una casa di Via Sempione (), mentre il Pirovano () ricorda i
ritrovamenti fatti alla Cascina Ponzella e alla Cascina Buon Gesù.
Difficile dunque dire quale sia stato effettivamente il peso avuto dai Galli nella
storia della nostra città. Certo e' che, in quest'epoca, gli stanziamenti
nella nostra zona avvenivano lungo le rive dei laghi e lungo le paludi;
forse nella stessa Legnano esisteva allora una palude che farebbe
pensare al tipo di terra presso il Castello () e l'insediamento sarebbe
avvenuto dunque nelle terre piu' alte. Questa ipotesi sarebbe
confermata dal fatto che, anche nei secoli successivi, la parte piu'
bassa della valle, accanto al fiume, continuo' ad impaludarsi e dall'altro
fatto significativo che i luoghi dei ritrovamenti di epoca gallica e romana
corrispondono alla sommita' dei due modesti rilievi, che sovrastano
l'Olona da un lato e dall'altro.
Con l'avvento dei romani venne mantenuto sostanzialmente il rozzo
ordinamento gallico che era costituito dalle singole tribu' che, riunite,
formavano cio' che i Romani chiamavano civitates e che erano dotate
ciascuna di un proprio territorio, detto da Romani Pagus e suddiviso in
vici cioe' villaggi.
Tuttavia le funzioni di questo schema di organizzazione furono limitate al
campo religioso ed amministrativo. Probabilmente Legnano ebbe entro
questo quadro la funzione di Vicus e fu assai forente, almeno a
giudicare dalla tracce lasciate in essa dalla dominazione Romana.
Infatti i centri rurali piu' floridi in questo periodo sembra fossero proprio quelli a
nord-ovest di Milano; in particolare lungo la valle dell'Olona si
sussegue una serie di vici la cui importanza e' testimoniata dalla
quantità e dalla qualità dei ritrovamenti: Parabiago (), Legnano e, più a
(
) La Necropoli di Legnano.
(
) Vi sarebbero stati rinvenuti un chiodo, una punta di lancia, una
armilla ed altro.
(
) Memorie Postume di Legnano, 1883
(
)
(
) Vi sono ritrovati un sepolcreto, con tombe risalenti anche al secolo
I a.C. ed una lanx argentea con figurazioni del ciclo di Cibele e Attis.
54
nord, Sibrium che deve la sua prosperità al fatto d trovarsi all'incrocio
delle due vie della valle Olona e da Novara a Como, e che avrà un
ruolo di primaria importanza nella storia di tutta la regione nei secoli
successivi.
Ma tornando in particolare a Legnano, come abbiamo detto, le testimonianze
della vita romana nel nostro villaggio sono degne di essere prese in
considerazione.
Le zone di maggior interesse in questo senso si susseguono lungo le rive
dell'Olona e precisamente, nel lato destro, da Castellanza a S. Giorgio
e in quello sinistro, da Marnate a Legnano.
Più precisamente nel lato destro incontriamo una vasta necropoli nella zona
della chiesetta di S. Martino (), costituita per tre quarti da tombe
cristiane e per un quarto da tombe tardo-pagane. Proseguendo
incontriamo la celebre necropoli di via Novara, comprese tra le vie
Novara, Firenze, Giusti: dalle monete ritrovate in queste tombe si può
con una certa sicurezza datare l'intero complesso all'epoca dell'Impero
da Augusto a Caligola (I sec. a.C. - 1 Sec. d.C.), a parte un piccolo
gruppo di sepolture risalenti all'epoca di Licinio Costantino ( IV sec.
d.C.).
Le suppellettili trovate in questa necropoli corrispondono all'uso generale della
Lombardia, vale a dire c'e' abbondanza di vasetti e scarsita' di oggetti
in bronzo, poche monete e solo in bronzo; mancano quasi totalmente
le armi, mentre sono frequenti gli oggetti collegati in qualche modo
all'agricoltura e alla pastorizia .
(
) Secondo i calcoli di Sutermeister, questa necropoli compresa
grossomodo tra le vie Roma, Garibaldi, Milazzo e Bellingera, avrebbe
un'estensione di circa 60.000 metri quadrati e si collegherebbe perciò
a beneficio di 27.000 pertiche, concesso nel secolo XV al monastero di
S. Maria degli Angeli e situato a nord del monastero stesso, cioè
proprio in questa zona.
Questa necropoli presenta numerosi aspetti interessanti, tra cui una
kisteriosa divisione interna tra nord-est a sud-ovest tra due settori,
quello di levante a sepolture piu' modeste, l'altro assai ricco. Questa
55
Sempre proseguendo lungo il lato destro dell'Olona troviamo, presso l'attuale
cimitero, la necropoli della cosiddetta "costa di San Giorgio", che si
puo' datare all'incirca al secolo II° d.c. e comprende tombe ad
inumazione e incenerizione, divise in due settori .
Tracce di tombe dell'epoca augustea sarebbero state scoperte anche a San
Giorgio a ponente della via Umberto I° e in altri luoghi, ma se ne hanno
notizie vaghe e indirette.
Dal lato opposto del fiume si sono avuti ritrovamenti dell'epoca augustea
presso Marnate, andati dispersi; inoltre altre tracce di tombe si sono
ritrovate nella zona detta "paradiso" e sepolture del basso impero a
Legnanello, nella zona che porta il significativo nome tradizionale di
"La Morta". Proseguendo lungo questo lato del fiume non si sono fatti
altri ritrovamenti, perche' il declivio, anticamente abbastanza scosceso,
e' stato poi corretto nel corso dei secoli per permettere la coltivazione:
si tratta infatti della zona dei cosiddetti "colli di S. Erasmo" che, coltivati
a viti dai tempi assai remoti, producevano un vino assai rinomato fino a
qualche decennio fa.
Nella zona di legnano si sono ritrovate anche alcune are e precisamente
un'ara dedicata a Diana, a Gorla Maggiore, a Vulcano e San Giorgio, e
ad una divinita' imprecisata, a Rescaldina; inoltre a Legnano si e'
ritrovato un cippo funerario, alla cascina San Bernardino, un cippo
votivo a Vulcano ed un cippo di epoca imperiale, a Legnanello.
Da quanto si e' detto sopra, si possono trarre alcune considerazioni di
carattere generale.
Una prima osservazione ci e' suggerita dal fatto che, come si diceva sopra,
dall'esame delle numerose tombe rinvenute a Legnano e' risultata
evidente l'abbondanza di oggetti legati all'agricoltura e ancora di piu'
alla pastorizia, mentre mancano, invece, totalmente le armi.
Se ne puo' concludere che il nostro borgo in epoca romana non era un
presidio militare fortificato, ma un centro rurale nel quale le condizioni
del tempo rendevano piu' redditizio coltivare a cereali i terreni bassi e
differenza non sembra giustificata secondo Sutermeister ne' dalla
diversa epoca ne' a discriminazioni di natura economica-sociale.
La presenza di una specie di fossa comune, un poco discosta dalle altre
tombe, ha fatto pensare a Sutermeiister che la peste del 252 / 266
d.c. abbia colpito,, e in misura abbastanza considerevole, anche
Legnano.
56
vicini alle abitazioni, i quali, essendo vicini al fiume, erano anche i piu'
fertili, e lasciare a pascolo le terre piu' alte.
Non sembra peraltro che in legnano venisse esercitata una particolare attivita'
industriale: l'artigianato, anche nei secoli successivi, fu sempre di
entita' assai modesta e strettamente limitata alle necessita' locali.
Forse si puo' congettuare, dalla frequenza con cui si ripetono certi
marchi di fabbrica, che il borgo abbia avuto in epoca romana delle
fabbriche di terracotta, per lo piu' di qualita' semplice ma di un certo
livello artistico.
Queste osservazioni si accordano col quadro generale della campagna
milanese in questo torno di tempo: la base dell'economia e' sempre di
carattere agricolo. Cio' sarebbe confermato anche dalla toponomastica
della zona che, come nel caso di legnano, consente frequentemente di
ravvisare un collegamento tra il nome del villaggio e quello di colui che
vi possedeva un fondo; cio' sarebbe da attribuirsi al fatto che nel
catasto romano la registrazione dei fondi avveniva sotto il nome del
proprietario . D'altra parte la frequenza di questi toponimi porterebbe
ad escludere la presenza qui di grandi latifondi i quali sarebbero, in
ogni caso, abbastanza improduttivi in una zona dove il terreno, fertile e
pianeggiante, suggerirebbe gia' di per se' uno sfruttamento intensivo.
Circa le coltivazioni, sappiamo da Polibio e Strabone che questa zona dava
straordinaria abbondanza di prodotti agricoli, in particolare frumento,
rape, ortaggi vari in genere e soprattutto vino. Era praticato anche
l'allevamento dei suini e degli ovini, che produceva lane pregiate,
lavorate in loco e che era strutturato sulla base di tante piccole greggi e
non assumeva la forma del pascolo estensivo.
La proprieta' della fertile terra di questa zona costituiva di per se' una certa
ricchezza, ma le condizioni dell'agricoltura di quel tempo non erano tali
da consentire un reddito abbastanza alto da permettere al proprietario
di vivere in citta', disinteressandosi della coltivazione. Questo stretto
legame fra il proprietario e la sua terra fu uno dei fattori di sviluppo
dell'agricoltura locale e fece si che,
essendo questa zona assai
intensamente popolata e ben sfruttata, risentisse meno delle altre del
contraccolpo della crisi economica che colpi' lo stato romano nel
periodo del tardo impero, benche' un certo impoverimento progressivo
si avverta anche nella stessa Legnano, ad esempio nel corredo
funerario, sia qualitativamente che quantitativamente.
Questa osservazione confermerebbe la tesi dell'Olivieri che fa derivare
il nome di Legnano da quello di una persona.
57
Legnano comunque, come tutta la zona circostante, gravito' sempre su Milano
e risenti' profondamente di tutte le modificazioni di carattere
politico-economico, che nel corso dei secoli mutarono la struttura
sociale della citta'.
Cosi' appunto quando la situazione militare del basso impero, minacciato da
nord, porto' alla ribalta Milano, divenuta improvvisamente la chiave di
volta di tutto il sistema difensivo, anche la campagna circostante
risenti' della mutata situazione. Infatti quando la corte imperiale si
trasferi' a Milano, si ebbe in quella citta' una notevole concentrazione di
capitali, che trovo' il suo sbocco naturale, secondo la concezione
romana, nell'investimento terriero. Si formano cosi' nuove, ma esiterei
dire grandi, proprieta', nelle quali erano mutate soprattutto il rapporto
fra il proprietario con le sue terre: trattandosi di grandi personaggi di
corte, il centro dei loro interessi era Milano e nella sua campagna
trascorrevano, al piu', periodi di riposo in sontuose ville.
Questa apparente prosperita' e' tuttavia un prodotto artificioso della presenza
a Milano dell'apparato burocratico imperiale, che fa di questa citta'
un'isola di ricchezza nella generale decadenza. In realta' la crisi
economica che travaglia l'impero non tardera' a rivelarsi anche qui, non
appena questa illusoria "estate del morti" avra' chiuso il suo corso e le
invasioni barbariche avranno liquidato definitivamente gli ultimi resti
dell'impero.
58
Le origini
Tuttavia possiamo tentare di rifarci alle testimonianze costituite nella necropli
di Canegrate: quasi duecento sepolture affiorate nel 1926 durante gli
scavi che aveva disposto l'ing. Guido Sutemeister, uno dei piu'
appassionati ricercatori di storia legnanese. Solo piu' tardi nel 1952, il
prof. Rittatore pote' approfondire gli studi esplorando completamente la
necropoli. I risultati di questa indagine paletnologica permisero di
configurare la zona del territorio di Legnano con forme di vita pur
primordiali ma abbastanza geniali e organizzate. I primi progenitori della
cittadinanza legnanese, stando ai risultati degli studi che avevano preso
avvio alla "civilta' di Canegrate" dovevano appartenere ad una tribu'
ligure, che si era insediata in quella larga fascia di terreno incassata in
mezzo a due zone collinari e solcata dal fiume Olona, anticamente
chiamato Vepra, quindi Oleunda, e poi Orona. Qui i primi abitatori di
legnano avevano impiantato le loro capanne sui rilievi piu' riparati e sicuri
dalle periodiche inondazioni del fiume e poco oltre l'attuale "Costa di San
Giorgio" avevano il loro cimitero.
Ed e' appunto la necropoli di Canegrate che ci offre la prima traccia storica di
sicuro affidamento per costruire quale poteva essere l'attivita' e la natura
dei nostri progenitori.
Indubbiamente erano agricoltori o pastori che traevano dalla terra e dal
bestiame di che vivere. L'Olona doveva essere anche molto pescoso; ed
ecco un altro facile alimento.
Cominciarono in un secondo tempo a lavorare la lana e a tessere i primi rozzi
indumenti per ripararsi dal freddo e dalle intermperie.
Intorno a questo avvallamento naturale popolato vi erano boschi e brughiere.
L'insediamento di questa tribu' celto-ligure doveva costituire una specie
di isola in mezzo ad una zona non ancora esplorata ed arida. Il che
spiegherebbe anche come questi abitatori abbiano conservato le loro
tradizioni e il loro linguaggio. Ed e' un fatto che la diversita' del dialetto
legnanese da quello di Gallarate e Saronno.
Tuttavia vi furono nel IV° secolo a.c. delle infiltrazioni galliche come e'
dimostrato da alcune tombe tipiche dei galli che sono state ritrovate nei
sepolcreti della zona con i relativi oggetti e attrezzi solitamente in uso tra
le piu' potenti tribu', che erano guidate dal condottiero gallo BELLOVESO,
sceso in Italia seicento anni prima di Cristo. Il fatto che le tribu' che si
erano stanziate nella fascia legnanese dell'Olona avessero gia' una loro
personalita' ed una civilta' tenace, e' proprio confermato dal
59
mantenimento del primitivo dialetto ligure, non soffocato dall'influenza dei
nuovi venuti.
Come ha annotato anche il prof. Augusto Marinoni, nel dialetto legnanese vi
sono caratteristiche ben precise, come la conservazione delle vocali finali
delle parole, quali: tempu, vegiu, laci, genti, cadute nei territori piu'
influenzati: temp, vecc, lacc, gent, cartteristiche che si riscontrano tanto a
Legnano ( ed anche nella confinante Busto Arsizio con ceppo comune
nella popolazione) come a Genova e in tutta la Liguria.
Stando ai ritrovamenti e agli scavi fatti, non solo attorno alla necropoli di
Canegrate, ma anche in altre zone dell'attuale citta' si e' potuto tracciare
una mappa delle abitazioni dei primitivi abitatori della futura Legnano.
Essa si estendeva lungo un tracciato che occupava un'area di circa un
chilometro quadrato con case disposte ai lati collinosi del percorso
dell'Olona e sull'altura di ponente (alla quale si accedeva all'incirca lungo
l'asse dell'attuale via Lega) ora occupata da piazza Monumento e dal
primo tratto della via XXIX Maggio.
Il territorio venne successivamente aggregato alla regione Insubria che aveva
come capoluogo Castelseprio. Gli Insubri, fondatori di Milano, di tutto il
Piemonte, della Lombardia e dell'Emilia, vennero profondamente
gallicizzati anche nella lingua. La civilta' gallica, dopo questa
aggregazione, si ramifico' anche nel territorio sul quale piu' tardi dovra'
formarsi Legnano ed il tipo gallico, nelle caratteristiche somatiche, lo si
puo' riscontrare in qualche vecchio ex contadino della zona: capo
oblungo, fronte spaziosa, naso leggermente ricurvo verso il basso, mento
promimente.
Nel 222 a.c. i romani soggiogarono queste popolazioni. Le terre vennero poi
occupate nel 93 dal triumviro Lucio Licinio Grasso.
Inizia cosi' il periodo Imperiale-Romano, seguito dall'epoca delle dominazioni
barbariche alle quali anche la zona della futura Legnano non dovette
certo restare estranea.
I Longobardi vi si installarono in quanto avevano notato in questa plaga una
certa raffinatezza di vita delle popolazioni e quindi prospettive future a
loro favorevoli. Questo periodo di benessere che attravervavano le
popolazioni legnanesi, si puo' dedurre della ricchezza degli ornamenti,
oggetti ed armi affiorati in seguito a ricerche archeologiche.
Quanto al toponimo "Legnano" vi sono state in passato varie dispute di
studiosi di toponomastica non tutti concordi sulla derivazione del nome
della citta'. Le varie tesi (come quella che sosteneva fosse LADEGNANO
60
il nome piu' antico) non erano suffragate da documenti probanti. La piu'
accettabile, invece, e' quella del prof. Marinoni che perviene alla
conclusione che il toponimo "Legnano" contiene il nome di un antico
proprietario terriero. "Laenius", di eta' romana, ampliato non il suffisso,
pure romano, -ano, fino a formare Laeniano o Laenianum.
Se le testimonianze della nostra preistoria si sono affidate a sepolcreti di
Canegrate, i documenti archeologici che attestano la presenza romana a
Legnano sono imponenti: centinaia di tombe romane sono affiorate un
po' ovunque nel territorio sul quale si estende oggi la citta'. Anche gli
oggetti rinvenuti nelle sepolture comprovano che la popolazione, pur
continuando ad essere dedita all'agricoltura ed alla pastorizia, aveva gia'
cominciato a trovare fin d'allora le prime applicazioni a carattere
artigianale. Dalla tosatura delle pecore, alla filatura, alla tessitura della
lana e quindi alla lavorazione delle pelli degli animali. Alcuni dei rozzi
strumenti di lavoro rinvenuti nelle sepolture sono conservati nel Museo
Civico e rafforzano tali testimonianze.
Da questo imponente complesso di reperti archelogici si rileva come Legnano
ed il suo territorio in eta' romana fosse popoloso e le genti che vi
operavano, sfoggiassero gia' una certa agiatezza. Anche il notevole
numero di armi di varie foggie (alcune anche di forma inconsueta)
farebbero pensare ad una attivita' primordiale artigianale di discreta
genialita' nella fabbricazione di oggetti atti alla difesa e all'offesa.
Nel periodo della dominazione longobarda si svilupparono lungo il corso
dell'Olona i mulini dei quali se ne trovano tracce fin dal IX° secolo.
Notevole incremento diedero all'attivita' agricola gli arcivescovi di Milano
che ebbero in feudo da Carlo Magno la zona di Legnano, e curarono in
modo particolare appunto i mulini, dai quali evidentemente ricavavano
notevoli utili.
L'agreste pace operosa che regnava tra le popolazioni della zona subi' delle
scosse nel corso delle lotte tra i vari pretendenti alla investiture e i confini
tra Stato e Chiesa.
Ecco che anche a Legnano si consolido' il principio della erezione di un
Comune con una forma autonoma di governo, dove i cittadini
provvedevano in proprio a difendere la liberta' contro i soprusi degli
imperatori e dei loro nobili aggregati. Facevano parte di Legnano
Rescaldina, San Giorgio e Castellanza.
In questo periodo vediamo sorgere il primo simbolo di unione tra i comuni
lombardi, il Caroccio, che innalzava la croce quale simulacro di fede ma
61
anche di unione tra le popolazioni, preoccupate di difendersi dalla
baldanza e dalle angherie dell'imperatore Federico Barbarossa. La Lega
dei Comuni lombardi non fu che il naturale sfogo nel tentativo di scrollare
per sempre dai Comuni il giogo imperiale. La Battaglia di Legnano, che
nel 1176 si inseri' quasi come un epilogo a questi primi moti di ribellione,
rappresento' appunto il primo fatto d'armi che vedeva combattere fianco
a fianco i cittadini di diversi comuni e che avevano lasciato da parte gli
interessi e le egemonie individualistiche per affrontare il comune
oppressore. E in questo clima si inquadra la disperata ed estrema difesa
attorno al Carroccio che si concluse vittoriosamente il 29 maggio 1176
nelle campagne tra Legnano e Busto Arsizio.
Al periodo posteriore alla battaglia di Legnano si fanno risalire varie costruzioni
agricole e palazzi fortificati e sontuosi che preludono ad un'epoca di
splendore.
La Battaglia di Legnano e la successiva pace di Costanza offrirono un po' piu'
tranquillita' anche alle popolazioni del legnanese. Il XII° e XIII° secolo
furono caratterizzati da una rinascita intellettuale e spirituale. E' in questo
periodo che vennero costruiti nuovi conventi, ospizi, opere di beneficenza
e vennero abbellite le chiese e gli edifici.
Il periodo di maggiore prosperita' per il borgo di Legnano risale ai secoli XV° e
XVI° quando cioe' molte famiglie nobili milanesi avevano consolidato i
propri possessi adattando anche in loco sedi per i loro soggiorni estivi ed
in questo periodo di splendore coincide appunto con la costruzione della
basilica di San magno.
Ma la storia elargisce alternativamente gloria e decadenza, splendore e
miseria, ed il secolo successivo segno' anche per Legnano come per
tutta la Lombardia un infausto periodo: la peste e le guerre ridussero la
popolazione addirittura dell'80% e causarono la miseria. La pellagra fu la
sua prima comparsa e proprio a Legnano venne descritta compiutamente
e vi furono specialisti in grado di curarla con notevole efficacia. Legnano
ebbe il triste primato del primo pellagrosario che si ebbe nel convento di
Santa Chiara (la costruzione che in parte ancora resta all'ex n. 5 di Corso
Italia, nell'isolato tra largo Seprio e via Giolitti).
Tra il XIX° secolo Legnano era un borgo di circa 4000 anime, concentrato nei
due nuclei abitati attorno alla basilica si San Magno con estensione verso
Ovest e al di la' dell'Olona in quel di Legnanello.
L'abitazione dei contadini legnanesi aveva una forma ben individuata: un
grande cortile rettangolare con il caseggiato verso la strada e la cascina
62
sul lato opposto; agli altri due lati le stalle e i depositi, Fino ad ora
l'economia del Borgo di Legnano si fondava sull'agricoltura e sulla attivita'
dei molini, olche che sull'artigianato che, come abbiamo visto, ebbe gia'
le prime espressioni nell'epoca romana.
Soltanto il commercio e l'artigianato, nel quale ultimo scaturirono poi le
industrie che poi consolidarono l'agiatezza di Legnano in epoca piu'
vicina alla nostra, frutto' all'economia locale qualche ricchezza che non
usciva dalla cerchia del borgo. L'agricoltura dava infatti forti rendite ai
proprietari terrieri che per lo piu' risiedevano a Milano o in altre citta'
Lombarde. La storia piu' recente e, se vogliamo, un po' quella attuale, per
quanto riguarda la conformazione economica e industriale di Legnano si
e' sempre trascinata il retaggio di quella struttura, rimasta a caratteristica
a differenza, ad esempio, di Busto o di Gallarate.
Gli imprenditori che hanno avuto grandi fortune nel periodo
dell'industrializzazione, provenivano dall'esterno e continuarono a
mantenere fuori dalle mura cittadine le loro residenze.
63
Storia: Galli e Romani
Mancano nel nostro territorio le tracce della presenza etrusca, la cui
espansione verso nord, dal secolo VI in poi, interesso' la zona lombarda
tra i laghi Maggiore e Garda. Famosa a tal proposito la stele di Vergiate
impreziosita da un'iscrizione che documenta l'arrivo della scrittura in
questa parte d'Italia.
E mancano pure le testimonianze della cultura veneta, presente a Sesto
Calende in due tombe di guerrieri e, presso Como, con un bellissimo
carro da parata.
Si pensa siano stati gli Etruschi, pressati a sud dai Romani, a chiamare
d'Oltralpe i Galli, perche' combattessero contro i nemici latini. Il dominio
dei Galli fu cosi' grande da raggiungere la stessa Roma. Le tribu' del
secolo quarto a.C. che s'installarono in Lombardia, si chiamavano Insubri
e fondarono Milano.
La loro presenza si concentra in alcuni punti, come il lago d'Orta, la Lomellina,
il Canton Ticino, ma si dirada nella zona legnanese. Sutermeister parla di
tombe gallo-romane ossia di un periodo alquanto tardo. Vero e' la
presenza gallica non arresto' ne' sostitui' la cultura di Golasecca con una
probabile convivenza celtoligure e un reciproco influsso tra le due culture.
Della presenza gallica a Legnano dovrebbero testimoniare i reperti raccolti da
Aristide Mantegazza, descritti da Serafino Ricci e riferiti dal Sutermeister
in Legnano Romana. I piu' importanti si trovarono nell'attuale corso
Sempione dentro un'anfora. Altri descritti dal Castelfranco sono
certamente romani, alcuni addirittura barbarici, sparsi in vari punti del
suolo legnanese.
Anche il maestro Giuseppe Pirovano, che nel 1833 scrisse le Memorie su
Legnano e ci ha conservato nei suoi dipinti alcuni aspetti di Legnano fine
Ottocento, accenna a molte antichita' romane ritrovate sulle due coste
che affiancano il borgo di Legnano alla distanza di mezzo chilometro. Cio'
conferma quanto si e' detto sulla necessita' di sepellire i morti sui rialzi
laterali dell'avvallamento dell'Olona, per sottrarli alle annue inondazioni.
Nel 1928 durante gli scavi per la costruzione del Museo Civico vennero alla
luce anfore cinerarie preromane con oggetti di bronzo. Sutermeister le
defini' simili a quelli di Giubiasco e anche, per i disegni traslucidi, a quelli
del Canton Ticino "ove nel groviglio di molte tombe vicine, c'erano due
gruppi etnici, quello dei Galli e quello dei Liguri. Le tombe che ivi offersero
vasi con disegni geometrici traslucidi risultarono essere di Liguri
64
facilmente riconoscibili perche' erano inumatori mentre i Galli
contemporaneamente ivi presenti erano crematori. Se ora aggiungiamo
che la nostra urnetta pur dovendo essere coeva a quelle analoghe di
Giubiasco apparteneva pero' ad un Gallo perche' conteneva le ceneri del
morto, concludiamo che i rapporti fra le due stirpi diverse, ma vicine,
fossero attivi poiche' l'una assorbi' le costumanze dell'altra" (Legnano
Romana p.38). Ottima conclusione che pero' toglie forza alle affermazioni
precedenti, non essendo piu' la costumanza dell'incinerazione o
inumazione argomento sufficiente per determinare l'etnia del defunto.
Scrive infatti Ferrante Ritattore che i riti diversi non sempre indicano
diversita' d'origine, ma possono essere acquisiti anche mediante pacifici
rapporti. "La Valle Padana a nord del Po e' occupata dall'unica facies
culturale di Polada, sulla quale s'inseriscono gruppi d'inceneritori (cultura
di Canegrate) legati alle genti transalpine della Urnenfelderkultur e
accompagnati da elementi terramaricoli. Viceversa nell'eta' del ferro
troviamo due gruppi culturali ben differenziati, Este e Golasecca, di cui il
primo e' senz'altro da attribuirsi ai Veneti.. il secondo e' da attribuirsi a
stirpi liguri che occupavano la Lombardia, il Piemonte e la Liguria"
(l?Italia Storica, Milano, T.C.I. 1961, p.26,27). Si consideri inoltre che la
vicinanza topografica dei reperti non indica di per se' contemporaneita'.
Soprattutto e' da considerare il fatto che i movimenti migratori hanno
mescolato oggetti originari di culture diverse. Giustamente Sutermeister
ci ricorda che nel periodo galloromano si verifica la stessa mescolanza
dell'idria romana colla brocca a trottola gallica (L.R.p.51) e puo' ben darsi
che un romano usasse la brocca e un Gallo l'idria.
I reperti romani a Legnano sono numerosi e diffusi su un ampio spazio. I piu'
importanti appartengono alla necropoli di via Novara, dove, nel 1925, il
Sutermeister scopri' circa cento loculi, di cui una trentina intatti.
Contenevano monete sicuramente databili da Augusto a Caligola (33
a.C.- 41 d,C.) e da Licinio a Costantino (307-337 d.C.). Dunque sono
mescolate insieme testimonianze distanti fra loro oltre trecento anni. Altri
loculi isolati furono rinvenuti in citta'.
Importante e' la necropoli della costa di S.Giorgio, poco oltre l'attuale cimitero
monumentale con altre anfore e monete tra il primo e quarto secolo d.C.
Ancor piu' interessante la necropoli di S.Lorenzo di Parabiago con molti
sepolcri, ma purtroppo
con poche anfore intatte. Vi si trovarono
trentasei monete del primo secolo d.C. e una suppellettile piu' varia e piu'
costosa: patere decorate, piattini metallici, lacrimari di vetro in forma di
colomba e un bellissimo specchio in lega di antimonio levigato.
Sutermeister ne dedusse che i poveri stavano a Legnano, i ricchi a San
Lorenzo. Aggiungiamo pure Parabiago considerando l'ormai famoso e
65
preziosissimo piatto d'argento lavorato a sbalzo e bulino, pesante tre chili
e mezzo. Copriva la bocca di un anfora cinerariaed e' una testimonianza
forse tarda del culto pagano di Mitra. Adriana Soffredi l'attribuisce all'eta'
di Teodosio (seconda meta' del quarto secolo), quando Milano era
divenuta una grande capitale con officine di argentieri e di orefici capaci
di fornire un'opera del genere(Soc.Arte e Storia, Il Museo Civico Guido
Sutermeister, Legnano 1979, p.32). Il tema religioso e' ancor presente in
una elegante iscrizione in bei caratteri sopra un ossuario: VOLCANO /
V(otum) S(olvi)L(ibens)M(erito).
S.Lorenzo, Parabiago, Legnano,Castellanza formarono probabilmente un
gruppo di abitati molto vicini tra loro, non separati da divisioni
amministrative. Risalendo il corso dell'Olona nella Val Morea le
testimonianze romane continuano a Olgiate, Prospiano, Gorla Minore e
alcuni reperti devono essere finiti in famiglie private. Dall'insieme delle
descrizioni di Sutermeister si ricavano indizi di una vita laboriosa e
tranquilla. Spesso le urne contengono strumenti di lavoro indicanti la
professione del defunto: il coltello da cucina della casalinga, il coltello
pugnale del lavoratore, la cesoia a molle del pecoraio, il raschiatore del
lavoratore di pelli, l'ago del sarto, lo specchio della signora e cosi' via
(p.10). Solo a Castellanza pare si siano trovate alcune spade, punte di
lance da far supporre la presenza di un presidio militare in un luogo di
interesse strategico, ma si tratta soltanto di notizie riferite su reperti
perduti e non controllabili.
Coll'avvento della fede cristiana e la progressiva scomparsa del paganesimo
si torna al rito dell'inumazione colle tipiche sepolture a sezione triangolare
formate da tredici tegoloni. Col decadere della floridezza economica
anche questi sepolcri scompaiono; i cadaveri sono deposti nella nuda
terra, facile preda della decomposizione che cancella ogni
resto.Ovviamente qui non ci proponiamo di descrivere analiticamente i
reperti archeologici, ma di considerare, per grandi linee, anche in
assenza di documenti, le vicende del territorio, che certamente influirono
per via diretta o indiretta sulle sue popolazioni. I Romani giunsero in
Lombardia sconfiggendo i Galli a Casteggio nel 225 dopo Cristo, ma
sconfitti da Annibale nel 218, dovettero ritirarsi per tornare vent'anni dopo
schiacciando gli Insubri a Como (197) e conquistando Milano (191).
Sappiamo che essi non usarono metodi violenti per romanizzare gli
abitanti, lasciati liberi di parlare la loro lingua e di praticare i loro costumi.
La conquista spirituale avvenne lentamente per l'attrazione esercitata
dalla superiorita' culturale dei vincitori, favorita dalla costruzione di una
fitta rete stradale percorsa da traffici intensi, dall'istituzione di scuole,
tribunali ed organismi amministrativi saldamente governati da Roma. A
66
poco a poco i linguaggi locali si spensero e l'unificazione linguistica si
estese su tutto il territorio dell'Impero. I primi secoli dell'era cristiana
furono prosperi. Augusto divise l'Italia in undici regioni, l'ultima delle quali,
detta Transpadana, a nord del Po e ad ovest dell'Oglio, comprendeva le
nostre terre. Diocleziano ridivise l'Italia settentrionale in sette distretti,
tra i quali la Liguria con capitale Milano. Purtroppo il Basso Impero fu
un'eta' di decadenza economica, demografica e di gravi ingiustizie.
Sparito il controllo governativo il paese si trovo' nelle mani di funzionari
corrotti, preoccupati solo di riscuotere tasse dalle classi inferiori, mentre i
grandi proprietari le evadevano tranquillamente. La miseria costringeva a
volte a vendere i figli come schiavi. Di questa situazione dovettero soffrire
anche i Legnanesi e ce lo dice il confronto tra la ricchezza dei reperti del
primo secolo colla poverta' di quelli del quarto e sopratutto col silenzio dei
secoli successivi.
Anche il numero degli abitanti dovette diminuire paurosamente, se pensiamo
che da un milione e cinquecentomila gli abitanti della citta' di Roma si
ridussero nel quinto secolo a quattrocentomila e un secolo dopo a soli
ventitremila.
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I BARBARI
La triste situazione peggiora ulteriormente durante i regni barbarici. Caduta
Roma, l'Italia e' sotto il dominio dei Goti comandati da Odoacre. L'impero
romano d'Oriente sollecita gli Ostrogoti a calare in Italia colle loro donne
e bambini. Odoacre e' vinto e ucciso. Il nuovo signore Teodorico assegna
un terzo delle terre occupate ai suoi Ostrogoti, pone la capitale a Pavia,
ma lascia intatte le istituzioni preesistenti. Per la stessa incapacita' e
l'inferiorita' culturale del suo popolo deve accettare la collaborazione dei
vinti senza pero' che le due popolazioni, l'ariana e la cattolica, si fondano
insieme. Per alquanto tempo accetta i consigli degli ultimi rappresentanti
della cultura romana, Cassiodoro, Simmaco, Boezio; ma quando l'Impero
d'Oriente intensifica la lotta contro gli ariani, Teodorico infierisce contro i
maggiorenti latini e fa uccidere Simmaco e Boezio. Bisanzio ebbe fortuna
nel liquidare il potere gotico e nel riprendere il dominio d'Italia, devastata
e colpita da carestie e pestilenze.
Di male in peggio, una quindicina d'anni dopo una nuova invasione barbarica
s'abbatte sull'Italia. Un popolo rozzo e brutale, gia' disceso dalla
Scandinavia fino al Danubio, trasmigra nella pianura Padana (568)
spingendosi fino nell'Italia Meridionale. Solo Puglia e Calabria, le isole e
le citta' di mare rimangono all'Impero d'Oriente. Le conseguenze
dell'invasione sono terribili: tremende distruzioni, popolazioni
abbandonate ai soprusi e alle rapine dei vincitori, miserie e malattie.
Quelli tra i maggiorenti che sfuggono alle stragi si rifugiano a Ravenna, a
Genova, nelle isole della laguna veneta. Le cose migliorano quando la
regina Teodolinda, da Monza spinge i suoi Longobardi a seguirla nella
conversione al cattolicesimo e ad aprirsi all'influsso civilizzatore dei Latini.
Il re Agilulfo adotta una politica filocattolica. Dona a Colombano una vasta
proprieta' su cui il santo monaco costruisce il monastero di Bobbio, dove i
residui tesori della cultura classica sono conservati e tramandati fino a
noi; ma nonostante il relativo miglioramento si puo' dire che sotto i
Longobardi l'Italia tocca il fondo della sua decadenza.
E' impossibile che a cosi' tragiche vicende i Legnanesi siano del tutto sfuggiti.
Della presenza longobarda si hanno indizi in alcuni reperti, come la tomba del
guerriero con lungo spadone nel prato di S.Magno dietro il Castello
(Sutermeister, L.R., p.22), un luogo dove non ci aspetteremmo i sepolcri. Un
segno piu' sicuro e' dato dal toponimo di due vicine localita': Olgiate Olona (in
dialetto Ulgia' da un precedente Olza') e Ulza' (la chiesetta della Madonna
68
d'Ulza', italianizzato nel Quattrocento in Dio el sa) a Parabiago nei pressi
dell'Olona. Si tratta di un termine d'origine longobarda: aiuta, prato verde. Il
popolo longobardo numericamente esiguo fu infine assorbito dalla
popolazione latina, che ne conserva alcuni vocaboli e alcuni toponimi tuttora in
uso. Ricordiamo il vocabolo schirpa, che indicava la dote della sposa, fino alla
passata generazione.
69
Il Dialetto
Duemila anni prima di Cristo, data approssimativa del più antico reperto
legnanese, l'Italia nord occidentale (gli attuali Piemonte, Liguria,
Lombardia) era abitata da popolazioni di origine ligure, mentre la parte
orientale era abitata dai Veneti. Queste sono indicazioni generali che
coprono una realtà linguistica in massima parte a noi sconosciuta. Del
ligure sono rimaste poche tracce della toponomastica, faticosamente
analizzate e ricostruite dai linguisti che le classificano come
preindoeuropee almeno nello strato più antico. Già nel corso del
secondo millennio la valle del Po è percorsa da vari gruppi etnici
penetrati dall'Oltralpe e può darsi che fra essi non mancassero gli
indoeuropei, certamente presenti nell'Italia centro meridionale. A
proposito delle urne biconiche di Canegrate si è parlato di Celti, ma il loro
maggiore studioso, Ferdinando Rittatore, scriveva nel 1961: "Caduta
ormai la vecchia teoria cara agli studiosi del secolo scorso
sull'appartenenza dei popoli incineratori agli invasori indoeuropei .. è
prevalsa l'idea che i riti diversi non sempre indichino diversità di origine,
ma possono essere acquisiti anche mediante pacifici scambi. Il problema
dell'origine dei popoli italici si è fatto cosi' ancor più difficile".
Celti o non Celti, sta di fatto che molti secoli prima di Canegrate, certamente
imparentato colle vicinissime popolazioni di Besnate e del Varesotto,
tutte di stampo ligure, ed è difficile credere che vi fosse una netta
separazione tra chi abitava al di la' del fiume e chi seppelliva i morti di
qua. E ovvio pensare, quanto mai, a fusione culturale. Bisogna inoltre
distinguere le eventuali infiltrazioni celtiche attorno al mille a.c. dalla vera
e propria invasione gallica del IV sec. a.c. che muto' l'assetto politico,
culturale e linguistico dell'Italia Settentrionale.
Quando si parla di ligure o celtico non si deve pensare a una parlata identica
su territori molto vasti. La lingua è uno strumento di comunicazione che
diventa uguale solo tra chi comunica intensamente con tale strumento.
L'unificazione linguistica di un territorio è il frutto delle correnti di scambio
culturale tra i vari centri abitati. All'interno di ciascun centro la lingua è in
continua evoluzione, generazione dopo generazione, e le singole
innovazioni si diffondono con diverso successo attraverso i contatti tra
centro e centro. Non si può credere che scambi commerciali e culturali
fossero nei territori di allora cosi' intensi da rendere comune per tutti uno
stesso identico linguaggio. E ovvio che pur partendo da una base
comune la lingua parlata in ogni centro abitato fosse individualmente
70
caratterizzata da varietà particolari, come avverrà in seguito in misura
anche superiore nella diversificazione del comune latino nelle infinite
varietà dialettali e locali.
La vera unificazione linguistica è stata invece realizzata dai romani senza
imposizione violente, ma con una organizzazione capillare su tutto il
territorio. Grandi costruzioni di strade su cui scorreva un grande volume
di traffici, organizzatori di valide strutture amministrative e infine portatori
di una cultura enormemente progredita, essi crearono le premesse,
perché tutte le popolazioni locali potessero nel corso di alcuni secoli
acquisire una cultura comune.
A poco a poco Celti, Liguri, Veneti, Etruschi ecc. dimenticarono i nomi con cui i
loro antenati chiamavano il padre, la madre e cosi via e tutti dissero
pater, mater ecc. Come sempre avviene quando si impara una lingua
straniera e si attraversa un periodo di bilinguismo, le due lingue
intragiscono fra loro. Le abitudini articolatorie con cui si pronunciano i
suoni della lingua locale si applicano ai suoni della lingua importata, che
assume cosi' un colorito particolare. E' ciò che avviene oggi in ogni
parte d'Italia. In certe regioni, ad esempio, i dialetti locali non conoscono
la pronuncia di o chiusa e perciò dicono ancora, lavoro colla o aperta;
la curva melodica del fraseggio è diversa da luogo a luogo. Pur quando
si legge la medesima pagina stampata, l'andamento ritmico e il colorito
vocale è cosi' diverso, che spesso è facile riconoscere la provenienza
regionale di chi parla la stessa lingua italiana.
Anche il latino dunque dovette suonare diversamente in bocca ligure o celtica
o etrusca, e tale diversità non può non aver condizionato una diversa
evoluzione linguistica nei secoli successivi. Fin che l'organizzazione
civile romana fu salda, tutte le popolazione che avevano sentito la
necessita' e scoperto i vantaggi di sostituire il latino alle loro antiche
parlate, continuarono a vivere in un ambiente linguistico comune.
l'abitante della penisola iberica o dell'Africa settentrionale o della Gallia o
della Dacia, giungendo a Roma poteva scambiare il discorso coi Romani
di Roma, facendosi intendere pur con diverse inflessioni della pronuncia.
Quando pero' l'Impero e la sua organizzazione civile furono distrutti, e le
grandi strade furono disertate, e la popolazione enormemente ridotta nel
numero e negli averi, e l'unica via di sopravvivenza fu la coltivazione
della terra nel chiuso della curtis autarchica, il territorio fu punteggiato da
piccoli centri abitati, dove poche famiglie in poche case lavoravano la
terra, curando il bestiame con scarsi contatti con i vicini. l'analfabetismo,
le diminuite necessita' culturali, le scarse occasioni di colloquio fra
persone sparse nei campi ridussero il lessico della lingua latina e poche
centinaia di parole. L'isolamento accentuato dalla diffidenza verso gli altri
71
centri, l'attaccamento alla piccolissima patria rendono indipendente
l'evoluzione linguistica nella cerchia delle poche famiglie che partecipano
alla comunicazione orale, impedendo la diffusione delle innovazioni
instaurate nella fonetica, nella morfologia, nel lessico. La grande unita'
linguistica realizzata da Roma si frantuma nel polverio dei dialetti
neolatini sempre più' divergenti tra loro in funzione del tempo e dello
spazio. Sarebbe assurdo pensare che ogni centro abitato sia come
un'isola nell'oceano e lo stesso isolamento più' o meno forte a secondo
dei tempi, ma le innovazioni linguistiche che prima si dilatavano su tutto il
territorio romanizzato conservando l'unita' dello strumento di
comunicazione, durante lo stesso impero e specialmente verso e dopo la
sua fine, si espandono in ambiti geografici sempre più' ristretti.
Facciamo un esempio; il concetto di "bello" si esprime dapprima in latino con
puelcher, di cui non si ha traccia nelle parlate neolatine, perché' fu
sostituito da formosus, che deve essersi diffuso in tutto l'Impero; è
conservato infatti nello spagnolo hermoso e nel rumeno frumos. Ma
anche questo fu poi sostituito da bellus che si diffuse in un tempo in cui le
regioni dell'Impero cominciarono ad isolarsi, e per questo si fermo'
davanti ai Pirenei e ai Balcani restando vivo solo in Italia e Gallia.
Se consideriamo ora l'Italia Settentrionale troviamo certi fenomeni comuni a
tutto il territorio, altri invece circoscritti in spazi minori che a loro volta i
linguisti circorscrivono con linee dette isoglosse. Una di queste linee
congiunge La Spezia con Rimini spezzando in due parti l'intero territorio
latinizzato. A nord e a ovest di setta linea le consonanti sorde per
esempio p, t ,c se sono semplici e poste tra due vocali si sonorizzano
diventando b, d, g, ; se sono doppie o lunghe si scempiano (brevi).
Sempre per esemplificare: andata diventa andada e poi andaa; mica
diviene miga e poi mia ; invece currere diventa curi ecc. Trascurando
infiniti altri fenomeni, dobbiamo occuparci solo di pochi che più'
interessano il nostro dialetto
Si constata che dove il latino si è sovrapposto al celtico, esso ha ricevuto da
quest'ultimo la tendenza di contrarre le parole colla scomparsa delle
vocali non accentate e di intere sillabe. Si pensi al francese, dove i
quattro suoni della parola acqua si sono ridotti a un quinto suono o (eau).
A Bologna il latino Hospitale si è ridotto a un monosillabo sbdel. Questo
fenomeno pero' non tocca il Veneto o la Liguria, ma è più' intenso in
Piemonte e in Emilia Romagna. Infatti è la cetizzazione del territorio
dovette essere più' o meno intensa in relazione alla maggiore o minore
concentrazione di Celti nei vari territori. In Lombardia il fenomeno è
presente ma con minore intensità'. Scompaiono le vocali non accentate
alla fine di parola, ma non cosi' frequentemente all'interno. Si confronti il
72
piemontese finestra col lombardo finestra, l'emiliano sbdel col lombardo
uspedal. Consideriamo ora alcune parole legnanesi, come ogi, uregi,
teciu, vegiu, orbu, gobu e confrontiamole colle corrispondenti milanesi
occ, urecc, tecc, vecc, orp, gop (la consonante doppia indica
semplicemente che la vocale è breve) per constatare a Milano la
scomparsa (apocope) della vocale finale, il che comporta una
trasformazione del ritmo stesso della parlata. Questo fenomeno non è
solo milanese, ma è generalizzato, oltre che in Piemonte, Emilia
Romagna, anche in tutta la Lombardia con esclusione di Legnano, Busto
Arsizio e un gruppo di paesi circostanti tra le due citta'. Formano come
un'isola a cavallo del fiume Olona da Cairate a Parabiago (nord sud) e da
Cantalupo a Castano (est ovest) in mezzo ad un vasto territorio. Un'isola
dunque che nella evoluzione linguistica si è fermata ad una fase più'
arcaica e una situazione che si trova in tutta la Liguria. Ci sembra del
tutto legittimo dedurre che tale situazione risulta da una celtizzazione
meno intensa rispetto alla stessa Lombardia. La presenza gallica non si
può' negare sia per la condizione generale del territorio invaso dai Galli,
sia per alcuni reperti archeologici, ma si potrà' dire che la presenza
gallica in questo tratto dell'Olona non fu tale da trasformare decisamente
l'ambiente ligure. In altre parole la tribù' di stirpe ligure attestata dal
principio del secondo millennio a Legnanello, ebbe la forza di conservare
il proprio linguaggio e i propri costumi cosi' da assorbire i nuovi arrivati
senza esserne sopraffatta. Le tribù' liguri più' tenaci si arroccarono sui
monti della regione che ancor oggi conserva il loro nome. Allo stesso
modo una tribù' dello stesso popolo incuneata tra i boschi e le brughiere
che isolavano e proteggevano un tratto dell'Olona, poté' sottrarsi
parzialmente alla forza trasformatrice della cultura gallica. E quando si
lascio' ben più' profondamente trasformare dalla civiltà' di Roma al punto
di scordare la sua lingua ancestrale, il passaggio dal ligure al latino non
ebbe risultati identici a quello dei gallofoni: il ritmo rimase più' disteso e i
vocaboli non subirono le stesse contrazioni imposte dal celtico. Esistono
naturalmente delle gradazioni. Anche a Legnano e nei paesi racchiusi
dalla stessa isoglossa, cadono le vocali atone finali quando sono
precedute da consonanti liquide, nasali o da s sonora. Si dice infatti nas,
diaul, bun ; e non è da escludere che questo cedimento sia dovuto alla
pressione delle parlate circostanti.
Quando avvenne la caduta delle atoni finali e quindi il distacco del nostro
territorio dalla restante Lombardia lungo l'isoglossa tracciata nella nostra
cartina???. Gli studiosi a questo proposito non sono di accordo.
Premesso che in Francia il fenomeno cade nel secolo VIII, noi abbiamo
la possibilità' di sfruttare alcuni riferimenti storici e geografici. Il percorso
73
meridionale dell'isoglossa coincide con il confine meridionale del contado
del Seprio, indicato nel trattato di Reggio (1185), ossia da Padregnano
(Castano) a Cerro Maggiore. In secondo luogo il territorio compreso nella
isoglossa comprende tre pievi ecclesiastiche: Olgiate, Dairago, e
Parabiago. La formazione delle pievi è molto antica ma il loro
consolidamento nell'Italia settentrionale avviene in eta' franco carolingia,
formando distretti entro nei quali il sacerdozio plebano ha forma
collegiale, l'amministrazione dei beni è condominiale, sotto la
giurisdizione del capopieve. Si sa inoltre che i maggiorenti d'ogni
villaggio si recavano periodicamente e si incontravano presso il
capopieve. Questo legame religioso che strinse tutta la popolazione della
pieve, ha un riflesso linguistico nella somiglianza dei pur diversi dialetti. Il
contado del Seprio è di origine longobarda, ma anch'esso riceve la sua
conferma da Carlo Magno che pone alla sua testa un Conte. Queste
connessioni e distinzioni politico religiose ci fanno pensare che
l'isoglossa suddetta si sia formata entro il secolo IX.
La componente ligure è presente in altro fenomeno certamente posteriore: la
scomparsa della consonante semplice r intervocalica, primaria o
secondaria (ossia derivata da -l-, come ara da ala ) che è un fenomeno
ben noto e tipico del genovese. "lavorare; che ora è; Olona" si dicono a
Legnano e in tutta la pieve di Parabiago laura, che ura l'è, urona. invece
nelle due pievi di Olgiate e Dairago si dice laua, che ua l'è, uona, come
a Genova. Che il fenomeno sia posteriore è dimostrato dal fatto che la
seconda isoglossa lascia fuori di sè due aree laterali, Castano e
Vanzaghello da una parte, la pieve di Parabiago dall'altra. inoltre supera
il confine della prima isoglossa spingendosi fino a Cuggiono. La frattura
del vecchio territorio unitario è una diretta conseguenza dell'espansione
milanese che ha fatto di Legnano un suo caposaldo sottraendolo al
Seprio legato all'Impero, come dimostrano le stesse vicende della
Battaglia di Legnano. Cuggiono invece, prima estranea alla famiglia,
diciamo, ligure, venne raggiunta dalla novità' r dileguata perché' la
crescente importanza di Busto Arsizio (detta Busti grandu) fa sentire il
suo influsso fino a Cuggiono, dove appunto non si dice nè uregi, come a
Legnano, nè uegi, come a Busto, ma uecc.
Non è questa la sede per una analisi di tutti gli aspetti del dialetto legnanese.
Ricorderemo ancora una sola caratteristica, l'avversione alla
nasalizzazione delle vocali, che da' invece un colorito insolito piuttosto
francese al dialetto di Milano. Il latino bonum ridotto a bon, a Milano ha
perduto la consonante n che ha lasciato il ricordo di sè attribuendo alla
vocale precedente, mutata in u, una risonanza nasale bu. Il legnanese
invece rafforza la consonante e dice bum. Non induciamo con altri
74
esempi ed altri fenomeni per aggiungere solo qualche considerazione
generale.
Il dialetto legnanese è il prodotto di una cultura contadina rimasta piuttosto
storica per secoli prima di essere investita dalla rivoluzione industriale e
alla profonda trasformazione dell'attuale società'. Era un dialetto dal
ritmo lento, con prevalenza di vocali chiuse (perfino la vocale a tonica si
oscura verso o, che è pure fenomeno piemontese). Fino a cinquanta
anni fa i contadini legnanesi rispettavano il fenomeno della metafonesi
sostituendo con la i la vocale tonica del plurale: un vegiu e du vigi, è cosi'
teciu-tici, leciu-lici ecc.. Il fenomeno ora è scomparso, ma nemmeno
allora tutti i legnanesi parlavano come i contadini. I Signori proprietari di
terre che abitavano a Milano e saltuariamente a Legnano, parlavano
milanese oppure un legnanese ripulito dei tratti più' pesanti. Tra i due poli
opposti delle due parlate contadina e signorile esistevano tante
sfumature quanto erano i rapporti dei signori colla classe più' colta. La
diffusione dell'analfabetismo limitava grandemente l'influsso dell'italiano
letterario. Persino le persone in grado di leggere e scrivere usavano un
italiano ibrido. Il parroco di Canegrate per redigere il Stato delle anime ..
sporto per mano di me, scrive: Alla cassina del Baggino loco di
Canegrate gh'è .. Altrettanto faceva il Prevosto Gianni alla fine del secolo
scorso predicando dal pulpito della parrocchiale: Dio disse, sia fatta la
luce e la luce fu, colla u lombarda (si vedano anche i documenti dei
secoli XV, XVI pubblicati).
Lo sviluppo industriale ha sostituito il contadino con l'operaio producendo una
accellerazione del ritmo verbale conseguente all'accellerazione del ritmo
mentale necessario per seguire il moto veloce della macchina. La compagnia
dialettale Legnanese ha raccolto a teatro molti successi, ha rappresentato il
mondo e il linguaggio operaio. Anche questo è un mondo ormai scomparso.
L'enorme crescita culturale, la scomparsa dell'analfabetismo, la massiccia
immigrazione
da ogni parte d'Italia ha reso quasi impossibile l'uso del
dialetto. Se un tempo si pensava in dialetto e si traduceva, parlando in italiano,
oggi si pensa in italiano. Non solo la scuola e la carta stampata, sopratutto il
televisore, divenuto un membro di ogni famiglia, impartisce ogni giorno lezioni
di lingua. I pochi anziani che si ostinano a parlare dialetto, non insegnano ai
figli nemmeno il loro legnanese ormai depurato dal contatto continuo colla
lingua nazionale che ha fatto scomparire i vocaboli più' antichi e caratteristici,
sostituito da facili italianismi. La situazione suscita comprensibili rimpianti, ma
è irreversibile.
75
Il Duecento
Fra Bonvesin Dra Riva ke sta in borgo legnan. Con questo verso Legnano fa il
suo ingresso nella storia della letteratura italiana. L'autore non e'
legnanese. Era nato a Milano probabilmente dove ora c'e' la Ripa di
Porta Ticinese e dove allora aveva la sua casa. Insegnava la grammatica
cioe' il latino, la lingua fondamentale della cultura, in cui si scrivevano i
libri e documenti di ogni genere, anche se cominciava a diffondersi l'uso
del volgare per servire la massa crescente di persone, specialmente i
cives negotiatiores, considerati illetterati perche' del latino avevano tale
ignoranza o soltanto una vaga e iniziale conoscenza. Parlando del
Dialetto abbiano ricordato la frammentazione del latino in tanti linguaggi
locali, dovuta all'isolamento delle comunita' in minuscoli villaggi
unicamente dediti all'agricoltura, solitamente opposti tra loro,
scarsamente comunicanti e con una attivita' culturale assai ridotta. Nel
giro di alcuni secoli la vita delle popolazioni, specialmente cittadine, e'
profondamente mutata. La circolazione delle idee riprende
vigorosamente.
Il latino continua ad essere lo strumento universale della cultura, ma e'
accessibile soltanto ad una minoranza di letterati. La grande massa della
popolazione generalmente analfabeta, e' pero' investita in qualche modo
dalla intensificata attivita' culturale, che conduce a contatti e rapporti con
persone di diverso linguaggio. Basti pensare ai predicatori che girano di
paese in paese (come patarino Arialdo), ai giullari che frequentano le
fiere e mercati, ai mercanti che varcano mari e monti, ai crociati che
attraversano il continente dirigendosi ai porti di imbarco. Le stesse
canzoni o popolari, o di gesta o anche piu' raffinate per il loro fascino
musicale si espandono in varie regioni, trasmettono testi che vengono
adattati ibridamente a lingue diverse, esercitando comunque una
funzione stimolante. Vi sono ancora gli uomini politici, i funzionari, che
si scambiano messaggi fra paesi lontani. Chi scrive ha frequentato in
varia misura la scuola di grammatica fondata sul latino. La lingua dotta,
anche per chi usa il volgare, fornisce schemi periodali, strutture
sintattiche, vocaboli astratti, che risolvono gran parte dei problemi
espressivi. Il dialetto e' solitamente quello dei centri maggiori e
piegandosi o adattandosi alle strutture del latino si muove verso schemi
comuni con un processo di avvicinamento, se non proprio di unificazione
totale. Diversa e' dunque la lingua volgare scritta in Sicilia o Toscana o
Italia Settentrionale, dove pero' non si forma una vera coine', un codice
76
identico per il Veneto, il Piemonte o la Lombardia, ma i tratti comuni fra
che scrive in queste regioni sono piu' numerosi che con quelli di regioni
piu' lontane.
Di tutti gli scrittori settentrionali Bonvesin e' il maggiore. Ha scritto molte opere
in volgare (circa diecimila versi), ma anche in latino, come il
"demagnalibus urbis mediolani". L'opera che ha composto, o cominciato
a comporre a Legnano, pur essendo in volgare ha un titolo in latino "De
quinquaginta curialitatibus ad mensam", dette anche "cortesie da desco".
Rappresenta un segno di evoluzione dei costumi. La crescita culturale
investe anche le norme di comportamento. Dai modi rozzi di chi affronta
quotidianamente un grave sforzo fisico per strappare alla terra i mezzi
per sopravvivere, alle varieta' delle occupazioni in una societa' piu' ricca
e raffinata, si afferma un ideale di vita piu' gentile. Per questo il maestro
di grammatica si preoccupa di insegnare il galateo alle nuove
generazioni, ossia ai suoi scolari, che dovevano essere i figli dell'alta
borghesia. Per esemplificare il contrasto tra i modi rozzi e i modi cortesi
citiamo solo pochi versi:
zascun cortes donzello
ke s' vol mocar al desco, coi drap se faza bello.
Ki mangia on ki ministra, no s'de' mocar col die
le toe man sian nete, ni li die entre orege ni'l man sul co' di' mette.
Traducibile con: Ogni giovane cortese che deve soffiarsi il naso a tavola, si
pulisca con il fazzoletto. Chi mangia o serve a tavola non deve pulirsi il
naso colle dita.. Le tue mani siano pulite, ne devi mettere le dita ne le
mani sulla testa.
Nel verso che abbiamo posto in apertura del capitolo, il dialetto si manifesta
subito con la preposizione articolata dra, che rappresenta de la. L'articolo
ha subito la rotacizzazione di l, ancora presente in varie parlate lombarde
(ra me mama, ur me pa).
La caduta della vocale e ubbidisce anche a ragioni metriche del verso
alessandrino. Pero' si ritiene che la vocale o finale di borgo sia stata
aggiunta dal copista e che debba essere soppressa per evitare
l'ipermetria del verso. Dunque Ke sta in borg Legnan, un monosillabo
conforme al dialetto milanese, mentre a Legnano il vocabolo era
certamente bisillabo. come lo e' oggi (burgu).
A Legnano, il Bonvesin dovrebbe essere venuto in qualita' di frate Umiliato (un
ordine che non esigeva il celibato e Bonvesin si sposo' due volte), circa il
1270. A lui si deve con ogni probabilita' l'istituzione dell'ospedale di san
Erasmo, che svolse nel corso dei secoli un lavoro prezioso per il borgo e i
villaggi vicini, ma anche come ricettacolo degli infanti esposti. Era molto
77
devoto alla Madonna ed il suo epitaffio dice che egli fu il primo a fare
suonare le campane dell'Ave Maria a Milano et in comitatu. Con lui
dunque le campane della chiesa di San Salvatore cominciarono i loro
rintocchi in onore di Maria tre volte al giorno o, come dice il Manzoni,
quando sorge e quando cade il die - e quando il sole a mezzo corso il
parte.
Legnano dunque non e' una terra (villaggio), e' un borgo, appellativo riservato
ai paesi dotati di un mercato e di una fortificazione. Oltre al castello ove si
era rifugiato Arialdo, esisteva un mercato. Tale privilegio in un tempo che
non possiamo determinare, cadde in disuso. Infatti il 20 giugno 1499
Nobili, contadini et hommes habitatores burgi de Legnano rivolsero una
supplica al Duca di Milano, ricordando che a Legnano per antiqua
tempora se solea fare uno certo mercato che per le grandi guerre e
dissipazioni, e' venuto in disuetudine, e poiche' il borgo e' molto
restaurato, i suddetti abitanti chiedono che il mercato sia ripreso. Pochi
mesi dopo il Duca veniva sconfitto dai Francesi e non poteva occuparsi
del nostro mercato. Piu' tardi, nel 1627 i Legnanesi si rivolsero al governo
spagnolo e per ristorarsi in qualche parte dei danni patiti e che tuttavia
patiscono in occasione dei lungi e frequenti alloggiamenti de' soldati,
chiedono l'istituzione di un pubblico mercato in ciascuno giorno di
giovedi'. Alla richiesta si oppongono quelli di Saronno, Gallarate e Busto
Arsizio per timore concorrenziale e solo nel 1795 viene concesso di
riprendere l'antica consuetudine che aveva dato a Legnano il diritto di
essere un borgo.
Nel corso del secolo XIII il castello dei Cotta assume una importanza notevole
durante le lotte intestine di Milano. Nei due precedenti secoli il governo
vescovile della citta' si e' ben consolidato coll'appoggio delle tre classi
sociali: i capitanei, i valvassori e i cives, ossia la nobilta' e l'alta borghesia.
Il Vescovo e' assistito da consoli in funzione di consiglieri eletti dalle varie
classi: uno stato di cose che fu definito come una repubblica sotto la
Signoria dell'Arcivescovo. Nella lunga lotta per riaffermare i diritti
dell'Impero il Barbarossa, pur sconfitto a Legnano, e' riuscito con la pace
di Costanza a minare la supremazia vescovile, riconoscendo la
legittimita' della magistratura consolare. Tutta la citta' ha ora il diritto di
eleggere i propri consoli. Le classi popolari avanzano, rendendo pero'
instabile il governo, che deve ricorrere alla nomina di un podesta'. Se i
negozianti e gli ex feudatari si uniscono in una associazione detta
"MOTTA", il popolo si inquadra nella "credenza di san Ambrogio", la
nobilta' feudale si stringe all'Arcivescovo, e si serve pure di squadracce
come scudo o offesa verso il popolo. Sono le premesse di una guerra
civile, che molte volte nel corso della storia va a sfociare nella dittatura.
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L'arcivescovo che piu' animosamente combatte' per restaurare il governo
aristocratico, fu Leone da Perego, eletto nel 1241. I suoi rapporti con
Legnano sono ben registrati nella "Memoria n. 20" della Societa' Arte e
Storia (Marina Cattaneo, Legnano nel Medioevo, Legnano 1975,). Nel
1254 Leone inizia una serie di movimenti tra Milano e le varie localita', tra
cui Legnano, dove il 10 settembre emette una sentenza. Probabilmente pensa giustamente la Cattaneo - intendeva rientrare a Milano, ma la
torbida situazione nel capoluogo lo induce a ritirarsi nel castello di
Angera. La funzione di Legnano e' chiara. Per l'arcivescovo e' il primo
rifugio fortificato, da cui puo' sorvegliare da presso la situazione politica
milanese. Crescendo il pericolo e' pronto il rifugio piu' sicuro, ma piu'
lontano nella rocca di Angera.
A Legnano, l'arcivescovo torno' nel 1257, per il riaccendersi delle lotte cittadine,
quando la fazione popolare sceglieva come suo capo Martino della Torre.
Questi, nel mese di agosto, con un gruppo di armati, passando
ovviamente da Legnano, raggiunse Fagnano per assediare i nobili
milanesi riuniti in quel castello. Leone invece raccoglie intanto nel Seprio
un piccolo esercito che respinge Martino a Solbiate, Olgiate Olona,
Legnano, Canegrate. La tregua di Parabiago (29 agosto) attenua la
tensione fra aristocratici e popolari. Leone e' a Legnano, ammalato, e li'
muore il 14 ottobre. E' sepolto viliter in ecclesia San Salvatoris.
Il fortilizio legnanese continuo' ad esercitare le sue funzioni nel proseguimento
della lotta tra le fazioni milanesi. Il partito aristocratico elesse a suo capo
Paolo da Soresina, ma quando lo sospettarono di tradimento, lo
imprigionarono a Legnano, che evidentemente era nelle mani della
fazione nobiliare (1259).
Due anni dopo Martino della Torre invade i beni vescovili e quindi dobbiamo
credere anche Legnano. Infatti sono i Torriani ad acquistare, mediante
permute, il convento di San Giorgio con ampi terreni (oggi occupati dal
castello Visconteo) dai canonici agostiniani che, abbandonato il convento,
si ritirano a Milano.
Nel 1262 viene eletto un nuovo arcivescovo nella persona di Ottone Visconti.
Ormai la lotta politica si fa sempre piu' personale.
Non si combatte piu' per un ideale politico, come ai tempi della Lega
Lombarda, ne' religioso come ai tempi della Pataria. Sono i Torriani
contro i Visconti, e questi usciranno vittoriosi dalla lotta per il primato. I
primi sono sconfitti a Desio nel 1276 e l'anno dopo banditi da Milano.
Occupano Castelseprio nel 1285. Ottone allora corre a Legnano e nel
giro di una settimana vi raduna l'esercito e lo conduce verso Castelseprio,
deviando pero' verso Varese, intavolando trattative per un accordo. I
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Torriani infatti abbandonano Castelseprio nelle mani di Guido Castiglione.
In autunno Ottone porta nuovamente a Legnano l'esercito e muove su
Castelseprio. Saccheggia il borgo, ma la rocca non cede. Nel febbraio
successivo Ottone riceve a Legnano Guido da Castiglione per inutili
trattative. Ma il 28 marzo 1287 Ottone con l'astuzia occupa la fortezza di
Castelseprio e la rade al suolo.
Dall'insieme di questi eventi si constata facilmente come Legnano pur
appartenendo al contado del Seprio sia stata sottratta ad esso dai
Milanesi, che ne fecero la loro porta di ingresso del loro territorio. Lo
dimostrano le vicende stesse della battaglia di Legnano, ma gia' il
documento del 789, in cui appare per la prima volta il nome della nostra
citta', rivela come da tempo l'arcivescovo milanese avesse qui i suoi
possedimenti. Il castello dei Cotta appare come un rifugio per i milanesi
in pericolo. L'episodio di Arialdo e' di breve durata, ma con Leone da
Perego e Ottone Visconti, Legnano e' un centro di operazioni politiche e
militari.
Nel frattempo Legnano e' divenuto un comune rustico, di cui conosciamo
alcune strutture grazie a due documenti parzialmente sopravvissuti e
abbastanza recentemente scoperti. Il primo e' del 1258 e contiene la
parte finale di un testo con cui si approvano gli statuti comunali per un
anno o piu' secondo il volere del Consiglio. Vi appaiono i nomi di quattro
consoli, vicari dell'arcivescovo, e di nove consiglieri, due dei quali
appartengono alla piu' illustre famiglia legnanese, gli Oldrendi, che poi,
trasferiti a Milano, si chiameranno "da Legnano" o "Legnani".
Il secondo documento e' del 1268, contiene l'elenco completo dei diciannove
componenti del consiglio comunale del borgo e riguarda l'esazione di
una imposta comunale detta con la parola longobarda "fodro", succeduta
alla "annoa militare" dei Romani. Consisteva dapprima nel diritto
dell'Imperatore o dei funzionari imperiali a ricevere gratuitamente il
foraggio dei cavalli, poi fu tramutata in un tributo monetario, finche' i
comuni se ne appropriarono facendone una propria imposta, sempre a
carattere militare.
Puo' darsi che a Legnano fosse collegate coll'esistenza di una fortificazione.
Non dovette durare molto dopo il 1268, perche' nel corso del secolo il
fodro cesso' di esistere.
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Dal Medioevo al rinascimento
Il presente discorso, piu' che costituire un approdo alla storia rinascimentale o
cautelarsi dietro la neutra indicazione di Trecento o Quattrocento,
preferisce centrare I'attenzione sul periodo che meglio va sotto I'etichetta
di Basso Medioevo. Lo scopo non e' quello presuntuoso di scorporare un
contributo di storia locale, ma di trarre da un inestricabile groviglio di
istituzioni politiche fornite di capacita' giurisdizionale ormai incrinate nel
loro monolitismo, quegli scampoli di notizie che possono non tanto
appagare il mito delle memorie patrie, quanto verificare il manifestarsi
cosciente e creativo delle categorie umane, come si andavano
concretando dal basso, di fronte al potere esercitato dall'alto.
In una periferia dunque che mirava a svestirsi del suo abito medioevale, per
guadagnarsi posizioni centrali. Gli interessi nascosti erano numerosi e
vari i canali, in cui inserirli per la concretizzazione, dalla lingua, come
elemento chiave per esprimere il consenso o il dissenso, alla verifica
degli stereotipi morali che la Comunita' cercava di manifestare nel
pantheon dei suoi vizi; allo studio di tutti quei meccanismi che sarebbe
troppo lungo enumerare, ma che testimoniano il conformismo prodotto
dal potere, da ricercarsi nei tentativi sommessi di liberazione degli
emarginati, nella loro cultura di periferia, in grado di turbare I'andare lento,
ma processuale del potere urbano. Da qui il perenne contrasto tra citta' e
campagna, tra un pullulare di reazioni che mobilitarono anche la Chiesa,
quella cittadina come quella rurale, nello sforzo di riorganizzazione del
potere, con I'ausilio del culto dei santi, delle processioni, della creazione
di santuari, delle rogazioni, delle litanie, delle indulgenze prima, delle
Visite pastorali poi, ma anche con il trapasso dell'autorita' dominante, a
volte dovuta alla pressante contingenza, dalla citta' alla campagna.
Fu cosi' che I'arcivescovo milanese Leone da Perego, coinvolto nella lotta
civile scoppiata tra i nobili e la popolazione guidata da Martino Torriani,
per evitare il peggio, si rifugio' con i canonici a Legnano, dove fece
erigere un palazzo, in cui pose la sua dimora abituale e dove mori' nel
1257, dopo aver proferito sentenze e aver amministrato sia gli affari suoi
che quelli della diocesi. Anche il vescovo di Como. nel 1292, per non
essere travolto dai disordini scoppiati nella sua citta', trovo' rifugio nel
palazzo arcivescovile di Legnano, finche' Matteo Visconti ando' a
prelevarlo, scortando il porporato fino alla sua citta', che lo ricevette con
gli onori dovuti.
81
II fatto dunque che I'epoca considerata sia quella, in cui il potere ha posto
radici, mette in moto, intorno al nucleo preso in esame, una serie
variopinta di valori, che il ricercatore e' tentato di rispolverare. Ad
esempio, le sedi naturali dei vescovi sopra accennati; il fatto che lo
stesso arcivescovo Ottone Visconti, morto l'8 agosto 1295, abbia
arricchito Legnano di preziosi palazzi: preciosis etiam burgum Legniani
palaciis (Monumenta Germaniae Historica. VIII, Hannoverae
MDCCCLXVIII 108); la constatazione che il vescovo Francesco di Parma,
dal palazzo arcivescovile di Legnano abbia concesso, il 3 aprile 1297,
quaranta giorni di indulgenza a chi avesse contribuito con elemosine al
completamento della chiesa di S. Pietro, in Saronno, iniziata dai Frati
Minori, pongono I'accento non solo su problemi di carattere religioso
locale, ma addirittura di natura architettonica, che sarebbe curioso
indagare.
E' pur vero che la ricerca locale chiama in causa questioni erudite minori, le
cosiddette "microstorie" Violante, La storia locale, Bologna 1982. p. 122)
condite spesso col grigiore della prosa quotidiana e riconducibili. ad
esempio. sia alla precisazione di una data. sia all'identificazoone di un
personaggio, ma non esclude necessariamente la cucitura del particolare
a un tessuto dalla trama piu' ricca. La specificita' di ambito geografico non
elimina la riconduzione ad interessi piu' vasti.
Pertanto Legnano, nel 1305, si trovo' in non lievi difficolta', a causa di
Cressone Crivelli che, cacciato da Milano, perche' coinvolto in una
congiura, con un migliaio di fanti, si impadroni' di Nerviano, cercando di
occupare Rho e Legnano, anche se il tentativo non fu coronato da
successo. Le preoccupazioni per I'attuale nostra citta' non erano pero'
finite, perche' quando Matteo Visconti, nel 1313, fu proclamato Signore di
Milano, dovette vedersela coi Torriani appoggiati dagli Angioini del re
Roberto. La vicenda e' descritta vivacemente da Giovanni da Cermenate
nella sua Historia. Il comandante delle truppe angioine si era proprio
accampato a Legnano, ma dopo aver sostato a lungo, di fronte alla
mancata insurrezione della popolazione, preferi' spostare le sue truppe al
di la' del Ticinello, convinto probabilmente dell'opportunita'
dell'operazione, da Sigibaldo Lampugnani, preoccupato di difendere le
sue proprieta', ma anche piu' incline ai Visconti che non ai Torriani.
L'allontanamento momentaneo del pericolo non attenuo' l'importanza
strategica del borgo, che funziono' spesso da quartiere generale e la
situazione si ripete nel 1339. A Legnano infatti era convenuto Lodrisio
Visconti animato dal disegno di spodestare Azzone e il fratello Luchino,
per impadronirsi di Milano. Da uomo astuto quale egli era ed esperto
nelle armi, considerans quos pecunia costas suorum invnserat (Galvano
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Fiamma. Opusculum de rebus gestis, XL, 10, Bologna MCMXXXVIII),
sfruttando la possibilita' di esigere dalla popolazione tributi dovutigli per
precedenti diritti goduti e soddisfare cosi l'avidita' dei suoi soldati e dei
trecento "stipendiari" provenienti da Verona, si scontro' con I'esercito
milanese, in prossimita' di Parabiago. Dopo un inizio favorevole, la sorte
del combattimento volse pero' contro di lui, che fu fatto prigioniero. Alla
sua sconfitta, i mercenari chiamati "barbute" da Pietro Azario (Liber
gestorum in Lombardia, XII, 20, Bologna MCMXXVI), che erano per lo
piu' Inglesi raggruppati nella Societas Anglorum al servizio del conte
Lando, furono assoldati in un primo momento da Galeazzo Visconti, ma
finirono per scostarsi da lui e, memori probabilmente del bottino fatto
precedentemente, nonostante i divieti loro imposti, il 4 gennaio 1343,
attaccarono Legnano, Nerviano, Castano, Vittuone, Sedriano e altre
cascine in prossimita' di Milano. Anche se non oltraggiarono le donne,
come si preoccupa di informare il cronista, forse per la sosta limitata, le
depredarono dei loro ornamenti di valore, mentre trassero numerosi
prigionieri tra i nobili sorpresi nottetempo intenti a banchettare e a giocare
a scacchi: ob festivitates vacantes ludentes ad tabulas et schachos noctis
tempore.
Non si misura certamente l'importanza del tema delle truppe mercenarie da
questo episodio particolare, ne' la soluzione del problema e' riconducibile
ai fili della storia generale, alla quale puo' offrire un contributo parziale
pero' I'analisi del negoziato intercorso fra le citta' toscane e il Conte di
Virtu', per difendersi dalle compagnie di ventura (Seregni G., Un disegno
federale di Bernabo' Visconti, in Archivio Storico Lombardo 1911, pp.
181-182). L'accordo fu siglato a Legnano, il 31 agosto 1385, fra' Gian
Galeazzo, Firenze, Bologna, con facolta' di accesso al patto anche per
Lucca. Lo scopo era quello di tutelarsi contro gli avventurieri, dopo
I'esperienza degli attacchi da loro ripetutamente portati alla pace delle
genti.
Si realizzo' cosi' il piano concepito da Bernabo' Visconti, solo dopo la sua
tragica morte avvenuta, a quanto pare, per avvelenamento. Gian
Galeazzo riprese le idee dello zio, la smodata ambizione del quale non
ando' esente da avvedutezza di mente e grandezza d'animo, anche se la
realta' delle cose non ne avrebbe rispettato i desiderata.
Pare eccessivo parlare di un sentimento di italianita' per un'operazione del
genere, ma non costituisce uno spreco di fatica sottolineare I'importanza
annessa alla nostra localita' scelta per la stipulazione dell'accordo sopra
accennato. Non e' assolutamente il caso di far leva su richiami di motivo
turistico per un borgo o una corte che, in base agli Statuti delle strade ed
acque del Contado di Milano emanati, nel 1346. aveva un sistema viario
83
di braccia MCCCCXXVIIII (1 braccio =mt. 0.59) e la cui canonica vantava
un reddito di L. 13, soldi 8 e denari 8, nel 1398, mentre i cappellani erano
cosi iscritti a ruolo:
capella S. Marie de Legnano
capella S. Ambrosii de Legnano
cagella S. Martino de Legnano
L. 1 s. 13 d. 17
L. 1 s. 13 d. 7
L. 1 s. 13 d. 7
(Notitia cleri Mediolanensis de anno 1391 circa ipsius immunitatem, in Archivio
Storico Lombardo 1900, p. 258). Semmai la scelta fu dovuta alla
posizione strategica assunta dalla nostra localita' piazzata sulla strada
consolare del Verbano, il cui percorso andava dalla vecchia piazza d'armi
di Milano ad I Iapidem (gia' corrispondente alla zona della fiera
campionaria) fino a Sesto Calende. ad XXXVI lapidem, con Legnano al
XV lapidem (Palestra, Strade romane nella Lombardia Ambrosiana,
Milano 1984).
E poiche' si e' parlato dei Visconti, conviene dire che da un loro ramo, ed
esattamente da quello di Pogliano, discese quel Roberto Visconti che fu
designato come successore dell'arcivescovo Giovanni, Signore di Milano
e ingiustamente considerato come una figura scialba, perche' sottomessa
al volere di Matteo, Bernabo' e Galeazzo, i fratelli che collegialmente
controllarono la Signoria milanese alla morte dello zio.
Le recenti ricerche effettuate da A. Palestra (Roberto Visconti, Milano 1971, p.
5 e sgg.) avvalorano invece una diversa figura del prelato, il quale. come
piu' grande proprietario della Lombardia, rappresento' una forza non solo
morale di straordinaria importanza, fin oltre la meta del sec. XIV, anche in
Legnano. Dal carteggio scambiato coi suoi amministratori risulta che
I'arcivescovo era il dominus loci, cio' esercitava un vero e proprio dominio
temporale su una zona geografica, i cui punti piu' importanti erano
Angera, Bellano. Brebbia, Bormio, Cannobbio, Castano. Galliate,
Legnano cum cassinis Ravellis, Reschaldine et Reschaldi (Lettera n. 164.
17 marzo 1360), Sesto Calende, Teglio. Varenna, la Valsassina, la
Valsolda e il Vergante, cioe' la costa occidentale del Lago Maggiore. Per
I'amministrazione Roberto Visconti si serviva di un rector o, con maggior
proprieta', di un potestas per Legnano e Castano, come si legge in una
lettera del 9 febbraio 1355. L'importanza dell'ufficio dipendeva
naturalmente dal borgo amministrato e c'e' da pensare che la mano del
rector si posasse con pesantezza quando si trattava di distribuire e
applicare la giustizia usque ad condempnationem. fino alla condanna dei
reprobi (Lettera 11 aprile). L'epistolario rimasto c'illumina su tutta la vasta
organizzazione delle proprieta' arcivescovili, sulle istituzioni locali, sugli
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ordinamenti della popolazione, sulle attribuzioni e competenze dei
funzionari, sia per quanto atteneva gli affari civili, sia per la tutela dei frutti,
dei redditi e dei proventi, la cui riscossione l'investito podesta', quale era
Pietro Visconti, nel 1355, doveva assicurare al suo Signore.
Tali lettere, sotto un certo profilo, riflettono sinteticamente il contenuto di veri e
propri statuti, in cui consules de homines burgi nostri Legnani
costituivano l'intera Comunita' con la propria organizzazione.
Da questi pochi esempi, necessariamente ridotti per I'economia del lavoro, si
puo' dedurre che Roberto Visconti fosse tempestivamente informato delle
eventuali contravvenzioni alle sue disposizioni e che egli opportunamente
intervenisse per fermare abusi, risolvere controversie e ripristinare la sua
autorita' in un microcosmo provinciale, dove pulsava non solo il lavoro dei
campi, ma incominciava a trasparire una certa attivita' commerciale; dove
la popolazione rurale guardava con fiducia alle proprieta' arcivescovili
amministrate con una certa larghezza di vedute, secondo un rapporto tra
Comunita' locale e autorita' religiosa diverso da quello che si sarebbe
potuto instaurare con un sovrano assoluto, magari illuminato. in un
momento in cui la vita politica si stava liberando dalle istituzioni
medioevali, per avviarsi verso la forma delle Signorie rinascimentali.
Non sembra il caso di parlare, nel sec. XV. di Signoria per Legnano, che ha
sempre rifiutato qualsiasi infeudazione, ma piuttosto di un prevalente
controllo esercitato dai nuclei piu' rappresentativi. destinati piu' tardi a
costituire i cosiddetti "Comunetti", ossia i Visconti, i Vismara, le Monache
di S. Chiara, i Lampugnani. Diamo per scontata come falsa la attribuzione
voluta dal Corio, per ragioni encomiastiche (Storia di Milano, vol. I. Milano
1975) della discendenza viscontea da Alione, Signore di Angera, a cui il
pontefice Gelasio I avrebbe concesso, nel 493, l'amministrazione di
questo contado assieme a Treviglio, corte di Rho e Legnano. Non
possiamo pero' disconoscere che Oldrado Lampugnani pote coprire, in
Legnano, un ruolo determinante. nel 1400, grazie alla bonta' dei rapporti
mantenuti in particolare con Filippo Maria Visconti, come dimostrano le
vicende connesse al rafforzamento del castello di S. Giorgio, i servizi
politici e militari resi al Signore di Milano, che fruttarono rendite cospicue
tali da assicurare al nobile legnanese il controllo di vaste proprieta'
fondiarie, nell'intricato groviglio di interessi che si agitarono intorno alla
casata dei Visconti prima, e degli Sforza poi. Fu intorno al 1448 che
Legnano risenti' dell'atmosfera agitata dall'offensiva scatenata da
Francesco Sforza, per impadronirsi del Ducato milanese. Espugnata
Abbiategrasso, le truppe ausiliarie guidate da Matteo Campana, al
servizio di Francesco Sforza, si spostarono verso Legnano e ivi
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piazzarono I'accampamento: hospitiisque per proxima aedificia copiis
singillatim dispertitis (In libros Iohannis Simonetae de rebus gestis
Francisci 1, Sfortiae Mediolanensium ducis, a. 1448 in Rerum Italiaarum
Scriptores. vol. XXl. Bologna 1959. col. 500). Con I'aiuto di Oldrado
Lampugnani. lo Sforza pote' accingersi all'espugnazione della vicina
Busto Arsizio, i cui abitanti spaventati gli inviarono messi, implorandone
la clemenza. Dichiarato ribelle dai "Milanesi", il Lampugnani dovette
quindi rinchiudersi nel suo castello di Legnano, ma una volta conclusa la
tregua tra Milano e lo Sforza, pote' riguadagnare le posizioni.
E poiche' si e' accennato a Busto Arsizio, converra' dire che i rapporti con
quella citta' non erano allora propriamente idilliaci, come si legge in una
petizione del 19 maggio 1455 (Archivio di Stato di Milano, e d'ora in poi
A.S.M. Archivio Sforzesco, cart. 665). In seguito alle disposizioni
emanate da Filippo Maria Visconti e alla subordinazione giuridica da
Busto Arsizio, gli homeni di Legnano, col Consiglio, non volevano
assolutamente discutere le proprie ragioni nella localita' loro ordinata.
Per i postulanti era troppo molesto e dannoso andare a litigare a Busto, dove
non avevano la possibilita' di trovare dottori o procuratori che curassero i
loro interessi. Per di piu' correvano il pericolo di "essere malmenati da
quelli Borgesani, che stando a casa sua superchiano gli altri". Da qui la
richiesta dei protestatari di allargare la giurisdizione di Gallarate, cui si
sarebbe potuto accedere facilmente che non al luogo ordinato, per gli
inconvenienti lamentati.
Se il documento sopra riportato puo' essere testimonianza di un'animosita' pia
che facile a riscontrarsi nei rapporti di vicinato, e destinato a perpetuarsi,
come potrebbe essere avvalorato dai focosi successivi incontri tra le
rappresentative calcistiche delle due citta', e' anche indice di una vivace
conflittualita' che solo in parte la coltura di uva vernacciola o moscatella
poteva giustificare. Accanto a questa e' presumibile supporre anche
I'esistenza di una produzione cerealicola favorita sia dal facile
assorbimento dei mercati vicini, sia da un'attivita' molitoria non
indifferente, cui si aggiungeva un sia pur limitato smercio commerciale.
Sono elementi che potrebbero trascinare facilmente all'entusiasmo e far
pensare a Legnano come a un piccolo Eden, se non sapessimo che
diverse zone dell'allora pieve di Olgiate Olona, di cui Faceva parte il
nostro borgo, erano infestate da malviventi, i quali trovavano facili
nascondigli nella cosiddetta "Selva lunga" compresa tra Gallarate e
Legnano e attraversata dalla strada romana che portava al Lago
Maggiore. I motivi di turbativa erano notevoli e tali da indurre. nel 1471, il
duca Galeazzo
Maria Sforza a nominare Capitano del Seprio
86
Antoniazzo di Casate "con potere di spada e piena autorita" perche'
procedesse con la massima energia contro quanti infestavano il territorio
(A.S.M., Comuni. cart 21).
Questi brevi cenni di carattere socio-economico non possono pero' far
dimenticare la presenza di altre famiglie che contarono a Legnano, come
i Vismara, in grado di interessare largamente I'ambiente religioso, che
allo scorcio del 1400, vantava oltre alle chiese, oggetto di indagine da
parte dell'arch. Marco Turri, I'ospizio di S. Erasmo; il convento di S.
Caterina, fondato nel 1398, situato in prossimita' dell'attuale lstituto
Tecnico Dell'Acqua e soppresso nel 1569; il convento di S. Maria del
Priorato retto dai ' frati Agostiniani e chiuso nel 1569, nelle vicinanze
dell'attuale cinema Galleria; il convento femminile Agostiniano della
Trasfigurazione, in via Lega, abolito nel 1569; il convento dei Frati Minori
osservanti. detto di S. Angelo, eretto nel 1468. chiuso nel 1785, sede oggi
delle Scuole Mazzini e quello delle monache di S. Chiara, in zona largo
Seprio. Quest'ultimo convento fatto erigere intorno al 1492 da Gian
Rodolfo Vismara, accanto al palazzo conosciuto come casa Vismara,
ebbe prima il patrocinio della famiglia omonima e poi dei Lampugnani, di
cui accolse le fanciulle divenute monache per vocazione (Sutermeister, Il
convento di S. Chiara e la casa Vismara, in Memorie della Societa' Arch e
Storia. n. 2. Legnano 1934). A un primo chiostro per le converse, nel 1700,
se ne aggiunse un altro per le novizie e il complesso fu arricchito da una
chiesetta ancora segnata con una crocetta nella mappa del 1799. Il
convento si serviva. per i propri scopi, dell'acqua derivata da una roggia
dei frati francescani. che passava attraverso le proprieta' dei Taverna e
costitui' fonte di tante controversie tra gli usufruttuari.
Ampia descrizione del convento e' possibile trovare sempre nell'opuscolo
sopra accennato del Sutermeister, anche se le notizie sono desunte da
un'opera di P. M. Sevesi (Le Clarisse di Milano, Milano 1930).
Da essa risulta che il Vismara forni' chiesa e convento di S. Chiara di tutto
I'arredamento necessario e si preoccupo' di assicurare alle monache
I'ospitalita' nei monasteri milanesi. in caso di incursione nel Seprio.
Le suore vissero per circa tre secoli nel rispetto assoluto delle regole di S.
Chiara e quindi in condizioni iniziali di poverta' tale da essere costrette a
questuare e da richiedere l'intervento di S. Carlo, che visito' il loro
monastero nel 1570 e detto' norme per il miglioramento delle loro
condizioni di vita, in seguito perfezionate con nuove costituzioni emanate
dal Generale dell'Ordine e sostenute dalla generosita' degli abitanti, in
modo da concedere alle monache di effettuare acquisti e permute di
terreni, fino a concedere prestiti, all'inizio del 1700.
87
Non sembra, secondo il Sutermeister, che la popolazione monacale fosse
numerosa. Nel 1600 le monache erano una ventina; al momento della
soppressione del monastero erano venticinque, ragione per la quale il
numero di sessanta indicato nel corso della visita pastorale effettuata a
Legnano da parte del cardinale Pozzobonelli, nel 1700, teneva conto
probabilmente di monache velate, converse ed educande nel loro
complesso.
Il convento fu soppresso da Giuseppe II, nel 1782.
l Governo confisco' tutti i beni immobili e mobili, questi ultimi depositati presso
il Banco di S. Ambrogio. Le monache in parte ritornarono alla loro dimora
originaria, in parte affluirono ai monasteri di Busto Arsizio, di Cairate, e
di Lonate Pozzolo.
88
Il Cinquecento
Alle soglie dell'eta moderna la dinastia degli Sforza si avvio' alla decadenza. Il
10 aprile 1500 Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, fu deposto e, in sua
vece, il cardinale d'Amboise entro' in Milano come governatore, in nome
di Luigi XII, re di Francia. In questo contesto storico cosi' burrascoso, che
vide alternarsi alle redini dello Stato di Milano, di volta in volta, gli Sforza
e i Francesi, si inserisce il ricordo di una testimonianza a carattere
religioso, di importanza particolare per la storia di Legnano: la
costruzione della chiesa di S. Magno, iniziata, nel 1504, sulle vestigia di
una antica chiesa, come testimoniato dalla nomina della precedente
cappellania dedicata a S. Giovanni Battista e agli Apostoli Giacomo e
Filippo, resasi vacante e della quale era stato investito Gabriele Fusano
col giuspatronato di casa Vismara, nel 1473. (Archivio Storico Civico di
Milano e d'ora in poi A.S.C.M. Fondo Belgioso, cart. 195, pergamena 23
agosto 1473).
Questo inizio di secolo favorevole e propiziatorio, sul piano religioso, per il
borgo di Legnano, fu pero' ben presto sconvolto dal diffondersi di una
spessa coltre di nuvole che ne rabbuio' l'orizzonte. Mentre Luigi XII
ondeggiava nell'esame di alcune soluzioni possibili nella guerra di
predominio in Italia, secondo il Guicciardini (Storia d'Italia, Milano 1975,
X, 8), gli Svizzeri, stimolati dal pontefice Giulio II e, spinti dal cardinale
Schiner, cominciarono a scendere in Lombardia, non appena ebbero
riordinato l'esercito e senza attendere la stagione propizia. Cosi', mentre
a Milano si diffondeva una grande paura, essi raggiunsero, l'ultimo
giorno del novembre 1511 Varese e da li', senza incontrare difficolta',
toccarono Gallarate, la saccheggiarono e la bruciarono, secondo una
lettera indirizzata dal Bibbiena al cardinale Medici (Moncallero,
Epistolario di Bernardo Dovizi de Bibbiena, vol. I, Firenze 1953, pp. 416
-422), mentre Gastone di Foix, con Gian Giacomo e Teodoro Trivulzio,
accampatosi a Legnano, non attese gli Svizzeri, ma preferi' sgomberare
la nostra localita' e ripiegare su Milano, abbandonandola alla discrezione
degli avversari. E' comprensibile quale trattamento sia stato riservato al
borgo dalle soldatesche, anche se e' prudente non ricamare
eccessivamente le informazioni fornite in proposito dal Guicciardini
antipapalista o dal Prato (Storia diMilano in continuazione del Corio
dall'anno 1499 al 1519 in Archivio Storico Italiano, vol. III, Firenze 1842),
i quali descrissero la parte truce degli avvenimenti che interessarono la
Lombardia, dal 1490 al 1530, ma non furono certamente a completa
89
conoscenza di tutta la documentazione allora seppellita negli archivi
d'oltralpe e in grado di far luce sull'effettiva responsabilita' dello Schiner,
come si dedusse piu' tardi, nella scia degli studi effettuati, nel 1898, da
Achille Ratti sulle lettere papali e da A. Buchi, nel 1925, sul cardinale in
questione. Meglio attendere la menzione allora di Alberto Lampugnani,
tesoriere della Fabbrica di S. Magno e uomo degno di reputazione,
sull'incendio scoppiato nel borgo (Bettinelli, Legnano nella storia, Milano
1900, p. 17).
Le preoccupazioni per la popolazione di Legnano non erano dunque terminate,
perche' essa dovette prima sopportare nuovi oneri finanziari imposti da
Massimiliano Sforza pressato dall'avidita' degli Svizzeri e poi il
condizionamento determinato dal ritorno dei Francesi di Francesco I.
Mentre le redini del nuovo governo erano rette da luogotenenti vari vale
la pena di accennare a due fatti, il primo dei quali interesse l'opinione
pubblica, il secondo incise profondamente sul tessuto della Popolazione.
Nel 1517 la superstizione tra il popolo era cosi' grande che, essendo in
quell'anno caduta una grossa tempesta, si ritenne di attribuirne la causa
all'azione delle maliarde.
Piu' drammatica fu invece l'influenza prodotta dalla peste del 1529, che si
riprodusse con violenza nel 1540. Per la verita' non e' possibile stabilire
con esattezza quante vittime tra la popolazione abbia mietuto la falce
della peste, il cui contagio aveva gia intaccato la gente, a piu' riprese,
negli anni precedenti.
Se i vuoti prodotti furono notevoli, certamente si puo' supporre che le perdite
subite dai centri agricoli fossero, in proporzione, inferiori a quelle della
citta', nonostante gli elementi contrastanti in nostro possesso. Servono,
per la conoscenza, i dati offerti dagli archivi che rappresentano le fonti
piu' ricche e le fondamenta piu' solide della realta' storica. Senza di loro
un popolo non avrebbe volto e identita', anche se e' pur sempre
opportuno accostardi ad essi con un occhio smaliziato, per un rigoroso
controllo della docuementazione .
Pertanto, per avere un'idea il piu' vicino al vero circa la composizione e la
consistenza della popolazione legnanese, nella prima meta' del 1500
bisogna risalire al censimento iniziato nel Ducato milanese da Francesco
II e integrato da Carlo V, dopo che l'imperatore spagnolo prese le redini
dello Stato milanese, alla morte dello Sforza. L'accertamento e'
importante perche' dovrebbe ragguagliarci sul numero delle famiglie
allora esistenti, sulle classi sociali, sulle principali colture in atto, sulla
distribuzione della proprieta', anche se i risultati globali offerti risultano
incompleti. Dall'esame dei fondi Censo p.a. e Gride dell'Archivio di Stato
di Milano risulta che, al 15 settembre 1530, i gentilomini piu'
90
rappresentativi residenti a Legnano, i quali non pagavano carichi a
Milano erano i Lampugnani abitanti per lo piu' a Legnarello, tra i quali
primeggiavano Gaspare Antonio dito el gineto; Barbara; Geronimo,
rettore de la giesa magior in Legnano; Francesco, capelano in la
suprascritta giesa, il magistro da schola con dui donzenanti forestieri et
uno da Milano et altro da Gorla minor.
Di rilievo era pure la posizione dei Vismara, dei Visconti, dei Crivelli, dei Maino,
dei Caimi, del notaio Francesco Rotta. Tra i gentilomini, che pagavano i
carichi a Milano e abitavano a Legnano, prevaleva ancora il magnifico
m.Jo. Bernardo da Lampugnano, con la consorte e il fattore; gli eredi di
Geronimo Aliprandi, gli eredi Solari, Iacopo Corio, Francesco Maria
Casati. Ne' puo' essere dimenticato il riferimento a Ferrando da
Lampugnano che abita in el castello di santo Giorgio (A.S.M., Censo p.a.,
cart. 13 a). Per quanto concerne gli accennati comparti d'estimo, si puo'
dire che fossero importanti per il raggiungimento delle prove di nobilta'
originaria, da produre al momento della comparitio richiesta qualche
secolo piu' tardi, all'epoca dell'imperatrice Maria Teresa, anche se la
valutazione dei nobiles non puo' far dimenticare quella altrettanto
importante dei cives abitanti nel territorio sottomesso alla citta'.
E' ai primi comunque che sono legate le vicende del castello, nel periodo
preso in esame.
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE A META' SECOLO.
Per una verifica dello status della popolazione giova il censimento ordinato
dall'autorita' ed attuato verso il principio del 1549. La situazione di
Legnano era allora controllata in buona parte dalle famiglie gia prese in
esame, accanto alle quali E' da ricordare pero', per la funzione
importante esercitata e di solito non citata tra le fonti piu'l conosciute,
quella di Francesco Girami, per una conoscenza approfondita della
quale rimandiamo al lavoro di E. Gianazza (Momenti di un incontro:
Banco Lariano 1983 - Como 1983).
I Girami di cui sopra, discendenti da antica e nobile famiglia, avevano
acquistato, nel 1538, dall' imperatore spagnolo, tra varie giurisdizioni,
oltre ai feudi di Brebbia e della Fraccia Superiore anche diversi censi del
sale, tra cui quello di Legnano: Communitas et homines Burgi Legnani
ducatus Mediolani pro stariis centum quadraginta quinque census salis
(A.S.M., Feudi Camerali p.a. , cart. 25l). La comunita' di Legnano pagava
dunque a Francesco Girami, Signore di Barbaiana e di numerose altre
terre, il censo del sale, che era obbligata ad acquistare, secondo lo
strumento rogato da Giuliano Pessina il 14 ottobre 1538, anche se in
seguito i figli eredi del Girami dichiararono che egli agiva come
procuratore del conte Vitaliano Visconti Borromeo.
91
Dall'osservazione del materiale trattato ai fini del censimento e dal confronto
con i dati relativi alla popolazione di alcune pievi, si ricava tuttavia la
sensazione che il quadro offerto sia frammentario e lacunoso, tanto piu'
che per alcune localita' si registra una vera e propria decimazione della
popolazione, giustificata parzialmente dal dilagare della peste, ma non
nella misura eclatante riportata.
Omettendo
dunque i tentativi per arrivare a un calcolo esatto della
popolazione, in base ai dati offerti, si dovrebbe ammettere che gli abitanti
di Legnano ammontassero, nel 1545, a 576 bocche con 184 focolari, con
una media del 3,13%, secondo la verifica della cartella 13 b (A.S.M.,
Censo p.a.), in contrasto non solo con quanto affermato dal Larsimon
Pergameni (Censimenti milanesi di Carlo V, in Archivio Storico Lombardo
1949, pp. 168-209), che parla di 608 bocche e 189 famiglie, ma pure coi
dati registrati circa cinquant'anni dopo.
Se altri elementi interessanti sono forniti dallo sgualcito quinternetto
conservato in archivio, questi riguardano i principali prodotti coltivati a
Legnano:
miglio, frumento, melgone, fagioli, panico e uva; ma anche la figliolanza delle
famiglie, che non era cosi' numerosa come si potrebbe pensare,
secondo una diceria corrente. Infatti sui "focolari" presi in considerazione,
solo quello di Ambrogio Bilizono vantava dieci figli; nove ne allevava
Giovanni Tadino, mentre altri tre gruppi crescevano otto rampolli.
Ottantotto famiglie e quindi la maggioranza, avevano due figli ciascuna
ed una non ne allevava nessuno. Inoltre poiche' le indicazioni offerte dai
commissari proposti al censimento riguardavano solo le "bocche" e le
biade, mancavano indicazioni relative all'azione svolta dai singoli.
Naturalmente, trattandosi di un comune rurale, l'attivita' dominante
consisteva nella lavorazione dei campi, i cui appezzamenti variavano
secondo le condizioni del coltivatore e del cui perticato possiamo farci
un'idea approssimativa, poiche' mancano le indicazioni relative ai nobili,
in base agli indici catastali del 1558 (A.S.C.M., Localita' foresi, cart. 35).
Da questi si deduce che l'estensione dei terreni lavorati di Legnano con
Legnarello, fatta salva l'eccezione indicata, ammontava a pt. 24020 circa,
alle quali bisogna aggiungere circa pt. 2482 possedute dagli Enti religiosi,
con le monache di S. Chiara in testa, proprietarie di pt. 574.
In tale ambito, se i dati a nostra disposizione sono incerti, pur tenendo
presente la precarieta' di vita della popolazione rurale, la piu' facile ad
essere coartata dalla nobilta' vanitosa dei suoi privilegi, non si far meno
di sottolineare col Sella (L'economia barda sotto la dominazione
spagnola, Bologna 1982, p. 181 e sgg.) che la campagna lombarda,
Legnano compresa, conservo' una discreta carica di attivita', grazie al
92
mantenimento di pratiche colturali, in fase di evoluzione e alla relativa
subordinazione alle corporazioni cittadine. Le colture cerealicole, la vite
e il gelso offrirono la maggior possibilita' di impiego ai contadini, i quali,
con il tradizionale attaccamento alla terra, non esitarono ad affrontare
lavori massacranti per intensificare la produzione.
Il risultato fu un'economia sommersa, che consenti' di rimediare agli ostacoli
delle requisizioni e delle imposizioni fiscali, anche se non e' facile
dipingere un quadro chiaro della situazione allora esistente in Legnano,
perche' sono disponibili solo scampoli di informazioni inadeguate per
avere una visione ampia della realta'. Inoltre paradossalmente fu proprio
il fisco ad incentivare l'impegno dei contadini. Dal momento che esso si
basava sulla stima del perticato colpito, indipendentemente dalla
destinazione a coltura o dal rendimento della stessa, l'agricoltore fu
indotto a trarre il maggior reddito possibile. Infatti una delle
preoccupazioni maggiori delle autorita' spagnole, austriache e francesi
dominanti nel nostro paese fu sempre quella di accertare, per ragioni
fiscali l'esistenza dei focolari nelle singole localita'.
L'enumerazione dei capi famiglia fu infatti un elemento fondamentale degli
estimi per la distribuzione del carico d'imposta, che aveva come base il
ceppo famigliare, alla cui unita' coltivatrice imponeva il pagamento del
tributo, generalmente riparrito in ragione di una certa somma di denaro.
Da qui la necessita' di avere indicazioni sulla strutturazione della popolazione
di Legnano distribuitain nove Comuni: Otto dei censiti in luogo, ed uno
chiamato comunetto, per quelli che non avevano nome distinto,
conforme al maggior censimento; comune dominante era il
maggiormente censito, comune Vismara, comune delle Monache,
comune di Camillo Prata, comune Visconti, comune Morosinetto e
consorti e ilComunetto. Tali indicazioni fornite dal Bettinelli (Op. cit., p. 38
e sgg.) e derivate dal Pirovano, ci consentono inoltre di sapere che
ognuno degli enti sopraccennati era rappresentato dai proprietari piu' in
vista, i quali concorrevano alla nomina di un Sindaco che era coadiuvato
da due deputati e da un cursore nella reggenza di ogni Comune.
Per avere pero', elementi piu' sicuri sulla reale consistenza della popolazione
legnanese bisogna risalire all'epoca di S. Carlo Borromeo e
successivamente al censimento del 1594.
Nella seconda meta' del 1500, S. Carlo fu pIU' di una volta a Legnano. Stando
al racconto del prevosto Pozzi, sembra che nel corso di uno di questi
rapidi soggiorni, mentre si attendeva alla riedificazione della chiesa di S.
93
Ambrogio, sotto una volta sia stato trovato, depostO nel tronco di un
albero, il cadavere dell'arcivescovo Leone da Perego, che, profugo da
Milano sconvolta dalle lotte di predominio sorte tra i nobili, si rifugio' a
Legnano, dove mori', secondo Tristano Calco, nel 1257; secondo
Galvano Fiamma nel 1263 e dove fu sepolto. Sempre secondo il
racconto del cronista, all'indomani del ritrovamento, il corpo di Leone da
Perego spari'. Si diffuse quindi una voce popolare, secondo la quale S.
Carlo Borromeo, riconosciuto il cadavere, l'avrebbe fatto sparire, per
dargli piu' adeguata sepoltura, ma anche per evitare gli eccessi di un
certo culto tributato alla sua tomba.
Si verifico' praticamente una situazione analoga a quella, in cui fu protagonista
S. Nico o Nicone, a Besozzo, nel 1567.
Carlo Borromeo, nel corso di una visita pastorale li' effettuata, saputo dove si
conservavano le spoglie del santo eremita, fece fare uno scavo, per
riportare alla luce i resti e dare loro una sepoltura piu' adeguata sotto
l'altare maggiore deIIa chiesa, da cui furono traslati, nel 1685, in un'altra
restaurata ed entro in un'urna piu' ricca.
La tradizione sviluppata attorno al corpo di Leone da Perego ha favorito la
formulazione di illazioni da parte degli studiosi piu' o meno accreditati,
tramandata fino all'epoca moderna. Pertanto, per fare cessare le varie
dicerie ricorrenti intorno alla salma di Leone da Perego, nel 1933, il
cardinale Schuster commise il compito di effettuare indagini approfondite
a una commissione costituita dai mons. Galli, Saba e Castiglioni. Il
risultato emerso dai loro studi garanti che Leone da Perego, alla sua
morte era stato sepolto, senza grandi onori, nella chiesa di S. Ambrogio.
Da qui la salma ritrovata prima del 1566, e quindi anteriormente
all'intervento del cardinale Borromeo, fu trasportata nella nuova basilica
di S. Magno. Il trasferimento del corpo non si poteva congiungere al
ripristino totale dell'edificio sacro a S.Ambrogio, avvenuto dopo il 1592.
Si doveva quindi dedurre che l'ipotetica sottrazione attribuita a S.Carlo
era solo un parto della fantasia di alcuni scrittori e che la salma era da
ritenersi riposta in un luogo sconosciuto della chiesa di S. Magno.
A seguito della Visita pastorale effettuata a Parabiago l'8 ottobre 1583,
(Archivio Spirituale Diocesi di Milano, ed ora in pi A.S.D.M.. Visite
Pastorali, Sez. X, Vol. V), grazie alle facolta' concesse dal Concilio di
Trento, della cui legislazione fu scrupoloso esecutorel, in virtu' anche
dell'autorizzazione conferitagli dal papa Gregorio XIII, con Brevi del 28
94
giugno, 11 luglio e 4 novembre 1573, S. Carlo Borromeo, il 7 agosto
1584, decise per la soppressione della Prepositurale di Parabiago e per
il suo trasferimento a Legnano. Le ragione del mutamento furono varie.
Benche' a Parabiago esistessero cinque canonici dotati di prebenda: don
Antonio Mozzoni, don Ottavio Ermano, don Giovanni Battista Pusterla,
don Cipriano Tarillo, don Briosco, nessuno di loro risiedeva nel paese
assistito dal solo prevosto. D'altra parte la Prepositurale non aveva case
sufficienti ad ospitare un adeguato numero di canonici ne' esse si
potevano costruire per l'esiguita' dei redditi disponibili, insufficienti ad
assicurare una dignitosa sopravvivenza.
A distanza di tre miglia da Parabiago vi e' pero' Legnano, giudicato un borgo
satis insigne, con numerosa popolazione, per di piu' dotato della chiesa
di S. Magno considerata magnifice speciosa per l'ampiezza della
costruzione e la ricchezza degli ornamenti, nonche' fornita di buoni
redditi. A cio'si aggiunga la presenza, in Legnano, di numerose
cappellanie sia titolari che mercenarie, i cui rispettivi patroni non
chiedevano di meglio che la trasformazione in canonicati prebendati.
Pertanto il cardinale Borromeo divise, separo'e smembro'i redditi
provenienti ai cinque canonici, soppresse tre canonicati e in particolare
quelli cui spettava il diritto di raccogliere le decime, costituendo per loro
un beneficio coadiutorale.
La chiesa dei SS. Gervaso e Protaso di Parabiago fu costituita in nuova
parrocchia assistita oltre che dal parroco anche da un coadiutore, con
annessa prebenda scholasticaria e l'onere di istruire almeno cento
chierici e adolescenti poveri. Il coadiutore fu alloggiato nella vecchia
casa vicino alla chiesa, mentre il curato si trasferi' in quella canonicale, la
cui costruzione era iniziata da poco. Percio' la difficolta' di trovare nuove
case per l'abitazione dei canonici, unita alla preoccupazione di non avere
preti residenti sul posto e che lavorassero per il bene delle anime,
indusse l'arcivescovo di Milano a trasportare la Prepositurale da
Parabiago a Legnano, in analogia a quanto fatto con Brebbia, con
Castelseprio, localita' dalle quali la pieve fu trasferita rispettivamente a
Besozzo e a Carnago, cosi' come Busto Arsizio, staccata da Olgiate
Olona, divenne capo pieve il 4 aprile 1583. Effettuato il trasferimento a
Legnano, fu inserito il chiericato di S. Martino, cioe' una specie di borsa
di studio esistente nel territorio e vacante per la morte del rev. Matteo
Mascaroni, con relative pertinenze e redditi ammontanti a L. 300. I due
canonicati gla esistenti presso la chiesa S. Magno furono trasformati in
coadiutorali, di cui uno presso la stessa, con un beneficio di L. 330
annue, l'altro presso S. Maria, nella contrada di Legnarello, in modo da
soddisfare le esigenze spirituali degli abitanti spesso impossibilitati ad
95
accedere alle sacre funzioni di Legnano, a causa delle inondazioni del
fiume Olona. Il canonicato gia' del rev. Ermano fu trasformato in
teologale, con l'assegnazione dei beni della chiesa di S. Lorenzo
dipendente dalla Cura di Parabiago, piu' oneri ed onori, derivanti da
testamento di Agostino Lampugnani .
Un quarto canonicato, gia' del sac. Tarillo, fu congiunto alla cappellania di S.
Giovanni Battista esistente nella Prepositurale di Legnano, con un
beneficio di L. 300 annue e l'onere di celebrare cinque messe alla
settimana, in onore della famiglia Vismara, sotto il cui patronato fu
messo.
di quello che si trovava nella chiesa di S. Ambrogio, a Milano, con annesso
beneficio e obbligo di celebrare una Messa feriale settimanale.
Naturalmente la traslazione suscito' un profondo senso di orgoglio nella
popolazione di Legnano, ma di grande risentimento in quella di
Parabiago, che si senti' colpita, per non dire spogliata di dignita' colla
depauperazione del prevosto. Da qui la protesta elevata e sostenuta
anche dopo la morte di S. Carlo Borromeo, perche' la localita' fosse
reintegrata nelle antiche prerogative, ripristinate solo dopo tre secoli, per
opera del cardinale Carlo G. Gaysruck, con decreto del 12 luglio 1845
(Archivio parrocchiale di Parabiago, Beneficio coadiutorale, cart . 1 e
A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. X, vol. XVIII).
Per quanto riguarda poi la trasmissione delle prerogative di capo pieve da
Parabiago a Legnano, si deve tenere presente che cio' non comporti,
una acquisizione analoga da parte della nostra citta' sul piano civile.
Legnano infatti continuo' a far parte come circoscrizione amministrativa
della pieve di Olgiate Olona, esistente ab antiquissimo, anche se appare
fuori misura farne risalire l'origine a epoca anteriore al sec. VII, come
accenna il Bondioli (Storia di Busto Arsiaio, vol. I, Varese MCMXXXVII,
pp. 31-33). Meglio risalire col Giulini (Memorie della citta' e campagna di
Milano, Milano 1857, vol. VII, p. 307) al sec. XII, per la pieve di Olgiate
Olona, originariamente costituita dalla Comunita' in oggetto piu' quelle di
Cislago, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Castenate,' Fagnano, Cairate,
Marnate, Legnano, Legnarello, per non parlare dell'aggregazione
successiva di Cascina Masina, Castellanza, Nizzolina, Prospiano,
Rescalda, Rescaldina con Ravello, Sacconago con la Cascina Borghetto,
Solbiate Olona, ancora inserita, al 10 giugno 1757, secondo il prospetto
del compartimento territoriale di Milano.
L''appartenenza di Legnano alla pieve di Olgiate si spiega con la netta
separazione tra affari temporali (in temporalibus) e affari spirituali (in
spiritualibus) voluta dall'autorita' civile e con la presenza della
Cancelleria, probabilmente fin dall'epoca dei Visconti, ad Olgiate Olona.
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Qui infatti risiedeva il cancelliere Annibale Mazza trasferito, con una
retribuzione annua di L. 2000, alla nuova Cancelleria istituita a Legnano,
con Editto governativo de11'8 marzo 1785, dall'imperatore Giuseppe II, il
quale si reco' in visita alla nostra citta' nel 1784 e volle gratificarla con
un'onoranza particolare, anche se nei bilanci del 1794 Legnano era
indicata come ancora appartenente alla pieve di Olgiate Olona, distretto
XXX (A.S.M., Censo p.a., cart. 1 329) .
Alla fine del 1500 un censimento di carattere religioso della popolazione di
Legnano fu steso dal prevosto G.B. Specio, per conto dell'autorita'
arcivescovile. Redatto, nel 1594, su 85 pagine e conservato
originariamente nell'archivio della Curia milanese (A.S.D.M., Pieve di
Legnano, Sez. X, vol. VI), esso indicava a fianco di ogni nominativo se
era stato battezzato, cresimato, comunicato. Il documento illustrato dal
Sutermeister (Memorie ecc., Legnano 1959, n. 17) e dallo Strobino (Il
primo censimento demografico di Legnano, 1 marzo 1594, in Legnano,
1956) risulta importante non solo dal punto di vista religioso, ma anche
statistico, per l'abbondanza dei dati forniti, ai fini della classazione della
popolazione, sotto il profilo fiscale, specie quando si trattava di nobili che,
avendo proprieta' dislocate a Legnano, per esse dovevano pagare le
imposte al "referendario" locale, salvo casi di esenzione fiscale. Le
contrade costituenti il borgo, sia pure senza corrispondenza a divisioni
amministrative erano:
Gaminella
7 case
Galvagni
11 case
Mugia'
45 case
Contrada Vismara
9 case
Osteria Grande
8 case
Ambrosini
11 case
Pozzo Vagetto
25 case
Sopra la Piazza
52 case
Legnarello
41 case
Casato
4 case
Cascina del del Mino
6 case
Canascia
2 case
----------------------------------------------Totale
221 case
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Mancano dal computo le contrade Ponzella, Mazzafame, S. Bernardino. Le
case distinte nelle categorie da nobili, pisonanti, massari, molinari, erano
per lo piu' abitate da famiglie che avevano questi cognomi ricorrenti con
frequenza: Bollini, Borsani, Caimi, Cavalieri, Crespi, Galli, Lampugnani,
Lattuada, Maestri, Mantegazza, Masanzana, Oldrini, Piantanida,
Salmoiraghi, Vismara.
Secondo i calcoli effettuati dall'ing. Strobino (Op. cit.), la popolazione era
costituita da 2368 persone, ma tenendo conto della mancata indicazione
degli abitanti dislocati nei tre quartieri non inclusi nel censimento,
nonche' del clero,si puo' supporre che si aggirasse intorno a 2500 anime,
che diventeranno 2948 nel 1620 e si manterranno su questa cifra per
parecchi anni. Le famiglie assommavano invece a 470.
Il maggior addensamento si registrava nelle case piu' umili dei pigionanti e dei
massari, il minore in quelle dei nobili, che vivevano in condizioni migliori
e disponevano di spaziosi locali ricchi di fregi artistici, di ampi camini e
decorosi affreschi.
Ogni famiglia era costituita in media da cinque elementi, tra i quali potevano
rientrare pero', anche gli estranei come i domestici, in netto contrasto
con la teoria dei nuclei famigliari numerosi del passato e in probabile
diminuzione a causa delle perdite provocate dalla peste del 1576, in un
borgo dal prevalente carattere agricolo, statico nella sua conformazione
sociale avviato all'esplosione demografica solo parallelermente allo
sviluppo industriale in atto all'inizio del sec. XX, allorche', con
censimento del 1901, s accertera' una popolazione di 18.285 abitanti.
L'eta' media calcolata dall'ing. Strobino era di anni ; 5, 27 nel 1594, salita a
32,50 nel 1951, col miglioramento delle condizioni igieniche.
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Feudi e comuni
Origine del nome di Legnano
Origine del nome di Legnano (1)
Il regno longobardo cesso' di esistere nel 774, quando Carlo Magno, chiamato
in Italia dalla Chiesa, sconfisse a Pavia il re Desiderio. I Longobardi
avevano distribuito i territori ai loro duchi, i quali favorirono un sistema
economico fondato sulla curtis, un centro di chiusa autarchia che
consumava quanto produceva.
Il lavoro dei campi era affidato ai servi della gleba, legati alla terra, e all'interno
della corte esistevano anche artigiani per costruire e riparare gli strumenti
di lavoro. E' un sistema che non solo impoverisce il commercio, ma isola
spiritualmente gli uomini limitando fortemente i contatti e gli scambi tra
paese e paese, con gravi conseguenze anche sul piano linguistico.
Carlo Magno sostitui' i duchi con i suoi conti e la fortezza di Castelseprio,
costruita dai Longobardi, divenne la capitale di un contado del Seprio,
comprendente Legnano. Anche il sistema feudale di Carlo Magno
favoriva la costituzione di organismi economici chiusi. Il Capitolare de
villis da lui emanato nell'812, definiva le strutture del sistema curtense,
stabilendo che ogni corte doveva avere un certo numero di fabbri, calzolai,
orefici,ecc.Probabilmente il nome della vicina Villa Cortese(aggiungiamo
Villa Stanza) conserva il ricordo di simili istituzioni anche nella nostra
zona.
Col passare del tempo pero' e' la citta', non la campagna, a manifestare una
impetuosa crescita economica e demografica. Li' i lavoratori liberi
operano al di fuori dei vincoli feudali e curtensi. I bisogni alimentari della
citta' stabiliscono un flusso commerciale colla campagna e quando una
nuova invasione barbarica devasta la Lombardia e gli Ungheri
sconfiggono Berengario, marchese del Friuli, e altri feudatari, Milano
resta sicura dentro le robuste mura di cui l'ha munita l'arcivescovo
Ansperto. Nei momenti di maggior pericolo i contadini si rifugiano dentro
la citta'. La protezione della popolazione agricola era affidata ai maggiori
organismi monastici e sappiamo che i Legnanesi erano sotto la
protezione dei monaci di S.Ambrogio di Milano. E' interessante notare
come il piu' antico documento in cui appare il nome di Legnano si riferisca
1
tratto da profilo storico della citta' di Legnano
99
appunto ai monaci di S.Ambrogio. Esso e' contenuto nel Codice
Diplomatico Longobardo al numero LIV e riguarda una cessione fatta in
data 23 ottobre del 789 da Pietro, arcivescovo di Milano, al monastero di
S.Ambrogio: cutem proprietatis nostre in leunianello, cioe' Legnanello, la
parte di Legnano separata dall'Olona.
Sull'etimologia di questo nome si e' molto discusso. Trascurando le
interpretazioni fantasiose o cervellotiche, quali limen lanum oppure
lignum anus(a cui probabilmente si ispirano gli inventori dello stemma
cittadino), bisogna dire che Legnano non e' un toponimo unico. Esistono
anche Legnago, Legnaro, Lignano, Lignana, Lignan e Lignod(Aosta).
E' ancor piu' diffuso in Francia, dove, per fare solo qualche esempio, si trova
Lignan e molti Ligny, che nei documenti medievali sono denominati in
vario modo, tra cui (i numeri indicano le date dei documenti) Lignanum
977, Liniacum 647, Lennacum 1119 (nn-sta per -gn-), Legnianum 1157.
Questi nomi sono normalmente degli aggettivi prediali, che denotano un
territorio di un certo proprietario. L'aggettivo si forma col nome latino del
proprietario a cui si aggiunge un suffisso -anum, se l'ambiente e'
completamente romanizzato, -acum, se l'ambiente risente ancora del
gallico o celtico. Nell'Italia Settentrionale -anum, divenuto -ano, si riduce a
-an, mentre -acum, divenuto -aco, si muta in -ago e poi in -ag con a lunga.
In Francia Settentrionale invece mentre -anum diviene -an(cfr. Lignan),
-acum per una piu' complessa evoluzione si riduce a -i(scritto -y).
Legnano e Legnago sono dunque due toponimi con una base eguale e due
diversi suffissi. La base e' il nome latino del proprietario della terra
(ltifondo?) che prese il nome da lui. Morto il proprietario se ne tramanda il
nome nei secoli, inglobato nel toponimo e sottoposto alle leggi
dell'evoluzione fonetica.
Quando vissero questi signori delle terre? Certamente non prima della
romanizzazione del territorio, ma l'arco del tempo possibile e' molto mpio.
Durante l'Impero Romano? alla fine? All'inizio del Medioevo? Teniamo
presente che il documento piu' antico, in Francia , e' del 647.
Sulla forma precisa di quel nome gli studiosi francesi oscillano tra Linius, che
deriverebbe da Linus, e Laenius. Propendiamo per quest'ultimo della cui
esistenza siamo certi, mentre Linius e' soltanto ipotizzato. Resta da
spiegare la vocale -u di Leunianello. Ricordiamo innanzitutto che il
documento del 789 ci e' pervenuto in una copia posteriore e ricordiamo
ancora la voce Lennacum di un documento francese del 1119. Partiamo
dalla base Laenianum sapendo che gia' nel primo secolo d.C. il dittongo
ae si pronunciava e, quindi Lenianum. Poi le consonanti n ed l seguite da i
e da un'altra vocale non si pronuciarono piu' colla punta della lingua
contro i denti (o alveoli), ma col dorso della lingua schiacciato contro il
100
palato anteriore, assorbendo la i; suoni che prima non esistevano in
latino.I notai e gli scrivani che dovevano registrare questi (e altri) nuovi
suoni, si trovarono in difficolta' e adottarono (per la n palatale) diverse
soluzioni, come nn, oppure gn (analogamente gli per la l). La seconda fini'
col trionfare, ma e' naturale che nei documenti piu' antichi si trovi anche la
prima. E' del tutto verosimile che del documento originale del 789 fosse
scritto Lennianello, che il copista piu' tardo, non abituato a quella grafia,
lesse e trascrisse Leunianello.
Nel discorso etimologico su Legnano si e' voluto da qualche studioso inserire
arbitrariamente la testimonianza di alcuni documenti notarili dei secoli IX
e X, dove in qualita' di testimoni, si citano tre persone, Adalberto,
Reginaldo, Lupone de Lemoniano, o Leminiano o Lemeniano, senza
pero' accertare un qualsiasi rapporto con Legnano. Si tratta di un
cognome legato a una localita' indeterminata. Anche uno studioso
competente, Giovanni Flechia, fa risalire Legnano a Laenius, ma in altro
luogo si lascia ingannare da una falsa spiegazione del Bombognini che
parla di un Ladegnano - Ledegnano mai esistiti, e ammette l'ipotesi di un
Latinius-Latinianum, che ci condurrebbe fuori strada. Aggiungiamo
ancora che la pronuncia dialettale conobbe, almeno fino a qualche
decennio fa, un'alternativa tra un piu' colto Legnan e un piu' contadinesco
Lignan (identico al citato toponio francese). La cosa non sorprende se
pensiamo ad altri doppioni, come tela-tila, sera-sira, cera-scira, ecc.
Anche per Legnanello esistevano varie pronunce: Legnanèl e' una pronuncia
piu' recente influenzata dall'italiano; piu' genuina la pronuncia Legnarèl,
ma ancora piu' schietta e originale la pronuncia Rignarèl, dove compare
la i di Lignan e dove le due r possono avere una duplice spiegazione: la
prima r sostituisce l come avviene in scara, ara(scala, ala) ecc., la
seconda si assimila alla prima (spiegazione meno probabile: la seconda r
nasce da una dissimilazione tra n apicale e n palatale; la prima si assimila
alla seconda).
Il documento del 789 che ci ha costretti ad inserire un escursus etimologico,
contiene due indicazioni alquanto vaghe. La prima riguarda il signor
Laenius, proprietario del territorio. Latifondo? La stretta vicinanza di altre
localita' sembra ridurre fortemente lo spazio legnanese rendendo
inapplicabile il termine latifondo, se non ammettessimo che i vari toponimi
circonvicini (S.Giorgio, S.Vittore,S.Lorenzo ecc.) siano alquanto piu'
recenti. In altre parole la proprieta' del signor Laenius doveva essere
molto piu' ampia dell'attuale Legnano. Attorno al nucleo del piu' antico e
vasto Lenianum sorgono a distanza di secoli altri nuclei abitati della cui
autonomia amministrativa nulla sappiamo. E' chiaro che S.Vittore,
S.Giorgio, S.Lorenzo, toponimi derivati dai nomi di chiese dedicate a quei
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santi, risalgono al Medioevo, come del resto Rescalda, Rescaldina, Cerro,
Cantalupo, mentre Laenianum potrebbe risalire perfino a prima di Cristo.
La seconda indicazione problematica e' contenuta nel termine curtem come
parte di Legnanello. Abbiamo gia' ricordato il sistema curtense a proposito
di Villa Cortese. La curtis e' longobarda, mentre villa risale all'eta' franca.
Ma il termine ha conosciuto un'ampia evoluzione semantica. Dapprima fu
"sinonimo amministrativo del pagus romano, poi suddivisione della
judiciaria o finis longobardica e del comitatus franco...piu' tardi tuttavia si
uso' in altri significati; infatti nel sec. IX curtis designo' peramplas rusticas
domus et integras quandoque villas cum adnexis latifundis e poi ancora
ampi poderi con case e talora castello e chiesa". Dunque la corte di
Legnanello doveva avere un'ampia estensione, non sappiamo se fornita
anche di chiesa e ancor meno probabilmente di castello o piccola
fortificazione.
Abbiamo constatato certi legami tra Legnano e Milano facenti capo
all'arcivescovo e ai monaci o ai canonici di S.Ambrogio, ma in seguito
diverra' normale che famiglie milanesi posseggano beni a Legnano. La
floridezza della metropoli richiede per i bisogni alimentari di fruire della
produzione agricola della campagna. Anche questo concorre allo sviluppo
di un'attivita' commerciale e di una classe mercantile di cives negotiatores
che investono i loro profitti nei terreni e si affiancano ai possessi ereditari
della classe feudale. Possedere terreni in citta' o in campagna vale
quanto un titolo nobiliare, e poiche' l'espansione della ricchezza produce il
fenomeno dell'urbanesimo, non ci si meraviglia se alcune famiglie
legnanesi si trasferiscono in citta'.
Si forma cosi' un ceto di ricchi proprietari nobili, di origine feudale o mercantile,
che hanno case a Milano, case e terreni a Legnano, che spostano la
loro dimora secondo le stagioni e le circostanze, Da queste famiglie
usciranno in seguito personaggi di rilievo nell'ambito culturale e politico.
Pur appartenendo al contado del Seprio, Legnano ha legami cosi' stretti con
Milano da essere obbligata a seguirne, almeno di riflesso le vicende. Nella
metropoli va crescendo il potere politico dell'arcivescovo, che non e' solo un
ecclesiastico, e' un capo civile e militare; incorona re e imperatori, tiene testa
al pontefice e quando il papato e' in crisi, fa di Milano una seconda Roma, Se
Ansperto ha fortificato la citta' cosi' da tener lontani gli Ungheri all'inizio del
secolo X, Ariberto da Intimiano nella prima meta' del secolo XI si assicura un
vero principato mirando addirittura a costituire uno stato dalle Alpi al Po. Prima
di morire pero' egli conosce un duro contrasto nella sommossa del popolo
capeggiato dal nobile Lanzone, che lo costringe a uscire dalla citta'. La rivolta
rientra, ma e' soltanto il preludio delle gravi agitazioni sociali e religiose che
nella seconda eta' del secolo faranno capo alla Pataria, una guerra popolare
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contro il clero simoniaco e concubinario. Come prima da Lanzone, il popolo e'
ancora guidato da nobili ed ecclesistici. Si invoca un ritorno alla Chiesa
primitiva, con un clero casto e fedele al Sermone della Montagna. Cosi'
predica Anselmo da Baggio, gia' candidato alla successione di Ariberto, ma il
vero successore per allontanarlo lo fa nominare vescovo di Lucca. Anselmo
(che poi diverra' papa Alessandro II), partendo affida il suo compito a un
sacerdote, Arialdo da Cucciago, che ha studiato all'universita' di Parigi e a un
altro prete di nobile origine, Landolfo Cotta, al quale poco dopo si affianca il
fratello erlembaldo, uomo d'arme. Landolfo predica a Milano, Arialdo gira nelle
campagne verso Varese. Non si sbaglia pensando che lo abbia fatto anche a
Legnano, dove i Cotta avevano un fortilizio. Sapendo che Arialdo riusci' a
infiammare tutta la campagna contro l'arcivescovo Guido da Velate, dobbiamo
credere che anche i Legnanesi fossero con lui. Dopo un'aspra lotta a base di
sommosse e di scomuniche Arialdo in viaggio verso Roma e' sorpreso a
Piacenza dai nemici. Sfugge, si ripara a Pavia, quindi Erlembaldo gli trova
rifugio nel suo castello a Legnano. Ma vi e' chi lo tradisce. Lo portano sul lago
Maggiore (Isola Bella?) e lo uccidono. Abbiamo con questo la certezza
dell'esistenza a Legnano di un castello, che il Giulini chiama S.Giorgio, ossia il
castello attuale sull'Olona, che fu cominciato a costruire molto tempo dopo.
Durante gli scavi per la costruzione del palazzo della attuale Galleria INA
vennero alla luce i robusti muraglioni di una fortificazione che si estendeva fino
all'area dell'attuale Asilo infantile, di fianco alla chiesa allora dedicata a
S.Salvatore. Qui dunque doveva essere situato il castello dei Cotta, che
funziono' egregiamente prima del Castello Visconteo.
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La dominazione spagnola
Nel corso del sec. XVII la vita di Legnano inserita nel Ducato di Milano fu
caratterizzata dall'influsso della dominazione spagnola, della quale, per
molto tempo, e' stato offerto un quadro dalle tinte oscure. Non occorre
pero', esagerare e far coincidere il vero aspetto del predominio spagnolo
con una desolante decadenza, come hanno fatto molti economisti del
1700. Non si vogliono giustificare leggi assurde ed autoritarie fatte per
non essere osservate, ma non si puo' disconoscere il tentativo di arrivare
alla costituzione di uno stato moderno compreso tra il sec. XVI e il XVII e
che Milano si trovi, sulla via di questo progetto, teso alla eliminazione di
privilegi corporativistici, tali da strozzare lo Stato e costringerlo a una
condizione di costante debolezza (Visconti, Storia diMilano, Milano 1967,
p. 453). E questo valga non per esaltare la Spagna, ma per dare al
quadro la giusta prospettiva.
Quanto alle strutture dello Stato di Milano, esse erano stabilite dalle Novae
Constitutiones fissate da Carlo V, nel 1541, e rimaste in vigore fino al
1786.
Grazie ad esse l'organizzazione centrale dello Stato lombardo risiedeva in
Milano, trasformata in un centro amministrativo e consumistico, mentre la
campagna, se non era un paradiso, costituiva, con le sue terre, un
comodo rifugio per i nobili al riparo dalle preoccupazlonl cittadine oltre
che un'ottimo investimento, di fronte ai quali giocava un ruolo non
indifferente la folla anonima dei contadini, dei mezzadri, dei fittavoli, degli
artigiani, in grado di far rifluire) i capitali della stagnante economia della
citta' a delle zone rurali, innervata dalla loro volonta'e vivacizzata dalla
loro sagacia.
La popolazione del borgo di Legnano appariva dunque, all'inizio del 1600,
articolata, nel suo assetto costituzionale, nei Comuni dei nobili e dei
salariati da loro dipendenti, abitanti in cascine sparse per il territorio,
perche' l'abitato era legato allo sviluppo della proprieta fondiaria, ai
metodi di conduzione e ai modi di sfruttamento del terreno, che
richiedevano una costante presenza dell'uomo. Tale distribuzione si
protrasse praticamente fino alle riforme teresiane e fu spesso causa di
notevoli contrasti sul piano dei reciproci diritti. Ne abbiamo una
testinionianza valida attraverso una tendenza di definizione di privilegi,
che fu emanata dal Senato milanese il 13 novembre 1603:
Pro nobilibus Burgi Legnani super regulis orterum cum Communitate
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praescriptis per Sertatum Excellentissimum (A.S.M., Certso p.a., cart.
1329).
In seguito a controversie sorte tra i nobili e la Comunita' di Legnano o piuttosto
alcuni vecchi sindaci che si attribuivano l'immunita' dagli oneri fatti
ricadere sui poveri e ignari coloni dei nobili, sentite le reciproche
preghiere avanzate dalle parti, perche' gli oneri fossero regolamentati, il
Senato addivenne a un Serzatus Cortsultum. In base a questo stabili' che
si creassero nuovi sindaci, ma che non si potessero scegliere tra quanti
erano debitori della Comunita', ne' i loro figli o fratelli conviventi, per
evitare scandali. Per eliminare future discordie, si diede incarico al
senatore Rovida di stabilire delle regole per la divisione degli oneri. Gli
amministratori della Comunita' dovevano inoltre rendere conto ogni anno
dell'operato, perche' i poveri, gli orfani e le vedove non risultassero
oppressi dai potenti. I nobili, senza pregigdizio dei coloni e dei massari,
avevano il diritto stabilire regole, ma non potevano, in caso di
alloggiamento dei militari, gravare su beni dei cittadini oltre l'ottava parte
del lavoro dei loro possessi.
Percio' l'eventuale distribuzione eccedente la detta parte e incidente sui
massari, costituiva un aggravio illecito, che comportava l'obbligo alla
compensazione e alla restituzione di quanto versato oltre la misura.
Questo disposto del Senato trovava un precedente in una serie di
provvedimenti gia' presi per Saronno, Varese e Monza. Pertanto il
delegato del Senato milanese, vista la distribuzione degli oneri fatta nel
borgo di Legnano, udite le parti e i loro procuratori, sentiti i nobili Taverna,
Lampugnani, Vismara, Crivelli, Bossi, Fumagalli, de Rubeis, il prevosto
Specio e Greco Donato, ordino', di fare la distribuzione sia degli oneri
ordinari che di quelli straordinari e delle altre spese tra nobili e Comunita'.
Pertanto il perito Francesco Landriano designato allo scopo, redasse due
comparti, in uno dei quali erano indicati i nobili, nell'altro i capita e le
bocche degli abitanti della Comunita', con i loro beni rurali.
I massari dei nobili, a loro piacere, potevano essere descritti per capo, bocche
e beni sul rotulo dei nobili, se disposti a pagare con la porzione di oneri.
Le spese straordinarie sopportate, ogni anno, nell'ambito della Comunita' per
pagare il "causidico", il Cancelliere, i sindaci, l'addetto all'orologio, la
riattivazione delle strade, erano di L. 800. Rimanevano all'universita' dei
rurali due redditi della Comunita', di cui uno di L. 205,9 per il prelievo del
sale, l'altro di L. 99,11 per il dazio della macina .
In sostanza, come risultato dell'operazione, gli esperti compilarono quattro
fascicoli, nel primo dei quali erano indicati i nomi di tutti gli abitanti del
Comune, compreso Legnarello e pertinenze, col numero delle bocche e
soldi d'estimo per ciascuno; nel seobndo, il perticato rurale del Comune;
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nel terzo i nobili separati dai rurali, con la quantita' del loro perticato
rurale e relativa stima; nel quarto, i censi pagati ogni anno dalla
Comunita', con i nobili abitanti a Milano che, per i loro beni rurali, non
concorrevano al pagamento dei carichi predetti.
Accanto ai nobili si trovavano pure i particolari, ai quali si pagava il dazio
dell'imbottato che, nel contado di Milano era anteriore al 1300; e
l'onoranza di un bue, cioe' una tassa dell'epoca feudale pagata in genere
per i beni allodiali e consistente in una prestazione in natura. A carico
della Comunita' risultata un onere complessivo di staia 280, di cui 263 ai
rurali 14 ai nobili 2 alla osteria e prestino di S. Antonio a Legnarello e il
resto alla cascina della "Poncella".
Poiche' era stato dichiarato che le spese straordinarie erano di L. 800 e che ai
rurali rimanevano due redditi rispettivamente di L. 99 e di L. 205,9 per
complessive L. 305, le restanti L. 495 furono ripartite tra le due parti, in
proporzione alla rata di sale che ciascuno era tenuto a pagare, secondo
una gabella esistente in Lombardia gia' nel 1300, fissata in ragione del
numero delle bocche, della condizione e della facolta' di ogni famiglia,
esentata dal pagamento solo quando la sostanza posseduta non
oltrepassava L. 1 di estimo.
Percio' dovevano pagare:
------------------------------------------------Nobili
Osteria di Legnarello
Cascina della 'Poncella'
L. 24.19.10
L. 465. 2.11
L.
3.10. 9
1. 6. 6
L. 495.-- .--
Il carico di L. 143,7 relativo all'onoranza del bue grasso, pagata a Pietro
Giacomo Lampugnani, era cosi' stabilita:
Nobili di Legnano
Comune di Legnano
Osteria di Legnarello
Cascina 'Poncella'
L.
7.44. 6
L. 134.14. 6
L. 143. 7. -La tassa di L. 313 dovuta per l'imbottato era invece cosi divisa:
Nobili di Legnano
Comune dei Rurali
L.. 15.16. 1
L.. 294. 2. 6
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Osteria di Legnarello
Cascina 'Poncella'
L..
2. 4. 8
L.
. 16.9
---------------L. 313
In base a questa distribuzione, i nobili non poterono piu' accampare di essere
gravati nel sostenere l'onere di alloggiamento dei soldati, ne' di spese
straordinarie, se non per la rata ad essi addebitata, conformemente al
primo deliberato senatoriale del 12 febbraio 1604, ribadito, in quarta sede,
il 23 giugno 1605.
Sancita la partizione degli oneri e in vista di una possibile infeudazione, il
Magistrato delle Entrate Regie Ducali e dei Beni Patrimoniali dello Stato
di Milano, predispose un accertamento delle "terre" e della popolazione
legnanese.
Questa riceveva nel frattempo una Visita pastorale da parte del cardinale
Federico Borromeo che, nel 1617, celebro' la Messa nella chiesa
collegiata e amministro' la Cresima a molte anime del borgo e della pieve
di Legnano (A.S.D.M., Visite pastorali, Sez.
xb vol. XVIII). Dagli atti conservati nell'Archivio della diocesi milanese risulta
che la Cura si estendeva a tremila anime, per le quali era insufficiente un
solo sacerdote: da qui le disposizioni emanate, nel 1618, pe la aggiunta
di due coadiutori: sed cum cura ipsa contineat animas numero tres mille
quibus unicus Sacerdos minime satisfacere posset additi sunt duo
coadiutores (vol. VII). Documento dunque interessante dal punto di vista
religioso, valido per la verifica sulla Scuola del SS. Sacramento, che
vantava 388 iscritti tra uomini e donne ed era retta da dieci deputati; sulla
Scuola del Rosario con 723 aderenti, ma non meno determinante per
l'accertamento della popolazione.
Naturalmente di proporzioni piu' ampia fu la documentazione prodotta e
allegata alla proposta di comperare il feudo, il 16 novembre 1620 (A.S.M.,
Feudi Camerali p.a., cart. 220). Obbedendo a inte-ssi fiscali, allo scopo di
assicurare nuove entrate alle casse dello Stato, l'autorita' spagnola
decise di vendere i luoghi e le terre non ancora infeudati, eccettuate le
citta'. Percio' fu emesso il bando per la libera vendita delle terre di
Legnano e Legnarello con relative pertinenze, accessibili anche ai
forestieri e donne compresi, con facolta' di disporre in successione
ordinaria de maschi, al prezzo base di L. 32.000 per rispetto del feudo et
giurisdizioni oltre al prezzo di ducati castigliani 4000 per chi volesse
appoggiarvi sopra il titolo di marchese. Furono avanzate due offerte
interessanti al Magistrato Camerale: una da parte di G.B. Piantanida
l'altra da parte di C. Visconti, il cui nome ricorre, con frequenza in questi
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spregiudicati blitz per l'acquisto di terre abitate. Il primo, della parrocchia
di S. Eufemia di Milano propose di acquistare il feudo di Legnano e
Legnarello al prezzo di L. 33.000, con l'aggiunta di ducati 4000 per il titolo
suddetto. Pur di riuscire nell'intento, il Piantanida allego', all'offerta una
curiosa documentazione sull'ascendenza nobiliare dei suoi antenati sui
vincoli di parentela coi Lattuada, cogli Arconati; sui beni posseduti a
Milano, Cuggiono, Figino, Lonato e relativi redditi; sul tenore di vita che
contemplava il possesso di tredici cavalli, numerose armi da caccia,
paggi, camerieri, livree, gioielli per il valore di 1500 scudi.
Cesare Visconti si dichiaro' invece disposto ad acquistare il feudo di Legnano
e ogni altra cosa ad esso spettante, col titolo di marchese per se' e il figlio
maschio da designare e discendenti maschi, al prezzo di L. 60.000
imperiali.
Di fronte a queste proposte, il Governatore del Ducato milanese predispose
l'assunzione di una serie di informazioni sulla struttura effettiva di
Legnano e Legnarello per havere l'intiera cognitione della qualita' d'esta
terra. Dagli allegati risulta che Legnano, situata nella provincia del Seprio,
godeva di un ottimo clima, aveva sotto di se' la contrada di Legnarello e
cinque cascine; disponeva di una casa fabbricata a forma di castello con
fossato e ponti posseduta dal dott. Ferrante Lampugnani. Il borgo aveva
in sua proprieta' una casa della Comunita', in parte affittata a L. 120
annue e in parte adibita a riunioni dei pubblici amministratori. Nel giorno
dei Morti, la gente delle zone circostanti accorreva alla omonima fiera per
comperare bovi grassi, pelliccie, panno, tele. Tale fiera, secondo il
Bombognini (Op. cit., p. 36) aveva un'origine lontana, risultando dalle
carte dell'Archivio comunale di Busto Arsizio che la concessione da parte
di Carlo V di una fiera simile, nel giorno di S. Luca, non ebbe effetto,
perche' non sanzionata dal Senato, troppo vicina e pregiudizievole a
quella di Legnano.
Sul fiume Olona che correva tra Legnano e Legnarello, insistevano sette
mulini, uno dei quali del cardinale Borromeo, l'altro del cardinale Montalto.
Poco distante dalla "terra" si ergeva l'ospedale di S.Erasmo con
un'entrata di trecento scudi annui, destinato all'accoglienza dei vecchi e
di altre persone non in grado di lavorare.
Funzione di assistenza esercitava pure la Scuola della Misericordia, la cui
entrata di cento scudi era distribuita ai poveri. Le chiese di Legnano
erano nove: accanto alla Collegiata retta da un prevosto con un'entrata di
L. 1000 annue e assistito da cinque canonici, si distinguevano le chiese
di S. Maria di Legnarello; di S. Maria del Priorato; di S. Ambrogio e con
l'annessa Scuola dei Disciplini' di S. Angelo con il monastero dei frati
zoccolanti, che dava ospitalita' e diciotto persone; di S. Chiara con un
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monastero ospitante trentacinque monache .
Fuori del borgo si trovavano le chiese di S. Maria delle Grazie; di S. Caterina;
di S. Maria della Purificazione con la Scuola del SS. Sacramento; di S.
Erasmo con annesso ospedale; di S. Martino; di S. Giorgio; di S.
Bernardino. Gli abitanti del borgo, Legnarello compresa, ammontavano a
2948, di cui 1959 da comunione. I focolari o famiglie erano 474, di cui
gentiluomini, 233 da rurali, cioe' mercanti, artigiani 154 formati da cittadini,
12 da contadini; 75 da persone che lavoravano beni ecclesiastici.
Gli abitanti, fatta eccezione per i nobili, contavano, tra le loro fila, dieci
mercanti di panno, tela e canapa; tre tintori, cinque proprietari di piccoli
empori per la vendita di generi alimentari, sei calzolai, sette sarti, tre
barbieri, sette zoccolai, quattro maniscalchi, due venditori di spezie,
cinque pasticcieri, sei falegnami, un cappellaio, tre macellai, cinque
maestri insegnavano a leggere, a scrivere e musica, un medico "fisico" e
un chirurgo, i quali ultimi non percepivano nessun salario da parte della
Comunita'. Tre erano le osterie e due i bettolini. Il territorio aveva
un'estensione di Dt. 22994 tv. 2:
pertiche
pertiche
pertiche
1 5343
3065
4584
tavole
tavole
tavole
23
8
19
pertiche
22994
tavole
2
civili
rurali
ecclesiastiche
distinte in vigne, campi, prati, boschi. I terreni producevano ogni sorta di frutti,
tranne riso, tanto da essere eccedenti al fabbisogno della Comunita' e da
poter essere venduti sui mercati di Milano e Como.
Il prodotto prevalente era pero', l'uva "vernazzola" e moscatella.
Il borgo non era mai stato infeudato, non aveva mai avuto Podesta', era
soggetto per l' amministrazione della giustizia al Vicario del Seprio e ai
giudici milanesi, disponeva comunque di due notai pubblici, che
rogavano atti e di un usciere per le notifiche.
La R. Camera riscuoteva dalla Comunita' annualmente, come censo ordinario,
L. 422.15.3. Non esistevano altre entrate feudali, poiche' i dazi sul grano
e sulla carne erano riscossi da Ferrante Lampugnani e in parte dagli
eredi Vismara, mentre per l'imbottato non si pagava nessun dazio, fatta
eccezione per una convenzione pattuita tra privati e nari a L. 314 annue.
La Comunita' prelevava staia 280 annue di sale (l staio = lt. 18,27).
Il quadro della situazione sembrava (dunque apparentemente sereno, se non
fosse stato turbato da rumori di guerra e dalla peste. I primi furono
sollevati dalle ostilita' scatenate dal duca di Savoia, Carlo Emanuele I,
109
impegnato nella guerra per la successione del Monferrato e per la
Valtellina. Per affrontare e risolvere positivamente la situazione, fu
necessario assoldare uomini e inviarli in Sardegna. Tra questi si
trovavano G. Battista e Aurelio Lampugnani nominati capitani, che
assistettero, nell'isola, agli scavi per il reperimento dei corpi di alcuni
martiri e poterono avere alcune reliquie che, una volta autenticate da
Luigi Bossi, teologo della Metropolitana milanese, furono consegnate, nel
1628, al prevosto don Agostino Pozzi.
Questi diede incarico a due abili intagliatori G. B. Salmoiraghi e G. P. Rossetti
di preparare dei reliquari per la conservazione e gia' pensava di celebrare
il possesso con una solenne cerimonia, quando essa dovette essere
differita, nel 1634, a causa della carestia e del passaggio delle milizie e
della peste.
Una prima ondata di milizie di passaggio, assoldata per la guerra del
Monferrato, si registro' nel 1628 e non pare abbia recato eccessive
molestie.
Fu invece nel 1629 che il Comune dovette venire a patti con gli ufficiali
comandanti circa 1500 soldati tedeschi perche' rimanessero ai bordi del
paese, nel timore che diffondessero il contagio. Senonche' i militari, vistisi
privati della posslbilita' di compiere saccheggi, si vendicarono,
abbattendo numerosi vitigni.
Non era pero' finita, perche' il settembre dello stesso anno, truppe mercenarie
polacche si ribellarono al loro comandante Serbelloni, si avvicinarono
paurosamente a Legnano, che risparmiarono solo dietro versamento di
una somma pari a duemila scudi. L'anno piu' interessante pero', a detta di
Strobino, (Soldatesche Alemanne e Spagnole a Legnano al tempo dei
Promessi Sposi, in Legnano, n. 2, 1956) fu il 1630.
Per l'alloggiamento e il mantenimento di un reggimento di fanteria alemanna
comandata dal colonnello Aldringar, forte di circa 21.000 uomini e 2375
cavalli, rimasti sul posto ventitre giorni, a cui si aggiunsero altri passaggi
prima della fine dell'anno, il Comune dovette sopportare oneri non
indifferenti, che si ritorsero in enormi aggravi per la popolazione.
Fertile terra di pascolo doveva essere dunque Legnano, nella prima meta' del
1600. Quando mancavano i militari, ci si mettevano pure le donne: una
tnrppa de donne n. 800 li quali donne li dassero brente 6 1/2 di vino, che,
girando per le strade del borgo, il 21 agosto 1630, ai tradizionali simboli
del femminismo preferivano l'ostentazione o meglio la pretesa di
abbondanti libagioni. Di fronte a ottocento donne sciamannate, c'e' da
pensare che la popolazione potesse anche sopportare ulteriori incursioni
nel 1631 e 1632.
A complicare la situazione resa disastrosa dalle conseguenze militari prodotte
110
dalle spese relative, si aggiunse lo scoppio della peste, che miete'
numerose vittime e paralizzo' l'attivita' economica della zona. Mentre i
morti si seppellivano in luoghi appartati, gli ammalati erano portati in altri
isolati detti "lazzaretti".
Per la gente e non solo di Legnano fu una mazzata:
le robe bruciate, la disoccupazione forzata, la superstizione popolare
aumentata unitamente alle pratiche devote, accresciuti gli scontri con le
autorita' politiche sanitarie, su tutto gravava l'insospettabile orrore del
lazzaretto. Ne e' motivo di merito, ma di umanita' ricordare che esso a
Legnano, ancora nel 1730, risultava posto sotto una collina, sulla quale
sorgeva la casa del nobile Francesco Maria Lampugnani (A.S.M.,
Acquisti e doni, cart. 44). Dei pregi e, in particolare dell'eco ivi esistente,
a somiglianza di villa Simonetta a Milano, il proprietario amo', lasciarci
gradevole ricordo condito in eleganti distici, che pareggiavano la sua
collina allo ameno colle Parnaso.
In collinis mei prope domum meam a nobili
in Legnanensi opido Iaudem Carmina Pindi felicitas.
Parnasum nunquam repugnas conscendere collem
Omnia si nescis gaudia pindus habet
Hic tibi laeniet Castalis unda sussurro
Et curas currens laeniet unda tuas
Si lubet in laetis istis spatiabere pratis
Haec tibi praebebit fertilis haerba thorum,
Hic pendent onerati fructibucs arbore rami
Promptas in dextras advenientque tuas.
Arboribus volucres istic dominantur in istis
euotidieque simul hic Philomena canit,
Hic semper si vox clamat responditur Echo
Si quis Calliopem silva reclamat opem.
Est pulcrum aspicere ingegnosos tangere vates
Invictam Citharam laeta et arva manu
Pars vatum lunam, pars lucida sidera cantat
Pars vatum laudes cantat Apollo tuas,
Hic spirent venti dum sol se condit in undis
Hic ore infausto mollior aura videt
Nox et hijems longeque viae saevique labores
His blandis loci, et dolor omnis abest
111
Franciscus Maria Lampugnanus
La peste per altro non soppraggiunse in un periodo di prosperita', ma dopo
una grave carestia dovuta alle guerre che si erano abbattute sul Ducato
milanese e ne avevano notevolmente alterato il trend economico.
All'occultamento dei generi di prima necessita' segui' il rialzo di prezzo
degli aridi. Il frumento costava L. 126 la soma (1 soma
kg. 100), la
segale L. 102, sicche', per la fabbricazione del pane, si dovette anche
ricorrere a un impasto di crusca, miglio e saggina, il tutto legato a fiori di
lino.
I documenti di questo periodo parlano di grave crisi dei ceti agricoli, ma anche
dei nobili, anche se poi la vita riprese lentamente il suo andare faticoso,
finche' l'apparente bonaccia fu turbata, sei anni dopo lo scoppio della
peste, dal riaccendersi delle ostilita' belliche sullo scacchiere europeo.
I Francesi, avuto libero accesso in Italia da parte di Vittorio Amedeo di Savoia,
ripresero la guerra contro la Spagna, costretta a una posizione guardinga
dalle vittorie riportate in Germania da Gustavo Adolfo alleato della
Francia e dal pericolo costituito dal re protestante di Svezia intenzionato
a passare in Italia, per colpire Filippo IV. Stando cosi' le cose, l'esercito
francese invase lo Stato di Milano e minaccio', con una serie di saccheggi,
anche Legnano, la quale trovo' un valido aiuto materiale da parte di
Giuseppe Lampugnani che, catturati molti prigionieri nei
boschi e inviatili al marchese Leganes, governatore di Milano, pote' liberare il
nostro borgo. Correvano gli anni, in cui Legnano riceveva la Visita
pastorale del cardinale Cesare Monti, entrato nella chiesa di S. Magno il
5 maggio 1638 (A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. X, vol. XVI), ma erano
anche quelli, in cui il Lampugnani sopra accennato si presentava agli
occhi della popolazione come un novello Don Rodrigo, asserragliato nel
suo maniero avvolto dalla difesa di un nugolo di bravi e circondato dal
terrore dei suoi villici finche' fu bandito con una grida del 28 febbraio 1647,
alla quale il nobile non diede ascolto, perche' continuo' ad abitare nel suo
palazzo, fino a quando fu ucciso, per sbaglio, da uno sgherro. L'appoggio
dato a Legnano dal Lampugnani non fu di natura tale da distogliere gli
Spagnoli dall'antico progetto di infeudare le terre, a maggior ragione,
quando per provvedere alle necessita' dell'esercito e racimolare denaro,
si dovette ancora battere cassa. Furono dunque esposte le cedole, cioe'
gli avvisi negli uffici piil importanti di Milano e delle province dello Stato,
nonche' sulle porte della chiesa principale di Legnano: si invitava in
sostanza qualunque persona a concorrere all'asta delle terre in vendita,
che erano 34 nel Ducato di Milano, 4 nel Novarese, 3 nel Comasco, 2 nel
Lodigiano, 1 nell'Alessandrino, 1 nel Tortonese, 28 nel Cremonese, 2 nel
112
Pavese. I membri della Comunita' pero' non erano intenzionati ad
arrendersi facilmente, specialmente i possidenti restii ad un'investitura a
favore di un feudatario al quale avrebbero dovuto rendere un omaggio
non solo di natura onorifica, ma fiscale, mentre i contadini non avevano
nessuna forza economica capace di far sentire la loro voce. Si arrivo'
dunque a una Convocatio straordinaria, l'8 agosto 1640 in domo eiusdem
Commurzitatis, alla presenza di 158 persone, per decidere sulla
questione (A.S.C.M., Fondo Belgioioso, cart. 218), ma altre
preoccupazioni sembravano gravare sul borgo, quelle derivate da
tremende tempestate che danneggiarono le terre di Legnano, Dairago,
Borsano, Villa Cortese. Il danno accertato eccedeva di gran lunga la
meta' dell'entrata e cavata che si doveva trarre dai frutti del territorio Gli
abitanti della zona chiesero quindi la remissione della meta' del debito
dovuto e spettante al Ducato (A.S.M., Censo p.a., cart. 1330). Ottenuto
qualche sollievo dal danno apportato dalle tempeste, la Comunita'
legnanese pote' applicare tutti gli sforzi, ad evitare l'infeudazione. Per
sfuggire a questo vincolo, le terre del Ducato potevano diventare
"demaniali", cioe' redimere la propria liberta', pagando allo Stato una cifra
corrispondente ai due terzi di quella che un particolare o privato era
disposto ad offrire, e usufruendo della possibilita' di prelazione prevista
dai Librifeudorum a favore delle Comunita', che stavano per essere
infeudate, purche' avessero esercitato il diritto stabilito, per mantenersi
libere, entro un anno dalla vendita pattuita.
Governanti e popolo decisero dunque di partecipare per la vendita di Legnano
e di riguadagnare la liberta'. Dopo lunga e minuziosa discussione, fu
chiaro ai giudici milanesi che non si poteva negare la redenzione delle
terre ai Legnanesi, i quali riuscirono a riscattare l'infeudazione al prezzo
di L. 26.13.4 per ciascuno dei 258 focolari calcolati in essere. La cifra di L.
6680, di cui fu garante Baldassarre Lampugnani, fu versata il 17
settembre 1649 nelle mani dell'esattore Francesco Bandoni. Lo
strumento definitivo fu rogato da Ludovico Lampugnani il 9 marzo 1652.
In base ad esso, si stabili che Legnano sarebbe rimasta sempre sottoposta
all'immediato dominio della Maesta', il duca di Milano: semper et
perpetuis temporibus sint et remaneant atque conserventur sub
immediato Dominio atque Iurisdictioni (sic) Maiestatis Regiae Domini
nostri Ducis Mediolani. . . (A.S.M. , Feudi Camerali p.a., cart. 290).
Il tema dell'infeudazione meriterebbe indubbiamente un'analisi piu'
approfondita di quanto non consenta la presente ricerca, in modo da
cogliere, nel microcosmo legnanese, il segreto significato del
macrocosmo, come dice il Violante nella prefazione alla Storia locale da
lui curata, in analogia all'indagine sviluppata dallo scienziato, che si
113
sforza di trovare nella cellula la ragione d'essere di tutto l'organismo.
Se e' intenso il desiderio di poter far rientrare l'indagine in un ambito specifico,
e' pur vero pero' che essa varia col variare delle epoche storiche, sicche'
diversa diventa la collocazione del fenomeno storico entro un'area piu' o
meno ampia. Necessariamente, se si prende come punto di riferimento
una localita' nella successione cronologica, la discontinuita' e' inevitabile,
cosi' come i rientri o le uscite temporanee.
Poiche' la ricerca deve interessare la gente locale, pur senza disconoscere la
capacita' a cogliere contributi particolari,e' evidente che possa procedere
a strappi, senza voler rinunciare a far conoscere a chi voglia liberarsi
dallo sfumato dell'immaginazione, come il sec. XVII si chiuda per
Legnano, come si e' aperto, cioe' con un'altra controversia vertente tra il
prevosto del borgo e i Deputati dei Luoghi Pii. La questione si chiuse nel
1672, con un ulteriore intervento del Senato, che stabili' le norme per
l'elezione dei Deputati, i quali dovevano godere di una condotta
irreprensibile; del Priore del Capitolo, da nominarsi per un anno, con
suffragio segreto; dell'Assistente Regio, precluso da interventi negli affari
del Capitolo.
Altre norme furono fissate per la questua, per la distribuzione delle elemosine
e delle doti (A.S.M., Acquisti e doni, cart. 44).
114
Nel Sedicesimo secolo "1850 anime da Comunione"
Quanti furono nelle varie epoche gli abitanti e quale andamento segui' nei
secoli scorsi l'espansione demografica di legnano?
Dobbiamo andare per deduzione partendo da epoche remote ed almeno fino
alla seconda meta' del '500, allorquando cioe' possiamo trovare il
conforto di documenti storici.
Ricerche archeologiche impegnate ed approfondite da parte di appassionati
studiosi hanno trovato nella necropoli legnanese significative
testimonianze del contributo dato dai piu' antichi abitatori di questa plaga
alla civilta' preromana e romana.
L'ingegner Guido Sutermeister appunto basandosi su calcoli ricavati dai
sepolcreti man mano riportati alla luce indicava con aprrossimazione che
in epoca romana gli abitanti che vissero lungo le due sponde dell'Olona
dovevano essere in numero superiore a mille.
Anche se ci sembra un calcolo troppo ottimistico (a meno che non si fossero
verificate massicce migrazioni nei quattro o cinque millenni successivi)
teniamo comunque per buoni, come base di partenza, questi dati. ma
seguiamo l'evoluzione demografica non piu' sulla scorta di relitti di
antiche civilta' ma con dati piu' certi, tratti da documenti autentici.
Il primo censimento riguardante Legnano e' quello fatto nei primi anni del 1500
che assegna al Borgo "1500 anime da comunione", il che equivale ad
una popolazione di circa 23000 persone. Abbiamo un altro riferimento nel
1584, a quando cioe' San Carlo Borromeo avendo in animo di istituire la
prepositura, incarico' il suo segretario Monsignor Giussani di
ragguagliarlo sul numero dei fedeli. E questi annota nelle sue memorie
(volume II°, pagine 175) che "questo borgo di Legnano ha non meno di
500 famiglie con piu' di 2000 anime da comunione", potevano essere
dunque a quell'epoca circa 3000 abitanti. La cifra ci viene confermata
anche da Giuseppe Pirovano che si riferisce a due anni dopo e cioe' nel
1586. Nella parte storica dell'archivio comunale esiste un documento in
copia, rilegato a fascicolo, che reca la data del 9 marzo 1651 e il titolo di
"Redenzione alla infeduazione concessa al borgo di Legnano con
Legnanello e le sue giurisdizioni".
115
La "Cedola" venne redatta nel 1649 ma resa esecutiva due anni dopo.
(
).
Ogni "Redenzione" dall'infeduamento era preceduta da rigorose indagini dalle
autorita' regie sulle condizioni economiche e sulla capacita' contributiva
degli abitanti.
La indagine ricognitiva allo scopo di stabilire la situazione del borgo incluso nel
Ducato di Milano venne affidata dal Governo spagnolo nel 1620, ad un
suo funzionario, Orazio Mainoldi, questore della Regia Camera delle
Entrate Straordinarie e Beni Patrimoniali del Ducato. Da questo
documento conservato presso l'archivio di stato di Milano possiamo
avere una esatta visione delle condizioni sociali e dell'importanza
economica, demografica ed agricola di Legnano in quell'epoca.
I dati sono molto attendibili in quanto il carteggio era stato fatto in vista della
cessione in feudo del borgo che doveva essere messo, come si direbbe
in termini attuali, all'asta. La formalita' prevedeva la esposizione per due
volte delle "cedole" per la vendita e quindi avrebbe dovuto aver luogo il
pubblico incanto.
In quell'occasione sappiamo che i legnanesi compiendo un notevole sforzo
finanziario comune, riscattando la liberta' mediante una raccolta di
(
La "Cedola", che reca la data del 4 giugno 1649 stipulata tra il
Governo Spagnolo e Baldassarre Lampugnani, procuratore dei
legnanesi, per "vendere il feudo e le terre di Legnano e Legnanello nella
pieve di Olgiate Olona, ducato di Milano".Legnano, dopo la peste del
1629-30, ebbe ancora tale vigore economico da riscattare la propria
indipendenza, sia pure con gravi sacrifici. La Spagna per fare soldi
vendeva i feudi cosidetti camerali ai signorotti del tempo. I governanti
ed il popolo legnanese si autotassarono per comperare la propria
liberta' e sottrarre le terre alla dominazione spagnola.La Cedola di un
incanto del 1620 per vendere un feudo di legnano, Legnanello ed altri
luoghi annessi. L'asta era fissata per il 25 agosto, al prezzo base di
trentatremila lire per le terre e i beni e di quattromila scudi per il
riconoscimento e l'assegnazione del titolo di marchese.
116
denaro nell'ambito delle stesse famiglie, pagando loro stessi il
corrispettivo al Governo spagnolo.
Ma trascriviamo integralmente il carteggio che il questore Orazio Mainoldo
redasse con il caratteristico linguaggio in uso nel seicento:
Ill.mo et Ecc.mo Signore
"Avendo noi sotto li 27 di marzo prossimo passato, per ordine li 16 di giugno
prossimo passato fatto oblazione di comprar il feudo alcune terre di
questo Stato, conforme alla procura fatta da Sua Maesta' in Vostra
Eccellenza, fu da Giovan Battista Piantanida sotto li 16 di giugno
prossimo passato fatto oblatione di comperar il feudo il borgo di Legnano
et Legnarello, con la sua giurisdittione, et entrata di censo del sale, et
con titolo di marchese, per quali offerse pagare lire trentatre mille per il
feudo, giurisdittione, et entrata in censo; et ducati quattro mille Castigliani
per il titolo di Marchese, qual oblatione perche' ci parve assai utile
l'accettassimo, et insieme delegassimo il Questore Horatio Mainoldo
nostro Colliga, accio' andasse in fatto, visitasse detta terra di Legnano et
Legnarello et pigliasse quelle informazioni che gli fossero parse
necessarie, per havere l'intera cognitione della qualita' di essa terra: il
che ha egli eseguito et cen'ha fatto relatione, dalla quale risulta:
Che detta Terra, ovvero borgo di Legnano e' situata nella Provincia del Seprio,
di questo Ducato et in buonissim'aria, vicino al quale circa un tiro
d'archibugio vi e' la Contrada di Legnarello, sotto lo stesso Comune di
Legnano, et e' sopra la strada regale, per la quale si va da Milano a
Gallarate, et al Lago Maggiore, et e' distante da Milano sedici miglia, da
Como pur sedici miglia, da Gallarate otto e da Busto grande quattro.
Ha sotto di se' la detta Terra, o' sia Contrada di Legnarello, et cinque cassine.
Non confina con alcun principe straniero, ne' con alcun fiume eccetto che col
fiume Olona, qual scorre nel mezzo tra Legnano et Legnarello. Non c'e'
cinta di mura, ne' fossa.
Non ha Castello, fortezza, ne rocca; vi e' ben una casa fabbricata a forma di
castello, con fossa, et ponti levatori, qual'e' del Dottore Ferrante
Lampugnano.
Non ha palazzo ne' carceri, ne' alcun altro loco pubblico, eccetto che tre
piazze et una casa qual'e' della Comunita', la quale si affitta parte, et
parte si tiene per uso del Comune, per congregarsi e far li Sindaci, et
Officiali et a trattare li negotij pubblici.
Non e' terra insigne.
Vi e' poi una fiera ogn'anno nel giorno della Commemorazione dei Morti, al
quale concorrono gente assai delle parti vicine, a coprare bovi grassi,
pelliccie, panno et tele et altre cose assai; ma il maggior nervo della fiera
117
e' dei bovi grassi, quali per la maggior parte sono comperati da Macellari
di Milano.
Ha diciassette molini sopra il fiume Olona, uno dei quali e' del Signor
Cardinale Borromeo, un'altro del signor Cardinale Montaldo, et gli altri
sono de diversi proprietari.
Ha un'ospitale sotto il titolo di Sant'Erasmo, poco discosto dalla terra, nel
quale si ricevono poveri vecchi, et altre persone che non possono
lavorare, qual'ha' entrata di trecento scudi l'anno; et ha' anche un altro
luoco pio detto della Scuola della Misericordia, qual'ha' l'entrata circa
cento scudi l'anno che si dispensano a poveri della terra (omissis).
Le anime di questo borgo, et la sua giurisdittione, compresa la sudeta
contrada di Legnarello et cassine sono in tutto duemila novecento
quarant'otto (2948) delle quali vene sono mille novecento cinquanta nove
(1959) da Communione. Et i fochi sono quattro cento settanta quattro
(474), de' quali ne sono cento cinquanta quattro (154) de' cittadini,
dodeci de gentil'huomini che abitano continuamente in detto Borgo, due
cento trentatre (233) di gente rurale, cioe' mercanti, artigiani, et contadini
che lavorano beni proprij, o' di detti mercanti, et settanta cinque persone
che abitano case, o lavorano beni ecclesistici.
Gli abitanti (eccettuati gli suddetti gentil'huomini) sono mercanti, artigiani,
massari, e braccianti, fra i quali vi sono dei mercanti di panno, quali
vendono anche tele, et canevi, ed uno di essi fa la tentoria, vi sono poi
altri tre tentori, et altri otto che vendono tele et canevi, uno che vende del
ferro; Vi sono cinque postari, che vendono cose mangiative, nove
mercanti d'oglio di linosa et di noce, sei calzolari, sette sarti, tre barbieri,
quattro marescalchi, sette che fanno zoccoli, dei speciali, cinque ofellari,
sei legnamari, un capellaro, doi che lavorano filisello, tre Beccarie, tre
Hostarie grosse, et tre Bettolini, cinque maestri che insegnano a leggere,
scrivere, grammatica et Musica; et gli altri son massari e brazzanti, che
attendono a lavorare la terra. Vi abita poi anco continuamente un medico
fisico et un chirurgo, quali non hanno nessun sussidio dalla Comunita'.
Il territorio e' di pertiche ventidue mille novecento quaranta quattro (22.944) e
tavole due, parte vigna, parte campo, parte prati, et parte brughera, et
alcuni pochi boschi, dei quali ve ne sono pertiche mille trecento
quarantatre (1343) et tavole 23 catastrate alli libri del perticato civile, et
pertiche quindici mille trecento quarantatre (15.343) et tavole otto
catastrate al rurale, pertiche quattro mille cinquecento ottanta quattro
(4584) e tavole decinove sono eccllesiastici.
Producono quei terreni di ogni sorta de frutti, eccetto che riso, ma
particolarmente producono grandi quantita' de vini, stando che il territorio
e' per la maggior parte avidato. Et li frutti che producono sopravanzano al
118
bisogno della terra, qual sopravanzo lo conducono a Milano, e anco quel
poco di grano a Como.
Vagliano i terreni, computati li buoni,et cattivi insieme cento lire la pertica, ma li
prati vagliono centocinquanta lire et sotto sopra si affittano a otto lire la
pertica, non computando pero' le brughere, le quali si danno per dote
delle possessioni.
Detto borgo non e' stato mai infeudato, ne ha', o avuto Podesta' particolare,
fiscale, notari, o sbirri, ma e' soggetto per l'amministrazione della
giustizia al Vicario del Seprio, et alli Giudici della Citta' di Milano, vi
habitano pero' dei notari pubblici, quali rogano istrumenti, et un
fante,qual serve a fare intimationi.
La Regia Camera suol scuoder ogn'anno da detta Comunita' lire duecento
dodeci, soldi undeci e danari undeci per il censo ordinario, et lire due
cento dieci, soldi tre e danari quattro per l'augumento di detto censo, che
in tutto fanno la somma di 422.153. Ne altra entrata v'e' che potesse farsi
feudale, perche' li datij del prestino, et della scannatura della carne sono
parte di Ferrante Lampugnano et parte dellij eredi di Piero Paolo Vismara,
et sull'imbotato non si paga datio alcuno, ma invece di quello si paga una
conventione di lire trecento quattordici l'anno a diversi particulari; et del
vino non si paga datio alcuno, ma ogni uno ne puo' vender senza datio
pagar.
Detta Comunita' ha d'entrata lire novant'otto che si scuodono sopra il datio
della Macina di Milano. et ha anche la seddetta casa, parte della quale e'
affittata cento vinti lire l'anno, et dell'altra parte se ne servono per
congregarsi a trattar li nogotij publici.
Non e' tassata su alcuni Cavalli di tassa. Leva duecento ottanta stare di sale.
Qual relatione sentita nel nostro tribunale, venissimi in parere di dar a Vostro
Eccellenza parte d'ogni cosa, e fratanto, per avanzar tempo, ordinassero
che si esponessero le seconde cedole per la vendita di detto feudo per
vedere se compariva altr'oblatione, le quali cedole essendo esposte, et
anco publicato l'incanto, e' nuovamente comparso il feudatario Cesare
Visconte, quale ha offerto per detto feudo con la entrata sudetta di censo,
et augumento, et con titolo di Marchese per se' et per quello suo figliolo
maschio che sara' da lui nominato, lire sessantamille in tutto, la qual
oblatione per essere avvantaggiosa, et utile assai, e' stata da noi
accettata, et havendo anco sopra di essa fatto publicare per alcuni giorni
l'incanto non e' comparsa altr'oblazione migliore. Et percio' hora
rappresentiamo a V.E. tutto il seguito di questo particolare, affinche' resti
servita commandare quello che gli pare che si faccia. Et all'E.V.
humilmente inchinandosi, la preghiamo da N.S. il colmo di ogni bene.
In Milano, alli 16 di novembre 1620.
119
Di Vostra Eccellenza, humilissimi servitori.
Il presidente et Maestri delle R.D. Entrate Straordinarie et Beni patrimoniali
dello Stato di Milano".
In questo documento si racavano dati certi per stabilire che l'intero territorio
contava 258 fuochi, cioe' nuclei familiari, sparsi in 22994 pertiche e due
tavole, corrispondenti a 1505 ettari. Al censitore non comporto' di sgnare
oltre si "fuochi" il numero degli abitanti. Ma il confronto ci viene pero'
offerto dal censimento del 1594, ripreso meticolosamente da un
manoscritto originale esistente nella Biblioteca Ambrosiana, steso dal
primo prevosto di Legnano Giovanni Battista Specio. In esso si indica
un totale di 224 case ma nel censimento mancano le cascine Ponzella,
Mazzafame e San Bernardino. Comunque, all'elencazione dei
componenti di ogni famiglia, si ricava un numero di abitanti vicino ai 3000.
Una cinquantina d'anni dopo la popolazione diminui' notevolmente anche
a causa della peste del 1630.
Altri documenti ufficiali citati dallo storico Bettinelli ci dicono che nel 1783
Legnano aveva 2774 abitanti.
La dilatazione demografica e' stata dinamica specialmente in corrispondenza
di periodi particolarmente felici della storia legnanese. Lo sviluppo
industriale a partire dal 1880 in avanti agisce da richiamo per masse
consistenti di individui. Successivamente l'intensita' e' minore di quanto si
attenua il bisogno di manodopera e la popolazione locale vi provvede
con il suo naturale ritmo di accrescimento. L'espansione demografica e
l'incremento migratorio riprendono negli anni che seguono la seconda
guerra mondiale e il periodo di boom economico. Poi l'andamento si
stabilizza attorno a valori eguali ad altri importanti comuni della
Lombardia con caratteristiche ambientali simiili a quelle di Legnano.
Dalla tabella che segue possiamo osservare l'incremento della popolazione
negli ultimi due secoli:
La popolazione dal 1800 al 1974
1800 - 2780
1805 - 2784
1840 - 4535
1860 - 6335
1865 - 6505
1870 - 6593
1875 - 6648
1880 - 7041
1885 - 8441
120
1890 - 10643
1895 - 12928
1900 - 17394
1905 - 22494
1910 - 26716
1915 - 28757
1920 - 29805
1925 - 29362
1930 - 31154
1935 - 31019
1940 - 34054
1945 - 34571
1950 - 36254
1955 - 39154
1960 - 41366
1965 - 44784
1970 - 44370
1974 - 47971
al 31 agosto
121
La dominazione Austriaca
Per buona parte del 1700 il nucleo fondamentale dell'amministrazione
austriaca nel Ducato milanese fu la Comunità, a volte costituita da un
solo Comune e di proporzioni cosi ridotte da essere unita ad altre di
dimensioni più rispettabili. Qualora ciò non fosse stato possibile, si
doveva conservare lo stato di separazione goduto, relativamente al
pagamento delle imposte, con obbligo dei "possessori" del Comune di
nominare un Sindaco.
Come attestano i documenti dei funzionari austriaci, le altre Comunità erano
rette dagli Estimati o proprietari di terre non esenti, con esclusione dei
"personalisti", cioè di coloro che vivevano in campagna senza essere
proprietari e pagavano le imposte ad personam. Essi costituivano un
"Convocato" che, a sua volta, eleggeva un Esecutivo formato da tre
deputati. Questi nominavano il Sindaco e l'esattore.
Al di sopra dell'amministrazione comunale stava la pieve, che comprendeva al
minimo una Comunità, al massimo una quarantina. Una o più pievi
potevano costituire il distretto di un Cancelliere, il quale rappresentava il
Governo di fronte alla Comunità ed era quindi autorità di rilievo nel
sistema amministrativo austriaco, perché presiedeva i "Convocati", li
poteva sciogliere in caso di irregolarità, verificava la validità delle elezioni,
la regolarità nella stesura dei bilanci, provvedeva alla custodia dei
documenti ufficiali, mappe catastali comprese, manteneva rapporti
epistolari con le autorità superiori, denunciava abusi e trasgressioni.
Soppiantata la Spagna nel controllo della Lombardia, all'inizio del 1700,
l'Austria iniziò un'egemonia destinata a durare fino al 1850, salvo la
parentesi napoleonica. A conquista effettuata, l'Austria si rese conto della
importanza strategica della nostra regione, che divenne il posto di
guardia avanzata, dal quale sorvegliare tutta la politica italiana, colla
collaborazione dei più raffinati palati della cultura illuministica locale,
quasi a voler dare l'impressione di una certa autonomia. In realtà
d'autoritarismo dominante è sempre il caso di parlare, se si tiene conto
della pressione fiscale esercitata dall'Austria, dell'aumento dei prezzi, del
perenne stato di guerra. Vita difficile dunque a Milano e logicamente
anche in provincia, anche se oggi è cambiato il giudizio degli storici,
pronti a vedere la dominazione dell'imperatrice Maria Teresa come un
modello di buona amministrazione, di alta civiltà e perfino di tolleranza
per le minoranze.
Orbene una delle prime preoccupazioni delle autorità austriache, dopo anni di
122
guerra che avevano premuto enormemente sulle casse dello Stato,
ponendo l'erario in condizioni insopportabili fu quella di arrivare a un
inventario di tutti i beni immobili del Ducato, a un censimento della
popolazione e a un accertamento delle principali attività economiche, ad
una riforma radicale del catasto già predisposta da Carlo V, re di Spagna,
ma non in forma razionale.
Già il 4 marzo. 1704, il Magistrato Ordinario dello Stato di Milano invitava la
Comunità di Legnano al pagamento dei debiti retrodatati da esigersi negli
anni 1696-1697, pari a L. 4570.14 .S.M. , Censo p. a., cart. 1329). In
caso di mancato pagamento dell'imposta da corrispondersi in due rate, si
sarebbe proceduto, senza avviso, all'esecuzione contro la Comunità, i
suoi esattori, i Sindaci, i Reggenti e i Deputati tenuti al pagamento, con le
spese del caso. Non sappiamo quale sia stata la soluzione della contesa
regolata da un Senato-consulto, ma era già un'avvisaglia della
gigantesca operazione che l'autorità austriaca avviò, a partire dal 1706 e
che era destinata a protrarsi fino al 1850: la stesura di grandi mappe e di
sommarioni per la registrazione dei terreni. Dopo diversi esperimenti e
varie valutazioni, si decise di adottare come criterio di stima quello della
tavoletta pretoriana, un particolare goniometro, cosi chiamato dal suo
inventore Iohannes Praetorius. Perciò, con una serie di notifiche emesse
nel 1719, i proprietari furono obbligati a denunciare coi relativi redditi, i
terreni classati come "beni di prima stazione" le case, le botteghe, i mulini
considerati "beni di seconda stazione". Affluì così alla Giunta del
Censimento una congerie enorme di documenti, accompagnati da
contestazioni non solo per gli strumenti tecnici adottati, ma anche per gli
equivoci in cui i visitatori erano incorsi per la redazione delle mappe, che
si proponevano l'individuazione delle varie proprietà distinte in base
all'ubicazione, ai confini, alle colture praticate, alla dimensione, alla
vicinanza ai corsi d'acqua, alla intersecazione di vie.
Perciò, nel 1723, fu effettuata, per opera di Carlo Ronzio, la misura generale
dei fondi nella pieve di Olgiate Olona, che ascendevano a 137111.20
pertiche, con 17477 "moroni", mentre quelli di Legnano con Legnarello
toccavano 5418 "moroni" e 26422.13 pertiche, cosi distribuiti :
Aratorio
Aratorio avitato
Prato asciutto
Prato adacquatorio
Ronco
Bosco forte
Bosco castanile
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
6023
1 4700
54
1698
81
515
514
123
Bosco dolce
Bosco misto
Brughiera boscata
Brughiera
Pascolo
Zerbo
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
Pt.
11 . 1 1
25 . 12 . 1/2
591
1354.1/2.1/2
51.1
31.1/2.1/2
(A.S.M., Censo p.a., cart. 432).
Effettuata la misura dei fondi, la R. Giunta affrontò il problema delle valutazioni
e procedette agli accertamenti, calcolando la rendita, dopo aver dedotto
per gli appezzamenti vari di terreno, le spese di produzione e le perdite
procurate dagli agenti atmosferici. Quindi poiché i reclami per gli
accertamenti non cessavano, le autorità inquirenti procedettero a una
revisione generale delle stime, nel 1731.
Tale operazione fu interrotta dallo scoppio della guerra di successione polacca,
nel 1738, nel corso della quale andarono persi numerosi documenti
consegnati dalle Comunità. Una volta ristabilita la tranquillità,
l'imperatrice Maria Teresa, il 9 luglio 1749, formò, una nuova Giunta per il
Censimento. Un anno dopo Pompeo Neri, responsabile dell'ordinamento
censuario, presentò una relazione sull'andamento delle operazioni e dei
risultati acquisiti, in base a quarantacinque quesiti posti alle "Città
Province, Comunità e Università dello Stato di Milano", per appurare la
qualità, la quantità e l'esazione dei carichi, secondo le differenti pratiche
di ciascun luogo.
Lo scopo del questionario era quello di verificare se la terra esaminata fosse
infeudata o no; quale fosse la popolazione; a quale giudice fosse
sottoposta la Comunità, quali fossero il tipo di perticato esistente, i redditi,
i debiti, i crediti ecc. è indubbio che gli interrogativi presenti nel
documento proposto dalle autorità austriache movessero da ragioni
fiscali, ragione per la quale le risposte poterono a volte essere reticenti e
sconvolgenti nella formulazione, a causa dell'ignoranza degli interessati,
su questioni di carattere giuridico. Tuttavia si può dire che la gran parte
dei Comuni maggiori rispose al quesiti, offrendo un quadro significativo
del compartimento territoriale, da cui risultò che tra le Comunità più
importanti l'infeudazione non era uniformemente diffusa, che nel Ducato
di Milano comprendente 896 Comunità forensi, distribuite in 59 pievi, solo
42 risultavano redente, tra cui appunto Legnano.
In base alle ricerche effettuate intorno ai quarantacinque quesiti di Maria
Teresa, risultava dunque che Legnano si era redenta anticamente dal
feudo, pagava ogni anno L. 229 all'uopo e dipendeva giuridicamente dal
124
Vicario del Seprio, al quale non pagava nessun salario. La Comunità non
aveva sotto di sé altri Comuni, ma piuttosto era divisa in nove Comunetti,
cioè Comune Dominante, Trotti, Lampugnani, Morosino grande,
Morosinetto, Visconti, RR.M. Monache di Legnano, Vismara, Personale,
perpetuando così una situazione già in atto durante la dominazione
spagnola. Legnano non aveva Consiglio, ma era regolata da otto Sindaci
e da due Consoli. Il Cancelliere percepiva un salario di L. 442 annue
compreso carta, libri e scritture. La Comunità dal canto suo, non aveva in
Milano mè procuratore, mè agente, sopperendo, all'occasione, gli
Estimati. (A.S.M., Catasto, cart. 3037); era tassata in 280 staia di sale,
ripartite tra i Comuni in proporzione, dopo la assegnazione effettuata
dalla R. Camera, non sappiamo su quale fondamento.
Nei registri non si distingueva molto bene, secondo il quesito n. 13, il perticato
civile dal rurale, essendosi solo notato in ciascun Comune il perticato
registrato in soldi d'estimo, nonostante la diligenza usata. In base poi al
quesito n. 20, il numero delle "anime", che si ritrovavano nel Comune,
era di 2120.
Interessante è pure la risposta data al quesito n. 23.
Da essa si deduce che in Legnano esistevano due mercanti di panno, due
macellai, un'osteria grossa, un prestino di pane bianco, due bettolini,
sedici molinari, un'osteria in Legnarello, due cartari, quattro zoccolari,
otto oliarii, dieci calzolai, cinque sarti, cinque cervellari, tre confettori, una
posteria, due chirurghi, uno speziale, sedici tessitori di tela di puoca
consideratione, sei ferrari, due armaioli, due tintori, due postari che
vendevano ferro, due fondegari, due fabricatori di pasta, due offellari,
due fornasari, sette prestini di mistura, i quali non pagavano altro che il
carico personale, analogamente a quanti lavoravano la terra.
Da altre risposte si deduce che i beni ecclesiastici, oltre la cosiddetta porzione
colonica, non erano soliti contribuire per la parte dominicale. Il Comune,
dal canto suo, non possedeva cosa alcuna, non avendo mè entrate mè
rendite; teneva i debiti descritti nei relativi reparti. Nel momento in cui si
stendevano i bilanci, gli esattori si assumevano la responsabilità per
l'esazione delle imposte arretrate. Similmente la Comunità nutriva
qualche pretesa di credito verso la Provincia, come abbuono per le
spese incontrate nel corso delle guerre passate e sperava di essere
alleggerita dai carichi dai quali trovavasi alquanto aggravata, più di
quanto comportassero le sue possibilità.
Pertanto in base alle risposte fornite ai quarantacinque quesiti, risultava che la
tangente contributiva toccante alla Comunità di Legnano e pagata dai
Comunetti infrascritti, che godevano di particolari privilegi e autonomie,
era la seguente, per gli anni sottoindicati .
125
manca la tabella
In base alle risposte date ai quarantacinque quesiti e alle relazioni dei Deputati
dell'Ufficio dei Processi comunali fu ricavata la stima, approvata la tavola
proposta e si procedette alla pubblicazione sicché i periti poterono
passare alla formazione del catasto. Sul piano generale le risposte ai
quesiti proposti dalle autorità austriache evidenziarono ancora una volta
l'irrazionale distribuzione dei carichi legati al censimento del 1564, per
quanto riguardava non solo la tassazione reale delle terre, ma pure
quella personale sugli individui abitanti in campagna, senza essere
proprietari dei fondi, per non parlare di quella mercimoniale, che colpiva il
settore terziario.
Da qui la necessità di un nuovo ordinamento fiscale, che abolisse il vecchio
repertorio delle voci impositive e preludesse a quel sistema che la Regia
Camera inauguri, nel 1760, in base al quale il tributo dovuto dai
proprietari terrieri fu proporzionato al rendimento immediato dei fondi,
rapportato al momento del loro censimento. Secondo le disposizioni
emanate con l'indicazione dei beni di prima e seconda stazione, si
assicurò la perequazione dei carichi, si stabilì l'importo che ogni
contribuente doveva pagare in rapporto alle tre imposte, cioè personale,
mercimoniale e della casa di ordinaria abitazione. Si ebbero pertanto i
bilanci indicati (A.S.M., Censo p.a. , cart. 1329).
manca la tabella
A integrazione dei dati sopra ricordati può essere interessante sapere che il
Sindaco, nel 1762, aveva come stipendio L. 60, il Cancelliere L. 350, il
medico L. 500, il console L. 50, il campanaro di Legnano L. 65, con
l'obbligo di regolare l'orologio, il campanaro di Legnarello L. 18, il
prevosto di Legnano L. 18,1. Nel 1800 il parroco aveva come congrua L.
441.2.6, il Sindaco comunale, come stipendio
Questi dati non avevano la pretesa di invadere il campo dell'inconoscibile mè
di penetrare nell'essenza delle cose, secondo le ambizioni degli antichi
filosofi, ma di raccogliere e di ordinare elementi, sui quali fondare ogni
vera conoscenza. Si apriva l'era dei formulari, delle tabelle, delle cifre
incolonnate, L. 60, il medico L. 900, il chirurgo L. 600, il console
sagrestano di Legnarello L. 18, il Deputato del personale L. 8.
Altrettanto importante quanto i bilanci fu il censimento della popolazione di
Legnano, in base al quale fu possibile stabilire la tassa personale e
126
mercimoniale, come si può rilevare dalla tabella allegata (A.S.M., Censo
p.a., cart. 1329) che dovevano servire a far quadrare l'arte del buon
governo, a creare consonanze tra i mezzi usati e il fine da raggiungere.
Manca tabella
Iniziava lo sviluppo di una nuova scienza, la demografia, la quale apriva la
prospettiva di sottoporre alle leggi del numero e delle misure precise le
esigenze del complesso sociale. L'accertamento della popolazione e
delle sue occupazioni costituiva inoltre un elemento primario nella
formulazione degli obiettivi futuri e nella scelta delle attività economiche,
per gli incaricati ad esse preposti.
Per Legnano, verso la fine del sec. XVIII, non si può, parlare che di coltivazioni
intensive, di colture prevalentemente cereali, come frumento e segale;
ma anche di colture arboree della vite e del gelso, esercitate in aziende a
conduzione familiare e legate al nuovo tipo di contratto che si andava
diffondendo:
quello
della
mezzadria,
dettato
dall'incremento
nell'allevamento del baco da seta. Grazie alla compartecipazione agli utili,
il proprietario era in grado di stimolare l'interesse del coltivatore per un
tipo di lavorazione, che richiedeva molte ore di fatica.
Da qui l'attenzione continua dedicata all'insistenza dei "moroni" sui fondi, con il
Magistrato ducale addetto all'agricoltura sempre vigile a cogliere quanto
potesse soddisfare l'esigenza fiscale.
Quanto all' attività di ordine commerciale, essa è testimoniata ancora una volta
dai documenti d'archivio, dai quali è possibile ricavare la consistenza dei
commercianti, il cui ruolo mercimoniale di L. 300 rimase immutato dal
1771 al 1784, secondo la tabella la riportata sotto (A.S.M., Censo p.a.,
cart. 1330).
A comprova di tale attività commerciale sta poi la creazione del mercato
settimanale concesso nel 1795, esattamente un anno dopo che i
Francesi avevano spogliato la chiesa di S. Magno di tutta l'argenteria. I
Legnanesi presentarono all'autorità competente la richiesta di ottenere
un mercato settimanale il 20 giugno 1499, a Ludovico il Moro, poi a
Filippo IV, nel 1627, e infine nel 1795. I contadini di Legnano chiesero a
Ludovico il Moro di poter effettuare mercato al venerdi, in analogia a
quanto concesso a Busto Arsizio e a Gallarate, secondo le antiche
consuetudini venute meno per gli sconvolgimenti prodotti dalle guerre. Le
situazioni precarie attraversate e probabilmente le pressioni esercitate
dai paesi viciniori produssero però, effetto negativo. (A.S.M.,
Commercio p.a., cart. 191).
127
La seconda supplica fu indirizzata al re di Spagna, Filippo IV e da questi girata
al Governatore di Milano. Si chiedeva di poter tenere mercato il giovedi.
Solo nel 1637 la burocrazia spagnola prese in esame la richiesta e, pressata
dalle opposizioni di Busto Arsizio e di Gallarate, cui si aggiunse pure
quella di Saronno in lizza concorrenziale, rispose negativamente. La
terza richiesta firmata dai Deputati dell'Estimo legnanese fu inoltrata il 31
dicembre 1794. Visto l'accoglimento sfavorevole di questa domanda, i
Legnanesi ne avanzarono un'altra il 10 aprile 1795 e, nel mese di ottobre
dello stesso anno, ottennero di poter tenere mercato, ogni settimana, al
martedi (Strobino, Il mercato di Legnano, in Memorie n. 2, Legnano 1934,
pp. 36-54).
Non si può, chiudere però l'analisi della situazione legnanese nel 1700, senza
accennare anche a quella religiosa.
Anno
Commercianti
Ruolo
1771
1772
1773
1774
1775
1776
1777
1778
1779
1780
1781
1782
1783
1784
79
81
86
82
82
78
82
78
75
72
77
78
83
84
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
L. 300
Dati significativi sulla situazione religiosa di Legnano sono offerti dalla Visita
pastorale effettuata in città, il 10 maggio 1761, dal cardinale Pozzobonelli
che, rimasto per quarant'anni alla guida della diocesi milanese, arrivò,
anche alle più piccole e impervie zone della Lombardia. Poiché costante
fu la preoccupazione di S. Carlo di prescrivere, nel corso delle Visite, la
128
verifica dello status animarum o censimento della parrocchia, sembra
evidente l'importanza di una fonte del genere, indispensabile per la
ricostruzione della storia di un borgo.
Gli Acta visitationis Legnanesis eiusque plebis compresi in un volume di 1592
pagine (A.S.D.M., Sez. X, vol. XXVIII) risultano stesi in latino, in una
nitida calligrafia, toccano non solo le istituzioni religiose di Legnano
capo-pieve, ma tutto il patrimonio spirituale della popolazione.
Il card. Pozzobonelli entrò nella chiesa prepositurale e collegiata di S. Magno,
sotto un baldacchino sorretto dai principali possessores locali,
accompagnato da don Giuseppe Marini, vescovo di Tagaste e da don
Benedetto Erba, decano della chiesa metropolitana e Visitatore della
pieve.
Dal resoconto risulta che la chiesa di S. Magno iniziò, ad essere costruita nel
1504, fu completata nel 1513 e consacrata il 15 dicembre 1529, per
opera del vescovo Francesco Ladino ed ebbe il "cupolino" nel 1731.
Alla verifica degli altari delle suppellettili, dei paramenti, delle reliquie, delle
indulgenze, dei codici parrocchiali, dei redditi del Beneficio, dei beni della
Scuola dei poveri, segue la rassegna del clero locale composto da
ventiquattro persone e guidato dal prevosto G.M. Piantanida.
Un accenno particolare all'ospedale di S. Erasmo.
In esso si raccoglievano i bambini abbandonati ed erano nutrite quindici donne
anziane. Il Luogo Pio era amministrato tramite il Capitolo della Fabbrica
di S. Magno e possedeva: tre case da massaro, di cui una in Cerro
Maggiore; pt. 404 di vigne distribuite nel territorio di Legnano e altre pt. 3
1 5 dette il "Bosco dei pini" Il tutto era affittato a Giuseppe Ottolini per
l'affitto annuo di L. 750.
Gli abitanti ammontavano a 3000 persone, di cui 2000 ammesse a
"Comunione". Due erano i conventi esistenti sul posto, quello dei Frati
Minori e quello di S. Chiara.
Il ponderoso documento si chiude con l'elenco degli "Oratori" esistenti, ognuno
dei quali evidenziato nei minimi particolari secondo l'elenco unito:
-- Oratorio della P purificazione della SS. Vergine Maria, a Legnarello
-- Oratorio della Natività della SS. Vergine Maria, a Legnarello, con sepolcri e
iscrizioni dedicate alle famiglie Lampugnani, Odescalchi, Arconati
-- Oratorio di S. Erasmo
-- Oratorio degli Angeli Custodi, a Legnarello
-- Oratorio di S. Gregorio
-- Oratorio di S. Maria del Priorato
-- Oratorio di S. Ambrogio
-- Oratorio dei Re Magi, alla cascina "Olmina"
-- Oratorio di S. Bernardino
129
-- Oratorio di S. Martino
-- Oratorio di Gesù Nazareno, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1728 dal
"causidico" Carlo Francesco Fassio
-- Oratorio di S. Maria Maddalena, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1724 da
C.F. Fassio
-- Oratorio di S. Caterina, oltre il fiume Olona
-- Oratorio della Vergine delle Grazie, la cui prima pietra fu posta dal prevosto
G.B. Specio, il 4 ottobre 1611.
Le Segnalazioni più antiche intorno alla pellagra risalgono salgono a Gaspare
Casal, che la riconobbe e la curò, nelle Asturie, in Spagna, intorno al
1717, col nome di mal de la rose, ritenendola però, una specie di lebbra.
Seguirono altre indicazioni, in Francia, nel 1755 per opera del Thiery; in
Romania in Grecia e in altri paesi. In Italia le pubblicazioni di Frapelli e
Zanetti, nel 1771 e nel 1778 attribuirono la causa del male al sole,
mentre Ghirardini incolpava le graminacee. Regnava in effetti nel campo
medico, in tal senso, una generale confusione.
Le preoccupazioni e gli interventi dei vari governi risultarono però, inadeguati
alla gravità della malattia e non seguirono le innovazioni suggerite
dall'evoluzione scientifica. Accettando la tesi del Casal, la Spagna si
limitò a far ricoverare i colpiti da pellagra, in normali lebbrosari, per
evitare la diffusione del contagio, mentre la Repubblica di Venezia,
all'avanguardia nell'adottare provvedimenti di natura igienica, rimase
completamente indifferente al male attribuito al continuo consumo di
graminacee guaste e di origine turca.
In realtà la pellagra, meglio conosciuta con la dizione dialettale di "pelagra" si
diffuse, nel 1700, in concomitanza colla propagazione della coltura del
mais e col suo eccessivo consumo. Quindi il fenomeno era strettamente
connesso colle condizioni sociali dei ceti rurali e poteva chiaramente
indicarsi come un male tipico della miseria se si tiene conto delle
modalità di pagamento dell'affitto in grano, da parte del contadino. Il suo
reddito era infatti sempre più condizionato dalla relativa quantità di
granoturco ottenuta colla coltivazione di modesti appezzamenti di terreno
non assoggettati al pagamento del canone;
dalla compartecipazione all'allevamento del baco da seta o alla coltura della
vite tali da consentire la copertura di debiti precedentemente contratti per
sanare il "deficit" alimentare. Quanto si poteva risparmiare di frumento e
di vino, era cambiato in tanto "formentone", che costituiva l'alimento
principale.
130
Da qui l'interesse di diverse Società scientifiche e Amministrazioni ospedaliere
che invitarono, sia pure inutilmente, con la promessa di premi, gli studiosi
alla riflessione sulle cause della malattia, per la divulgazione di eventuali
rimedi.
Alla fine il Governo del Ducato milanese, di fronte alle accresciute miserie, si
decise all'apertura di un ospedale apposito, dove fossero effettuate
ricerche specifiche e si iniziassero cure sistematiche per la risoluzione
del male. In un primo momento, con un rapporto del febbraio 1784, steso
dal consigliere Cicognini, direttore della Facoltà di medicina a Pavia, si
pensi, alla utilizzazione del Convento dei Cistercensi di Parabiago. Poi,
con una lettera del 22 aprile 1784 indirizzata dal Kaunitz, Gran
Cancelliere di Stato, fu sancita l'erezione dell'ospedale a Legnano, nel
soppresso Convento delle Clarisse di S. Chiara e la decisione fu avallata
da Giuseppe II, durante il suo soggiorno in Milano.
L'8 maggio il plenipotenziario Wilzech diede incarico al conte Ambrogio
Cavenago di apportare le modifiche all'ex monastero, coll'aiuto dell'allora
prevosto di Legnano, don Francesco Lavazza. Si procedette quindi
all'adattamento, per uso dell'ospedale, di quella parte del Convento che
meglio si prestava allo scopo, secondo le descrizioni rilasciate da
Gaetano Strambio jr., nipote ed omonimo del Direttore. Particolare
attenzione fu dedicata all'allestimento dei bagni ritenuti come il rimedio
più efficace per la cura della pellagra, con la costruzione di una grande
vasca in pietra arenaria situata nell'orto. Per l'acqua ci si valse di un
antico privilegio concesso al monastero da Gian Galeazzo Maria Sforza
Visconti".
Quando la "paterna clemenza" di Giuseppe II istituì l'ospedale, per assistere
gli infelici pellagrosi, a curare gli ammalati fu chiamato il dott. Gaetano
Strambio, che aveva già effettuato ricerche e studiato la natura del male
prima a Carnago e poi a Trezzo d'Adda dove esercitava la professione di
medico condotto. Nei suoi esperimenti lo Strambio si preoccupò
dell'influenza del vitto, del clima, delle abitudini, per arrivare a conclusioni
insolite. Egli infatti intuì che la pellagra non era una malattia puramente
stagionale, come potevano lasciar sospettare le manifestazioni cutanee
da essa derivate, perché permanevano altri fatti morbosi che
interessavano il sistema nervoso e l'apparato digerente. I risultati delle
osservazioni, tradotti in alcune pubblicazioni, persuasero della inutilità di
tutti i medicamenti fino allora applicati e dell'opportunità di un progressivo
miglioramento del tenore di vita.
Dopo una serie di adattamenti compiuti con meravigliosa prontezza, superate
le difficoltà derivate dalle disastrose condizioni in cui le Clarisse avevano
131
lasciato il loro monastero, approntate le tabelle, predisposti gli assistenti,
il pellagrosario fu inaugurato, con modesta solennità, il 29 maggio 1784.
Non fu necessaria nessuna pubblicità all'istituzione, perché già
all'apertura dell'ospedale si presentarono cinquanta ammalati, solo la
metà dei quali poté essere alloggiata in quaranta letti a disposizione, per
il timore di dover rifiutare altri pellagrosi che venissero in seguito da zone
più lontane.
Il dott. Strambio iniziò la sua attività col fervore di un apostolo, anche se la sua
missione aveva delle prospettive tutt'altro che rosee, in un ambiente
dove era visto come un intruso e dove aveva assunto l'incarico senza
uno stipendio fisso, costretto anzi a implorare di tanto in tanto qualche
"sussidio interinale" per affrontare carichi di famiglia e attendere agli studi
necessari, in continuo contrasto con l'autorità ecclesiastica o meglio con
don Lavazza successo al Cavenago nell' amministrazione dell'ospedale.
Per opera dello Strambio gli ammalati trassero tuttavia un notevole beneficio;
le loro sofferenze cessarono o diminuirono, la scienza si accrebbe di
nuove verità e lo stesso imperatore, dopo due quadrimestri di attività,
gratificò il medico con cento zecchini, decretando contemporaneamente
l'ingrandimento dell'ospedale di Legnano.
L'opportunità di allargare il pellagrosario si presentò a Giuseppe II nel 1785
quando, in occasione di un soggiorno in Lombardia poté visitare
l'ospedale di Legnano. Dopo l'intervento dell'imperatore, una "Sovrana
Risoluzione" stabilì che i letti del pellagrosario fossero portati a cento, ma
che ogni ospedale provinciale ne tenesse, all'uopo, a disposizione dieci e
quello di Milano venti, in modo da trovare attraverso un'ulteriore
sperimentazione, "uno specifico contro l'abominevole malattia".
I soldi incamerati dai conventi soppressi non furono però sufficienti per
sopperire alle necessità previste e il Governo pertanto non concesse che
fosse superato il numero dei quaranta pellagrosi ammessi all'ospedale,
anche se questo funzionava con regolarità. Basti dire, in base a
documenti rimasti che la spesa per il vitto di un ammalato ammontava a
quattordici soldi giornalieri, per salire a ventitré con le medicine e
l'assistenza, in modo che l'esborso per l'intera istituzione non superava L.
900 mensili. Era un modo dignitoso di sbarcare il lunario.
Purtroppo, nel corso di tale attività, una serie di guai e fastidi turbò l'opera dello
Strambio, come si deduce dalle lettere scambiate col Cavenago, a causa
di contrasti sorti con l'autorità religiosa locale. Ben presto i rapporti tra il
direttore medico e l'Amministratore degenerarono.
Ai primi del 1788, don Lavazza, prevosto di Legnano, indirizzò una fiera
132
requisitoria formale al Consiglio di Governo contro lo Strambio, accusato
di trascuratezza nei metodi di cura, dai quali derivava una grave
mortalità.
Se a ciò si aggiungono le difficoltà soprattutto di carattere economico, che
minacciavano la sopravvivenza del pellagrosario di Legnano, per la cui
definitiva sistemazione non si trovavano capitali adeguati, si comprende
come il Consiglio di Governo, con dispaccio del 26 maggio 1788,
decretasse la soppressione dell'ente. Si decise quindi lo sgombero
dell'ospedale di Legnano: i pochi pellagrosi rimasti furono divisi tra i
nosocomi di Milano e di Monza. L'ex monastero di S. Chiara fu venduto
all'asta pubblica.
Dal 1784 al dicembre 1788 si spesero per il pellagrosario di Legnano L.
89.000 milanesi, tutto compreso.
Lo Strambio fu assunto, al primo gennaio 1789, dall'Ospedale Maggiore di
Milano. Ottenne, nel 1791, una gratificazione di 150 zecchini, a
tacitazione di tutti i suoi diritti e uno stipendio di L. 1800. Eletto direttore
medico nel 1810, fu nominato, un anno dopo, direttore dell'Ospedale
Maggiore di Milano. Durò in carica tre anni e, alla scadenza, fu creato
Prefetto del Dipartimento dell'Olona. Rassegnate le dimissioni nel 1817,
chiuse la sua esistenza il 3 maggio 1831, universalmente compianto
come una delle figure più significative della Milano ottocentesca.
L'antico convento delle Clarisse di Santa Chiara, che ospitò il pellagrosario,
era ubicato in Legnano tra l'attuale Largo Seprio e la via Giolitti, con
fronte su corso Italia, il cui primo tratto, all'epoca, si denominava via del
monastero. Dell'edificio esistono ancora i resti del chiostro delle
monache in un cortile, al numero civico 41 di corso Italia.
133
Dall'Ottocento al ventesimo secolo
La prima fase dell'industrializzazione di Legnano si può collocare in un arco di
tempo corrispondente all'incirca al periodo compreso tra il 1820 e il 1880:
il fatto che il borgo vantasse tradizioni di artigianato e di manifattura
domestica ebbe un peso particolare per la localizzazione dell'industria
tessile, in un certo modo predisposta dalle forme pre-industriali di
lavorazione casalinga della seta e del cotone , di cui abbiamo già fatto
cenno. Questa prima fase seguì quindi il modello di distribuzione
industriale tendente all'installazione di industrie leggere in zone di
concentrazione di popolazione, dove preesistevano attività artigianali e
manifatturiere fondate su un'organizzazione produttiva di tipo
precapitalistico, basata sullo sfruttamento di una manodopera poco
qualificata, quale quella femminile e minorile. D'altra parte il processo di
meccanizzazione ed ammodernamento tecnologico avvenuto in queste
industrie, specie dopo la metà del secolo si può considerare la causa
primaria della nascita di un'industria meccanica, che caratterizzò la
seconda fase della rivoluzione industriale del borgo.
Le filature sorte a Legnano, per le loro caratteristiche, potevano collocarsi a
pieno diritto tra le principali indwstrie cotoniere lombarde, e tra di esse la
più rappresentativa per organizzazione e tecnologia era la Cantoni, come
risulta da un documento del 1876, conservato presso l'Archivio Comunale
di Legnano, che riassume alcuni dati significativi sugli stabilimenti tessili
del borgo e che si può, comparare ai dati emergenti dall'inchiesta
industriale del 1870-74.
Tra le industrie tessili legnanesi solo la Cantoni univa la filatura alla tessitura,
comprendendo anche un notevole numero di telai meccanici, vantando
inoltre, unitamente al Cotonificio di Eraldo Krumm, il maggior numero di
cavalli vapore, quando appunto una massiccia integrazione della forza
idraulica con quella a vapore era una necessità sempre sentita,
soprattutto per annullare gli effetti negativi della interruzione del ciclo
produttivo e della ridotta utilizzazione degli impianti.
L'introduzione della macchina a vapore e quella del telaio meccanico (o più in
generale di macchine più grandi, più potenti e perfette per la tessitura) si
condizionavano strettamente a vicenda: le macchine, però,
comportavano la necessità di disporre di una bene organizzata
attrezzatura tecnica per manutenzione e rapidità nelle riparazioni.
Ancora una volta in questo campo il precursore fu il Cantoni, che, entrato in
134
partecipazione nelle officine di Luigi Krumm, costituì nel 1874 la
Cantoni-Krumm, organizzandola appunto per la costruzione e la
riparazione di macchinari tessili; successivamente, ad essi aggiunse una
produzione pi ampia nel campo meccanico in genere. Nel 1876 Eugenio
Cantoni assunse l'ing. Franco Tosi, allora ventiseienne, appena rientrato
da un periodo di tirocinio presso la Società Decker di Kanustadt in
Germania, quale direttore della sua azienda. Questi divenne socio, nel
1882, allorchè nacque la Franco Tosi & C. società è in accomandita
semplice, che aveva Tosi quale gerente e Cantoni socio accomandatario.
Con le Officine Tosi, Legnano si avviò, ad acquistare una nuova fisionomia,
distinguendosi ulteriormente da Busto Arsizio e Gallarate, divenendo il
centro di progettazione e costruzione di un'industria meccanica che
consentirà più agevoli sviluppi anche nell'industria tessile tradizionale e
darà vita a sua volta a molti altri complessi industriali. Il primo esemplare
di macchina a vapore, costruito dalle officine della futura Tosi fu destinato
al Cotonificio Cantoni di Castellanza. L'azienda aveva infatti creato una
sezione specializzata nella costruzione di motrici a vapore da 40-50 HP.
E' utile ricordare che questi anni di pieno sviluppo industriale furono anni di
crisi per l'agricoltura, come risulta da alcuni documenti conservati presso
l'Archivio Comunale di Legnano: nel 1880 il Sindaco comunicava alla
Sotto-prefettura: Data la siccità tutti i contadini ebbero uno scarsissimo ed
insufficiente raccolto di granturco che è quasi l'unica loro risorsa, talchè i
più fortunati si calcola che possono avere il vitto per circa tre mesi. (Arch.
com. Legnano, c. 194 f. 107/13).
Molti altri contadini trovarono quindi lavoro nelle fabbriche e spesso
abbandonarono l'agricoltura, che non costituiva più un grosso cespite di
ricchezza. In una lettera al sindaco di Nerviano, che aveva proposto
l'attuazione di una linea tranviaria sulla strada del Sempione, il sindaco
Dell'Acqua interpretava la nuova situazione del Comune, rispondendo
positivamente alla proposta che avrebbe portato vantaggi a Legnano,
"poichè concludeva -- la natura di questo borgo è eminentemente
industriale e commerciale". (Arch. com. Legnano, c. 174 f. 171/11).
Particolarmente degna di nota a questo proposito fu l'attivazione della strada
ferrata infrastruttura di primaria importanza per l'insedianento industriale,
sollecitata tra l'altro dal ceto dirigente locale, consapevole dell'importanza
economica che il comune andava acquistando. Nel periodo 1885-1915,
infatti, siamo di fronte ad una completa trasformazione industriale
dell'antico borgo: nel campo dell'industria meccanica, sorta come
complementare di quella tessile, si assiste ad un proliferare di piccoli
stabilimenti ed officine, intorno alla Franco Tosi, colosso del settore,
mentre i complessi tessili, tra cui emerge il Cotonificio Cantoni, portano a
135
compimento il processo di ristrutturazione con la completa
meccanizzazione degli impianti.
Nel 1866 si trasferirono a Legnano le Officine F.lli Bombaglio, che erano sorte
a Marnate intorno al 1840 come laboratorio per la costruzione e la
riparazione dei mulini. A Legnano divennero una delle principali ditte
produttrici di turbine idrauliche, trasmissioni, impianti di oleifici, macchine
per la lavorazione del legno, pompe centrifughe e presse idrauliche; nel
1913 l'officina con la relativa fonderia si estendeva sopra un'area di mq.
24.000 di cui 7.000 coperti. Da cinque anni Andrea Pensotti, capo reparto
della Tosi, si era messo in proprio con una fonderia, a cui aggiunse poi
un'officina meccanica situata nei pressi della ferrovia. Lo stabilimento,
che si trasferà poi nel quartiere sorto a nord-ovest di Legnano,
specializzandosi nella produzione di caldaie esportate in tutto il mondo,
divenne il quarto complesso legnanese in ordine d'importanza.
Da un lato si verificò a Legnano un processo di addensamento industriale,
tipico del periodo della rivoluzione industriale, per cui le strutture
territoriali caratterizzate da una forte concentrazione di capitali e di uomini
assunsero la funzione di centro di attrazione dei fattori produttivi.
Dall'altro, però, uno degli aspetti dello sviluppo industriale dell'antico
borgo fu proprio il sorgere, specialmente nel campo della fonderia e della
meccanica, di piccole industrie a carattere complementare dovute spesso
all'iniziativa di ex-dipendenti delle grandi aziende, divenuti a loro volta
imprenditori.
Sembra utile a questo punto riportare un prospetto statistico delle imprese
legnanesi nel 1890, da cui si rileva anche la nascita di nuove tessiture di
cotone, quali la Carlo Gadda, la Dell'Acqua & C., con sede principale a
Busto Arsizio, e la costituzione di una Società del Gas, che aveva
effettivamente cominciato il suo servizio nel 1880 (Arch. com. Legnano, c.
240 f. 266/16).
Con l'adozione di meccanismi che richiedevano prestazioni molto semplici di
controllo e manutenzione, il grado di sviluppo raggiunto nel settore tessile
favori l'impiego massiccio di manodopera femminile e minorile, come
risulta dalla statistica riportata.
Impresa
Totale
F/motrice
+15 anni
--15 anni
M
Cantoni: filatura tessile
203 HP
356
F
342
136
8
M
80
F
786
60 C. idr.
Aspes: saponificio
Banfi: tessitura cotone
400 HP
Landini: conciatura pelli
. Cittera: falegname
Monti: conciatura pelli
10 HP
Gadda: tessitura meccanica
45 HP
Dell'Acqua: conciatura pelli
Dell'Acqua: tessitura cotone
60 HP
G. Bernocchi: tintoria
60 HP
R. Bernocchi: tintoria
30 HP
R. Borghi: filatura cotone
IDR. 150 HP
R. Butti: filatura cotone
Bombaglio: officine meccaniche
10 HP
Scossiroli: fabbrica stufe
Società del gas
Thomas: filatura cotone
Ronchetti: filatura seta
4 HP
A. Pensotti: fonderia
3 HP
Dell'Acqua & C.: tessitura cotone
12 HP
Inhoff: filatura seta
8 HP
Dell'Acqua: tintoria
80 HP
Kramer: filatura seta
IDR. 53 HP
Dell'Acqua: laterizi
Panighini: tessitura cotone
F. Tosi
non precisato
2
29
2
60
389
6
478
6
3
3
12
12
4
15
9
3
22
36
222
9
20
166
57
2
33
1
68
100
74
61
2
4
30
1
15
21
7
6
8
59
69
4
1 87
13
12
8
33
120
7
150
54
14
10
159
176
64
7
11
316
3
1
124
30
10
178
33
3
5
50c.
1 86
4
7
42
37
34
206
78
259
2
76
453
2c.
30
10
591
16
605
L'esame di qualche dato aziendale mette in evidenza come questo fenomeno
fosse piuttosto elevato soprattutto in mansioni sussidiarie, mentre agli
uomini veniva riservata l'assistenza tecnica più qualificata; la
manodopera maschile era impiegata per la maggior parte nelle neonate
officine di meccanica.
All'inizio degli anni Ottanta si verificarono nelle industrie legnanesi i primi
scioperi e sorsero anche alcune società operaie: questo fenomeno si
inserisce nel quadro più vasto di agitazioni, che preludevano al sorgere di
un movimento operaio in tutta la zona industrializzata settentrionale negli
137
anni 1880-1890.
E' del 1878 la prima inchiesta sugli scioperi, che rompevano una tradizione di
rapporti di "cooperazione" tra padroni ed operai, tradottasi nella
formazione di enti assistenziali, spesso con fili moralistici: la complessità
dei rapporti di classe che si veniva instaurando con la diffusione della
rivoluzione industriale era un sintomo del carattere capitalistico che
andava assumendo l'industria legnanese.
Negli ultimi anni del XIX secolo i riflessi delle lotte tra la borghesia e la classe
operaia si ebbero anche nell'Altomilanese. In una zona in cui l'industria
era in piena espansione, si inserirono, accanto alle lotte sindacali, le lotte
politiche alimentate dai socialisti e dai radicali che si opponevano ai
conservatori e ai moderati, facenti capo al comasco Paolo Carcano, ex
garibaldino, che aveva preso parte attiva alle campagne del 1860, del
1866 e dell'anno successivo.
La formazione del Governo guidato dal marchese Antonio di Rudini e i suoi
prlml provvedimenti antidemocratici (scioglimento delle organizzazioni
operaie, domicilio coatto per i sovversivi, tentativi di adozione del voto
plurimo per i ricchi e repressioni con le armi contro i lavoratori che
chiedevano pane alimentarono ondate di proteste anche a Milano e
provincia. Nel maggio 1898, quando di Rudini ordinò, l'uso del cannone a
mitraglia contro gli operai e i popolani milanesi, durante una sommossa, e
si ebbero 200 vittime, tutti i settori industriali del Legnanese furono
sconvolti da scioperi e agitazioni contro i metodi sangumosi e repressivi
del generale Fiorenzo Bava Beccaris, incaricato dell'ordine pubblico a
Milano. Seguì, il 7 maggio 1898, la proclamazione dello stato d'assedio a
Milano e provincia.
A Legnano furono eseguite perquisizioni con l'arresto di alcuni esponenti
socialisti, ma fortunatamente non accaddero fatti luttuosi. Tutte le
fabbriche dell'Altomilanese erano da alcuni anni in crisi per la grave
recessione economica, che investiva l'intera penisola, e la situazione si
mantenne fluida e critica fino ai primi anni del Novecento.
In questo tormentato periodo si registrano due altri episodi significativi per la
storia di Legnano.
Il 29 giugno 1900 fu inaugurato il monumento, dello scultore Butti, celebrativo
della battaglia di Legnano con la statua del guerriero divenuto poi
l'emblema della città. Il monumento, oltre che da Garibaldi, era stato
auspicato da Felice Cavallotti, uomo politico repubblicano, giornalista e
scrittore, che a Legnano contava molti seguaci ed amici.
138
Quando, nel 1898, nel clima infuocato delle sommosse popolari, Cavallotti fu
ucciso, battendosi in duello, da un altro giornalista, Ferruccio Macola, suo
avversario politico, a Legnano si costituì un comitato e fu aperta una
sottoscrizione popolare per onorarne la memoria, con una lapide
commemorativa e con un busto dello scrittore. Tale lapide venne
collocata ed inaugurata il 10 luglio 1904 in piazza San Magno, di fianco al
Municipio, allora denominata piazza Umberto I°, in memoria del re
assassinato a Monza da un anarchico, un mese dopo l'inaugurazione del
monumento alla battaglia di Legnano.
Sempre in tema di inauguravoni, ricordiamo in questo periodo, ed esattamente
il 28 novembre 1909, quella del nuovo palazzo degli uffici comunali,
opera dell'architetto Aristide Malinverni, più tardi completato con
un'ulteriore ala.
Nei primi anni del secolo nuovi stabilimenti entrarono a far parte del panorama
industriale legnanese, come si può riscontrare dai dati raccolti presso
l'Archivio comunale di Legnano: tra gli opifici censiti erano degni di nota la
Società in accomandita per azioni F. Vignati & C. (tessitura cotone), la
Manifattura di Legnano, fondata nel 1903 dai fratelli Banfi, insieme ad un
altro imprenditore legnanese e che contava già 903 dipendenti nel 1908,
la Società in accomandita per azioni E. Mottana & C. per l'industria del
candeggio, tintoria e mercerizzazione dei tessuti di cotone, che aveva
rilevato lo stabilimento fondato molti anni prima alla "Gabinella" da
Giuseppe Bernocchi, mentre tra le officine meccaniche si distinguevano
la Wolsit e la FIAL dei fratelli Ghioldi, due aziende impiantate allo scopo di
costruire automobili, motori per autoriparazioni e addirittura aeroplani.
Non si possono infine dimenticare le Elettrochimiche Rossi (fondate nel
1907), uniche in Europa a produrre l'acido nitrico dall'azoto atmosferico a
tutte le concentrazioni, fino alle più alte, per l'industria degli esplosivi.
Nel 1911 ricaviamo una panoramica generale dell'industria legnanese dal I°
censimento industriale i cui dati riassuntivi erano i seguenti: Industrie
aventi fino a 10 operai a n° 161 con un total)e di 574 operai, industrie
aventi da 10 a 25 operai n. 14 con un totale di 223 operai, industrie aventi
più di 25 operai n. 35 con un totale di 9369 operai. Si raggiungeva quindi
un totale di 210 industrie con un complesso di 10. 165 operai, esclusi gli
artigiani e coloro che esercitavano le cosiddette industrie casalinghe.
L'industria del cotone impiegava 150.500 fusi e 6.397 telai meccanici. Tutte le
industrie, complessivamente, impiegavano quale forza motrice il vapore
per 850 HP e l'energia elettrica per Kw/anno 17.700 circa, oltre ad un
139
modesto sfruttamento delle acque dell'Olona, degradato a funzione di
collettore per gli scarichi dei residui di lavorazione. Erano allora in attività
15 motori azionati con forza idraulica e 9 macchine a vapore; i motori
elettrici, statisticamente rilevabili, erano 500. Prevaleva nettamente
l'industria tessile, che, pur contando appena 32 aziende, occupava da
sola 6.750 operai, in media 210 per azienda, rivelando la sua struttura in
grossi opifici, dai quali dipendevano anche le miriadi di telai in case
private. A sua volta l'industria meccanica aveva acquistato una notevole
consistenza con 2.165 operai distribuiti in 49 officine, ma la media di 53
addetti per ogni azienda, manifesta come la meccanica, oltre che in
alcuni grossi complessi, fosse ripartita in piccole imprese familiari,
sempre però, assai più grandi di quelle bustesi, che contavano appena 12
operai per azienda. Dai dati di questo censimento si deduce che Legnano
era al quinto posto tra i maggiori centri industriali italiani per numero di
occupati, nel ramo tessile dopo Milano (29.388 addetti Torino (20.455
addetti), Monza (11.071 addetti), Napoli (9.809 addetti) mentre,. sulla
base del numero complessivo degli addetti industriali, occupava il
diciassettesimo posto, preceduta dalle più grandi città. La percentuale,
nella popolazione, di addetti all'industria era del 42,5 % , come risulta da
questa tabella compilata in base a dati dell'Archivio comunale:
Se consideriamo l'incidenza della popolazione industriale su quella totale
presente nei singoli Comuni alla data del Censimento demografico del
1911 vediamo che Legnano era al nono posto, preceduta oltre che da
alcuni centri 'monoindustriali' che costituivano casi tipici, da Sesto S.
Giovanni Gallarate (47 %) e Borgosesia (44,6%) ed era l'unico Comune
con venti centri più industrializzati dove sia l'industria tessile che quella
meccanica avessero un ruolo essenziale nella localizzazione industriale.
Il prospetto industrie-addetti del 1914, reperibile presso l'Archivio comunale
(cart. 392 f. 286/23), offre un panorama dell'industria legnanese e
dimostra una diversificazione della produzione e un articolarsi del
processo produttivo in settori differenti, sconosciuto alla prima fase
d'industrializzazione e segno manifesto di un livello economico più
avanzato.
Anno
N. Industrie
% add. ind. sulla pop.
1887
Addetti
26
1855
140
Popolazione
6471
28.7
1891
38
1911
42.5
56
4204
11068
210
10165
24971
1
La prima conseguenza della concentrazione industriale, manifestatasi come
abbiamo visto, nel trentennio 1885-1915, si ebbe coll'esplosione
demografica, che portò il Comune al primo posto in Italia per
l'elevatissimo tasso d'incremento della popolazione. Per il periodo in
questione è possibile rielaborare alcuni dati significativi sulla base della
documentazione esistente presso l'archivio comunale: vediamo quindi
come si è manifestato l'incremento demografico, in assoluto e in
percentuale, nel periodo di maggior espansiane industriale, considerando
i valori relativi ad ogni quinquennio.
Anno
1880
1885
1890
1895
1900
1905
1910
1915S
Popolazione Incremento
7041
8441
1 0643
1 2928
17394
22494
26716
28757
+ 1400
+ 2200
+ 2285
+ 4466
+ 5100
+ 4212
+ 2041
19.8
26.0
21.4
34.5
29.3
18.7
7.6
L'espansione industriale attrasse la manodopera delle zone circostanti e si
determinò, cosi una corrente migratoria che si mantenne in ambito
regionale o addirittura provinciale, dato che in genere la forza centripeta
delle aree in via di sviluppo si manifesta più intensa nelle zone limitrofe,
secondo la dinamica che si esprime soprattutto in movimenti su brevi
distanze. Quest'ipotesi è suffragata anche da un documento risalente ai
primi anni del Novecento, in cui il Sindaco manifesta la carenza di
abitazioni nel borgo e fa riferimento alla notevole immigrazione di operai,
asserendo che essi provengono in egual misura dai Comuni circostanti e
141
dalle province vicine (Arch. com. Legnano cart. 415 f. 30/27).
A questa carenza rimedieranno in parte alcune grosse industrie locali, che nel
primo decennio del secolo intrapresero anche la costruzione di grandi
fabbricati aziendali. Tra questi il Cotonificio Cantoni che realizzò il reparto
della tessitura destinato a comprendere un migliaio di telai.
Alla fine del 1908 l'Italia fu funestata dagli spaventosi terremoti di Reggio
Calabria e di Messina con migliaia di morti e distruzioni immani. Nella
sola città siciliana si ebbero 30 mila morti e 70 mila in provincia. Le
ripercussioni di questa calamità perdurarono anche l'anno successivo,
provocando, con la stasi negli affari, una grave recessione economica
che toccò da vicino le industrie legnanesi.
Purtroppo anche il panorama politico internazionale non faceva sperare nulla
di buono e l'Italia dovette legarsi alla Germania e all'Austria nella Triplice
Alleanza per garantirsi una relativa tranquillità.
Ciò, non evitò, comunque che l'Italia si imbarcasse in una guerra coloniale, la
conquista della Libia, e nella guerra contro la Turchia, nel settembre
1911.
L'anno precedente Legnano era stata funestata da una grave calamità. Il 23
luglio infatti un tremendo ciclone si abbattè sull'intero Altomilanese e in
città si ebbero quattro morti e molti feriti. Gravissimi danni riportarono
case private ed alcuni edifici pubblici, tra i quali l'Ospedale Civile, che
ebbe asportata una parte del tetto del padiglione inaugurato nel 1903.
Furono demolite ciminiere di stabilimenti e sradicati una dozzina di enormi
platani secolari lungo la roggia S. Caterina di proprietà dei fratelli
Dell'Acqua.
Al censimento generale dell'11 giugno 1911 la popolazione segnò un notevole
calo, in parte dovuto al perdurare della crisi industriale che aveva spinto
molte famiglie ad emigrare. I residenti risultarono circa 25 mila. Lo stesso
censimento accertò l'esistenza di 5336 abitazioni civili per un totale di
circa 15 mila vani, nonchè di 257 locali adibiti ad uso di ufficio o
magazzino. I locali vuoti erano 684, dato quest'ultimo significativo a
comprova dell'emigrazione di cui
si è accennato, ma anche un segno dell'inversione di tendenza, rispetto alla
carenza di alloggi nei primi anni del secolo.
142
Dal borgo agricolo allo sviluppo del primo ottocento
AIl'epoca della dominazione napoleonica nel Milanese, negli anni cioe'
seguenti le grandi imprese del generale Bonaparte, che vinti i Piemontesi
e gli Austriaci fu accolto da trionfatore a Milano, dove proclamo' la liberta'
e I'indipendenza (15 maggio 1796). Legnano era un grosso centro
agricolo.
Aveva case, botteghe e cascine situate in due distinti nuclei, sulla sponda
destra (contrada granda) e su quella sinistra (Legnarello) del fiume Olona,
che costituiva la spina dorsale del borgo. Favorita dalla notorieta' per le
glorie passate e per la ricchezza della sua agricoltura fin dall'epoca
medievale e incrementata successivamente nel periodo feudale,
Legnano si avvantaggio' anche per i suoi traffici grazie alle vie di
comunicazione che la toccavano. Lo stesso Bonaparte, facendo
collegare Milano a Parigi, attraverso il Passo del Sempione, sul tragitto
Rho-Legnano-Gallarate-Arona, contribui' ad accrescere I'importanza di
questo borgo, seconga stazione diposta del postiglione giornaliero.
"Passaa Legnan e Castelanza se va drizz in Franza", diceva un motto
popolare di quell'epoca, molto indicativo della posizione strategica che
aveva questo centro. Nell'aprile 1805, Napoleone pretese il giuramento di
fedelta' da parte di tutta I'Amministrazione pubblica, che gli fu reso da
Legnano e Legnarello, nella forma indicata.
Per Legnano: 15 aprile 1805 - Noi sottoscritti municipali. Agente e Censore di
questo Comune di Legnano con Legnarello giuriamo ubbidienza a]le
Costituzioni, e fedelta' al Re (sic). Firme: Gaetano Albino sostituto del
signor Marchese Carlo Cornaggia Medici primo Municipale Giovanni
Battista Pennati sostituto del signor Conte Giovanni Cesare Giulini De
Bernardi amministratore municipale Giovanni Novara Cursore De
Giovanni cancelliere er Legnarello: 15 aprile 1805 - Io sottoscritto
Cancelliere del Distretto XXX Censuario, Dipartimento d'OIona giuro
obbedienza alle Costituzioni, e Fedelta' al Re Firma: Piefro De Giovanni
Cancelliere (A.S.M.. Potenze Sovrane, cart. 162).
In seguito. Napoleone I transito' per Legnano alla vigilia della sua
incoronazione a re d'Italia (26 maggio 1805). L'avvenimento risulta da
una circolare, trasmessa il 25 aprile. dal Prefetto del Dipartimento
d'Olona, Longo, alle amministrazioni municipali (Arch. com. di Legnano.
cart. 19). Con essa erano fissate le prescrizioni e le modalita'
dell'accoglimento di S.M. l'lmperatore de' Francesi e resa d'onori tanto
civili che militari, riserva della presentazione delle chiavi e di tutto cio' che
143
relativo al comando e alla parola d'ordine. In quell'occasione I'artefice
della Repubblica Cisalpina era accompagnato dall'Imperatrice
Giuseppina Beauharnais. Come si e visto, esaminando gli eventi
dell'amministrazione austriaca nel Ducato di Milano, l'economia del borgo
legnanese era essenzialmente agricola, con qualche debole influenza
dovuta all'eco delle riforme "illuministiche" giunta fin qui. Ben diciassette
mulini ad energia idraulica sfruttavano appunto la rivorum copia celebrata
nel distico del Bossi in S. Magno. Le campagne della fertile piana irrigata
con le acque del fiume Olona. con le sue ramificazioni e le numerose
rogge.
L'allevamento del bestiame e I'artigianato costituivano i cespiti del modesto
benessere della popolazione, che abitava le case di ringhera o le corti.
piccoli fortilizi agricoli con le porte carraie, le stalle allineate, i fienili
sovrapposti e gli edifici civili ripartiti tra i nuclei familiari di un'unica grande
famiglia patriarcale che le teneva a mezzadria o a "colonia" lombarda
sotto la responsabilita' del vecchio patriarca (il ragio'), con i fondi coltivati
a frumento. meliga. orzo o foraggi che si estendevano dal nucleo abitato
alle cascine periferiche Le colline dominanti il corso del fiume erano
ricoperte da rigogliosi vigneti e frutteti. E' di questa epoca la costruzione
del Cavo Diotti, per irrigare campi non raggiungibili con I'Olona. I gelsi
lungo le rogge. Ai lati dei viottoli o al centro delle costruzioni agricole.
erano la espressione di una piu' recente ricchezza in connubio tra il
substrato rurale e un sempre piu' ricorrente lavoro manifatturiero. A
carattere artigianale. di filatura della seta. Il frazionamento delle aziende
agricole, con i conseguenti bassi redditi che offriva, non tali da soddisfare
il fabbisogno delle famiglie. spingeva ad integrare infatti il lavoro dei
campi, svolto in prevalenza dagli uomini, con altre attivita', alle quali si
alternavano. durante il giorno. le donne di casa. A sera i contadini
legnanesi si trasformavano in filatori o tessitori di cotone, di lana e di seta,
oppure in tintori. Le pezze erano tinte in caldaie di rame con il colorante
sciolto in acqua bollente: sopra la caldaia era collocata un'aspa che
l'operaio faceva funzionare a mano. Dopo che il tessuto aveva assorbito
il colorante, veniva lavato nelle acque dell'Olona, su cui erano installate
apposite impalcature di legno. All'inizio dell'Ottocento si usavano ancora
sostanze coloranti di origine vegetale, soppiantate solo negli ultimi
decenni del secolo dai coloranti sintetici (Piero Dagradi. Panornma
storico dell'Altomilanese. vol. II. Busto Arsizio 1971. pp. 22-23).
Secondo informazioni trascritte dal Pirovano e riportate dal segretario
comunale del primo Novecento, Gian Battista Raimondi, in un volumetto
edito nel 1913, risulta che all'epoca napoleonica i Cornacchia e i Prata (o
Prada), impiantatisi nel borgo fin dal XVII secolo, avevano assunto una
144
notevole importanza a Legnano. Essi davano a filare e a tessere il cotone,
da loro per primi introdotto in paese, non solo agli abitanti locali. ma
anche a quelli degli altri comuni limitrofi. Sempre secondo il Pirovano, il
commercio del cotone esercitato dai Cornacchia e dai Prata si estendeva
a Livorno, Marsiglia, Cipro e Smirne e cio' prova I'importanza dell'azienda.
che trafficava anche in prodotti di conceria e pellami dipinti.
Gia' nel 1807, in un rapporto ufficiale inviato dal municipio al governo.
risultavano esistenti in Legnano svariate filature di seta e cotone ed altre
aziende minori. tutte esercitate nella primitiva forma casalinga.
In una dichiarazione dell'8 aprile 1823 diretta alla Deputazione del Comune di
Legnano, a firma di certo Enrico Schoch, originario di Zurigo, e per conto
della "Filatura di cotone a macchine idrauliche" si fornivano le generalita'
di tre imprenditori esercenti I'attivita tessile in Legnano: Enrico Schoch,
Francesco Dapples, Giovanni Schoch, tutti di origine svizzera.
Erano elencati inoltre sette dipendenti con le rispettive qualifiche: Eraldo Krum.
fabbro ferraio; Enrico Egli, tornitore; Enrico Keller, assistente; Giuseppe
Gosti, Giovanni Grassi, Carlo Falcili e Antonio Sbertoli, filatori. (Arch. com.
cart. 151).
Un altro documento. firmato dalla Deputazione Comunale di Legnano, datato
1824, riporta I'elenco dei primi venti commercianti o imprenditori con
stabilimento rilevante d'industria in Legnano. Figuravano due mercanti
generici, cinque conciatori di pelli, ;Due venditori di tele, un
commerciante all'ingrosso dello stesso settore, due filatori di seta, due
pizzicamoli, due commercianti di cotone, un commerciante di
salsamenterie, un altro di legna e un terzo di legno; infine un esercente
I'attivita' di ferrarezza (ferramenta).
Queste prime attivita' manifatturiere, che avevano dvuto inizio nei due secoli
precedenti, favorirono, nella prima meta' dell'Ottocento, il sorgere di
officine per fabbricare macchine utensili, telai, caldaie ed accessori vari,
nucleo iniziale di una concentrazione di industrie destinate ad espandersi
in pieno secolo.
La stessa presenza di manodopera artigiana. gia' specializzatasi in campo
tessile, contribui' alla localizzazione nel territorio di Legnano dei grossi
complessi di filatura, tessitura e tintoria e quindi dell'industria meccanica.
Nei primi quarant'anni del secolo, con la crescita delle attivita' commerciali e
artigiane, si raddoppia, anche la popolazione del borgo. Da un atto
ufficiale del governo napoleonico del giugno 1805 risulta che la
popolazione di Legnano in quell'anno ammontava a 2784 abitanti. salita a
4536 nel 1840 e a 6349 nel 1861. Il documento era allegato al decreto
napoleonico che in quella stessa data riconosceva a Legnano una
rappresentanza comunale costituita dal Consiglio comunale e dalla
145
Municipalita'. Nei comuni di terza classe, che come Legnano non
superavano i tremila abitanti, il Consiglio comunale era composto di 15
membri. nominati dal prefetto del Dipartimento (Previncia), per quattro
quinti tra i possidenti e per un quinto tra i non possidenti di eta' superiore
ai 35 anni ed esercitanti un'arte, una professione o un mestiere e paganti
la tassa personale. Questi consigli comunali erano convocati ed assistiti
dal regio' consigliere del Distretto o Cantone. La Municipalita' era invece
composta da un podesta' e da sei o quattro savi, (nei comuni di terza
classe, erano soltanto due elsi chiamavano anziani, con a capo un
sindaco. Questi era nominato dal prefetto, mentre gli anziani erano eletti
dal consiglio comunale tra i venticinque piu' ricchi o notabili del Comune.
Gli uni nominata dal re ed aveva la qualifica difunzionario dello Stato.
Legnano in quel tempo era capoluogo del Cantone IV. inserito nel
Distretto IV (Gallarate) del Dipartimento di Olona, che aveva la sua sede
in Milano.
Nel primo decennio del secolo figurava, negli atti ufficiali, regio cancelliere del
Cantone: Annibale Mazza. Il Cantone comprendeva un territorio di 17
comuni con una popolazione complessiva di 12.727 abitanti.
E cioe' Legnano, Cairate, Cascina Masina, Castegnate, Castellanza, Cislago,
Fagnano con Bergoro, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Marnate, Nizzolina,
Olgiate Olona, Prospiano, Rescalda, Rescaldina con Rello, Sacconago
con Cascina Borghetto e Solbiate Olona. Alla successiva caduta di
Napoleone e con il conseguente ritorno della Lombardia sotto il dominio
austriaco, furono dettate nuove norme per le amministrazioni comunali,
con le quali in sostanza furono Ripristinate le disposizioni contenute nelle
riforme di Maria Teresa. Cio' avvenne con I'Imperial Decreto del 12
febbraio 1816. Nello stesso anno. ando' in vigore il nuovo compartimento
territoriale della Lombardia, che aboli' tanto la suddivisione francese
come quella austriaca precedente. Legnano cesso' di essere cosi'
capoluogo di Cantone e fu aggregato all Distretto XV di Busto Arsizio. In
quell'occasione I'archivio cantonale fu spogliato dai suoi principali
documenti, che passarono cosi' all'archivio comunale di Busto Arsizio
(G.B. Raimondi. Legnano. Busto Arsizio 1913).
Bisogno' poi attendere la formazione del regno d'Italia, come e' meglio
precisato nel capitolo dedicato ai sindaci e ai parroci, perche' il Comune
di Legnano riavesse il suo ordinamento autonomo.
Torniamo pero' alle vicende legate all'evoluzione del borgo agricolo di
Legnano nei primi decenni del secolo. Come si e' detto, la spina dorsale
dell'economia legnanese restava pur sempre I'agricoltura affiancata dalle
nuove attivita' emergenti. Qual era la consistenza dei raccolti agricoli di
Legnano a quei tempi? In questo prospetto dei raccolti dell'anno 1805
146
(Arch. com.. cart. 21) si rileva anche quanto mancava a coprire il
fabbisogno della comunita'
Nel 1814 la situazione del raccolto di cereali era notevolmente migliorata,
tanto che in un prospetto risultavano mancanti al fabbisogno della
popolazione soltanto 500 moggia di frumentone.
Per curiosita' annotiamo che, con un avviso pubblico del sindaco di Legnano,
veniva fissato il prezzo del pane di frumento. che doveva essere bello,
buono, ben cotto e ben condizionato e da vendersi, fino a nuovo ordine.
a Peso e non a numero e in pngnotte an una libbra e mezza Iibbra. Il
prezzo, in moneta italiana, doveva essere rispettivamente di 34 e 17
centesimi. Spesso la Municipalita' era costretta ad intervenire per dettare
norme in materia di pascoli e di tutela dei fondi e per dirimere accese
dispute tra molinari e agricoltori utenti di rogge irrigue, specie in mesi di
magra, appunto perche' ciascun mugnaio cercava il piu' possibile di tirare
I'acqua al proprio mulino. Gli agricoltori, per essere tutelati, si riunirono in
un Consorzio, il quale. nel 1818, acquisto' dal Governo i diritti demaniali
sul Fiume Olona per 8 mila scudi. Que- sto Consorzio e' lo stesso che
aveva ottenuto in precedenza diritti di derivazioni irrigue ed esiste tuttora
con il nome di "Consorzio fiume Olona".
Di tutte queste dispute esiste un'ampia documentazione tanto nell'archivio
comunale che nell'archivio del Consorzio, corredata da atti giudiziari,
avvisi pubblici e grida delle autorita' superiori costituite. Essendo il
Comune, come si e visto, amministrato da grossi proprietari o esponenti
della borghesia piu' abbiente, scarsa tutela avevano i singoli agricoltori,
piccoli proprietari; da qui la tendenza di questi ultimi ad aggiungere nuove
attivita' ausiliarie. Questa figura del contadino-tessitore. filatore o tintore
sviluppo' anche a Legnano i commerci, facendo sorgere I'esigenza di
aggiungere ai mercati di bestiame e prodotti agricoli, anche fiere di
manufatti e oggetti di artigianato in genere. Alla prima meta del secolo
risalgono infatti le pressanti richieste e perorazioni della Municipalita'
legnanese, per ottenere il ripristino dell'annuale Fiera dei morti, nel
periodo delle festivita' di Ognissanti e della commemorazione dei defunti.
Le ostilita' e le pressioni negative a livello politico erano principalmente
esercitate dai vicini centri di Saronno, Busto Arsi- zio e Gallarate, le cui
autorita' comunali vedevano nella rassegna fieristica di Legnano una
temibile concorrenza per la possibile costituzione di un nuovo polo di
attrazione commerciale, proprio in un comune che dimostrava
intraprendenza e laboriosita'. Legnano infine ebbe partita vinta nel 1806.
Un altro segno dei riconoscimenti ufficiali all'importanza di Legnano in
questo periodo fu I'istituzione di una seconda ricevitoria postale
autonoma nel territorio di Legnanello, avvenuta nel 1850. La prima era
147
stata aperta in paese nel 1826.
Il nuovo ufficio resto' aperto soltanto sei mesi, dall'aprile all'ottobre, in quanto
fu meglio organizzato il servizio della regia ricevitoria postale principale,
che trovi, sede sull'allora stradone per Legnanello (oggi viale Matteotti),
una ubicazione ritenuta idonea per la vicinanza col Sempione, I'arteria
lungo la quale si svolgeva il servita da diligenza a cavalli.
Tra le altre curiosita' ricavate dal materiale documentaristico dell'archivio
comunale, relativo alla prima meta' dell'Ottocento, risulta che le greggi e
gli animali domestici erano stati messi in pericolo da un'invasione di
feroci lupi che infestavano i boschi, alla periferia del Comune.
Pertanto il Sindaco di Legnano. con un avviso in data 27 giugno 1812, chiamo'
a raccolta tutti gli abili cacciatori, per organizzare una vasta battuta.
Nell'ordinanza si precisava che ai cacciatori sarebbe stata revocata
immediatamente la licenza di porto d'armi se non avessero risposto alla
precettazione senza un ragionevole motivo. Un'altra preoccupazione
delle autorita' fu il proliferare dei figli illegittimi e il governatore di Sua
Maesta', conte di Saurau, fece pervenire a tutte le autorita' delle province
di Lombardia una circolare datata 8 marzo 1816, nella quale vietava che i
figli generati illegittimamente potessero essere adottati dai loro genitori. Il
provvedimento fu determinato dal ricorso di un uomo ammogliato che come si legge nella circolare - si era rivolto all'autorita' per essere
autorizzato ad adottare due figli generati con altra donna durante
I'assenza della propria moglie e battezzati col suo nome. (Arch. com. di
Legnano, cart. 50). La salute pubblica, nella prima meta' del secolo, non
era sufficientemente tutelata se le statistiche delI'epoca registravano una
mortalita' media annuale del 43,67%, con una punta massima del
51.33% tra il 1833 e il 1842. La mortalita' di quel periodo comprese le ben
150 vittime di un'epidemia di colera, registrata nell'estate 1836. Le
epidemie ricorsero anche nel 1849 con 25 morti e nel 1854 con 200
morti.
Nel 1887 comparve invece. sempre in forma epidemica. il vaiolo, che in due
anni fece registrare 186 casi con 22 morti e costo' al Comune la cifra di
30 mila lire, cospicua per quei tempi. Purtroppo I'assistenza sanitaria,
non essendovi ancora un ospedale in paese, era assai scarsa e le
strutture comunali potevano disporre soltanto di un medico e di un
chirurgo (con lo stipendio annuo di 900 e 600 lire rispettivamente) fino al
1860, quando si aggiunse una levatrice condotta. Saranno poi lo sviluppo
delle attivita' industriali e il conseguente maggiore benessere della
popolazione e le piu' floride condizioni finanziarie del Comune a favorire
un'organizzazione sanitaria piu' idonea alle esigenze del paese, per
arrivare, nel 1903, alla costruzione del primo padiglione dell'ospedale,
148
grazie alla munificenza di industriali legnanesi.
149
Il Risorgimento
Gli anni successivi all'occupazione francese del 1796 furono caratterizzati da
grosse difficolta'. Ci furono generali cambiamenti delle strutture politiche,
ritocchi e trasformazioni non trascurabili effettuati dalle autorita'
austriache, che determinarono un generale senso di incertezza e
contraddistinsero il periodo compreso tra la fine del sec. XVIII e il
Congresso di Vienna, a causa di una serie di prepotenze militari, di
confische di vario genere, di disordine amministrativo (Ciasca R., L
'evoIuzione economica della Lombardia dagli inizi delsec. XIX al 1860,
Milano 1923, pp. 346-7) e di insicurezza per le persone di ogni classe
sociale e per i loro beni.
L'Amministrazione provinciale di Milano concesse sussidi anche ai contadini di
Legnano, borgo dalla spiccata tendenza agricola, poiche' l'avvento
dell'industria tessile era ancora lontano, ma essi non furono che palliativi
inadeguati a compensare i fittavoli dalle sopraffazioni dovute alle
violenze compiute dai militari e dai loro comandanti, per i quali era norma
comune appropriarsi di carri, bestiame, vettovaglie.
Tuttavia il rialzo dei prezzi subito dai generi di prima necessita' non
compromise l'apparato agricolo, che riusci' a far fronte alla nuova realta'
segnata dalle progressive espropriazioni della proprietà immobiliare
appartenente all'autorità religiosa, già in atto Don Giuseppe II. Fu proprio
quest'ultimo a dare il suo assenso alla decisione del Kaunitz di ubicare il
pellagrosario nell'ex convento di S. Chiara.
Il disagio prodotto fu comunque notevole e primi a sentire le conseguenze dei
nuovi provvedimenti
volti all'applicazione dei principi di liberta', uguaglianza e fratellanza divulgati
dalla Rivoluzione francese, nonostante le deroghe concesse in fatto di
maggiorascato, primogenitura e fedecommesso, furono i nobili, chiamati
a difendere le proprietà fondiarie.
Trassero invece vantaggio gli amministratori commercianti, i banchieri che si
affacciavano alla ribalta con l'arma della speculazione, sia pur pronti ad
indossare le vesti del pioniere per la riattivazione nel campo agricolo, di
fronte al ripiegamento nobiliare .
Solo quando la direzione dell ' amministrazione pubblica passò nelle mani
della magistratura italiana, che potè valersi della solida preparazione di
Francesco Melzi d'Eril, a partire dal 1802, incomincò, a serpeggiare la
fiducia. Oltre ai diversi provvedimenti che assicuravano la ripresa
agricola con la legittimazione concessa ai privati, di proprietà fondiarie
150
già dei religiosi, Legnano deve al Melzi la fondazione dell'Istituto
canossiano "Barbara Melzi"
ben lieta che il nobile si facesse suo
cittadino, dopo aver acquisito edifici e cospicue proprietà a Legnarello.
La storia pubblica di Francesco Melzi si intreccia dunque con le vicende della
Repubblica Cisalpina e con quelle del Regno napoleonico, in Italia, dopo
che il generale Bonaparte ebbe riportato una serie di vittorie sui
Piemontesi e sugli Austriaci.
Nei territori occupati fu subito istituita la Guardia Nazionale. A Legnano furono
arruolati nel terzo battaglione della terza legione, 848 uomini di truppa e
2 ufficiali eletti dal popolo: i tenenti Giuseppe Bossi e Santino Vismara
(Archivio Comunale di Legnano, cart. IS).
La costituzione della Repubblica Cisalpina divisa in tredici compartimenti con
capitale Milano, vide Legnano, sede di cantone, far parte del Distretto di
Gallarate, inserito nel Dipartimento dell'Olona.
A Legnano si svilupparono, come del resto in tutta la Lombardia, forze
contrastanti divise fra i sostenitori del ritorno degli Austriaci e quelli dei
Francesi, questi ultimi divisi, a loro volta, fra i moderati (seguaci del
conte Melzi), che godevano dell'appoggio del Bonaparte e i giacobini che,
malvisti, fornivano uomini alla Legione Lombarda e idee di unità ed
indipendenza, sulle colonne di alcuni giornali.
Anche a Legnano, e in tutta la Repubblica, furono soppressi alcuni conventi,
modificate le imposte e il vincolo matrimoniale mentre il registro di stato
civile fu affidato al Comune. Questa situazione però, non durò a lungo,
poichè, mentre Napoleone si trovava in Egitto, le forze austrorusse del
generale Suvarov sbaragliarono i Francesi a Cassano d'Adda,
riconquistando i territori lombardi, cosicchè il 28 aprile 1799 potevano
entrare in una Milano precipitosamente abbandonata dai capi del
governo cisalpino .
I nuovi venuti sciolsero la Guardia Nazionale, ripristinarono la censura sulla
stampa, imposero il coprifuoco, proibirono le adunanze politiche e
confiscarono i beni degli esponenti della Repubblica (anche quelli
legnanesi del Melzi, fuggito in Spagna), mentre torme di contadini,
davano la caccia in tutto il Milanese ai repubblicani. Non fu certo per
rispondere all'appello inviatogli da Saragozza dal conte Melzi che
Napoleone (ormai primo console) rivalicò, le Alpi ed entrò vittorioso in
Milano, il 2 Giugno 1800.
Il 29 dicembre 1801, il Melzi si recò a Lione con una folta delegazione di
Italiani per approvare la Costituzione della Repubblica Italiana, che
nacque ufficialmente nel febbraio 1802. Presidente ne era lo stesso
151
Bonaparte, vice presidente Francesco Melzi .
Il Melzi comincò, subito ad eliminare ogni residuo focolaio di giacobinismo; nel
solo Dipartimento dell'Olona furono cacciati oltre i tre quarti degli
impiegati e funzionari dello stato. Fu proprio tra i giacobini fuorilegge che
cominciarono a nascere quelle società segrete che tanta parte ebbero
poi nel Risorgimento .
Il malcontento perb non era solo fra gli Austriacanti e i giacobini. Pessima
accoglienza ebbe fra le popolazioni l'istituzione della leva obbligatoria,
decisa dal Melzi, che provocò tumulti e fughe in massa, anche se
l'arruolamento di decine di migliaia di lombardi (tra quelli in servizio attivo
e quelli della riserva) permise la partenza dal territorio della repubblica
dei soldati francesi, nient'affatto ben visti dalle popolazioni anche se si
presentavano in veste di liberatori.
Non si può dire che il periodo della Repubblica e quello immediatamente
successivo (quando Napoleone divenne Imperatore dei Francesi e cinse
la Corona ferrea di Re d'Italia) sia stato fecondo per il Legnanese, date le
spese di guerra e le continue leve di cittadini per l'Armata. Malgrado che
giovani generazioni imprenditoriali si affacciassero alla ribalta, favorite
dalla vendita dei beni della Chiesa la produzione industriale languiva e la
tecnica regrediva.
Tra le opere pubbliche più rilevanti di quel periodo va ricordato il Cavo Diotti,
un canale artificiale scavato a Legnano nel 1806, che, partendo
dall'Olona a Castellanza, manteneva le acque a un livello più alto, per
irrigare campi e vigne ubicati in zone elevate di Legnanello e S. Erasmo.
Con la campagna di Russia iniziò il declino dell'astro napoleonico e quindi la
fine del Regno d'Italia.
Il Melzi fu tra i principali fautori dell'offerta della Corona ad Eugenio
Beauharnais ma, quando già il Senato aveva nominato una delegazione
incaricata di recarsi a Mantova dal Vicerè, dalle campagne giunsero
turbe di contadini (assoldate e sobillate dagli austriacanti) che invasero
la sede del Senato e assaltarono le case dei bonapartisti più
rappresentativi, fra le quali quella di Milano dei Melzi d'Eril.
Tumulti si ebbero un po' dovunque, anche nel Legnanese e a Busto Arsizio; in
quest'ultimo Comune la folla, capeggiata da un carrettiere, distrusse le
liste della coscrizione militare.
Il 30 aprile 1814 le avanguardie austriache del generale Neiperg entrarono in
Milano, il 13 maggio il maresciallo Bellegarde prendeva possesso della
Lombardia, in nome dell'imperatore Francesco I.
Durante la dominazione austriaca si svilupparono le società segrete e si
ebbero cospirazioni e moti insurrezionali. A Legnano, come altrove, molti
cittadini si resero conto della assoluta necessità di un distacco
152
dall'Austria e del superamento della divisione dell'Italia in tanti stati. Di
ciò si ebbe la prova negli episodi del '48, per la attiva partecipazione di
legnanesi .
Il 3 gennaio di quell'anno a Milano iniziò la protesta, con la guerra del fumo.
Nei mesi seguenti non solo l'Italia, ma l'intera Europa (Austria compresa)
fù sconvolta da una serie di moti e insurrezioni.
Milano insorse il 18 marzo, dando avvio alle epiche cinque giornate e
scacciando i soldati del maresciallo Radetzky.
Anche i Legnanesi insorsero e costituirono bande improvvisate e con
armamento di fortuna. Il 23 marzo Carlo Alberto varcò il Ticino,
raccogliendo sotto le sue insegne volontari di tutta l'Italia.
Il 12 maggio 1848 ebbero inizio le operazlonl per il plebiscito indetto dal
Governo Provvisorio, ai fini dell'annessione immediata della Lombardia
al Piemonte. Tali operazioni, a cui il clero rese un segnalato servizio, si
conclusero il 29 maggio, giorno sacro alla memoria della battaglia di
Legnano. In ogni parrocchia delle otto province allora libere si formarono
sezioni elettorali presiedute dal parroco assistito da due commissari
scelti tra la popolazione e delegati dall'autorità comunale. Nella casa
parrocchiale di Legnano furono allestiti due registri per raccogliere le
firme di chi voleva l'annessione immediata e di chi desiderava rinviare
ogni decisione alla fine della guerra. Potevano votare solo i maschi che
avevano compiuto il 21' anno d'età, mentre gli analfabeti facevano il
segno della croce a conferma della loro identità autenticata dai delegati,
che pure firmavano ogni pagina dei registri, in analogia a quanto
succede oggi.
Il risultato generale fu di 561 mila voti per l'annessione immediata e di 681 per
il differimento della decisione .
Non possiamo dire se e quanti furono i Legnanesi che in seguito combatterono
con l'esercito piemontese o con i Cacciatori di Garibaldi, ma sicuramente
molti si arruolarono nella Guardia Nazionale e in agosto (dopo la
sfortunata battaglia di Custoza del 24 luglio 1848) si opposero con gli
altri in armi al rientro degli Austriaci in Milano, combattendo
valorosamente a Porta Tosa.
Il 30 settembre a Legnano gli Austriaci proclamarono lo stato d'assedio e
iniziarono le persecuzioni contro i liberali. Il dottor Saule Banfi, medico
comunale, subì l'arresto e poi l'esilio. Molte armi furono sequestrate
durante le perquisizioni. Il 1O marzo 1849, in conseguenza delle
sommosse dell'anno precedente, Radetzky fece affiggere anche in tutto
il Legnanese un proclama col quale invitava i disertori a tornare ai
rispettivi reparti, assicurando il perdono se ciò fosse avvenuto entro il 30
aprile (Archivio Comunale di Legnano, cartella 89).
153
Ma, solo dieci giorni dopo, Carlo Alberto varcava per la seconda volta il Ticino.
Battuto, dovette prendere la via dell'esilio. Gli anni successivi videro in
Lombardia una grande attività cospirativa e fughe di patrioti verso il
Piemonte. Nella casa milanese di via Pontaccio della patriota legnanese
Ester Martini Cuttica si riunivano i congiurati, capitanati da Piolti de'
Bianchi e dal Brizio e autori della rivolta del 6 febbraio 1853. Lo stesso
Piolti de' Bianchi rimase nascosto presso i Cuttica, a Legnano, prima di
riparare in Piemonte.
Il 26 aprile 1859 Camillo Benso di Cavour respinse l'ultimatum austriaco che
invitava il Piemonte a disarmare. L'Austria dichiarò così guerra allo Stato
sabaudo. Il 4 giugno i Franco-Piemontesi guidati dal generale Mac
Mahon sbaragliarono gli Austriaci a Magenta .
Medico sul campo di battaglia troviamo, al comando di un reparto sanitario,
quel Saule Banfi che era stato esiliato nel 1848.
Gli scontri interessarono anche il territorio compreso tra il Ticino e l'Olona a
nord di Magenta, dove era dislocata la brigata austriaca del generale
Benedeck, che faceva parte del contingente del generale Urban.
All'indomani della battaglia di Magenta, il 5 giugno, il generale Urban
dispose che la brigata del generale Benedeck lasciasse la posizione di
attacco a Busto Garolfo, si recasse a Legnanello via Legnano, si
accampasse a Legnanello e occupasse Legna nofronteggiando il Ticino.
(L. Giampaolo, vicende varesine del marzo 1849 alla proclamazione del
Regno d'Italia e la seconda campagna di Garibaldi nel Varesotto, Varese
1959 p. 427).
Il giorno successivo la brigata lasciò Legnano ma, essendosi i Legnanesi
dimostrati ostili, il comandante, per evitare disordini e atti di sabotaggio,
ritenne opportuno prendere come ostaggio il prevosto di S. Magno,
Antonio Ponzoni. Molti Legnanesi si accodarono al reparto gridando:
mola, mola! (l'ostaggio).
Il prevosto fu rilasciato incolume solo ai confini del territorio comunale.
La divisione del generale Urban era la stessa che era stata continuamente
battuta dai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Mancano documenti
probanti sul numero dei Legnanesi che risposero all'appello lanciato da
Garibaldi al primo metter piede sul suolo Lombardo, ma senz'altro si
arruolò il legnanese Luigi Fazzini, perchè sappiamo che cadde nella
battaglia di S. Fermo ed è quindi da annoverare tra i martiri del
Risorgimento. Con l'entrata
dei Franco-Piemontesi in Milano e la
tremenda giornata di Solferino e S. Martino, la Lombardia si liberò
definitivamente della dominazione austriaca.
Nel novembre del 1859 apparve sui muri di Legnano un manifesto per la
raccolta delle offerte per l'acquisto di un milione di fucili necessari a
154
costituire la Potenza Italiana, una sottoscrizione lanciata su scala
nazionale da Giuseppe Garibaldi. (Archivio Comunale di Legnano).
L'invito era giunto alla Deputazione Comunale di Legnano tramite la Camera
di Commercio di Milano, in quanto era particolarmente rivolto al Ceto
Mercantile e Industriale di Legnano perchè è dovere di tutti cooperare al
santo scopo, ma è precipuo dovere dei Commercianti e Industriali, ne'
quali e' concentrata la ricchezza per la massima parte del paese.
Alla sottoscrizione risposero infatti Legnanesi di tutti i ceti, dai grandi industriali
agli operai. In due liste di sottoscrittori si notano i nomi di Saule Banfi, del
filatore di cotone Eraldo Krumm, uno dei pionieri dell'industria legnanese,
di commercianti, osti, prestinai, pellettai, farmacisti, postari. Sono inoltre
presenti alunni e alunne delle scuole e gli operai dello stabilimento
Cantoni, a dimostrazione che lo spirito risorgimentale non conosceva
barriere di classe.
Furono raccolte fra i Legnanesi 351 lire e 43 centesimi, una cifra di tutto
rispetto, dati i tempi non certo floridi .
Non uguale fortuna ebbe due anni dopo la Sottoscrizione volontaria della
Spada d'onore, Sciabola e Revolver Carabina e Sussidi per la Guera al
Generale Garibaldi. Malgrado il sindaco, avvocato Calini, fosse
d'accordo, la Giunta comunale non approvò la proposta, che non fu
dunque divulgata fra i cittadini .
Il 16 giugno 1862 Garibaldi venne in visita a Legnano, accompagnato dai fidi
Menotti, Missori e dai fratelli Benedetto ed Enrico Cairoli, figli di Adelaide,
grande amica di Ester Cuttica. Dal balcone di casa Bossi (che sorgeva
ove ha oggi sede la Banca di Legnano, all'angolo tra l'attuale corso
Garibaldi e via Crispi) Garibaldi lanciò, l'idea di costruire un monumento,
a ricordo della vittoria del 1176.
L'idea fu raccolta dalla Societa Archeologica Milanese e dai cittadini di
Legnano. Fu organizzata una sottoscrizione nazionale per mettere
insieme la somma necessaria e furono incaricati l'architetto Achille
Sfrontini e lo scultore Egidio Pozzi, il primo di disegnare il basamento e
l'altro di fondere la statua di un guerriero.
Le cose però andarono per le lunghe, per una serie di polemiche sorte sui
giornali e per la volontà dei Milanesi di erigere invece il monumento a
Milano, tanto che a pochi giorni dal 29 maggio 1876, settimo centenario,
era pronto solo il piedistallo. Utilizzando il bozzetto ed il calco del Pozzi,
fu costruito un guerriero di cartapesta verniciata in color bronzo. Sembra
che quasi nessuna delle quarantamila persone giunte da tutta l'Italia si
fosse accorta della finzione. Alle prime piogge la finta statua si dissolse
completamente. Bisognerà aspettare il 29 giugno del 1900, per vedere
l'inaugurazione del monumento attuale, opera dello scultore Enrico Butti.
155
Tornando al 1862 due mesi dopo la sua visita legnanese, Garibaldi tentò di
dirigersi su Roma, (nel 1860 con i Mille vi era anche il diciottenne Renato
Cuttica, figlio dell'eroina), ma il 29 agosto fu ferito all'Aspromonte e i suoi
seguaci furono dispersi dall'esercito nazionale. In seguito allo sdegno e
all'emozione che questo avvenimento suscitò a Legnano, il Consiglio
comunale volle ricordare la visita di Garibaldi decidendo di sostituire con
Corsia Garibaldi le vecchie denominazioni di Contrada Maggiore e
Contrada S. Domenico, nel tratto in cui era ubicata la casa, dalla quale
l'eroe aveva salutato i Legnanesi.
Vent'anni dopo su quell'edificio fu murata una lapide che ricordava
l'avvenimento. Quando la casa fu demolita la lapide fu portata al Museo
Civico ed al suo posto, sul muro della nuova costruzione, è stata poi
murata una seconda lapide a cura della Societa Arte e Storia di Legnano
e della Banca di Legnano.
Il legame di Garibaldi con Legnano durò nel tempo. Nel gennaio 1879,
diciassette anni dopo la sua storica visita (anche Mazzini, perseguitato
come sempre dalle autorità sabaude, aveva segretamente visitato i
mazziniani di Legnano, attratto dal ricordo della battaglia), Garibaldi
accettò la presidenza onoraria della Società di Tiro a Segno, appena
fondata da Renato Cuttica il quale nel frattempo, dopo aver indossato la
camicia rossa anche nel Trentino (1866) e a Mentana (1867), era
divenuto un apprezzato politico locale e ingegnere capo del Comune.
Garibaldi accettò la carica con una lettera in cui fra l'altro affermava: La
carabina persuade piu' delle parole i nemicil della Patria, la quale forse
avrà bisogno del vostro forte braccio. Addestratevi e siate degni d'Italia.
Queste parole, che riecheggiano quelle con cui Garibaldi aveva lanciato la
sottoscrizione per un milione di fucili, chiudono in un certo senso il
periodo risorgimentale della nostra città.
Sono otto i militari legnanesi iscritti nel registro dei combattenti nelle guerre del
Risorgimento conservato al Museo del Risorgimento di Milano.
Legnano ebbe anche un caduto tra i partecipanti alla battaglia di S. Fermo,
Luigi Fazzini, ma altri ancora, oltre a questi registrati e ufficialmente
conosciuti, presero parte alle campagne per l'indipendenza d'Italia, non
solo militari ma anche civili che operarono attivamente in appoggio alle
forze armate, perchè il Risorgimento fu anche un moto di popolo.
Al Museo Civico di Legnano è conservata una divisa di garibaldino, trovata in
una vecchia abitazione ed appartenuta ad un legnanese, di cui non si
156
conosce il nome.
Ecco l'elenco dei combattenti inseriti nell'albo della gloria al già citato
di Milano.
Matricola
Cognome e nome
Campagne
Grado
349
Clementi Antonio Pietro di Giulio
reggimento granatieri
1866
21658
Glori Giovanni
reggimento fanteria
1866
18844
Lupo Gregorio di Antonio
reggimento fanteria
1866
17234
Mereghetti Luigi di Carlo
reggimento fanteria
1860-61
780
Monticelli Michele di Giuseppe
reggimento fanteria
1866
20804
Ranaboldo Giuseppe di Giovanni
reggimento fanteria
1866
17185
Vignati Angelo di Antonio
reggimento fanteria
1860-61
246
Zerbone Luigi Maria di Alessandro
reggimento fanteria
1860-61
157
soldato
Museo
Corpo
7'
soldato
10'
soldato
9'
soldato
10'
caporale
68'
soldato
6'
soldato
10'
soldato
26'
Uomini illustri
La scelta di alcuni uomini illustri di Legnano, descritti in ordine cronologico, e'
volutamente caduta su figure del passato, senza avere la pretesa di
essere esaustiva. Sono stati lasciati da parte personaggi che pure hanno
dato lustro alla citta' in epoche più vicine, non tanto per la mancanza di
prospettiva storica che le vicende della loro esistenza possono avere
assunta, quanto per una discreta sensibilità' nei confronti di coloro che
furono protagonisti degli ultimi eventi e per il desiderio di non opacizzare il
valore di un'azione o la profondità' di un'idea, collo schiumare di note
transitorie calate nelle righe più o meno fitte di una pagina.
- Le notizie intorno a D. Guilielmus de Legnano, già' abate umiliato di Monte
Lupario o Monlue', vicino a Milano e poi di S. Ambrogio sono dedotte
dall'epigrafe scolpita sul coperchio della sua arca, nella chiesa di S. Satiro.
Il testo riportato dal Puccinelli (Raccolta d'iscrizioni dopo lo zodiaco, cap.
XIV, n. 26, Milano 1650) e da esso si può dedurre che l'abate, dai costumi
severi, guido', i suoi monaci secondo castità' e onesta': fu doctor legis,
costrui' diversi palazzi; orno' decorosamente il chiostro e la chiesa di S.
Satiro, a Milano; restauro', diversi edifici religiosi; accumulo', grandi
ricchezze docto moderamine, finche' le sue ossa riposarono nell'ottobre
1267.
-- Il diritto doveva essere proprio di casa presso la famiglia Legnani se, a
travasarlo in prove dignitose, tra i membri del casato, uno dei primi fu
Francesco, assunto a fama nel Medioevo, per essere stato uno dei dodici
anziani del popolo milanese,. detti della "Provvisione".
Le sue qualità di illustre giureconsulto furono sfruttate per l'elaborazione del
giuramento che Matteo Visconti pronunzio' nel 1289 "sopra la loggia degli
Osii nel broletto nuovo, colle trombe, per giurare il capitanato del
popolo": .. . ad bonum tranquillum et pacificum statum populi et communis
Mediolani, acomnium amicorum ... vos domine capitanaee jurabitis
regere populum Mediolani. Il testo completo del giuramento e' stato
riportato da B. Corio (Storia di Milano, vol. I, Milano 1975, p. 646), uno dei
primi studiosi di storia milanese, che abito' anche in casa Melzi, a
Legnarello (ora corso Sempione, n. 157), in un'ampia abitazione
arricchita da colonnati e dipinti dei sec. XV e XVI. L'opera del Corio fu
stampata, nel 1503, dagli editori "da Legnano", discendenti da Giovanni,
158
pure famoso doctor utriusque doctrinae.
-- Se fra tutte le citta' della terra una nomea universale celebra ed esalta la
Lombardia per la fertilità delle sue pianure (De magnalibus Mediolani,
introduzione); se fra. le citta' della Lombardia la fama magnifica Milano
come la rosa e il giglio tra gli altri fiori, velut rosa vel lilium inter flores, non
c'e' motivo per dubitare che, fra tanta eccellenza un posto preminente
possa spettare tra gli abitanti, per la sua qualitas, anche a Bonvesin de la
Riva, a cui appartengono le lodi sopra indicate.
Non possediamo notizie sicure sulla sua giovinezza, ne' sappiamo donde
abbia tratto i natali, tanto che alcuni scrittori formulavano l'ipotesi
addirittura di una derivazione da Riva di Trento o Riva, sul lago di Lugano,
ma e' probabile che Bonvesin sia nato a Milano, intorno al 1230 circa; che
abbia fatto l'insegnante di scuola media a Legnano, fino al 1230 circa,
come asserisce mons. Paredi nella presentazione del De Magnalibus
(Milano MCMLXVII), e in seguito si sia trasferito a Milano, a Porta
Ticinese, con la moglie Benedicta (primo testamento), oppure Benghesia
o Benghedisia (secondo testamento), morta la quale, sposo' Floramonte
senza che l'una o l'altra avesse figli. Quindi, benché' il suo nome fosse
spesso preceduto da un fra o frater, era un laico iscritto all'ordine degli
Umiliati, come dice l'epitaffio riferito dal Giulini (Op. cit. Vol IV, pag. 742):
Hic iacet F. Bonvicinus de ripa de ordine tertio humiliatorum doctor in
grammatica qui constrixit hospitale de Legniano...
Tale iscrizione scolpita sulla tomba, si trovava nel chiostro della chiesa di San
Francesco a Milano. Sempre secondo l'epigrafe, Bonvesin, se non fondo'
personalmente l'ospedale di Sant'Erasmo a Legnano, ne fu certamente
un largo benefattore. Sia nel testamento del 1304 che in quello del 1313,
si parlava infatti di un affitto che i frati di detto nosocomio erano tenuti a
pagargli, pur potendo fruire di un carro di vino quale ricompensa, per
suffragare i defunti della famiglia.
Nonostante la dichiarata appartenenza all'ordine degli Umiliati, come dice
l'epitaffio, notevoli furono gli sforzi fatti da A. Ratti, il futuro Pio XI, per
quanto non confortati da risultati definitivi, per strappare il nostro autore
da un ordine legato da interessi cospicui all'arte della lana e
dall'archibugiata facile diretta a San Carlo Borromeo, per assegnarlo
all'ordine dei Francescani, in un momento di soprassalto contro
l'ortodossia.
Dotato di largo merito, Bonvesin ne distribui' gran parte di donazioni e in
affari con amministrazioni pie ed ospedali. Dal 1296 fu iscritto all'ordine di
San Giovanni di Gerusalemme e, a partire dal 1303, fu ispettore
dell'ospedale Nuovo di donna Bona.
159
Fra le sue opere poetiche si distinguono, sul piano artistico, per vivacità e
schiettezza, i Contrasti. Non meno interessanti, per originalità del tema,
furono anche i poemetti volgari, in alcuni dei quali trattò leggende
cristiane e discettò sulle più sottili raffinatezze del desco (Cinquanta
cortesie da desco), in un'opera composta durante la permanenza a
Legnano, come fu ricordato dal primo verso:
Fra Bonvesin dar Riva che sta in borgo Legnian.
Accanto a questo codice di buona creanza, capace di stuzzicare la curiosità
del lettore con la testimonianza conviviale dei nostri antenati, non stona il
Libro delle tre scritture, un'opera poetica che evidenzia le miserie
dell'uomo, dalla nascita fino alla redenzione operata da Cristo.
L'intento di Bonvesin non era però tanto quello di effettuare considerazioni
astratte, quanto di narrare, come fece nel Volgare delle Elemosine o
meglio ancora nelle opere in latino come il De vita scholastica, assunta
recentemente agli onori dell'inclusione nella collezione germanica
Teubner, mentre minore fortuna ebbe il De menzsibus.
Il trattato più noto e in latino, e' naturalmente il De Magnalibus urbis Mediolani,
a cui l'autore attese con anni di paziente ricerca, per offrire ai lettori un
quadro esauriente di Milano e del territorio, com'era ai suoi tempi,
attraverso la celebrazione dei fasti civili e religiosi della citta,
diffondendosi in particolari preziosi sulla sua consistenza topografica,
demografica, edilizia.
Ultimamente la critica sembra aver concentrato l'attenzione sugli aspetti
linguistici della sua produzione e in particolare sul De cruce, mimetizzato
tra i tesori della Biblioteca Ambrosiana, ma divulgato dall'editore
Scheiwiller, sapientemente allineato lungo il filo della linea lombarda al di
la' "delle paratie dei generi" (Contini, Novita' dell'antico Bonvesin, in
Corriere della Sera, 16 dicembre 1979).
-- Si dice che il Medioevo rinascente, con le strutture della vita biologica, non
meno che della sua vita mentale, abbia perso qualcuno dei colori troppo
vividi e brillanti, di cui era stato ornato. Dobbiamo forse pensare per
questo che il quadro sia stato troppo oscurato, fino ad opporre a una
realistica visione le immagini più' cupe evocate un tempo, tratte da alcune
grandi affermazioni nel campo del diritto, della religione, della vita
spirituale, delle arti primitive? A mitigare tale impressione sembra che un
contributo notevole venga dal giurista Giovanni da Legnano.
Di mente spietatamente critica, in grado di ricondurre alle giuste proporzioni le
diverse proposizioni culturali, capace di spaccare in due la parola per
estrapolarne il valore recondito, lo scrittore medioevale si sforzo' di
individuare, nei loro rispettivi rapporti, le varie forme dell'attività' umana.
160
Di fronte alle mutilazioni che l'insegnamento scolastico fece della storia,
della storia dell'arte, dell'archeologia, della storia della letteratura (o
meglio delle letterature, nel mondo del bilinguismo, in cui fiorirono,
accanto al latino dei chierici le lingue volgari), della storia del diritto (o
meglio sarebbe dire dei due diritti, perché il diritto canonico si andava
organizzando di fronte all'insorgente diritto romano), Giovanni da
Legnano fece suo quello che la civiltà medioevale avverti' più di ogni altra:
la passione della globalità.
La data e il luogo della nascita di Giovanni, discendente dalla famiglia Oldrendi,
che divenne poi Legnani, per i possedimenti in quel di Legnano,
Legnarello e Cerro, sono rimasti finora avvolti nell'ombra, anche se non si
può escludere l'origine legnanese o perlomeno milanese. Tale tesi e'
confortata dal testamento dello studioso. In esso si dichiarava che
Giovanni era il figlio del Conte de Oldrendis de Legnano Mediolanensis
diocesis e tra l'altro si precisava disposizioni a favore della chiesetta di
San martino a Legnano, mentre si disponevano provvedimenti a favore di
studenti originari di Legnano, che volessero frequentare lo studio
bolognese, nel cui spirito testamentario, nel 1983, in occasione del sesto
centenario della morte dell'autore, fu costituita, a Legnano, la
"Fondazione Famiglia Legnanese", per l'erogazione di borse di studio.
Dell'origine sopra accennata fanno fede inoltre i trattati sull'interdetto
ecclesiastico, sulle ore canoniche, sulla censura, sulla pluralità dei
benefici, sulla guerra, che indicano come autore Iohannes de Lignano
Mediolanensis.
Scarse sono le notizie sul periodo trascorso, nei primi anno del 1300, a Milano,
dall'autore, il cui nome era inserito nello "statuto della Scuola di San
Giovanni sul Muro", del 1337. Oscuri sono pure i motivi che indussero lo
scrittore ad allontanarsi da Milano, per stabilirsi a Bologna. Lì il "Da
Legnano", esercitò un'intensa attività didattica e di scrittore, svolgendo
anche la professione di avvocato, documentata da numerosi contratti e
Consilia.
Particolarmente impegnativa fu pure la sua attività politica esplicata come
ambasciatore in delicate missioni presso il Papato e, come legato
pontificio, durante lo scisma d'Occidente, a cui dedico', una Epistula ad
Cardinalem Petrum de Luna e due trattati di Urbano VI. Si può' dire,
anche se ha dato il meglio di se stesso nel campo del diritto civile e
canonico, che non ci sia stata branca dello scibile, nella quale l'autore
non abbia sviluppato le straordinarie doti del suo eclettismo, come @
sintetizzato nell'epigrafe posta sul suo sarcofago, dalla filosofia (de
amicitia) all'astronomia, dalla medicina alla matematica, e perfino
all'astrologia, perché era convinto che l'uomo di legge, se fosse stato
161
esperto di scienza, avrebbe soddisfatto esperienze anche di ordine
pratico e non solamente accademico (Cfr. De cometa, La figura della
grande costellazione, Somnium, Proemio al De Bello, De adventu Christi,
De iuribus Ecclesiae).
Se il Legnani si accinse a predire l'avvenire, lo fece però solo per le eclissi e
pochi altri fenomeni celesti, senza lasciarsi travolgere dalla follia
astrologica.
Infatti per la dottrina rigorosa, per le idee al servizio della prassi, per il
procedimento comparativo dialettico, con cui applicava le regole del
diritto civile a quello pubblico e rifletteva l'autorità del Digesto nelle
questioni politiche, informo' a Bologna la pubblicistica fino al termine del
sec. XIV.
Non è necessario saccheggiare il repertorio della retorica, cui fecero largo
ricorso i suoi ammiratori, per mettere maggiormente a fuoco la sua
personalità@. Dei meriti si resero particolarmente conto i suoi concittadini,
che lo crearono cittadino onorario e gli conferirono la nomina di Vicario
equivalente a quella di Signore di Bologna. Anche quando rassegnò@,
tale carica, Giovanni da Legnano fu sempre tra i primi cittadini, come
componente del Consiglio dei Quattrocento, anche se non destinato a
coprire a lungo tale compito, perché morì il 16 febbraio 1383,
probabilmente colpito dalla peste. Gli furono decretate solenni esequie e
il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Domenico. Il mausoleo a lui
dedicato, ancor visibile nel Museo Civico di Bologna, rappresenta uno dei
più pregevoli monumenti scultorei dell'epoca.
Nel dare un giudizio sull'opera di Giovanni da Legnano, sembra non gli si
possa negare animosità nell'affrontare i problemi terreni, energia nel
tentativo di arrivare a soluzioni concrete. Può sembrare utopistica la sua
tesi sul principato universale della Chiesa, proprio alla vigilia dello
scoppio dello scisma, ma può essere intesa come espressione di un
desiderio sentito, volto alla costruzione di un ordine basato sulla pacifica
convivenza, di fronte a un impero in grave crisi. Se in sede critica e'
naturale una certa diffidenza verso la sua tecnica espressiva, fatta
spesso di luoghi comuni, di forme usuali, di ripetizioni, dobbiamo pero'
vederla come qualche cosa di posteriore rispetto alla varietà della sua
concretezza, all'interiorità della sua anima.
Al di là del panorama esauriente dell'impostazione dottrinale conta soprattutto
l'introspezione del concetto di libertà@, nel tentativo di adattamento alle
strutture di un particolare periodo; conta l'equilibrio di una certa volontà
terapeutica, congiunto a un pragmatismo non indifferente, che parte da
geniali proposizioni scientifiche, per tradurle in principi animatori di
esperienze reali.
162
-- Non si sa quanto valga l'incontro di circostanze all'inizio di grandi destini o
generazioni blasonate, ma é certo che la fortuna ama avvolgere le proprie
sinuosità attorno a vitalità dirompenti, quali furono i "Vincemala", anche
se il lettore smaliziato può, guardare con sospetto a un'apologia del
genere. Si sa ad ogni modo che tutte le famiglie e non solo le più nobili
hanno conosciuto momenti inquietanti, magneticamente occulti o
stravaganti, come hanno vissuto momenti di splendore segnati dalla
rabdomantica capacita di cogliere dal più minuto segnale messaggi di
eventi favorevoli. A voler dare significato alle parole, concorse, in tal
senso, la figura di Gian Rodolfo Vismara.
Discendente da antica famiglia compresa nella "Matricola" dei nobili milanesi
rogata nel 1377, trascorse la sua esistenza in parte a Milano, nella
parrocchia di S. Martino a Porta Nuova e in parte a Legnano, dove i suoi
antenati possedevano un mulino già nel 1043. Nelle grazie dei Signori di
Milano, la sua famiglia ricambiò la protezione con la donazione di terreni
usati sia per la costruzione di un auditorium nella zona centrale di Milano,
divenuto poi chiesa di S. Maria del Giardino; sia per l'erezione del
convento servita di S. Maria del Paradiso. A tale scopo poté usufruire di
una concessione ducale rilasciata il 19 marzo 1493, perché' potesse
sfruttare una certa quantità d'acqua del fiume Olona, a favore dei
monasteri in costruzione.
A Legnano il Vismara sfrutto' la vistosa eredita' paterna per assistere
generosamente l'ospedale di S. Erasmo, di cui fu direttore grazie alla sua
qualità di medico, ma senza retribuzione. Fondi, inoltre un convento di
Francescani Minori detto di "S. Maria degli Angeli" sito in quello che
attualmente é corso Garibaldi, non lontano dal maniero oggi sede del
Museo Civico ed eresse il monastero delle Clarisse di S.Chiara, verso
l'odierno corso Italia. Tale monastero fu soppresso nel 1782
dall'imperatore Giuseppe II.
-- Maestro di grammatica a Legnano, nel 1518, pare che qui sia stato sepolto.
I suoi biografi amano ricordarlo come autore di un distico posto sopra il
portale della canonica di Legnano: Pabula, vina, ceres, rivorum copia
templum Legnanum illustrant multaque nobilitas. 1518 che esalta il
carattere agricolo della città favorita dall'abbondanza dei corsi d'acqua e
dalla presenza di numerose famiglie nobili. Gli si attribuiscono però,
anche due versi incisi sull'alto della porta della chiesa di S. Maria in Busto
Arsizio: Virgo, populus qui hanc lustro tibi condidit aedem fac vigeat felix
totaque posteritas.
163
Non é certa la notizia, in base alla quale sarebbe stato il capostipite della
famiglia Bossi.
-- La famiglia Cornaggia ebbe una notevole parte nella vita pubblica
legnanese. Un Carlo Cornaggia si trova tra i firmatari dell'atto del 1649 col
quale i cittadini legnanesi provvidero a riscattarsi dal feudo. Un altro
marchese Cornaggia figura nel verbale del "concordato generale" del 28
novembre
1760,
conservato
nell'archivio
storico
comunale.
Successivamente i marchesi Cornaggia risultano proprietari del Castello
Visconteo di Legnano, trasformato in vasta proprietà agricola, che già
comprendeva 18 mulini lungo l'Olona in gran parte acquistata
dall'Amministrazione comunale insieme al castello.
Gabriele dei Marchesi Cornaggia-Medici, nato a Milano nel 1856 ed ivi morto
nel 1908, fece parte per ben 23 anni del consiglio comunale di Legnano,
e per 15 della giunta municipale; fu uno dei membri più attivi e ascoltati
per competenza amministrativa e serenità di giudizio.
- Milano 1753 - Bellagio 1816) - Discendente di una antica famiglia spagnola,
fu uomo politico e attivo nel periodo della repubblica Cisalpina e nel primo
periodo del Regno d'Italia. Dopo la conquista napoleonica della
Lombardia, Milano divenne il più' attivo centro del movimento giacobino
italiano, al quale aderirono patrioti delle più' svariate classi sociali, oltre ad
eminenti esponenti della nobiltà di quei tempi. Napoleone, preoccupato
principalmente che il governo della città non cadesse nelle mani della
parte più oltranzista del giacobismo, vi immise alcuni uomini moderati,
che garantissero l'esecuzione delle sue volontà, come finanzieri, grossi
proprietari terrieri e nobili milanesi. Tra questi il Conte Francesco Melzi
d'Eril, che era considerato il capo dei moderati. Lo stesso Napoleone
designò tra i redattori della Costituzione della Repubblica Cisalpina con
Greppi, Taverna, Triulzi, anche i Melzi che divenne, nel 1802, vice
presidente della stessa Repubblica. Francesco Melzi d'Eril, che aveva
sposato Caterina Modignani, rafforzo' il possesso dei beni terrieri, case e
palazzi patrizi a Legnano e, primo del suo casato, divenne così cittadino
di Legnano (Luigi sartori, l'Opera Barbara Melzi, Legnano 1961).
Allo scoppio nel marzo 1799, della nuova guerra tra Francia e Austria si
ebbero violenti moti antirepubblicani anche in Lombardia e nei tre mesi
del riconquistato dominio degli austriaci, molti beni del Melzi d'Eril furono
confiscati e lo stesso fu giudicato in contumacia, essendosi rifugiato a
Saragozza. Al ritorno dei Francesi in Lombardia, il Melzi riebbe i suoi
poteri e si dedicò, alla formazione di un esercito nazionale come garante
dell'indipendenza.
164
Fondò col napoletano Vincenzo Cuoco anche "Il giornale italiano", al quale
collaborarono intellettuali dell'epoca come Monti, Foscolo, Romagnosi e
Berchet. La rivista ebbe solo tre anni di vita, anche se era diffusa in tutta
Italia presso i ceti colti.
Alla caduta di Napoleone e all'avvento del Regno d'Italia il Melzi d'Eril fu
nominato cancelliere guardasigilli della corona.
Una discendente di questo personaggio, figlia dell'omonimo conte Francesco,
coniugato ad Isabella Salazar, fu Barbara Melzi, fondatrice dell'istituto
ancor oggi esistente.
(1825-1899) Figlia del conte Francesco Melzi d'Eril, nobile di antica casata, e
di Isabella Salazar, entrò come novizia canossiana nel convento di S.
Michele alla Chiusa a Milano, ma, nel 1848, prima dell'arrivo a Milano
dell'esercito piemontese in ritirata dopo Custoza, le novizie, e con esse
Barbara, furono rinviate alle rispettive famiglie.
La sua vocazione religiosa era molto solida e Barbara Melzi che, nel 1849,
aveva preso i voti di professione religiosa, cominciò a svolgere a Legnano
la sua opera di carità e di insegnamento. Il padre, conte Francesco, per
tenere la figlia a lui vicina, decise di realizzare una fondazione a
Legnanello, dove donna Barbara potesse proseguire la sua vocazione di
educatrice in conformità alle regole delle Canossiane di via Chiusa.
Ottenuta l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, il conte Melzi, il 1
agosto 1853, fece atto di donazione di tutti i suoi beni a favore della casa
canossiana di Milano, che già aveva aperto a Legnanello una filiale, a
condizione che venisse resa indipendente con l'istituzione dell'Opera
Melzi. Il 3 aprile 1854, l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Carlo dei conti
Romilli concesse la inamovibilità dalla casa di Legnano di Donna Barbara
e la indipendenza della casa stessa da quella di Milano e di altre fuori
Milano.
L'Opera Melzi si estese poi da Legnarello a Tradate, dove il conte Melzi aveva
lasciato altri beni alla figlia.
L'Istituto dell'Opera Barbara Melzi si ingrandì', sviluppando l'insegnamento
privato femminile, con particolare attenzione per il magistero elementare
e d'asilo .
Morta la Melzi il 13 dicembre 1899, l'eredità spirituale e materiale passò a
Madre Gaetana Adamoli e, alla morte di questa (1902), il cardinale
Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, nominò Madre Giulia Amigazzi
nuova superiora, alla quale, nel 1942, successe Madre Giuditta Baio,
attiva e fedele continuatrice dell'Opera Melzi.
Barbara Melzi, dotata di profonda cultura umanistica, ha lasciato oltre a
memorie autografe, delicate poesie, velate da profonda malinconia.
165
La stessa arricchì anche la preziosa raccolta paterna di quadri, edizioni rare,
manoscritti, monete e medaglie .
- Nato nel 1818, si distinse in tre diversi settori della vita cittadina. Pittore
acquarellista ha lasciato una serie di pregevoli opere, in parte conservate
al Museo Civico, che raffigura angoli della vecchia Legnano o aspetti di
vita locale, tratteggiate con uno stile ed un gusto tipico degli
impressionisti lombardi dell'Ottocento, con qualche elemento di sapore
"naif", che li rende ancor più preziosi.
Fu anche patriota, partecipando con Ester Martini Cuttica e Saule Banfi ai moti
del 1848 e riuscì a scampare la prigionia, in quanto considerato già allora
benemerito dell'istruzione pubblica. Era infatti uno dei più noti insegnanti
e storiografo.
Morì nel 1902 e in sua memoria venne murata una lapide nella casa natia
situata all'inizio di via Milano, angolo corso Sempione.
-- Nell'albo del Risorgimento italiano anche Legnano ha iscritto nomi di rilievo.
Per non parlare di Saule Banfi fervente patriota imprigionato nel 1848
dall'Austria e che, liberato, continuò, a prodigarsi, senza lasciarsi
sorprendere, tanto da offrire il suo contributo, come chirurgo, sul campo
di battaglia di Magenta, un posto di spicco e occupato da una
straordinaria figura di donna: Ester Martini Cuttica, animosa cospiratrice
legata da vincoli di amicizia a Mazzini, a Maurizio Chiesa, ai Cairoli.
Discesa da antico e nobile casato, ella andò sposa a Rinaldo Cuttica pure
originario di illustre famiglia, per quanto non dotata di grandi risorse
economiche. Di squisita sensibilità, quale emerge dalle sue lettere, Ester
Cuttica, fu madre esemplare, donna energica ed intraprendente, che non
si limiò@ ad affidare i suoi sentimenti patriottici a pagine dalla sintassi
contorta, ma non esitò, a rischiare la rispettabilità e la libertà personale,
per la difesa quegli ideali risorgimentali.
Assidua collaboratrice dei patrioti lombardi, quando Mazzini, tramite Piolti de
Bianchi, al quale era ta affidata la direzione del partito a Milano, e tramite
Brizio, che aveva assunto il comando dele operazioni militari, sperando
nella ribellione dei soldati ungheresi, che l'Austria aveva arruolato di forza,
organizzò, un colpo di mano a Milano, Ester Cuttica non esitò ad aprire le
porte della sua dimora di via Pontaccio ai cospiratori che volevano dare
una fiera risposta alle forche austriache di Belfiore.
Per quanto il piano di insurrezione preparato dal Brizio contasse su 5000
uomini, il 6 febbraio 1853, solo poche centinaia di patrioti risposero ai
segnali convenuti, sicchè l'Austria ne ebbe facilmente ragione,
soffocando il tentativo con metodi di terrore. Fu allora che Ester Cuttica si
166
adoperò per condurre personalmente fuori Milano il Brizio,
nascondendolo nei suoi poderi di Legnano e fargli passare poi il Ticino.
Nè minore fu l'impegno dei coniugi Cuttica per la fuga del Piolti de Bianchi.
Scoperta la trama, l'Austria arrestò la donna come responsabile del colpo
e l'avviò alla fortezza di Mantova, dove la tenne segregata per quattro
anni, senza però che i suoi carcerieri riuscissero a strapparle i nomi dei
congiurati, nonostante le sofferenze, le torture e la minaccia di uccisione
dei suoi figli amnistiata nel 1857, la gentildonna, sostenuti efficacemente
quanti ritornavano dalle prigioni alle loro case, s'adoperò con un gesto di
delicata galanteria per un'offerta di cento anelli raccolti tra le donne
italiane, a Garibaldi, come segno di stima verso l'uomo, che tanto aveva
contribuito al "patrio riscatto" ed era tutt'altro che insenibile ai "voti di
emancipazione della donna" (Carteggio Cuttica - 109-160). Morì a
Legnano nel 1898.
(1857 1931) -- Fu insegnante d'italiano nelle scuole superiori, scittore di
opere varie. Oltre a scritti inediti, il Colombo lasciò una fantasia
medioevale in dieci canti, "Il Cavaliere della morte", stampata nel 1900 in
occasione dell'inaugurazione del monumento dello scultore Enrico Butti e
dedicata appunto al guerriero della battaglia.
Lo stesso autore, nella prefazione, avverte che ha inteso raffigurare il
guerriero morente come il simbolo, la personificazione del sacrificio.
Giacobbe Colombo lasciò alla Parrocchia del Santo Redentore di Legnanello
una villa con terreno annesso, utilizzata attualmente dall'oratorio
maschile e de nominata appunto "Casa Giacobbe".
-- La musica ha avuto a Legnano molti cultori fin dal tempo in cui le famiglie
patrizie amavano arricchire le lunghe serate dei salotti con concerti vocali
e strumentali, in alternanza alle feste sontuose che rompevano la
monotonia di una vita mondana molto limitata, quale poteva offrire la
provincia o un borgo come Legnano, meta, nell'Ottocento, di villeggiature
estive o fine settimane dedicati alla caccia.
La tradizione musicale, è sempre rimasta viva anche nelle giovani generazioni,
alimentata dalla tenacia di dirigenti del complesso bandistico cittadino,
fondato nel 1880, da altri sodalizi come la "Gioventù Musicale" o da
singoli insegnanti, cimentatisi come compositori.
In questo campo c'è un personaggio, legnanese di adozione, che ha dato
lustro, con la sua arte, alla città, per avervi trascorso gran parte della sua
vita, unendo all'insegnamento elementare anche l'attività di direttore
d'orchestra e compositore. Nato ad Enna da una famiglia di musicisti, il
22 agosto 1874 diventò apprezzato violinista e buon esecutore di
167
trombone tenore. Ben presto si fece notare anche come compositore di
brani vari, tra cui alcune romanze che divennero popolari nella città
siciliana.
Non era però, la musica che gli poteva riservare solidità economica e quindi,
conseguito il diploma di insegnante elementare, per terminare gli studi al
Conservatorio, iniziò, la sua peregrinazione che lo condusse a Legnano,
avendo vinto un concorso per un posto in una scuola. Qui proseguì la sua
attività di compositore, affiancandosi a quel "bouquet" di maestri italiani
che tra l'Ottocento e il Novecento arricchirono pagine strumentali e
sinfoniche della musica italiana. Tra i suoi capolavori due sinfonie, Quadri
di vita veneziana, l'opera Zellia brani di musica sacra e da camera. A
Legnano fondò nel 1931, un liceo musicale con l'aiuto finanziario degli
industriali locali, organizzando anche alcuni riusciti spettacoli musicali al
Teatro Legnano. Fu molto apprezzato come direttore d'orchestra,
recandosi anche all'estero in tale veste. Morì a Legnano il 31 luglio 1932
per una grave malattia, ad appena 58 anni, e nel fulgore della sua
maturità artistica.
-- Nato a Intra nel 1883, dopo aver studiato in Svizzera trovò lavoro presso la
Franco Tosi viaggiando per alcuni anni quotidianamente tra Milano e
Legnano. Qui si trasferì colla famiglia nel 1920 in via Cappellini, allora
periferia estrema del paese.
Per conto della ditta si recò, più volte in Egitto e Medio Oriente, dov'ebbe
modo di conoscere gli scavi archeologici che stavano riportando alla luce
i documenti preziosi e grandiosi di quelle antiche civiltà a cui la nostra
stessa vita civile discende.
Il fascino di queste ricerche lasciò in lui tale impronta e tanto fervore che,
tornato a Legnano, si mise frugare nel nostro terreno, che mai non
conobbe piramidi, nè faraoni nè le origini della scrittura e della scienza e
che tuttavia racchiudeva (o ancora racchiude?) le testimonianze di un
passato molto lontano e poi noi tanto prezioso. La passione, la pazienza
e la perizia del Sutermeister hanno estratto da questo suolo tanti
documenti che amplificarono l'arco dei secoli in cui sono rintracciabili le
vicende della nostra storia. Prima di lui solo un paio di Legnanesi, quali
furono Aristide Mantegazza e il maestro Giuseppe Pirovano, avevano
dedicato la loro attenzione ai reperti che la zappa o l'aratro avevano
estratto da sotto l'humus delle campagne legnanesi. Sutermeister, datosi
con passione alla ricerca archeologica, sorvegliò scrupolosamente tutte
le operazioni di scavo promosse dallo sviluppo edilizio del paese,
intervenendo al primo sentore di un qualsiasi ritrovamento e sottopose a
una metodica esplorazione tutta la superficie cittadina, portando alla luce
168
e raccogliendo amorosamente una quantità di reperti che oggi
arricchiscono il museo civico a lui intitolato.
Contemporaneamente andava affinando la sua preparazione storica,
garantendosi la competenza scientifica necessaria ai suoi compiti.
La sua scoperta più prestigiosa è legata alla necropoli di Canegrate che
richiamò l'attenzione dei maggiori studiosi ed oggi è presente in tutti i
manuali di preistoria come documento di una cultura particolare anteriore
a quella di Golasecca.
A lui dobbiamo la fondazione, la direzione e l'arricchimento del Museo. Ma
anche la conoscenza dei periodi meno antichi della storia di Legnano
ricevette da lui un largo impulso. I suoi studi sul Castello Visconteo, sulle
fortificazioni ad esso anteriori sui conventi di Legnano e sulle vicende
genealogiche delle famiglie più note sono consegnati nei fascicoli delle
"Memorie, della Società Arte e Storia" da lui fondata e praticamente
diretta fino alla morte avvenuta il 21 novembre 1966.
- Le prime fabbriche a carattere industriale succedute alle manifatture
domestiche, che operavano fin dal XVIII secolo nel territorio di Legnano,
sorsero col 1821.
In ordine cronologico il primato si deve allo svizzero CARLO MARTIN, che in
quell'anno realizzò il primo stabilimento per la filatura del cotone. Seguì
ERALDO KRUMM di Wittemberg (Germania), che aprì la seconda filatura
di cotone. Nel 1828 sorse il terzo stabilimento tessile fondato dalla ditta
Borgomaneri, Sperati e Bazzoni, passato poi in proprietà a COSTANZO
CANTONI. Lo sviluppo però di quella che diventerà una delle piIù grosse
manifatture tessili dell'Italia Settentrionale, il Cotonificio Cantoni, si deve a
EUGENIO CANTONI, che assunse la direzione dell'azienda nel 1850,
conducendola in breve tempo ad alto livello. Nel 1857 infatti l'intera
maestranza degli opifici di Legnano e Castellanza si componeva di 464
operaI e in particolare lo stabilimento di Legnano, con 204 dipendenti,
aveva una filatura, una tessitura, una tintoria e un reparto finissaggio. In
quello stesso anno Eugenio Cantoni portò all'altare la figlia del segretario
particolare di Gabinetto dell'imperatore d'Austria, la baronessina Amalia
Genotte von Merkenfeld de Sauvignj. Questo matrimonio diede lustro ai
Cantoni, ponendo Eugenio in una posizione di evidenza e prestigio nella
provincia lombarda. Dal matrimonio nacquero tre figli, Arturo, che scelse
la carriera militare; Costanzo, che prese il nome del nonno, e Giulia che si
appassionò alla musica, divenendo compositrice. In riconoscimento delle
sue benemerenze, con decreto reale del 1871, il Cantoni fu nominato
barone. Dal 1864 egli fu comandante della Guardia Nazionale di
169
Gallarate col grado di maggiore e in seguito consigliere dell'ordine
dell'imperatore Francesco Giuseppe, per essere quindi nominato console
generale d'Austria.
Morì il 15 marzo 1888.
Anche GIULIO THOMAS, nato a Milano nel 1851 da famiglia oriunda francese,
merita di essere ricordato tra i pionieri dell'industria cotoniera. Il padre
Achille impiantò a Legnano verso il 1870 un'industria per la tessitura del
cotone, in località "Gabinella", e fu tra i primi ad applicare i telai meccanici
e a utilizzare la forza a vapore per sopperire a quella idraulica tratta dalle
acque dell'Olona. Si distinse pure come amministratore pubblico,
disimpegnando vari incarichi. Promosse la fondazione dell'asilo infantile e
della Società Operaia. La morte troncò la sua promettente esistenza a
soli 44 anni.
Nel 1842 il dottor G. DONATO TRAVELLI aprì il quinto stabilimento di filatura
di cotone e, nel 1879, i fratelli ENEA e FEBO BANFI, figli del benemerito
patriota Saule Banfi, fondarono l'azienda che in seguito ad altri passaggi,
divenne Cotonificio De Angeli Frua. In precedenza, e cioè nel 1871, i
fratelli DELL'ACQUA, in unione ad altri, fondarono l'omonimo cotonificio,
che ebbe una considerevole importanza per l'economia cittadina, prima
del tracollo negli anni Sessanta.
RODOLFO BERNOCCHI, nel 1873 impiantò, un piccolo stabilimento di
lavanderia e candeggio di tessuti in cotone, dal quale si svilupparono poi,
per iniziativa dei figli ANTONIO e ANDREA BERNOCCHI i vasti
stabilimenti di filatura e tessitura, con sede a Legnano e in altre località.
Dei Bernocchi restano a Legnano alcune opere sociali di rilievo, la maggiore
delle quali l'Istituto Tecnico e Professionale, che prende appunto il nome
dal fondatore Antonio Bernocchi, Senatore del regno.
L'ing. CARLO JUCKER, nato il 23 maggio 1878 a Reutte in Tirolo, da una
famiglia svizzera, che già aveva avuto pionieri nell'industria cotoniera,
rivestì nella storia del Cotonificio Cantoni un ruolo notevole come
dirigente e tecnico di valore.
A lui si deve lo sviluppo degli stabilimenti di Legnano, Castellanza e Bellano
negli anni a cavaliere tra il XIX e il XX secolo. Nel 1900 ricevette
dall'allora presidente del Cotonificio ing. Cesare Saldini la direzione della
filatura di Castellanza e, sette anni dopo, fu incaricato di riorganizzare lo
stabilimento d: Legnano, per farne un opificio a livello europeo .
Fu il primo ad usare nello stabilimento "coloranti diretti" nel reparto tintoria, nel
1916, in un periodo, in cui la produzione di tessuti di cotone era molto
richiesta. Al termine della prima guerra mondiale Carlo Jucker si dedicò
ad opere sociali e alla realizzazione di case per lavoratori. Aiutò la
costituzione della sezione legnanese dell'Associazione Mutilati e Invalidi
170
di Guerra e di un "Centro sperimentale di rieducazione per mutilati e
invalidi"; fondò, un asilo infantile e il Sanatorio "Regina Elena", inaugurato,
nel 1924, dalla Regina Margherita. Fece costruire la villa nei pressi del
reparto tintoria, per farne la sua dimora ed essere più vicino allo
stabilimento e seguirne in modo attivo la produzione. Per interessamento
di uno dei due figli, il dott. Riccardo Jucker, degno continuatore delle
opere paterne, filantropiche e sociali, questa villa potè essere acquistata
dalla Famiglia Legnanese, per divenire sede del sodalizio.
Prima di chiudere la sua intensa vita di lavoro, il 4 ottobre 1957, l'ing. Carlo
Jucker riuscì a veder realizzata l'ultima sua coraggiosa opera, la
modernissima tessitura in località "Olmina".
Da una piccola officina meccanica con annessa fonderia, nel 1878, nacque
un'azienda denominata "Cantoni, Krumm & C", con lo scopo di eseguire
riparazioni di macchine installate nelle numerose industrie, specie tessili,
sorte nella zona.
Nel 1876 fu chiamato a dirigere l'officina l'ing. FRANCO TOSI il quale, con
felice intuizione, si volse allo studio e costruzione di motrici alternate e a
vapore, che in pochi anni si affermarono sul mercato in Italia e all'estero.
Divenuto socio dell'azienda, che mutò, la denominazione in "Officina Franco
Tosi & C." nel 1894, l'ing. Tosi divenne esclusivo proprietario e l'officina
assunse la nuova ragione sociale di "Franco Tosi". L'attività di questo
pioniere dell'industria legnanese fu breve, ma intensa come la sua vita.
Alle sue doti di industriale e cittadino, aggiunse l'opera di filantropo e di
realizzatore di una serie di istituzioni per il tempo libero, di mutua
assistenza, previdenza e istruzione professionale. Modesto e cortese
nella vita e con i dipendenti, chiuse tragicamente la sua esistenza, il 25
novembre 1898, nel fiore degli anni, vittima dell'ira sanguinaria di uno
sciagurato, del quale era anche stato benefattore.
Tra le varie industrie di Legnano una parte di rilievo ebbero, nel primo
Novecento, le Officine Fial (Fabbrica Italiana Automobili Legnano), sorte
nel 1902 per iniziativa dei fratelli GUGLIELMO, PAOLO e CARLO
GHIOLDI, che già si dedicavano da alcuni anni alla produzione artigianale
di motori agricoli, industriali e di motociclette. I Ghioldi, specie per
l'intrapredenza e la genialità di Guglielmo, si distinsero nella creazione di
originali apparecchiature meccaniche che restano una testimonianza
dell'epoca "eroica" del settore motoristico italiano, tra queste una delle
trebbiatrici più perfezionate e il primo triciclo per la nettezza urbana con
un sistema molto pratico e razionale di sollevamento della spazzatura
delle strade. Il prodotto dei fratelli Ghioldi che ebbe maggiore successo fu
la vettura "Legnano A", realizzata nel 1905. Dotata di motore bicilindrico
di 1135 cc. aveva l'albero di trasmissione cardanica, anzichè a catena e
171
sviluppava una potenza di otto cavalli a 1100 giri, filando ad una velocità
di 60 chilometri orari, favolosa per quei tempi.
Al termine della prima guerra mondiale Guglielmo Ghioldi si trasferì a Milano,
per costruire con i fratelli Vaghi un'altra fabbrica di auto.
L'industria legnanese, appunto per lo spirito d'iniziativa e la tenacia dei suoi
pionieri, riuscì ad imporsi velocemente agli albori del secolo XX, trasformando
in breve tempo un'economia prevalentemente agricola in un'altra con un ruolo
di tutto rispetto sullo scacchiere produttivo lombardo di quell'epoca eroica, in
cui il progresso era basato proprio sulla disponibilità della manodopera e
sull'intraprendenza di illuminati imprenditori.
172
Il Mercato settimanale di Legnano e le sue vicende
In esecuzione del programma di opere pubbliche approntato dalla
amministrazione comunale sono state recentemente iniziati i lavori per la
nuova piazza del mercato; tra breve la nostra citta' sara' in grado di offrire
adeguata sede ai mercati settimanali del martedi' e della domenica e
vedra' contemporaneamente migliorata l'estetica edilizia di una zona
centrale che, a dir vero, avra' sino ad oggi conservato le non invidiabili
caratteristiche della grossa borgata rurale. Si e' voluto porre cosi' fine alle
peregrinazioni del mercato da una piazza all'altra, dalla via x alla via y e
non e' quindi mancato il compiacimento della cittadinanza per la
soluzione di un problema che da tempo si agitava. Certo, la cronistoria
degli spostamenti subiti dal mercato, negli ultimi anni segnatamente, non
palesa il palese il menomo interesse ne' per il pubblico, ne' per il paziente
raccoglitore di notizie locali da tramandare ai tempi venturi e non ha
sicuramente bisogno di essere scritta per i posteri, del mercato come
istituzione e' invece, a parer nostro, interessante far cenno, perche' i
documenti relativi consentono di mettere in luce, se non tratti ignorati
della storia locale, situazioni particolari, contingenti del nostro borgo, le
quali, possono destare, sia pure per pochi istanti, la curiosita' dei dinamici
e fattivi legnanesi di oggi. Abbiamo rovistato tra le carte dell'Archivio di
Stato di Milano nella secreta speranza di rinvenire attraverso i documenti
riguardanti il mercato, nuove testimonianze storiche locali; e se il nostro
scopo e' stato raggiunto solo parzialmente abbiamo potuto dal tra parte
apprendere singolari notizie circa i rapporti del borgo di Legnano con le
comunita' vicine in un periodo storico particolarmente importante:
L'indagine come spesso accade nelle ricerche di archivio, ha allora, per
fortuna nostra e dei cortesi lettori, mutato contenuto e direzione; che se
avessimo dovuto attenerci strettamente al tema propostoci saremmo stati
costretti o a riportare interminabili documenti protocollari od a contenere
l'esposizione dei fatti in due righe o poco piu'.
In questa alternativa, abbiamo preferito scegliere la via di mezzo, e ,
approfittando del diversivo offerto da documenti seicenteschi, illustrare
con misura gli avvenimenti resi noti, in sottile trama, dalle carte
dell'Archivio di Stato Milanese.
La storia del mercato di Legnano potrebbe, come accennato pocanzi,
173
compendiarsi in poche righe. e, valga il vero, i Legnanesi presentarono,
stando ai documenti a nostra disposizione, richiesta di un mercato
settimanale per tre volte nello spazio di circa tre secoli, e precisamente
una prima volta nel 1499 a Ludovico il Moro, una seconda nel 1627 a
Filippo IV° re di Spagna e una terza volta nel 1795. Solo l'ultima
domanda ebbe esito positivo con la concessione del mercato mentre le
precedenti per cause varie non condussero a risultati concreti. Forse
anche il lettore piu' alieno dalle disquisizioni storiche non sarebbe
eccessivamente soddisfatto di questa succinta esposizione, ed e' percio'
che ci permettiamo di dare dei fatti, nelle note che seguono, un'immagine
meno scheletrica e ad ogni modo piu' rispondente alla realta'.
Il documento che d'archivio di via Senato in Archivio Sforzesco carteggio
generale cartella 627) offre alla nostra considerazione e' una supplica
( piu' precisamente: una copia della supplica autentica) indirizzata dagli
uomini, nobili e contadini, del Borgo di Legnano al Duca di Milano, allora
Ludovico il Moro, per ottenere la facolta' di fare una volta alla settimana il
mercato; porta la data del 20 giugno 1499 ed e' scritta nell'italiano, non
ancora divezzato dal latino, caratteristico del tempo. Noi trascriviamo
integralmente avvertendo che la punteggiatura e' nostra, come pure
alcune lettere o parole ( poste fra parentesi assegnate punto
interrogativo ) che ci e' sembrato potessero fedelmente corrispondere a
quelle del testo, molte volte oscuro, e , in alcuni punti, indecifrabile.
Ill.me et ex.me Princeps: supplicano ala V.E.tia li V.ri fideli servitori, nobili,
contadini, et omnes Habitatores dicti burgi de Legnano del Ducato V.ro
de Milano che alias per antiqua tempora se soleva fare uno certo
merchato specialiter (?) ebdomedo como se fa a Galarate e a Busto
Arsisio et in le altre terre et burgi de merchati; ma per le grande guerre et
dissipatio et facti per tempora diu elapsa e' venuto in dissuatitudine non
fare merchato: Hora il.me Princpes il predicto borgo e' molto restaurato
cossi de statij(?) come de persone et facendo il merchato Indies se ......
de bene in melius, et fara'..... Utilo al dicto borgo, ma piu' assai a
V.(Ex.tia?) per li datij et merchati li quali darrano(?) molto bene per il
grando concorso de homeni in dicto borgo facendo il merchato come
speriamo.
Per tanto humilitier(?) suplicano predicti nominati del dicto burgo de Lignano
che V.Ex.tia per sue littere..... et ..... se digna concedere facultate larga et
ampla como..... havere li altri borgi che fanno merchato; che in novo se
possa fare uno giorno de la septimana zoe il venerdi Ateso che circum a
milia 25, no se ne fa alcuno; et questo suplicano credendo chel sia mente
de V.S. Ill.ma atexa utilitatem et honore de quelli et similiter della terra
174
vostra predicta, alo quale ....... Ex.tia de Vi.Si.(?) predicti nominati se
recommandano per infinite fiate.
Dalla lettura del documento si apprende che a Legnano si faceva gia' in antico
(alias per antiqua tempora) un mercato settimanale caduto poi in disuso
in seguito a guerre e sconvolgimenti pure avvenuti in tempi assai lontani
(facti per tempora diu elapsa) e che all'epoca della richiesta la situazione
del paese poteva ritenersi soddisfacente (il predicto borgo e' molto
restaurato(?) cossi de statij(?) come de persone) e tale da fare sperare
dall'introduzione del mercato un costante e graduale (indies) sviluppo
dell'economia locale con conseguente vantaggio del fisco.
Quale l'accoglienza riservata alla supplica? Nessun documento viene a far
luce su questo punto. D'altronde il momento storico in cui cadde la
domanda non era certo favorevole all'evasione delle piccole pratiche
locali; basti il dire in quel torno di tempo la Lombardia era invasa dalle
truppe di Luigi XII Re di Francia e che Ludovico il Moro, Duca di Milano
(ufficialmente dal 1494 e praticamente dal 1480) si era gia' rifugiato nel
Tirolo, da dove apprestava un esercito che doveva servirgli per la
riconquista del ducato. E' noto che l'anno seguente, Ludovico il Moro, fu
sconfitto a Novara (l'esercito mercenario si vendette al nemico) e
rinchiuso nel Castello di La Roches, doveva morire nell'anno 1510; cosi'
finiva la vita di colui che aveva per primo invitato lo straniero ad invadere
la nostra Patria. Dati i tempi non stupirebbe che la richiesta legnanese
non sia stata presa in considerazione, ne e' escluso che le comunita' di
Busto e Gallarate abbiano fatto pressioni per impedire la concessione del
mercato di Legnano; in assenza di testimonianze sicure ci sembrano
queste ipotesi plausibili per spiegare il mancato accoglimento del
memoriale, per quanto sia possibile che l'eventuale scoperta di un
documento possa un domani dare altrimenti ragione del fatto.
E veniamo alla seconda parte della nostra storia. Siamo nel 1627 e il Ducato di
Milano, da lungo tempo ormai aggiogato al carro di Madrid, e' sotto il
dominio di Sua Maesta' Cattolica Filippo IV, Re delle Spagne. I legnanesi
hanno indirizzato un memoriale a Sua Maesta' in cui espongono le non
liete condizioni della loro terra e supplicano sia loro concesso, a sollievo
delle gravi ed urgenti necessita', un mercato settimanale nel giorno di
giovedi'. Filippo IV, com'e' naturale, passa la domanda al Governatore di
Milano (Don Gonzalo Fernandez de Cordova) con l'ordine di subordinare
l'eventuale decisione al parere dei Magistrati Ordinario e Straordinario e
delle parti interessate. Non vogliamo guastare con un riassunto
l'originalita' del documento (stampato su quella che doveva essere la
175
Gazzetta Ufficiale del tempo) e lo riportiamo integralmente (Archivio di
Stato di Milano - Commercio - Fiere Mercati - Comuni, parte antica, 191).
Illstr. Magistratus Reg. Duc. Redd. Extraord. bonorumque patrimonalium
Status Milani, coram quo lecta fnerunt litterae Excellentiss. D. huius
Dominis Guberntoris, in quibus infertae sunt litterae S.R.M. datae ad
preces Agen. Burgi Legnani capite plebis Ducati Mediolani, tenoris
seguentis vez:
PHILIPPUS IV Dei gratia Hispaniarum Rex et Mediolani Dux, etc. etc.
Gonzalo Fernandez de Corrdoua, del Consiglio di Guerra di sua Maesta', Suo
Capitano Generale, e Governatore dello Stato di Milano, ecc.
Magnifi, Spectab., e Egregij nobis dilectiss.,
La Maesta' del Re nostro Signore ci ha scritio la lettera del tenor seguente.
EL REY.Illustre Don Gonzalo Fernandez de Cordoua, mi Maestre de Campo
General y Lugartenente General de mi Estado de Milan. Por parte del
Burgo de Legnano me ha' sido presentato un memorial del tenor que se
sigue. Signore, Fra l'altre Terre del Ducato di Milano vi e' il Borgo di
Legnano, discosto da essa citta sedeci miglia, li huomini dello quale sono
sempre stati deuotissimi e fedelissimi vassalli di V.M. Reale; nella qual
Terra si patiscono molte cose appartenenti al vitto e vestito, ancorche' per
grandezza, e altre qualita' sia alquanto insigne, la onde per proucedere a'
suoi bisogni, e anco per ristorarsi in qualche parte delli danni patiti, e che
tuttavia patiscono in occasione de lunghi e frequenti alloggiamenti de
Soldati, desideriano si facesse in essa Terra un pubblico mercato in
ciascun giorno di Giovedi', di ciascuna settimana, la qual cosa sarebbe di
beneficio pubblico, ne' sarebbe per apportar danno ad alcun,
maggiormente che in detto giorno non si suol fare altro mercato in altra
terra per molte miglia all'intorno in modo che, meritatamente si puo' con
verita' affirmare non trattarsi d'alcun pregiudicio della Citta', ne' d'altri, ma
si ben di negotio che apportera' commodo e utile a tutti, e percio' essi
huomini ricorrono alla M.V. humilmente supplicandola resti seruita
concedere alli supplicanti la detta facolta' di poter far detto mercato come
sopra, la qual cosa sperano dalla clemenza e benignita' di V.M. ottenere.
Y visto os encargo y mando me informeis con vostro pareçer, y el de los
Magistrado Ordinario y Extraordinario, y citadas las partes interessadas
en la concession deste mercado de loque cerca deste pretension se
ofreciere, para que visto mande proucer loque pareçiere mas
conueniente. Dat. en Madrid a' onze de Junio de mil y seiscientos y
veintes y siete anos
Signat. YO EL REY. Con senal del Presidente. Vidit Marchio Thesaurarius
Generalis Vidit Caimus Regens, Vidit Valuenzela Regens.Vidit
176
Branchling Regens.Vidit De Neapolis Regens. Pedro de Hoff'Huerta. In
prouisionum Mediolani 50.fol.56. A Tergo. Al Ilustre Don Gonzalo
Fernandez de Cordoua su Maestre de Campo General y Lugartenente
General de su Estado de Milan. Per compimento della quale vi ordiniamo
che eseguiate quanto Sua Maesta' comanda. Nostro Signore vi conservi.
In Milano a' 9 di Dicembre 1627.
Signat. Gonzalo Fernandez de Cordoua. Vidit Ferrer.Et subscript. Platonus. A
tergo Magnif. Spectab. e Egregi Presidi et Magistris Redd. Extraord.
Status Mediolani nobis dilectis. ecc.
1628. 14 Genaro
S'intimi alle Terre circostanti a detto luoco di Legnano, nelle quali si fa' mercato,
et alli Datiari Camerali, accio' rispondino se hanno cosa in contrario, et
hauute le risposte si mandino al Fisco, accio' dica l Suo parere.
Il documento ora trascritto ha certamente richiamato l'attenzione dei nostri
lettori e per il periodo storico cui appartiene e per le illustri firme che, in
calce, compaiono solenni e altisonanti. A legger quella filza di nomi,
siamo tenteti di dire col leguleio manzoniano: "Ce n'e' della roba eh! E
vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordoua; e piu' in giu':
Platonus: e qui ancora: Vidit Ferrer; non ci manca niente.,,,,
Si noti pero' che gli altri documenti allegati di qquello a cui e' parola non
portano la data del 1627 o del 1628, ma del 1637, cioe' di dieci ani
appresso. La lunga parentesi non e' difficile da spiegare: e noi abbiamo
a tale scopo la singolare fortuna di invitare alla lettura delle immortali
pagine dei Promessi Spesi. Dal 1627 per alcuni anni dopo, le invasioni di
milizie mercenarie, i saccheggi, le guerre, le carestie, la peste fanno del
Milanese una terra oppressa e sconvolta dalla fame, dalla miseria, dallo
spopolamento. Ed e' possibile immaginare che in tali dolorosi frangenti la
burocrazia spagnola, gia' lenta e pesante in tempi normali, abbia potuto
prendere in considerazione la richiesta di un mercato settimanale
pervenutala da un borgo del contado? Evidentemente no, e non lo si
potrebbe a ragione pretendere.
Il fatto e' che solo nel 1637, anzi il 21 luglio 1637, la pratica e' ripresa in esame
come attesta il documento che segue:
D'ordine dell'Ill.mo Magistrato Straordinario del Stato di Milano cosi' istando li
Console, et Sindici della Comunita' di legnano si auisano le infrascritte
Comunita' che nel termine di giorni tre doppo l'intimazione del presente
debbano hauer replicato cosa intendano replicare alla risposta di
Legnano dietro la contraddittione fatta in nome della detta infrascritta
177
comunita' fino l'anno 1628 prossimo passato nella causa del mercato
ricercato da essi di Legnano ....
In Milano adi' 21 luglio 1637.
In esecuzione dell'ordine del magistrato Straordinario le comunita' interessate
in tal affare (di grande rilevanza per quei tempi in cui i mercati
rappresentavano il principale sbocco dei prodotti dell'agricoltura e della
manifattura) si fanno dovere e premura di rispondere con dettagliati
memoriali.
E sarebbe facile, anche se i documenti non fossero
pervenuti sino a noi, indovinare il tenore delle risposte di Busto, Gallarate,
Saronno. I rapporti che correvano fra Legnano i suoi borghi vicini non
eran certo, ne' potevano essere di buon vicinato: il campanilismo ad
oltranza veniva esasperato dalle tristissime condizioni economiche,
sociali e morali di quel tempo, si che trattandosi di difendere un privilegio,
una prerogativa qualsisi o di impedire l'estensione al altra comunita', tutte
le armi venivano impugnate e maneggiate con estremo vigore allo
sccopo di impedire il crearsi di una nuova situazione, che avrebbe
facilmente portato alla rottura dell'equilibrio economico, gia' stabilito ed
assiso su basi rese solide dal tempo, a tutto favore delle comunita' fruenti
del beneficio. Tale era il caso di Busto, Gallarate e Saronno di fronte a
Legnano, sino allora sprovvisto di mercato; il sorgere di un concorrente
doveva impedirsi ad ogni costo, doveva ostacolarsi con ogni energia; e
un indice della misura con cui era sentita tale necessita' e' offerto dai
memoriali delle comunita' menzionate, le quali tutte, con una concordia
forse rara a verificarsi in altre occasioni, si scagliano gagliardamente sul
nemico comune e con argomentazioni uniformi tentano di impedirne la
vittoria.
Nell'incartamento troviamo per primo il memoriale di Saronno, la cui
introduzione di conclude con una recisa affermazione a sfavore della
richiesta Legnanese; Per tanto essi Console, et huomini di Serono dicono
che per niuna ragione si deve concedere la richiesta faculta' di far
mercato in detto luogo di Legnano.
Non seguiamo, passo passo, nella
sua monotonia l'esposto dei Saronnesi; in sostanza la loro tesi e' la
seguente: a Saronno esiste da tempo memorabile un mercato
settimanale che ha sempre egregiamente servito ai paesi circonvicini, tra
cui Legnano, distante non piu' di sei miglia. Ora se Legnano ha sempre
goduto et gode di questa commodita' perche' non vuole continuare ad
usufruirne? E' strano come questo argomento, di nessun valore polemico,
si trovi ripetuto, in singolare identita' di forma, anche nelle risposte di
Busto e Gallarate. Gli avversari di Legnano, vogliono invertire le parti e
178
hanno tutta l'aria di dire: non e' una bella comodita' per voi Legnanesi
fare nei giorni di mercato a Gallarate, Busto e Saronno, quattro o sei
miglia di strada per portare le vostre merci e rifornirvi di quanto vi
abbisogna? Non vi basta? Cosa volete di piu'? Forse che il mercato si
porti a casa vostra? Quale diritto accampate per giustificare le vostre
assurde richieste? E via di questo passo. Ma proseguiamo. Dicono
ancora quelli di Saronno: non coniuene per migliorare la condizioni d'uno
resti dannificata quello dell'altro. Imperoche' e' cosa piu' che chiara, che
a' che si leua l'utile, o' commodita' di qualche cosa, tal patisse danno.
E occorreva forse una sentenza lapalissiana, come quella ora riportata per
persuadere i governanti Spagnoli?.
Ma non basta nell'assunto dei saronnesi, poche' ne la ragion dedotta da essi
huomini di Legnano, cioe', che la detta loro terra per l'alloggiamento de
soldati ... ha patito (?) ... che percio' se li abbi a conceder supplicato
perche' se tal ragione militasse ogni terra del Stato pourrebbe pretender
tal facolta' per i danni patiti da ciascuna. E di cio' non si puo' dar torto a
quelli di Saronno; i documenti del tempo offrono numerose testimonianze,
che costituiscono atti di accusa indiretti, ma non percio' meno probatorii,
al governo spagnolo di Milano, sordo ad ogni lamento che movesse dai
poveri e stremati sudditi, avido solo di ricchezze estorte con la violenza,
noncurante in sommo grado del benessere e delle prosperita' dei popoli
soggetti.
I saronnesi allegano in ultimo una ragione legale: obstano gli ordini che non si
possa fare mercato in luoghi per dieci miglia intorno all'altro, e talche'
essendo la terra di Legnano lontana da Serono se non sei miglia et
essendosi seruita sin'adesso della commodita' del mercato di Seronno
puo' ancora perseurare il seruirsi della medesimi commodita' per
l'auenire. Ma i Legnanesi non stanno inoperosi: nella loro replica
deridono e definiscon priva di motivi sostanziosi e validi la risposta di
Saronno la quale
si poteua del tutto omettere come quella che in
sostanza non contiene cosa alcuna di momento non essendo abreuiato
la mano al Re nostro Signore di compartire parte della sua gratia alla
terra di Legnano. Per quanto concerne la condizione di una distanza
minima di dieci miglia sancite dalla legge, ribattono i Legnanesi: non
esser uero per che si uede osservato tutto il contrario, et se cio' fosse,
non si sariano fatti i mercati nelle terre sopranominate, tanto poco in
molte altre ancora che non sono distante l'una dall'altra piu' di quattro o
sei miglia....
Ed eccoci ora al piu' tenace oppositore Busto Arsizio o Busto Grande.
Premesse le dibite ragioni ecc. ecc. dicono dunque essi rispondenti con
ogni debita riuerenza et sommisssione, per quanto tocca al loro interesse,
179
non douersi essaudire la dimanda di detta Comunita' di Legnano come
pur troppo pregiudicevole ( tutto che si dicano quei di Legnano) a quella
di Busto, et ale altre circonuicine cioe' Serono et Gallarate non distanti d
a detta di Legnano piu' d tre o quattro miglia rispettiuamente nei quali si
fanno ogni settimana simil mercato e percio' non potersi consid4erare
alcun dnanno di detta terra di Legnano non concedendoseli la dimanda
come sarebbe di dette altre, tanto piu' che, oltre l'hauerla quella passata
sin qui senza tal mercato, puonno ancora senz'altro dubbio gl'habitatori
d'essa, et altre cincuicine per l'auenire ualiersi delle commodita' dei
mercati suddetti, che iui d'intorno si fanno come fanno sopra, come
hanno anche fatto per il passato. Ma non contenti di allegare la solita
ragione della commodita' (che i Legnanesi non sono in alcun modo
disponibili a comprendere), gli uomini di Busto Grande escono in una
massima che ha anche il sapore di una vaga minaccia: E pertanto e
perche' in ogni modo e' cosa piu' che notoria che le nouita' sogliono
partorir disordine.
Si e' affermato che una sentenza , un detto, un proverbio possono rivelare un
secolo nel suo contenuto spirituale; nel caso nostro la massima posta
dai bustesi, quasi a suggello delle loro argomentazioni, offre un'immagine
reale della mentalita' retrograda radicata profondamente nei popoli
soggetti alla esosa tirannide spagnola: Certo i bustesi non avranno
emesso quella sentenza cosi' squisitamente seicentesca, per la voglia di
filosofare; l'intento economico edonistico vi trapela chiaramente e si
rende piu' manifesto alla fine del memoriale quando si supplica di non
fare alcuno pregiudicio a detta terra di Busto Grande et sue raggioni et
privilegi come seguirebbe senz'altro in concedere a detta Legnano la
ricercata licenza. Nella risposta di legnano si ribatte in linea di massima il
principio della distanza, osserbando che se esso realmente fosse
osservato e applicato secondo l'interpretazione volutamente unilaterale
dei bustesi non haurebbe la Comunita' di Busto riportata la faculta' di
poter fare il suo mercato stando la poca distanza che interviene fra la
terra di Galarate et quella di Busto. E fin qui il ragionamento corre: infatti
se le leggi esistenti venissero fedelmente osservate: nella fattispecie, se
le grida emanate a getto continuo dai Governatori milanesi fossero nello
Stato veramente esecutive ( e la storia ci apprende in qual misura la
realta' rispondesse alla supposizione!) non sarebbe stato possibile il
sorgere di due mercati vicini (stando alle leggi spagnole, si intende,
poiche' la supplica di Legnano del 1499 sappiamo gia' che i mercati di
Busto e di Gallarate coesistevano e da tempi ben piu' remoti). Ma dove i
Legnanesi errano compromettendo forse l'esito della loro causa, e'
nell'asserire che Busto sia piu' vicino a Gallarate che a Legnano.
180
Tale affermazione chiaramente espressa nel corso della pendenza, puo' oggi
destare sorpresa, non essendo dubbio che la distanza tra Busto e
Gallarate e' maggiore di quella di Busto e Legnano.
E' inutile soffermarsi sulle ragioni dell'atteggiamento dei Legnanesi; forse a
quei tempi la mancanza di esatte e frequenti misurazioni topografiche
poteva generare qualche dubbio; forse ancora i legnanesi approfittando
dell'incertezza in materia, avranno creduto di introdurre, in tal modo, un
elemento favorevole alla loro richiesta.
Sta di fatto che essi esprimono nella forma piu' recisa ed esplicita, il loro fermo
convincimento in materia dicendo: la quale (distanza tra Gallarate e
Busto) in fatto e' molto minore di quella che e' tra legnano e Busto in
modo che con il proprio esempio ha molto ben praticato et conosciuto
(intendasi la comunita' di Busto) che la distanza predetta non e' di alcun
impedimento. In buona fede o con lo scopo di accapparrarsi ogni
possibile argomento a sostegno delle loro tesi, i legnanesi intendono con
l'ultimo inciso (in modo che ...) impostare la questione nei seguenti
termini: premesse tutte le ragioni sulla invalidita' delle disposizioni
relative alla distanza: che esistano o non esistano leggi in proposito, e
che queste vengano interpretate in un modo piuttosto che in un altro, il
fatto e', signori bustesi, che vicino, molto vicino a voi e precisamente a
Gallarate si fa un mercato settimanale: ora, con quale diritto volete
impedire che in una localita' che dista dalla vostra piu' di quanto non sia
distante Gallarate, che sorga un mercato?. Ragionamento perfetto se il
fatto della distanza, com'era prospettata dai legnanesi, avesse trovato
rispondenza nella realta': ma essendo questa assai diversa e' facile
inferire che in tutta la costruzione difensiva
andava certamente a
scapito delle premesse generali, esattissime, e quindi non contribuiva a
risolvere in senso favorevole a Legnano, la questione del mercato.
Era naturale che quelli di Busto. nel sentire le risposte dei Legnanesi,
alzassero ancora la voce; avevano facili gli argomenti (tra cui quello della
distanza) e li animava alla disputa le tradizionale amicizia (?) con gli
abitanti del borgo vicino. E la replica e' bellicosa sin dalle prime battute:
Poteano al sicuro gl'Agenti della communita' di Legnano sparagnare di
lagnarsi delli Agenti di Busto col uolerli addurre in odio la uicinanza di
detta terra di Busto a quelli di Gallarate et che quella non ostante habbi
detta communita'
di Busto otteenuto facolta' di fare il suo mercato
pretendendo farsi percio' essi di Legnano di uoler addurre ab exemplo
che non li debba ostare la poca distanza fra esse terre per impedirli la
concessione del da loro preteso mercato. Poiche' prescindendo dalla
distanza, ad ogni modo non doueuano, ne' deuono detti di Legnano ne' a
loro spetta di uoler sapere i fatti di detta terra di Busto, ne' che cosa sia
181
seguito tra Busto et Gallarate circa questo particolare.. Il tono si fa
vivace. I Bustesi, con abile tattica, non solo prospettano i loro interessi,
ma si fanno paladini e difensori dei diritti delle comunita' circonvicine, e
nientemeno di quelle del Regio Fisco, insinuando che oltre all'interesse
e pregiudicio di essa terra et altre cincounvicine oue si fanno simili
mercati, ui e' ancora l'interesse publico cioe' del medemo Regio Fisco al
quale ne seguiria senza dubio pregiuicio notabile et insieme
all'impresario, quando si concedesse a detta terra di Legnano la facolta'
di far detto mercato poi che a puoco a puoco s'andera aprendo la strada
ad altre terre benche' mediocri di procurar simili mercati, oue
spacciandosi merce senza pagamento de' soliti dati et gabelle il Fisco ne
uerra' a setir notabile danno... Anche nella conclusione il Regio Fisco e'
menzionato: Supplicano di nuovo i detti di Busto e S. M. et i suoi Ministri
et a che spetta a uoler degnarsi di dar ripulso a detti Agenti di Legnano,
a non permetter che si faccia pregiudicio alcuna a detta terra di Busto et
sue ragioni et puilegi ne meno al Regio Fisco... Mentre i Legnanesi
stanno preparando la controreplica, occupiamoci brevemente di
Gallarate ( di Rho non esiste nel carteggio il memoriale per quanto anche
tale comunita' fosse citata in causa) Il borgo di Gallarate infeudato al
Conte Gaspare d'Altaemps (siamo al 30 luglio 1637) a mezzo dei suoi
agenti comunica non douersi di ragion attendere la pretentione di quelli di
Legnano per esser la detta terra di Legnano discosta solo otto miglia da
Gallarate si che possono comodamente (poteva forse mancare il motivo
della "commodita'"??" al detto nercato prouedersi di quelle cose che
fanno bisogno. Poiche' e' ammissibile si aggiunge che un emrcato di
solito et possesso immemorabile come quello di Gallarate venga
danneggiato dal sorgere di un altro mercato in localita' vicina cioe' di
Legnano dove non si e' mai fatto un mercato. Questa asserzione ci
conferma che l'istanza del 1499 e le eventuali successive non furono
accolte dai diversi Governi e che solo nel 1795 come tra poco vedremo,
la sospirata erezione del mercato pote' finalmente avere luogo. (Cosi' del
resto anche il Comm. Raimondi, nella sua monografia a pag 40 : in
Legnano ha luogo ogni martedi' ha luogo un mercato di bestiame e merci
la cui istituzione venne concessa per la prima volta con decreto della
Reale Conferenza Governativa del 2 ottobre 1795 ....) Prima di terminare
i Gallaratesi dicono di non doversi tenere conto del preteso ordine di
Sua maesta' perche' quello e' sempre conditionato cioe' che non sij
pregiudictio del terzo, come e' cosa inubitata. Tanto indubitata che si
potrebbe dire, che se la legge trovasse un limite insuperabile nel danno
eventuale arrecato al terzo con la sua applicazione, non vi sarebbero a
tutt'oggi forme di societa' giuridicamente costituite e ordinate, ne' quindi
182
la civilta' avrebbe potuto muovere i suoi primi passi ed effermarsi. Ma
vale la pena di commentare i fiori giuridici dei nostri buoni avi del
seicento?.
Il fervore della lotta tra Busto Arsizio e Legnano attrae nuovamente la nostra
attenzione: e' pronta la controreplica Legnanese. Inizio anche qui
fragoroso: Poteuano et doueuano quelli di Busto sparagnare del tutto la
replica da lor fatta, quando non hauendo altre ragioni di quelle hanno
apportate. Perche' quando al particolare della distanza (ci siamo) delli
luochi e' cosa tanto chiara, notoria et manifesta, che non ha bisogno di
altra proua, ne' hanno quelli di Busto con la loro parola torbidarla,ne tan
poco snervar in parte alcuna la forza dell'argomento fatto da quelli di
legnano controreplicanti. Ed ecco che la politica degli avversari viene
svelata e messa a nudo; Del che (continua il memoriale) accorgendosi
essi medesimi si sforzano di rappresentare (con poca prudenza pero')
non solo la propria causa; ma quella degli altri ancora, non audendosi
che' bastanza in questo particolare e' stato prouisto dalla S. N. con hauer
dato ordine che si sentissero li datiari li quali (e qui una stilettata in piena
regola) nel rappresentare le loro ragioni non haueranno ponto bisogno
del consiglio dei bustesi; alli quali datiari a suo luogo, et tempèo se sara'
bisogno si dara' la conueiente risposta con far uedere che il detto
mercato sara' per apportargli beneficio, et non danno,propositione che
restera' tanto piu' chiara, et confirmata quando si considerera', che per
altri mercati introdotti non siano sminuite: ma si bene auantaggiate le
rendite delli datij... Quest'ultima affermazione esprime in realta' un
principio economico esatto; principio che, se allora non venne compreso,
forse anche dall'impresario delle gabelle, fu esplicitamente ammesso dal
magistrato Politico Camerale del 1795, e decise le autorita' competenti
per la concessione del mercato.
E quale fu il parere del daziari camerali? Il tempo limitato a nostra disposizione
non ci ha consentito di decifrare pazientemente un documento allegato
nel carteggio, e stilato in latino notarile ( quindi in forma assai abbreviata
e per conseguenza difficilmente comprensibile). Ci sembra tuttavia di
intravvedere una risposta recisamente negativa.
La conclusione e' ad ogni modo questa: Legnano non ottenne nel 1637 il
mercato richiesto per la seconda volta (secondo i documenti citati; ma
non e' per nulla esclusa che altre istanze siano state presentate dal
1499 al 1637; come pure dal 1637 al 1795.
Facciamo ora un salto di 157 anni e portiamoci alla fine di dicembre del 1794. I
Deputati dell'Estimo, gli esimati, e il Sindaco inoltrano istanza alla Reale
Conferenza Governativa per ottenere la concessione di un mercato
settimanale. La supplica, datata 31 dicembre 1794, porta 66 firme tra cui
183
quella del marchese Carlo Cristoforo Cornaggia Medici, del Conte
Francesco Maria Melzi, del Conte Carlo Lucini, del Canonico Gaspare
Lampugnani, ordinario della metropolitana e del Regio cancelliere
Annibale Mazza, ed e' del seguente tenore:
Nel borgo di Legnano si tiene annualmente una fiera di bestiame e di altri
generi, il giorno due di novembre. Fuori di questa occasionenon ha il
detto borgo alcun altro mezzo con cui alimentare il locale commercio, e
gli abitanti sono obbligati a ricorrere ad altri luoghi dello Stato tanto per
smerciare i propri generi e manifatture quanto per provvedere di quelli
che loro mancano.
Utile quindi e necessario sarebbe alla prosperita' degli abitanti del Borgo di
legnano e delle molte terre circonvicine l'istituzione nel Borgo stesso di
un settimanale mercato, quale non potrebbe per verun conto
pregiudicare ai gia' preesistenti nei borghi di altri limitrofi distretti attesa la
rispettiva loro distanza ed ove per la fissazione della giornata si
intendesse quella del Martedi', in cui non v'anno altri mercati per tutto
l'adiacente circondario.
Al solo fine di procurare i possibili vantaggi e risorse all'agricoltura e alla
languente marcatura del preaccennato Borgo sono determinati i qui
sottoscritti Deputati dell'Estimo et Estimati umilissimi servitori della Reale
Conferenza Governativa di avanzare come fanno alla medesima le loro
piu' fervide suppliche affinche' in vista delle premesse circostanze locali
venga accordata per tutti i martedi' dell'anno la concessione di un
mercato in luogo umanimamente desiderato dalla Comunita', la quale
comecche' disposta a sostenere tutte le occorrenti spese nella ferma
persuasione di ritrarre un abbondante compenso ha gia' manifestata la
sua adesione per concorrere anche al pagamento di chi per non esservi
in luogo una ricevitoria di finanzia dovrebbe venir destinatoi ad assistere
alla custodia, ed esazione dei Regi diritti, punto non dubitando che le
saranno altresi' concesse le facilitazioni daziarie accordate agli altri
mercati rispetto alla bestie bovineche ritornassero dal mercato invendute,
salve in questo pèroposito tutte le modalita' e condizioni che piacesse
alla Superiore autorita' di prescrivere per sempreppiu' cautelare
l'esercizio delle funzioni daziarie: e siccome i ricorrenti sonpo nella
massima fiducia
di conseguire quanto implorano in nome della
Comunita' ed il comodo ed utile della medesima non meno che della
terra attigua cosi' osano pure di supplicare la prelodata Reale
Conferenza Governativa a volersi degnare di abilitare il Magistrato
Politico Camerale a dare le opportune disposizioni per l'istituzione del
mercato di cui si tratta previa le occorrenti informazioni e concerti da
prendersi, onde possa anche la Comunita' stessa disporre tutto cio', che
184
puo' da lei dipendere per dare principio al mercato il piu' presto che sara'
possibile.
Ma non era ancora terminata la lunga Via Crucis dei legnanesi: Il Magistrato
Politico Camerale e l'Intendente di finanza dovevano dare il loro parere
alla Reale Conferenza Governativa; la supplica doveva passare
attraverso la trafila di investigazioni burocratiche precise, minute,
circostanziate. Una nota apposta in calce al documento dal Conte
Kevenhuller, presidente della sudetta Conferenza, in data 2 gennaio
1795 dice: Al magistrato politico Camerale qualora trovi meritevole di
riguardo la presente istanza informi con le sue occorrenze: Ed una altra
nota a firma Maneina, del Magistrato Politico Camerale, ci avverte
dell'esito negativo della pratica: Attese le circostanze non puo' per ora
assecondarsi l'istanza dal Magistrato Politico Camerale. Quali erano
queste circostanze?. Dall'esame del carteggio si deduce che Il
Magistrato Politico Camerale, come pure l'Intendenza di Finanza,
avevano espresso parere sfavorevole all'accoglimento della domanda di
Legnano perche' mancando in luogo una ricevitoria di finanza, non si
reputava opportuno, pur nella previsione di intenso traffico, fare
sostenere alla comunita' la spesa
di un incaricato alla riscossione
daziaria. Gli abitanti del borgo di Legnano sentita la risposta, non si
diedero per vinti e presentarono il 10 aprile 1795 una seconda istanza
ripetendo la domanda del mercato e rinunciando a qualsiasi facilitazione
daziaria.
Sopra precedente istanza diretta ad ottenere la concessione di un settimanale
mercato nel borgo di Legnano, pieve di Olgiate Olona, coi privilegij
accordati in egual circostanza ad altre Comunita' dello Stato, riportano gli
Deputati dell'Estimo ed Estimato gl'ingiunto Decreto in virtu' del quale
risulta bensi' differito ma non escluso l'addomandato provvedimento.
Pressentano in oggi gli Supplicanti che il R.M.P.C.
non abbi creduto
conveniente annuire allo stabilimento di esso mercato inquantoche' la
centrale di lui situazione non rendeva praticvabili le ispezioni di Finanza
per l'indennita' dei Reali Diritti al caso delle facilitazioni daziarie, cui
aspirano e che d'altronde fosse meno utile alla Comunita' di
legnanol'assumere a suo carico le spese occorrenti al divisato oggetto.
L'intenzione pero' dei ricorrenti Deputati ed Estimato essendo sempre stata,
ed anche in presente limitata a promuover soltanto coll'erezione del
proprio mercato e il commercio dei generi ed articoli di manifattura di
quella numerosa popolazione, alla rissorsa e fertilita' dell'agricoltura, ed
alla languente mercatura, senza far uso dei privilegi che avevano richiesti
nella gia' premessa loro rimmostranza verrebbero per tal modo rimossi gli
ostacoli che potesse la medesima avere incontrato e la concessione di
185
cui si tratta, oltre all'essere del tutto innocua ai preesistenti mercati dei
limitrofi Borghi riuscirebbe comoda piuttosto e vantaggiosa a chiunque
suole frequentarli, quallora venisse prescie4lta per il nuovo mercato di
Legnano la giornata del martedi' di cui non v'hanno altri Mercati
nell'adiacente circondario, non che di utile all'interesse degli attigui
Comuni.
Rinnovano quindi li Deputati dell'Estimo, ed Estimati le loro piu' vive istanze
per la desiderata istituzione colle di sopra suggerite viste, nella giusta
lusinga di conseguire un grazioso rescritto, che realizzi anche a favore
del Boprgo di legnano quelle Sovrane benefiche dichiarazioni, delle quali
hanno recentementeapproffittato in parita' di circostanze diverse altre
comunita' dello Stato, ed implorano a tal effetto, che il R.M.P.C. voglia
compartire quelle provvide dispozizioni che credera' opportune a regolari
a render esaudita la presente loro domanda.
In seguito alla esplicita rinuncia dei privilegi daziari
la via poteve dirsi
spianata: Il Magistrato Politico Camerale e l'Intendenza di Finanza non
hanno piu', come si rileva dai documenti protocollari, osservazioni da
muovere
e accompagnano quindi la seconda istanza alla Reale
Conferenza con favorevoli rilievi. Il 4 saettembre 1795 il presidente di
quest'ultima firma la deliberazione cosi' concepita: Ora che viene
proposto il giorno di martedi (in realta' la proposta del martedi' come
giorno di mercato, compare, come si e' visto, anche nella prima istanza;
ma, tant'e', per mascherare un po' il prevalente motivo fiscale, una lieve
inesattezza poteva ritenersi giustificata) e che non si ricerca alcuna
facilitazione daziaria, la Reale Conferenza Governativa convenendo nel
sentimento del Regio Magistrato Politico Camerale approva, che abbia
effetto la domandata erezione del settimanale mercato nel suddetto
Borgo. E finalmente la concessione del mercato viene resa pubblica
ragione il 2 ottobre con il seguente
AVVISO
La Real Conferenza Governativa dietro favorevole sentimento del Regio
Magistrato Politico Camerale si e' degnata accondiscendere all'istanza
dei Deputati all'estimo della Comunita' di Legnano con approvare e
concedere che abbia effetto l'addomandata istituzione di un mercato
settimanale in quel Borgo, che terrassi in ogni Martedi' dell'anno e che
cominciera' con il giorno di martedi 13 del corrente mese di ottobre,
senza che sia pero' accordata a tale mercatoveruna facilitazione Daziaria:
ben inteso che qualora il detto giornofosse festivo, debba trasportarsi il
Mercato nel giorno di lavoro immediatamente successivo.
In esecuzione è pertanto de' venerati Ordini del Prefato R.M.P.C. si rende nota
186
al pubblico col presente avviso l'accennata graziosa Superiore
Concessione, onde possa ciascuno ciascuno nei summentovati giorni
approfittarne.
Dalla Regia Intendenza Provinciale di Milano li' 2 ottobre 1795
Gaetano Conte della Somaglia
Regio Intendente
Giunti alla fine della nostra storia non ci sembra opportuno fare cenno alle
ulteriori vicende del mercato, le quali non presentano alcun interesse.
Dice infatti il Comm. Raimondi nella sua nota monografica su Legnano ...
"la cui istituzione (del mercato) venne concessa la prima volta con
Decreto della Reale Conferenza Governativa del 2 ottobre 1795 e
riconfermata poi dopo lunghe alternative di abbandono e di ripresa, dal
Consiglio Comunale con deliberazione del 18 agosto 1906..."
Ed ora in due parole la conclusione. Puo' darsi che il nostro apprezzamento
sia inquinato da una sottile vena di campanilismo, e che l'amore per
Legnano renda unilaterale il nostro giudizio; ma ci sembra che la
cronistoria del mercato, cosi' come e' stata esposta sulla base di
documenti ufficiali, riveli chiaramente una ingiustizia a lungo perpretata ai
danni el nostro borgo. Legnano in ogni tempo come nucleo emografico
come centro agricolo e commerciale non fu mai in sensibili condizioni di
inferiorita' rispetto ai borghi circonvicini, Busto, Gallarate, Saronno e Rho;
eppure per un complesso di varie circostanze non ebbe la fortuna di
appropriarsi di un efficientissimo strumento economico, di assicurarsi un
fattore primo per lo sviluppo ed il potenziamento dellapropria economia.
Ma oggi non comprendiamo forse l'importanza di un mercato nei tempi
trascorsi, quando le oconomie locali vivevano isolate le une dalle altre,
quando scarsi e malsicuri erano i mezzi di comunicazione e di trasporto,
e antiquate formule di politica economica informavano l'azione dei
governi. Noi sorridiamo vedendo svolgersi, intorno alla richiesta di un
mercato, lotte, diatribe, e ludi cartacei che presentano per la loro vivacita'
una singolare rassomiglianza con le moderne competizioni sportive; e
non ci rendiamo conto di quale fonte di risorse potesse rappresentare per
un borgo del contado, un mercato. Attualmente ben altri problemi che non
il mercato agitano la vita della nostra Citta': e noi auspichiamo che
tenendo presente la modesta ma istruttiva storia del mercato, Legnano
non si lasci superare nel fervore di rinnovamento che, in Regime Fascista
fa' di ogni citta' d'Italia un sonante cantiere di opere, ma sia sempre
all'avanguardia, segnacolo vibrante di operosita' e di progresso.
Dott. Aldo Strobino
187
188
Personaggi
Legnano ancor prima della costruzione di S. Magno vantava ben ventisette
famiglie nobiliari e tra queste, due si distinguevano : quella dei Vismara e
dei Lampugnani. Tra i tanti rami dei nobili Lampugnani avvezzi da secoli
all'agiatezza ed alla cultura, nacque intorno alla metà del 1400, una
tradizione artistica pittorica che vide capostipite Melchiorre Lampugnani e
si perpetuò, fino alla seconda metà del 1600 lasciando sia a Legnano che
alle città lombarde vicine opere di squisita fattura.
Con un intervallo di circa 40 anni la loro tradizione artistica verrà raccolta (nel
1650) dalla famiglia dei pittori Belloti di Busto Arsizio. Alla fine del 1700 la
pittura decorativa ad affresco raggiunge i massimi riconoscimenti
coll'avvento del Tiepolo chiamato da Carlo III in Spagna a decorare il
nuovo palazzo reale. Da noi in Lombardia il canonico Biagio Belloti,
(definito il Tiepolo lombardo) decora la volta della chiesa S. Giovanni a
Busto Arsizio. A Legnano i pittori Belloti, vengono spesso invitati a
decorare le chiese (S. Ambrogio, S. Maria delle Grazie ecc.) e sono
venerati dagli intenditori locali. Affrescatori e decoratori raffinati, anche i
Belloti protrarranno la loro opera fino alla fine del 1700.
Nel 1780 il primo capostipite della famiglia dei pittori Turri, Antonio Maria,
frequenti, lo studio dei Belloti e proseguì con figli e nipoti la tradizione
artistica del legnanese fino ai giorni nostri.
Riportiamo di seguito alcune note biografiche dei piu' importanti artisti di
queste famiglie.
Fu essenzialmente, come tutti i lombardi, un buon frescante e dalle poche
raffigurazioni strappate o riprodotte, lo possiamo qualificare un foppesco
sia per quello che riguarda i suoi fondi architettonici, sia per
l'interpretazione delle figure umane. Risiedeva abitualmente nella casa
sita a Milano (parrocchia di S. Protaso), ma aveva diverse proprietà a
Legnano dove veniva di tanto in tanto. Tra queste quella che diventerà la
casa dei pittori; ce lo diceva un suo affresco in facciata rispettato
scrupolosamente dai successori Lampugnani.
Le sue opere sono quasi tutte scomparse: sappiamo che dipinse in casa di
Isabella da Robecco, amante di Francesco Sforza in Piazza Camposanto
a Milano.
189
Nel 1474 lavori, nel Castello di Milano, e nello stesso anno con altri pittori,
decorò le volte delle cappelle delle reliquie a Pavia. Era uno dei più
quotati della sua epoca; sull'esempio del pittore Gottardo Scotti (il
creatore di un Monte dei Pegni per aiutare i suoi colleghi con altri tredici
artisti si iscrisse all'Università dei pittori milanesi e ne fu nominato capo
nel 1481. Da Gottardo Scotti ebbe in eredità il famoso volume di araldica
che continuato da lui, fu donato poi al Comune di Milano .
A Legnano gli si possono attribuire: l'Annunciazione (ora esposta al museo di
Legnano e molto deteriorata), la Circoncisione (ora al Louvre) e il trittico
di S. Erasmo.
Molti sono gli affreschi quattrocenteschi dei quali c'è rimasta memoria ma sono
di scarsa importanza e non si possono attribuire ne' a lui, ne' al
Giangiacomo. In ogni caso egli è decisamente la figura artistica di
maggior rilievo tra tutti i pittori Lampugnani che operarono a Milano e
Legnano.
Il secondo artista della famiglia dei pittori Lampugnani è ancora strettamente
legato allo stile in voga nella sua epoca ispirato al naturalismo
chiaroscurale del Mantegna, uno stile cui darà il colpo di grazia Ludovico
il Moro chiamando a Milano Leonardo (vedi l'affresco della Crocifissione
di Montorfano). Le sue figure sono rigide e composte, come nella
cappella detta di S. Agnese in S. Magno a Legnano e nei dipinti fatti fare
nel 1517, di fronte all'altare maggiore, dalla famiglia Fumagalli.
Il suo capolavoro è la volta della chiesa di S. Magno della quale possiamo
lodare la fantasia decorativa e grandiosità. Cancellati tutti i ritocchi si
potrebbero attribuirgli i due grandi affreschi di Cislago (chiesa della
Madonna della Neve): nel primo si vede il Padre Eterno e sotto la
Madonna col bambino, ai lati S. Rocco e S. Sebastiano. Nel secondo la
Madonna in orazione con due angioletti e sotto sei santi: S. Magno, S.
Rocco, S. Antonio, S. Sebastiano ecc. sullo sfondo il Papa e l'Arcivescovo
che dedicano la nuova chiesa.
A Prospiano, nella chiesa della Madonna dell'Albero il grande affresco della
Crocifissione può, destare dubbi per la composizione affastellata e la
decorazione completamente diverse da mettere in discussione la
paternità assegnatagli dai critici del 1800.
Egli risiedeva in una casa appena fuori la Porta di Sotto in Via Magenta a
Legnano. Questa antica dimora, inglobata nel 1700 dai Cornaggia nelle
loro costruzioni, venne demolita nel 1950 per dar posto all'attuale palazzo
INA. Della casa ci resta un magnifico camino scolpito con lo stemma del
190
Giangiacomo.
Epigoni di quel manierismo vantato dal cieco Lomazzo, secondo la formula dei
sette pilastri della pittura, li possiamo collocare senza prevenzione, tra i
migliori pennelli (soprattutto nell'affresco) della prima metà del 600
Lombardo. Nativi della parrocchia di San Maurilio (Milano) figli di un
notaio trasferitosi a Legnano al servizio dei Vismara., ebbero la prima
residenza nella casa magna attigua al convento delle monache Clarisse,
(fondato da Gian Rodolfo Vismara) e poi nella casa detta dei "pittori" la
cui facciata fu dipinta dal Francesco nel 1640 alla morte del fratello
Giovanni e in onore di questo e del padre. Lavorano in collaborazione: a
Varese S. Maria in prato, oratorio del Sacro Monte XII Cappella e Basilica
del S. Monte; a Legnano chiesa della Madonnina, S. Ambrogio, S.
Bernardino e chiesa della Purificazione; a Parabiago chiesa di S.
Gervaso e Protaso, a Busto Arsizio chiesa di S. Giovanni, pala di S.
Giorgio.
Poi ancora ad Angera, a Trecate, a Cerro Maggiore, a S. Giorgio per citare
solo alcuni elenchi.
Francesco Lampugnani fu particolarmente apprezzato dagli ordini monastici e
si ispirò al Luini e al Gaudenzio Ferrari pur non trascurando gli apporti
moderni voluti nell'Accademia ambrosiana del Cardinale Federico diretta
dai pittori Ceirano. Procaccini e Daniele Crespi.
Molto bello è anche il grande mappamondo (m. 1,25 di diametro) che si trova
nella Biblioteca Ambrosiana ed eseguito su incarico dell'arcivescovo
Cesare Monti. Meno nota ma non meno apprezzabile fu l'opera di incisore
di acqueforti svolta dal Francesco. Ci sono rimaste alcune opere
rappresentanti gli arazzi sacri che erano in S. Magno (ora a Milano),
nonché una stupenda carta geografica suddivisa in tre grandi incisioni
delle quali una copia è ancora conservata al Castello Sforzesco di Milano
mentre la copia più famosa andò distrutta nell'incendio della Farmacia di
Brera.
Nacque il 18 ottobre 1769 da Carlo Ambrogio Turri e Maddalena Calini.
Dimostrando molta propensione per il disegno fu presentato al canonico
Biagio Belloti (1714-1789) del quale divenne entusiasta amministratore.
In seguito al giudizio positivo del Belloti il Padre Ambrogio lo avviò
191
all'Accademia di Brera ed intraprese lo studio della pittura nonostante una
certa ritrosia da parte del padre.
Ebbe una notorietà diffusa ed eseguì lavori in tutta l'alta Italia. Come pittore si
ispirò, alle mode della sua epoca ancora rococò, e si dedicò quasi
esclusivamente all'arte sacra.
Molti suoi affreschi rimangono in Legnano, come quelli della chiesetta della
Madonnina o in S. Bernardino o la Via Crucis nella chiesa della Madonna
delle Grazie; altri purtroppo sono scomparsi come la Madonnina sulla
casa in via Palestro, scioccamente distrutta, o la cappella al vecchio
cimitero con un'Annunciazione della quale esistono i due bozzetti.
Nel 1829 espose nelle gallerie della Imperiale Regia Accademia di Belle Arti
delle composizioni floreali dipinte ad encausto guadagnandosi il plauso
delle giurie. Fu allievo di Domenico Asperi, Giocondo Albertolli e Giuliano
Traballeri, dei quali proseguì l'opera e la tradizione con molto successo.
Altri suoi lavori restano nelle chiese di Rovellasca (S. Maria Assunta), di
Sacconago (la via Crucis), di Castellanza (chiesa Prepositurale), di
Legnano (affresco di S. Pietro Martire in S. Magno), di Arconate, di
Besano. In tutti i suoi lavori rimase fedele al principio delle rigorose
raffigurazioni in accordo con le interpretazioni derivate dalla pittura
romantica della fine del Settecento.
Da Antonio Maria e Serafina Colombo nacque a Legnano il 6 novembre 1803
(morì il 5-6-1882) Daniele Giuseppe Beniamino Turri; sposò, Maria
Redaelli ved. Lampugnani ed ebbe cinque figli.
Cresciuto nell'atmosfera artistica di casa venne avviato agli studi di Brera nel
1820, ma abbandonò quasi subito l'Accademia sia per l'impegno continuo
in aiuto al padre Antonio M. sia parchè si reputava già sufficientemente
maturo per la professione. Come lavoro di licenza espose alla Imperiale
Regia Accademia una Crocifissione di notevole pregio.
Eseguì una rilevante serie di affreschi tuttora esistenti come quelli nel
camposanto di Arconate; nella chiesa parrocchiale di Besano; nella
Lodolo di Tradate; nella chiesa di Bienate, con affreschi e quattro quadri
ad olio sulla tazza del coro; nella chiesa Parrocchiale di Magnago. Inoltre
sono presenti suoi lavori a Cardano al Campo, Prospiano, Coarezza,
Milano .
Lo aiutarono Jafet Turri (1804-1830) che fu richiamato alle armi e morì in
Galizia, e per le decorazioni i fratelli Sem e Noè Turri. Pressoché
autodidatta, buon colorista con un manierismo riassuntivo e piacevole,
era molto richiesto per le decorazioni e le figure sacre nelle chiese, nei
192
conventi o suoi mulini .
Attivissimo ed attento studioso ha lasciato una imponente collezione di schizzi
e disegni che rappresentano quadri e affreschi antichi di tutte le chiese
dei nostri paesi vicini e di Legnano.
Grazie a questi oggi possiamo ricostruire storicamente molte parti del nostro
patrimonio artistico locale anche se scomparse.
Mosè Turri nacque da Beniamino e Maria Redaelli il 2 febbraio 1837 a
Legnano e vi morì l'8 luglio 1903.
Dimostrò fin da ragazzo una mano felicissima nel disegno e venne avviato agli
studi artistici a Brera dal 1850 al 1855. Suoi professori furono Angelo
Brusa, Luigi Bisi e nella figura i pittori Sogni e Francisco Hajez.
Espone a Milano nel 1872, a Genova all'esposizione Nazionale del 1872, a
Firenze nel 1873, a Torino nel 1874 e 1878. I suoi quadri ad olio erano
ricchi di soggetti animali e floreali e destarono l'ammirazione dei critici di
quel tempo. Insieme all'architetto Emilio Alemagna affrontò innumerevoli
lavori nelle case nobiliari milanesi sia come figurativista che come
decoratore. Anche nel campo dell'arte sacra la sua opera si distinse per
l'estrema abilità cromatica delle composizioni. Sono presenti suoi
affreschi nelle chiese di Lomello, Cavaglio, Villa Cortese, Sacconago,
Romentino, Tradate, Gorla Minore, Cerano, Marnate. In Legnano
splendide sono le cappelle d'ingresso nel Santuario della Madonna delle
Grazie, la volta della chiesa della Madonnina, la cappella a sinistra è
dell'altare in S. Magno con una serie di pregevoli quadri ad olio. Lavorò
anche per la casa reale ed eseguì il chiosco Torrazzi di Novara per i
Visconti, come pure la loro casa di via Cerva in Milano. Lavorò a Villa
Olmo di Como ed a gran parte degli affreschi del castello di Somma
Lombardo. La sua opera si può, ancora ammirare anche nell'ambasciata
di Madrid. Fu un ottimo disegnatore e fatto tesoro degli insegnamenti di
Sogni e Hajez proseguì sulla loro strada dedicandosi, nella pittura ad olio,
soprattutto agli animali. Di lui sono rimasti celebri quadri raffiguranti
selvaggina. Suoi collaboratori furono i fratelli Daniele ed Elia, con i quali
agi integrando le parti di decorazione a stucco e pittoriche eseguite da
questi ultimi alle sue creazioni di scene ed ottenendo grazie a questa
"bottega d'arte" risultati di grande pregio per l'amalgama tra decorazione
pittorica ed a rilievo in stucco. Mosè Turri sposò Vittoria Zanetta ed ebbe
da lei sei figli dei quali uno continuò la tradizione artistica della famiglia.
193
Figlio di Beniamino, fratello di Mosè Turri (senior) avviato fin da ragazzo ad
aiutare il padre nei suoi lavori di arte sacra, non poté frequentare gli studi
rimanendo sacrificato nel suo talento.
Era un ottimo colorista ed a lui venivano affidate le esecuzioni di ornamenti e
composizioni di fiori.
Era anche un restauratore di grande esperienza e, soprattutto, buon interprete
delle varie forme di pittura antica.
I suoi numerosissimi lavori sono presenti a fianco o costituiscono parte di
quelli nominati sia per il padre Beniamino che per il fratello Mosè.
Come il fratello Daniele anche Elia Turri fu sempre presente nelle grandi
realizzazioni artistiche nelle chiese, negli interni delle ville patrizie
eseguite dalla famiglia Turri. Elia occupava della parte scultorea e delle
decorazioni in gesso legate alla moda tardo barocca del suo tempo.
Bellissimi sono gli altari scolpiti con putti e lesene nella chiesa delle
Grazie in Legnano, nella chiesa della Madonnina, nelle ville Bernocchi,
Dell'Acqua.
Suoi professori a Brera nel 1865 furono Claudio Bernocchi e Raffaele
Casnedi.
Figlio di Mosè e Vittoria Zanetta, Gersam Turri nacque l'1 settembre del 1879 a
Legnano, studiò a Brera dal 1893 al 1898 con i professori Pogliaghi, Carlo
Ferrario, Gaetano Moretti, Vespasiano Bignami e Camillo Rapetti nonché
come insegnante di pittura Cesare Tallone. Collaborò fino al 1910 nella
bottega di famiglia con gli zii Daniele ed Elia. Quindi proseguì da solo
creandosi un nutrito gruppo di decoratori in buona parte diplomati, che lo
aiutarono nell'esecuzione di lavori talvolta difficili e molto grandi come
dimensioni. Fu un conoscitore finissimo degli stili italiano e francese, da
Luigi XIV a Luigi Filippo. Per la sua abilità decorativistica e competenza
artistica fu definito dai suoi colleghi contemporanei il "re del Barocco".
Progettava e campionava le sue decorazioni, eseguiva personalmente la
parte figurativa. Fu uno splendido manierista per istinto ed il suo stile è
inconfondibile. Alla moda di allora nonché alla sua bravura sono dovute le
preferenze accordategli dalle famiglie signorili del tempo . - Nel 1905
sposò Lodovica Giussani ed ebbe due figli. Alcuni suoi lavori sono: la
chiesa di Appiano Gentile, la chiesa del S. Crocifisso a Como, la cupola
194
ed il grandioso transetto, il tempio Voltiano di Como e il Palazzo del
Broletto, Lomazzo chiesa e Palazzo Somaini, a Legnano le quindici
cappelle del Santuario di S. Maria delle Grazie, la chiesetta
dell'Orfanotrofio Gilardelli, la cappella di destra all'altare in S. Magno a
Legnano, e le figure nei tondi sopra i pilastri nonché tutta la decorazione
della parte inferiore della chiesa. A Milano affrescò in Via Durini la casa
del maestro Toscanini. Inoltre le ville del conte Emanuele Castelbarco,
Villa Stucchi e Villa Pirotta a Como. Dal 1916 al 1918 fu sotto le armi e si
occupò di cartografia militare, nel 1919 decorò le case della contessa
Luisa Bonacossa a Milano con altre venti abitazioni signorili, compreso il
suo capolavoro in Via Cerva di proprietà Visconti, il famoso salone da
ballo.
Fu anch'egli collaboratore di famosi architetti come il conte Alemagna, il
professor Giorgio Portaluppi, l'architetto Federico Frigerio, l'architetto
Perrone. Di lui hanno parlato giornali e riviste del tempo in più occasioni.
Una nota curiosa è quella che lo vede realizzatore insieme all'architetto
Portaluppi in una serie di bellissime meridiane ancor oggi funzionanti e
riportate sui più' noti testi in materia, compresa l'enciclopedia Treccani.
Uno dei suoi ultimi lavori, eseguito per l'ambasciata italiana a Berlino, fu
trafugato durante la guerra ed e' scomparso.
Nasce nel 1907 a Legnano da Gersam e Lodovica Giussani. Entra
all'Accademia di Brera nel 1926 e studia con i professori Rapetti, Biagi,
Alciati, Guidi ed Aldo Carpi. Durante gli studi ottenne due premi il
Beltrame e il Briani per un concorso alla Permanente di Milano. Iniziò a
lavorare a Cedrate alla Cappella Crespi a grafito. Aiutò il padre nella
preparazione dei cartoni per la cupola del S. Crocifisso a Como, ed
eseguì la cappella dei caduti a Carnago ed affreschi nelle scuole
comunali dello stesso paese.
Lasciò l'Italia nel 1935 partendo per la guerra d'Africa, ritornò, nel 1937 con
numerosi quadri e disegni ispirati all'ambiente d'arte africana ed espose
gli stessi a Roma riportando menzioni di lode. Affrescò con diversi cicli di
scene le chiese di Carnago, S. Fermo a Varese, Stimianico a Cernobbio,
affrescò la chiesa del Buon Gesù ad Olgiate Olona e la Parrocchiale di
Solbiate Olona. Sono suoi gli affreschi nelle scuole Canossiane di Busto
Arsizio, Nerviano e S. Stefano.
Eseguì numerosissimi ritratti ad olio, Madonne, nature morte e chiaroscuro.
Data la grande esperienza ereditata dalla famiglia ed avendo condiviso
alcuni anni di lavoro con lo zio Daniele (restauratore) si occupò anch'egli
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di salvare molti antichi capolavori che gli vennero affidati come la chiesa
di Binago, la Cattedrale di Treviglio, la chiesa di S. Magno a Legnano ecc.
Con il padre Gersam e l'ingegner Sutermeister recuperò, in Legnano
numerosissimi affreschi antichi operando, con interventi d'urgenza,
strappi sui muri in abbattimento delle vecchie case signorili di Legnano. A
questa sua opera si devono quasi tutti i preziosi affreschi ora conservati
nel museo Sutermeister di Legnano.
Alla sua esperienza e ad un felice caso si deve oggi l'esistenza della stupenda
chiesa di S. Maria Foris Portas a Castelseprio.
Nel 1939 infatti a causa di fatti di sangue avvenuti nell'edificio diroccato e
incendiato, il parroco di Carnago, proprietario dei boschi e dello stabile,
aveva deciso di abbattere le vecchie mura. Richiesto di una perizia
tramite i parenti della futura moglie Angela Magnoni di Carnago, e
recatosi nella chiesina, scoprì sotto gli intonaci incendiati uno stupendo
ciclo di affreschi del VIII secolo e scongiurata la demolizione affidò alle
cure della sovrintendenza un così cospicuo patrimonio artistico poi
pienamente valorizzato dallo studioso Bognetti.
Mosè Turri sempre legato ai temi d'arte sacra, alla ritrattistica ed alla
rappresentazione di nature morte, continua ancor oggi, anche se non più
sulle volte delle chiese, la sua produzione, sempre preciso nel gesto ed
attento alle forme del suo manierismo moderno .
Tra i cittadini illustri Legnano può certamente annoverare una famiglia di
artigiani costruttori di organi da chiesa, famiglia che operò per più di cento
anni dal 1770 al 1896, producendo strumenti di una musicalità squisita.
Legnano li ha oggi dimenticati, anche se alcune loro opere nelle
domeniche di festa allietano i nostri animi grazie ad "un eccezionale
equilibrio discriminatorio nella definizione delle personalità foniche dei
singoli registri. Il loro ripieno infatti si fonda su dei 'principali' che sanno
contenere la loro peculiare natura robusta in modo tale da permettere alle
file di 'ripieno' di estrinsecarsi liberamente nel delicato gioco degli
armonici, così da creare un amalgama sonoro di cristallina trasparenza e
permeato da una volontà di coesione di inimitabile naturalezza". (Stella e
Vinay, I Carrera, Brescia 1973, p. 12). Questi abili artigiani pur non
arrivando mai a godere di una "fama illustre" furono sinceramente
ammirati e quasi invidiati da organari ben più famosi come gli Almasi, i
Bianchini, i Maroni, i Boniforti, i Pedrali, i quali molto spesso non
riuscivano ad ottenere organi altrettanto perfetti, anche parchè la
committenza talvolta richiedeva loro collocazione ed estetismi
196
neo-barocchi per gli strumenti a discapito della pulizia sonora. Oggi dei
Carrera restano circa trentasei piccoli capolavori che sono sparsi per la
Lombardia da Bollate a Como, a Milano, a Varese, a Saronno. Anche. a
Legnano se ne conservano nella chiesa di S. Ambrogio, nel Santuario
della Madonna delle Grazie, nella chiesa della Purificazione della Beata
Vergine, unitamente ad un pregevole accrescimento dell'antico organo
Antegnati in S. Magno.
Tutte queste delicate creazioni richiedono oggi seri provvedimenti di restauro,
in quanto non hanno goduto di manutenzione per troppi anni.
GIOVANNI MARIA CARRERA (1750-1818) -- Nato da Stefano Carrera e
Giovanna Montola, a Canegrate, si trasferì con la fabbrica, dopo il 1790, a
Legnano, dove iniziò a formare quella bottega di organari che operò per
oltre un secolo.
Di lui si conoscono poche note biografiche; è tuttavia il vero fondatore della
casa organaria.
GEROLAMO CARRERA (1796-1863)
Nipote del capostipite Giovanni Maria,
venne iniziato ai segreti della bottega artigiana alla morte dello zio e
continuò, aiutato dai fratelli Giuseppe e Stefano Carrera, le tradizioni
costruttive della famiglia. Egli arricchì con severo spirito critico l'arte dei
Carrera, profondendovi la cultura acquisita nei suoi viaggi di studio in
Italia ed all'estero. La caratteristica di "bottega d'arte" con lui emerge
senza superbie personali ed i lavori vengono firmati sempre "Fratelli
Carrera" proprio per rimarcare la preziosa opera di collaborazione
esistente all'interno della famiglia.
ANTONIO DE SIMONI CARRERA (1826-1896)
Ultimo della famiglia Carrera ad occuparsi di quest'arte difficile e sottile, era
nipote di Gerolamo. Nativo di Cerano venne presso gli zii ad apprendere i
segreti del mestiere. Di segreti doveva trattarsi, stando ad uno scritto
dell'organario Luigi Bernasconi che in occasione di un preventivo di
restauro per l'organo prepositurale di Parabiago affermava: "l'intonazione
e l'accordatura saranno eseguite in modo da lasciare inalterata
l'intonazione propria degli strumenti Carrera ". A questo proposito la ditta
Bernasconi faceva notare che essa sola possedeva il segreto per riuscire
a questo risultato, segreto trasmessole volontariamente e
spontaneamente dall'ultimo proprietario della ditta Carrera, il compianto
Antonio De Simoni Carrera. (lettera dell'8-8-1912 al Prevosto di
Parabiago - Arc. parr.).
E' come si fosse chiuso un velo di silenzio sugli antichi strumenti lasciatici.
197
Chissà se le nostre orecchie moderne saranno ancora capaci di cogliere il
profondo segreto nascosto nelle armonie che dalle antiche canne escono
riempiendo le volte delle nostre chiese!
Tra i successori di Giovanni da Legnano una trattazione particolare merita
quel gruppo di discendenti conosciuti come Editori da Legnano, i quali, in
un certo senso, rappresentano una continuità del giurista e scrittore,
come diffusori di cultura. Si sa che Giovanni, oltre che docente, fu
sensibile mecenate ed ebbe la preoccupazione di perpetuare anche dopo
la sua morte l'attenzione verso studenti poveri che desideravano
intraprendere gli studi in diritto canonico o civile, in scienze e in medicina,
in particolare privilegiando dapprima studenti di
Bologna, poi di
Legnano e, in mancanza, di Milano e quindi dovunque residenti, parchè
capaci e poveri. Si è già osservato come la parte del testamento che
dispone un lascito a detti scopi avesse una singolare analogia con quella
di un altro personaggio vissuto a Legnano, Bonvesin de la Riva, il quale
con Giovanni può essere considerato tra i precursori dell'istituto delle
borse di studio.
Tutto ciò comprova anche l'attaccamento di Giovanni alla sua terra d'origine,
Legnano. Infatti, trasferendosi a Bologna, volle aggiungere al suo
cognome Oldrendi l'indicazione da Legnano, con la quale
fu poi
universalmente conosciuto. E questa denominazione rimase anche ai
suoi successori legnanesi, mentre i suoi discendenti di Bologna si
chiamarono, trasformando il cognome, Legnani. Il gruppo degli editori
ebbe come capostipite un omonimo del nostro Giovanni. Derivò da un
ramo collaterale del fratello Bianco e dal di lui figlio Contolo, nonno
appunto del primo degli editori, figlio di Giacominone.
Giovanni, che chiameremo editore da Legnano, per distinguerlo dal suo avo,
diede un grande impulso alla cultura attraverso una copiosa serie di
pubblicazioni, in particolare diffuse nel Ducato milanese.
Questi testi ebbero notevole importanza parchè si inserirono in uno dei periodi
storici, in cui maggiormente avvennero sconvolgimenti, mutamenti ed
innovazioni nel campo del pensiero, nella sfera della morale, nella
conoscenza del mondo, tanto in senso geografico che in senso
fisico-naturalistico. Non si dimentichi neppure che l'editore da Legnano
visse ed operò nel primo periodo di splendore rinascimentale che, nel
campo dell'editoria ebbe un notevole impulso con l'invenzione di
Gutemberg. al quale si deve l'introduzione della stampa con lettere mobili
fuse in metallo.
198
Giovanni editore iniziò ad operare appunto pochi anni dopo la morte del
grande tipografo tedesco.
Come il suo grande avo giureconsulto, Giovanni da Legnano, e i suoi figli dopo
di lui, esplicarono l'importante ruolo di far stampare e diffondere le opere
librarie nel Ducato di Milano, trovando negli Sforza illuminati promotori e
mecenati, e quindi diramando in tutto il mondo, nel campo della cultura, il
nome del paese che diede loro i natali.
La data del 23 ottobre 1480, costituisce un riferimento importante per Legnano,
parchè in tale giorno uscì il primo libro fatto pubblicare da Giovanni
editore, il primo di una lunga serie, che si potrarrà per 45 anni. Si tratta di
un'opera impegnativa destinata comunque alla elite culturale di quei
tempi, le Historiae Romanae decades di Tito Livio, fatte stampare dal
tipografo Antonio Zarotto di Milano, con il quale il da Legnano iniziò così
una lunga collaborazione interrotta soltanto nel 1487, quando decise di
dedicare la sua attività di editore anche al suo omonimo ascendente
Giovanni da Legnano, pubblicando il De represaliis, bello et duello cum
additionibus.
Questo volume fu stampato da Cristoforo de' Cani di Pavia, forse parchè
essendo opera di giurisprudenza da destinare in particolare all'Università
pavese, l'editore aveva ceduto a qualche condizionamento locale.
Nello stesso anno un'altra opera del giurista fu edita dai da Legnano, il De
duello, stampata nuovamente a Milano, ma presso l'editore tedesco
Ulrico Scinzenzeler, d'ora in poi preferito, insieme ad altri stampatori, da
Zarotto.
Si nota che la produzione del Da Legnano, e successivamente dei figli, si
indirizzava a Pavia ed ad altre località, quando si trattava di pubblicare
opere di diritto, mentre si rivolgeva a tipografi milanesi per quelle opere a
carattere religioso, storico e divulgativo (queste ultime scritte per lo più in
volgare) così come per volumi di letteratura latina, di filosofia e di
grammatica. La scelta evidentemente era dettata anche da ragioni
commerciali e dai collegamenti che l'editore legnanese aveva con la corte
ducale.
I da Legnano erano sempre consci del loro ruolo di diffusori di cultura e
curavano minuziosamente i volumi, cosa essenziale in quell'epoca
meravigliosa del Rinascimento milanese, anche per una fastidiosa
concorrenza da parte di altri editori spesso in gara col tempo pur di far
uscire prima un'opera che si sapeva fosse in preparazione presso un'altra
impresa editoriale. Uno dei tanti esempi è costituito dai Fasti di Ovidio. I
tipografi Pachel e Scinzenzeler riuscirono infatti a battere nel tempo il da
Legnano facendo uscire una loro edizione della stessa opera diciannove
giorni prima, esattamente il 26 maggio 1483.
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Ciò, nonostante le opere dell'editore da Legnano trovavano ugualmente una
preferenza parchè molto curate con l'intervento frequente anche dello
stesso editore nell'incipit e nella praefatio. Egli, colto e conoscitore dei
classici, realizzò alcune opere col Filelfo e con altri noti lettori accademici
che andavano per la maggiore a quei tempi Sempre come uomo di
cultura il da Legnano aveva una propria organizzazione per lo smercio
delle opere, una bottega con la stessa insegna della sigla libraria: un
angelo ritto che regge in mano un medaglione tondo contenente al centro
un monogramma di Cristo circondato dall'orifiamma lombarda, che si
riscontra in alcune decorazioni di costruzioni rinascimentali lombarde.
Anche a Legnano, ad esempio, la palazzina-maniero dei Lampugnani,
oggi sede del museo civico, contiene appunto questo oramento
all'esterno e nelle pareti interne dell'edificio.
Benché proprietari di un'officina calcografica situata in San Michele al Gallo a
Milano i da Legnano non stampavano in proprio, ma curavano
personalmente la vendita dei libri (non solo i loro, ma anche quelli inviati
da altri centri di cultura italiana) appunto nella bottega sopra accennata
che si trovava in località Broleto Novo. Che il da Legnano fosse
considerato tra i fornitori ufficiali del Ducato di Milano è provato
dall'intervento dello stesso duca il quale lo agevolava nella diffusione
delle opere di sua edizione, e per il trasporto nelle altre città poste sotto il
dominio della Signoria.
Già Galeazzo maria Sforza nel 1494 invio' un messaggio personale al suo
oratore personale a Venezia Thadeo Vincemala per renderlo edotto che
Jhannes Legnani, mercadante et cartharo milanese nostro deve portare
balle due libri de Venetia, invitandolo a rendergli facili i movimenti di
trasporto ( Registro Missive Ducali in Archivio di Stato Milano, n. 154,
114-115, 8 settembre 1494.) Nello stesso giorno il Duca fa partire per il
Doge di Venezia un messaggio personale con il quale chiede le
medesime facilitazioni (Registro Missive Ducali in Milano n. 154 1°, p. 116,
8 settembre 1494). Con questi appoggi l'opera editoriale e di divulgazione
libraria dei Da Legnano ebbe il massimo fulgore e una rapidissima
evoluzione. la bottega con l'insegna dell'Angelo era a Milano un punto di
riferimento quasi obbligato e le opere dei Da Legnano non richiedevano
eccessiva propaganda come erano costretti a fare invece altri editori.
Come curiosità citeremo quanto si leggeva sul frontespizio della Historia de la
Rotta e presa del Moro, edito da un concorrente milanese, cioè' un
richiamo sul frontespizio, che, accennava all'utile da ricavare per la
vendita del libro, rivolto al lettore: "Voi havete la storia e mi tiro il quatrino".
Giovanni da Legnano operò, ininterrottamente, e con il successo che si e'
detto, per circa un ventennio prima di interrompere bruscamente l'attivita',
200
nel 1502, (secondo un'ipotesi formulata da Guido Sutermeister che agli
editori da Legnano ha dedicato uno studio approfondito, in quanto colpito
da una grave malattia (Guido Sutermeister, (Gli editori da Legnano,
Societa' Arte e Storia Legnano, 1946 e, stesso autore, Memorie n. 12 1948 - Societa' e Arte e Storia di Legnano). Non e' da escludersi neppure
che questa improvvisa battuta d'arresto delle edizioni dei da Legnano sia
dovuta anche alle vicissitudini che ebbe la Signoria Sforzesca in quel
periodo. Luigi XII, nel 1500, conquisto', il Ducato, come si sa, e lo tenne
fino al 1511, quando l'esercito della Lega Santa costrinse il monarca
francese a rinunciare a Milano e al Veneto e, dopo la battaglia di Novara
(1513), a tornarsene in Francia.
Con la scomparsa di Giovanni da Legnano dalla scena editoriale lombarda
non si fermo' la produzione, in quanto gli subentrarono nell'importante
azienda i figli Giovanni Giacomo, Bernardino e Giovanni Antonio. Costoro,
sotto il nome Fratelli da Legnano, con rinnovato vigore ripresero la
produzione tipografica che prosegui fino al 1525 realizzando, in questo
arco di tempo, 240 opere che si aggiunsero alle 118 del padre.
I nuovi conduttori dell'azienda dovettero pero', adeguarsi ai movimenti politici
verificatisi in Milano, nei primi anni del XVI secolo.
I fratelli da Legnano entrarono nella scena editoriale, ideando un'opera di
grande richiamo per quei tempi, in cui i fasti degli Sforza stavano
decadendo con la prepotente conquista del Ducato da parte di Luigi XII.
Sfruttando il momento psicologicamente favorevole per i cultori del
passato e, in genere, per il colto pubblico milanese, decisero di stampare
la prima Historia di Milano, scritta da Bernardino Corio nel 1499,
curandola in modo particolare nella presentazione, nelle tavole di grandi e
pregevoli silografie e nel frontespizio. L'opera ebbe il successo sperato.
Le mutate condizioni politiche ed anche una certa crisi economica che
caratterizzo' il primo ventennio del secolo, consigliarono ai da Legnano di
diversificare le loro edizioni. Accanto ad opere di classici latini e greci,
tradotti e commentati con la collaborazione di eminenti umanisti del
tempo come Valla Poliziano, Merula e Filelfo (quest'ultimo già' utilizzato
dal padre), i fratelli da Legnano stamparono una lunga serie di libri a
carattere giuridico. C'e' da osservare che dei tre fratelli, Giovanni
Giacomo, che aveva ereditato dal padre una vasta cultura umanistica, si
era dedicato allo studio delle opere del suo antenato e omonimo Giovanni
da Legnano. La produzione editoriale pertanto si fece intensa in questo
particolare settore, alternata comunque ad opere di carattere popolare e
divulgativo, ivi compresi romanzi cavallereschi, resoconti di viaggi e di
leggende agiografiche, nonche' edizioni di autori in volgare, dal Petrarca
a Cecco d'Ascoli all'Ariosto. Scorrendo le schede dell'intera produzione
201
dei da Legnano raccolte e pubblicate da Cesare Gallazzi, nel quinto
centenario della stampa del loro primo libro, (Cesare Gallazzi L'editoria
milanese nel primo cinquantennio della stampa: I "da Legnano "
[1480-1525], Busto Arsizio 1980), troviamo, tra le diverse opere giuridiche,
sette incunabuli con scritti del giurista Giovanni da Legnano. Ed
esattamente: una riedizione del De bello (1503); poi ancora il De duello
(inserito nel Tractatus de re militari ubi est tota materia duelli, a cura di
Paride Dal Pozzo) stampato con data 1508 e uscito in ulteriori edizioni
l'anno successivo e nel 1515 insieme ad un trattato di Bartolomeo
Cepolla e Antonio Corsetti il Tractatus de pluritate beneficiorum (1515) ed
infine il De ecclesiastico Interdicto.
Una delle opere piu' pregevoli dei fratelli da Legnano e' il Messale Ambrosiano,
uno splendido incunabulo in pergamena con belle silografie a piena
pagina.
Le illustrazioni sacre, come la stessa figura del Crocefisso, contenute nel
Messale, dimostrarono come fosse mutata l'immagine e come si fosse
verificata una evoluzione dalle forme legate all'arte medievale, con
reminiscenze ancora gotiche e bizantine, a forme rinascimentali sempre
piu' nuove. Questa edizione era stata fatta stampare nel 1522 dal
prevosto Francesco Crespi de Robertis, primo rettore della chiesa di
Santa Maria di Busto Arsizio, allora appena finita di costruire. C'e' da
ritenere che i fratelli Legnani avessero assunto l'esecuzione di
quest'opera di grande impegno per una ragione spirituale basata sui
vicendevoli legami con Legnano e lo stesso prevosto di Santa Maria. E'
anche noto infatti che i Bustesi avevano costruito la chiesa di Santa Maria
sul disegno di quella bramanteggiante di San Magno a Legnano, finita
appena cinque anni prima. Entrambe le basiliche restano testimonianze
rinascimentali di grande valore architettonico.
Ma il fulgore e l'opulenza del Rinascimento lombardo si placarono e, a partire
dagli anni Venti del XVI secolo, anche l'attivita' dei da Legnano decrebbe
gradatamente, fino a spegnersi nel periodo, in cui imperversava in tutta la
Lombardia la terribile peste. Il canto del cigno dei fratelli da Legnano si
ebbe nel 1524 con la pubblicazione di una grande opera in terza edizione
assoluta, l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Questo capolavoro della
letteratura di tutti i tempi, non tenendo conto di altre tre pubblicazioni
uscite, due nel 1525 ed una nel 1533, segno' cosi' la fine della produzione
libraria degli editori da Legnano, ripresa successivamente da alcuni
discendenti dei diversi rami della famiglia, che operarono in Milano col
medesimo nome, ma non piu' con la caratteristica insegna dell'Angelo.
Questo ritiro dei da Legnano, dovuto alla situazione precaria dell'intero Ducato
milanese e di altre Signorie nell'Italia Settentrionale, chiuse anche
202
un'epoca aurea dell'editoria rinascimentale. I da Legnano, nella loro dotta
attivita' e nella scelta delle opere da stampare, avevano abbracciato ogni
espressione e manifestazione di tutto lo scibile di autori coevi e non, da
opere popolari di primario interesse, fino a quelle di formazione
umanistica, di filosofia (con particolare preferenza agli argomenti giuridici
anche in omaggio al loro noto avo), nonche' a quelle della grande
letteratura. La scelta era stata fatta secondo le condizioni politiche e
l'ambiente socio culturale, religioso in cui i libri dovevano essere diffusi.
Percio' a queste opere già' di per se' di grande interesse, si deve attribuire
anche la caratteristica di fedeli specchi del tempo, un compito storico di
testimonianza nella evoluzione della stampa, un valore estetico ed anche
un sustrato etnografico. Infatti, tra le edizioni pregevoli i da Legnano
avevano inserito, anche negli ultimi tempi, una quarantina di volumi in
volgare, di impostazione e veste economica popolare, proprio perche'
intendevano essere diffusori di cultura a tutti i livelli.
Certamente la produzione editoriale dei da Legnano era coincisa con il primo
periodo della silografia nel XV secolo e con lo splendore dell'arte e della
cultura illustrativa di Leonardo e Bramante.
Le edizioni dei da Legnano restano nella storia dell'editoria forme compiute ed
elette del Rinascimento, servendosi i Nostri dei grandi maestri silografi,
miniatori ed incisori milanesi, mantovani, pavesi e bresciani. I da Legnano
avevano saputo sfruttare assai abilmente l'arte illustrativa, specie nel
primo periodo della loro opera di divulgazione della cultura.
Nel Quattrocento il libro, pur conservando, come e' naturale, le reminiscenze
del codice miniato, aveva subito una crisi originaria per l'impossibilita'
tecnica, tra l'altro, di usare nella stampa il colore, per cui, verso la fine del
secolo, proprio quando i da Legnano erano sulla cresta dell'onda, si
delineo' la tendenza a creare il libro illustrato o, perlomeno, decorato, che
si affermo' e si impose appunto a incominciare dal Cinquecento.
Come siamo debitori all'Alto Medioevo e al XIV secolo dell'ansia di cultura
giuridica, filosofica, scientifica e naturalistica che Giovanni da Legnano ha
saputo esprimere in tutta la sua illuminata arte di giurista e di scrittore,
cosi siamo in gran parte debitori al Rinascimento anche di quelle
meraviglie di arte editoriale ed insieme figurativa che ci sono state
tramandate proprio attraverso la ricca e varia produzione degli editori da
Legnano.
203
Il fiume OLONA
Qualche breve notizia per non dimenticar questo nostro fiume. Il perche' del
nome Olona, il suo corso e l'importanza che riveste ancor oggi questo
fiume per la nstra citta'... Impariamo a conoscerlo ed apprezzarlo.
Un corso d'acqua e' certamente un elemento importante nell'economia di un
territorio.
Si pensi a questo riguardo a quante volte abbiamo sentito affermare, ad
esempio, che "l'Egitto e' dono del Nilo" o, passando in rassegna Coitta'
d'Italia e d'Europa, possiamo constatare come la maggior parte delle piu'
importanti capitali siano sorte proprio lungo e sponde di un fiume.
Anche nel caso dell'Olona, seppure in maniera meno accatante rispetto agli
esempi sopra citati, non si puo' prescindere o negare il ruolo assunto da
questo fiume nel nostro territorio.
Sull'importanza che senza dubbio, ha rivestito questo corso d'acqua nella
nostra zona si puo' ricordare che, fin dalle epoche piu' antiche, il letto di
questo fiume fu affiancato da strade che mettevano in collegamento
Milano e la terra elvetica, e che, per quanto ci riguarda da piu' vicino, le
sponde del fiume furono anche la zona dei primissimi insediamenti di
legnano.
Esaminando infatti i siti di questi ultimi insediamenti - alcuni databili a partire
dal XIII - XII sec. a.c. - e' possibile rilevare che parte di essi sono stati
rinvenuti proprio nei pressi del fiume (in localita' "Gainella", l'attuale
Gabinella").
Il corso del fiume
L'olona e' un fiume prealpino: nasce infatti sopra Varese, in una localita' poco
al di sopra di Rasa.
Dopo aver aggirato Varese si snoda in piu' rami nella valle che prende il nome
proprio dal suddetto fiume, la valle Olona.
Nel territorio del legnanese - se la portata del fiume - anche se a Castellanza i
rami si riuniscon in un unico letto - e' ridotta e il flusso si rivela piu' lento a
causa della mancanza di affluenti.
Parecchi sono i borghi e le cittadine che devono il proprio toponimo alla
vicinaza di questo fiume (ad esempio castiglione Olona, Olgiate Olona,
San Vittore Olona).
Il suo percorso di una settantina di chilometri attraversa quattro province
204
(VA,CO,MI, PV) prima di immettersi nel Po,(2) a San Zenone.
L'etimologia del nome Olona e' incerta.
La prima attestazione che abbiamo risale all'Anonimo Ravennate, geografo
della prima meta' del VIII secolo, che nomina il nostro fiume con il nome
"Olona", diventato nei secoli successivi "Oronna", "Ollona",e, infine
"Olona".
Altri hanno voluto scorgere nel nome una radice indoeuropea indicante, in
genere, il verbo scorrere.
Probabilmente l'ipotesi piu' accreditata e' quella che accosta il nome ad una
radice di origine celtica. I primi abitanti di queste terre - i galli Celti avrebbero, in linea di massima, usando la radice (*ol) per indicare il
concetto espresso dal nostro aggettivo "grande".
Il fatto che il nome OLONA sembri essere traducibile come il fiume "grande" e'
da mettere in relazione alle diverse condizioni del fiume rispetto ai giorni
nostri.
Il fiume, in passato, sarebbe stato piu' lungo dell'attuale e avrebbe avuto sia
una maggiore portata d'acqua sia maggior importanza rispetto agli altri
cosrsi d'acqua del primo tratto del territorio in cui scorre l'Olona.
Infatti, nonostante vi siano altri ruscelli e fiumiciattoli nella zona ( ad esempio il
Lura, Bozzente e Strona) nessuno di questi avrebbe potuto essere
classificato come fiume al pari dell'Olona.
Oltre a tutti i centri abitanti che la presenza del fiume ha catalizzato lungo tutto
il suo percorso e' innegabile che anche nel Legnanese l'Olona abbia
rappresentato uno dei fattori che hanno permesso lo sviluppo
agricolo-industriale che il nostro territorio ha raggiunto nel corso dei secoli.
Infatti mediante opere di canalizzazione, l'agricoltura si e' sviluppata
notevolmente in tutta la nostra zona e, successivamente alla Rivoluzione
Industriale numerose attivita' produttive industriali si sono insediate vicino
all'Olona.
Infatti alla fine dell'ottocento, secondo alcuni dati, lungo le sponde del fiume si
potevano registrare circa centrenta fabbriche - per la maggior parte
2
C'e' chi dice che il fiume si perde nelle fognature di Milano e non e' piu'
possibile rintracciarlo.
205
filande e tessiture - e un centinaio di mulini (numero comunque
notevolmente inferiore rispetto ai secoli precerdenti).
In Legnano alla meta' del nostro secolo si potevano registrare, al fianco del
corso dell'acqua, ancora tre mulini ( due dei quali situati in localita'
Gabinella) e, soprattutto, un cospicuo numero di industrie la cui fama
varcava oltre i confini d'Italia
(valgavano per tutto il complesso
industriale Bernocchi e il cotonificio dell'Acqua).
Andando a ritroso con la memoria parecchi di noi, probabilmente,conservano
qualche immagine del fiume Olona che non corrisponde piu' a quella che,
in realta', vediamo ogni giorno.
Forse questi ricordi dell'Olona che fu sono collegati a certe stagioni dell'anno o
a particolari condizioni atnosferiche.
I bagni nel fiume allietarono l'estate a quanti non potevano permettersi una
vacanza in una localita' di villeggiatura mentre nei periodi di intense
pioggie, la presenza del fiume fu vissuta, in particolare da coloro che
abitavano nelle immediate adiacenze, come una minaccia costante alle
proprie abitazioni (memorabile a questo proposito fu l'inondazione del
1917).
Anche se oggi, il verificarsi di simili episodi e' assai improbabile - e per quanto
riguarda il primo esempio, allo stato odierno delle cose, sicuramente
impossibile non si deve dimenticare la presenza di questo fiume
all'interno della nostra citta' e della nostra zona ed auspicare una ritrovata
importanza, se ormai non piu' sul fronte economico sicuramente per il suo
valore ambientale e sociale.
Certamente i lavori che i comuni - in unione con le Amministrazioni Provinciali
e con i fondi della Regione Lombardia - hanno intrappreso per tentare di
procedere ad un'opera di depurazione e di risanamento delle acque ( in
linea con le normative ecologiche italiane ed europee) non sara' impresa
facile ma i numerosi Consorzi sorti in tutto il teriitorio interessato lasciano
ben sperare in tal senso.
206
L'Olona
Imparare la storia -- ha scritto e ribadito Riccardo Bacchelli -- vuol dire
risorgere dai terreni e dalle acque, dalle pietre costruite e dalle parole
legate agli uomini, parchè di quello che è veramente storico il popolo
serba una sua memoria".
Sono parole dettate dalla meditazione sul Po, sulla sua storia intrisa di
leggende, al cui confronto un fiume come l'Olona si mette in una
posizione di inferiorità, anche se, nel suo capriccioso andare attraverso le
terre, ha raccolto sulle sue sponde i segni di una palpitante realtà
caratterizzando con la sua presenza la vita di borghi e citta', perché'
l'uomo, anche quando ritiene di aver dominato un corso d'acqua, finisce
sempre per avvertirne il fascino, fino a piegarsi ai suoi voleri.
Percio', in una zona fortemente industrializzata quale è quella di Legnano,
rilanciare l'attenzione allo snodarsi di un corso d'acqua, riannodare le fila
del racconto al suo lento e limaccioso scorrere nella pianura, significa
quasi reimmergersi come in un grembo materno, risalire alle vicende
degli uomini legati ai suoi bordi, coi limiti che l'andare a ritroso puo' creare,
nel rilanciare ricordi, ripescare sapori, interpretare bandi, decifrare
memoriali vecchi di secoli testimoni di diritti conculcati, di norme sopite,
ma non distrutte.
Vengono in mente certi racconti di Chiara e avventure di Quilici, autori pronti
ad evocare fantasie sedimentate col trascorrere degli anni, fino a far
credere di aver visto o vissuto quello che forse non c'era.
La passione di chi e' nato e vissuto sulle rive del fiume non riesce a
cristallizzare immagini di disastro ecologico e di liquame schiumoso, in
cui si mescolano residui tossici o inerti, dove confluiscono le piu' svariate
scorie. Meglio pensare agli antichi mulini, di alcuni dei quali esiste solo il
ricordo, porgere l'orecchio a suoni strani, fluttuanti, sinfonie d'altri tempi,
cui si aggancia la memoria di mole, molazze, rodigini, incastri, spazzere,
nervili, ma c'e' da tendere gli orecchi: son parole d'altri tempi. Sanno di
arcano, ma anche di buono, evocano immagini pregne di gnomica
sapienza.
Sui loro volumi scivola la fantasia a legittimare la permanenza negli scrigni del
linguaggio, mentre la vista corre a pareti fuligginose, a ruote arrugginite
dal tempo, a pale sbriciolate dall'usura, a travi e pontili corrosi
dall'umidita', a ciuffi d'erba dalle forme strane, quasi contorte a volersi
liberare da un antico servaggio.
207
Chi abbia provato, ancor giovane, ad entrare in un vecchio mulino sull'Olona,
magari per pura curiosita', non puo' non aver avuto la sensazione di un
luogo dove lo sviluppo non seguisse il tempo, ma l'azione si svolgesse al
rallentatore.
A voler andare alla ricerca di qualche traccia di tanto girar di ruote, viene
incontro una brusca realta' rigata dal fischiare di altre ruote, quasi a
profanare il velo ammuffito che avvolgeva nelle sue trame vecchi mulini di
bacchelliano sapore, ingoiati dalla dimenticanza, come il loro descrittore,
dissipati dalla memoria umana, risorgenti fantasmi dalle nebbie
sprigionate dai terreni adacquati .
Racchiusa la loro esistenza nel contrastare affettuoso e disperato contro
l'invisibilita' del tempo, essi s'incidono coi contorni lisi nell'immaginazione,
incrinano la tipologia della cronistoria pedissequa, vogliono che si
riassegnino loro vite consumate dalla fatica, imprese spezzate dalla sorte,
irripetibili contratti, odore di strumenti rogati tra il puzzare del villico,
impregnato di farina e la curialita' della norma notarile, mentre l'acqua del
fiume grida al riappropriamento della sua antica identita', a partire dal
nome e giu' giu' fino alle fasi multiformi della sua intensa esistenza.
Una delle abitudini piu' frequenti, a cui si sono abbandonati studiosi italiani e
stranieri e' quella di porre, nelle diverse cronache, note piu' o meno
lunghe, come studio sull'origine di nomi locali. E' successo di frequente
che, non essendo essi in grado di conoscere il fatto, da cui il nome traeva
origine, non avendo sottomano documenti relativi oppure non avendo
ancora la filologia sviluppato criteri ragionati e comparativi,
concludessero con ipotesi lontane dal vero.
Il richiamo in tal senso e' pero' troppo forte, perché' gli si possa opporre
resistenza.
I nomi dei campi, dei monti, delle acque, traggono origine, nella maggior parte
dei casi, dal genere dei prodotti che in essi crescevano, dalla loro
configurazione, dalla loro posizione naturale, dal nome del casato del
possessore, da qualche fatto celebre accaduto. Non pare aver senso
comparare i nomi dei luoghi, estrapolandoli dal loro contesto geografico,
perché' si legano gli uni agli altri per affinita' formali e semantiche.
L'etimologia dei luoghi non e' sicura se non quando possiede una base
solida nell'insieme dei nomi geografici di una determinata regione.
Siamo naturalmente nel campo della congettura, concepita come strumento
utile per puntellare un racconto, in cui la sequenza dei forse, sembra,
probabilmente, e' incerto, non vuole essere una regola assoluta, anche
se il ricorso ad essi puo', far ricordare, per analogia, lo scanzonato
scrittore B.W. Henderson di The life art Principate of the Emperor Hadrian,
(A.D. 76-138). In essa lo scrittore britannico, dovendo prendere posizione
208
di fronte alle diatribe sorte sugli itinerari seguiti dall'imperatore Adriano
nei suoi viaggi in Grecia e in Asia Minore, dichiarava di essere costretto a
infiorare le sue pagine di tanti probabilmente quanti erano i paracarri delle
strade, sulle quali l'imperatore romano era passato.
Poiche' nel nostro caso l'etimologia riguarda il fiume Olona, forse non e' fuori
luogo azzardarsi a dire che dal greco oros deriva quel nome che i nostri
contadini chiamavano, in dialetto legnanese Urona e in quello bustocco
Uona col dileguo completo della "l" dopo la riduzione della "r" a una
vibrazione laterale della lingua, fino a porsi vicina alla "l" (Marinoni,
Convergenze e divergenze linguistiche fra Legnano e Busto Arsizio in
Legnano, n. 3, 1955
Se vogliamo seguire l'Olivieri (Dizionario di toponomastica lombarda)
possiamo risalire all'Olona dell'Anonimo Ravennate, il geografo vissuto
nella prima meta' del sec. VIII, mentre il Giulini (Op. cit. , III, p. 343)
accenna all'Orona che, formatasi da alcune fonti vicine a Varese, si
allunga fino a Milano, ove prende il nome di "Vepra" o "Vedra" finche',
arrivata in prossimita' della basilica di S. Lorenzo, ricevute le acque del
Nerone e del Seviso, cambia il nome in quello di "Vitabile" o "Vetabile"
corrotto poi in "Vitalia" e "Vecchiabbia", tocca S. Siro, detto nei documenti
ad Vepram o ad Vebriam; e piega a sud, scorrendo a ovest della citta', in
prossimita' della chiesa di S. Pietro in Sala fino a lambire la "Cassina de
Tavernis".
Si tratta di notizie, come dichiara lo stesso autore, tratte da Galvano Fiamma
(Chronicon Extravagans, c. 54).
Giunto al punto indicato, l'Olona subiva una contraffazione in "Oleunda"
(Giulini, Op. cit., II, p. 183), da un mulino che sorgeva sulle sue rive, il che
finirebbe per distruggere la derivazione dal greco, ma l'autore milanese
non poteva fare a meno di pensare al monastero di "Aurona", evidente
contraffazione di "Orona". Tale monastero era stato fondato verso la
meta' del sec. VIII da Aurona o Orona, sorella di un vescovo chiamato
Teodoro, che li volle essere sepolto (I, p. 310).
Del resto un Olone, comandante di Childeberto, re dei Franchi e' ricordato da
Gregorio di Tours, che lo fa morire nell'assedio di Bellinzona, nel sec. VI,
e che e' probabilmente lo stesso Ollone, conte di Bourges, di cui si narra
al libro VII, cap. 38 e 42 delle Historiae.
Sebbene il fiume anticamente abbia avuto un percorso piu' lungo dell'attuale,
si potrebbe pensare, dati i riferimenti continui ad esso fatti, nella
denominazione medioevale, che il nome abbia attinenza colla radice
celtica ol con equivalenza magnus, validus supposta dal D'Arbois nelle
ricerche sui nomi di luogo (Recherches sur l'origine de la propriete'
fonciere et des noms de lieu).
209
Percorso del Fiume
Il fiume Olona nasce a monte dell'abitato della Rasa di Varese, a m. 549 circa
d'altezza, ed e' formato da sei sorgenti, di cui le piu' importanti sono tre: la
prima, a m. 650 sul livello del mare, compresa tra il monte Pizzello e il
monte Legnone; la seconda di maggior rilievo, che nasce in localita'
"Fornace di Riana", la terza, che sorge a ovest dell'abitato della Rasa. Le
prime due sorgenti si uniscono a monte della medesima frazione, mentre
la terza confluisce piu' a Sud. A circa 5 km. dalle sorgenti del ramo ovest,
a valle dell'abitato di Bregazzana, un altro ramo detto "Margorabbia" e'
pure considerato parte integrante dell'Olona.
Dopo qualche chilometro il fiume riceve, come affluente di destra, il torrente
Velone e, piu' a valle, la Bevera, che nasce sotto il monte Orsa, in
prossimita' di Viggiu'.
Piu' a valle, vicino alla localita' "Folla", da sinistra si getta nell'Olona il torrente
Lanza, mentre, in Comune di Vedano, confluisce il torrente Quadronna; in
territorio di Castiglione e da destra arriva la Selvagna, in Comune di
Lozza.
Dirigendosi verso la pianura, il corso dell'Olona si divide in alcuni canali
industriali, derivazioni varie utili per l'irrigazione, confluendo poi in un
unico letto, prima di Castellanza. Il canale piu' importante, fino ad alcuni
anni fa, era quello che prendeva nome dall'avv. Diotti il quale ottenne dal
Consorzio di immettere nel fiume nuove acque, per riestrarle a
Castellanza, dopo una lunga opposizione esercitata dagli utenti e
conclusa, nel 1862, col pagamento di L. 61493,93 da parte dei successori
del Diotti, al Consorzio stesso. Ora il cavo e' stato interrato e non serve
piu' ad irrigare i campi privati che si estendevano a valle del canale
Villoresi fino al Comune di Pero e consentivano al loro proprietario una
facile irrigazione, grazie alla deviazione di una derivazione d'acque dai
propri fondi in un affluente dell'Olona, salvo a ricorrere piu' a valle
all'estrazione della medesima quantita', a suo beneficio .
Da Legnano il fiume Olona correva fino a Rho e riceveva dalla sinistra il
torrente Bozzente, visto dai contadini della zona come delizia per la
possibilita' di irrigazione offerta, ma come croce per le inondazioni
periodiche causate alle terre percorse, alle quali arrivava, unendosi alle
acque del Gardaluso detto anche "Bozzentino", provenendo da S.
Martino, per toccare Cislago, Gerenzano e Uboldo. Si cerco' di porre
rimedio ai danni provocati con la costituzione, nel 1604, del cavo
Borromeo, che servi' da diversione di tutto il Bozzente dal suo antico
alveo, per mezzo di una grandiosa chiusa a S. Martino, un vero e proprio
210
capolavoro di ingegneria atto ad evitare i traboccamenti, anche se il
successivo disboscamento prodottosi per circa centocinquant'anni
aumento' il "precipizio" delle acque fluviali sino a quando, nel 1757, unitisi
al Bozzente i torrenti del Gardaluso e del Fontanile di Tradate, fecero
dannose irruzioni nei fondi e nei caseggiati di Barbaiana e di Rho.
Anticamente il fiume si dirigeva verso Binasco e ricostruire il suo corso da
Lucernate fin qui, e' impresa ardua. Il tentativo fu affrontato dal Poggi (Le
fognature di Milano. Rapporto dell'Ufficio tecnico all'on. Giunta Municipale
su studi e lavori relativi a la fognatura cittadina dal 1868 al 1910, Milano
1911, pp. 171-174). Studiate le caratteristiche geografiche del territorio e
l'alveo di alcune rogge, egli formulo' l'ipotesi che, da Lucernate, l'Olona
toccasse Cascina Olona, si insinuasse tra Settimo e Quinto, lambisse la
zona est di Baggio, bagnasse Cesano Boscone, Corsico, Assago,
Pontelungo, Lardirago, Vistarino, Coreleone, sfociando a S. Zenone, nel
Po.
Dati Tecnici
Lunghezza totale del fiume
m. 71555
Lunghezza del tratto dalla Rasa a Malnate
m. 3769
Lunghezza del tratto da Castellanza a Nerviano
m. 12190
Lunghezza del tratto da Nerviano a Porta Ticinese
m. 23575
Larghezza
m. 9
Portata d'acqua al minuto secondo, misurata all'igrometro di Castellanza,
secondo i dati del 1972:
minima
lt. 50 al secondo
massima
lt. 48 100 al secondo
Superficie irrigata nel 1608 (Catasto Barca)
10801
Superficie irrigata nel 1801 (Catasto Perego)
16120
Superficie irrigata nel 1877 (Catasto Villoresi)
Rodigini nel 1608
n. 448
Rodigini nel 1801
n. 424
Rodigini nel 1877
n. 409
pt.
pt.
pt. 18687
Comuni attraversati, in provincia di Varese, Como, Milano e Pavia
n. 45
Torrenti che sboccano nell'Olona:
Legnone, Braschee, Valle del Forno, Valle S. Fermo, Valle del Paradiso,
211
Ronchi, Velone, Lanza, Gerre', Quadronna, Selvagna, Selvagnetta, Riale,
Marubbio, Bozzone, Bozzente, Lura, Merlata, Muzza
Fontane che alimentano l'Olona
n. 20
Bocche ordinarie d'irrigazione
n. 235
Bocche privilegiate n. 30 Bocche libere n. 15
Mulini sul fiume, nel 1606 (Relazione Barca)
n. 459
Mulini sul fiume, nel 1772 (Relazione Raggi)
n. 438
Terreni irrigati nel 1608: pertiche metriche
n. 7108
Terreni irrigati nel 1801: pertiche metriche .
n. 10396
Terreni irrigati nel 1878: pertiche metriche
n. 12231
industrie sul fiume, nel 1881
n. 129
Importanza economica
La necessita' di affrontare un arco cronologico ampio, in cui collocare
l'importanza economica che il fiume ha avuto, di fronte alla
frammentarieta' della documentazione disponibile, non deve
forzatamente portare a ritroso nel tempo, per rintracciare la data piu'
antica alla quale far risalire i primi cenni sulla necessita' di affrontare un
arco cronologico ampio, in cui collocare l'importanza economica che il
fiume ha avuto, di fronte alla frammentarieta' della l'Olona, quasi a voler
rintracciare il suo blasone.
Testimonianze in tal senso comunque non mancano e da esse e' facile
dedurre il ruolo che, gia' nel 1000, il fiume copriva, per il numero elevato
di mulini che sorgevano sulle sue sponde e a cui gli abitanti della nostra
zona andavano per la macina dei cereali. Per la puntualizzazione puo'
servire una carta libelli conservata in A. S.M. , n. 36, Museo Diplomatico,
datata gennaio 1153 - Milano.
Secondo il contenuto della pergamena, Ugo detto "Sgantio" e Giovanni detto
"Mannio" davano in affitto perpetuo ad Ambrogio Oldani sette
appezzamenti di terreno nella localita' di "Garbaniate Marcio", oggi
scomparsa, ma ragguagliabile alla periferia di Settimo Milanese, presso il
fiume Olona. L'affitto da pagarsi a S. Martino per il fondo, era di un
denaro annuo. I venditori davano inoltre garanzia al detto Ambrogio che
avrebbero difeso le terre locate e avrebbero posto se stessi come
fideiussori.
Ne' andiamo molto lontano con un altro documento datato 6 ottobre 1153, pure
conservato in A.S.M., Museo Diplomatico, n. 82. L'atto, in buon stato di
conservazione, tratta di un livello perpetuo su un prato per il compenso
annuo di un denaro d'argento e di una candela da pagarsi a S. Martino. Il
terreno situato nella zona di Settimo risultava bagnato dall'Olona e il
212
livello nascondeva probabilmente una finta vendita.
Interessante sembra anche una pergamena del maggio 1158 che, sebbene
presenti piccole macchie di umidita', e' abbastanza decifrabile, se si
ravviva l'inchiostro con la lampada di Wood, laddove l'usura del tempo lo
permetta. In questa carta finzis et reffutationis Arialdo da Baggio rinuncia
a tutte le terre possedute e site in prossimita' del ponte di Seguro, verso
oriente, tranne che a due appezzamenti tenuti per se', con promessa di
non acquistare altre terre sul posto, fatta ad Ambrogio detto "Guazone" di
Milano il quale, a sua volta, rinuncia a tutte le proprieta' estese se dal
ponte di Seguro verso mezzogiorno e verso il Merdarolo, fino all'Olona.
Questo strano nome di Merdarolo suscita curiosita' e costituisce
elemento di indagine per la ricostruzione del tracciato dell'Olona, in
prossimita' di Milano. Si trattava probabilmente di un corso d'acqua
piuttosto modesto a giudicare dall'ambito limitato, ln cui era collocato,
anche se, osservando le tavolette di Zibido S. Giacomo dell'Istituto
Geografico Militare, e' possibile formulare qualche osservazione, cioe'
che il Merdarolo fosse un ramo morto di qualche torrente maggiore,
rimasto depauperato di acque e in cui furono convogliati gli scarichi delle
fogne cittadine. La fonte originaria potrebbe essere il Lura che, dai colli
comensi arrivava fino a Rho, per unirsi a quella deviazione dell'Olona,
che divenne Vepra; oppure il Bozzente.
Se volessimo prendere in considerazione tutti gli appezzamenti di terreno
solcati o lambiti dall'Olona, l'elenco si arricchirebbe di numerose "petie"
bagnate a mane, a meridie o a sero dall'Olona, come si legge in una
cartula libelli del 7 marzo 1158, in cui sono chiamati in causa personaggi
soprannominati Ferrus, Stramadizius, Caracosa, professanti la legge
longobarda, di probabile stirpe giudea, che concedono, in livello perpetuo,
alla canonica di S. Ambrogio circa trenta fondi per la somma di L. 73.
I sempre maggior bisogni dell'agricoltura l'utenza delle acque limitata nei tempi
passati a poche famiglie nobili e a talune corporazioni, come quella degli
Olivetani a Nerviano o delle Monache di S. Chiara o dei Minori Osservanti
a Legnano, le spese di sorveglianza, di spurgo, di manutenzione in
genere del fiume, il prelievo d'acque non sempre conforme alle
disposizioni vigenti, i successivi e notevoli aumenti d'irrigazione, con tutti
gli abusi connessi, che hanno finito per compromettere il pacifico
godimento, la debolezza degli argini non sempre adeguatamente difesi,
le violazioni del diritto di pesca, hanno indotto i diversi utenti dell'Olona a
consorziarsi originariamente magari in una; forma non rigorosamente
fissata, piu' regolare col passare del tempo .
Una delle prime prospettive di associazione fu ventilata nel 1235. Ce ne parla
Galvano Fiamma nel suo Manipulus florum, sotto la rubrica di tale anno. Il
213
cronista accenna all'esistenza di una documentazione, nell'archivio
ambrosiano, di un sindacato formato dai padroni che godevano delle
acque dell'Olona, per nominare un rappresentante che trattasse dei loro
interessi con il Podesta' della citta'.
Tra gli altri motivi in grado di produrre associazioni del tipo sopra accennato, le
inondazioni furono cosi determinanti, da modificare anche il risultato di
qualche conflitto militare. Per non parlare della battaglia di Legnano, cui
accenna in altre pagine il prof. Marinoni, nell'ottobre 1265, quando gia' la
stagione era inoltrata e i Milanesi, portatisi a Fagnano Olona si
accingevano a sferrare l'attacco a Castiglione, Ottorino da Mandello e
Enrico da Monza, probabilmente amici della famiglia Castiglioni, trassero
ragione dall'eccessivo rigonfiamento del fiume per distogliere gli
Ambrosiani dalla impresa ideata.
Bisogna risalire pero' agli Statuti delle strade ed acque del contado di Milano
fatti nel 1346 ed editi da Giulio Porro Lambertenghi in Miscellanea di
Storia Italiana, vol. VII (Torino MDCCCXIX), perché' possiamo trovare un
vero e proprio regolamento relativo alla rete stradale e alle acque che
interessavano li borghi, lochi, cassine, molini e case da religiosi del
contado de Milano segundo la forma de la provisione, cioe' dei
provvedimenti presi da Giovanni e Luchino Visconti. Oltre a suggerire
precise norme di comportamento, le disposizioni emanate dai Signori di
Milano ci aiutano a ritrovare anche le tracce di alcuni corsi d'acqua come
l'Horortella ultra il loco da Corsico da za dal ponte de Solcio. Ed e'
veramente strano che tali Statuti siano sfuggiti all'attenzione del Giulini,
nella sua Storia su Milano. Da essi comunque e' possibile rilevare, tra
l'altro, modalita' e tempi di estrazione delle acque, che rimasero tali per
molti anni: da l'ora del vespero de li di del sabato fine a l'ora del vespero
de le vigilie de la Beata Vergine Maria, e da chaduno apostolo fine a l'ora
del vespero de chadurza de le loro feste, e da l'ora del vespero de le
zobia sanctafine al di de la domenica sequente pose la festa de la pascha
de resurrectione del nostro Signore miser Jesu Cristo a l'ora del vespero,
e da l'ora del vespero de la vigilia de la nativitate del nostro Signore miser
Jesu Cristo fine a la octava pose la festa de la nativitate a l'ora' del
vespero (Op, cit., p. 402).
Da allora i regolamenti non sono molto cambiati per quanto riguarda la
estrazione delle acque, ordinata in seguito dalle Nuove Costituzioni di
Carlo V, che prevedevano il prelievo dall'origine a Canegrate, dal Vespero
del sabato a quello della domenica, da Canegrate a Rho, dal Vespero
della domenica a quello del lunedi; da Rho a Milano, dal Vespero del
lunedi a quello del martedi, secondo il regolamento del 1881. Il Vespero
corrispondeva, alla sera o al tramontare del sole, ma poi invalse
214
l'abitudine di iniziare l'irrigazione alle quattro pomeridiane,
invariabilmente per tutta la stagione estiva.
Dopo il varo degli Statuti ricordati si sgrano' il rosario dei privilegi e delle
concessioni elargiti agli utenti di rilievo. E' del maggio 1387 un privilegio
concesso ad Ambrogio Moriggia ed ai suoi figli eredi e successori, di
poter erigere e tenere una chiusa nel fiume Olona ed estrarre l'acqua per
irrigare le sue "possessioni" e i prati posti nel territori di Parabiago.
Ne' ai Moriggia erano inferiori, per dignita', i Crivelli, a un membro della cui
famiglia, il nobile Antonio, fu concesso, nel 1471, dal duca Galeazzo
Maria Sforza Visconti il privilegio di poter irrigare, con le acque del fiume
Olona i prati siti nella zona di Parabiago, per un giorno alla settimana.
Bisogno'' arrivare pero' alle Nuove Costituzioni emanate nel 1541 in Italia
dall'imperatore Carlo V, perché' la cura del fiume fosse affidata a una
Commissione delle acque e poi a un membro del Senato chiamato
"Conservatore del Fiume", che il 14 maggio 1575 emano' uno speciale
ordinamento nella persona del Senatore Monti. Si arrivo' cosi' alla
redazione del primo Catasto del fiume, secondo i rilievi eseguiti dall'ing.
Barca, nel 1608. In base ad esso la R. Camera rinuncio' a diritti e pretese
sulle acque del fiume, da parte degli utenti di esso, un esborso di seimila
scudi.
Seguirono, a partire dal 1610 fino al 1666, transazioni tra il Fisco da una parte
e gli utenti del fiume Olona dall'altra, con l'obbligazione per questi ultimi di
pagare la somma concordata, previa conferma e ratifica, da parte
dell'imperatore, della transazione seguita dalla dichiarazione rilasciata
dal Magistero Straordinario, nel 1639, dell'avvenuto pagamento.
Col profilarsi della dominazione austriaca subentrata a quella spagnola nella
prima meta' del Settecento in Italia, in attesa di varare efficaci
provvedimenti per indurre alla piena osservanza delle leggi, alla
conservazione e alla retta distribuzione delle acque del fiume, secondo
l'uso pubblico e privato, le grida emanate si sprecarono. Non c'e' archivio
pubblico milanese che non ne conservi qualche copia.
Con esse si volle garantire la macinatura dei grani; l'innaffiamento dei prati da
abusivi prelevamenti di acqua, minacciando, ln caso d'inadempimento
l'otturazione indistinta di tutti gli "scannoni" e rami del fiume, per sette
braccia, nello spazio di quindici giorni.
Cadde proprio in questo periodo una grossa questione che vide protagonisti le
Monache di S. Chiara e i Frati Osservanti di Legnano, nel 1730. In
particolare, a questi ultimi era stato concesso da Galeazzo Maria Visconti
Sforza, duca di Milano, per il loro convento di S. Angelo, l'uso di una
roggia derivata dal fiume Olona sfruttata per comodita' anche dalle suore
di S. Chiara, Senonche' i fratelli Carlo e Giulio Cesare Draghetti consoci
215
di tale privilegio, come altresi' di quello d'essi Padri Possessori di una
pezza di terra prato di pertiche sette e mezza per cui passa detta roggia
dopo l'uso e detti Padri, come fu accertato dal Console di Legnano, De
Angeli, delegato per un accertamento, indebitamente e piu' di una volta
avevano sollevato le fascine degli incastri della roggia e quindi "divertito",
come continuavano a fare, corsi d'acqua, anche nei periodi proibiti dalle
Nuove Costituzioni rimaste in vigore anche ai tempi della dominazione
austriaca.
Si determinava cosi' un grande rigurgito d'acqua, con sommo danno per il
convento dei frati, i quali per non "essere pregiudicati" compivano, ma in
altri punti, analoghe operazioni di diversioni d'acqua.
Percio', l'utente successivo rappresentato dal monastero di S. Chiara, per
diversi giorni e settimane non pote' servirsi di detta acqua, riportando
danni ed essiendo costretto a sobbarcarsi l'onere di far spazzare la
roggia. La vicenda si protrasse dal 1715 anno in cui furono precettati ad
istanza del fisco e delle Religiose per ordine del Commissariato
dell'Olona.
Rivendicando motivi pretestuosi e contrari al giusto, a detta delle monache, i
fratelli suddetti si opposero al precetto, in spregio alle Nuove costituzioni
e agli ordini da esse promananti Tuttavia le monache avevano sempre
fatto irrigare il prato in questione, sia pure a loro danno, ricorrendo, con
l'Abbadessa in testa, nel 1719, al Senatore e Conservatore del fiume,
Don Carlo Castiglioni. Nacquero da questo ricorso gli accertamenti
disposti dal Magistrato Camerale, da cui risulti, che i Draghetti irrigavano
il loro prato in "giudicio criminale". Furono percio' nuovamente precettati e
a loro fu imposto che non potessero per l'avvenire direttamente o per
interposta persona, in qualsiasi modo, innaffiare se non dal Vespero del
sabato a quello della domenica successiva di ogni settimana. Inoltre non
avrebbero potuto tenere incastri nello stesso prato, su cui scorressero le
acque a pregiudizio delle monache, sotto pena di dover pagare
cinquecento scudi per ogni volta e per ogni contravvenzione al R. Fisco .
I Draghetti infatti dovevano "adacquare" in conformita' alle Nuove Costituzioni.
Liti di questo genere erano all'ordine del giorno e si trascinavano per anni,
poiche' nessuno voleva decampare dai propri diritti. L'autorita' dominante,
volta a controllare la situazione, tenne gli occhi ben aperti e non esito' a
valersi della collaborazione dei piu' raffinati economisti della cultura
illuministica. Tra essi si distinse, per il suo contributo, Gabriele Verri,
chiamato in causa per una visita fatta al fiume, nel 1772, in compagnia
dell'ing. Raggi e durata ben ventidue giorni, frutto della quale fu la
emanazione di un'ulteriore grida e la progettazione per il futuro Catasto
consorziale elaborato dall'ing. Giuseppe Perego, nel 1801.
216
Nell'attesa che questo fosse predisposto, si ordino' a tutti i molinari di Legnano,
di tenere aperte le porte e le cosiddette "spazzere" dei loro mulini,
durante i giorni festivi e in quelli in cui non macinavano, perché' l'acqua
avesse un libero e naturale corso.
Le bocche senza la soglia di pietra o con le medesime rotte, oppure le chiuse
non registrate col dovuto cappello, dovevano accomodarsi al piu' presto
ed essere collaudate entro termini perentori. In base alla notevole
dispersione di acqua registrata nel corso della visita a Legnano e dovuta
alla mancanza dei "soratori"
cioe' di strumenti atti a raccogliere e
rimettere direttamente l'acqua al fiume, dopo congrua irrigazione, i
Consoli di Legnano, Parabiago, Rho, nonche' gli utenti erano tenuti, entro
quindici giorni, a rispettare le norme prescritte. Tutte le bocche non
costruite a norma delle ordinanze del 1575 dovevano avere la soglia
prevista e le porte disposte in modo che le acque non debordassero,
sotto pena di pagare dieci scudi di ammenda. Tali porte inoltre non
potevano essere provviste di serrature, chiavi e catenacci .
I campari erano incaricati di farle togliere, in caso di loro esistenza.
Era proibita la pesca nel fiume con reti, senza licenza registrata negli atti della
Cancelleria Provinciale e sotto pena di perdita delle reti. I campari
patentati dovevano esercitare la sorveglianza lungo le sponde del fiume
anche di notte, segnare le contravvenzioni in un libro giornale e
presentare, senza indugio, le denunce al Commissario, col giuramento
nelle mani del Cancelliere. Chi fosse stato colto in flagrante a prelevare
acqua dall'Olona, per irrigare le proprie terre contro il regolamento,
sarebbe incorso nella penalita' di venticinque scudi. (Archivio Consorzio
Fiume Olona - Castellanza).
Tali disposizioni, che sotto certi aspetti, potevano sembrare eccessivamente
forzate, come quella di far circolare di notte i campari, in fondo giovavano
al Fisco e di conseguenza aiutavano l'economia non solo del Consorzio,
ma dello Stato. Senza alcuna spesa, l'Olona scorreva per la provincia del
Seprio per arrivare a Milano, a beneficio ed uso di quanti possedevano
mulini sulle sue sponde. Non era certo fiume reale, non essendo
navigabile ed era posto, tramite il Senato, sotto la diretta sovranita
dell'imperatore. Questi poi, al fine di eliminare gli inconvenienti che
spesso si verificavano nelle frequenti vertenze relative al fiume Olona, si
adopero' prima per l'adozione di un nuovo sistema giudiziario e poi per
l'emanazione di opportuni provvedimenti con dispaccio datato 4 marzo
1791, a firma Leopoldo II.
Grazie a questi, fu ripristinata l'istituzione del Giudice privativo, come esisteva
nei tempi addietro, perché' provvedesse ai singolari bisogni rappresentati
dai Sindaci del fiume Olona e richiesti dallo sviluppo agricolo locale,
217
come la comune sussistenza, le irrigazioni, la sopravvivenza dei mulini.
Fu riconfermata la Delegazione gia' disposta dal Tribunale di giustizia di
prima istanza, entro i limiti prescritti dalle leggi provinciali. In base
all'editto emanato i mugnai "inferiori" del fiume proposero e ottennero da
Francesco II la nomina di un ispettore, nel 1795, da scegliersi tra persone
di conosciuta probita' e cultura, che non avessero nessun interesse in
qualita' di utenti del fiume. Sarebbe stato suo il compito di bloccare le
estrazioni di acqua, quando l'urgente bisogno dei mulini lo avesse
richiesto, in modo che l'acqua servisse all'uso pubblico e primario della
macina: avrebbe vegliato sulle trasgressioni delle leggi tendenti alla
conservazione dell'integrita' fluviale, sul pronto sfogo delle acque, sulla
condotta dei campari, da correggere in caso di mancanza ai loro doveri e
di contravvenzione agli ordini.
I campari dal canto loro erano stimolati a infliggere contravvenzioni, poiche' la
meta' dell'importo riscosso sarebbe finito nelle loro tasche.
L'Ispettore doveva risiedere stabilmente in Milano e visitare il fiume tutte le
volte che l'urgenza dei provvedimenti lo avesse richiesto, oppure fosse
voluto dai Sindaci del fiume o da chi altro avesse interesse, ma
comunque almeno una volta all'anno, coll'intervento di un perito. La
richiesta di visita doveva essere accompagnata dal versamento di una
determinata cifra per la copertura delle spese. Il medesimo funzionario
era obbligato a stendere una relazione in proposito e gli sarebbe stato
corrisposto un onorario di L. 2000, escluso ogni altro emolumento.
Negli anni successivi un decreto reale del 1808 uni gli interessati al fiume in
Società, una delegazione della stessa, nel 1812 pubblico' il Regolamento
Generale sulla base degli antichi ordinamenti del Consorzio; dopo di che
prese il titolo di Amministrazione del Consorzio del fiume Olona, nel 1816;
approvo' lo Statuto organico del Consorzio, nel 1877, e quindi il nuovo
Regolamento Generale, presentato nel 1881.
Naturalmente furono apportate modifiche sostanziali alle utenze, con
l'adozione di nuove aliquote per il prelievo, imposte dagli accresciuti
stipendi ai custodi e da un sensibile squilibrio esistente fra spese e ricavi.
Nel vasto archivio del Consorzio situato a Castellanza, trecentocinquanta
fascicoli racchiudono le notizie relative alle fasi salienti che hanno
caratterizzato la vita del fiume, con una congerie di informazioni che
attendono di essere vivificate dall'indagine di qualche solerte ricercatore,
per essere rimesse alla curiosita' dei cultori del passato.
Non mancano riferimenti al periodo piu' vicino a noi; quello degli anni
cinquanta. Nel ricordo di numerosi inconvenienti occorsi nel trascorrere
dei secoli e derivati per lo piu' dalle grandi inondazioni prodotte dal fiume,
a monte di Legnano, dove non esistevano grossi argini, gia' nel 1941
218
l'Amministrazione Provinciale di Milano si preoccupo', della sistemazione
dell'Olona e affido', il compito di preparare il progetto all'ing. Marescotti il
quale previde la deviazione delle acque di piena dell'Olona nel lago di
Varese. Negli occhi degli uomini anziani erano ancor vive le immagini
della grossa inondazione del 1917 che procuro', vasti danni e
preoccupazioni alla campagna e alle industrie localizzate in prossimita'
del fiume: Mottana, Cantoni, Ratti, Bernocchi. L'altezza delle acque era
tale da invadere il corso Garibaldi e il corso Magenta, trasformandole in
un vero e proprio pantano, in stridente contrasto con la purezza originaria
delle acque fluviali, cui si accostavano le lavandaie per immergere i loro
panni e i pazienti pescatori .
Il progetto Marescotti in linea generale incontro' l'approvazione
dell'Amministrazione Provinciale milanese, anche se era prevista la
sistemazione in alveo dell'Olona, con una spesa per altro difficilmente
determinabile e in seguito abbandonata per l'esistenza sul fiume Olona di
127 ponti, di cui solo una minima parte con luce sufficiente per far defluire
gli 85 mc. al secondo previsti. Inoltre mancavano bacini di contenimento
adatti a raccogliere cinque milioni di metri cubi.
Il piano pero', evidenzio', la perplessita' del Consiglio Provinciale varesino,
preoccupato delle ripercussioni negative che esso poteva determinare
per le concerie affacciate sulle rive dell'Olona e per il depauperamento
del patrimonio ittico del Lago di Varese, anche se i danni legati a questo
fenomeno erano irrisori rispetto a quelli derivanti alle industrie e
all'agricoltura.
Se il dibattito acceso guidato e sostenuto con forza dall'allora presidente cav.
Romeo Bocchi non produsse effetti immediati sul piano tecnico e
amministrativo ai fini di una sistemazione generale del fiume, per
Legnano il risanamento del centro cittadino, con la copertura dell'Olona,
nel 1956, rappresento' un fatto di rilievo. Stando ai dati forniti dall'ing.
Guido Amadeo (Legnano n. 2, 1956), il lavoro eseguito, che prevedeva la
copertura del fiume con una grande impalcatura in cemento armato
appoggiata agli argini, comporto' la spesa di L. 65.000.000, per
modificare una superficie di mq. 3500, con l'impiego di n. 70.000 ore
lavorative. Grazie a tale intervento fu possibile la realizzazione, nel centro
di Legnano, di una piazza dalla superficie di 7000 mq.
Nel frattempo il piano non fu lasciato cadere. Le Amministrazioni Provinciali di
Milano e Varese, coadiuvate dai Comuni interessati da varie Associazioni
rappresentanti industrie importanti costantemente sottoposte al pericolo
della piena, continuarono a patrocinare il progetto Marescotti per
l'attuazione di un canale scolmatore della portata di mc. 50 al secondo
che scaricasse nel lago di Varese le acque di piena. Quindi, nel 1959 il
219
progetto approvato e modificato in parte, a sette, anni di distanza dalla
sua prima presentazione, era ancora valido. Nel frattempo il Consorzio
aveva provveduto al ripristino integrale delle sponde e delle arginature
corrose dalla piena eccezionale dell'Olona nel 1951. Purtroppo,
nonostante l'approvazione, ll progetto Marescotti aggiornato dagli ing.
Caselotti e Bonomi dovette essere accantonato, per l'opposizione della
Cooperativa Pescatori del lago di Varese, come rilevasi dal verbale del
Consorzio, datato 3 novembre 1976, quando gia' l'Ufficio Tecnico aveva
predisposto una tubazione in grado di far affluire a valle dello scolmatore
di Gurone tutti gli scarichi delle aziende a monte dello stesso.
A conforto del disappunto per la mancata realizzazione di cui sopra, rimane
pero', agli amministratori del Consorzio la soddisfazione di aver affrontate
e vinte altre battaglie, come il mantenimento e il ripristino di rogge irrigue
o la sistemazione di nuovi argini per il fiume e infine la istituzione dei
consorzi volontari per la tutela, il risanamento e la salvaguardia delle
acque del fiume Olona, frutto di una lunga collaborazione e di cospicui
stanziamenti di fondi da parte delle Amministrazioni Provinciali di Milano
e Varese, della Regione Lombardia e dei Comuni compresi nel bacino del
fiume Olona.
I Consorzi volontari per depurare o risanare le acque del fiume e suoi affluenti
sono sette, alcuni dei quali hanno gia' realizzato la costruzione di
depuratori funzionanti ed altri in prossimo esercizio. Si tratta esattamente
dei seguenti:
-- Consorzio tra Busto Arsizio, Castellanza, Varese, Tradate e altri diciotto
Comuni della Valle Olona;
-- Consorzio tra i Comuni di Legnano, San Vittore, Canegrate e S. Giorgio su
Legnano, per la realizzazione del grande depuratore gia' ultimato e
parzialmente funzionante in localita Cascinette di Canegrate;
-- Consorzio relativo alla roggia Quadronna, torrente Clivio e affluenti alti, per il
depuratore del Val Morea interessante i Comuni di Albiolo, Cagno,
Solbiate Comasco, Val Morea
-- Consorzio tra i Comuni di Parabiago, Nerviano e Cerro Maggiore con tre
impianti di depurazione gia' funzionanti, uno in Nerviano e due in
Parabiago:
-- Consorzio del torrente Fontanile che raggruppa i Comuni di Venegono
Inferiore e Superiore, Tradate, Gorla Maggiore e Minore;
-- Consorzio del sottobacino torrente Bozzente tra i Comuni di Origgio, Uboldo
e Gerenzano,
-- Consorzio del sottobacino torrente Lura tra i Comuni di Olgiate Comasco,
Beregazzo con Figliaro piu' sei industrie;
-- Consorzio bacino dei torrenti Galbogera, Pudiga, Merlata, Guisa e Nirone.
220
Questo vasto piano di risanamento e depurazione ha comportato e
comportera' la spesa di parecchie decine di miliardi. Rappresenta una
speranza per ridare vita biologica ad un fiume estremamente degradato e
a un miglioramento ecologico di tutti i centri situati lungo il corso
dell'Olona.
E chissa' che gli abitanti della zona non tornino al piu' presto a rivedere limpide
le acque del loro fiume, non tanto per risciacquarvi i panni o pescare
pochi pesci e gamberi, quanto per rinfrescare nella purezza ritrovata il
ricordo di giorni sereni in cui sull'Olona si poteva andare anche in barca.
221
Il Comune di legnano nel quadro delle lotte sociali
milanesi della prima meta' del secolo XIII°
Tratto da: Legnano nel medioevo Cap VI° di Marina Cattaneo
Con la pace di Costanza e il trattato di Reggio, Milano consegui' le basi
giuridiche del suo potere sul proprio territorio, restavano tuttavia aperti
gravi problemi di natura politica ed economica che portarono alla
formazione di due schieramenti che si scontrarono sovente nel corso del
secolo XIII. Il primo di questi schieramenti era costituito dalle famiglie
capitaneali, strette attorno all'arcivescovo e collegate al popolo grasso,
l'altro dai militi minori riuniti nella societa' detta "la credenza di
Sant'Ambrogio".
I primi scontri aperti tra queste due fazioni si ebbero nel 1221, quando, per un
contrasto tra i comune e l'arcivescovo, la situazione si fece cosi' tesa che
l'arcivescovo stesso fu bandito e successivamente anche i Capitani e i
Valvassori dovettero lasciare la citta'. In questa occasione essi posero a
capo del loro, partito Ottone da Mandello, mentre a capo dell'altro fu
eletto Ardigoto Marcellino di famiglia consolare non feudale . Le discordie,
placatesi momentaneamente, scoppiarono nuovamente nel 1224, con
l'elezione dei nuovi capiparte:
per la Motta e la Credenza ancora
Ardigoto Marcellino, per i Capitani e Valvassori di Milano Guido da
Landriano, per quelli del Seprio Obizzone da Pusterla, per quelli della
Martesana Enrico da Cernusco, per i mercanti Busnardo Incoardo. In
seguito a questi torbidi l'arcivescovo lascio' nuovamente Milano,
affidando il governo ecclesiastico al suo vicario Girardo da Bascape',
ordinario della Metropolitana, e si ritiro' nel castello di Brebbia. Ma di
fronte al profilarsi di nuove minacce, vale a dire la guerra contro Federico
II°, si trovo' un punto di accordo tra le fazioni mediante un trattato stretto
Le maggiori conquiste ottenute dalla Motta e dalla Credenza in questa
occasione furono la partecipazione al collegio degli Ordinari della
Metropolitana e dei Decumani e una piu' equa ripartizione del peso
delle imposte e del debito pubblico. Tuttavia non fu possibile forzare
eccessivamente la mano, perche', nella guerra contro Federico II°, il
222
dal podesta' Aveno da Cisate l'8 giugno 1225 e pubblicato il 10 dello
stesso mese. Le parti erano momentaneamente pacificate, ma le cause
di fondo della contesa non erano state eliminate e riesploderanno
puntualmente alla morte del nemico comune, Federico II°.
Mentre la citta' subiva queste violente scosse, anche nella campagna
avveniva una rivoluzione, meno evidente, ma gravida di conseguenze
altrettanto significative.
L'enorme sviluppo commerciale ed industriale di Milano aveva profondamente
influenzato la campagna circostante: le conseguenze furono il passaggio
da una economia di assistenza ad una economia di mercato e l'aumento
del prezzo della terra e della produttivita'. D'altro canto l'avvento
dell'economia monetaria aveva profondamente mutato i rapporti tra i
proprietari terrieri ed i coltivatori: dal rapporto interpersonale regolato
unilateralmente dal concedente si era passati ai contratti di fitto e di
locazione; il servo era divenuto cosi' un soggetto di diritti e cominciava ad
avere coscienza di cio'. A questa tendenza generale all'emancipazione si
erano unite, nel periodo della guerra contro il Barbarossa, la necessita' da
parte della citta' e quindi dei proprietari terrieri, di avere ben disposti i
contadini e la dispersione dei documenti e titoli di proprieta'. I rustici da
parte loro avevano saputo approfittare dell'occasione favorevole,
vendendo ad alto prezzo i loro prodotti in tempo di carestia e acquistando
per poco terre dai proprietari che si trovavano in difficolta' economiche a
causa della guerra e delle devastazioni, mentre avanzavano nuove
pretese sulle terre da essi coltivate. Tutto questo vasto movimento di
liberazione della campagna dai propri antichi signori aveva dato origine,
gia' dalla meta' del secolo XII, alle prime comunita' rurali, spesso in lotta
con i propri domini, i quali impugnavano la validita' delle alienazioni e
cvercavano in ogni modo di riacquistare i diritti perduti. In questa contesa
la citta' interveniva per sottolineare il proprio ruolo di arbitra fra le contese
che si sviluppassero nel proprio territorio e favoriva i rustici per indebolire,
anche con questo mezzo, tutte le giurisdizioni che non fossero la propria.
Legnano segui' probabilmente questo tipo di evoluzione, seppure infrenata
dall'autorita' dell'arcivescovo, che era ancora assai forte come possiamo
rilevare dal Liber Consuetudinum del 1216 , da cui risulta che
l'arcivescovo aveva consuetudini proprie osservate solo nelle sue terre;
comune di Milano si trovava a fianco del papato e doveva quindi usare
nei confronti del proprio arcivescovo particolari riguardi e cautele.
223
per esempio quella del giudizio mediante ferro rovente che a Milano era
proibito ormai da molto tempo.
Quando all'inizio del secolo XIII, scoppio' apertamente la lotta delle fazioni in
Milano, molti borghi approfittarono delle difficolta' del momento per
accrescere il proprio grado di autonomia; infatti, nella concordia stipulata
nel 1225 dal Podesta' Aveno da Cisate, si parla di borghi e ville che
eleggevano da se' i propri magistrati, senza tenere conto dei diritti dei
propri signori laici od ecclesiastici, e si ordina che questi magistrati siano
rimossi e non si elegga mai piu' alcuno in danno del dominus che ha
l'honor et dirictus sul luogo. Cio' era un effetto della ristabilita concordia
con i nobili, di cui si tutelavano i diritti, e della posizione autorevole
assunta dall'arcivescovo in seguito della guerra contro Federico II°.
Aveva cominciato a farsi luce in Legnano una famiglia, che troveremo piu' tardi
a capo del Comune: si tratta della famiglia Oldradi che per il momento e'
indicata semplicemente come da Legniano e ricopre da tempo cariche di
notevole importanza. Il primo membro compare in un documento del 5
dicembre 1173 ed e' indicato come Obizzone da Legniano, milanese : il
che dimostra che con le parole "de Legniano" non si indica l'abitazione
ma l'appartenenza ad una sua famiglia che aveva il dominio in quel luogo,
mentre d'altro canto la famiglia Oldradi o Oldrendi uso', anche nei secoli
successivi, assai spesso anche il semplice cognome di "Legniano" come
Franceschini - Ivi, pag. 195, Giulini,
Un altro diritto dei signor nelle proprie terre era quello riguardante
il castello: il signore aveva il diritto di costringere le persone soggette
alla propria giurisdizione a rifare il castello, il muro, il fossato o il
bastione, mantenere nel castello un portinaio e le guardie e
incastellare i loro frutti. Esse non sono pero' tenute a ricostruire le case
del signore e cio' che fosse stato da lui distrutto. Tutto cio' dimostra
che questo complesso di diritti non faceva ormai piu' capo al dominus
in quanto tale, ma piuttosto al castello visto come edificio di pubblica
utilita' e dotato esso stesso di personalita' giuridica.
"Gli atti del Comune di Milano fino all'anno MCCXVI" a cura di C.
Manaresi - Milano, 1919, documento del 5 dicembre 1173 pag. 127
224
vedremo piu' avanti. Alle soglie del secolo XIII compaiono a piu' riprese
altri membri della famiglia; nel 1208 un Rogerius de Legniano Canevarius
major del monastero do Morimendo ( 11 gennaio 1210), nel 1210 un
Guglielmo da Legnano, delegato del podesta' in una causa riguardante il
monastero di Morimondo, nel 1215 un Conradus da Legniano, che e' tra i
sottoscrittori del parto di allenza con Vercelli. (5 marzo 1215).
A Milano frattanto viene eletto arcivescovo nel 1241 Leone da Perego, di
famiglia di Valvassori, frate minore, che aveva attivamente preso parte
alla lotta contro Federico II°.
Al termine di questa guerra restavano aperti, come abbiamo detto, i problemi
di fondo che avevano travagliato il primo quarto di secolo, mentre l'uomo
assunto alla dignita' arcivescovile, avendo di essa un'idea assai alta ed
essendo deciso a riportarla all'antico splendore, non era certo il piu'
adatto a placare gli animi.
Per questo motivo Fiamma sostiene che frate Leone divenuto Arcivescovo,
totalmente cambiato, si mise a capo della fazione nobiliare e fomento'
anziche' sedare le discordie. Un primo segno della latente contesa si
ebbe bell'anno 1254, per motivi poco chiari: Il Fiamma accennando al
fatto dice semplicemente " ... isto anno populus Mediolani cum parte
nobilium pugnavit..." Si tratta di una notizia molto vaga ma confermata da
alcuni documenti visti dal Giulini, che ci mostrano in quell'anno
l'arcivescovo assente da Milano; il 13 gennaio egli si trovava ancora in
Milano, da cui spedi' una lettera all'abate di S. Abbondio di Como, il 5
marzo emano' da un luogo imprecisato una sentenza a favore dei
Secondo il Fiamma, Leone, incaricato a causa delle discordie, di
scegliere il successore dell'Arcivescovo Guglielmo da Rizolio, morto il
28 marzo 1241, elesse se stesso. La realta', secondo il Giulini, fu assai
diversa, infatti da un breve papale del 9 gennaio 1244, risulta che,
avendo il capitolo della metropolitana incaricato della scelta del nuovo
arcivescovo il legato papale Gregorio da Montelongo, questi elesse il 15
giugno 1241 appunto leone; col suo breve il Papa invita il legato ad
accertare l'idoneita' dell'eletto e, nel caso abbia i requisiti necessari, lo
autorizza a procedere alla consacrazione, che fu quindi del tutto
regolare.
225
canonici di S. Ambrogio e S. Nazaro; il 9 luglio si trovava nel monastero di
Civate, da dove scrisse al suo vicario generale Giovanni da Alzate; il 10
settembre era a Legnano, dove emano' una sentenza riguardo la
controversia tra l'abate e il preposito di S. Ambrogio; da Legnano passo'
ad Angera dove il 16 e 24 ottobre emano' due sentenze analoghe.
Probabilmente l'arcivescovo si era trasferito da Civate a Legnano
pensando di poter rientrare in citta', poi pero' la situazione si fece di
nuovo tesa e da Legnano l'arcivescovo si trasferi' nel forte castello di
Angera. Risulta quindi chiara l'importanza di Legnano nei momenti torbidi
di Milano, proprio per il fatto che trovandosi a mezza strada tra Milano e i
castelli sul lago Maggiore consentiva di mantenersi aperte le due
alternative e di mettere in atto manovre politiche e favore del proprio
partito in Milano; inoltre offriva, grazie alle sue fortificazioni, anche una
certa protezione. Ecco la predilezione di Leone per questo borgo, nel
quale cerco' spesso rifugio; e' tuttavia infondata, come vedremo in
seguito, la tradizione che lo vuole fondatore di un sontuoso palazzo in
Legnano, mentre piu' probabilmente si limito' ad abitare le costruzioni
preesistenti.
Nel 1256 la situazione a Milano era di nuovo tesa, infatti erano stati eletti nuovi
capi-parte, Paolo da Soresina per il partito nobiliare, Martino della Torre
per l'altro, e avendo il Podesta' lasciato la citta' diretto a Roma a ricoprire
la carica di senatore, scoppiarono tumulti per l'elezione del suo
successore.
L'arcivescovo lascio' di nuovo la citta' e il 1 ottobre si trovava a Lesa,. Ancora
nell'anno 1257 in febbraio e in marzo egli era fuori citta' e si era stabilito di
nuovo in Legnano, come risulta dai documenti esaminati dal Giulini,
relativi al problema dell'elezione della badessa di San Michele di
Borgonuovo.
Secondo il Corio l'arcivescovo con il suo partito lascio' Milano in luglio, ma
probabilmente in quel mese furono soltanto i nobili ad abbandonare la
citta' per raggiungerlo in Legnano e organizzare la propria resistenza. La
causa immediata di questa ennesima discordia fu, secondo il Fiamma,
l'uccisione di un popolano da parte di un nobile avvenuta a Marnate, ma
secondo un antico catalogo degli Arcivescovi di Milano, la cui opinione e'
ripresa anche dal Corio, il motivo di fondo fu il desiderio dell'arcivescovo
di riportare la chiesa Milanese all'antico splendore e, nella fattispecie, il
rifiuto di annettere i popolani al rango di ordinari della Metropolitana.
Particolarmente illuminanti riguardo a questo problema e alla figura di
Leone da Perego le parole del catalogo sopracitato: " .. qui forbannitus
cum Ordinariis Mediolanensis ecclesiae fuit ab ispis popularibus pro eo
quod ipse e ordinati predicti aliquos de ipsis populalirbus,titulare in clericis
226
ipsius ecclesiae noluerint..." e piu' avanti parlando dell'arcivescovo " vir
strenuus et constants libertatem et honorem Mediolanensis ecclesiae
defendit usque ad obitum suum..."
In ogni caso il partito nobiliare, riunitosi all'arcivescovo, si diede da fare per
raccogliere aiuti e trovo' ovviamente ben disposti il Seprio e Como, pronti
a trar vantaggio da qualsiasi partito per arginare la potenza milanese.
Estremamente accorata era stata quindi la decisione dell'arcivescovo di
portarsi subito a Legnano allo scoppiare dei primi tumulti: infatti quando
ormai fu chiaro che non si poteva piu' sperare in un mutamento della
situazione in citta' e anche i nobili dovettero abbandonarla, egli si trasferi'
subito nel Seprio, mentre l'esercito del partito popolare guidato da
Martino della Torre, uscito da Milano l'8 agosto, si porto' all'assedio di
Fagnano; riuscendo vano questo tentativo si diede a devastare alcune
terre vicine, mentre i nobili chiusi in Fagnano tentarono una sortita senza
pero' che si giungesse ad uno scontro. L'arcivescovo allora, raccolto un
esercito nel Seprio, entro' l'11
agosto in Varese senza incontrare
opposizione alcuna, Martino Torriani approfitto' della sua assenza per
attaccare Castelseprio e, uscitone il presidio nobiliare, ne nacque una
zuffa. La situazione, ancora incerta, fu risolta dall'arrivo dei rinforzi dalla
Martesana e da Como che costrinsero i popolani a ripiegare su Solbiate e
Olgiate e a retrocedere ulteriormente verso Milano, incalzati dai due lati
dell'Olona dai nobili milanese e dai comaschi, che si spostarono
rispettivamente a Legnano e a Canegrate i primi, a Gorla e poi a Legnano
i secondi . Il 24 agosto la situazione era mo0lto tesa, con i nobili
accampati a Canegrate e il popolari a Nerviano, da dove Martino aveva
chiamato il carroccio preparandosi alla battaglia; ma grazie all'intervento
dei Legati di Brescia, Bergamo, Crema, Novara, Pavia, Lucca e del Conte
Egidio di Cortenueva, si pote' evitare uno scontro diretto: il 28 e 29
agosto a Parabiago, localita' equidistante dai due campi, fu stabilita una
tregua pubblicata il 30 dello stesso mese, in seguito alla quale tutti
rientrarono in Milano.
L'arcivescovo pero' non aveva probabilmente seguito il sue esercito ed
essendo malato si era ritirato in Legnano, dove, per provvedere alla sua
sicurezza personale in quel momento assai incerta,
i capitani e i
valvassori fecero circondare il borgo con una grande fossa di cui come
Gli itinerari seguiti mi fanno supporre che le strade sui due lati della
vallo Olona si riunissero poi a Legnano per proseguire in una unica
strada verso Milano.
227
vedremo si sono ritrovate le tracce.
Poco dopo la stipulazione della tregua, il 14 ottobre, Leone mori' appunto a
Legnano e vi fu sepolto. Circa la data della morte abbiamo la
testimonianza sicura nel catalogo sopracitato che dice ".. obiit vero
MCCVII quarto decimo die octobris...", affermazione ripetuta anche dal
Corio . Con altrettanta precisione sappiamo che fu sepolto a Legnano in
modo estremamente modesto: il suddetto catalogo dice: ""..Sepultus vero
est in eclesia Salvatoris in loco de Lignano..", il Fiamma "Isto tempore
Leo de Perego Archiepiscopus Mediolanensis Legniano moritur, et ibidem
viliter tumulatur", gli Annales Mediolanensis "Isto tempore frater Leo de
Perego Archiepicospus Mediolani moritur exul, et in legniano posto
portam Ecclesiae viliter sepeliturs..." Circa il luogo preciso della sepoltura,
il problema e' complesso, giacche', anche se il catalogo
parla
espressamente di San Salvatore, il corpo che si ritiene essere quello di
Leone fu rinvenuto, come narra il Prevosto Pozzo, dentro un tronco di
albero scavato, sotto una volta del muro poco alta da terra, nella piccola
chiesa di S. Ambrogio, durante dei lavori di trasformazione, avvenuti al
tempo di San Carlo Borromeo; dopodiche' il corpo scomparve, sebbene
fosse rimasta nel borgo la convinzione diffusa che fosse stato traslato in
San Magno.
Catalogus, Pag 108
Corio Vol I° Pag 495. Dissente soltanto il Fiamma che prolunga la vita
di Leone fino al 1263 e con cui caddero nell'inganno il Muratori, il
Eassi, L'Oltrocchi e altri; Ma il Giulini dimostro' che l'arcivescovo era
gia' morto prima del 1258, quando nella pace di S. Ambrogio si parla
della sua "recolenda memoria".
.
Non e' impossibile che Leone sia stato effettivamente sepolto in San
Ambrogio, dal momento che la tradizione, secondo cui questa chiesa
fu costruita nel 1339, risale al Pirovano, scrittore locale ottocentesco,
le cui affermazioni sono in genere, quanto meno avventate. Daltra
parte il catalogo degli arcivescovi ci indica San Salvatore, ma puo'
darsi si sia trattato di un errore dal momento che l'autore, non
conoscendo i luoghi, attribui' la sepoltura alla chiesa principale del
228
La morte di Leone avveniva in un momento particolarmente difficile, giacche'
la pace di San Ambrogio, stretta il 4 aprile 1258 in conseguenza della
tregua di Parabiago, non duro' che fino alla fine di giugno, quando il
partito nobiliare lascio' nuovamente Milano e scelse come proprio capo
Paolo da Soresina, benche' sospetto, per aver dato in moglie la propria
sorella a Martino della Torre. Anche questa la questione si chiuse con un
ennesimo accordo e le cose restarono come prima: impossibile in questa
situazione trovare un accordo tra gli ordinari per l'elezione del nuovo
arcivescovo, in vece del quale reggeva la diocesi di Azzone, arciprete
della Metropolitrana. La situazione si aggravo' ulteriormente negli anni
successivi, quando la fazione popolare, rimasta padrona di Milano
all'inizio del 1259, al momento della scelta del proprio capo si spezzo' in
due: La Motta, vedendo bocciato il proprio candidato Azzolino Marcellino,
che mori' poco dopo, a favore di Martino Torriani, ruppe l'antica alleanza e
si uni' al partito nobiliare. Quest'ultimo, dopo una breve quanto illusoria
pacificazione, essendo Martino Torriani padrone di Milano, si lego' ad
Ezzelino da Romano, ma lo abbandono' appena questi fu sconfitto e fatto
prigioniero dagli alleati milanesi. Dopo la morte di Ezzelino, i nobili
cacciati anche da Lodi, sospettando della fedelta' di Paolo da Soresina,
per la sua parentela con i Torriani, lo imprigionarono a Legnano, che
appare quindi in quest'anno 1259 ancora saldamente in mano al partito
borgo. Per quanto riguarda la traslazione in San Magno e' assai
probabile: il fatto e' che si sia subito perduto l'indicazione del luogo
della nuova sepoltura, e' forse da ricollegarsi, secondo il Giulini alla
scarsa considerazione che San Carlo nutriva per l'operato del suo
precedessore, come risulta nel catalogo degli arcivescovi, scritto per
suo ordine dal Galesini; egli avrebbe voluto cosi' evitare che in Legnano
si instaurasse il culto di quell'arcivescovo che gia' stava prendendo
piede nel borgo; il Giulini stesso asserisce di aver veduto nella chiesa dei
frati minori di Legnano una immagine di Leone con l'aureola e la B di
beato davanti al nome. D'altra parte appare improbabile che San
Carlo abbia traslato il corpo fuori di Legnano dal momento che non se
ne ha alcuna notizia.
229
nobiliare. Paolo, liberatosi rientro' in Milano e si accordo' con martino
mentre il governo di Milano veniva affidato per 5 anni al Marchese
Pelavicino il quale, per il suo atteggiamento ostile all'ortodossia cattolica,
rese i Torriani sospetti alla S. Sede.
Nel 1261 l'ostilita' della curia romana nei confronti di Milano si aggravo' per
effetto di una grave offesa recata dal Torriani al cardinale Ottaviano degli
Ubaldini, legato papale in Francia. Egli lasciando la citta' condusse seco
Ottone Visconti e l'anno successivo, quando la scelta dell'arcivescovo di
Milano, per effetto del mancato accordo, passo' nelle mani del pontefice,
fece conferire appunto a Ottone questa dignita', a scapito dei due
pretendenti, Francesco da Settala e Raimondo Torriani, che fu eletto in
conpenso Vescovo di Como.
Per reazione martino della Torre occupo' i beni del vescovo, tra cui certamente
Legnano, dove i Torriani trovarono il modo di accrescere il proprio potere
anche sfruttando la difficolta' che attraversavano in quei momenti gli enti
religiosi. Gia' da tempo infatti il Comune di Milano aveva imposto, per
sopperire alle spese di guerra, il frodo anche agli enti religiosi e avendo
incontrato da parte loro forte resistenza, aveva percio' limitato, nel 1256, il
frodo ai beni ecclesiastici acquistati negli ultimi 5 anni o da acquistarsi in
seguito. Si colpiva osi' l'ascesa degli enti religiosi, ma anche ai contadini
che lavoravano le loro terre, causando nuove discordie tra vicini e atti
contro le proprieta'. Con la morte di Leone e le discordie susseguenti la
situazione peggioro' e i canonici Agostiniani del convento di San Giorgio
presso Legnano, decisero di abbandonare il luogo e trasferirsi nella Casa
Madre di San Primo in Milano.
Attuarono percio' un cambio con i beni presso la chiesa di San Primo, nel
sobborgo della Pusterla Nuova in Milano, e in Limido, sotto il titolo di San
Martino, spettanti ai fratelli Raimondo, Napo e Francesco della Torre e al
loro nipote Enrico, cedendo loro i vasti possedimenti nei dintorni di
Legnano. Probabilmente furono proprio i Torriani a costruire sulle terre
.
C. Marcora - Un frammento degli statuti di Legnano del 1258 -
1268 trovato in un codice dell'Ambrosiana - " Memorie della Societa'
Arte e Storia". Legnano, n. 16 1956 pagg. 68,69.
Giulini - Perche' Castello di San Giorgio - "Memorie della Societa'
Arte e Storia" n. 16 1956 pag 60,61
230
acquistate mediante questa permuta, il cassio che e' attualmente
incorporato nel cosidetto castello di Legnano e che serviva ottimamente
per controllare i movimenti che avvenivano sulla strada per Milano lungo
la Costa di San Giorgio: cio' sarebbe a dimostrare una volta di piu' quanto
fosse importante nei momenti di pericolo per Milano il controllo di questo
borgo.
Frattanto a Legnano continuava la sua scesa la famiglia Oldradi o Oldrendi,
che aveva assunto un posto di primo piano anche nel quadro delle
istituzioni comunali. Cio' risulta da alcuni frammenti di documenti
riguardanti Legnano : il primo di essi e' la parte terminale di una
approvazione degli statuti comunali e ci presenta il collegio dei consoli al
completo: "... fuerunt aprovata et laudata et confirmata in anno currente
millesimo duecentesimo sexagesimo. Primo per Ottonem Tallonum et
Mainfredum de Bonatia et Tomazium Gutinazium et Albertum Tallonum
consules et vicarios archiepiscopatus mediolani habentis et distructum il
predicto burgo et territorio de consensu et voluntade Guillielmi de Ponte
et Jacobi de castro Seprio et Jacobi Ferrari et Ambrosi Arimperti et Alberti
Belloi et Oliverii Holdrendi et Andeloj Hodrendi et jacobi Servidei et
Amboxi Liprandi omnium electorum per comune dicti burgi afd predicta
facienda et ordinanda qui consules cum predictis electis concorditer
dixerunt et ordinaverunt quod omnia supradicta statuta in quolibet
capitullo observetur per quemlibet vicinum burgi de Legnano hinc ad
annum unum et plus ad voluntatem totius conscilij dicti comunis vel
maioris partis et que statuta fuerent completa die lune octavo die ante
Kalendas februarii". Compaiono qui quattro consoli, Ottone Tallono,
Mainfredo de Bonatia, Tommaso Gutinazio,e Alberto Tallono, che sono
Esso costituisce la parte centrale dell'attuale ala destra del cstello ed
e' chiaramente individuabile.
Come risquardo del codice I 115 inf. dell'Ambrosiana, risalente al
secolo XV, e' stato rinvenuto un foglio pergamenaceo scritto in doppia
colonna, ciascuna di 22 righe, di scrittura del secolo XIV; esso
costituiva probabilmente la pagina di un mastro pergamenaceo del
comune di Legnano in cui venivano conservate le delibere della
comunita'; cfr. C. Marcora, "Memorie della Societa' Arte e Storia" n.
16, 1956, pagg. 66
231
espressamente indicati anche come vicari dell'arcivescovo, il quale ha il
discrictus su Legnano e il suo territorio. Nell'approvazione degli statuti
hanno appunto la precedenza i quattro consoli, i quali pero' devono
ottenere l'approvazione e il consenso di un collegio di 9 persone, tra ci i
membri della famiglia Oldradi, elette dal comune di Legnano appunto per
questo scopo; vale a dire l'autorita' che deriva ai consoli dal fatto di
essere anche vicari dell'arcivescovo, sembra essere alquanto mitigata
da quella del comune, che traeva vantaggio dalla progressiva
diminuzione di potere del proprio dominus per aumentare la propri
autonomia, particolarmente in questo periodo confuso di vacanza della
sede arcivescovile.
Il secondo documento riguarda l'imposizione e l'esazione del frodo da parte
del consiglio del comune di Legnano "Millesimo CCLVIII die veneris XVII
die februarij totum conscilium burgi de Leniano silicet Castellus Albiollo et
Levachae Holdrendi et Rugerius Ferrari et Ambroxi Tallonus et Ambroxis
Liprandi et Ollivierus Ravergi et matheus Bellous et Oldrdus de
Masenago et Otto Tllonus et Ollivierus Hodrendi et Giullemus de Ponte et
Marchixius Terugi et Arnoldus de Retenate et Jacobus Servideo et
Jacobus del Castelseprio et Petrus Folcis et Aventollus Sertor et
Maifresus de Banatia et Arnoldus Arimperti. Fuerent in concordia et
ordinaverunt et statuerunt quod potesta teneatur per sacramentun
exigendi fodrum a quolibet homine tam masculum quam fiminam cui vel
quibusi impositum vel incissum fueret per comune dicti burgim seu per
cosiclim vel pre maiorem partem. Item staturemtun et ordinaverunt per
totum suprscriptumconscilium de voluntade vixinanantie quod si aliquis
homo de predicto burgo vel eius territorio fecerit seu haberit et tenuerit
illud de quo pro quo comune burgi predistum condempnaretur sustinuerit
vel habuerit aliqyod dempnum vel dispendium vel cendempnatione aliqua
quod ille homo vel femina cuius ocaxione evenerit teneatur et debeat
restituere totumdampnumet condempnationem et expensas predicto
comuni suis expensis et dampnis et si recussaverit facere ut supra legitur
quod comune et consules et podestas qui erit pro temporibus teneatur et
debeat eun desconvenzare et facere preconizare per burgum. Et non
debeat reverteri in convenentia donec non solverit totum dampnum et
dispendium et expensa que et quas facte fuerint et salute per ipsum
comune ipsa ocaxione" A questo documento sefue una data: ""in nomine
domini MCCLXIII die veneris sexto decimo die mensis Novembris
indictione Duodecima ", e qui termina il foglio, percio' questa data
potrebbe essere la conclusione del documento suddetto o l'inizio di un
232
documento successivo.
Comunque sia resta il fatto che le disposizioni indicate vanno effettivamente
attribuite all'anno 1258 e le difficolta' e le resistenze, che evidentemente
si pensava di incontrare nella riscossione del tributo, concordano
perfettamente col quadro che abbiamo tracciato piu' sopra a proposito del
convento di San Giorgio. Anche il consiglio del comune compare, nel
documento sopra indicato, nella sua composizione del 1258: oltre ai
nomi delle principali famiglie del borgo, ricaviamo la notizia che anche in
quest'anno partecipavano alla pubblica amministrazione due membri
della famiglia degli Oldradi o Oldrendi, che, insieme a quella dei Talloni,
sembra essere la piu' importante del borgo, e che a capo del comune
c'era un podesta'.
La struttura del comune di Legnano appare in conclusione abbastanza chiara
e assai simile a quella di tutti i comuni rurali. I poteri comunali sono affidati
ad un consiglio di 19 membri, che, mediante un collegio di persone cio'
delegate, redige ed approva gli statuti, la cui durata di un anno, ma puo'
essere prorogata per decisione del consiglio stesso a maggioranza
semplice. Organi del potere esecutivo sono i consoli o il podesta' che
sembrano alternarsi o addirittura coesistere. In entrambi i casi, l'elezione
Risulta impossibile stabilirlo, dl momento che il foglio pergamenaceo
- in fotocopia in "Memoria della Societa' Arte e Storia" n. 16 tavola
II - sembrerebbe che la data suddetta sia l'inizio di un nuovo
documento ma non bisogna dimenticare che si tratta di una copia.
Cosi' pure la datazione all'inizio del documento contiene un errore,
poiche' il 27 febbraio 1258 non era un venerdi ma una domenica, ma
anche in questo caso non e' possibile stabilire se l'errore vada attribuito
all'originale o al copista.
Essendo il comune l'espressione del concorso dei singoli in una azione
comune, il pricipio supremo dell'organizzazione e' appunto il consiglio,
come fomte di ogni competenza.
.
Nel 1260 abbiamo visto che erano in carica 4 consoli, nel 1258 un
podesta' e in quest'anno appunto si prevede la possibilita della
233
avveniva probabilmente in loco, secondo la prassi generale, e veniva poi
ratificata dal Dominus: infatti i poteri di questi ufficiali avevano una doppia
base giuridica derivante dal mandato comunale e dalla conferma
dominicale. L'importanza reciproca dei due fattori vario', certo,
sensibilmente a seconda delle vicende politiche, dal momento che il
dominus del borgo non era un qualsiasi signore feudale, ma l'arcivescovo
di Milano, il cui potere politico, totalmente inesistente in alcune particolari
circostanze, si faceva di volta in volta grandissimo, non appena la
situazione si volgeva a suo favore.
Le competenze dell'amministrazione comunalee erano probabilmente limitate
agli affari interni del borgo, alla polizia campestre e ai compiti di difesa del
comune, collegati all'esistenza nel borgo di elementi di fortificazione.
Se il comune godette di una certa indipendenza durante le lunghe lotte che
opposero i due grandi schieramenti politici cittadini, con l'avvento della
signori Viscontea certamente il controllo da parte della citta' si fece piu'
attento e forse proprio con il suo appoggio la famiglia Oldradi o Oldrendi,
raggiunse quel posto di preminenza nel borgo che la vediamo occupare
verso la fine di questo secolo
e in quello successivo.
presenza dell'una e dell'altra magistratura: si dice "infatti che le
decisioni prese poste in atto da "... comune et consules et podesta qui
erit, temporibus..".
Nella Matricola Nobilium familiarm del 1277 compaiono gli
"Oldrendis de Legnano" unica famiglia nobile del borgo, alcuni membri
della quale abitavano probabilmente nel borgo stesso, gli altri in Milano,
in C. Castiglioni - Gli ordinari della Metropolitana attraverso i Secoli,
in "Memorie della Diocesi di Milano", vol. I°, pag. 20
.
In una curiosa prova dell'influenza esercitata da questa famiglia sul
borgo, si ha confrontando l'attuale stemma cittadino con il suo
stemma gentilizio, quale compare nel 1383 a Bologna - Atti e
memorie della Regia Depurtazione di Storia Patria per le provincie
della Romagna, terza serie, vol XIX, 1901 pag. 80. Chiaramente
234
l'attuale stemma comunale formato da un leone rampante nella
banda superiore e da un rametto di corallo in quella inferiore, e' una
derivazione di quello degli Oldradi, formato da un leopardo nella
banda superiore e da un identico rametto di corallo in quella inferiore.
235
Gli antichi mulini sul fiume Olona
Tratto da:
Fin dal medio Evo prosperava nel borgo di Legnano l'attivita' molitoria
esercitata in forma artigianale e tale era la dovizia dei molini disseminati
lungo l'Olona da Castellanza a Nerviano per fare supporre che nel XV°
secolo questa attivita' costituisce per l'intera zona, e per Legnano in
particolare, una notevole fonte economica. Probabilmente i signorotti di
questi tempi cercavano di accaparrarsi il maggior numero di mulini per
poter realizzare una vera e propria concentrazione in grado di
condizionare altri settori e speculare in occasione di raccolti disastrosi o
di carestie.
Legnano per molti anni aveva fornito farina per il pane dei milanesi ed e'
naturale che alcuni nobili di quei tempi avessero messo assieme una
cospicua fortuna con i mulini dell'Olona.
In parecchi documenti dei quali i ricercatori si sono imbattuti ricorrevano
spesso nomi di mulini le cui ruote e macine avevano scandito per secoli
la vita di tranquilli artigiani che lavoravano in proprio o per conto di
signorotti. Anche nella denominazione di alcune vie dell'antico borgo sia
a Legnanello che nella zona del centro e attorno al castello Visconteo
fino a San Vittore, Canegrate ed oltre, veniva ricordata questa vocazione
dell'economia locale. Cosi' avevamo in via dei Magnani, via Mulini di
Sotto, via Mulini dell'Arcivescovo, Mulino delle Armi e localita' "cinque
Mulini" nella zona in cui attualmente vi e' il ponte di via Pontida e dove
l'Olona si diramava in ben quattro bracci formando anche due isolotti.
Vi erano anche altri mulini presso il vecchio convento di Sant'Angelo della
roggia omonima che attraversava poi l'antico nuclo e attorno alla chiesa
di San'Ambrogio. Un raggruppamento di altri mulini sorgeva nel tratto
compreso tra le attuali via Matteotti e via Beccaria.
Qui possedevano parecchie case i Lampugnani discendenti da Ubertino,
dottore in legge a Pavia e padre del noto Oldrado II° Lampugnani.
Gli appartenenti a questo ramo della nobile casata venivano chiamati dallo
storiografo Pirovano "Lampugnani di Ponte Carrato" ed erano appunto
proprietari di un gruppo di mulini il piu' grande dei quali si trovava nel
punto in ora sbocca via Corridoni ed era stato ribatezzato con il nome di
"Mulino della Vedova" probabilmente dopo che Giavannina Omodei fu
Gasparolo, vedova di Ubertino, compero' la proprieta' con altri immobili.
Di questo acquisto esiste una pergamena nell'archivio dell'Ospedale Maggiore
236
datata 17 marzo 1419 a rogito del notaio Laurentius Martignonibus. In
essa si fa cenno proprio al "ponte carratum". Si trattava di un ponte
caratteristico a due arcate che univa la via Milano all'attuale via Corridoni
(gia' via del Magnani) e che venne demolito il 7 giugno 1882.
Di esso ci resta un acquarello del Pirovano. In altri due quadretti delle stesso
pittore e storiografo legnanese realizzati nel 1800, possiamo ancora
ammirare gli avanzi del cortile inferiore della casa Lampugnani di Ponte
Carrato in un'altra costruzione del secolo XV°, indicata come ubicazione,
in via Ponte Carrato 10.
Scorrendo lungo il percorso dell'Olona a valle del castello troviamo disseminati
molti altri mulini tra i quali quello del Melzi - Salazar, poi ancora i mulini
Meraviglia, Cozzi, Galeazzi (da cui deriva
la famiglia Tenconi). A
macinar farina ora dei tanti mulini legnanesi e' rimasto solo a valle del
castello il Molino Salmoiraghi, un edificio cadente somigliante piu' ad una
prigione che ad una casa di abitazione. La tradizione dell'attivita' molitoria
e' conservata alla citta' di Legnano dall'industria Salmoiraghi che ha in via
Pietro Micca uno stabilimento per la produzione di farina alimentare.
I vecchi mulini che un tempo avevano dato tanto prestigio e ricchezza al borgo
di Legnano, ora giacciono come vetusti cimeli con le loro grandi pale e
macine immobili, simbolo di un'epoca ormai troppo lontana.
Tuttavia bisognerebbe nell'ambito del futuro parco del castello, conservarne
almeno qualcuno di questi mulini. Ma occorre fare presto e comunque
prima che le intemperie, il fiume e i troppi vandalismi di incoscienti non
decretino definitivamente la fine di quanto resta a ricordare una fiorente
attivita' legnanese che il 1620 contava ben 17 molini in piena efficienza,
come attesta un documento di un funzionario di governo spagnolo, il
questore Orazio Mainoldi.
Nota: L'olona non e' un fiume regale non essendo navigabile e viene chiamato
"roggia molinaria" perche' fornisce energia ad un gran numero di mulini.
Serve pero' anche all'irrigazione dei campi e pertanto sorge un conflitto
tra i proprietari dei mulini e gli utenti di rogge irrigue, che si contendono la
maggior quantita' di acqua in una annata di siccita'. I termini del conflitto
sono contenuti in un documento e conservato, tra gli altri, dagli eredi del
legnanese Dottor Cesare Candiani, discendente dei nobili Visconti.
In questo documento, data 18 settembre 1775, si presenta ancora la stessa
contesa. Piu' precisamente si tratta di un avviso di convocazione di tutti
gli utenti delle acque del fiume Olona che non avevano rispettato le
"grida" del 12 settembre 1773 e, come tali, "sospetti di usurpazione e di
abuso" nel prelievo delle acque del fiume.
Tra le rogge irrigue che solcavano il territorio di Legnano, oltre al cavo Diotti,
237
ve ne erano altre denominate "Santa Caterina", "Dell'Arcivescovo" e
"Sant'Angelo". Quest'ultima era la piuì importante. Si diramava dall'olona
prima di Castellanza, passava davanti al convento di frati di Sant'Angelo
(ex edificio scuole Mazzini), attraversava l'attuale via della Vittoria che
anticamente si chiamava "via pan di meliga" e proseguiva lungo il
tracciato delle attuali via De Gasperi, Giolitti, Palestro , San Ambrogio per
poi tornare a confluire nell'Olona nei pressi del castello. La roggia veniva
tenuta ad un livello piu' alto, sulla destra del letto dell'Olona, appunto per
irrigare tutti i campi che si trovavano in quella fascia intermedia, per
mezzo di un capillare sistema di rigagnoli "a perdere". La roggia venne
soppressa nella prima meta' dell'ottocento.
I Mulini
Tratto da:
I mulini, al pari delle grandi estensioni coltivate a cereali, in pieno Medio Evo
rappresentavano un'autentica ricchezza. Il possesso di una serie di
impianti di macinazione, con le pale azionate dai salti d'acqua, era infatti
strettamente collegato al dominio delle terre coltivate a grano. Mantenere
o perdere i mulini, equivaleva a conquistare il territorio su cui erano
ubicati o rinunciarvi. Oltre che per fornire farina da alimentazione, i mulini
producevano foraggio speciale per bestiame e le grandi ruote in pietra
venivano adattate anche come mole a smeriglio, per fabbricare armi
bianche.
Una delle regioni d'Italia, che ebbe una piu' forte concentrazione di mulini ad
acqua, dal Medio Evo all'Ottocento, fu la Lombardia, ricca di fiumi, canali,
navigli, rogge, che avevano la duplice funzione di irrigare i campi e
fungere da forza motrice.
Molti di questi mulini hanno resistito al logorio del tempo, alle guerre, ma
anche a quel terribile ciclone che per essi rappresento' la rivoluzione
industriale: nel periodo pionieristico, perche' i primi insediamenti
produttivi sfruttarono proprio le ruote dei mulini esistenti per azionare le
prime macchine utensili, anche se nel periodo successivo, con l'avvento
della moderna tecnologia, i superstiti vennero superati dalle piu' avanzate
tecniche di macinazione.
Nel borgo di Legnano, fin dal Medio Evo, prosperava l'attivita' molitoria,
esercitate in forma artigianale e tale era la dovizia di mulini disseminati
lungo l'Olona, da Castellanza a Nerviano, da far supporre che nel XV
secolo questa attivita' costituisse per l'intera zona, e per Legnano in
particolare, una notevole fonte economica. I nobili di quei tempi
238
cercavano di accaparrarsi il maggior numero di mulini, per poter
realizzare una vera e propria concentrazione, in grado di condizionare
altri settori e speculare in occasione di magri raccolti o di carestie.
Legnano per molti anni aveva fornito farina per il pane dei Milanesi ed e'
naturale che alcuni signorotti di quei tempi avessero messo insieme una
cospicua fortuna con le macine dell'Olona.
Il piu' antico documento conosciuto, nel quale si nomina un mulino sull'Olona,
e del 1043, un palmento di proprieta' di Pietro Vismara, ubicato tra
Castegnate e la localita' Gabinella di Legnano. Nel documento si parla di
Cogorezio o Cogonzio, nominativi scomparsi, ma che permettono di
localizzare, come si e' detto, questo mulino (Memorie n.3, Societa' Arte e
Storia Legnano, Legnano 1936, pagg.38 e 62).
Anche nella denominazione di alcune vie dell'antico borgo, sia a Legnanello
che nella zona del centro storico e attorno al castello visconteo fino a
S.Vittore e Canegrate ed oltre, veniva ricordata questa vocazione
dell'economia locale. Cosi' avevamo via dei Magnani, via Mulini di Sotto,
via Mulini dell'Arcivescovo, Mulino delle armi e localita' Cinque Mulini,
nella zona in cui attualmente sorge il ponte di via Pontida e dove l'Olona
si diramava in ben quattro bracci, formando anche due isolotti. Vi erano
altri mulini anche presso l'antico convento di S.Angelo sulla roggia
omonima, che attraversava poi il nucleo abitato del Borgo di Maragasc
(zona S.Ambrogio). Un raggruppamento consistente sorgeva pure nel
tratto compreso tra le attuali vie Matteotti e Beccaria, dove possedevano
proprieta' terriere e case i Lampugnani del ramo di Oldrado II. Lo
storiografo Pirovano chiamava appunto gli appartenenti a questo ramo
della nobile casata, (per distinguerli da altri), "Lampugnani di Ponte
Carrato". Il piu' grande si trovava nel punto in cui ora sbocca via Corridoni
ed era stato ribattezzato col nome di Mulino della Vedova, probabilmente
dopo che Giovannina Omodei fu Gasparolo, vedova di Ubertino
Lampugnani, acquisto' la proprieta' con altri immobili (atto di vendita
datato 17/3/1419 a rogito del notaio Laurentius Martignonibus in Archivio
Ospedale Maggiore Milano)
Il Ponte Carratum cui si fa cenno nell'atto pergamenaceo citato, caratteristico
a due arcate, che univa la via Milano all'attuale via Corridoni, (gia' via
Magnani) venne demolito il 7 giugno 1882.
Lungo il percorso dell'Olona, a valle del castello, troviamo disseminati altri
mulini, alcuni dei quali, come si vedra', pervenuti fino a noi da un antico
regno romantico nascosto da un'archeologia industriale o artigianale da
museo.
Le Signorie Sforzesca e Viscontea posero a presidio dei piu' importanti
raggruppamenti di mulini alcune fortificazioni, sfruttando fortilizi e castelli
239
gia' esistenti, per ubicarvi impianti molitori, come nel caso del castello di
Legnano.
Lo storico milanese Del Prato annota che, nel 1510, al discendere di un
esercito svizzero dal Canton Ticino, via Varese, per raggiungere
Milano...furono rotti tutti i mulini da Varexo sino a Rho eccio' che il
numeroso et povero exercito de Sviceri per se' con fame se
vincessi...finalmente, dice lui, la cosa se accordo' con dinari, et il giorno
duodecimo di settembre essi Sviceri gia' pervenuti a Gallara' se ne
ritornarono a casa loro. Questa fu una delle tante battaglie e, dispute
militari che ebbero per teatro i mulini dell'Altomilanese.
Secondo alcuni riscontri storici, fatti dal Sutermeister, Gian Rodolfo Vismara,
possessore di vari mulini, faceva lavorare i metalli fini, usufruendo della
forza dell'Olona, per battere al maglio le foglie d'oro e d'argento e per
trafilare gli stessi metalli. Questa lavorazione doveva avvenire, sempre
secondo lo studioso, per mezzo di adattamenti alle stesse macine dei
mulini.
A riprova l'autore cita cinque atti conservati nell'archivio della Congregazione
di Carita' di Milano, rispettivamente degli anni 1453, 1461 (aprile e luglio),
1486 e 1487, nonche' altri due atti di acquisto del 1467 (Codice
Trivulziano 1816, 194-1. 193-4).
Il censimento di Legnano del 1594 segnalo' l'esistenza nel borgo di 16 mulini
appartenenti a nove proprietari.
Una relazione invece datata 1772 e stilata dall'ing. Gaetano Raggi, del
Consorzio Fiume Olona, (che ha tracciato anche una mappa molto
precisa), ne aumenta il numero a 18.
Ecco l'elenco dei mulini di Legnano al 1594:
-----------------------------------------------------------------MULINI RISULTANTI DAL CENSIMENTO DEL 1594
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------lOCALITA' SEGNATA NEL CENSIMENTO
DENOMINAZIONE
MOLINARO
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Gaminella
1
Mul. e Casa Cuttica
29
Rosetti Gius.
2
Mul. e Casa Hipp.Lamp.
16
Reina Ambrog.
4
Mul. F.lli Alui.so Hier
5
Salmoir.Stef.
240
5
Mul. Arciv. le oltre l'Olona
7
Salmoir. Gio.B.
6
Mul. Mensa Arciv.le
7
Salmoir. Ludov.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Mungiato
60
Mul. Mensa Arciv.le
9
Salmoir. Franc.
61
Mul. di Oldrado Lamp.
3
Salmoir. Gio.P.
62
Mul.
S.Caterina
11
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sopra la P.za
149
Mul. Prosp.ro Lamp.
9
Salmoir. Gio.
*
152
Due Mul. del sig.Pros.ro
Rossetto Paulo
153
Lampugnani
13
Salmoir. Gius.
163
Due Mul. della Signora
Patto Gio.Batta
164
Lucrez.
Cusani
11
Salmoir. Gio.Ant.
* ma leggasi: 149, 152 e 153 a Ponte Carrato, 163 e 161 alla Mad. delle
Grazie.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sotto al Castello
166
Mul.della Sig.ra Lucrez.Cusani
10
Raguzzo Geron.
167
Mul. Sig. Meraviglia
13
Lanza Panigo Ag.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Legnanello
181
Mul. Card.Peretto (esso fu poi
Card. Archinto 10 perche' dal
contesto risulta che era in
Salmoir. Ambr.
centro di Legnanello).
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------241
da Memorie Societa' Arte e storia, n.18, Legnano
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------Mettendo a confronto la relazione Raggi con questa elencazione, risulta che,
nel 1594, non esistevano ancora i mulini 19 e 20 del Conte Prata,
rispettivamente del canonico Proverbio, situati in Legnanello, sull'area in
cui sorse poi lo stabilimento Bernocchi, tra Gabinella e via Pontida
(Sutermeister in I mulini antichi sull'Olona - Memorie Soc. Arte e Storia,
Legnano 1960).
Nel XIX e XX secolo gli ultimi mulini residui vennero sacrificati per costruire le
grandi industrie cotoniere Cantoni, Bernocchi e Dell'Acqua, che
sfruttarono la forza motrice dell'Olona, realizzando sistemi di
trasmissione interna azionati da ruote idrauliche o da turbine Jonvall,
particolarmente adatte per l'Olona a variabilita' di regime. Caddero cosi'
sette mulini di grano.
Quando i progressi ottenuti dalla diffusione dell'energia elettrica licenziarono le
acque dell'Olona come forza motrice, i mulini superstiti tornarono a
macinare grano: erano i tempi magri della prima guerra mondiale che
fecero riscoprire questi importanti impianti e svolsero cosi' una rinnovata
e importante funzione per la sopravvivenza.
Nel periodo post bellico, quando con la forte crescita del fabbisogno di
corrente, l'uso delle vecchie ruote divenne economicamente sfruttabile
anche dalle piccole officine, qualche mulino cambio' attivita' e invece
delle macine da grano, prese ad azionare, come si e' detto, trapani,
piallatrici, mole a smeriglio. Anche questo nuovo risveglio si spense
presto col mutare delle condizioni economiche di Legnano. L'espandersi
edilizio della citta' distrusse gli ultimi mulini, a cui si preferirono strade e
palazzi.
Attualmente ne restano, a monte e a valle del castello visconteo di Legnano,
soltanto sei e da essi prende il nome una tradizionale gara di cross
campestre, la Cinque Mulini, che si corre ogni anno a primavera. Si tratta
dei mulini Meraviglia (gia' Melzi Salazar), Cozzi, Cornaggia (di fronte al
Parco comunale del Castello), De Toffol, e Montoli di Canegrate ed un
altro a valle di Nerviano. L'unico con le macine ancora in efficienza (piu'
che altro per triturare foraggio per bestiame) e' il mulino annesso alla
fattoria agricola Meraviglia nel territorio di San Vittore Olona, che e'
certamente il piu' antico tra i rimasti perche' risalirebbe al XIV secolo.
Esso offre una sorta di melanconica sopravvivenza capace di testimoniare
un'attivita' plurisecolare, quasi scomparsa, che pure aveva fatto un tempo
la ricchezza di questa zona agricola lombarda.
242
243
Relazione sui Mulini idraulici lungo l'0lona.
Tratto da :Societa' Arte e Storia Legnano Memoria n.18 - 1960
I Mulini antichi sull'Olona.
La presenza di un corso d'acqua , atto a fare funzionare un numero notevole di
mulini, su una parte ravvicinata del suo percorso, e' stato importante
fattore di prosperita' locale, che decise uno sviluppo di avanguardia in
confronto ad altre zone pur toccate dallo scorso d'acqua.
Non e' facile dire quando essi mulini siano stati qui introdotti, ma osiamo
pensare che cio' non abbia ritardato molto rispetto alla ruota di mulino
scoperta in Campania e classificata del I° secolo dopo Cristo.
La storia ci insegna che erano gia' noti agli egiziani, assiri, cinesi e che da noi
la descrizione piu' antica ci e' tramandata da Vitruvio, che visse all'epoca
di Augusto.
Il piu' antico documento sopravvissuto, che nomini un mulino nella nostra zona
e' del 1043, e l'ho gia' citato in Memorie 3 Pag. 38 e 62; il proprietario era
Pietro Vismara.
Vi e' presunzione, che fosse quel mulino, che nel 1450 1470, fu poi di Gian
Rodolfo Vismara, proveniente per eredita' dal suo bisnonno, che si
trovava in Cogonzio o Gogorezio ( nominativi scomparsi), contiguo alla
chiesetta di San Bernardino a Castegnate, ed ora distrutta.
Con il diffondersi dei mulini e per l'importanza sociale economica che derivava
dal loro uso, essi furono oggetto di accaparramento da parte delle sfere
dominanti, ed il loro possesso era intimamente collegato con il dominio
delle terre coltivate a grano.
Nelle contese sociali o nelle guerre, il mantenere o perdere i mulini, equivaleva
a vincere o perdere il relativo territorio. Tutto cio' mette in evidenza,
perche' la nostra valle Olona fu disseminata tratto a tratto da castelli,
affidati generalmente a nobili possidenti della zona, che provvedevano
a fare la leva ogni qualvolta cio' occorresse.. Difendere la terra per avere
grano per sfamarsi.
Nei tempi di sconvolgimento economico dopo una guerra, cioe' nei momenti di
carestia, il governo ducale ordinava con grida: " che si levino le mole dal
servizio delle armi e per la carta, per trasformarle al servizio delle macine
da grano".
Le mole cui qui si accenna sono quelle da arrotare che possedeva ogni mulino
244
che avesse la combinazione con il maglio da fabbro, con cui poteva
anche produrre armi bianche.
Distruzione difensiva dei Mulini.
Il Dal Prato, storico milanese dal 1499 al 1519, ci informa (ma non e' l'unico)
che nel 1510, al discendere di un esercito svizzero dal Canton Ticino, via
Varese, per raggiungere Milano..."""furono rotti tutti i mulini da Varexo
sino a Rho accio' che il numeroso exsercito da Sviceri per se' con fame
se vincessi..."
"Finalmente, dice lui, la cosa se accordo' con dinari, et il giorno duodecimo di
settembre, essi Sviceri, gia' pervenuti a Gallara' se ne ritornarono a casa
loro".
Veramente da altri storici sappiamo qualche cosa di piu', per esempio che ai
mugnai era stato consigliato di fare deviare con tutti i mezzi le loro scorte,
fuori dalla rotta di marcia degli svizzeri, e che venuti da Legnano ed
accampatisi per dieci giorni nella nuova chiesa di San Magno, che era in
costruzione, finirono per bruciarne le armature, causando un grave
ritardo alla costruzione stessa.
Fu cosi' una piccola battaglia vinta con l'arresto dei mulini, ma purtroppo, ne
queste, ne altre successive, non poterono evitare la caduta della Signoria
Sforzesca, sopraffatta dai troppi contendenti al suolo lombardo.
Lo sfruttamento dell'acqua.
Occorre ricordare che lungo il fiume vi sono due tipi di utenti:
1) I mulini, che sfruttavano la discesa naturale dell'acqua nel percorso a
cadauno assegnato, non consumano l'acqua, sono relativamente pochi,
ma con carattere industriale e con utenza quasi costante.
2) Sono invece moltissimi gli utenti del fiume che consumano l'acqua,
facendola defluire fuori dal letto, piu' o meno irrimediabilmente, per
irrigare i terreni contigui al fiume, e ne fanno rientrare solo gli scolaticci
degli stessi terreni.
Tali bocche, che hanno un loro numero sulla tavola, sono ovviamente
sottoposte ad altrettanti controlli, non solo circa le misure delle bocche e
bocchelli, ma anche circa il battente d'acqua, che su di esse gravita, che
e' determinante per la quantita' di acqua che ritirera' l'utente.
I mulini invece, che con il loro funzionamento sono fatti a fare ristagnare
l'acqua o a lasciarla defluire piu' o meno liberamente, creano anomalie a
245
tali utenti, e le lamentele passano prima al Dirigente del Consorzio e
finiscono non di rado in Tribunale. Allora come oggi.
Di qui la necessita' di una organizzazione idrologica e di attenti controlli per
ottenere ordine nelle molte contese fra gli utenti e ai bisogni contrastanti.
Le vie molinare di questa zona, sono tirate tutte parallele l'una all'altra e
normali al fiume, in modo che, teoricamente a cadauna localita' piu' o
meno lontana dal fiume, corrispondeva una strada, che con il minore
percorso possibile, andava ad incontrarsi con un mulino.
Rilevata questa caratteristica, si e' trovata la chiave del mito delle strade
romane distese con ritmo ortogonale sulle regioni; e' nata prima la serie
delle strade parallele, perche' erano evidentemente quelle di primo
interesse per condurre il bestiame agli abbevveratoi; le "tratture", ma ben
presto si perfezionarono al servizio dei mulini.
Vertenze sul godimento delle acque del fiume.
Decreto del conte di virtu', del 23 febbraio 1381 contro gli utenti abusivi delle
acque pubbliche.
Dopo i soliti preamboli prescrive:
".. che nessuna persona, di qualunque condizione disponga, creda di estrarre
o fare estrarre acqua dal Ticinello, Naviglio Grande, Carlona, Parona, ed
Olona a noi sottoposte, ne' da altre rogge, sotto la pena di 300 fiorini
d'oro, se la presa fosse fatta con incastro di sasso di muro; di 200 fiorini
se con incastri in legno; di 100 fiorini se in altro modo estratta e senza
incastro, se piu' o meno in aria, e per persona, a condizioni di arbitrio a
seconda delle circostanze ecc. ecc. Questa ordinanza verra' iscritta negli
statuti nostri e nel comune di Milano e di Pavia con le solite norme"".
Il Duca con questo bando metteva un catenaccio all'apertura di nuove prese
arbitrarie, che togliessero acqua dai fiumi, certamente per ragioni
importanti e non solo fiscali,. Anzi dal momento che non vi e' accenno in
tal senso, occorre pensare ad un impellente bisogno di disciplinamento
delle acque.
Circolare di Filippo Maria Visconti del 13 Luglio 1445.
Il Duca sente il bisogno di lanciare analoga circolare ai Nobili e Sapienti Viri
Commissari, per fare sapere "che" nessuno rallenti o che usando l'acqua
in qualsiasi possessione ardisca o presuma con qualunque ostacolo di
impedire il decorrere nel suo letto, sotto pena di privazioni, confisca dei
beni, a decidere
dalle nostre camere "ipso facto", senza alcuna
246
dichiarazione spiegativa e con l'annuncio solo del banditore Antonio
d'Arezzo, che tosto di trasferira' lungo il fiume Olona ed dovunque
occorresse".
Questa comunicazione ha un vero carattere di urgente catenaccio in tempo di
guerra. Ed era giustificata dal bisogno che i mulini potessero ottemperare
al loro compito di non lasciare mancare
il pane alla popolazione,
perche' l'amministrazione Ducale sentiva i pericoli delle rivolte popolari.
Infatti appena due anni dopo la morte del Duca, si sviluppava la Repubblica
Milanese, che tanto filo da torcere diede poi al suo genero Francesco
Sforza, per la riconquista e ricostruzione del Ducato, piombato in vero
sfacelo.
Lettera di sua maesta' Cattolica don Filippo II, re di Spagna e Ducato di
Milano.
Con cui il 5 maggio 1563 sua maesta' sollecita ai magistrati cui compete, di
dare pronto corso ai processi iniziati presso i Commissari generali delle
acque e diano forma giuridica alle loro prescrizioni sulle acque e statuti.
I magistrati in obbedienza a S.M.C. emettono queste grida per fare svegliare
gli utenti.
1563 3 luglio.
"Volendo l'Illo e Mag.co Residente e Maestri delle R. Ducali Entrate dello Stato
di Milano, venire a cognizioni delle raioni di poter cavare acqua dai fiumi
regi, navigli, laghi o altre acque pubbliche, si ammonisce ogni persona sia
ecclesiastica che secolare, di denunciare per iscritto entro giorni quattro
dalla pubblicazione della presente, le loro ragioni e diritti sulle acque, ed
entro altri dieci giorni, presentare documentazioni autentiche.
Il 21° giorno i sigg. Presidenti e maestri ordineranno l'otturazione di tutte le
prese che non saranno giustificate e decadranno da tutte le ragioni dopo
non prerentorio invito a comparire ai prefati sigg. Presidente e Maestri al
loro ufficio, posto nella corte dell'Arengo in Milano.
Il Presidente e i Maestri della Regia Ducal Camera delle Entrate straordinarie
di Milano.
Io Galeazzo Palazzi q. Gio Pietro T.T.P.S. Sebastiano Milano Notario
Apostolixo successo al fu Gerolamo Legnani gia' Not. e Magistrato
straordinario, rogai, scrissi e sottoscrissi."
In seguito a questa imposizione il fascicoletto riporta una lunghissima fila di
ricorsi presentati dagli utenti fra il 1593 e il 1597 di cui essi dimostrano i
loro diritti di Esenzione a tasse di utenza.
Pertanto qui il campionario di regesti, dai mastri ducali e degli uffici
commerciali, relativi alle esenzioni delle tasse; elargite a membri
247
Legnanesi ed altri, dalle autorita' Ducali.
Una piu' vasta distinta trovasi nelle memorie n. 9 fra le pag. 74 e 100.
1464 - 8 settembre - Lampugnani Cattarina madre del dr. Terzago Cancelliere
del Co. Giac. Piccinini riceve dal Duca Francesco Sforza la facolta' di
valersi dell'acqua del fiume Olona
ogni mercoledi' per adacquare
pertiche 100 di prato nel territorio di Legnano.
arch. Ducale R.° B. B. f° 368
Reg. Lett. Duc. 1462 1472 f° 98 tergo.
1467 - 10 febbraio - Decreto della Ducissa Bianca Visconti e Galeazzo Maria
Sforza a Gio. Andrea Lampugnani nipote del M.co Oldrado per immunita'
ed esenzione ai suoi beni e massari e redditarii qualsiasi per lui ed i
presenti del fu Oldrado.
Arch. Osp.
Magg. Cart. 93 94.
1467 - 21 ottobre - Grida a stampa per uso interno e pubblico di Galeazzo
Maria Visconti per ordinare ai magistri delle entrate ed a tutti a cui spetta,
che non si elargiscano piu' esenzioni perche' lo stato abbisogna denaro.
Conferma intanto invece che le esenzioni dei sottoindicati restino valide e
sono le uniche.
Firmato Galeazzo e Cicchus.
Eredi di D°. Oldrado Lampugnani e seguono i nomi dei 19 membri preminenti
di casa Visconti fra cui tutti i titolari dei Castelli del Milanese.
1467 - 22 dicembre - Lampugnani Gio' Nicolo' e Gio Leonardo fratelli, ricevono
l'esenzione dal Duca Galeazzo Maria Sforza sui loro beni e massari.
Arch, Duc. f°. 41, n.° 26.
1471 - 22 maggio - Il Duca di Milano ordina che Giovanni Andrea Lampugnani
ne' i suoi mugnai non vengano gravati in occasione del dazio sui
rodiggini.
Reg. Duc. n.° 8, fol. 179 e 180 tergo.
Verso 1510 1520. Supplica di Oldrado III Lampugnani al Governatore di
Milano avversa e controlli idrologici e sue tasse.
Timbro rotondo dell'O.L. colla "camarra"
Ill.mo et Ex.mo Sig.re - Essendo novamente andato Jo. Antonio Trombeta
con certi balestrieri alle terre quale sono dricto al fiume Olona per
provvedere che le acque depso fiume non siani ritenute et possano
venire a Mlmo.. Con commissione de la Extia V.ra come se dice di dare
248
contrefacienti pagano la spexa de dicti balestrieri. Et quantoche' esso Jo
Antonio non debia molestare li molinari pel tal causa quali non solamente
non ritennero l'acqua ma cercano tutta a sua possanza di dare venire piu'
acqua se po in dicta flume per essere anchora al beneficio de soy molini.
Non dimanco esso Jo Antonio pare voglia astringere dicti molinari per il
suo bonfare a pagare mezo ducato per molino e maxime li molinari de li
vostri fedelissimi servitori dno. Oldrado et fratelli de Lampugnano contra il
debito et contra el solito volendo impugnare nova xervit' ali molini predicti
et fare extorsione adicti molinnari il che non he da esser tolerato per la
Ex.tia V.ra.
Et pero se suplica a la prelibate V. Ex.tia in nome di discti dno Oldrado et
fratelli et soy molinari che quella se digna servirse mandare al dicta Jo
Antonio che per dicta causa non molesta e fassa molestare li molinari
predicti et sel sera facta novita alchuna lo dibia subito revocare.
Come se crede essere de mente del la Ex.tia Vostra ala quale dicti suplicanti si
ricomanderemo.
arch. St. Mil., Cart. Fam. Lamp.
1584 - 12 Maggio - Istanza al fisco - Bernardo Lampugnani (notaio) supplica
che nonostante che il suo molino nella Valle Olona, pieve di Parabiago,
gia' tassato in Limp. 22, fu venduto e che e' solo un solo ramo dell'Olona,
venga mantenuta invariata la tassa.
Un fascicoletto del 1610 a stampa in corsivo, di 22 pagine, che e' pervenuto in
donazione alla Biblioteca del Museo (dall'amico Bajardini Nino di
Castellanza) intitolato: "Transazione tra la regia Camera e gli utenti del
fiume Olona" 3 maggio 1611 inizia con carattere giuridico, ma finisce fra
le glorie del fisco.
Esso ci presenta innanzitutto un certo numero di disposizioni antiche sul
possesso delle acque; poi alquanto prolissamente ci informa della
contesa svoltasi tra il 1593 e il 1610, per arrivare a una transazione che
fornisce al fisco un quid, per sovvenire alle spese dello Stato. Mirava
pero' il fisco a stabilire un prezzo di transazione per il passato ed una cifra
per il futuro.
Faceva rilevare che il fisco che, l'introito fiscale sugli utenti dell'Olona, era
stato di lire 2432 nel 1560 ed era caduto a lire 1795 nel 1593, perche'
molte esenzioni erano state rilasciate, mentre da un altro lato, l'aprirsi di
utenze abusive, faceva diminuire l'acqua del fiume a danno dei mulini.
Da qui la necessita' di risistemare tutto, ed aumentare le tassazioni.
Mentre la Regia Camera intrapprendeva detta opera, alcuni potenti avversari,
249
si attaccavano alla penna degli avvocati per una schermaglia, che duro'
fino al 1610 quando si apri' la via di uscita colla transazione fra le parti.
Il fascicoletto pero' ci fa risalire ad atti del 1383 in qua, per esaminare il
contradditorio se la Real Camera, era meno in diritto e con quali
organismi, di legiferare sulle acque; di vagliare i diritti antichi di esenzione,
che molti utenti vantavano, e che dovettero poi documentare in un
termine prerentorio, richiesto di pochi giorni, ma che si prolungo' dal 1593
al 1597 e poi sino al 1610 per l'esazione.
Per un caso si traversava proprio l'epoca del Censimento, pubblicato nelle
Memorie 17, che l'amministrazione Arcivescovile aveva ordinato a tutti i
parroci del Milanese. Ognuno puo' pensare che tale censimento abbia
facilitato anche l'amministrazione comunale.
Ho detto sopra che la via di uscita al ginepraio, si risolse nel campo
contingente con la transazione fiscale.
Alla camera fiscale premevano i contributi e cosi' il 12 febbraio 1610, il
consiglio degli utenti pattuiva una cifra globale di 6000 ducati d'oro a lire 6
cadauno, ossia lire 36000 per una liquidazione a tutto l'anno 1609 e la
Camera proponeva 1000 ducati in piu' onde tacitarsi anche per il 1610.
Questa seconda proposta cadde, ed il Consorzio Utenti, procedette con il suo
tesoriere Gio Battista Prandoni al versamento delle 36000 lire in cinque
rate successive, fra il 16 luglio 1610 e il 28 gennaio 1611.
Segue poi il curioso silenzio, ritto nel 1638 addi' 5 marzo, dal Consorzio Utenti,
perche' esso invita la Regia Camera a stendergli un atto notarile
dell'avvenuto pagamento delle 36000 lire per la transazione suddetta,
dando l'impressione che la somma non corrispondesse ad una tassa, ma
a una vendita di diritti al Consorzio; una specie di licenza. E non si
chiarisce.
I deputati richiedenti furono:
Conte Paolo Simonetta del fu Giacomo, Francesco Pagano fu Lazzaro, Luigi
Lampugnano fu Guidone, anche come procuratore
del Dott. Gio
Battista Pallazzo.
Il nostro libbriccino informatore non va piu' in la', ed io non posso arbitrarmi di
supposizioni e dire come pote' proseguire
la regolarizzazione della
vertenza. Il Consorzio naturalmente dovette dividere la "spesa" tassando
gli utenti e misconoscendo anche con giuste ragioni le immunita'. Tuttavia
esso libbriccino indichera' ad un certo punto una lista di esentati.
Cosi' quello di Lucrezia Lampugnani ereditiera dei beni del
Castello di
Legnano presentato nel 1597 in tempo utile, nel quale adduce
brevemente queste note:
... " presentero' le mie dimostrazioni e giuste opposizioni legali, e cioe' che io e
i miei antecessori nella loro antichissima possessione, estraggono
250
l'acqua ogni giorno e per ogni ora in perpetuo, per irrigazione dei loro
beni per sentenza dei Principi e Duchi gia' di Milano, su relazione dei
loro senatori,
e presentero' dei privilegi accordati da Gio Galeazzo
Maria Sforza Visconti gia' duca di Milano, in data 22 novembre 1543, un
voto favorevole al fisco."
Invece il fisico Gio Battista Selvatici fa dichiarazione del giusto termine; per
dire che ne' lui, ne' il suo genitore non godettero mai, ne godono ora
minimamente di detta acqua benche' abbiano dei fondi nel vicinato, con
voto favorevole del fisco. (Sarebbe un crumiro??).
Una comunicazione del conte Paulo Camillo Marliani, in cui esibisce il
privilegio concessogli da Carlo V Imperatore fu Antonio Marliano, in data
17 giugno 1543.
Ad essa pero' non puo' venire riconosciuto il privilegio per i successori,
perche' le bocche Pisa vecchia e Manera, quindi deve chiudere dette
bocche e regolarizzarsi dalla morte di Io. Antonio Marliani. (cioe'
regolarizzare gli arretrati).
Finalmente il Comune di Milano presenta il suo ricorso di alcune pagine con
sette motivazioni a suo vantaggio, per dimostrare il carattere di "civico e
pubblico" dell'Olona, adducendo dopo molte obbiezioni, di carattere
giuridico e di competenze contrastantisi, che il Naviglio ha una funziona
pubblica e civica, e che l'acqua dell'Olona va considerata alla stessa
stregua, perche' dal un lato serve ad integrare le acque del naviglio
nell'ambito della citta'; (nei tomboni e nei punti di smistamento navi) e
dall'altro serve a molte fontane pubbliche di citta'. (questa frase getta una
luce "di acqua pulita", sconosciuta a noi oggi).
Nella valle d'Olona lavorazione dell'oro e dell'argento ??
So di lanciare una novita', che non posso dimostrare a fondo.
La sottopongo per stimolare la critica di studiosi, che siano gia' occupati della
cosa. E mi spiego: Gia Rodolfo Vismara, creatore di due correnti a
Legnano, era possessore di un mulino presso Castellanza (memorie in
societa' Arte e Storia n. 3 pag 62 65) e pero' trafficava ripetutamente
con oro e argento per chiese e conventi (pag. 44 48).
Ho la percezione ch'egli facesse lavorare metalli fini, usufruendo della forza
dell'Olona per battere al maglio le foglie d'oro e d'argento e per trafilare
gli stessi metalli. Ho i regesti di cinque atti notarili, dal 1453 al 1478,
nei quali Gian Rodolfo riceve pagamenti per "oro e argenti lavorati",
percepiti da coloro cui ho fatto le forniture,
"atto del 3 marzo 1453; del 14 luglio 1461; del 1 aprile 1461; del 6 marzo 1486;
del 20 maggio 1487; arch. Congreg. carita' Milano.
251
ed altri due Lampugnani del castello di Legnano;
1467 - maggio 7 - Rog. Lazaro de Cairate.
Domu.us Augustinus de Terzago, frixiarius f.q. dni. Christofori P. O. Parr.
Monasteri Lautaxii debet spec. viro dno. Joh. Andrea le Lampugnano f. q.
dni Mafioli Libras 1461 imp. et sold. 18 causa et occasione tante
quantitae auri et argenti laborati.
Cod. Triv. 1816. 194-1.
1467 - febbraio 20 - Rog. Lazaro de Cairate.
Dnus Augustinis de Terzago f. q. dni Christofori P. O. Par. Monast. Lautaxii
debet sp.lis dno Joh. Andree de Lampugnano f. q. dni Mafioli flor. 5000
causa et occasione tantae quantitae auri et argenti laboratum.
Cod. Triv. 1816. 193-4.
Note inerenti ai mulini legnanesi
Daro' qui quelle note sparse che mi fu possibile racimolare sia dallo stradario
1871 che definisce i proprietari delle case (e dei Mulini) a tal epoca
come da informazioni orali di anziani che poterono ricordare vicende
industriali lontane. E' venuto meno invece collo stradario 1859 1869 il
quale, corrispondendo quasi all'epoca della intesa industrializzazione di
Legnano poteva segnalare quale mulino era a tal epoca ancora in mano
ai mugnai.
I due elementi decisivi per la potenza di cadaun mulino sono caduta e portata
di acqua.
La caduta e' nell'ambito di Legnano di 0,9 a 1,1 metri per ogni mulino. La
portata dell'Olona e' molto variabile ma come media possiamo segnare
15 mc. al secondo.
Meta' passa dall'Olona libera e l'altra meta' divisa su ogni gruppo di due mulini
affiancati come e' normale. Sono quindi 3,5 mc. al secondo che con 0,9
di salto danno 31,5 CV utili al mulino.
Tutto questo valga come media generale, mentre ogni mulino colle sue
caratteristiche di salto e di portata presentera' variazioni di tale media.
Nella zona dei mulini legnanesi, non mi fu nota ogni altra applicazione
industriale se non quella della macinazione del grano e dei foraggi; sino
al 1772 la sola eccezione era data dal mulinello n. 30 che azionava
alternativamente una sega a legno o un maglio di fabbro.
E' poi nel periodo della industrializzazione di Legnano le ruote passarono al
servizio delle filature e tessiture come vedremo.
252
Trapasso di Mulini alla famiglia Lampugnani.
Nel corso del 1400 i Vismara cedevano diverse proprieta' ai Lampugnani che
in Legnano dai tempi di Filippo Maria sino a tutta la Signoria Sforzesca
furono in gran ascesa. Dico cio' senza occuparmi qui particolarmente
delle cause che indirizzarono questo casato ad una euforia di ricchezza
e di potenza.
L'Oldrado II° in tale vorticosa ascesa acquistava anche largamente dai Crivelli
ben noti rami di Parabiago e Uboldo. Le vendite di costoro di beni in
Legnano sono cosi' vaste da dare l'impressione di una patteggiata
rinuncia di dominio di essi sulla zona Legnanese. Anche i mulini furono
oggetto di mira dei Lampugnani. Cosi' nel 1419 la madre dell'Oldrado II°
acquista il mulino con tre rodiggini sito nell'Olonella all'angolo fra via
Olonella e Ponte Carrato (oggi Via Franco Tosi, risp. via Milano); nel 1432
egli acquista dai Vismara quello sito sull'Olona presso il convento di
Santa Caterina, che prima era dell'arcivescovo. Il grande terreno
arcivescovile fra l'Olona e l'Olonella
che era ancora tutto prato e
tangenziava col Mulino arcivescovile ( del Sighett ) lo aveva gia'
acquistato nel 1422 quando aveva gia' messo a nuovo il suo maniero di
Legnanello. E tutto cio' mentre, per le necessita' delle mansioni al fianco
del Duca, teneva la su abitazione in Parrocchia di San Giovanni sul Muro
a Milano, Assistiamo ad una sistematica presa di possesso in Legnano
che culminera' colla donazione a lui del Castello nel 1437, una cosa
evidentemente a lungo prevista.
Sua sorella Maria era andata sposa a Giovanni Branda Castiglioni e risiedeva
nel Maniero di Masnago che era poco meno di una reggia.
"Esso e' liberamente visitabile per benemerenza Conti Pansa, attuali
proprietari ed e' di grande interesse artistico e storico, anche per i
legnanesi".
L'Oldrado II°, potente a Milano, ma anche a Legnano e Ducale fino all'osso,
resistette alla Repubblica Milanese del 1448 e appoggio' Francesco
Sforza nella sua faticosa ascesa al Ducato.
I tre mulini del Conte Prospero Lampugnani che durante il censimento del
1594 hanno annesse le case n. 149, 152, 153 vanno identificati con
quelli di Ponte Carrato che vedremo ai n. 37 e 39 nelle descrizioni piu'
avanti.
I due mulini della Contessa Lucrezia Cusani in Lampugnano che durante il
censimento stesso erano annessi alle case 163 3 a64 e sono quelli
immediatamente sopra il Castello, col numero 45a 45b, nella relazione
del 1772, furono riassunti poi dal JCC Francesco Maria Lampugnani nel
1729, e passarono infine con tutta la proprieta' del Castello all'Ospedale
253
Maggiore di Milano e poi al Conte Durini, come li troviamo sul disegno del
1772.
La Bocca Lampugnana.
Un documento del 1476 ci segnala che Princisvalle Lampugnani, oratore
(ambasciatore) del Duca Galeazzo Maria a Carrara, possidenti di molti
terreni nella piana a levante del castello, otteneva licenza di togliere
acqua dall'Olona, con la bocca Antoniora, a scopo irrigatorio di tali terreni.
L'architetto Solari, che a tal tempo era al servizio ducale, veniva di persona a
Legnano il 2 agosto 1476 a collaudare tale bocca.
La denominazione Antoniora scomparve poi col tempo, ma con i disegni ala
mano si constata,
che essa prese poi la denominazione di Bocca
Lampugnana. Non e' difficile pensare che il collaudo dell'architetto Solari
veniva a sanzionare un suo aumento di portata. In contrasto con
obiezioni che elevera' poi il governo spagnolo, come in altro punto
diciamo, che le troppe bocche che succhiano l'Olona.
"Del rampo di Princisvalle, capo della zecca di Milano ho data la genealogia e
descritta la casa estiva in Legnano, della quale abbiamo ritirato pel
Museo quel bellissimo caminone che si fregia dello stemma Visconteo nel
centro(mem 17 pag. 175 177).
I Cornaggia proprietari terrieri a Legnano.
Dalla relazione dell'ing. Raggi si constata che i Cornaggia possedevano nel
1772 dei beni irrigati in territorio di Legnano, ma e' ovvio che ne
possedessero anche prima, perche' e' del 1748 che Carlo Arrigo
Cornaggia ottenne il titolo di Feudatario e di marchese
della
Castellanza. Non hanno posseduto pero' mai i mulini, e crederei che
non furono industriali sebbene e' noto che un loro precedessore, Carlo
Cornaggia, fosse stato attivissimi importatore di corone dall'Oriente.
Nel 1798 Cristoforo Cornaggia acquisto' tutti i beni e il Castello di Legnano
dall'Ospedale Maggiore di Milano, ma breve fu poi la loro vaghezza per
esso Castello, poiche' avendolo poi esso trasformato in una fattoria
agricola non provvedettero piu' alla necessaria manutenzione per la
conservazione e dal 1900 non lo abitarono piu', lasciandolo quindi andare
in deperimento.
E' pero' vero che una nuova speranza si e' aperta con il recente nuovo piano
regolatore di Legnano, Il perimetro aumentato include ormai anche il
Castello e con questo, le stalle dovevano venire sgombrate come
prescrive la legge.
254
Cio' nondimeno occorre che l'Amministrazione Comunale si prenda a cuore
l'immobile per dargli un assetto utilitario nel senso civico poi con
stanziamenti annui ai danni sofferti per l'incuria di questi ultimi cento anni
dell'esercizio Cornaggia.
La Roggia dei Frati (e il convento)
La roggia dei frati Francescani e delle monache di Santa Chiara fu costruita
nel 1470 con il consenso ducale e per donazione dello stesso Gian
Rodolfo Vismara
a due anni dall'inaugurazione del Convento di
Sant'Angelo, per provvedere i due conventi di acqua limpida per i servizi.
Aveva circa 80 cm. di larghezza e usciva dall'Olona presso Castellanza bassa,
in territorio gia' di Legnano, correndo di fianco alla strada comunale che
da Castellanza viene a Legnano; penetrava nel terreno s sottostante al
Convento dei Frati, ove era la loro lavandera e ne usciva poi per portarsi
con debole pendenza attraverso le proprieta' che esistevano lungo le
contrade Galvano e Mugiate; entrava nel frutteto ed orto delle Clarisse
lungo la direttrice dell'odierna via della Concordia, e attraversando poi via
Madonna Mora, oggi via Lega, entrava nella proprieta' dei Cambiaghi,
ove si disperdeva nell'irrigazione dei loro prati, che si protraevano oltre
San Ambrogio. Le acque residue si buttavano nella roggia arcivescovile e
con questa nell'Olona.
Poiche' il bisogno di acqua per inaffiare i poderi attraversati, era irresistibile,
l'amministrazione sforzesca aveva concesso qualche diritto di uso per tali
scopi. Cio' naturalmente aveva dato sfogo a lamentele delle Suore,
perche' l'acqua dirottata anche abusivamente
nelle proprieta'
attraversate e altre meno vicine, giungeva in modo discontinuo al
secondo convento e quindi non molto piu' pulita. Fra le carte vecchie
dell'archivio di stato, l'amatore delle minuzie locali puo' ancora imbattersi
nei fogli di formato protocollo, dei reclami accorati delle suore, con tutte le
necessarie motivazioni.
Ne accennai anche in memorie 2 pag. 25, mentre nelle memorie 17 ho
presentato il disegno del 1797 della Chiesa dei Frati (tav. 13) e di due
acquarelli del Pirovano a pag 101 e 102, che mostrano particolari di tale
loro proprieta'.
Un altro disegno della chiesa e di tutto il convento, eseguito nel 1800, quando
il fisco doveva vendere la proprieta', incamerate, e' rigorosamente
corrispondente a tutto il "Circondario" in giusta scala, il che non era nel
disegno della tavola 13 detta, che va considerato uno schizzo non
millimetrico utile solo per la denominazione dei sepolcri.
255
La scomparsa dei mulini a Legnano.
Dopo un lungo servizio resa per secoli alla zona legnanese, sono scomparsi in
diverse fasi dei secoli XIX e XX tutti i mulini che erano nelle zone
acquisite dalle grandi industrie cotoniere, che sono: Cantoni, Bernocchi,
Dell'Acqua. Esse4 si installarono, quali prima quali poi lungo l'Olona
perche' l'acqua era ed e' una grande necessita' per loro, ma al loro inizio,
si compiacevano anche di quella quota parte di forza motrice che l'acqua
poteva apportare al loro fabbisogno industriale. Del molino quindi i molini
come impianti di molitura e si diedero a migliorare il reddito della forza
viva dell'acqua con razionali ruote idrauliche o con turbine Jonvall che
ben si prestavano per il nostro corso di acqua a variabilita' di regime.
Incidentalmente sia detto che e' sotto questi aspetti che Franco Tosi
aveva cominciato in Legnano la sua attivita' con una societa' Franco Tosi..
Cantoni, Krumm per fornire macchinari alle nascenti industrie.
Trasmissioni a funi multiple azionavano in tal tempo le macchine operatrici in
grandi sale simili a selve, per le numerose cinghie che scendevano dalle
macchine.
Caddero cosi' 7 mulini da grano che erano nella Legnano in quel tempo.
I perfezionamenti intervenuti nei trasporti dell'energia elettrica all'inizio del
1900 ebbero poi il sopravvento su quei sistemi di trasmissione interna
detti, col che comincio' l'era dei comandi diretti delle macchine e colla
crescita del fabbisogno di energia;
le aziende si trovavano persino
conveniente crearsi le proprie centrali produttrici, con cui divento'
trascurabile l'energia ottenuta dall'acqua e si rinuncio' anche ad essa non
risultando conveniente pagarne il canone. L'Olona licenziata dalle
industrie!. Ma solo come forza motrice. ed essa, scende tumultuosa ed
inutilizzata dai relativi stramazzi.
E dalla Gabinella al Castello vi sono 15 metri di salto perduto, qualche cosa
come 300 cavalli continui cui si rinuncia per tali molteplici ragioni.
L'esistenza dei mulini sopravvissuti era gia' minatissima nel periodo quieto fra
le due grandi guerre 1918 1940, ma negli anni della seconda guerra
mondiale, sembro' ai mugnai di vedere ristabilirsi una fase di lavoro
discreto; giovo' ad essi la macinazione clandestina, quando il produttore
di frumento riusciva a sottrarre sensibili quantitativi alla imposizione
della consegna all'ammasso, ed i panificatori ne prelevavano
giornalmente il loro fabbisogno. Ma cio' duro' solo nel tempo della guerra.
Poi segui' ad essa il risveglio del post guerra, una cosi' forte crescita di
fabbisogno di corrente, restrizione forzosa al consumo, ed aumento delle
tariffe, che qualche modestissimo imprenditore meccanico penso' di
sfruttare la economica, ma tecnicamente poco efficiente forza delle
256
vecchie ruote, che erano gia' riabbandonate al triste riposo.
Assistemmo ad un fatto nuovo, qualche mulino cambio' professione, si illuse di
riaprire un nuovo ciclo di attivita'.
Si levarono le macine e nel loro locale si installo' la piccola officinetta: trapano,
tornio, mola a smeriglio, magari anche la piallatrice. Ma cio' non doveva
durare, perche' mancava alla ruota una regolazione di velocita' di marcia:
cosicche' cessata la scarsita' di corrente, tali mulini vennero di nuovo
abbandonati.
Se e' triste vedere poi i mulini piombati di nuovo nel loro malinconico riposo, e'
anche piu' triste per i sentimentalisti assistere alla loro definitiva
distruzione, e persino la distruzione delle loro rogge grandi e piccole, che
li contornavano con florida vegetazione.
Questo abbiamo visto succedere alla Gabinella nel volgere di pochi anni. Ed
ora per ben fondate ragioni urbanistiche e' in corso la creazione di uno
stradone trasversale all'Olona al limite nord dell'attuale della citta' che
attraversando l'ambiente della Gabinella ne trasformera' integralmente
l'amata vecchia fisionomia. L'Olona correra' fra due muraglioni di
cemento.
Addio Gabinella. Addio Mulini.
La Gabinella: una nota toponomastica qui intrufolata.
Un nome cosi' attraente e cosi' gentile fa pensare a un luogo romantico. E lo
sara' magari stato anche in epoca non molto distante da noi. Non e' tale
la ragione del suo nome che sara' presto spiegato perche' si allaccia ad
una mia scoperta semi-archeologica recente. Esso va inteso come
diminutivo di "gabi" che nel gergo valligiano indica un'area lungo un
torrente ( o magari un fiume) che in dati momenti soffre di forti piene,
che irruendole sopra vi depositano sabbie o ghiaia o bocce che ne
travolgono temporaneamente la vegetazione. Nel caso che la frequenza
dei travolgimenti e' annuale o magari biennale, la zona diventa sterile,
ossia greto.
Se i cicli di riposo sono invece pluriennali, la vegetazione arborea si riforma
ma verra' poi nuovamente estinta e cosi' via.
La Gabinella aveva subito una simile sorte in un lontanissimo passato, e non
da bocciame, ma da fine sabbia. Ormai da secoli non era piu' soggetta al
fenomeno e al suo disapparire fu chiamato Gabinella il luogo di
vegetazione discontinua.
Cio' potei constatare in modo indubbio ed interessante, come gia'' riferii in
Memorie 11 pag. 3 4, per avere ivi scoperto sotto all'humus un grande
banco longitudinale di linda sabbia da fiume avente ben due metri di
257
spessore e contenente disseminati dentro molti cocci di vasi provenienti
da tombe romane travolte dalle acque e li depositati.
Altre localita' che portano tale toponimo lungo la strada fra Omegna e
Gravellona: Gabbio (ove io stesso vidi i travolgimenti a ciclo pluriennale).
Lungo la Diveria, sopra a Gondo (Sempione): Gaby era travolta dal fiume
a cicli pluriennali.
Ma tutto cio' non toglie che il luogo allietato dalla presenza dei mulini fosse
divenuto cosi' amabile, nei secoli vicino a noi, da poter fruire di un
diminutivo che ha del vezzeggiativo. E chi ammetterebbe oggi
l'attribuzione di vezzeggiativi a luoghi toccati dall'Olona?.
La via del Sempione attraversava sino dal 1885 il vecchio ponte in centro a
Castegnate, per salire a Castellanza con quella rampa che ancora oggi
sfocia appena dietro alla Prepositurale di San Giulio.
Essa venne poi modificata colla costruzione del nuovo ponte piu' a sud di
quello attuale, e raccordata con una grande curva alla via che proviene
da Legnanello al qual momento i platani avevano circa 35 anni. La loro
distruzione avvenne quindici anni dopo (1937) e quindi erano anche piu'
maestosi.
Nel 1937, 30 alberi furono distrutti nella curva in oggetto e 21 nel tratto di
Castegnate nel quale era ormai cessato il traffico importante. In altri punti
della grande arteria, oggi, si ripiantano i platani dopo avere eseguito
l'allargamento che aveva .......
I Mulini di Legnano risultanti dal censimento del 1594.
Il censimento di Legnano del 1594, che ho sottoposto in Memorie 17 permette
di segnare partitamente i mulini allora qui esistenti e di metterli in
confronto con quelli di una relazione del 1772 dell'Ing. Raggi del Cons.
Fiume Olona, che riproduco piu' avanti.
In Gaminella
In Gaminella
4
5
6
1
Mul. e Casa Cuttica
2
Mul. e casa Hipp. Lam.
Mul. F.lli Alui.so Hier.
Mul. Arciv. oltre l'Olona
Mul. Mensa Arcivescovile
29
16
5
7
7
Rossetti Giuseppe
Reina Ambrogio
Salmoiraghi Stefano
Salmoiraghi Gio. B.
Salmoiraghi Ludovico
In Mugiato
61
60
Mul. Mensa Arcivescovile
Mul. di Oldrado Lampugnani
9
3
Salmoiraghi Francesco
Salmoiraghi Gio. P.
258
62
Sopra la Piazza
*152
153
163
164
Mul. di Santa Caterina
11
149
Mul. Prospero Lampugnani
Due Mul. del Sig. Prospero
Lampugnani
Due Mul. della Signora
Lucrezia Cusani
9
13
11
Salmoiraghi Gio.
Rossetto Paulo
Salmoiraghi Giuseppe
Patto Giobatta
Salmoiraghi Giobatta
* Leggasi: 149, 152, 153 a Ponte Carrato, 163, 164 alla Madonna delle Grazie
Sotto al castello
166
167
In legnanello
Mulino della Signora Lucrezia
Cusani 10
Raguzzo Geronimo
Mulino Sig. Meraviglia
13
Lanza Panigo Ag.
181
Mul. Card. Peretto. (esso fu poi Card. Archinto
perche' dal contesto risulta che era in
centro di legnanello)
10
Salmoiraghi Ambrogio
Non vi sono segnalati altri mulini. In totale sono quindi mulini 16 di 9
proprietari.
Confrontando questa distinta coll'elenco che si puo' ricavare dalla Relazione
del 1772 risulta che nel 1594 non esistevano ancora i mulini 19 e 20 del
Conte Prata, rispettivamente del Canonico Proverbio siti in Legnanello
ove sorse poi lo Stabilimento Bernocchi.
Prima di sottoporre l'elenco dei Mulini, come recatoci dalla relazione del 1772,
inseriro' qui una brevissima nomenclatura di Voci Tecnologiche relativi ai
Mulini, come definite dall'Ing. Mazzocchi, direttore del Consorzio Fiume
Olona verso il 1890.
Alcune nomenclature relative ai Mulini (Ing. Mazzocchi nel 1900)
Roggia Molinara
E' la roggia ricavata di fianco al fiume per l'impianto di
uno o piu' mulini. Il livello del suo corso e' solitamente disciplinato da uno
stramazzo.
Nervile
E' l'opera in muratura o in sasso, attraverso la roggia
molinara, che serve alla distribuzione dell'acqua sulle ruote idrauliche a
mezzo di bocche.
Bocche
Le bocche al servizio delle ruote idrauliche sono
costituite di: Soglia, stivi verticali, cappello di pietra e sono munite di
paratoia. La luce fra gli stivi e l'altimetria della soglia, determinano la
competenza d'acqua dell'utente e sono quindi inamovibili.
Spazzera
Nel gergo normale del fiume Olona e' la bocca di scarico
al nervile. Nel caso di arresto d'esercizio la spazzera deve restare aperta
per dare sfogo all'acqua, per i sottostanti utenti e per impedire all'acqua
che immagazzinandosi nella roggia molinara crei una anormale uscita
alle bocche irrigatorie. Durante l'esercizio delle ruote, la spazzera deve
259
restare chiusa.
Bocche irrigatorie
Sono aperture di dimensione e di altimetria prefissata,
intercettabili con paratoia secondo orario prefisso.
Rodiggine d'acqua E' il volume di acqua che in antico si riteneva capace di
azionare utilmente una ruota idraulica di vecchio tipo, in legno, pale
radiali e piane con larghezza della bocca di 0,90 metri e coll'altezza
d'acqua di 0,20 metri cui in linea approssimativa equivaleva alla portata in
litri di 150 al secondo " e con un salto medio" di 1,50 metri svilupperebbe
una forza di 3 cavalli vapore.
Mulini doppi
Sono cosi' denominati quei
mulini costituiti da due
distinti opifici fra di loro a prospetto sulla medesima roggia molinara e da
questa divisi. Solo nel percorso centrale dell'Olona vi furono alcuni mulini
doppi ( nella zona di Legnano ve ne furono tre ed appunto si distinguono
per i due casamenti simmetrici e le ruote che si affacciano). Palmenti
sono le macine in sasso dei mulini da grano.
Molazza
E' una pesante ruota in sasso per macinare od
infrangere steli del grano per ridurli a letto o foraggio degli animali. Essa
e' generalmente comandabile alternativamente con un mulino mediante
ingranaggi ed innesto.
I Mulini da Olgiate Olona a San Vittore Olona in una relazione del 1772
In territorio di Olgiate e Marnate
n. 16
Molino di 4 rodiggini, in territorio di Olgiate Olona, di
proprieta' del Sig. Carlo Genesio Custodi, affittato al molinaro Giuseppe
Bomballio.
n. 26
Mulino doppio di 8 rodiggini, con due spazzere vuote,
situato in territorio di Olgiate Olona di ragione del Sig. Marchese Molo,
affittato al molinaro Girolamo Bianco per quattro rodiggini ed al Molinaro
Antonio Maria Introzzi.
n. 29
Mulino alla destra dell'Olona, in ragione di Don Pietro
Antonio Croci, in territorio di Olgiate Olona, di 4 rodiggini, con spazzera
vuota affittato al molinaro Antonio Bonballio.
n. 32
Molino alla sinistra dell'Olona, in tutto simile al precedente,
in territorio di marnate, di ragione del Sig. Don Antonio Cottica, affittato al
molinaro Bomballio predetto.
n. 39
Molino doppio di 8 rodiggini, situato in territorio di Olgiate
Olona, di ragione, rispetto a rodiggini, del Sig. Carlo Sales, affittati a
Pietro Zocchi e Pietro Antonio Salmoiraghi, e gli altri 4 rodiggini di ragione
del Sig. Ambrogio Custodi, affittati ad Alessandro Zocchi e Francesco
260
Colombi.
In Territorio di Castellanza
n. 42
Mulino di 4 rodiggini ed una spazzera vuota in territorio della
Castellanza, di ragione del Ven. Ospital Maggiore di Milano, affittato al
molinaro Paolo Bianchi.
n. 43
(al seguito regolare), in territorio di Castellanza, con 4
rodiggini e spazzera vuota, di ragione del Sig. Don Galeazzo Caimi,
affittato al molinaro Gioacchino Remolini.
n. 46
(al seguito regolare), Molino in territorio di Castegnate, di 4
rodiggini ed una spazzera vuota di 2 porte, di ragione del Sig. Marchese
Fagnani, affittato al molinaro Valentino Bianchi. Poco di sotto di detto
mulino evvi un ponte in vivo in due archi per la Regia Strada di Sesto
Calende quale si vede nel tipo 1 allegato. Si tratta del ponte antico fra
l'odierna Manifattura Tosi e il Cotonificio Cantoni.
In Territorio di Castegnate
n. 5 Mulino a 3 rodiggini con spazzera vuota a tre porte, in territorio di
Castegnate di ragione del Sig. Raffaele Molinari. affittato al molinaro
Carloantonio Albasio
n. 6 Molino doppio situato alla destra del fiume in territorio della Castellanza,
di ragione del Sig. Carlo Genesio Custodi di Busto Arsizio; e' di 6
rodiggini, senza spazzera vuota. E' affittato per 3 rodiggini a Gio Maria
Macchio e gli altri tre a Carlo Antonio Griffanti.
In Territorio di Legnano
n. 8 Bocchello del Convento degli Angeli e del Monastero di Santa Chiara.
n. 9 Bocca di oncie 27, degli eredi di Gerolamo Brambilla
n. 10
Chiusa registrata con cappello.
n. 12
Mulino di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig.
Don Giuseppe Cajmo; affittato al molinaro Gia Battista Albasio.
n. 13
Mulino di 4 rodiggini e 2 spazzere vuote; proprietari
DonAntonio Cottica; affittato a Giovanni Bomballio.
n. 15
Bocca di 32 oncie.
n. 16
Bocca di 29 oncie, del Conte Prata, Marchese Cornaggia,
Bartolomeo Vismara.
n. 18
Chiusa a sperone, in legno registrata, con cappello.
n. 19
Mulino di 4 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig.
261
Conte Giovanni Prata; affittato a Carlo Antonio Salmoiraghi.
Mulino di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il
Canonico Don Agostino Proserpio; affittato a Gio Maria Reina.
n. 21
Bocca di Don Antonio Perez, di 20 oncie, con la stessa si
adacquano pertiche 24 di prato.
n. 22
Bocca di 30 oncie della Mensa Arcivescovile.
n. 23
Chiusa in legno, registrata con cappello, del Nodo
dell'Olonella.
n. 24
Mulino doppio a 8 rodiggini; proprieta' della mensa
Arcivescovile; affittato ai mugnani Cristoforo Antonio Reina e Gio Antonio
Sirone.
n. 26
Chiusa registrata, con cappello in legno.
n. 27
Bocca in legno di due porte, di 31 oncie, detta Mensa
Arcivescovile.
n. 28
Bocca Mantegazza, in due porte di 33 oncie.
n. 29
Bocche della Comunita' di Legnano, di 3 oncie della mensa
Arcivescovile.
n. 30
Mulino a 3 rodiggini e spazzera vuota; proprieta' della
Mensa Arcivescovile; affittato al molinaro Gaspare Scossiroli.
n. 31
Chiusa registrata con cappello in legno.
n. 32
Mulino doppio di 8 rodiggini; proprietaria per leta'
l'Abbazia comendata a Momsignor Archinti affittata a Gaspare Scossiroli
e per l'altra meta' al Conte Giovanni Prata e affittata a carlo Antonio
Salmoiraghi.
n. 33
Bocca Lampugnana, in due porte, di 30 oncie, di Don
Antonio Lampugnani
n. 34
Bocca Filetta, in due porte, di 29 once, molti utenti.
n. 35
Bocca Arcivescova, di oncie 29; Utenti: Conte Durini
successo al Conte Corio, la Mensa Arcivescovile.
n. 36
Chiusa di legno, registrata con cappello.
n. 37
Mulino doppio di 7 rodiggini e 1 spazzera vuota; affittato a
Giovanni Salmoiraghi detto "Grigio" ed a Giovanni Salmoiraghi detto
"della Vedova".
n. 39
Mulino sull'Olonella di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota;
proprietario Don Angelo lampugnani; affittato a Antonio Maria
Salmoiraghi.
n. 41
Bocca di San Magno, in due porte, di 32 oncie.
n. 42
Bocche delle Grazie, di 31 oncie, dell'Ospedale Maggiore di
Milano, del Conte Durini, del Conte Prata, del Conte Lucini.
n. 43
Chiusa della Roggia Molinara, di legno, registrata con
cappello.
n. 20
262
n. 45
Due mulini "delle Grazie" davanti al Castello, di 3 e
rispettivamente 4 rodiggini con cadauno una spazzera vuota; di proprieta'
del Sig. Conte Carlo Durini; affittato a Pietro Antonio Cozzi e a Antonio
maria Reina.
n. 46
Bocca della fossa, di 16 oncie, per l'adacquamento de Prati
nella Fossa del Castello di Legnano.
n. 47
Bocca Lampugnana, in due porte, di 28 once, dell'Ospedale
Maggiore di Milano.
n. 48
Scaricatore, fa anche da chiusa, con quattro portoni.
n. 49
Mulino appena sotto il Castello sul ramo destra dell'Olona in
territorio di Legnano, di 3 rodiggini e una spazzera vuota, Proprietario Sig.
Conte Durini; affittato al molinaro Ludovico Bianchi
n. 50
Chiusa in legno, registrata con cappello, piu' tardi evvi
scaricatore in due portoni.
In Territorio di San Vittore
n. 51
Mulino sotto al Castello sul ramo sinistra dell'Olona in
territorio di San Vittore di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig.
Conte Durini; affittato al Molinaro Francesco Bianchi.
n. 52
Bocca di Casa Castelli, con porta d'incastro per le piene.
n. 53
Bocca Selvatica nel territorio di San Vittore, in due porte, di
33 oncie del Sig. Carlo Bossi.
n. 54
Chiusa in legno con cappello, sopra alla quale evvi
scaricatore a due porte.
n. 55
Mulino sotto il Castello, sul ramo sinistro dell'Olona in
territorio di San Vittore, di 3 rodiggini e una spazzera vuota; Proprietario il
Sig. Dottore Luigi Vailate; affittato a Giovanni Lampugnani.
n. 56
Mulino sotto il Castello sul ramo destro dell'Olona, in
territorio di Legnano, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il
Conte Don Giovanni Prata; affittato al molinaro Giuseppe Cozzi.
n. 57
Mulino sempre sul lato sinistro dell'Olona in territorio di San
Vittore, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Marchese
Moriggia; affittato a Antonio maria Cozzi.
n. 58
Chiusa in legno.
n. 59
Bocca in due porte, di 30 once, del Marchese Castelli.
In Territorio di Canegrate
n. 60 Mulino quasi parallelo alla statale 57 (San Vittore), sito in territorio di
Canegrate, con soglia in legno, di 4 rodiggini e una spazzera vuota;
263
proprietario il Sig. Marchese Castelli; affittato a Giovanni Brossi.
Bocca in due porte, di 30 oncie, del marchese Castelli.
Bocca Violanta, nel territorio di San Vittore, in due porte, di
30 oncie del Conte Bellone.
n. 63
Chiusa di legno, con scaricatore di cotto.
n. 64
Mulino di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il
Marchese Moriggia e affittato al molinaro Giuseppe Montolo.
n. 65
Mulino situato in territorio di Canegrate, proprietario il
Marchese Castelli, con soglia in legno, di 4 rodiggini e una spazzera
vuota; affittato a Giovanni Montolo.
n. 68
Mulino in seguito del Sig. Marchese Castelli, in territorio di
Canegrate, con soglia in vivo, di 4 rodiggini e una spazzera vuota;
affittato al molinaro Giuseppe Montolo.
n. 70
Mulino in territorio di San Vittore di 4 rodiggini e una
spazzera vuota; proprietario il Conte Rescalli; affittato al molinaro
Giovanni Prata.
n. 61
n. 62
Note sui singoli mulini della zona Legnanese
Benche' queste descrizioni singole vogliano limitarsi alla serie dei Mulini del
Territorio di legnano, ho voluto qui considerare anche i due mulini "Sotto il
Castello", n. 55 e 56, che erano n territorio di Legnano a suo tempo, ma
ne furono poi tolti per una variante con San Vittore.
Fra le illustrazioni che seguono, mi sono compiaciuto di ritrarre l'interno di un
altro mulino di San Vittore, perche' mi e' sembrato meglio fotografabile;
cosi' pure le ruote e l'interno di un mulino di Olgiate Olona.
Nei disegni delle tavole 1 e 5 che seguiranno, fu messa a base la pianta
topografica di legnano del 1859, inserendovi tuttavia
qualche
aggiornamento che apparve utile.
Mulini della Gabinella n. 13 e 13 nella Relazione 1772. tavola 1
All'epoca del censimento del 1594, (vedi Memorie 17 pag. 5 e 6 ) vi erano quei
tre mulini e cioe':
1) Mulino del Sig. Curtio Cotica con annessa casa ( n. 1 che ospitava 29
persone ( il Molinaro e tre altre famiglie di congiunti che erano
evidentemente in altro modo al servizio del proprietario.
2) Mulino del Sig. Hippolito Lampugnani con due case n. 2 e n. 3, ospitanti 16
persone, come sopra.
264
3) Mulino del Sigg. Alouisio e Hieronimo Lampugnani n. 4 ospitante la famiglia
del molinaro Stefano Salmoiraghi e quella del fratello Filippo Salmoiraghi,
in tutto cinque persone.
Proseguiamo ora nel tempo, facendo un salto al 1871 e collo stradario alla
mano confrontiamo stabili e proprietari segnalati alla via del Sempione
presso la Gabinella:
Al n. civico 1b (che va inteso come il primo numero dal confine con
Castellanza verso Legnanello lungo la strada del Sempione), un gruppo
di due mulini che utilizzano la roggia molinara cavata dal lato sinistro
dell'Olona. Essi sono di proprieta' dei fratelli Pisani fu Antonio e di Orsola
e Virginia Pisani, e si identificano con i mulini 2 e 3 dei Lampugnani
suddetti.
Essi passarono poi ai giorni nostri ai consorti Schiatti e Pisani i quali dopo la 2°
guerra mondiale smontarono le macine per usare la forza motrice per
azionare una piccola industria meccanica, con torni, trapani e piallatrice a
mezzo dell'unica superstite ruota. L'esperimento fallisce perche' le ruote
idrauliche dei mulini sono prive di regolazione di velocita'.
Dopo qualche anno di tribolato esercizio si rinuncia alla forza idraulica propria,
per adire all'azionamento elettrico. Il modesto locale di molitura si e'
assestato definitivamente ad officina meccanica.
Le illustrazioni qui presso mostrano le fasi della Via Crucis questo mulino
( manca l'ultima). Come diro' poco piu' avanti, per il mulino gia' Cuttica,
siamo ormai giunti alla rinuncia totale al diritto d'acqua.
Al n.° 2b si intravvede l'insediamento dello stabilimento di filatura di cotone
dell'industriale Thomas Achille, che avendo acquistato il mulino gia'
Cuttica per usarne la forza motrice, vi costrui' lo stabilimento in
proseguimento verso nord, ricostrui' nuova in ferro la ruota motrice
(quella che tuttora vediamo come diro') e trasformo' pure, contiguo al
mulino il casamento, per farne la sua abitazione.
Devo intendere che lo stabilimento che aveva integrata la potenza
occorrentegli, installando una motrice a vapore, la cui caldaia si protraeva
a nord sino alla linea della odierna lavandera Porro, che segna il confine
territoriale con Castellanza.
Un incendio devasto' poi tale stabilimento ed esso non venne piu' ricostruito.
La ruota e la casa di abitazione del Thomas stesso che era contigua alla ruota,
si salvarono e divennero ancora mulino. Ed oggi sono il Mulino Albasio,
ormai tutto fermo e pronto esso pure alla distruzione perche' nella
cessione del terreno che fece il proprietario al Comune per l'allargamento
della via Bellingera e creazione del nuovo ponte sull'Olona, rinuncio'
all'esercizio ulteriore del mulino e lascio' interrare anche la relativa roggia
molinaria.
265
La bella ruota, che e' unica rappresentante sopravvissuta a documentare la
tappa dell'industrializzazione della nostra zona; che ricordava anche il
triste nefasto di un industriale forestiero che qui aveva portato il suo
entusiasmo di collaboratore, mi sembra degna di venire salvata per
contribuire, nel Museo, od in Castello a fare conoscere un nobile passato
legnanese.
Le caratteristiche della ruota e del Mulino, come li vediamo oggi sono:
Ruota in ferro, di costruzione dell'inizio dell'ottocento. Diametro 5200 mm., 40
pale in ferro larghe 3000 mm., alte 800 mm.; salto utilizzato 1,1 metri.
Mulino a tre palmenti da 1200 mm. e 530 Kg. cad. macinanti 300 kg di grano
per ora.
Occorrerebbe la generosita' di qualche mecenate che si entusiasmi a tal
salvataggio. Altrimenti la bella ruota finira' a rottame per meno di 200.000
lire.
Mulino 19 e 20 tav. 1
I mulini 19 e 20 della relazione del 1772 si trovano a meta' percorso fra la
Gabinella e via Pontida odierna. In tale relazione sono di proprieta' del
Conte Prata rispettivamente del Can. Proserpio.
Nel censimento del 1594 li devo considerare nella casa n. 5 come un unicum
"della Mensa Arcivescovile" oltre l'Olona, e come tale il molinaro vi e'
(casa n. 5) Andrea Salmoirago e fratello Gio Maria fu Gio Battista coi
famigliari.
Nel 1821 Carlo Martin, svizzero, assorbi' i due mulini per impiegarne la forza
per la filatura che eresse vicino; questa passo' poi nel 11845 alla ditta
Saverio Amman e C. cui segui' nel 11871 la filatura Borghi, poi cotonificio
Tobler e qualche anno dopo a Soc. Antonio Bernocchi.
Della disposizione dei mulini stessi, non si hanno piu' notizie se non nei
mozziconi di rogge che erano rimaste, inframmezzati fra le costruzioni
di opifici industriali che seguirono, da cui trassi le piantine
che
accompagnano qui. E cio' valga anche per qualche altra che verra'
ancora.
Mulino doppio n. 24 tav. 2
Il mulino doppio n. 24 della relazione del 1772 si trovava appena a sud della
odierna via Pontida ed e' poi stato incamerato dal Cotonificio Cantoni.
Nel censimente del 1594 e' segnalato con il numero di casa 6 ( e non 5 e 6
come per errore fu scritto nella tav. 14 in memorie 17) Il Molinaro era
Ludovico Salmoirago fu Francesco con 5 famigliari.
266
Nel 1850 e 1859 le mappe di legnano lasciarono capire che tutto e' ancora
operantye.
Nel 1871 i due mulini non sono piu' discernibili come case e devono gia'
essere incamerati nel Cotonificio. Si trovavano precisamente la ove esso
tenne una fabbrica di colla in via Pontida 2, ossia ove oggi vi sono le
grandi case operaie del Cotonificio stesso.
Il Mulino n. 30 (del Sighett)
Nel 1772 e' segnato il possesso arcivescovile, affittato a Gaspare Scossiroli ed
e' di tre rodiggini, cioe' dei minori mulini; e questo perche' l'Olonella dalla
quale esso era mosso, non doveva dargli un notevole battente.
Suppongo che sara' stato di 80 cm. e quindi circa di 7 cavalli.
Di questo mulino, il Pirovano ci ha tramandato due modesti acquarelli
(memorie 17 pag. 144)
qualificandolo come azionante una sega:
bisogna ammettere che ormai era gia' stato trasformato a tale scopo.
Dopo di lui, morto nel 1902, deve essere stato trasformato ulteriormente
perche', due persone anziane e attendibilissime mi affermarono che il
mulino fosse dato in affitto verso il 1910 ad un artigiano meccanico che gli
serviva per maglio e meccanica in genere. Oggi non vi e' piu' traccia di
nulla, se non in un piccolo avanzo d'affresco di San Giuseppe, ormai
ridotto ad un medaglione di 25 cm. che resiste, sopra l'ingresso di casa n.
1 della via Franco Tosi ove appunto era il mulino.
Nel 1871, la casa in cui abitava il molinaro Bottelli Carlo era gia' mulino n. 32, il
Civ. n. 1 della via Olonella era il numero giusto a fianco di questo mulino
passato ad altre case ( forse sorta ed accomodata infrattempo vicino: ma
che non ci riguarda piu'), Il molinaro Bottelli Carlo pare che rimane
affittuario della casa n. 1 di via per Legnanello pure li vicina.
Il mulino era stato "da grano", ma a stare alla caratteristica denominazione che
gli da il Pirovano "el mulin del sighett" si capisce che esso poteva
azionare alterbamente la macina od sega circolare (con cui poteva un
artigiano un po' sviluppato accrescere il suo reddito).
Dall'acquarello detto si vede benissimo che vi era una unica ruota del mulino e
che era tutta in legno come parecchie ancora oggi.
Mulino n. 32 tav 2
Nel 1772e' segnato come abbiamo visto, in proprieta' per meta' all'Abbazia di
Santa Caterina (il convento degli Umiliati di legnanello era stato
soppresso, come tutto l'ordine nel 1569 ed i beni incamerati a
267
disposizione dell'Arcivescovado) e per meta' apparteneva
al Conte
Giovanni Prata che abbiamo ora visto proprietario anche del mulino n. 19
pure a Legnanello.
L'altra meta' sembra gia' acquisita a Costanzo Cantoni fra i numeri che
vedremo nella segnalazione dello stradario piu' sotto.
Questi mulini si trovavano esattamente sotto al primo quarto della parte
sopraelevata e rettilinea della via Eugenio Cantoni, la quale sia detto
incidentalmente, nella meta' verso Legnanello portava a tal epoca il nome
di Vicolo Pomponio, un nome che ha fondamento nella storia di legnano
del 1600, Si riferisce a Pomponio Lampugnani ( vedi memorie 17 pag.
185) del ramo degli aventi diritto al Castello di legnano, che godette una
porzione di quei beni terrieri ed un mulino quale diro' piu' avanti.
Ottenere oggi dati interessanti sui mulini incamerati nelle industrie pare cosa
quasi impossibile.
Gli stabilimenti che li comperarono, pensarono alle questioni del momento,
che erano certamente assillanti e non si curarono di conservare
documenti inutili, neanche i pochi disegni delle installazioni che dovevano
poi distruggere.
Nel 1871, lo stradario di legnano ci fa notare che l'avanzata
tattica del
Costanzo Cantoni era gia' a buon punto sulla strada da Legnano a
Legnanello. La prima casa a destra da chi incede, al n. 1 nella quale
abitava Bottelli Carlo, molinaro del molino Arcivescovile n. 30, era gia'
divenuta sua proprieta', come le case n. 3 3 n. 5. All'altra estremita' della
strada, anche il n. 10 era passato a lui, una casa che con altre vicine
apparteneva prima al Marchese Giovanni Cornaggia, figlio di quel
Cristoforo che da una trentina di anni aveva acquistato dall'Ospedale
Maggiore il castello di legnano, (che i suoi successori
stanno ora
facendo andare in rovina, con calma olimpica sia del Comune che della
Sopraintendenza ai Monumenti).
I Mulini del Ponte Carrato n. 37 e 39 nel 1772; tav 3
La spaziosa vista di questi mulini nel largo corso dia acqua ha giustamente
colpito il pittore Pirovano (nel 1896) che volle ricordare
nel suo
quadretto a olio che piace di far rivedere qui al giusto posto, pur a
avendolo presentato in Memorie 17, quando dovetti sospendere un certo
materiale
che non poteva piu' trovare posto in tale monografia. Si
vedono qui le ruote di tre mulini: a Sinistra il mulino 37 doppio, le cui
quattro ruote (tre in centro e una a destra , molto arretrata, muovono i
palmenti nelle casupole abbinate che si vedono a destra) e a sinistra la
piu' grande ruota del mulino 39 che si vede gia' rinnovata in ferro, il cui
268
asse penetra nel piano terreno ( ma sopraelevato) del grande fabbricato
a due piani.
Il quadretto consacra l'aspetto di un notevole gruppo di fabbricati in fase di
trasformazione, dall'antico al moderno di quell'epoca, cioe' fine del 1800.
L'osservatore guarda a nord.
Con riferimento al 1772 vi era a destra il mulino n. 5 doppio (inteso quello delle
due case abbinate) che possedeva in totale 7 rodiggini ( ma non se ne
vedono che 5) ed a sinistra la ruota moderna del mulino n. 39 che sostitui'
le tre ruote d'una volta.
Il mulino n. 37 quello che usava l'acqua dell'Olona, apparteneva a tal epoca
all'Ospedale Maggiore di Milano ed era affittato a due molinari dal nome
Salmoiraghi Giovanni, consanguinei e distinti da due nomignoli: uno era
detto il "Grigio" e l'altro "quello della Vedova".
Il mulino n. 39, che usava l'acqua dell'Olonella e quindi era a sinistra,
apparteneva a Don Antonio Lampugnani ed il possesso ai Lampugnani e'
dimostrato anche nel censimento del 1594, alla quale epoca si trovavano
nelle diverse case e mulini ( memorie 17 pag 54 55 e tav. 14a).
Casa 149 Mulino del Sig. Prospero Lampugnani, Il molinaro e' Maino
Salmoiraghi fu Giovanni (membri 9).
Casa 150 da Nobile, proprietario Lampugnani Gio Antonio detto Scaramuzza
(membri 7)
Casa 151 de pisonnanti: ospita 19 persone.
Casa 152: altro mulino del Sig. prospero Lampugnani, e' molinaro Rossetto
Paulo (5 membri)
Casa 153: altro molino del Sig. prospero Lampugnani: e' molinaro Josefo
Salmoirago ( 8 membri)
Nella relazione del 1772, abbiamo visto qui sopra che solo il mulino n. 37, che
era la casa 149 del 1594, era rimasto ai Lampugnani; gli altri due erano
passati all'Ospedale Maggiore di Milano dopo la risolta contesa fra i
pretendenti ai beni del castello di Legnano ( 1726 ).
Nel 1871 riscontriamo nello stradario del Comune che il mulino in via Ponte
Carrato n. 10, ossia il n. 37 della relazione del 1772 e' stato acquistato
dal Cotonificio Fratelli Dell'Acqua per surroga con il mulino n. 12 della
stessa via e cioe' il n. 39 della relazione detta, precedentemente
pervenuto in suo possesso.
Ma in proseguo, anche questo secondo mulino verra' assorbito dallo stesso
Cotonificio con cui esso concludeva l'unita' di perimetro dello
stabilimento.
Non che i Salmoiraghi che sono stati, come si vede da queste stesse aride
note, una vera stirpe di molinari che dura da almeno 400
anni, si
ritirassero dall'industria. No, essi seguendo prontamente le innovazioni
269
allora sviluppatesi nel macchinario per la molitura, ed il progresso della
distribuzione dell'energia elettrica, installarono in Legnano il primo ed
unico stabilimento con i mulini a cilindri ed azionamento elettrico nel
1922.
Per dovere di precisione, sia accennato che il mulino di via Pone Carrato 10,
era anche stato (scrive l'ing. Mazzocchi predetto) prima che dei
Dell'Acqua, di una ditta Tobala; che esso e' di tre rodiggini; che utilizzava
un salto di 1,6 metri: e perche' questa ultima parte non e' dell'Ing.
Mazzuccati che non esisteva piu' nel 1427, che fu poi soppresso nel 1927
quando l'Olonella fu trasformata in fognatura.
* La tradizione del nomignolo orale "della Vedova" accolta evidentemente
anche dall'Ing. Raggi, informa che il secondo nome risale alla peste del
1630 in cui i molinaro mori' del triste male, e la vedova ne continuava
l'esercizio. A me pero' entra piu' facilmente in considerazione che
l'assegnazione possa riferirsi alla vedova madre di Oldrado II°
Lampugnani (vedi tav 4 Memorie Societa' Arte e Storia n. 8 pag. 39)
Il Mulino doppio n. 45
Un po' di storia.
I mulini piu' comunemente detti " della Madonna delle Grazie" e "della
Contessa" ed anche dialettalmente "el mulin Cuntess" ed ultimo anche ""i
mulini sopra castello", sono segnati nella relazione del 1772 col n. 45 e
sono di proprieta' del Conte Durini Giovanni.
Essi erano inizialmente, nel 1400, in proprieta' dei Lampugnani del Castello,
ma nel 1528 si trovavano per successione in costestato possesso delle
figlie di Ferdinando Lampugnani, delle quali Lucrezia Lampugnani
Visconti ebbe a secondo sposo Conte Ottaviano Cusani divenendo cosi'
la Contessa Cusani. I mulini restarono in suo possesso anche dopo altra
vedovanza ma il nominativo suddetto si conservo' ancora a lungo, anche
dopo la morte della Donna, per ragioni intuitive come la lunga contesa
che continuava su quelli ed altri beni del castello ed ebbe il suo teermine
solo nel 1696.
Anche questi mulini furono poi accapparrati per la meccanizzazione
dell'industria.
Per il primo, nel 1824 furono acquistati da Eraldo Krumm da Wutteemberg per
istallarvi la sua filatura, il quale poi si accaso' con Geronima Checchi da
Gallarate. Di essi si conservano in museo i bellissimi medaglio di marmo
che ornavano le loro tombe nel cimitero dell'epoca, a nord della chiesa
delle Grazie.
Tale fu la frenesia dei capitani dell'industria dell'epoca, di accaparrarsi le forze
270
idriche, che non gli importava di allontanarsi fuori degli abitati lungo le vie
dell'Olona. Erano bensi' nati il biciclo in ferro e la bicicletta dalle ruote di
legno, ma anche in assenza di tali mezzi essi contavano che la mano di
opera li avrebbero raggiunti egualmente.
A quei tempi, ma anche quasi cento anni sopo, era tale luogo nella piatta valle
dell'Olona null'altro che un vastissimo campo aratorio sezionato in
due dal corso tortuoso dell'Olona, accompagnata da doppi filari di
altissimi pioppi che conferivano al paesaggio un aspetto romito. Fu
grande il nostro dolore quando nei primi anni dell'ultimo dopoguerra
dovemmo assistere passivamente alla lroo distruzione. Si presentava
una questione di umanita', di fronte a tanta miseria. Non torneranno piu' i
pioppi, ma il Comune, nella zona di vincolo intorno al Castello vorra' pur
pensare per tempo ad una nuova arborizzazione e non sopprimera' il
doppio corso di acqua che fu la ragione della sua costruzione in tal
punto.
Ma torniamo ai mulini. Il Krumm fu un grande industriale e lo stabilimento
progredi'. Dovette ricorrere ai supplementi di potenza che allora erano
solo le motrici a vapore alimentate da caldaie ( a bassa pressione).
Egli si era allogato in una palazzina all'inizio della via San Giorgio da dove
poteva volgere lo sguardo laggiu' al suo stabilimento lontano e quando
tutto gli sembrava regolare (il patema d'animo dell'incendio) godersi
romantico paesaggio, lontano dall'assordante rumore del macchinario.
Non conosco a sufficienza quale industrie abbiano fatto seguito alla prima
trasformazione con Krumm: pero' l'unione temporanea col Cantoni, sotto
la ragione Cantoni Krumm e C. per industria meccanica di cui non
conosco l'ubicazione, andrebbe rispolverata.
In tempi piu' recenti vi hanno preso possesso la tessitura Mambretti e poi
Scossiroli, ed ora il Cotonificio Villa Cortese alternati con stallie da non
capire se il terreno abbia qualche cosa di misterioso da renderlo contrario
a redditi industriali.
Mulino 49 "Sotto al castello" tav 5
Fu un mulino a tre palmenti che ha appartenuto assieme al Castello ad
Oldrado Lampugnani, come il precedente subi' esso stesso la lunga
contesa che dal 1507 al 1700 gravo' su tutti questi beni.
Nel 1772 e' in proprieta' al Conte Durini Giovanni come abbiamo gia' visto.
Si trova, dopo la bifrocazione dell'Olona che avviene giusto
davanti al
Castello, sul ramo di destra a circa 400 metri sud-ovest.
Non fu assorbito da nessuna industria e rimase in attivita' ancora qualche
decina di anni dopo la seconda guerra mondiale.
271
Fu un mulino rispettabile perche' l'Olona sotto legnano comincia a risentire
delle acque plurime che le si immettono.
Le tre ruote idrauliche azionavano casauna un palmento. nell'ultimo periodo
due ruote erano ancora in legno, mozzo e pale ed avevano: diametro
4200 mm.: 24 pale larghe 250 mm. e la terza ruota era ormai in ferro con
diametro 4200 e 32 pale in lamiera larghe 300 mm. e alte radialmente
500 mm.. Anche questa ruota che e' di bella costruzione, ma ha le pale
quasi completamente corrose e' ormai inservibile per il lungo abbandono.
L'ultimo mugnaio, ancora vivente ha 72 anni e' Colombo Luigi.
Nell'ultimo tempo, dopo rinuncia totale alla molitura, esso aveva ancora
azionato un frantoio e pressatura di semi di lino con Scandroglio Enrico.
Due molazze in petra del diametro di 1300 mm. per 350 mm. di spessore
l'una e l'altra 230 mm. giaccono come al solito come merce inutile nel
cortile.
All'esterno del fabbricato in un grande riquadro uno squalcito affresco (pittore
di occasione) dell'ottocento circa sostitui' forse uno precedente: esso
mostra una Madonna con S. Anna se ho ben capito.
Mulino 51 gia' del Conte Durini Tavola 5
Seguendo ora il ramo di sinistra dell'Olona in giu' "sotto al castello", troviamo
questo mulino, poco prima che esso ramo si riunisca con il ramo di destra,
chiudendo cosi' la grande isola che fu scelta a suo tempo da Ottone
Visconti per la sede del castello di legnano.
Nel 1772, come abbiamo gia' visto, il mulino era segnato di proprieta' del
Conte Giovanni Durini e il molinaro era Francesco Bianchi. Ma la storia ci
resta muta per il periodo che segue, e del mulino dei tempi nulla piu' e'
rimasto, perche, se in un'epoca non tanto lontana le ruote in legno furono
sostituite
con una grandissima ruota in ferro, questa pure e'
scompardsa lasciando vuoto il suo alloggio, cio' che oggi ancora si
vedeva erano i canaloni in muratura calibrati sulla larghezza della roggia
e della ruota e la classica passerella per la regolazione della paratoia
d'ingresso dell'acqua. La ruota ultima che poteeva essere della seconda
meta' del 1800 aveva dunque un diametro di 6400 mm. e la larghezza di
3200 mm: le pale in ferro, curve more usuale, avevano una altezza
radiale di 700 mm. Ma qualche cosa in piu' ho potuto capire dai soli
muri che sotto ai miei occhi furono demoliti or ora. Vi e' stata anche una
turbima idraulica ad asse verticale (anche qui la classifica Johnwall) che
un industriale aveva ritenuto conveniente installare per meglio sfruttare le
portate di magra del fiume.
Questo ben di Dio era penetrato fra queste mura che ho visto radere al suolo
272
come materia inservibile. Palazzone industriale alto ed arioso, impianti di
forza motrice economica, migliaia di tonnellate di murature, ed un alto
caminone in muratura per caldaie. Ad opera finita restera' un terreno
nudo di 3500 mq. Lascio al lettore meditare.
Le industrie che qui si susseguirono negli ultimi decenni furono: Scossiroli e C.
con filatura: Mambretti e C: per maglierie e confezioni di tali tessuti. La
distruzione di tutto si compie ora sotto il nuovo possesso del Cotonificio di
Villacortese.
I Mulini sotto al castello n. 55 e 56 nel 1772 Tav. 5
del dott Vailate D. rispett. Co. Prata G.
Il mulino 55 e quello che seguira', sono oggi ambedue in territorio di San
Vittore Olona mentre una volta ( nel 1772) il secondo era sotto legnano.
Essi hanno una disposizione simmetrica ( che fa pensare ad una
costruzione simultanea) su una nuova boiforcazione dell'Olona in due
rami che fa seguito a quella ricongiunzione che ciude l'isola su cui ottone
V° costrui' il castello nel ontano 1230 circa.
Diro' poche parole anche per essi per gli addentellati che ebbero con legnano
durante la loro esistenza, non ancora peraltro esaurita. Essi infatti sono
ancora entrambi in esercizio.
All'epoca dei Frati Agostiniani che ottone Visconti aveva introdotto in questa
sua prorieta' di legnano, due o piu' mulini erano posti in loro godimento ed
io vorrei proprio pensare a questi due. Confiscati da ottone Visconti,
appartennero poi sino al 1276 ai Fratelli Torriani; ritornarono a tal data ad
Ottone e poi seguirono tutta la dinastia Visconti e nel 1437 passarono ai
lampugnani.
Dopo il 1528 la contesa fra i diversi lampugnani li fece passare via via anche ai
collaterali non lampugnani. Avvennero poi vendite e riscatti fra terzi che si
spensero con il lascito legale all'Ospedale maggiore di Milano.
Quest'ultimo vendette poi alla meta' del 1700 i beni e i mulini ad
acquirenti diversi.
Nel 1772 erano poi di proprieta' dei nobili suddetti.
Il mulini 55 che e' sul nuovo ramo di sinistra, attualmete e di proprieta' del
Molinaro Meraviglia carlo di Antonio che lo esercisce regolarmente.
Possiede due palmenti azionati cadauno da una sua ruota in ferro del
diametro di 4 metri, con 24 pale curve da 380 mm. di larghezza e 1000
mm. di altezza radiale. Il salto e' di 1,3 metri.
Dispone anche di una molazza di 2,6 quintali comandabile alternativamente
da una delle due ruote idrauliche dette. Essa si trova in un localetto a
manco del maggiore.
La produzione di farina e' di circa 100 Kg. ora di ogni palmento.
273
Il mulino n. 56 (del 1772), sotto al castello
Trovasi sul ramo destro della seconda divisione predetta, dell'Olona, accostato
al n. 55. per una sequenza genealogica esso e' passato dal Conte Prata
al Comm. Francesco Melzi e dopo casa Melzi pervenne in possesso di
mugnai esercenti in proprio. Attualmente esso e' in proprieta' dei cugini
Cozzi Luigi primo e secondo, che lo eserciscono personalmente.
Esso e' di tre ruote di 3,8 metri con 24 pale cad. larghe 400 mm. alter 560 mm.
Possiede due palmenti che macinano 100 Kg. ora cadauna. Una molazza
del diametro di 1360 mm. e 380 di grossezza e' comandata dalla terza
ruota.
Qualche mola da palmento, per ricambio, o di taglio inadeguato vedesi
all'esterno del fabbricato come e' consueto. Diametro 1400/300 ed altre
con solo 200 mm. di spessore.
E' tipica in questo mulino la disposizione coincisa ed efficiente del piccolo
complesso: la passerella di arrivo coperta, sotto la quale l'acqua corre
alle ruote disciplinata dalle paratoie, ed ancora veloce percorrere le
spazzere e raggiunge il letto inferiore: un portichetto, cumulativo per le
visite ed i carri che portano e ritirano dal locale molitorio, e' regolarmente
ornato da un grande affresco religioso, con lucernetta e fiori sul
davanzale munito di drappo. Si entra nel locale molitorio ove un uniforme
rumore ... tran tra, vi dice che le macine compiono il loro monotono,
quanto utile lavoro.
Contigue a questo locale di soggiorno del mugnaio e famigliola; il quale in
questo mulino ha conservato quel simpatico aspetto di campagnolo che
e' offerto sia dalla presenza del classico camino per il fuoco a legna, sia
dalle seggiole, tavolo, armadio un po' rustici ma di noce, sia da altre
inezie che io non so neppure indicare.
Non si vedono ne intorno ne dentro ne fuori figli o figlie di eta' maggiore. A
seconda dell'indirizzo che essi hanno scelto, sono ai campi o vanno allo
stabilimento. Se tutti i figli vanno all'industria e non ritorneranno, il mulino
potra' un giorno non trovare piu' ne un compratore ne un affittuario. E'
questa un po' la sorte che il destino prepara ai mulini qui nel nostro
ambiente.
L'Olona degradata scientemente a fogna delle industrie
Tutti sanno che l'Olona e' divenuto un fiume puzzolente e antiigienico.
Come si e' arrivati a cio'?. Vi si e' arrivati quando, con una mossa che lascio al
lettore giudicare, il Direttore del Consorzio Utenti Fiume Olona, chiedeva
274
(22 dicembre 1921) ed otteneva dall'Amministrazione provinciale e dalla
Avvocatura Erariale, la cancellazione del fiume Olona dalle acque
pubbliche delle provincie di Milano e Como. Poteva cosi' il consorzio
arrogarsi il diritto di concedere ( in forma transitoria, disse...) agli utenti, il
permesso di effettuare tutti gli scariche nel fiume.
Ma tutti sanno che le concessioni date in forma transitoria, non sono altro che
metodi subdoli per concedere cio' che non e' lecito, e creare un fatto
compiuto, che servira', come in effetti servi' a scavalcvare tutte le leggi
per la tutela igienica e i diritti della gente su una cosa pubblica; in questo
caso le acque. Quindi le amministrazioni comunali, sanno ormai che
tocca ad esse spendere per proteggersi contro i miasmi del corso
d'acqua, perche' nessuno piu' eliminera' quelle connessioni provvisorie.
Pero' le acque che presto o tardi i comuni devono eseguire per l'igiene
pubblica, non potrebbero venire addossate in adeguata misura ai
responsabili degli inquinamenti?.
Un'opera di regolazione del fiume a sud di legnano
E' nota a tutti nella zona percorsa dal fiume che questo mansueto corso
d'acqua, quasi annualmente diventa turbolento nei periodi di forti piogge,
perche' nel giro di poche ore cresce di portata, sorpassa gli argini naturali,
invade talvolta le campagne e quasi annualmente anche le cantine delle
zone piu' basse della citta'.
Nel settore di Legnano, per evitare tali iettature, sebbene non fossero molto
frequenti, si procedette naturalmente dapprincipio con arginature in opere
di terra o di cemento, ma in generale il problema non era solo quello di
arginare, perche' l'innalzamento seppure temporaneo delle acque,
impediva la recezione nel letto del fiume, delle acque superficiali di scolo
dei terreni e delle fognature.
Si affaccio' quindi il bisogno di contenere l'innalzamento del livello nell'ambito
della citta', sia aumentando la capacita' di invaso dell'alveo del fiume con
l'allargarne i margini, sia riducendo la resistenza di passaggio lungo
questo suo percorso, sopprimendo alcuni tratti tortuosi e rendendo il
decorso sempre piu' prossimo al rettifilo.
Siccome tutti questi miglioramenti avrebbero causato durante i periodi di
magra un forte abbassamento del pelo liquido (col che non si sarebbe
piu' potuto irrigare i terreni di utenti che ne avevano diritto) , divenne
necessario eseguire un'opera regolatrice automatica del livello del fiume
( e fu eseguita nel 1940) onde tanto in amgra quanto in piena, mantenga
un livello di acqua quasi costante.
Tale necessita' corrispondeva a tre principali capisaldi:
275
1) Assicurare ad ogni epoca la possibilita' di prelievo d'acqua da parte delle
bocche irrigatorie, che costituiscono antichi diritti dei consorziati (Mugnai,
industriali, proprietari di terreni).
2) Impedire gli innalzamenti di livello che disturbavano gli scarichi stradali e
delle case in genere gia' detti.
3) In via igienica evitare che nei periodi di magra il letto sudicio emerga
creando situazioni igieniche insopportabili.
Il risultato di tale opera regolatrice, basato sull'adozione di una grossa paratia
metallica a segmento di circolo nel bel mezzo di un'opera di muratura
creata a valle del fiume, fu soddisfacente per Legnano, pur non essendo
risultata automatica come era previsto.
Naturalmente e' premessa indispensabile per una tale applicazione, che non vi
siano ne mulini, ne turbine idrauliche, nel tratto reso a livello costante e
che diritti preesistenti venissero risolti con trattative singole.
L'applicazione di tale regolazione fu contemporanea alla eliminazione di quella
grande ansa, che percorreva il fiume di fronte al vecchio cimitero del
1800, a nord della Madonna delle Grazie, la quale ostacolava il deflusso
durante le piene.
Coll'assorbimento progressivo dei terreni agricoli del pianoro a Sud-est del
castello da parte dell'edilizia, va spegnendosi il bisogno di irrigazione
nella zona e le diverse roggette attinte dalle bocche sul disegno del 1772
sono infatti gia' scomparse. La stessa paratia, automatica o meno, si
avvia a rappresentare fra anni una utilita' solo per gli stabilimenti che
aspirano l'acqua per scopi secondari, e, nei riguardi della cittadinanza,
per lo scopo igienico gia' detto.
Inutile pensare che le sistemazioni che legnano faceva per salvaguardarsi
dalle piene non dovessero ripercuotersi sulle utenze sottostanti. Ed infatti
quelli se ne lamentano e la fotografia che riproduco, scattata qualche
anno addietro presso il mulino Cozzi Montoli che trovasi a 1,5 Km. sotto il
castello, mostra che il fiume ha urgente bisogno di venire dragato nei
punti piu' nevralgici.
Questo mulino non e' del gruppo "Legnanese" come gia' dissi nell'introduzione;
faccio un piccolo strappo al mio assunto per contraccambiare alla
cortesia con cui il signor Montoli comproprietario ed ottimo fotografo,
volle procurarmene la fotografia.
Possiede Tre palmenti e un buratto; ad ogni palmento corrisponde un braccio
girevole in legno, per il sollevamento della macina, per le rimartellinature
o riparazioni. Esso e' contiguo ad altro mulino Montoli, che ha subito un
completo ammodernamento anche del plafone. Una modernizzazione
lodevole che, in contrasto con la staticita' dei mulini superstiti della zona,
sorprende graditamente il visitatore.
276
277
Case in Legnano antica
Cercando tracce di monumenti antichi resteremmo delusi alquanto dallo
scarso numero di edifici antichi che si riescono a vedere lungo le strade e
nelle piazze e non a torto. Da lunghi anni infatti sterratori, ruspe e incuria
fagocitano ogni giorno gli antichi angoli della Legnano storica.
Possiamo tuttavia, sia grazie ai documenti antichi che alle testimonianze
architettoniche rimasteci, fare un quadro abbastanza preciso di quello
che fu la città dei nostri padri. Nei capitoli precedenti abbiamo visto che
nelle epoche remote a partire da 2000 anni a.C. vi sono già reperti degli
insediamenti liguri e poi celtico liguri. Questi abitanti dovevano essere
numerosi ma a parte le tombe con i loro corredi, (veri preziosi documenti
per leggere la vita) che sono esse stesse dei monumenti minori e sulle
quali l'ing. Guido Sutermeister ha scritto nel 1928 un bellissimo volume
intitolato Legnano romana, non ci hanno lasciato alcuna traccia di
abitato. I motivi di questa mancanza sono principalmente due. Il primo è
che non essendo palafitticoli come a Golasecca o a Monate, mancano i
ritrovamenti delle fondazioni lignee delle case infisse nell'argilla, il
secondo è che mentre nelle sopraccitate zone il cambiamento
dell'organizzazione sociale nel corso dei secoli ha coinciso con
l'abbandono dei villaggi palafitticoli e ha visto la creazione di nuovi
insediamenti su terra ferma, in Legnano per secoli e secoli si è
continuato a costruire e ricostruire sempre sulle stesse aree urbane.
Questo ci dice che sotto le attuali case (solo quelle vecchie e poco
profonde) giacciono le tracce degli antichi abitati di 4000 anni fa. Se si
potesse per assurdo demolire un edificio secentesco nei pressi di S.
Martino o S.Magno e si analizzasse strato per strato il terreno sottostante,
si ritroverebbero nelle parti più profonde probabilmente delle aree
spianate di forma rettangolare con aggiunte ai lati corti due aree a
semicerchio e lungo il perimetro una serie di buchi di 15/20 cm. di
diametro, (le sedi dei pali delle pareti delle capanne). Al centro di queste
superfici di circa 25 / 30 mq. altri due buchi per i pali di sostegno del tetto,
poi un foro quadrato per il focolare con le sue pietre intorno. Sul
perimetro esterno alcuni sassi a proteggere il piede della costruzione e i
canali di scolo delle acque piovane.
Qualche vaso, oggetti in selce e più tardi qualche oggetto in bronzo e chiodi,
null'altro. I monumenti e le case più antiche erano solo capanne di legno
e come tali non furono dai successivi abitanti Gallo - Romani, considerati
278
degni di essere usati.
Un bell'esempio di questo tipo di capanne viene in questi mesi portato alla luce
da un gruppo di archeologi guidati dalla dottoressa Nuccia Negroni
Catacchio presso le sorgenti del fiume Nova. Si tratta di un villaggio
villanoviano etrusco di circa 300 abitazioni risalente a molto prima
dell'anno 1000 a.C. abbandonato improvvisamente dai suoi abitanti nel
IX secolo a.C.
I Galli ed i Romani dei primi secoli di dominazione vissero anche loro in
costruzioni lignee e in base al numero delle tombe e dall'estensione che
raggiunsero alla fine verso il 300 d.C. i loro cimiteri, dovettero formare a
stima dell'ing. Sutermeister una comunità assai numerosa. Le loro
costruzioni si sovrapposero a quelle liguri e furono dapprima di legno .
Non più quasi ellittiche, ma rettangolari con pareti formate da tronchi squadrati,
porta d'ingresso e una finestra nel timpano sopra la porta stessa; il tetto
era sempre fatto con fascine di rami secchi intrecciati.
L'uso di fermare le fascine con le pietre spinse alla ricerca delle piode o lastre
di ardesia per le coperture. Ma se era facile reperire queste lastre nelle
comunità montane dove costruivano fino alla fine del 1700 d.C. le case in
questo modo, a Legnano non era pressoché possibile. Si ricorse quindi
alle pietre artificiali appositamente studiate per i tetti e cioè alle tegole in
argilla cotta. Queste tegole, più esattamente tegole ed embrici sono i
reperti più comuni che archeologicamente troviamo in ogni antico scavo
di Legnano che risalga dal Medioevo a noi. Sembrerebbe quasi
impossibile eppure non vi sono tracce di costruzioni romane in pietra.
Abbondano le tombe con i loro corredi che ci mostrano, tramite gli oggetti,
quali fabbriche di utensili in bronzo e ferro esistevano le fusioni in vetro,
le ceramiche più o meno fini negli impasti , secondo il censo
dell'acquirente, le attitudini guerriere o meno, i coppi votivi e funerari in
pietra, la coniazione di monete locali più gradite alla parte gallica dei
Legnanesi, la creazione di specchi fantastici in leghe di antimonio tutt'ora
lucenti e sinonimi di grande agiatezza. Esse però mai testimoniano case
in muratura.
Eppure i Romani erano grandi costruttori, come mai qui avevano dimenticato
questa loro prerogativa? Sicuramente Legnano era una pacifica zona
agricola e rimase tale fino all'arrivo delle invasioni barbariche; non
necessitava quindi di particolari sfoggi o di marmi. Un'altra ragione era
che le poche pietre disponibili erano quelle di Saltrio o le molere delle
cave di Bizzozero in genere arenarie, compatte, non molto solide, ma in
compenso facilmente lavorabili.
Vennero infatti usate fino alla fine del 1800 per fare davanzali di finestre e
lavandini. Inoltre la calce non era reperibile qui vicino, mentre i boschi
279
anticamente fornivano legname in abbondanza utilizzato anche per la
cottura della terracotta. Quarta e importante ragione di questa mancanza
di edifici è che tutta la Legnano romana dovette subire per quasi sei
secoli la distruzione continua da parte barbarica come già ha ben
dimostrato nei capitoli precedenti il prof. Marinoni. I suoi monumenti sono
quindi stati distrutti. Che ci dovessero essere anche case in muratura lo
dicono tre elementi architettonici rinvenuti da quell'attento studioso che è
stato Sutermeister. Il primo è un reperto scoperto nel 1900 costituito da
un muro in calce idraulica e brecciame in mattoni, trovato in via Dandolo
(lungo la vecchia strada detta del Confinante) tanto grosso e robusto che
dovette essere lasciato in sito dal proprietario sig. Galli e tenuto nella
cantina della nuova costruzione; il secondo reperto è costituito da due
acquedotti in elementi di cotto lungo via 29 Maggio; uno rettangolare a
cassetta interrata, l'altro lungo la via Taramelli formato da tubi in cotto di
cm. 80 di lunghezza terminanti con una bocca di erogazione e relativa
pietra di appoggio per le brocche. Il terzo e forse più clamoroso
rinvenimento fu fatto nel 1951 quando, sconvolgendo il centro di
Legnano per la costruzione del palazzo INA (Galleria in Piazza S. Magno)
venne alla luce un enorme muraglione in pietra di costruzione
medioevale, ma con materiale di risulta inserito alla rinfusa nella calce
idraulica. Tra molteplici mattoni ed una serie notevolissima di embrici
romani di epoca imperiale faceva bella mostra di sé una "Suspensura".
La "Suspensura" è un disco di cotto di circa 28/30 cm. di diametro che
serviva come elemento costruttivo modulare per la creazione di una serie
di pilastrini in calce e cotto sistemati sotto il pavimento (sospeso) delle
stanze delle abitazioni romane. Si formava cosi un alveare di cuniculi
(vespaio areato) nei quali i ben organizzati Romani imperiali facevano
circolare poi acqua calda o aria calda per ottenere durante l'inverno un
maggior conforto negli ambienti della casa. Questo prova che in
Legnano esistevano edifici in muratura romani e per giunta tanto evoluti
da avere un Caldarium. Ecco che finalmente si apre uno spiraglio di luce.
In via Dandolo le vestigia del muro con addossate le anfore vinarie
immerse nella sabbia ci indicano la presenza di una torre romana con
evidenti funzioni annonarie; gli acquedotti e le case riscaldate ci parlano
di una civiltà raffinata con abitazioni confortevoli in una comunità dedita
all'agricoltura ed all'artigianato.
Cosa fu di tutto questo? Lo sfacelo assoluto. I barbari calati dal S. Bernardino
e dall'Engadina ingolositi dalle pianure fertili e dalle ricchezze di Milano,
misero a ferro e fuoco tutti gli abitati e fecero fuggire o uccisero quasi tutti
gli abitanti. Dovettero anche radere al suolo ogni cosa, portare via statue
e suppellettili, solo le tombe nascoste nel sottosuolo si salvarono, anzi
280
videro in alcuni casi i nuovi arrivati tumulare sopra di esse. La grande
comunità Gallo-Romana di Legnano pagò a caro prezzo il privilegio di
trovarsi sulla antica via che dall'Europa portava al centro della pianura
Padana.
Questa via ora Sempione era detta dai Romani Strata Magna, rimase per
millenni un importantissimo riferimento per i traffici commerciali con
l'Europa fino al IV secolo d.C. poi, lungo di essa si avvicendarono
operazioni militari di invasori e guerreggianti fino alle soglie del 1700.
Legnano cittadina pacifica (come mostrano le tombe antiche coi loro corredi
senza armi) venne investita dalle orde barbariche che, preferendo non
vivere nelle città come Milano, si distribuivano in piccole comunità nelle
campagne, dove edificavano semplici capanne lignee, avendo in odio i
muri e non sapendo cuocere mattoni. Essi qui si attestarono usufruendo
del caposaldo di via Dandolo come presidio militare che, grazie alle due
discendenze di terreno verso Castellanza, poteva essere usato come
porta a guardia della Valle Olona verso Milano. Ed a Legnano i barbari
combatterono e molto, visto che proprio nelle vicinanze di questa
fortificazione sono numerose le tombe barbariche di guerrieri sepolti con
le loro armi. Legnano era ridiventata una misera comunità con poche
capanne di legno risorte su una grande quantità di macerie romane.
Anche l'editto di Rotari del 643, nelle sue indicazioni circa le abitazioni,
passa dal termine domus al termine "casa" che indica una costruzione
semplice in legno. Questo ha profondo significato di riscontro per la
nostra città.
Anch'essa non si sottrae al grande generale esodo e massacro, ogni forma di
vivere sociale viene estinta sia economicamente che civilmente, anche
l'arte tanto elevata dei Romani piomba in forme di espressione
paurosamente rozze che forse possono piacere a noi cosiddetti moderni
per la loro essenzialità, ma non testimoniano certamente un alto livello
culturale di chi si esprimeva attraverso quelle creazioni. Questo buio
intellettuale si riflette su ogni aspetto dell'antica Legnano e di nuovo si
presenta un vuoto di ben 700 anni prima che le pietre ci testimonino
ancora una presenza architettonica in città.
Fuggita verso le città di mare, la classe artigianale romana scompare e
restano i barbari che non sanno più cuocere mattoni e tegole.
L'unico materiale che con i Longobardi le popolazioni altomilanesi useranno
fino alla fine del millennio sarà il ciotolo di fiume, di cui il nostro terreno
alluvionale abbonda. Con essi erano edificate sia le chiese che i castelli
e le case più importanti.
In Legnano troviamo due principali vestigia di tarda costruzione con siffatta
composizione, una è costituita dai resti del campanile romanico della
281
chiesa principale dedicata a S. Salvatore ed al vescovo S. Magno, l'altra
è costituita dagli avanzi di fondazione di una grande costruzione
sorgente al centro di Legnano con l'aspetto della fortificazione e risalente
attorno all'anno mille come nascita. Detta costruzione a noi nota come
castello dei Cotta subì varie aggiunte nel corso dei primi secoli del nostro
millennio fino a scomparire dalle memorie storiche allorché iniziò, la
trasformazione in fortezza del castello di Legnano dedicato al S. Giorgio
ad opera di Ottone Visconti e poi di Oldrado Lampugnani.
Sono molto scarse le notizie che ci restano della prima chiesa legnanese.
Essa fu edificata in stile lombardo arcaico. Aveva pianta rettangolare suddivisa
in tre navate. Ogni navata terminava con una cappella a semicerchio.
Stando alla posizione del campanile, che denuncia come stile un
romanico primitivo (X o XI secolo) sia per gli archetti sotto le cornici di
facciata, sia per la figura scolpita inserita al centro del portale d'ingresso,
nonché alla posizione della cripta, ancora esistente nella nuova S.
Magno sotto la cappella del SS. Crocifisso (già cappella di S. Carlo). La
chiesa aveva un orientamento Nord-Sud con gli altari posti a Sud. Le
dimensioni dovevano essere di circa 26 metri di lunghezza per circa m.
18 in larghezza. La forma in pianta sembra similare a quella del duomo di
Agliate datato del X o XI secolo e tuttora esistente. Questo appartiene ad
un gruppo di complessi absidali, sorti alla vigilia del romanico, le cui
caratteristiche aperture a bocca di forno poste alla cornice esterna
superiore delle absidi semicircolari, suggeriscono l'anticipazione delle
loggette praticabili romaniche. Tali complessi sono in genere
trasformazioni delle parti terminali di una chiesa preesistente che
divenuta chiesa abbaziale deve trasformarsi. La datazione in genere è
assai discussa. I più recenti studi le collocano come costruzione attorno
alla metà del X secolo.
E' difficile anche indicare una linea evolutiva.
Esempi precedenti non ne esistono salvo la loggetta attorno al tiburio (IV
secolo) della cappella di S. Aquilino in Milano, nella quale si nota una
stessa funzione estetica e costruttiva. Infatti il motivo degli archetti deriva
dalla geometrizzazione ed estetizzazione dei pilastrini portanti le travi di
legno poste a sostenere la copertura sopra le volte absidali. Tra gli
esempi più antichi di questo modo di comporre lesene ed arcatelle ciliali
troviamo l'abside di S. Ambrogio a Milano (seconda metà del X secolo)
mantenuta nella ricostruzione romanica della basilica che pure presenta
internamente una campata con copertura a volta a botte caratteristico
282
nuovo elemento comune alle basiliche del XII secolo. In questo periodo
preromanico (IX e X secolo) si colloca l'origine del duomo di Agliate e del
S. Vincenzo in Prato. Le due chiese differiscono fra loro per la maggior
raffinatezza della seconda rispetto alla prima. Sono tuttavia molto simili.
Se S. Ambrogio venne trasformata prima di questi due edifici, viene da
pensare che essi rappresentino, nel X secolo circa e con il gusto di
questa epoca, la trasformazione che nel IV secolo era avvenuta per la
Basilica Ambrosiana con l'aggiunta della nuova parte absidale. Si
riprende in queste chiese di epoca così avanzata il tramontante sistema
di suddividere le navate con colonnati. Nel S. Pietro in Agliate le rozze
colonne ed i capitelli formati da materiale di recupero di chiese del IV e V
secolo rappresentano pezzi di frontoni, animali ecc. con abaco e pulvino.
In S. Salvatore detto materiale di recupero non esisteva e non ci è
pervenuto. L'unico reperto che forse avrebbe potuto costituire parte di un
protiro all'ingresso, sostenuto da colonne poggianti sui due classici leoni
romanici, è appunto un leone trovato inserito nella casa di Donato
Alessandro Vismara in contrada Mugiato, a Legnano. Le chiese erano
fornite di abbondante illuminazione interna con grandi finestre e ciò, in
contrasto con le nuove costruzioni romaniche poggianti su piloni (e non
colonne) ed ai giochi di penombra delle loro navate. Notevoli esempi di
queste impostazioni si ritrovano nelle chiese valdostane del X e XI
secolo alle quali corrispondono sia lo stile del nostro campanile del SS.
Salvatore, sia il materiale lapideo usato. La chiesa che meglio ci può,
aiutare a capire la vecchia basilica di Legnano è quella di S. Orso ad
Aosta. Creata nel 1050 sui resti di una chiesa del V secolo di cui rimane
la cripta ed un pezzo del campanile. Era a navata unica con alte finestre
appena sotto la copertura a capriate lignee.
Era totalmente affrescata da un artista del periodo ottoniano. Orbene nel 1400
le nuove spinte estetiche portarono a far eseguire delle volte a crociera
nell'interno e a far aggiungere due navate laterali per reggere la spinta
delle volte. Per poter permettere il passaggio dalle navate laterali a
quella centrale si erano fatti demolire grandi tratti di muro, creando degli
archi poggianti su pilastri quadrati. Anche nel duomo di Morgex già a tre
navate con absidi tonde in testa, la trasformazione da soffitto in assi a
quella di chiesa con le volte avviene verso la fine del 1500.
Ne rimangono i segni in facciata, dove le volte meno alte del tetto a capriata
obbligano a chiudere delle finestre e a rendere piano il cornicione che
prima contornava la classica fronte a capanna della chiesa. In Legnano
la trasformazione del SS. Salvatore da chiesa con le coperture a capriata
in chiesa voltata in pietra, coincise con la sua fine e venne
assolutamente scartata per tre motivi. Primo i muri in sasso non erano
283
adatti a ricevere le volte moderne perché troppo fragili sui lati, (si ricordi
la menzione alla chiesa pericolante). Secondo, dal 1200 in poi Legnano
abbandona quasi totalmente le costruzioni in sasso e torna alla cottura
dei mattoni come al tempo dei Romani. Il fare una struttura mista di sassi
sotto e volte in mattoni, non doveva essere considerato dai capomastri
possibile. Terzo, ammesso anche il riutilizzo delle strutture murarie della
chiesa restanti dopo gli opportuni sbrecciamenti, da aprire per inserire le
volte, il risultato estetico sarebbe stato di una povertà non consona ai
gusti ed al censo dei Legnanesi del 1500. In ogni caso la chiesa antica
era molto spartana nel suo aspetto.
Delle tre cappelle absidali la principale era dedicata al SS. Salvatore (cioè
Gesù e non ad un Santo Salvatore come qualcuno ha scritto) ed a S.
Magno arcivescovo da non confondere con S. Gregorio Magno papa,
(Roma 540 - 604) convertitore dei Longobardi. San Magno arcivescovo
non è molto noto e la sua festa viene collocata nel calendario in modo
alquanto sommario dal prevosto Legnanese Pozzo nel 1640. Egli ci dice
che S. Magno protettore si festeggiava (prima del 1602) la terza
domenica di agosto, cioè il giorno 19 (per noi S. Luigi di Tolosa) e che
l'altare maggiore della chiesa era dedicato a S. Magno pontefice e
confessore ed in Legnano la sua festa era stata spostata dal 19 agosto al
5 di novembre, "perché nel giorno della commemorazione dei defunti in
Legnano si tiene una Fiera che dura talvolta otto giorni continui e viene la
festa del Santo anticipata di un giorno nel quale appunto si celebra un S.
Magno vescovo di Anagni" è: chiaro che già nel 1600 esisteva un poco
di confusione. Premesso che non esistono papi di nome Magno
eccettuato S. Gregorio detto Magno, ma che viene sempre chiamato
Gregorio e non solo "Magno" il Pozzo cade in una involontaria
attribuzione errata, evidentemente ignorando che a Milano il 25'
arcivescovo, successore di S. Eustorgio II si chiamava appunto Magno e
venne acclamato Santo alla sua morte. Egli morì l'1 novembre del 528
d.C. e fu sepolto nella basilica di S. Eustorgio in Milano. Con
l'introduzione nel martirologio ambrosiano della festa di tutti i Santi
(Ognissanti o 1 Novembre) la ricorrenza di S. Magno venne trasferita al 5
di Novembre e tutt'ora vi è rimasta, in concomitanza con l'antica Fiera dei
Morti legnanese. Gli antichi cataloghi dei vescovi di Milano attribuiscono
30 anni di episcopato al santo.
Lo studioso Savio pensa tuttavia che siano troppi e li riduce a circa dieci dal
518 al 528 d.C. Il suo epitaffio, senza dati cronologici, lo loda per la sua
carità, ferre manum fessis nudos vestire paratus captorumque gravi
solvere colla iugo.
Non si conoscono quanti e quali siano stati i prigionieri liberati per intervento di
284
S. Magno e non sembra che sia stata indirizzata al nostro Magno l'epos
di Avito di Vienne. Storici del XIV secolo asserivano che S. Magno
appartenesse alla famiglia del Trincheri, ma è notizia priva di fondamenti.
Nel 1248 venne condotta dai Domenicani allora officianti nella basilica di
S. Eustorgio, una solenne ricognizione delle reliquie del santo. La
basilica era stata loro affidata nel 1220, (da notare che qui S. Pietro
martire aveva iniziato la sua opera di inquisitore). Le ossa di S. Magno
riposano dietro l'altare maggiore della chiesa, ma non più sole. Erano
presenti dal 324 le ossa di S. Eustorgio poste nella più antica cappella, in
una doppia urna marmorea, destinatagli dall'imperatore Costantino di cui
era familiare e condottiero militare.
Nell'anno 1163 a causa delle scorrerie del Barbarossa, i Milanesi nascosero le
ossa del loro protettore nella torre delle campane della collegiata di S.
Giorgio al Palazzo. Una sciocca delazione le fece però scoprire e
l'imperatore le trasportò a Colonia Agrippina per oltraggio a Milano. Dopo
la battaglia di Legnano i Milanesi le riottennero ed esse furono riposte in
un'unica urna dietro l'altare assieme a quelle di S. Magno arcivescovo
ove sono ancora conservate. Come poi il Pozzo abbia potuto confondere
S. Magno con un pontefice non è comprensibile. Infatti egli aveva dinanzi
agli occhi due dipinti nella chiesa nuova, ed esattamente la lunetta di
destra sopra l'altare maggiore di B. Lanino con S. Gregorio Magno papa
che porta il triregno, il pastorale ed ha in mano un libro perché dottore
della Chiesa (festa il 12 marzo) e la lesena a destra dell'altare
contrapposta al Salvatore (Gesù) con S. Magno Arcivescovo che ha la
mitria, il pastorale, ed è benedicente. Ciò significa che il pittore
conosceva, nel 1560, la dedicazione della chiesa, ma in seguito se ne
era persa la storia. Nella pala di B. Luini e nella cappella di S. Agnese del
Lampugnani, S. Magno arcivescovo viene ripresentato a fianco di S.
Ambrogio, perché è uno dei protettori di Milano e non può, quindi essere
vescovo di Anagni o di Oderzo che con Legnano hanno molto poco a che
fare. Proseguendo nel ricordo della chiesa del SS. Salvatore, sappiamo
che la cappella di destra era invece intitolata alla Madonna ed a S.
Giuseppe, mentre quella sulla sinistra, guardando l'altare, era dedicata a
S. Stefano proto martire ucciso nel settimo mese dopo l'Ascensione di
N.S.G.C. nell'anno 33 dell'era cristiana.
La chiesa aveva il tetto in legno a capriate triangolari e le pareti rustiche in
sasso erano di grosso spessore. Le navate erano suddivise da colonne o
pilastri, forse anch'essi costruiti in sasso e calce poiché non esistono in
Legnano reperti marmorei di risulta del loro abbattimento, cosa che al
contrario sempre si verifica quando da un edificio antico si trae materiale
di valore, per edificare il nuovo. La porta d'ingresso era a nord e tale
285
posizione rimase anche nella nuova costruzione bramantesca della
chiesa. Essa dava in pratica sulla via che portava tramite il ponte carrato
dell'Olonella alla cosidetta braida arcivescovile. Sappiamo come già
accennato nei capitoli precedenti, che i terreni tra i due rami dell'Olona
poiché soggetti a continue inondazioni, erano tenuti a coltivo e non
vennero edificati che dopo il diciannovesimo secolo.
La strada proseguiva poi verso est fino al congiungimento con la antica Strada
Magna oggi Sempione.
Sul lato destro della chiesa si estendeva invece un grande cimitero che
occupava praticamente tutta l'attuale piazza S. Magno. Questo cimitero
abbandonato circa nel 1640 quando si rigirò, l'ingresso della nuova
basilica di S. Magno in base ai progetti di F.M. Richini, conteneva tombe
cristiane di epoca romana imperiale fatte a cassa rettangolare con
tegoloni di fondo con risvolto ed embrici ornati ad ovuli sul bordo
superiore, poi tombe ad inumazione con solo il bordo in sasso di epoca
paleocristiana, poi tombe medioevali costruite col sistema romano dei
tegoloni ma appartenenti a personaggi della curia e tumulati in tal modo
anziché con avelli. Lo stesso fenomeno si è riscontrato per inumazioni
medioevali anche a Milano, presso la chiesa del SS. Sacramento
distrutta nel 1926 in via Carducci.
Sul lato sud della chiesa di S. Salvatore dalla parte delle absidi si dipartiva
un'area edificata a più riprese nei secoli successivi alla chiesa e che dai
documenti antichi viene definita come sede estiva arcivescovile della
diocesi di Milano ossia la "mensa capitolare del duomo di Milano" e della
quale parleremo più avanti. L'edificio preromanico doveva essere
abbastanza rozzo nel suo insieme e piuttosto scarso di sculture; infatti
vediamo che l'unico bassorilievo pervenutoci è il Cristo Salvatore scolpito
in arenario e inserito, come dicemmo, sul fronte del campanile.
Questa scultura insieme ad una piccola mensola in cotto, datata 12 giugno
1170, ritrovata durante la demolizione della casa Lampugnani in vicolo
Scaricatore angolo Sempione e che rappresenta una testa di putto
inserita sotto una gola terminante in due rosette, (era stata usata come
riempimento dei muri del 1400 che formava la nuova casa) sono gli unici
due particolari scultorei che fino ad ora abbiamo ricevuto dalla Legnano
del Medioevo. Tuttavia nell'interno della chiesa non dovevano mancare
opere artistiche visto che le case quattrocentesche di Legnano
abbondavano di affreschi e ritratti.
La tradizione, ma non i documenti, ci dice che dalla antica cappella di destra
vicino al campanile fu recuperata e trasportata nella omonima cappella
del nuovo S. Magno, una pala composta da tre tavole più predella a
piccole scene dipinta dal Giampietrino. Questa bellissima opera si vede
286
ora nella cappella centrale di sinistra della nostra basilica. Il prevosto
Pozzo, nel 1640, la descrive cosi: "Questa ancona per quello si tine è del
Gio' Pedrino, nella quale si vede un S. Gio' Evang. a e un S. Joseffo
molto lodato dallo Storico Pietro da Giussano nella vita che fu di questo
S. to. Nel mezzo di questa si vede un 'anconetta della B. Verg. con il fig.o
alla quale vi è molta divotione per molte gratie fatte testimonio ne siano
le tavolette et voti". Purtroppo a noi è pervenuta senza la tavola centrale
con la Madonna ed il Bambino.
Al mezzo è stato posto un vano con una bella statua del XVI secolo
raffigurante la Madonna. Le tavole e tavolette rimasteci sono tuttavia
stupende. Il pittore Mosè Turri senior che le aveva restaurate alla fine del
1800, diceva di aver trovato in un angolo il nome Marcus (Marco da
Oggiono) che parrebbe in contrasto con l'attribuzione al Giampietrino.
Tuttavia si deve sapere che sotto questo pseudonimo viene raggruppato
tutto un complesso di opere affini e che la costruzione della figura del
Giampietrino è fatta su base puramente stilistica; infatti manca qualsiasi
documento che identifichi questo artista e non esiste di lui opera firmata.
Anche il nome dell' autore è controverso, infatti lo troviamo citato come
Pietro Rizzo (= Lomazzo) Gio Pedrini, oppure Gio da Milano detto
Pavese, o Gio da Como o infine Gio di Belmonte. Sarebbe molto
interessante rintracciare con mezzi moderni radiografici o foto
all'infrarosso la scritta e compiere anche una completa indagine artistica
per meglio qualificare l'origine dell'opera. Sopra il polittico fu posto ad
opera dei Lampugnani un quadro, con il Redentore affiancato da due
angeli, nell'intento di alzare tutta la composizione per meglio inserirla
nella nuova cappella. Evidentemente nella cappella, in cui era posto
precedentemente, lo spazio a disposizione doveva essere più angusto. Il
trittico doveva rappresentare l'ultima opera regalata dai Legnanesi al loro
tempio, infatti il Giampietrino, allievo di Leonardo, operò tra il 1484 ed il
1514, quindi l'eventuale dipinto in Legnano dovette essere fatto quando
la chiesa era "pericolante" o in demolizione. Un prezioso elenco steso da
Goffredo da Bussero sembra escludere questa tradizione e menziona in
Legnano la presenza della chiesa di S. Salvatore (canonica) cogli altari a:
S. Salvatore, S. Paolo, S. Filippo e Giacomo, S. Biagio. Il nome degli
altari non coincide con le descrizioni fatte nei manoscritti da mons.
Gilardelli, ma si sa che spesso nelle chiese cambiavano i titoli degli altari
o ne facevano di nuovi in base ai lasciti. Rimangono però, alcune
correlazioni con le iscrizioni date da Goffredo da Bussero, le titolazioni
indicate da mons. Gilardelli e la descrizione degli altari fatta nel 1650
dal prevosto Pozzo. Infatti per tutte permane la titolazione principale S.
Salvatore per l'altare maggiore, a cui si affianca un San Paolo per il più
287
antico scrittore ed un S. Magno per tutti gli altri, (altari a S. Paolo tuttavia
non sono esistiti in tutta Legnano, stando agli archivi della curia). Per
quanto riguarda l'altare dedicato a S. Filippo e Giacomo, esso viene
riproposto nella nuova chiesa cinquecentesca dimenticandosi
dell'apostolo Giacomo ma non del suo compagno e martire Filippo.
Anche la cappella di S. Maria e Giuseppe a fianco dell'antico campanile
rimane in quella posizione con la pala del Giampietrino fino al 1610, poi
viene spostata, ma mantiene tutt'ora il suo titolo. Essa però non compare
nell'elenco di Goffredo da Bussero che invece menziona un S. Biagio.
Questo altare sarà creato nel 1640 presso il Santuario della Madonna
delle Grazie di nuova costruzione. In realtà la chiesa del S. Salvatore era
vecchia e bruttina e non piaceva ai Legnanesi del XV secolo. L'incuria e
la vecchiaia minavano le sue fondamenta. L'Olonella che scorreva ai
suoi piedi dicono infiltrasse nelle fondazioni (peraltro in S. Magno tali
infiltrazioni non esistono minimamente) ed una serie di assestamenti del
terreno alla fine del 1400 l'avrebbero fatta crollare .
Era rimasto in piedi solo il campanile di cui tutt'oggi esiste un pezzo e la
contigua cappella di S. Maria e Gioseffo. Questo tra il 1490 e 1500. è;
tuttavia doveroso dire, come abbiamo già indicato che il crollo più grosso
era stato quello provocato alla cultura rinascimentale e non è molto
sbagliato pensare che la chiesa dovette essere demolita dai Legnanesi
con la "scusa del crollo" per poter avere il permesso dagli arcivescovi e
da Ludovico il Moro, di rifare un tempio più consono ai loro canoni
estetici ed al loro censo.
Un altro esempio troviamo a Roma dove viene abbattuta la Basilica
paleocristiana di S. Pietro per edificarne una più moderna su disegni
proprio del Bramante. In Legnano venne lasciato in piedi e tenuto in uso
il solo campanile (che stranamente non aveva risentito dei terremoti).
Esso venne dapprima alzato durante un restauro del 1520, poi abbattuto
per due terzi e sostituito da uno in mattoni, nel 1752, quale ancora
vediamo ancora nella piazza di S. Magno. Per dare significato alle origini
della nostra più antica chiesa possiamo azzardare solo un'ipotesi in base
ai fatti storici che coinvolsero il nostro villaggio tra il 493 ed il 553 d.C.
Eravamo in pieno dominio dei Goti. Teodorico fattosi re d'Italia dominava con
saggezza (barbara naturalmente). L'imperatore d'Oriente, Giustino I
(518-527) pubblicò un editto col quale bandiva gli ariani dall'impero,
sollevando le ire da parte di Teodorico. Questi, per rappresaglia, iniziò ad
infierire sulla Chiesa e sui cattolici, divenendo ingiusto e crudele.
Imprigioni, e fece uccidere personaggi famosi come Simmaco e Severino
Boezio. In Milano le prigioni dovevano essere ricolme di vittime. Ecco
che entra in gioco l'arcivescovo S. Magno il quale, anche grazie alla più
288
mite figura di Amalassunta succeduta nel 526 a Teodorico, fa liberare
questi prigionieri. Anche la comunità di Legnano ebbe cristiani liberati
dalle catene e la figura del santo rimase così vivida nel loro ricordo che
gli dedicò il primo tempio, unendo il nome di S. Magno a quello di S.
Salvatore, proprio per rafforzare il significato dell'opera del suo
arcivescovo.
289
Legnano e i suoi monumenti
Avevamo prima accennato ad un secondo antico reperto costruito in Legnano
con sassi e calce, (naturalmente nelle fondazioni i costruttori usarono anche i
pezzi di embrice e mattoni del periodo imperiale romano che è accertato non
mancavano sui luoghi di distruzione della più antica città). Questo grande
muro venne rivenuto nel 1951 dall'ing. Guido Sutermeister durante gli scavi
per costruire i nuovi palazzi INA con la galleria ed il teatro al centro di Legnano,
in via Magenta angolo piazza S. Magno. Esso rappresenta la fondazione di
una poderosa opera difensiva che era addossata ad una grande fossa nella
quale era stata deviata l'acqua dell'Olona, ad ulteriore difesa del nucleo
centrale di Legnano. Dunque il centro della Legnano del XI e XII secolo era
una vera e propria roccaforte militare. Per meglio capire quali fossero gli
abitanti che la frequentavano, ricordiamo in sintesi le precedenti pagine sulla
Legnano medioevale. Nel X secolo, in opposizione alle invasioni ungare, si
ipotizza la nascita nel centro vicino a S. Salvatore, probabilmente come in
quasi tutti i centri vicini di un primo nucleo difensivo.
In genere una torre fortificata al pari di quella romana, verso Castellanza,
fungeva da "sala" visto che si facevano scorte annonarie; vi era forse anche
un primo accenno di cinta murata. Legnano era prevalentemente in proprietà
ai rappresentanti della Chiesa.
L'arcivescovo infeuda queste terre alle soglie dell'XI secolo e si allea al potere
militare con Enrico II. Viene anche requisito il Seprio. Nasce cosi la secolare
inimicizia con il contado del Seprio e la veste di Legnano come sentinella
militare per Milano. Nel 1014 l'Imperatore lascia qui come milites sancti
Ambrosii e vassalli arcivescovili Amizio e suo figlio Erlembaldo che sono
antenati dei capi Landolfo ed Erlembaldo Cotta segnalati come proprietari di
un castello in Legnano assegnato dall'arcivescovo dopo l'infeudamento.
Tuttavia in Varese e nel Seprio serpeggia grande ostilità all'arcivescovo e
l'Arialdo che, come predicatore, incitava le popolazioni ad allontanarsi dal
potere arcivescovile e militare che le opprimevano, fu proprio con un
tradimento preso nel castello dei Cotta in Legnano. Certamente il maniero
doveva già essere stato munito di sale e opere di fortificazione piiù importanti
da Erlembaldo Cotta in aggiunta alla semplice costruzione fatta in difesa dalle
incursioni ungare. Nel XII secolo il nome dei Cotta tuttavia scompare.
L'arcivescovo rafforza il suo potere feudale su Legnano e, nel 1176 al culmine
dei contrasti tra il potere arcivescovile e comunale ed i reclamati diritti
dell'imperatore, viene presso questo castello preparata la Battaglia di Legnano.
290
Il carroccio si porta presso la fortificazione legnanese, le armate della Lega qui
convergono poichè sia l'appoggio logistico della torre che le scorte alimentari
qui tenute consentono l'organizzazione di un esercito per allora di notevoli
dimensioni. Inoltre il Seprio infido era ancora una volta alleato contro i Milanesi
e la sentinella Legnano, posta alle porte della Valle olona, era qui la vera
chiave di volta della difesa milanese. Espletate le famose gesta della battaglia,
gli arcivescovi presero Legnano come riferimento fisso per i loro frequenti
viaggi non sempre a carattere pacifico e qui vennero edificati, a fianco del
castello dei Cotta, una serie di edifici che concorsero a costituire la cosidetta
Mensa Arcivescovile.
Non erano vere costruzioni militari, ma case fortificate difese dal castello e dal
suo poderoso muro ristrutturato nel XIII secolo. Il più noto a noi di questi
palazzi è quello che oggi funge (ricostruito) da Asilo centrale. Esso è detto di
Leone da Perego, morto in Legnano nel 1257 e sepolto nella chiesa di S.
Ambrogio e di cui parleremo ampiamente in seguito. E' interessante notare
che proprio la più appariscente opera di fortificazione venne fatta eseguire
nell'agosto 1257 dai capitani e valvassori di Milano, sostenitori
dell'arcivescovo e dei nobili, i quali mandarono a scavare una grandissima
fossa intorno a Legnano per deviare l'acqua del fiume Olona (Corio vol. I,
Milano 1855, p. 494). Tale vallo è proprio quello trovato ai piedi del muraglione
del castello dei Cotta, dal Sutermeister. Esso partiva dal mulino arcivescovile a
nord dell'Olonella vicino alla chiesa di S. Agnese (più tarda) e, descrivendo un
grande arco a ovest di S. Salvatore, si ricongiungeva con l'Olonella e l'Olona
all'altezza di quella che oggi è chiamata piazza Carroccio.
Si era così formato uno spazio a forma di fuso allungato da nord a sud
completamente circondato d'acqua sull'esterno e difeso da mura notevoli (un
metro di spessore) sul lato ovest ove c'era il castello Cotta in forma
rettangolare (m. 22 x 6,50) a torrione allungato con varie sale di identiche
dimensioni, a ciascun piano, destinate agli armati ed al signorotto. Nell'angolo
sud ovest all'altezza di quella che è oggi via XXV Aprile si sono ritrovati i resti
di fondazione di un palazzotto addossato all'esterno ai muraglioni difensivi
della braida. Forse era il maniero più antico, ma nessuna notizia storica ci
aiuta a dare un nome a queste pietre. Esattamente dall'angolo dove trovavasi
questo maniero e perpendicolarmente a corso Magenta, la cinta muraria
proseguiva fino al palazzo di Leone da Perego e incontrava i muri di quello che
oggi è il salone del cinema Ratti, ma che fu (prima di essere svuotato al suo
interno) il palazzo nobiliare di Ottone Visconti anch'egli arcivescovo in Milano e
successore, nel 1277, di Leone da Perego morto nel 1257. Entrambi i palazzi
si affacciano su un cortile ancor oggi esistente, il quale attraverso una serie di
passggi sfocia in corso Magenta, su quella che doveva essere la piazza d'armi
all'interno delle mura difensive. Il portone d'accesso ai palazzi esiste ancora
291
oggi e anche se i cartelli del Cinema Ratti ed il tempo lo hanno privato del suo
primitivo splendore e degli stemmi affrescati, ci mostra tuttora la sobrietà e
compostezza delle antiche costruzioni del 1200 - 1300 legnanese, in cotto e
belle pietre angolari poste sia sugli spigoli degli edifici che nelle serraglie degli
archi, alternate ai mattoni lunghi e sottili tipici di questa epoca. Uscendo dal
portone arcivescovile su quella che oggi e via Magenta si trovava alla sinistra
un passaggio tra gli edifici e le mura difensive, a forma di portone con la parte
superiore ad arco che sosteneva dei vani di abitazione. Questo arco
scomparso nel 1818 fungeva da vera e propria porta meridionale della città
fortificata e la sua strada prendeva il nome di via Porta di Sotto e si
allontanava verso il castello di S. Giorgio. Sulla facciata portava lo stemma di
S. Carlo Borromeo che aveva ripreso l'uso di questa braida un poco
dimenticata dopo gli anni di Ottone Visconti. Quest'ultimo, dopo Leone da
Perego, doveva essere stato il vero artefice delle fortificazioni. Sopra il portone
le stanze costituivano un vero e proprio passaggio coperto che metteva in
comunicazione il Palazzo di Ottone Visconti (sala Ratti) con il castello dei
Cotta, che era integrato ad ovest nei muraglioni e forse con quel maniero
dell'XI o XII secolo che esisteva all'angolo sud ovest del quadrilatero difensivo.
Del lato nord delle fortificazioni non sappiamo nulla in quanto nessuno scavo
importante ha permesso di raggiungere la quota del terreno medioevale (circa
metri 1,50 sotto l'attuale piano di piazza S. Magno).
Il Palazzo di Leone da Perego era ancora sostanzialmente integro nel 1883
(anche se nei secoli rimaneggiato) esso consisteva in una costruzione a due
piani di pianta rettangolare con tetto a capanna misurante 33 metri di
lunghezza per 10 di larghezza, alto metri 9,50. Era integralmente costruito in
mattoni; infatti l'abilità dei fornaciai ereditata dai romani era tornata a fiorire
dopo le parentesi barbariche. Possedeva molte finestre bifore con arco ogivale
di facciata sempre ricavate con giochi di mattoni speciali sagomati e colonnine
centrali in pietra, con davanzale e archetti superlon ricavati in un unico blocco
di pietra. La finestra trifora che si vede oggi sopra il portale di ingresso della
curia arcivescovile è un moderno tentativo di imitare lo stile duecentesco del
palazzo arcivescovile e porta archetti in mattoni e non in pietra monolitica. Una
delle finestre originali e invece stata trasportata intera a Milano, e ancora oggi
ammirarla al museo civico completa sia di archi che di colonna centrale con il
suo elegante capitello a foglie stilizzate. Il motivo di queste finestre ogivali si
ritrova in seguito spesso ripetuto a Legnano fino alla metà del 1500.
Particolarmente belle erano quelle, ora salvate solo in parte, appartenenti alla
292
ex casa dei pittori Lampugnani in corso Garibaldi che hanno ritrovato
collocazione in una facciata moderna edificata sul luogo ove esisteva l'antica
casa.
Il palazzo arcivescovile era stato nei secoli trasformato e molte delle sue
finestre sia ogivali sia a pieno tondo, nel 1800, risultavano gla murate e
sostituite da piùl numerose e normali finestre rettangolari della fine del 1500.
Nel suo interno i grandi e lineari saloni del 1250 erano stati frazionati con nuovi
muri trasversali più ravvicinati e tutta la costruzione aveva perso la sontuosa
semplicità iniziale. Alla testata sud era stata aggiunta una loggetta chiusa con i
servizi a caduta sull'orto e sopra le finestre più grandi erano stati aggiunti dei
tettucci per meglio riparare la facciata. Il cornicione medioevale infatti era di
poco aggetto e formato da due file di mattoni sfalsati che sostenevano e
coronavano una terza centrale posta di spigolo a formare motivo decorativo. Il
tetto che da questo sporgeva appena, non era stato abitato fino alle
trasformazioni del 1500, nelle quali si era visto aprire delle finestre appena
sotto il cornicione stesso e nel timpano triangolare delle facciate. Il lato sud del
palazzo era contiguo all'altro edificio della mensa arcivescovile ora sala
cinematografica Ratti.
Si vede nei precisi rilievi ottocenteschi che i due edifici costituivano un tutt'uno
prospettando sul lato est e sud del cortile interno della braida. Sul lato sud del
palazzo di Leone da Perego si vede inoltre appena sopra alla suaccennata
loggetta, il segno inequivocabile di una aggiunta trecentesca composta da un
grande porticato anteriore alla facciata che prospetta sul cortile (a ovest).
Questo porticato alzato fino al secondo piano è quello che si vede ancor oggi
nella ricostruzione e funge da atrio d'ingresso per l'asilo delle suore di S.
Magno.
Attualmente è strutturato con tre archi poggianti su colonne. Nell'angolo destro
un antico scalone coperto portava ai piani superiori. I mattoni di facciata
presentavano i classici buchi quadrati dei ponteggi antichi distanziati ogni due
metri e mezzo in orizzontale ed ogni m. 1,50 in verticale. Nessuna
decorazione ad affresco era presente. Probabilmente i saloni erano abbelliti
solo con arazzi, stoffe e quadri.
Inoltre le notevoli trasformazioni interne avevano già fatto perdere gli intonaci
medioevali nel 1500.
Anche gli affreschi che erano presenti sopra il portone d'ingresso nel 1885 e
che vediamo in uno dei numerosi schizzi del maestro Pirovano (sulla destra
un'effigie del santo, sulla sinistra lo stemma arcivescovile dei Borromei) sono
andati perduti. Ci restano le due belle lapidi con gli stemmi viscontei, una
all'interno, l'altra sulla facciata di corso Magenta, più arcaica la prima, più
completa la seconda. Diversamente da quanto successe nei confronti del
palazzo di Leone che fu completamente demolito e rifatto, indulgendo un po'
293
troppo nella ricerca di ricostruzione di finestre bifore e nell'inserimento di pietre
a concio tra i mattoni con tipica scelta di restauro - ricostruzione propria del
secolo XIX, il palazzo di Ottone Visconti fu solo svuotato nel suo interno e vi
furono rinvenuti dei pregevoli fregi affrescati.
Questi fregi con le raffigurazlonl delle quattro stagioni alternati agli stemmi di
Ottone Visconti, ricchi di soggetti animali e puttini, non sono plu visibili poichè
la decorazione neoclassica con cui tutto l'interno del maniero venne rifatto per
ospitare la sala cinematografica Ratti, ha nascosto le antiche superfici.
L'esterno invece ha mantenuto i materiali antichi in pietra e cotto, è però
scomparso l'antico passaggio coperto che passava sopra via Magenta e si è
aggiunta una modifica per l'ingresso del cinema. Molte antiche trasformazioni
del palazzo ottoniano furono dovute anche a S. Carlo Borromeo, il quale lo
fece adibire a carcere per i sacerdoti.
Evidentemente in questa epoca l'Arcivescovado di Milano curava stabili, mulini
e rendite terriere, senza peri, trasferirsi in Legnano come residenza saltuaria e
tutti gli stabili medioevali persero le loro destinazioni originali. Resta
comunque tutta l'antica cadenza dei volumi degli edifici, lo spazio quasi a
chiostro dei cortili lastricati in pietra e il vialetto d'accesso che si diparte dal
portale d'ingresso. L'antica via di Porta di Sotto, come abbiamo già accennato,
si dirigeva verso il castello detto di S. Giorgio. Tale castello era però fuori dallo
spazio fortificato e difeso dalla roggia fatta scavare da Leone da Perego; infatti
questa iniziava e finiva fra due mulini sempre di proprietà arcivescovile. Il
fossato era infatti stato scavato anche per meglio fornire d'acqua i mulini stessi.
Il motivo della creazione della via Porta di Sotto era semplice; a sud lungo
l'ultima biforcazione dell'Olona, l'arcivescovo possedeva da tempo
immemorabile terreni ed anche degli edifici.
294
Chiese ed oratori trecenteschi
Il triste destino subito da tutti i palazzi signorili della Legnano rinascimentale
non tralasciò di accomunare alcune chiese ad una demolizione
altrettanto miserevole.
Questa sorte toccò, principalmente alle chiese conventuali, le quali subirono le
vicende degli ordini monastici stessi. Presenti nella Legnano medioevale
e rinascimentale in gran numero le comunità religiose presero a
scomparire dalla fine del 1500 in avanti.
Con loro persero di importanza anche i monasteri delle Clarisse (voluto dai
Vismara), degli Umiliati di S. Erasmo, dei Frati Minori osservanti
dell'antico convento di S. Angelo sorto già all'epoca di Leone da Perego;
scomparve il convento di S. Caterina edificato lungo via Lampugnani a
fianco della braida, il convento di S. Agnese presso l'attuale piazza 4
Novembre, il convento di S. Maria del Priorato, i cui ultimi resti furono
demoliti nel 1963. Facendo un esame di tutti questi edifici si finirebbe per
cadere in un discorso archeologico. Infatti di loro rimangono solo qualche
foto ingiallita, tanti documenti di fondazione, compravendite, donazioni, e
nei casi più fortunati qualche affresco strappato che ci riempie di stupore,
vuoi per la testimonianza di un onorevole passato, vuoi per il messaggio
culturale che ancora oggi è in grado di comunicarci.
Tutti questi conventi costruiti in sasso e mattoni erano dotati di un oratorio o
chiesina annessa (spesso solo aule rettangolari di modeste dimensioni)
che non sono sopravvissute al nostro secolo devastatore. Elenchiamo
quindi solo a titolo di testimonianza: la chiesa di S. Maria del Priorato che
ci ha lasciato un affresco con un ecce homo, dai cartigli ed alcuni conci
scolpiti; la chiesa di S. Angelo, che vestì per molti Legnanesi importanti la
funzione di ultima dimora e nella quale su affreschi molto antichi era
effigiato il beato arcivescovo Leone da Perego; la chiesa di S. Agnese
che, sopravvissuta al suo convento (in piazza 4 Novembre), era stata ai
primi del 1400 sconsacrata ed adibita ad uso civile; la chiesa
dell'Annunciata posta alla fine di via Corridoni e da lunghi anni in disuso
prima della demolizione ed il cui convento era posto lungo il Sempione
poco prima della casa Corio dotato di una piccola cappella priva di
divisione tra pubblico ed officiante; la chiesa di S. Nazaro in Legnanello
posta a fianco della località cosidetta La Morta, dove sono state
rinvenute le tracce del cimitero dei Legnarellesi; la cappellina di S. Chiara
nel convento donato dai Vismara (in corso Italia) ed una chiesa di S.
295
Maria in Legnanello (forse una nuova denominazione per il S.Nazaro che
per altro scompare dagli elenchi ufficiali delle chiese dopo il 1500)
demolita nel 1940 e posta tra il Sempione e via Galvani.
Dobbiamo purtroppo per esigenze di brevità tralasciare la descrizione degli
edifici scomparsi per i quali si rimanda il lettore ai preziosi scritti dell'ing.
Guido Sutermeister pubblicati a cura della Società Arte e Storia di
Legnano, continuando invece una descrizione dei monumenti rimastici ai
quali in ordine d'importanza si deve anteporre a nostra basilica maggiore.
Certamente non paragonabili, per importanza architettonica ed opere d'arte
contenute, alle più grandi chiese di S. Magno, S. Ambrogio, Santuario
delle Grazie e chiesa di S. Maria nascente sul Sempione, molte piccole
cappelle ed oratori della Legnano antica, sono riuscite a giungere integre
a noi, nonostante l'assedio loro portato dalla città moderna in evoluzione.
In ordine di anzianità esse sono:
la chiesetta di S. Erasmo, la chiesa di S. Martino, l'oratorio di S. Bernardino,
l'oratorio della Purificazione, l'oratorio della Ponzella, l'oratorio della
cascina Mazzafame e l'oratorio della cascina Olmina.
Sono tutte aule rettangolari di poche pretese architettoniche. L'origine è in
genere conventuale o si rifà all'ingrandimento di qualche cappellina sacra
da lungo tempo preesistente sul luogo.
Vengono adibite come oratori conventuali o, più tardi (Ponzella Mazzafame Olmina) come piccole chiese legate ad un complesso rurale in cui si
officia la domenica, per non sottoporre i fedeli a troppo lunghi
trasferimenti. Le dimensioni oscillano tra i 6-8 metri di larghezza ed i 9-12
metri di lunghezza.
Sono coperte con soffitto piano di legno e solo verso la fine del 1700 furono
dotate di piccola sagrestia o fu ampliato il campanile in precedenza
costituito da un semplice muro con aperta una finestrella per la campana,
sul tipo di quello che possedeva la chiesetta di S. Giorgio al castello di
cui abbiamo precedentemente parlato.
Tra tutte la più antica come luogo di culto deve essere stata la chiesetta di S.
Martino. Il fatto che sia legata al santo cui vengono dedicati molti
mortorietti, che sorga sul luogo più prossimo al teatro delle ultime fasi
della battaglia di Legnano, che sia stata usata come mortorietto fino alla
fine del 1600, ci induce a ritenerla ingrandimento di una cappellina votiva
del XII secolo. Essa è tuttavia stata rinnovata e la forma antica non
296
traspare più dagli attuali muri. I materiali costruttivi di queste chiese sono
il legno, il mattone, le tegole, le pavimentazioni in cotto; nessuna opera è
in marmo, eccettuata la soglia; l'altare è fatto in muratura intonacata con
alcune decorazioni in legno dipinto; anche le balaustre erano semplici
recinzioni in legno.
Un bell'esempio di questo tipo di altare e balaustra in legno decorato era
presente nella chiesetta del castello, come si vede ancora nelle fotografie,
ma è stato stupidamente distrutto in affannose ricerche.
Alle finestre spesso non erano apposti serramenti, ma solo grate con una
tenda. Grande semplicità quindi modestia di materiali. Le opere d'arte da
loro contenute sono poche anche se talvolta importanti per la storia di
Legnano.
In esse si coglie forse con più vigore la forza della fede dei Legnanesi antichi e
ci si avvicina alla vera vita del borgo fatto non solo di nobiltà, ma da tanti
agricoltori ed artigiani di gusti semplici e con un bilancio non sempre
attivo da far quadrare.
Per maggior completezza del discorso facciamo seguire una serie di note
riassuntive della storia di ciascuna delle citate chiesette con una breve
descrizione.
Posto lungo il Sempione a fianco dell'ospedale di Legnano, questo piccolo
oratorio (cubiti 14 x 33) è segnalato negli elenchi del 1300 lasciatici,
come già accennato, dallo storico Bussero.
Esso era affiancato all'ospizio-convento di S. Erasmo fondato quasi
certamente dal padre umiliato Bonvesin della Riva (morto nel 1313, il 5
gennaio).
Prima del grande ospedale-ospizio, di cui si è già parlato nella prima parte di
questo libro, una stazione tenuta dai frati, costituiva un'importante
struttura di asilo per i viandanti che percorrevano già nell'XI secolo,
l'antica Strada Magna oggi Sempione.
Questa stazione assunse il compito della cura dei malati e dei vecchi con
Bonvesin della Riva e fu quindi ingrandita e dotata, nel 1300, anche di
una chiesetta con un altare dedicato a S. Margherita. Il complesso
mantenne nei secoli fino al 1925, la funzione di ospedale e di orfanotrofio
e ricovero per i vecchi.
Vi era infatti sulla facciata una finestra dotata di una bussola rotante nella
quale, le donne, che non intendevano allevare i loro nati, di notte
lasciavano i piccoli "esposti" perché le suore li crescessero con carità
297
cristiana. Veniva data anche una certa quantità di vino e di pane alle
partorienti, e questo uso era richiamato da un affresco vicino alla porta.
La facciata dell'edificio duecentesca nelle forme architettoniche, era
letteralmente costellata da affreschi aggiunti di volta in volta da donatori o
viandanti. Formava un vero e proprio polittico di stili e colori.
Quando nel 1925 venne decisa la demolizione dell'edificio medioevale che
ingombrava il Sempione e doveva essere rimodernato per divenire un più
efficiente ricovero per anziani dotato di convenienti servizi, infermeria e
mensa, fu incaricato il pittore Gersam Turri di strappare le affrescature
più belle che sono ora custodite nel museo civico. Le altre vennero
invece distrutte assieme ai muri. La chiesetta-oratorio posta sul fianco
venne invece restaurata ed in parte rinnovata. All'edificio trecentesco, già
rimodernato nel 1490 da Gian Rodolfo Vismara, vennero modificati i muri
esterni, rifiniti in paramano e pietra, fu cambiata la facciata settecentesca
in lesene di cemento con portale a timpano triangolare e la facciata
stessa rifatta in mattoni fu adattata ad uno stile trecentesco un poco falso,
con una lunetta sopra il portale ed un rosone cieco al centro della
facciata "a capanna".
All'interno oggi troviamo uno degli affreschi strappati dalla facciata
dell'ospedale, che testimonia le origini del monumento. Sull'altare è
posto un bellissimo trittico donato da Gian Rodolfo Vismara nel 1492,
rappresentante al centro la Madonna col Bambino che tiene in mano una
rosa. Sulla sinistra un S. Erasmo e sulla destra S. Magno vescovo
benedicente.
Nel 1930 spesso si fece per questa pala riferimento a Benvenuto Tisi detto "il
Garofalo" che firmava i suoi quadri ponendo un garofano in basso a
destra. Questa attribuzione è tuttavia azzardata, in quanto il Tisi non
ebbe modo di dipingere nel Legnanese e secondariamente i fiori
raffiguranti nel quadro sono tutte rose.
Per la composizione delle figure e per il cromatismo, quest'opera ben
conservata, si inquadra molto bene nelle produzioni artistiche della
Legnano di fine 1400. Potrebbe essere quindi ascrivibile al Cristoforo
Lampugnani che dopo il Melchiorre aveva lavorato per i nobili legnanesi.
La cappella maggiore venne affrescata agli inizi del 1800 dal pittore legnanese
Antonio Maria Turri.
Sulla facciata laterale nel 1925 è stata trasportata una lapide in granito con le
date 1677 e 1927, alle quali si devono riferire eventuali lavori di
ammodernamento.
298
Come già accennato, questa chiesina sorge più vicina, tra tutte, alla zona che
vide le ultime fasi della battaglia di Legnano. Essa è posta quasi alla fine
di via 29 Maggio sul bordo di quella discendenza del terreno che i
Lombardi della Lega avevano scelto come ostacolo difensivo, per
attaccare dall'alto il Barbarossa atteso da Castellanza in valle. Tale
scoscesità era stata invece interpretata dai Tedeschi, giunti alle spalle dei
Lombardi da Borsano, come un baluardo scelto dai nemici a mo' di
impedimento per una propria ingloriosa fuga. lronia della sorte, una vera
e propria scelta sbagliata aveva costretto gli Italiani a battersi come leoni
per non morire ed aveva cambiato le sorti della battaglia stessa. La
dedicazione della chiesina a S. Martino appare antica quanto la battaglia
stessa.
La forma della chiesa è semplice, con un'aula rettangolare sulla quale, nel
1400, fu inserito un ampliamento. L'orientamento originale, nord-sud,
venne così modificato col trasporto della facciata ad ovest. La chiesa è
dotata di una piccola sagrestia con una bella volta a crociera e da
un'auletta laterale che doveva costituire locale per riunioni in occasione
delle processioni agricole.
Il padre prevosto Pozzo la definisce: chiesa campestre posta fra le vigne tra S.
Angelo et la Castellanza, et per quello si vede dalle scritte antiche fu
sempre con il nome di Chiericato, et è antichissima come dalle pitture, et
fabrica si vede.
Nel 1700 vennero chiuse le aperture a lato della navata principale che
consentivano di vedere l'interno del mortorietto e furono dotate di
serramenti anche le due finestrelle quadrate della facciata.
Venne infine costruito un campaniletto con una bella cornice mossa sopra la
cella campanaria.
Nel 1977, grazie all'interessamento della contrada di S. Martino, guidata da
Sandro Gregori, la chiesetta è stata restaurata con una nuova
pavimentazione (la primitiva era in cotto), si è provveduto a rivedere la
copertura, a pulire gli affreschi, a porre una vetrata artistica nella finestra
di facciata, opera di Roberto Maria Mascheroni. E' invece l'artista
libanese Elbacha l'autore di un grande mosaico policromo eseguito,
sempre con i temi della battaglia di Legnano e della contrada, come
pavimentazione marmorea del sagrato della chiesina.
L'antica strada che passava davanti a questa, giungeva un poco più a nord
vicino alla cosidetta via del Confinante (via Dandolo) ove si trova una
seconda chiesina ancor più antica, detta di S. Giorgio.
In questa si trovano affreschi databili agli inizi del 1300.
Nel suo intorno furono seppelliti molti morti e soldati (forse anche quelli della
299
battaglia, a giudizio di Sutermeister).
Tutta la zona detta in Galvagno (ricordiamo i reperti romani) dovette dunque
per secoli costituire un importante nucleo della Legnano più antica. Nella
chiesina di S. Martino, ci ricorda il maestro Pirovano, un Joannes
Lampugnanus dipinse una bella deposizione con la Madonna e le Pie
Donne, di sapore mantegnesco, attorno al 1480.
La terza e più recente (stando agli elenchi delle visitazioni di San Carlo - 1580)
delle piccole chiese di Legnano e' ubicata presso la cascina San
bernardino a sud-ovest della città, alla fine di via Liguria via Delle Palme.
E' un piccolissimo oratorio (cubiti 8 x 15), in cui si venera un affresco
raffigurante la Madonna, edificato a ricordo delle prediche di S.
Bernardino nel convento di S. Angelo, nell'anno 1444.
Il prevosto Pozzo ci dice che era più antica, e nell'anno 1642 fu intrapreso
l'uso di celebrare la festa di S. Bernardino, il 20 maggio. L'autore
racconta anche l'aneddoto riguardante un malvagio che, passando,
ruppe con un'archibugiata, la campana, ma colpito da mala sorte dovette
rendere l'anima otto giorni dopo per morte violenta. Subito dopo, la
chiesa venne messa a posto da padre Gervaso Crivello e venne per
lunghi anni officiata.
Nel 1800 vi si fecero dei lavori e il venerato affresco con la Madonna, il
Bambino, e S. Bernardino, fu restaurato in quanto presentava una grave
spaccatura dovuta alla caduta di un fulmine sulla chiesetta.
In quella occasione per riparare tutta la costruzione stessa furono abbattute le
due ali di muro a fianco dell'affresco e venne ricreato un arco con due
porte laterali le quali portavano in una cappella absidale semicircolare
aggiunta come coro all'oratorietto.
A proposito dell'affresco occorre ricordare un fatto curioso, nel 1940 esso fu
attribuito dall'ing. Guido Sutermeister a Daniele Crespi detto "il Cerano".
Tale denominazione sempre ripetuta senza osservare il dipinto, ha portato alla
comune nomea di "affresco del Cerano. Nel 1970 in occasione della
visita da parte del Sovrintendente alle Gallerie di Milano, questa
attribuzione fu esclusa, infatti il Cerano era molto più grandioso nel suoi
dipinti, inoltre, mentre il suo modo di ritrarre S. Carlo riproduce sempre il
naso adunco originale del Borromeo (lui lo conosceva in vita), il ritratto
presente in questa chiesina porta un naso, di grandi dimensioni, ma
diritto, esattamente come lo voleva la moda pittorica del 1600. La
chiesina inoltre era sotto il patrocinio dei Lampugnani e lo dimostra lo
300
stemma gentilizio sull'acquasantiera all'ingresso. Quando alla fine del
1700 si pose mano alle riparazioni dei danni causati dal fulmine,
l'affresco fu ritagliato e coperto da una cornice lignea con lesene e
capitelli che sorreggono una trabeazione a mo' di iconostasi sormontata
da due angioli.
In questo modo fu rovinato e scomparve il cartiglio con la firma dell'autore.
Questo si nota invece presente su un disegno del 1700 che riporta (due
volte) la scritta Fancicus Lampugnanus fecit 1644. Con questa dedica
cadono tutti i dubbi circa lo stile dell'opera che è proprio attinente a quello
dei fratelli Lampugnani soprattutto paragonandolo alla Pala d'Altare di S.
Ambrogio. Ed è anche più logico che anticamente i nobili Lampugnani
facessero lavorare i loro rinomati artisti, invece di chiamare un
concorrente da Milano. Tanto più che stando alle lettere del Perracino al
Cardinal Sfondrati, egli testualmente dice essere una cosa più fantastica
che reale il pensare di poter dare incarichi per pitture private al
Procaccini od al Cerano che erano oberati di lavoro per gli enti
ecclesiastici più importanti. Questo ovviamente ci allontana ancor di più
dall'oratorio di S. Bernardino.
Sempre nel 1800 la chiesina fu arricchita di una piccola sagrestia sul lato
sinistro, a fianco della torricella del campanile. Al suo interno il pittore
Antonio Maria Turri eseguì gli affreschi recentemente scoperti dopo
l'ultimo restauro degli anni Settanta.
In questa occasione l'intervento della Contrada di S. Bernardino ha permesso
di restituire salute fisica al tetto pericolante, ai pavimenti ed ai muri della
chiesa.
L'affresco venerato è stato spostato in fondo all'abside e l'interno della
chiesina è divenuto più grande per l'afflusso dei fedeli, essendo state
modificate le balaustre.
Legnanello fin dal 700 d.C. era stata una frazione staccata di Legnano; aveva,
già nel 1300, tre chiese.
La prima che abbiamo già visto era quella di S. Erasmo; la seconda era la
chiesetta di S. Stefano che però, sorgeva presso S. Vittore Olona, e
quindi è edificio più classificabile come non legnanese, la terza era la
chiesa di S. Maria o dell'Annunciazione che l'ing. Sutermeister individua
presso la località La Morta, lungo il Sempione e che, con ogni probabilità,
era dedicata prima ad un S. Nazaro poi scomparso come titolazione
dell'altare.
301
Quest'ultima chiesetta non compare più negli elenchi ufficiali delle chiese, già
nel 1530. In sua vece, nei cataloghi, comparirà, 17 anni dopo, un piccolo
oratorio presso il convento delle Canossiane della Barbara Melzi che,
assumendo il nome di S. Maria della Purificazione, fungerà da chiesa
parrocchiale per la frazione di Legnanello fino al 1902, quando verrà poi
eretta la basilica in stile neoromanico del Redentore.
La vecchia chiesina di S. Maria tuttavia rimase in piedi (forse sconsacrata) fino
al 1940, anno in cui venne allargato il Sempione e l'angolo di via Galvani
vide scomparire l'edificio che all'esterno presentava foggie secentesche.
La chiesina della Purificazione benché strutturata con un semplice oratorio
privato, è tuttavia molto aggraziata nelle forme.
In facciata presenta un bel portico con quattro colonne portanti degli archi
coperti da un tettuccio a capanna.
Il rimanente frontone è decorato con due finestre rotonde circondate da festoni
in stucco con fiori e frutta. Al centro una più severa finestra rettangolare
dona luce alla navata interna. Questa è unica e rettangolare, terminante
con un'abside. Nel presbiterio si trovano pregevoli affreschi dei pittori
Lampugnani Francesco e Giovanni Battista.
Attualmente viene usata come cappella privata dall'istituto delle suore
Canossiane con la cancellata posta sull'esterno a filo del colonnato
sempre chiusa.
Sul suo sagrato, fino alla fine del 1800, si tenne la caratteristica festa
legnanese del "Caru mi caru ti" il giorno 2 febbraio di ogni anno.
Con la creazione della nuova chiesa parrocchiale l'uso fu trasferito in piazza
Redentore.
302
Chiesa di Sant'Ambrogio
Questa chiesa, ora in triste abbandono, può, dirsi sicuramente l'edificio con le
origini più antiche ancora esistente nell'attuale città di Legnano. Il primo
tentativo di datazione dell'edificio fu fatto da un modesto cultore di storia
locale nel 1800, il quale non sapendo in che modo collocarne la nascita
assimilò il S. Ambrogio di Legnano a quello sorto nel 1339 in Parabiago
dopo la sanguinosa battaglia colà tenutasi.
Tuttavia il Pirovano ignorava la presenza in Legnano di fondi del Capitolo di S.
Ambrogio fin dal 800 d.C. e parimenti non era a conoscenza di
documenti antichi sia in Milano che in Legnano, nonchè delle tradizioni
popolari e canoniche che assegnano alla primitiva parte della chiesa di S.
Ambrogio di Legnano il compito di fungere da tomba nascosta per
l'Arcivescovo Leone da Perego. Questo fatto sposta la datazione
dell'edificio a prima dell'anno 1257.
Vediamo ora di andare a scoprire nel suo angolo ancora silenzioso questa
testimonianza della nostra cultura lombarda.
Per raggiungerla si percorre la piazza S. Magno, corso Magenta ed a destra
via Giulini. Le strade sono strette ed antiche, le case a due piani si
susseguono una attaccata all'altra ed ecco in via S. Ambrogio come uno
spazio triangolare con gradini con gradini consumati dal tempo che ci
portano al portico della chiesa.
Lo spazio, in cui la chiesa è collocata, ci sembra piccolo ma è il suo, quello
vero antico e mai modificato da secoli, più precisamente dal 1500
quando essa venne ampliata la prima volta. Ma quando è stata costruita?
Si può rispondere a questa domanda in due modi entrambi validi, ma
entrambi non facilmente dimostrabili. La sua storia è profondamente
legata alle origini di Legnano stessa. Dobbiamo risalire, aiutati dai
documenti storici, alla metà del 1200.
Legnano a quell'epoca era ancora divisa da Legnanello ed il borgo si
sviluppava attorno alla Braida Arcivescovile; infatti abbiamo visto che
l'edificio più bello e tuttora conservato con le funzioni di asilo serviva
come sede estiva per l'arcivescovo di Milano. In particolare il pio padre
francescano Leone dei valvassori da Perego, salito sul trono episcopale
che fu di S. Ambrogio, S. Galdino e di Ariberto, il 15 giugno del 1241,
soleva spesso sostare presso Legnano nel palazzo che si dice da lui
edificato, vuoi per sottrarsi all'afa di Milano, vuoi per servirsi di un più
sicuro rifugio dati gli innumerevoli colpi di scena del quadro politico, che
303
tormentavano la vita dei milanesi di allora. Il padre francescano Seveso
ci propone un racconto storico, sfrondato dalle invenzioni fantastiche.
"Bisogna rammentare, che l'Arcivescovo di Milano, nel duecento, era
ancora ritenuto nel diritto pubblico capo anche dell'ordine politico ed
amministrativo. A conservare questa prerogativa sostennero lotte gli
Arcivescovi Settala e Rizzoli. Leone da Perego tenne sempre alto
ilprestigio della Metropoli lombarda. In certe posizioni oscillanti seppe
sopire i partiti e mantenere l'unione. Egli era amato e tenuto in grande
considerazione a Milano e fuori. Dagli avversari era temuto perche'
teneva fronte ai partiti sovversivi. Egli aveva preservato la chiesa dalle
irruzioni eretiche, con i suoi suffraganei, strenuo esecutore delle direttive
pontificie, aveva sempre zelato la dignità del suo clero e conservato lo
splendore della liturgia ambrosiana. Negli ultimi anni del suo pontificato,
Milano sotto il podestà Manfredo Lanza (1233 1256) si mantenne in
tranquillità. Fu durante il regime di Emanuele Maggi, succeduto al Lanza,
che scoppiarono dissidi fra i nobili ed i popolani, e questi capitanati da
Martino della Torre e quelli da Paolo Soresina. Il Perego sedò il furore,
commettendo all'Abate di Chiaravalle, al generale degli Umiliati ed ai
superiori dei Francescani e dei Domenicani di riconciliare gli animi. Così
Milano ritornò in un sol regime nella persona di Enrico Sacco. Però la
riconciliazione durò poco. Nell'anno seguente
(1257) scoppiò una
fortissima rivoluzione che travolse tutti. I popolani sotto il pretesto di voler
vendicato il sangue di Guglielmo Salvi, ucciso dal nobile Guglielmo di
Landriano, guidati da Martino Della Torre si scagliarono furibondi contro i
nobili, non risparmiando neppure l'Arcivescovo e gli ordinari (canonici)
cacciodoli dalla città e predando le loro case. (Ragione ciò era il fatto che
legalmente un nobile che aveva ucciso un popolano poteva pagare lire
sette de Terzoli e dodici denari ed andarsene libero. Questo era il caso di
Guglielmo di Landriano che dovendo una grossa somma al popolano
Salvi aveva preferito ucciderlo e pagare molto meno ai giudici).
Leone da Perego si difese energicamente e da Castel Seprio, ove si era
ritirato, coi nobili ed i valvassori respinse i popolani del Della Torre. Indi
l'Arcivescovo, ad evitare la lotta cruenta, si rifugiò a Varese, accolto
trionfalmente, e di lui con la sua corte si recò a Legnano nel Palazzo
episcopale nei pressi della vetusta Chiesa di S. Salvatore. Le città alleate
accorsero tosto a salvare la posizione dell'Arcivescovo, e per ammansire
i popolazioni si stabilì la tregua, alla quale vennero invitati Francescani e
Domenicati. Intanto si rappaccificavano gli animi. Ma l'Arcivescovo
affranto dalle fatiche, venne colpito, come scrisse il Corio, da febbre
maligna che lo trasse al sepolcro il 14 ottobre 1257. Il Pio Arcivescovo
morì in fama di santità pienamente riconciliato coi popolani, ai quali
304
sempre dimostrò la magnanimità del suo animo buono e popolare".
Su questa riconciliazione però, pesano molti dubbi in quanto è solo indicata
nei documenti francescani (ordine di apparenza del Perego) mentre tutti
o quasi tutti gli altri scrittori antichi dicono che era fuggiasco da Milano e
inviso a molti.
Proprio la morte di Leone da Perego che ci porta per la prima volta il ricordo di
S. Ambrogio e alla rocambolesca vicenda di una sepoltura che in esso
era indicata. Infatti lo storico Padre Pozzo di Legnano nel 1650 scriveva
che facendosi dei lavori di ricostruzione nella antica chiesa di S.
Ambrogio "fu trovato il corpo di questo Arcivescovo Leone sotto un volto
nel muro poco elevato da terra tutto intiero in un grosso tronco di arbore
escavato a modo di culla et scrivendo questo viveano per sorte che
attestavano haverlo veduto. Venne ciò a notitia di S. Carlo vivendo qual
si trovò una sera in Legnano, et riconosciuto il tutto la mattina
immediatamente seguente non si vide nè l'Arcivescovo vivo nè il morto.
Correva voce che questo fosse riposto in S. Magno, et l'anno 1638 nel
mese di Maggio dovendo venir alla visita l'Emm. mo Monti Cardinale, et
Arcivescovo alla visita di Legnano, et sua pieve si fecero riparar alcuni
lochi nella medesima chiesa di S. Magno, et si fece diligenza in particolar
nel loco ove correva voce esser stato riposto, et non si trovò inditio
alcuno, ne
sin qui si è potuto saper ove sia stato riposto. Questo
Arcivescovo Leone era in grande stima p. a. fosse assunto alla sede
Archieple, come anco dopo, ma nata la discordia fra la nobiltà et plebe
della città di Milano. Leone adherendo alla nobiltà et con quella vivendo,
venne a scemare alquanto il buon nome che havea, et massime
venendo con l'arme a Varese, à Castel Seprio. Hanno alcuni detto che
male vixit".
Dunque se il Pozzo ha ragione la chiesa di S. Ambrogio deve esistere già nel
1263 anno in cui lui asserisce essere morto Leone. Ma altri storici ben
più vicini ai fatti occorsi assegnano la data di morte all'anno 1257. Ma
allora se la data del Pozzo è errata è forse errato anche il nome della
chiesa? Rimane un mistero. Infatti controllando gli elenchi sappiamo che
"Oltre a S. Salvatore vi erano certamente altre chiese nel borgo e nei
pressi di esso: abbiamo su questo argomento due fonti principali: il Liber notitiae Sanctorum Mediolani - attribuito a Goffredo da Bussero,
risalente all'incirca al 1304 e la raccolta - Notitiae cleri Mediolanensis del 1389. Nel primo è indicato oltre alla chiesa di S. Salvatore, la chiesa
di S.Agnese, che era situata, come abbiamo già visto all'incirca presso
l'attuale Banca di Legnano che fu distrutta all'epoca della costruzione di
S. Magno, di essa restava in piedi, nell'800, una parete decorata con un
affresco rappresentante la Vergine con alcuni Santi cui era unito uno
305
stemma Vismara: ciò, ha fatto supporre che la chiesa sia diventata un
oratorio privato di questa famiglia che andò a stabilirsi presso di essa.
Nel predetto elenco compare una chiesa di S. Martino, chiesa campestre che
si trova nel punto in cui si congiungono le attuali via S. Martino e
Bellingera. La costruzione presente risale però, al secolo XV e deve
essere quindi stata eretta sulle rovine di una cappella preesistente. Le
altre chiese qui indicate sono ancora quella di S. Maria, probabilmente
collegata ad un monastero di Umiliati e quella di S. Nazaro che però era
a quell'epoca già scomparsa, come pure la cappelletta di S. Tommaso.
Nell'altro documento del 1389 le chiese indicate sono le stesse, fatte
eccezione per la chiesa di S. Agnese, che non compare più, essendo
forse fuori culto, e per quella di S. Ambrogio, che compare qui, a quanto
ci risulta, per la prima volta: vale a dire sarebbe stata costruita nel corso
del secolo XIV e non potrebbe perciò, avere accolto il corpo di Leone da
Perego morto nel 1257.
Il problema della sepoltura dell'Arcivescovo resta quindi tuttora aperto, a meno
che non si ammetta una traslazione della Chiesa di S. Salvatore a quella
di S. Ambrogio" (Marina Cattaneo - Legnano nel Medioevo - Legnano
1975). Ciò sposterebbe la data di circa un secolo. Nel catalogo
beroldiano contemporaneo al Perego si dice che egli fu sepolto in S.
Salvatore di Legnano, bandito dal popolo milanese. Lo storico Galvano
Fiamma aggiunge che venne seppellito Viliter - senza onori fuori dalla
porta della chiesa. Queste considerazioni ci fanno ricordare il
ritrovamento di S. Ambrogio, tanto più che a lato sud della chiesa si sono
ritrovate, nel 1900 e nel 1935 anche altre tombe di epoca cristiana le
quali indicano S. Ambrogio stessa come luogo di inumazione. Che fosse
realmente Leone da Perego sepolto nella chiesa maggiore (?) del Borgo
di Legnano dal titolo di S. Ambrogio, eletta dallo stesso ancor vivente per
suo sepolcro, come ci dice nel 1733 Padre Pietro Nicolò Buonavilla (?).
Nulla è certo come certo non è che non errino coloro che indicano il
primitivo sepolcro in S. Salvatore spesso citato perchè vicino al Palazzo
Arcivescovile ed unica chiesa conosciuta di Legnano e solo successiva
la traslazione in S. Ambrogio.
In ogni caso è strano che se la traslazione del 1500 era provvisoria, si sia
dimenticato il corpo per tanti anni e senza un segno di riconoscimento.
L'ipotesi esatta ed attinente a quel Viliter della sepoltura ci porta ad un
angolo nascosto di S. Ambrogio e solo a quello rivolto a sud e verso il
cimitero esterno dentro un muro grosso e antico. La chiesa nel suo
aspetto attuale non ci rivela le sue origini. Quando nacque (1250 o 1350)
era solo una piccola aula, forse la cappellina dedicata a S. Tommaso che,
come è successo a quasi tutte le chiesine di Legnano, venne poi
306
riedificata mantenendo un altare o un affresco venerato al suo interno (S.
Bernardino - Le Grazie - S. Martino - La Madonnina ecc.). Nel caso di S.
Ambrogio non vi è più traccia di tale affresco o altare in quanto tutta la
chiesa è stata rigirata e rifatta. I primi documenti che ne forniscono una
descrizione appartengono agli atti delle visite pastorali dei due grandi
Borromeo, San Carlo e Federico. Cito direttamente le ricerche dello
storico Mons. Giuseppe Galli. "Nel 1566 Ecclesiae cappellae sanct
Ambrosii loci Legnani est valde antiqua et in parte immin ruinam ...sine
caelo (soffitto) cum campartili et campana " viene dato ordine: "Fiat
caelum saltem ligneum; reficiatur campana: Claudatur de nocte, et
imponatur portae et ostio vectes fortes et imponatur onus alicui
claudendi illam de nocte et mane reserandi". Dunque, nel 1566, la chiesa
era ancora cadente, non aveva nè volta nè soffitto, e neppure una
qualche cosa per cui potesse chiudersi di notte. Non era certo stata
ricostruita in quel tempo. La chiesa misurava cubiti quattordici di
larghezza e cubiti ventiquattro di lunghezza (cubito 0,44 m. = 6,21 x
10,64) e venne chiamata cappella di S. Ambrogio. quasi in stato di
abbandono e senza arredi ed ha sulla parte sud un porticato ad archi che
viene indicato da chiudere. Se il tetto è in rovina, significa che come
chiesa era alquanto disattesa, tal quale capita alle chiesette cimiteriali
una volta che il morto non ha più posto nella memoria dei Legnanesi,
tanto più che sulla tomba non ci sono lapidi ad indicarlo. Proprio durante
detti lavori di chiusura viene scoperta la tomba di Leone da Perego.
Cerchiamo di capire quale forma avesse la primitiva chiesina
denominata cappella di S. Ambrogio in Legnano. Essa si chiarisce,
rileggendo le note delle visite pastorali compiute sotto S. Carlo Borromeo.
E' doveroso ricordare come questo Santo, salito alla cattedra
arcivescovile in un periodo molto difficile politicamente ed
economicamente per la Lombardia, grazie al suo carattere, fosse
intransigente verso ogni forma di clientelismo, di corruzione, di
malgoverno.
Avendo egli trovato anche molto disordine nell'organizzazione della chiesa
aveva emanato tutta una serie di prescrizioni riguardanti la dottrina, il
culto ed anche gli edifici di culto stessi. Lo strumento principale da lui
usato perché queste disposizioni contenute in un suo libro dal titolo De
Fabrica Ecclesiae venissero applicate, era costituito dalle visite pastorali
frequenti, con ordini perentori, con minacce ai trasgressori con
imposizioni di multe o di chiudere al culto le chiese o i conventi dei
canonici che non avessero ottemperato ai suoi ordini.
Infatti aveva rinnovato anche per S. Ambrogio gli ordini del 1570 aggiungendo
" si provvega di una pietra sacra la quale se inserischi nella mensa
307
dell'altare. Si murino gli archi fino alla cima et il spatio resterà dentro
d'essi archi si accomodi per sacristia et altri servitii della scola. La chiesa
tutta si repari et orni et principalmente la cappella maggiore quando si
potrà. Il suolo della cappella si facci uguale al pavimento della chiesa et
se li facci la sua bradella condecente. Li scolari della confraternita della
pertitenza ai quali havevamo concesso et applicato come ex nunc, li
concediamo detta chiesa, osservino le Regole d'essa Confraternita
descritte nell'erezione d'essa scuola da noi fatta. Ordeniamo al Curato di
Lignano al quale se ritrovano uniti da noi li redditi di questa chiesa venghi
a celebrar la Messa quale in virtù della detta unione doveva ogni
settimana celebrare in la parrocchiale, e ciò farsi subito dopo che li
scolari haverano hornato la chiesa e provisto de paramenti conveniente
per la celebratione della Messa.
Li suddetti scolari, caso che prete Laurentio de Sabbio capellano della chiesa
di S. Maria de Arconate non li paghi li scudi XII d'oro in oro quali fra un
mese doppo il giorno della visita doveva pagare conforme alla
ordinatione da noi contro de lui fatta, vengano da noi che li
provvederemo "
I Legnanesi ligi a tante ulteriori prescrizioni diedero immediatamente mano alle
opere tanto che nella visitazione del 28 gennaio 1580 si legge: Arch. Cur.
Arciv. Sez. X - Vol. VI fasc. 6 (visita pastorale) Legnano 1580 addi 28
Gennaio - Ordinationes nella Chiesa di S. Ambrosio de Disciplinti.
L'altare s 'accomodi col telaio e sollevi almeno de una oncia e mezza. Si
faccia a una finestrella nelli archi alla forma. La lampada si reporti fuor
delli cancelli. Sopra l'altare se vi faccia un baldacchino e questi decente
et in essa chiesa nnz si celebri sintanto che sarà accomodato detto
baldacchino sopra l'altare". La troppa fretta evidentemente li aveva
portati a murare del tutto gli archi senza più lasciare entrare luce nella
cappella maggiore.
La forma della chiesa evidentemente comincia ad essere più chiara grazie alla
descrizione del 1582 (dal latino) .
"La chiesa di S. Ambrogio nel predetto borgo di Legnano è stata da poco
riparata dagli scolari qui preposti ad usare le dodici monete d'oro
provenienti dalla multa imposta dall'arcivescovo illustrissimo al parroco di
Arconate. La chiesa ha un unico altare ad occidente, vi sono una pietra
sacra, la croce e candelabri, paramenti, il paliotto ed una tabella per
l'esposizione dei documenti secondo il rito romano. Nel quadro in cui si
vedono la Madonna - S. Ambrogio e S. Agostino, il volto della Madonna è
rovinato, la mantovana di cuoio è stata dorata e la predella restaurata
alzata di un gradino, e da cancelli di legno è stata circondata. Il quadro è
proprio contro la parete che si trova tra il campanile sporgente
308
nell'interno della chiesa e la parete a fianco dell'altare. Vi è pure una
finestrella nella quale una volta si conservava il S.S. Sacramento. La
chiesa è formata da una sola navata con il soffitto formato da assi,
tuttavia essa non fu consacrata con i segni di consacrazione causa le
pareti intonacate grossolanamente ed il pavimento che non era ben
lastricato. Prima, la chiesa stessa era suddivisa in due navate, ma la
navata a Sud da poco tempo separata, si rivela molto più grande di
quella laterale come appare anche dalle pareti rustiche sotto gli archi
della chiesa che sono stati chiusi ed attraverso i quali si passava da una
navata all'altra, tanto più che su questa navata a Sud è stata ricavata
nella parte superiore la scuola destinata al coro dei Disciplini, costituito
come già scritto come decreto dell'anno 1570. La porta era ad Est, una
finestra con una grata di ferro ed una tenda sul lato Nord. Una porta a
Sud attraverso la quale si accede alla predetta navata Sud. Nella stessa
chiesa sopra la porta maggiore vi è un coro pensile in legno per i
disciplini. Ci sono infisse alle pareti due acqua santiere, vi sono le
bradelle per le donne. Il campanile a Nord è quadrato e molto alto con
una campana, la sua porta è senza serramento. Nei giorni di festa in
questa chiesa si insegna con una scuola mariana la Dottrina Cristiana."
Seguono quindi le prescrizioni del cardinale.
"Nella predetta chiesa di S. Ambrogio si ridipinga la parte della icona dove la
Beata Vergine Maria è rovinata. Si chiuda entro otto giorni il piccolo vano
nella parete a lato dell'altare. Si intonichino le pareti rustiche e si dia loro
una imbiancatura. Vengano immediatamente tolte da questa e dalle altre
chiese le "Bradellae mulieribus", fra un giorno pena la sospensione delle
celebrazioni fino a che non saranno tolte, nè le si mettano nelle chiese se
non comuni e con la forma (prescritta). L'altare ha un palio ed una
pianeta di lana (cambellotto) bianca con gli ornamenti delle reliquie. E'
stata posta sopra una porta alla apertura del campanile. Che il sacerdote
Battista Crespi celebri una volta alla settimana nella chiesa come
prescritto da noi nel 1570. Nè ad alcun ordine religioso senza licenza
scritta venga permesso di celebrare in detta chiesa". Orbene, se prima le
idee circa l'aspetto della chiesa erano confuse ora siamo di fronte ad una
notevole quantità di rivelazioni. La più importante tra le quali è fuori da
ogni dubbio quella riguardante la definizione Alias praedicta ecclesia erat
in duas naves distincta. Una chiesa a due navate! Sicuramente una
simile tipologia di edifici è qui da noi sconosciuta, a meno di non risalire
alle costruzioni alto medioevali, nelle quali spesso ad un primo impianto
di navata unica si univa una seconda navata per ampliamento. In ogni
caso dalla descrizione emerge una situazione precisa La chiesa è
cadente, un soffitto di assi, aperta su un lato che confina con una specie
309
di porticato ad archi aperto e molto elevato.
Sul fianco nord si inserisce un campanile molto alto, anzi troppo alto per una
cappellina di soli 6 x 10 mq. La parete sud ancora aperta lascia vedere
un dislivello tra il pavimento ed il piano di questa specie di porticato .
Questa situazione di abbandono e le incongruenze architettoniche inducono
con immediatezza a formulare un'ipotesi (affascinante quanto non
dimostrabile, in assenza di una ricerca degli antichi muri e pavimenti
sepolti sotto l'edificio che vedremo sarà poi rifatto nel 1590 circa) legata
ancora alla storia dell'arcivescovo Leone da Perego. L'insistenza con la
quale i documenti dicono che fu sepolto Viliter e fuori dalla porta della
chiesa fa escludere come luogo di inumazione S. Salvatore, tanto più
che la scoperta del suo corpo in S. Ambrogio fa scalpore anche in antico,
quando cioè la memoria collettiva della società era più vigile che non ai
giorni nostri. Se leghiamo questi fatti alla strana forma descritta per la
chiesa primitiva viene da pensare che S. Ambrogio fosse solo l'inizio di
una costruzione più importante, voluta sempre da Leone da Perego, il
quale intendendo non idonea la vecchia chiesa di S. Salvatore (che verrà
distrutta da altri per il medesimo motivo) pensava di creare a Legnano
una sua basilica. Purtroppo la sua morte prematura e le inimicizie che si
era attirato fecero molto probabilmente cessare ogni lavoro attorno alla
chiesa, e la porzione della stessa ormai eretta venne usata come
nascondiglio per il suo corpo. La chiesa era probabilmente sconosciuta
ai compilatori degli antichi elenchi ufficiali, semplicemente perché non
era stata ancora in gran parte costruita. Ma in Legnano una tacita
venerazione esisteva per l'arcivescovo morto: lo dimostrano due cose. In
Legnano esisteva una chiesa francescana a titolo S. Angelo. Padre
(Burocco) Giuseppe Bernardino de Modoetia, in un manoscritto della
Capitolare di Monza, dice che il primo dei sette altari sulla destra
dell'ingresso è dedicato a S. Giuseppe, e su di essi si vedono dipinte
parecchie immagini di nostri (del suo ordine) beati, e principalmente
quella del Beato Leone da Perego arcivescovo di Milano con sotto la
scritta che esso giace nella chiesa di S. Ambrogio di Legnano, e l'effige
porta i raggi (della santità) attorno al capo. Anche le ricerche dello storico
prof. Giuseppe Galli lo confermano. "La stessa pittura che il Burocco
descrive con un latino piuttosto alla buona, fu vista anche dal Giulini che
ne parla nelle sue Memorie .
Egli osservò: <<Sopra un pilastro entrando a mano destra la di lui (Leone da
Perego) immagine coi raggi intorno al capo, e col titolo di beato aggiunto
al nome, ed anzi, accurato osservatore qual era, nota che il 'B' preposto
al nome di Fra Leone, era stato dapprima scassato e ricostruito. Anche
l'estensore dei risultati della visita pastorale del card. Pozzobonelli, che
310
avvenne nella seconda metà del secolo XVIII, (1761) vide lo stesso
dipinto, e ne parla descrivendo la chiesetta di Sant Ambrogio: "In hoc
oratorio S.Ambrosio sacro olim tumulatum fuisse cadaver quondam
Leonis de Perego Archiepiscopi Mediolanensis, nec unz communis
antiquissima fama est, sed etiam clare comprobatur tum ex vetustissima
inscriptione sita sub fenestra capellae sub titulo S. Joseph in Ecclesia
fratrum Minorum Observatiae huius oppidi Legnani".
Che il dipinto fosse antico, e certo non posteriore alla metà circa del sec. XVI,
lo attesta il Giulini, il quale afferma che i caratteri dell'iscrizione erano più
antichi di quelli in uso all'epoca di S. Carlo. Come prova della sepoltura in
S. Ambrogio, e non nella chiesa del Salvatore, l'estensore del resoconto
della visita pastorale citata porta la antiqua fama.
Queste parole non sono un semplice accenno e tal fama in Legnano doveva
esservi, ne è la prova un brano che tolgo da una minuta della visita
eseguita nel 1566, la prima fatta a Legnano per ordine di S. Carlo: "Inter
bonza autem quae Legnani sita sunt adest antiqua domus vetusta ac
quasi diruta, non procul ab ecclesia, quam incolae Archiepiscopatum
vulgo dicunt, asseruntque copertum asse historiis ex antiquis annalibus.
Mediolanenses Archiepiscopos ibi certo anzi tempore habitare
consuevise, inter quos quondam nominatum Leonem da Perego ibi
extremum diem obiisse, ibique sepultum, acilicet in ecclesia parva divi
Ambrozii, sed postea translatum ad ecclesiam divi magni". V'era dunque
in Legnano, nel sec. XVI , una tradizione che diceva Leone da Perego
sepolto non nella chiesa del Salvatore, ma in S. Ambrogio, piccola chiesa,
ed oratorio del borgo. E, aggiungiamo subito, questa tradizione aveva
avuto la conferma nel fatto indubbio, che in S. Ambrogio ne era stato
trovato il cadavere, e di là traslato in S. Magno, ossia nella chiesa che nel
primo decennio circa del secolo XVI (1504-1513) era stata ricostruita
sull'area dell'antica chiesa del S. Salvatore.
Che dire allora della affermazione del catalogo beroldiano, del Papini, del
Pizzolpasso, e dell'altro catalogo ambrosiano? Certo concilia ogni cosa
una primitiva traslazione da S. Salvatore in S. Ambrogio: l'epoca si
potrebbe facilmente precisare; quando cioè fu demolita la chiesa del S.
Salvatore prima del 1504.
Tale è l'opinione di un moderno cultore di memorie storiche legnanesi.
Non vi è però nessun documento storico che parli di questa prima rimozione.
Anzi, pochi decenni dopo, come lo prova il brano riferito alla visita
pastorale, si ritiene in Legnano che il luogo della prima sepoltura fosse S.
Ambrogio e di lì traslato in S.Magno .
E' possibile che in così poco tempo si sia perduta la memoria del primitivo
luogo di deposizione? Perchè, sia da quanto accenna la visita pastorale
311
del 1566, sia pure ancora, da quanto narra il prevosto Pozzi nel suo
manoscritto appare chiaro che a S. Salvatore non si pensi, affatto
quando fu scoperto il cadavere di Leone.
A parte l'antica venerazione dei francescani legnanesi nonchè la curiosa lotta
di S. Carlo Borromeo che certamente per giusti motivi aveva fatto
eliminare la "B" di Beato (poi subito rimessa dai frati) per evitare non
consone idolatrie, un secondo argomento ci porta a credere S. Ambrogio
tomba discreta dell'arcivescovo.
A sud della parte della cosiddetta cappella o navata maggiore i Legnanesi
cristiani si facevano seppellire vicino all'arcivescovo.
Si può tentare seguendo le descrizioni fin qui riportate di ricostruire la vecchia
chiesa. Vediamo anzitutto in pianta dove doveva trovarsi prima della
trasformazione del 1590. Il campanile ed il muro ad esso addossato,
nonchè il fondo su cui era impostato l'altare, ricalcano le linee della
costruzione attuale. Invece è sparita la parte di chiesa costituente la
seconda navata più grande ancora, nel 1566 aperta a mo' di portico.
Prende forma la possibile impostazione della chiesa a navata centrale
con transetto, iniziata soltanto per ordine di Leone e non eseguita,
all'infuori dell'imposta centrale e di un solo lato del transetto, nel quale si
viene a ricreare uno spazio d'emergenza per sfruttare la zona più chiusa
e coperta dal tetto. Di questa ipotesi può essere buon testimone il
campanile che, mai toccato, dimostra con le sue dimensioni
ragguardevoli di essere parte di un progetto ben più ambizioso che non
una semplice cappellina.
La seconda ipotesi circa la nascita di un simile organismo a due navate,
potrebbe essere quella di un ingrandimento (magari a scopo celebrativo)
di una primitiva cappellina, cui aggiungendosi un porticato, si sarebbe
dato l'aspetto di un mausoleo per Leone da Perego, rivolto verso il
cimitero cristiano, (in questo caso però, stona la presenza del campanile
alto e non tornano i conti circa lo stato di non finizione dell'opera. Grandi
archi aperti, pavimenti non eseguiti, chiesa senza porte, passaggio
diretto dalla "chiesina" al porticato?). Come già accennato è molto più
probabile invece il fatto che i Legnanesi accingentisi a costruire una
chiesa più grande nei borgo, visto morire il patrocinatore per di più in
disgrazia col popolo di Milano, abbiano usato l'erigenda costruzione
come luogo di inumazione frettolosa e nascosta per il loro arcivescovo.
Infatti è proprio demolendo l'antico porticato da poco chiuso ed il suo
muro confinante con l'antica cappella che fu scoperto il feretro di Leone
certamente non da poco traslato perchè nessuno se ne ricorda (almeno
ufficialmente), nè sepolto con onore, perchè giaceva in un tronco scavato
in fretta e non in un'urna degna di un arcivescovo, e senza alcun segno
312
esterno. Sono con lui solo le preghiere dei Legnanesi nobili e dei
francescani che addirittura lo beatificarono. Nel seguente decennio viene
invece radicalmente trasformata la chiesa. Infatti le innumeri imposizioni
di modifiche ed aggiunte ordinate da S. Carlo prima e poi da Federico
Borromeo , fanno si che i Legnanesi armati di buona volontà, dopo la
visita del 1587, pongono mano ad un rifacimento totale dell'edificio per
ovviare ai problemi di spazio, diversamente non risolvibili con il primitivo.
Si giunse così in Legnano, alla fine del 1587, alla decisione di abbattere
quasi dalle fondamenta la chiesina (tranne il campanile, già alto) per
edificarne una con una grande navata e dotata sul lato sud - ovest di
sagrestia e locali per i Disciplini.
Questo atteggiamento non era nuovo per i Legnanesi allora di indole
particolarmente alacre.
La chiesina vecchia non aveva il soffitto in muratura; negli antichi muri le
moderne volte a botte con lunette interposte non potevano essere
inserite. Inoltre l'antica chiesina già girata e rigirata non aveva una
dimensione ed un decoro adatti sia alla scuola dei Disciplini che al censo
dei lasciti agli altari. Vennero quindi abbattuto tutto il vecchio corpo di
fabbrica tranne il campanile ed i due muri laterali dell'altare.
L'antichità di questi ci viene assicurata da due testimonianze storiche, l'una è
quella della presenza sulla destra, a fianco del campanile della finestrella
in cui venivano riposte le specie e che con S. Carlo dovette essere
chiusa. Sotto l'intonaco ancora oggi suona il vuoto della nicchia; l'altra è
la presenza delle porte inferiori e degli accessi al coro superiore che ci
vengono descritti in antico presenti tra le due navate della chiesa e che
tuttora occupano la parte sinistra delle antiche mura che racchiudevano
l'altare medioevale. Per il resto la chiesa venne totalmente rinnovata ed i
capomastri crearono come prosecuzione della cappellina più antica una
nuova navata rettangolare (insegna la chiesa del Gesil a Roma) di circa
m. 15 x 9, suddivisa in tre campate. Ogni campata venne voltata con una
crociera e l'antica cappella iniziale fu coperta con una volta a botte. Nelle
lunette sotto le volte a crociera furono ricavate delle finestre rettangolari
e alcune di queste vennero ripetute anche nella parte inferiore per
aumentare la luminosità dell'ambiente. Nella nuova facciata venne
creato un porticato con due pilastri lesenati esterni e due colonne in
granito di baveno rosa interne, portanti una serie di tre volte a crociera
molto leggere.
Lo spazio della chiesa sopra le volte dell'ingresso venne sistemato come
nuovo coro dei Disciplini e con dimensioni di gran lunga maggiori rispetto
a quell'antico sopra la porta. La chiesina ancora svolgeva infatti
essenzialmente la funzione di oratorio dei Disciplini e un ruolo di
313
preminenza doveva essere dedicato alla musica sacra. Nel corso del
XVII secolo la chiesa era stata dotata anche di un organo che venne più
tardi venduto per difficoltà economiche e poi ricomprato su istanza dei
cittadini. La nuova volta aveva regalato ai Legnanesi una sonorità più
gradevole ed intensa durante i concerti. L'antico costume di cantare le
preci sotto il porticato aperto lasciatoci da Leone da Perego, aveva preso
vigore e conoscenza dei nuovi canoni estetici musicali. La Legnano
secentesca in questa chiesa, più che in S. Magno ove l'antico organo
degli Antegnati non era più all'altezza della nuove estensioni vocali in
uso (il canto antico era più basso e greve come tonalità), soleva
celebrare e ripetere i nuovi estetismi culturali del canto e della musica
sacra. Lo spazio tuttavia non era ancora consono a servire il gran
numero degli scolari e dei Disciplini .
Dalla descrizione delle visite emerge che, morto S.Carlo Borromeo, dopo
Gaspare Visconti, il subentrante Federico Borromeo arcivescovo di
Milano dispone anche l'edificazione del corpo di fabbrica posto a fianco
del campanile sul lato nord, dal quale, mediante una scala coclideia, si
accede ad un ballatoio ed alla balconata interna del coro e dell'organo.
Nella prima metà del 1600 la chiesa viene affrescata dai pittori
Lampugnani di Legnano. Il fatto che siano nostri conterranei ha forse
indotto i Legnanesi a dimenticare questa famiglia di pittori, i quali, oltre
alle molteplici opere locali, hanno affrescato chiese importantissime
come ad esempio il Santuario del Sacro Monte di Varese con due
cappelle, e che hanno sempre superato in bravura pittorica i più nominati
fiamminghi di Milano. Alla loro arte si devono opere raffinate tra le quali la
pala d'altare del convento di S. Maria in Canonica a Milano, e conservata
tra i capolavori del Louvre.
Delle pitture dei Lampugnani rimangono il grande affresco sulla sinistra (m. 4 x
2) che rappresenta S. Ambrogio a cavallo ricevuto dai dignitari di Milano
dopo la sua acclamazione a vescovo. Il dipinto è di grande respiro e
molto bello, per il movimento dei personaggi e per l'inserzione di piccoli
particolari di paesaggio che rappresentano la Milano antica.
Anche le lunette sotto le volte sono tutte dei Lampugnani e rappresentano otto
profeti in larghi panneggi, la data 1613 vicino alla firma dei pittori è stata
ritoccata, dovrebbe essere infatti 1618. I Lampugnani Francesco e
Giovanni avevano eseguito ad affresco anche la volta della chiesa, ma di
questa si vedono solo bellissimi puttini ora attorniati dalle decorazioni
neo-barocche fatte dal pittore Furrer nel 1900.
Costui aveva anche ripreso a tempera i quadri centrali ad affresco delle volte,
per uniformarli con quelli della nuova parte di chiesa che vedremo
aggiungere più tardi. Sui due piloni frontali della cappella dell'altare
314
maggiore sono visibili un S. Blasio ed un'altro Santo poggianti su due
basamenti. L'umidità ha fatto sfiorire la figura di destra e si nota che essa
è stata ridipinta su una più antica dedicata a S. Ilario.
Probabilmente questa è dei Lampugnani e può essere recuperata togliendo le
alterazioni del 1900.
Sempre dei pittori Lampugnani: il quadro ad olio con la Madonna ed i santi
Carlo, Francesco e Magno che, una volta spostato l'altare, venne
collocato sulla nuova parete di fondo ove si trova tuttora. Infatti la chiesa,
nel 1740, risultava ancora una volta troppo angusta per il carico di lavoro
che la scuola dei Disciplini doveva svolgere. Si decise quindi di ampliarla
ancora una volta, demolendo l'antichissima parete dell'altare risalente al
1257 ed allungando tutta la fabbrica sia nella parte della navata che dalla
parte dell'antica sacrestia. La pala dei Lampugnani venne spostata come
si diceva verso il fondo e circondata da una bella cornice ad affresco di
mano di un Bellotti di Busto Arsizio (da notare che le famiglie artistiche
dei pittori Lampugnani Bellotti e Crespi rappresentano assieme a quella
dei Turri a loro volta eredi dei Bellotti, le origini artistiche e la
continuazione storica di una tradizione lombarda di pittura sacra che
nasce dal 1400 e termina ai giorni nostri). Il grande valore in lunghezza
della chiesa era apparentemente sproporzionato in quanto l'ala nuova di
fondo si apriva su una vasta sala laterale che serviva per i raduni dei
membri delle consorterie e ultimamente, attorno al 1948 alla catechesi
dei bambini per la Comunione e la Cresima. La parete di fondo verso cui
si trova l'altare è decorata con una pregevole prospettiva settecentesca
che aumenta la profondità dello scenario. Appese alle pareti vi erano
numerose tele settecentesche alcune delle quali sono ora presso il
Collegio dei Capitani unitamente a panche, crocifissi ed i cosiddetti
"cilostri" delle processioni.
Attorno al 1957 infatti la parte sud - ovest della scuola è stata murata fino agli
archi per ricavarne locali a disposizione dei Capitani del Palio di Legnano
e questo fatto ha portato alla dispersione di alcune opere d'arte in
Legnano, peraltro recuperabilissime in quanto tenute in debita custodia.
Con questa modifica la chiesa ha in parte perduta la sua sonorità
musicale interna che, con la sistemazione del nuovo organo dei
legnanesi Carrera nel 1886 sul palco del coro dei Disciplini aveva
assunto forma e livelli artistici elevatissimi.
"per la chiesa di S. Ambrogio, il De Simonti Carrera costruì un organo 'ex novo'
nel 1886. Troviamo infatti, fra le Deliberazioni della Fabbriceria
Parrocchiale di Legnano in data 12 ottobre 1886:
Il primo fabbriciere dà comunicazione del Collaudo del nuovo Organo della
chiesa di S. Ambrogio, costruito dal fabbricatore Sig. Antonio de Simoni 315
Carrera, dando lettura del voto emesso il 22 agosto 1886 dell'Egregio Sig.
Prof. Carlo Fumagalli di Milano ...
E il Fumagalli non solo stese l'atto di collaudo, ma inaugurò l'organo il 22
agosto 188d. Dall'epoca della sua costruzione sino ad oggi l'organo non
essendo mai stato alterato o minimamente toccato, neppure per semplici
operazioni di ripulitura e accordatura, rimane uno strumento di grande
interesse perche' conserva intatta la sua originaria fisionomia".
(Stella e Vinay - I Carrera - Legnano, 1973).
Questo organo è ancora intatto, però purtroppo non gode di manutenzione da
quasi trenta anni, il che ne garantisce senz'altro l'antica struttura
strumentale ed i timbri, ma non la longevità.
L'allungamento settecentesco aveva ripetuto la forma della navata del 1600,
senza nulla variare. Solo le finestre erano state un poco modificate sulla
destra, mentre sulla sinistra verso lo spazio della "scola" erano stati fatti
degli archi su colonne. L'altare un poco avanzato rispetto alla parete di
fondo permetteva la presenza di un grandioso coro ligneo cui si
affiancavano sulla sinistra le panche dei Disciplini. L'antica chiesina
poverissima era ora diventata grande, adorna e ricca di stoffe e argenti.
La Legnano del XVIII - XIX secolo la frequentava sia per l'istruzione sia
perchè era centrale per la città. Nel 1923 monsignor Gilardelli la dotò di
un salone cinematografico intitolato Teatro Pio XI che andò a completare
l'attrezzatura dell'oratorio e del Centro giovanile.
Le volte del 1700 vengono affrescate e si copre in parte anche la decorazione
dei Lampugnani. Pian piano altre iniziative sia della chiesa sia pubbliche
portano questa antica scuola al disuso o all'oblio odierno. Con
l'insediamento di monsignor Giuseppe Cantil alla basilica di S. Magno si
sono provveduti a lavori di risanamento del pavimento mediante
copertura di quello antico con uno strato di marmo saccaroide.
Il risultato ha nascosto le ondulazioni e le lapidi tombali, ma non ha rimediato
all'umidità della chiesa.
Altri interventi più drastici sono necessari per ridare alla città questo antico
centro di vita e cultura.
316
La basilica di San Magno
Fra tutti i monumenti legnanesi quello che maggiormente ci viene invidiato per
la sua maturità artistica è sicuramente la Basilica di S. Magno. Quando
nel 1504 iniziarono i lavori sotto il patrocinio delle famiglie Lampugnani e
Vismara i Legnanesi si erano appena disfatti della chiesa protoromanica
di S. Salvatore, che era sia strutturalmente che culturalmente non
recuperabile, nè sufficientemente dignitosa per un borgo benestante
come il nostro.
Il Rinascimento aveva riportato in architettura al loro pieno splendore i fasti
compositivi e strutturali dell'epoca imperiale romana. Vi aveva aggiunto
tuttavia una miglior conoscenza dei materiali costrutti, vi che aveva
permesso di snellire le strutture murarie, ma soprattutto la cultura di
questo secolo si esprimeva con forme leggere, dimostrando un notevole
equilibrio interiore. Tutto è misurato, ed in ogni particolare d'opera d'arte
si coglie il gusto e la maestria del suo creatore. Verso la fine del 1400 un
grande ingegno tormentato, Leonardo da Vinci, obbedendo ad una sua
esigenza interiore, cercò, nelle sue opere di esprimere l'anima ed il
movimento delle cose. In questa ricerca egli sarà maestro; allievi ed
esteti del tempo apprenderanno più tardi questo insegnamento. Era
divenuto imperativo nel Cinquecento per ogni artista dare vita autonoma
alle proprie creazioni, fornirle cioè di anima.
Orbene, Donato Bramante universalmente indicato come padre inventore
della nostra basilica, non poteva sottrarsi a questa lezione di spiritualità
trasmessa dal più giovane Leonardo.
Il mezzo ch'egli più usò per trasfondere vita e movimento nelle forme
architettoniche fu l'impostazione piantistica delle chiese, con schema
visuale centrale.
Mentre in antico si era sempre ricalcata la forma basilicale (anche in S.
Salvatore) con una prospettica interna monodirezionale verso l'altare,
nelle nuove chiese a pianta centrale bramantesche i fedeli si trovano
immersi in uno spazio che da ogni lato riserva scorci, visuali, giochi
architettonici sempre diversi con simmetrie mirabili.
La chiesa a pianta centrale invita a ruotare lo sguardo e, durante le varie ore
del giorno, dalle sue finestre entrano raggi di sole che mutano sempre i
giochi di luce sulle superfici delle volte e degli archi. Anche sull'esterno
l'edificio si anima. Mentre nelle basiliche troviamo una facciata principale
e poi tanti scorci minori come importanza (una delle rarissime eccezioni a
317
questa regola è il Duomo di Pisa, fruibile in tutto il suo intorno), le chiese
bramantesche sono volumi da osservare in tutto il loro insieme, formano
paesaggio urbano da ogni angolo prospettico, non hanno una facciata
vera e propria con angoli e lati minori, ma vengono impostate come
volumi in cui simmetrie magistrali si ripetono a 360 gradi. L'attribuzione
della paternità del nostro tempio a Donato Bramante di Asdrualdo (Urbino)
nasce da due fattori. Il primo è rappresentato dalla Storia delle chiese di
Legnano (1650) del prevosto di S. Magno Agostino Pozzo, che nel
descrivere la nascita della basilica dice:
Questa fabbrica è dissegno per quello si tiene di Bramante architetto de' più
famosi habbi hauto la cristianità, è questa fabrica molto riguardevole a
cionque la mira attesa la bella proprotione ella è in ottavo, et quadrata, e
di presente con sette altari, in tal modo disposti che uno non è d'alcun
impedimento all'altro. E' fatta in volto con le nize sotto per porvi le statue,
havea altre volte infaccia una sol porta sopra la quale si legò qui versi
postivi l'anno 1518 d'Alberto Bosso qual viveva in quei tempi facendo
schola di grammatica in Legnano ove anche morto fu sepolto. ...
Il distico già ricordato all'inizio del libro avverte il viandante che Legnano è
ricca, colta e nobile.
Nel libro La Basilica di S. Magno a Legnano da me scritto con l'aiuto di Mosè
Turri Junior, nel 1974, con molteplici argomentazioni e documenti riportati,
si chiarisce come il Bramante non fosse più a Milano all'epoca in cui la
Legnano rinascimentale si accingeva ad edificare il suo capolavoro.
Tuttavia è credibile che, come letteralmente dicono le parole del Pozzo,
egli lasciò il disegno della chiesa.
Il secondo fattore che rende credibile l'attribuzione antica, nasce molto
semplicemente dalla lettura critica della composizione architettonica della
chiesa. Come abbiamo prima accennato è dopo Leonardo da Vinci, il
quale fa scuola in Milano, che nascono il gusto e l'invenzione piantistica
osservate in Legnano. Anche il Pozzo, che architetto non è, subito
individua il quadrato e l'ottagono legati mirabilmente, stupisce e gioisce
del fatto che da ogni lato si possono vedere gli altari senza che si
disturbino. Tutto l'impianto architettonico è un inno alla simmetria tesa a
far volgere lo sguardo in un continuo di prospettive visive sempre nuove
pur restando l'osservatore sempre nel medesimo punto dell'edificio.
Una tale "invenzione" di spazio è sconosciuta nel 1400, e fino all'inizio del
1500 non sarebbe stata prodotta dalla cultura lombarda. Bramante
agisce intorno al 1492 in Milano, a fianco di Leonardo da Vinci e, mentre
si occupa della chiesa di Santa Maria delle Grazie, inizia il suo discorso
culturale dirompente nei confronti delle piante basilicali allungate. Egli
combina una croce greca maggiore con croci greche minori negli angoli
318
ideando un sistema di tre gradi architettonici, identico a quello disegnato
in S. Magno, ognuno dei quali è subordinato a quello superiore (cappelle
angolari, cappelle principali più grandi, tamburo ottagonale e cupola fuse
sopra i grandi piloni che separano le cappelle o i timpani).
Nella nostra chiesa tuttavia la forma è ancora più essenziale e le proporzioni
raggiungono una raffinatezza estrema. E sembra piovuta dal cielo in
Legnano, ed è evidentemente ideata da una mente colta e geniale che
già pensa alle scelte architettoniche per il nuovo San Pietro in Roma.
Non può essere il prodotto di una cultura locale, esce dalla tradizione di
Milano o Legnano con una tal violenza inventiva che risulta impossibile
pensare ad altri autori se non al Bramante.
Esempi simili, ma più tardi, si trovano in Lodi, Saronno, Pavia, Crema. A Busto
Arsizio la notizia dell'edificio fa subito tanto scalpore che
immediatamente la copiano in scala minore edificando S. Maria di piazza.
Queste chiese, tutte a pianta centrale, non sono fatte da Bramante, bensì
da suoi seguaci, ed infatti pur essendo molto belle, mancano della
essenzialità, pulizia ed armonia presenti invece con mirabile equilibrio nel
S. Magno di Legnano. Non dimentichiamo che i legnanesi iniziarono nel
1495 a programmare l'eliminazione del S. Salvatore e quindi la vera data
in cui S. Magno fu pensata è di ben nove anni precedente a quel 4
maggio 1504 in cui fu posta la prima pietra.
A realizzare la chiesa provvide un capomastro affiancato dal nostro maggiore
artista di quel tempo, legnanese per adozione (abitava in Milano), il
giovane pittore Gian Giacomo Lampugnani. Lontano parente dei
Lampugnani di Legnanello e dei proprietari del Castello, Gian Giacomo
era l'artefice più adatto per esperienza e sensibilità artistica che potesse
assumere il delicato compito di trasporre in muri i disegni e le indicazioni
del Bramante. Questi preziosi progetti sono però oggi scomparsi e, con
ogni probabilità, furono due le occasioni in cui vennero dispersi. La prima
nel dicembre del 1511 quando venne saccheggiata Legnano e furono
bruciati dei ponteggi anche nella chiesa ad opera di truppe svizzere in
guerra con i francesi per la cacciata di Ludovico di Valois dal Ducato
Milanese.
La seconda nel 1610 quando dovendosi rigirare gli ingressi, l'ingegnere
camerale F. M. Richini venne a Legnano per studiare il tempio cui doveva
edificare una nuova facciata.
L'edificio venne comunque iniziato con grande lena nel 1504 e terminato, nelle
strutture murarie, il 6 giugno 1513. Subito si provvide a dotarlo di
decorazioni interne che lo facessero eccellere tra le costruzioni coeve.
Per quanto invece riguarda l'esterno i Legnanesi si arrestarono con i lavori nel
1513. Forse mancavano soldi (ricordiamo che il borgo di allora era di
319
poco inferiore alle 2000 anime), forse mancarono le idee decorative,
oppure attendevano lumi estetici da Bramante, ma questi lumi non
arrivarono mai poiché il grande architetto si era spento a Roma, nel 1514.
E' noto che di norma i grandi artisti volevano eseguire personalmente le
decorazioni ed i motivi architettonici esterni delle loro creazioni. Era infatti
necessaria una stretta collaborazione tra l'artista e gli esecutori per poter
rifinire un monumento, inoltre la gelosia professionale degli architetti del
tempo faceva si che nessuno di loro anticipasse con disegni di cantiere
l'estetica esterna dell'edificio che, sia per i tempi lunghi di costruzione, sia
per le incertezze economiche di finanziamento, era molto poco
prevedibile come date di finizione. L'esterno della basilica rimase perciò,
per molti anni rustico in mattoni. Anche gli interventi del Richini non
furono che marginali e a distanza di ben cento anni dalla posa della prima
pietra.
Era intervenuto a frenare la costruzione anche un fatto socio economico. La
primitiva spinta culturale, sostenuta da forti donazioni, proveniva dalle
casate nobili che risiedevano a Legnano solo temporaneamente, ma
appartenevano per censo e potere politico agli ambienti di governo in
Milano.
Con l'avvento delle dominazioni francese, spagnola e per ultima austriaca,
queste caste nobiliari persero sia parte dei loro privilegi sia l'abitudine di
usufruire delle loro proprietà in Legnano come sedi di soggiorno estivo.
Legnano quindi subì un grave depauperamento dovuto all'avvenuto
scollamento tra questi poteri nobiliari milanesi e la gestione delle loro
proprietà di provincia. Anche la progressiva scomparsa degli ordini
monastici qui presenti coi loro conventi portò all'allontanamento del
potere arcivescovile dal borgo. La basilica rimase quindi orfana del suo
aspetto esterno. Al contrario si può affermare che nel suo interno è di una
ricchezza e splendore difficilmente eguagliabili .
La prima e più importante opera pittorica venne eseguita dal maestro Gian
Giacomo Lampugnani, nel 1515, che eseguì una affrescatura della volta
ottagona con candelabre a grottesca di notevole forza ed eleganza.
Ricavate con tinte bianche e grigie in chiaroscuro su un fondo blu
lapislazzolo, le decorazioni sono di una scenograficità e compostezza
raramente uguagliate.
Lo storico Muntz rimasto estasiato da questo capolavoro, lo definì nei suoi
scritti di critica artistica "la più bella grottesca di Lombardia".
Essa si inquadra perfettamente nel concetto di centralità di pianta, espresso
dall'edificio. Non ha infatti una direzionalità del disegno, ma ripete
specularmente la scansione di spicchi uguali delle tarsie marmoree del
pavimento e invita a ruotare lo sguardo con movimento circolatorio che
320
man mano sale come in una spirale che termina sotto la lanterna posta al
culmine della cupola.
I motivi ad animali e piante rispettano anche il notevole slancio della struttura
muraria. Essa è costruita in mattoni forti come tutto il resto della chiesa,
eccezion fatta per il campanile antico. Come già detto la parte di
fondazioni absidali ed il campanile romanico del S. Salvatore, furono
riutilizzate nel 1504.
Anzi il campanile stesso fu abilmente sfruttato facendogli fungere la cappella
minore nel lato destro della parete sud.
La cappella di S. Maria e S. Giuseppe che vicino a lui si ritrovava fu rispettata
nella sua forma e dedica. Questa in seguito accolse nel 1640 l'organo
Antegnati quando venne chiuso il portone rivolto verso l'attuale municipio.
L'organo stesso accresciuto dai Carrera e poi dai Maroni trovò posto nel
nuovo ampliamento della facciata operato nel 1914 dall'architetto
Perrone.
Per meglio cogliere le numerose modifiche subite in quasi 500 anni di storia,
riporto alcuni dati cronologici :
4 maggio 1504 - Inizio della fabbrica. Note del tesoriere Alessandro
Lampugnani Sutermeister - Memorie 4 - 5.
10 aprile 1510 - Gettata una campana di 50 rubbi.
24 maggio 1510 - Gettata una campana di 80 rubbi. Note del tesoriere
Alessandro Lampugnani. Storia de "Le chiese di Legnano" di P. Pozzo.
1O dicembre 1511 - Incendio e saccheggio di Legnano ad opera degli Svizzeri
in guerra con i Francesi per la cacciata di Ludovico di Valois dal Ducato
Milanese. Note del tesoriere Alessandro Lampugnani.
6 giugno 1513 - Compimento della fabbrica. Note del tesoriere Alessandro
Lampugnani. Storia de "Legnano" di P. Pozzo. Distico del maestro
Alberto Bosso, ora sopra la porta detta del Prevosto, aperta sotto il
vecchio campanile verso la casa canonicale.
15 dicembre 1529 - Francesco Landino, vescovo di Laudicea e suffraganeo
dell'arcivescovo di Milano, consacra la chiesa.
1542 - Restauro e sopralzo del vecchio campanile.
7 agosto 1584 - Traslazione della Prepositura.
1610 - Trasferimento della facciata da nord a ponente, apertura delle porte
laterali del nuovo prospetto e chiusura delle vecchie porte verso nord e
sud. Archivio di S. Magno.
2 luglio 1611 - Rafforzamento del campanile romanico e aggiunta di due nuove
campane più pesanti.
321
20 agosto 1611 - Il cardinale Federico Borromeo consacra le nuove campane.
1638 - Restauro della torre campanaria.
2 dicembre 1752 - Costruzione del nuovo campanile. Archivio di S. Magno.
1840 - Apertura della porta centrale in facciata, primi restauri sotto la direzione
dell'ing. Turconi. Rafforzamento della cupola e demolizione
dell'abitazione del sacrestano prospiciente il palazzo municipale.
12 novembre 1850 - Relazione della commissione per i restauri composta dai
pittori F. Hayez, Antonio De Antoni e dallo scultore Giovanni Servi,
insegnanti a Brera, fatta all'I.R.G.A. (Imperial Regio Governo Austriaco)
su proposta del reverendo prevosto Ponzoni.
1888 - Progetto di restauro dell'architetto sacerdote Locatelli parroco di
Vergiate, non approvato dalla Conservazione dei monumenti per la
Lombardia. Presentatore monsignor Domenico Gianni, predecessore di
monsignor E. Gilardelli.
1909 - Costruzione della nuova sacrestia.
20 luglio 1910 - Danni alla chiesa ad opera del ciclone.
1911-1914 - Inizio dei lavori diretti dall'architetto Luigi Perrone
Sovraintendente alla conservazione monumenti per la Lombardia.
Restauro dei tetti e chiusura delle murature sottotetto. Distruzione delle
aggiunte barocche. Rifacimento degli intonaci. Prolungamento dell'atrio
della chiesa. Progettazione e rifacimento della facciata e applicazione dei
timpani alle porte di ingresso. Il pittore Albertazzi progetta ed esegue i
graffiti in facciata.
1963-1964 - Sotto la direzione dell'architetto Pietro Scurati Manzoni
espressamente delegato dall'ing. Luigi Crema, Sovraintendente alla
conservazione dei monumenti in Lombardia: rifacimento dei tetti ed
esecuzione di un secondo tetto sopra l'altare maggiore. Rifacimento degli
intonaci e dei vecchi graffiti in facciata, pittore Giannino Colombo.
Restauro dei resti del campanile romanico.
Ottobre 1967 - Demolizione della vecchia casa canonicale costruita nel 1500 e
successivamente ampliata due volte; nel 1600 e nel 1700. Inizio della
costruzione del nuovo centro parrocchiale. Architetti Enrico Castiglioni e
Ezio Ceruti. Impresa Silvio Saredi.
1972 - Inaugurazione del centro parrocchiale da parte dell'arcivescovo
cardinale Giovanni Colombo.
Volendo descrivere l'interno della basilica con completezza non basterebbero
poche pagine, infatti la chiesa si è nel corso degli anni arricchita in ogni
suo angolo di tali e tante opere d'arte, che si è veramente imbarazzati nel
doverne tralasciare all'esame qualcuna .
Seguendo un criterio cronologico possiamo però, almeno iniziare l'esame di
322
questi piccoli e grandi capolavori .
Si è già detto che, immediatamente dopo aver terminato la struttura muraria,
un maestro Gian Giacomo (Lampugnani, stando alla tradizione), nel 1514,
dipinse la cupola ed il tamburo fino alle cornici.
L'anno successivo la famiglia Lampugnani commissionò, le affrescature della
cappella di S. Agnese, che si trova alla sinistra di chi entra. Il soffitto
richiama con alcune grottesche la decorazione della cupola della basilica
in chiaroscuro su fondo azzurro.
Sui lati due grandi scene riguardano la Madonna con i Santi. Sul terzo lato di
sinistra, ove in un tempo successivo si ricavò, una finestra rettangolare,
era posto un quadro di Giovanni Battista Lampugnani con una
deposizione ora portata nella cappella del battistero. Gli affreschi sono
quasi sicuramente dello stesso maestro Giacomo, autore della cupola.
Nella zoccolatura inferiore trovano posto parte degli stalli lignei, tolti nel
1967 dal coro della cappella maggiore, ove coprivano alcuni affreschi.
A parte la pala del Giampietrino di cui abbiamo già parlato a proposito della
tradizione che la vorrebbe presente intorno al 1490 nella chiesa del S.
Salvatore poi abbattuta, e gli affreschi del Gian Giacomo, i lavori nella
chiesa si arrestarono per alcuni anni (1516-1523). In questo tempo
imperversava la peste in Milano ed il pittore Bernardino Luini, che aveva
preso in affitto dai signori Prandoni una casa a Legnano, fu incaricato con
atto rogato dal notaio Isolano della Corte Arcivescovile, di dipingere un
polittico di notevoli dimensioni (metri 3 x 5).
L'opera è stupenda e, tra tutte quelle cui diede vita l'artista, a detta dei critici, la
migliore.
Il Luini crea, servendosi del telaio in legno intagliato come di un castello
architettonico, una sorta di scenografia, in cui ripete il motivo delle cornici
vere nello sfondo del dipinto. In questo scenario quasi a rilievo egli
inserisce le figure dei santi Pietro e Battista - Magno e Ambrogio, sui lati.
Al centro imposta, in una tavola di eccezionale grandezza, una Madonna
con bambino attorniata da angioletti musicanti. Sopra, in un timpano, si
staglia la figura del padre eterno. Lo zoccolo riporta alcune piccole scene
dipinte a chiaroscuro con la passione di Gesù Cristo. Tutto il polittico era
inserito in una grande cornice con due ante che lo proteggevano e
venivano aperte durante le funzioni festive. Queste ante pure dipinte dal
Luini purtroppo, nel corso dei secoli, furono dapprima smontate e poi
disperse.
323
Questo capolavoro nel suo scrigno non è più completo; restano però due
angeli dipinti sullo sfondo del contenitore sopra il Padreterno.
La cappella maggiore aveva subito un ampliamento dopo l'incendio del 1511,
le sue pareti erano state solo intonacate, ornate con decorazioni
semplicemente graffiate con motivi a tondi e cerchi. Su questo sfondo la
pala del Luino doveva sembrare accolta in maniera non degna.
Nel 1562 venne quindi incaricato un allievo del grande Gaudenzio Ferrari,
Bernardino Lanino affinchè dipingesse la volta e le pareti della cappella
maggiore. Usando come punto focale delle sue rappresentazioni la pala
del Luini (con l'altare accostato alla parete di fondo, e poi spostato nel
1587), il Lanino affrescò una sequenza di otto grandi scene, più due
piccole sopra le finestre. Ai lati del polittico pose un S. Rocco ed un S.
Sebastiano grandiosi nel disegno e delicatissimi negli incarnati. Sui piloni
dell'arco trionfale infine raffigurò il Salvatore - Gesù Cristo e S. Magno
ricordando cosi la dedica della Basilica.
Nelle lunette sopra il cornicione della cappella oltre ai classici quattro
evangelisti, mise i dottori della Chiesa: Gregorio e Agostino a destra
Ambrogio e Girolamo sulla sinistra.
Infine si dedicò al soffitto con volta a crociera, tenendo chiaro il colore per
contrastarlo col blu e grigio della cupola e decorandolo con quattro tondi
a puttini su sfondo giallo oro ed una serie di piccole decorazioni a festoni,
figurine che ricordano molto il gusto quattrocentesco lombardo.
Anche l'arco trionfale non fu tralasciato, ma ornato con angioli in volo e cornici
geometriche decorate con frutti.
Il Lanino non tralasciò il risvolto della decorazione della cappella verso
l'ottagono e lo risolse con due candelabre di frutta e ortaggi che
raggiungono il cornicione. Nello spazio tra l'arco ed i piloni della chiesa
pose due tondi sorretti da angeli con le teste di due profeti.
All'epoca in cui terminò questo capolavoro (1564) la decorazione dei piloni
della chiesa era tutta eseguita con fasce grigie. Nel 1923 il motivo dei
tondi con i profeti fu ripreso dal pittore Gersam Turri e completato su tutto
il perimetro. Anche i pilastri e le voltine dei pennacchi furono decorati con
gusto attinente alla grottesca della volta e diedero alla chiesa uno
splendore ed una completezza raramente eguagliabili. Nel 1967 queste
decorazioni furono rifatte ad affresco seguendo i cartoni originali dal figlio
di Gersam tutti, Mosè Turri Junior, che nell'occasione esegui anche un
accuratissimo e lungo restauro degli affreschi del Lanino. Questi a causa
dell'umidità del tetto, presentavano distacchi e sfioriture degli intonaci
molto preoccupanti.
324
Posta a destra vicino all'ingresso, questa cappellina venne dipinta nel 1556 da
uno dei figli del Luini. La tradizione dice grossolanamente Aurelio Luini, in
quanto costui era più conosciuto, ma sia le date che l'esecuzione degli
affreschi portano al nome di Evangelista Luini.
Egli dipinse la scena con il martirio di San Pietro inquisitore attorniato da belle
figure di Santi sui lati della cappella; sulla volta, alcuni angeli ed un
Padreterno. Nel 1576-77 a causa della peste vennero ricoperti con la
calce tutti gli affreschi della chiesa, eccetto le scene del Lanino.
Questo scialbo impedì che nel 1610 i muratori che aprivano un nuovo
passaggio nel campanile romanico, si accorgessero di essere intenti a
distruggere l'affresco del S. Pietro martire. Anche il trasporto nella
cappellina dell'organo Antegnati contribuì alla distruzione dei dipinti.
Nel 1830 quando venne spostato una seconda volta I'organo, si poterono
notare le tracce di questi affreschi. Asportato lo scialbo, fu rifatta la scena
centrale con San Pietro pittore Beniamino Turri. Dopo quasi un secolo
riapparvero anche le figure laterali e gli angeli della volta. Il pittore
Gersam Turri rifece nel 1900 la figura del Padreterno, mentre, nel 1967,
Mosè Turri Junior, restaurando tutto l'insieme, mise allo scoperto anche
le due figure più in basso ai lati, che erano state per gran parte
scalpellate.
Le cappelle grandi di destra e sinistra furono decorate dopo il 1610. Quella a
sinistra dell'ingresso era dedicata al S. Crocifisso. In antico portava una
piacevole prospettiva a corona dell'altare marmoreo tuttora esistente.
Questo accoglie sotto una teca con un pregevole Cristo deposto che si
trovava nella cappella Vismara, sopra un grande Crocifisso, qui
trasportato dalla sagrestia, cui furono aggiunte l'Addolorata e la
Maddalena in stucco, di pregevole fattura del XVIII secolo.
Le pareti che portavano le insegne di S. Carlo Borromeo furono riaffrescate nel
1925, quando cambiò la dedica della cappella. La cappella di S. Carlo fu
spostata sul lato sinistro, ove prima esisteva un passaggio verso le case
canonicali che affiancavano la chiesa in faccia all'attuale palazzo
Malinverni.
I nuovi affreschi del 1925 sono opera del pittore Eliseo Fumagalli scenografo
di professione; essi denotano nella costruzione delle scene la dedizione
al teatro, caratteristica di questo autore. La cappella dirimpetto ora
dedicata all'Assunta, era in origine, ingresso alla basilica. La pala che vi
si ammira è quella del Giampietrino (1490?). Quando, spostata dalla sua
325
sede più antica, venne collocata in questa cappella (1610) la sommità
della stessa pala fu completata dai fratelli Lampugnani con un bellissimo
Ecce Omo. La decorazione ad affresco delle pareti raffigura una
complessa prospettiva d'ambiente con colonnati marmorei e soffitti
cassettonati. Come mano pittorica e soggetti decorativi, può, essere
attribuita agli architetti Gio. Batt. e Girolamo Grandi (1646) autori di
un'uguale prospettiva nella XII cappella del Sacro Monte di Varese. I
fratelli Lampugnani vi aggiunsero alcune figure e un volto di puti attorno
al polittico del Giampietrino.
Essi decorarono con un cielo ricolmo di angeli musicanti anche la volta e l'arco
principale della cappella (1633). L'aspetto pittorico di tutto questo insieme
è gradevole, caldo, e armonizza molto bene con la decorazione esterna
del tamburo. Da notare che fino al 1640 la tavola centrale dell'altare era
ancora presente. Poi venne dispersa. Al suo posto si trova ora una
pregevole statua cinquecentesca della Madonna.
Come abbiamo già accennato la terza cappella sul lato sinistro fu solo nel
1923 dedicata a San Carlo. In precedenza si ricorda un altare a San
Antonio Abate poi scomparso assieme ai quadri a lui dedicati.
Attualmente vi si possono vedere due tele seicentesche con San Carlo che
visita gli appesati e San Carlo in estasi. Gli autori sono sempre i
Lampugnani, o Francesco o Giovan battista.
Nel 1924 fu dato incarico al pittore Gersam Turri di eseguire ad affresco, nelle
campiture delle belle decorazioni a stucco secentesche, delle figure
chiaro scuro e dei puttini nella volta.
In fronte all'attuale cella di S. Carlo vi si trovano due accessi alle sagrestie. Le
pareti di questa cappellina sono state lasciate in bianco dopo l'ultimo
restauro della chiesa, per fare capire ai visitatori come fosse spoglia nei
vani laterali della basilica, prima del 1923.
Unica e pregevole opera antica qui presente è una Madonna di sapore quasi
cinquecentesco affrescata con dolce maestria da Francesco Lampugnani
legnanese nel 1620.
Si trova sul lato sinistro della cappella dell'altare maggiore.
Oggi accoglie lo stupendo basamento marmoreo dell'antico fonte battesimale
nonchè le cancellate ma poste a fianco della cappella di S. Agnese, a
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recingere il fonte stesso.
Come impostazione stilistica la decorazione di questa cappella minore è
settecentesca. Posta al centro dell'arco di ingresso lo stemma Vismara.
Era in antico dedicata agli apostoli Giacomo e Filippo. Fu, dopo il 1800,
dedicata all'Addolorata. Dentro la modanatura delle cornici a gesso, sui
pilastri, presero posto quattro dipinti su tela di S. Antonio Schieppati
andati poi perduti. verso la fine del 1800 il pittore Legnanese Mosè Turri
senior fece altre tele con la presentazione, la Fuga in Egitto, l'Addolorata
e la Deposizione. Egli aggiunse anche tre tele, che vennero poi incurvate,
sull'arco d'ingresso. Nel centro della parete di destra venne posta una
deposizione dipinta da Giovanni Battista Lampugnani, prima presente
nella cappella di Santa Agnese.
L'altare, nel Settecento, portava sopra i gradini l'urna con la statua del Cristo
deposto, ora collocata nella cappella del S. Crocifisso; ai lati erano
modellati in grandezza naturale S. Giovanni Battista e S. Giacomo.
Quando la cappella cambiò dedica nel 1948, furono demolite le grandi
statue sopra l'altare e nella nicchia prese posto un quadro del Sacro
Cuore, un poco stonato come colori rispetto alla cappella stessa.
Da notare sono il bel pavimento di marmo e la torciera di rame che in antico,
con una gemella, serviva al centro della chiesa per meglio leggere,
stando seduti nelle panche. Oggi viene usata come supporto per il cero
pasquale. Il soffitto a stucchi ed i puttini sono dei fratelli Mosè e Daniele
Turri.
Posta sulla destra della cappella maggiore essa era dedicata agli apostoli
Pietro e Paolo. Un bel quadro ad olio posto sulla parete sinistra ed opera
dei fratelli Lampugnani ci mostra il crocifisso con S. Paolo S. Gerolamo
e S. Antonio Abate.
Questa tela tuttavia è stata posta qui nel 1800.
La cappella era usata dalla confraternita del S. Rosario fin dall'anno 1585.
Nel 1603 il pittore Gio. Pietro Luini detto Gnocco dipinse degli angeli, riemersi
dopo il restauro del 1925, nelle lunette a fianco delle finte finestre.
Molto bella è la statua lignea della Vergine del Rosario collocata nella nicchia
sopra l'altare. Questo è stato rifatto dopo il 1836, in quanto era andato
perso per incendio quello in legno dorato a fiori e grappoli di frutta
disegnato dal Borromini ed intagliato dai Cojro.
Il quadro posto sulla destra con S. Teresa del Bambin Gesù è della scuola del
Beato Angelico (1940).
La decorazione della volta ed i tondi con i putti recanti i simboli del rosario
327
sono invece del pittore Gersam Turri (1925).
All'esame frettoloso testè concluso non si può, sottrarre qualche nota alle
pavimentazioni.
Le più antiche sia della cappella del Luini che di quella di S. Agnese, erano in
piastrelle di cotto rosso. Mentre per la seconda questo materiale è
rimasto, tutto il resto della chiesa, nel XVIII secolo, fu ripavimentato con
una tarsia marmorea bianca e nera scandita da grandi fasce in macchia
vecchia rossa.
Nell'ottagono centrale venne ricreata una scacchiera restringentesi verso il
centro, che ripete il gioco prospettico delle costolature della volta.
L'insieme, oggi disturbato dalla presenza delle sedie e delle panche, è di una
bellezza incantevole. Durante l'inverno, in antico, veniva protetto con
grandi pannelli lignei.
Tutte le balaustre sono a colonnine lavorate a sagoma quadrata in marmo
rosso, i basamenti e i contorni sono neri. Anche l'altare che, nel corso dei
secoli, ha cambiato ben tre volte posizione, è formato da un colossale
parallelepipedo di pietra miscia, tutto d'un pezzo.
Quando era appoggiato alla parete di fondo era stato dotato di un grande
tabernacolo dei Cojro. Questo però era così grande da nascondere la
pala del Luini. Fu quindi posto in sagrestia e, spostato l'altare, si fece
intorno alla mensa una cornice barocca in legno dorato coi ripiani per i
candelieri ed un nuovo tabernacolo più piccolo. Questo grande altare
fornito di un capocielo scolpito e del velario alle spalle, venne mantenuto
fino agli anni 1960.
Cambiata la liturgia vennero eliminati sia il capocielo che il velario, e in
occasione dei restauri del 1963, fu rigirata la mensa, lasciando il solo
blocco marmoreo per le celebrazioni.
Anche i due pulpiti scolpiti in legno che erano ai lati della chiesa innestati sui
piloni, vennero disfatti e solo uno è stato ricollocato a lato della cappella
maggiore, ma a livello del pavimento di questa.
Già abbiamo accennato agli stalli del coro. Tutti in legno di noce, furono posti
in opera dopo il 1586, per mano dei fratelli Cojro. Essi erano imponenti e
preziosi nella loro severità ancora rinascimentale.
Attualmente sono stati accorciati fino alla metà dei lati della cappella, per
permettere una completa visione degli affreschi del Lanino. Al centro è
stata innerita una stupenda cattedra vescovile, che era collocata sulla
destra della cappella, con dei putti e delle formelle decorate di notevole
pregio.
Molte altre opere come il fonte battesimale in legno dei Taurini, gli arazzi dei
Lampugnani, quadri e stendardi celebrativi di San Carlo o per le giornate
dei morti, Via Crucis, nuovo impianto dell'organo disegnato da Gersam
328
Turri, vetrate, arredi sacri ecc. sarebbero da descrivere, ma per
mancanza di spazio rimandiamo al libro scritto sulla Basilica di S. Magno
nel 1974.
Un'ultima nota riguarda l'esterno.
L'antico campanile romanico che era stato conservato nel 1504, fu dapprima
rialzato nel 1542. Ancora nel 1611, a causa del rinnovo delle campane
fatte ingrandire, venne rinforzato e restaurato.
I muri in sasso erano però incoerenti e nel 1638 dovettero nuovamente
rafforzarli.
Il giorno 2 dicembre 1752 venne iniziata la costruzione di una nuova torre su
progetto di Bartolomeo Gazzone, con l'aiuto di maestro Francesco
Beltrame. Quella vecchia rimase integra solo fino all'altezza del
cornicione del tiburio esterno. Porta ancora due serie di arcatelle ciliali la
lapide con il distico del Bossi ed un Cristo romanico proveniente dal S.
Salvatore, di modesta dimensione.
Il nuovo campanile invece, alto più di 40 metri, fu edificato con una robusta
cortina muraria in mattoni, abilmente sagomata con insenature. La
sommità venne realizzata con un tetto piano sopra la cella campanaria,
semplificando il progetto originale eccessivamente decorato.
Nel suo insieme la basilica subì modifiche di poco conto, dal 1504 ad oggi. A
parte lo spostamento richiniano della facciata, una vera modifica fu
operata, nel 1914, da mons. Gilardelli che incaricò, l'architetto Perrone di
allungare di una campata le cappelle verso piazza San Magno.
Nell'occasione scomparvero le finestre ed i portali del Richini (1610).
Il prospetto e l'esterno della basilica furono finiti ad intonaco con motivi
decorativi graffiti. Le finestre tonde accolsero nuovi serramenti e fu
sistemato il perimetro esterno. Molte trasformazioni invece ebbero le
case canonicali.
Poste dapprima verso il ponte sull'Olonella nell'angolo nord-est ed appoggiate
alla chiesa (si entrava come abbiamo visto dalla cappella attuale
dedicata a S. Carlo), furono abbattute intorno alla fine del 1800.
Le canoniche più antiche del 1500 erano poste a lato della sagrestia e
formavano cortile proprio in faccia al vecchio campanile romanico. Esse
erano state ampliate, nel 1600, sotto Federico Borromeo, che aveva
ripreso l'uso della braida e, nel 1700, in occasione del rinnovo del
campanile.
Come si può, notare dalle foto dei primi dell'Ottocento la basilica era stata
come abbracciata dall'abitato, lasciando libero il sagrato con il "foppone"
che fungeva da cimitero.
Costruito il Palazzo municipale dall'arch. Malinverni, nel 1908, e coperta
successivamente l'Olonella lungo via Gilardelli, la chiesa riacquistò,
329
anche all'esterno la sua caratteristica di monumento a pianta centrale, da
osservare lungo tutto il suo perimetro.
Era ormai visibile da tre lati. Solo a sud, la presenza delle vecchie canoniche,
chiudeva la visuale.
Nel 1967-72 queste vecchie e basse costruzioni vennero eliminate. Al loro
posto sorse un monumentale Centro Parrocchiale dotato di sale riunioni,
mensa, uffici ed abitazioni per i sacerdoti.
L 'edificio venne proposto dai progettisti Castiglioni e Ceruti, in vetro e pietra
rossa di porfido. Sostenuto da una serie di pilastri in acciaio, forma, con
la basilica, sul lato sud una galleria che permette la completa rotazione
pedonale attorno alla chiesa stessa.
Nell'anno 1976 vennero dotate alla basilica tre artistiche porte in bronzo, a
ricordo del VIII centenario della battaglia di Legnano.
Si rese promotrice di quest'opera la Famiglia Legnanese costituendo un
comitato di iniziativa, attraverso il quale vennero raccolti i fondi necessari.
In quell'anno era sindaco della città l'ing. Cesare Croci Candiani che si
dimostrò particolarmente sensibile a questa opera, le cui figurazioni
rappresentavano una sintesi delle glorie e delle virtù della gente
legnanese.
La proposta, maturata nell'ambito della Famiglia Legnanese, trovò, ampia
rispondenza anche nel Comitato Sagra, nelle otto contrade e in diversi
enti ed Associazioni della città.
Le tre artistiche porte in bronzo, opera dello scultore bergamasco Franco Dotti,
vennero benedette il 10 maggio 1976 dall'arcivescovo di Milano card.
Giovanni Colombo, prima della celebrazione della tradizionale messa sul
carroccio, preludio delle imponenti manifestazioni per l'ottavo centenario
della battaglia di Legnano.
Le varie formelle sono ispirate alla ricorrenza del memorabile avvenimento e
rappresentano una sintesi ideale della storia, delle glorie e delle virtù
della operosa gente legnanese.
Nel trentesimo anniversario della propria fondazione, la Famiglia Legnanese,
ha affidato allo stesso autore Franco Dotti, una riproduzione in scala
ridotta delle porte, affinché questo trittico potesse essere fruito da
collezionisti e legnanesi amanti delle opere artistiche della loro città.
330
Le sette campane di San Domenico
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 122
Un'immagine, che risale agli anni Venti, ritrae le sette campane della chiesa di
S.Domenico con un gruppo di fabbriceri della stessa parrocchia nel
momento in cui i bronzi vennero collaudati: I vecchi legnanesi, forse, dalla
ingiallita fotografia riuscirebbero a identificare qualcuno dei personaggi in
doppiopetto, collo inamidato e farfalla, intervenuti per solennizzare lo
storico momento .Evidentemente oltre ai fabbriceri vi erano anche i
benefattori e coloro che contribuirono in modo decisivo a realizzare il
concerto campanario che e' stato issato sul campanile 16 anni dopo la
consacrazione della chiesa. Di qualcuno abbiamo potuto fare l'identikit:
l'allora parroco don Emanuele Cattaneo, mons. Angelo Nasoni
intervenuto in veste di collaudatore in quanto presidente della
Commissione per la Musica Sacra e i titolari, fratelli Ottolina, della
fonderia di Seregno, alla quale erano state commissionate le sette
campane:
Nell'archivio parrocchiale di San Domenico e' ancora conservato il contratto di
fornitura dal quale abbiamo rilevato qualche dato. "Dovranno essere
consegnate entro il 15 luglio 1925 per un prezzo convenuto
complessivamente in lire 130.850". Si specificava anche le caratteristiche
delle sette campane: " in la di 870 vibrazioni semplici " nonche' il peso ed
il diametro di ciascun sacro bronzo.
Il diametro della campana maggiore era di metri 1,685 ed il peso totale
Kg.9580.
Al momento dell'ordinazione la parrocchia in cassa, disponibili allo scopo,
aveva soltanto dodici mila lire circa. Non restava che fare appello alla
generosita' dei legnanesi e si apri' allora una sottoscrizione pubblica.
Quando il 22 settembre 1924 ( con un largo anticipo quindi sul termine fissato
per la fornitura) si era ancora lontani dalla cifra del costo totale, oltre al
parroco, si rese garante del saldo entro un termine ragionevole anche
l'allora prevosto di San Magno mons: Domenico Gianni:
Tre o quattro giorni dopo la data del collaudo le sette campane di S, Domenico
erano gia' al loro posto a diffondere quei rintocchi che ancor oggi
scandiscono il tempo per gli abitanti del rione, una parte del quale
conserva ancora il vincolo di " centro storico".
La chiesa di S. Domenico sorge infatti lungo il corso Garibaldi in parte ancora
pavimentato con gli antichi lastroni di porfido.
331
Fu edificata in sostituzione dell'antico oratorio del Salvatore.
I lavori iniziarono il 16 aprile 1900 su progetto dell'architetto sac: Enrico
Locatelli.
Lo stile del tempio e' orietantaleggiante. Notevole la facciata in marmo di
Carrara dovuta all'arch. Magistrelli e rimaneggiata successivamente
rispetto alla fattura originaria .
La chiesa, terminata nel novembre del 1904, fu eretta a parrocchia con
decreto del cardinale Andrea Ferrari in data 3 gennaio 1907 e consacrata
dallo stesso il 30 marzo dell'anno successivo:
E' a croce latina a tre navate e all'interno sono conservati, d degni di rilievo,
candelabri in bronzo nonche' una lampada bizantina opera del celebre
Pogliaghi e due maestosi pulpiti con cariatidi scolpite da un artista
alsaziano. Il campanile svetta oltre la cupola ottagonale e conserva una
grazia rinascimentale. Il suo stile e' diverso da quello della chiesa e lo
stesso rivestimento di prevalente color roseo, si discosta dal resto della
decorazione del tempio.
Legnano di ieri Legnano di oggi.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 10
Una lenta metamorfosi, una lunga evoluzione nei tempi che l'incedere della
storia ha portato fino a noi.
Per compiere uno sguardo retrospettivo iniziero' da dove la storia confina con
la leggenda quasi stemperandosi in sfumature non sempre percettibili,
per poi approdare a tempi piu' vicini, cioe' al periodo in cui Legnano aveva
già' assunto una sua precisa fisionomia come grosso borgo agricolo e
andava mutando quindi gradualmente il suo volto con il passaggio quasi
frenetico dall'economia rurale ad un'economia mista. Bastarono poi
cinque lustri per scalzare da Legnano, divenuta ormai città', anche gli
ultimi nuclei di una tradizione che nel concetto delle nuove generazioni
era divenuta anacronistica. E' l'immenso libro della storia cittadina col
voltar di una pagina mi fa entrare nell'era industriale. Il ritmo si fa quasi
frenetico, seguendo un'evoluzione di dinamica ascesa. Ed ecco che
l'operoso popolo della città' del Carroccio si trova ad essere protagonista
di avvenimenti che parlano ormai soltanto di conquiste tecnologiche di
una civiltà' del futuro, che riempiono di stupore ma anche di orgoglio.
E proprio nella fase di passaggio graduale ma rapido da un tipo di economia
all'altro, nel momento cioé in cui la città acquista coscienza del suo
destino di grande comunità che ha trovato nell'industria la sua vera
vocazione con la prospettiva di progresso e di sviluppo, Legnano cambia
332
volto. E' fatale che con i tempi, con l'avvento di nuove e diverse fonti di
lavoro, rispetto a quelle che gli abitanti della Legnano ottocentesca erano
o abituati a considerare, inizi una trasformazione urbanistica pari da
imporre novità che soltanto qualche anno prima sarebbero addirittura
sembrate foglie ci sono angoli, interi isolati, strade, piazze, agglomerati
urbani che un tempo apparivano intangibili in centro e alla periferia e che
oggi sono irriconoscibili. I vecchi legnanesi quegli angoli, certe case
caratteristiche, luoghi legati alla storia o a particolari eventi cittadini,
anche se ora non ci sono più, li hanno impressi nella memoria perché
componenti della loro stessa vita.
Ho voluto dunque fermare il tempo per fissare le immagini più caratteristiche
prima che fossero distrutte, sciupate o disperse.
L'idea era venuta una sera tra amici, alla Famiglia Legnanese durante la prima
fase della raccolta delle immagini della vecchia Legnano, condotta con la
collaborazione del quindicinale "30 Giorni nel Legnanese". L'iniziativa si
concretizzò nel marzo del 1972 con una mostra delle immagini della
vecchia Legnano allestita nella sede del benemerito sodalizio cittadino.
Alla rassegna ne seguì una seconda, l'anno successivo, con un'altra
parte del materiale raccolto con costanza e con ricerche spesso rese
difficili da varie circostanze. Con la collaborazione di molti, mi è stato
comunque possibile mettere insieme numerose immagini, documenti
autentici, testimonianze di una Legnano scomparsa o in procinto di
essere cancellata dalle inarrestabili trasformazioni che nuove esigenze e
diverse realtà al passo coi tempi hanno imposto.
Il successo che aveva avuto la mostra alla Famiglia Legnanese (la seconda
parte della rassegna era stata inaugurata alla presenza del Senatore prof.
Giovanni Spadolini, presidente della Commissione Istruzione Pubblica e
Belle Arti) aveva dimostrato la validità dell'iniziativa.
Dalla mostra di gigantografie ad un volume che le raccogliesse tutte a mo' di
racconto fotografico della storia della Legnano operosa e artistica del
Medio Evo agli albori del Novecento, il passo è stato breve. Pur non
trascurando la Legnano più remota, la maggior parte delle immagini è
accentrata del periodo che sta a cavaliere tra le due economie, cioè dal
vecchio borgo pervenuto al bon industriale, pronto per inserirsi nel più
vasto consesso economico nazionale, con una funzione di protagonista.
Quello che Legnano ha poi saputo dare alla provincia, alla regione, alla
nazione, appartiene alla nostra epoca e può costituire solo un elemento di
riflessione, una pietra di paragone che si proietta nel passato,
confrontando appunto le immagini della Legnano ormai scomparsa alla
nostra vista, con quelle che ancora oggi sono familiari.
Fotografie ingiallite dal tempo, scorci paesaggistici urbani o di edifici
333
monumentali che non esistono più, vecchie incisioni, schizzi ed opere
finite di qualche pittore legnanese defunto
o contemporaneo, oppure il
frutto della certosina pazienza e delle passione di un grande concittadino
scomparso, l'ing. Guido Sutermeister (unico ed irripetibile cultore della
storia e arte locale), tutto questo materiale, dicevo, ho voluto restituirlo ai
legnanesi, quasi come un omaggio di un cittadino adottivo di questa
nobile terra.
Proprio i legnanesi, prima di tutti sapranno apprezzare questa raccolta di
immagini completate da un testo illustrativo, che lungi dal voler essere un
lamento del passato, documenta l'evoluzione ed i cambiamenti che
Legnano ha subito in tanti anni di storia.
Giorgio D'Ilario
Dal Fascismo alla liberazione
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 32
Il conflitto mondiale del 1915-18 segnò per l'economia legnanese una battuta
di arresto, tuttavia l'industria tessile e quella meccanica riesce a
mantenersi sulle posizioni raggiunte. Il dopoguerra segna per Legnano un
nuovo processo di sviluppo e di incremento che prosegue nel tormentato
periodo della retorica fascista.
Alla famosa marcia su Roma Legnano invia suoi rappresentanti e le
organizzazioni fasciste trovano nella Legnano già formata con un suo
avvenire industriale un facile terreno di infiltrazione.
Nascono i manipoli "Numa Negrini" che diventeranno Renato Calzone,
Daniele Martinelli, Dino Piochi. I tentativi di opposizione, che restarono
anche dopo l'avvento del Fascismo al potere vengono repressi in modo
duro dall'allora federale Rino Parenti. Vi fu più di un arresto e vari
legnanesi vennero inviati al confino politico.
Intanto mentre viene dato il massimo impulso alle industrie, specie alle tessili,
vengono realizzate le "opere del regime" tendenti a consolidare sempre
più il potere, mirando a far colpo sul popolo.
In questo periodo sorge la colonia elioterapica, la "Casa del Balilla" di via
Milano iniziata nell'ottobre del 1933 e la "Casa del Fascio (l'attuale
palazzo Italia di fronte al Municipio ) che venne realizzata nel 1930,il
poligono di tiro in fondo a viale Cadorna, (inaugurato nel 1934 ). Il 4
Ottobre 1934 Mussolini viene in visita a Legnano ed inaugura anche
alcuni nuovi reparti in due stabilimenti della citta'. L'anno successivo per
334
la prima volta si ricorda, con il carosello storico ed il Palio, l'antica
battaglia del 1176.
Mentre la citta' del Carroccio era nel pieno della sua attivita' di sviluppo
industriale, la seconda guerra mondiale arriva a far segnare una nuova
battuta d'arresto, seminando terrore e lutti. I legnanesi si distinguono
nella difesa della Patria, come gia' avevano fatto in occasione della prima
guerra mondiale. Durante il conflitto del 1915-18 la citta' ebbe in Aurelio
Robino una medaglia d'oro e nella seconda guerra mondiale due
furono le medaglie d'oro: Carlo Borsani e Raoul Achilli.
Non appena in tutta Italia cominciano a sorgere i primi movimenti di
liberazione partigiana, Legnano fa eco fin dall'ottobre 1943 con azioni
organizzate da parte delle formazioni partigiane. Nelle fabbriche, con
scioperi e con la resistenza passiva, i lavoratori appoggiano le azioni di
guerra partigiane che mirano a liberare la nazione dal dominio
nazifascista. Alla lotta partigiana Legnano diede un contributo di vite e di
sacrifici particolarmente significativi: 57 morti e 123 feriti. Due medaglie
d'oro al merito partigiano sono state conferite a cittadini legnanesi, una
alla memoria del caduto Mauro Venegoni e l'altra a Candido Poli, uno
degli campati del lager nazista di Mathausen.
Momenti di particolare drammaticita' si ebbero nel dicembre del 1943 con gli
scioperi e le manifestazioni contro il proseguimento della guerra e di non
collaborazione coi tedeschi trasformatisi ormai di fatto in truppe di
occupazione. Gli scioperi furono piu' massicci alla Franco Tosi: Il 5
Gennaio 1944 le SS tedesche, al comando dello spietato generale
Zimmerman, compiono una azione di rappresaglia proprio alla Franco
Tosi. Vengono arrestati 92 lavoratori. Caricati su carri ferroviari vengono
deportati nei campi di sterminio: Di essi, 7 persero la vita nei lager nazisti:
Pericle Cima, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Antonio Vitali, Francesco
Orsini, Angelo Sant'Ambrogio ed Ernesto Venegoni .Tra coloro che
finirono nei campi nazisti vi fu anche lo studente univesitario Gianni Moro
nato nel 1922 e morto nel lager di Ebensee(Austria) nel gennaio 1945.
Per non aver voluto militare nelle file dell'esercito fascista repubblicano veniva
consegnato ai tedeschi che lo prelevarono dal carcere di S.Vittore il 3
marzo 1944 per deportarlo in Austria.
L'insurrezione armata dei partigiani legnanesi, alla quale presero parte le
formazioni 101 e 182 della brigata "Garibaldi "nonche' la divisione
"Alfredo di Dio2 della brigata" Carroccio", si ebbe la sera del 24 aprile
1945.
L'azione comincia con l'attacco ad un comando tedesco di zona ubicato tra
Parabiago e Canegrate nell'intento, riuscito, di distruggere la stazione
radio per interrompere i collegamenti. L'operazione era concordata con
335
altre forze partigiane e nello stesso istante viene attaccata la caserma di
viale Cadorna che era presidiata dai tedeschi. I combattimenti si
protraggono fino al pomeriggio dl giorno successivo, allorche' gli ultimi
tedeschi che si erano rifugiati in un edificio di via Milano vengono eliminati
con l'appoggio di forze popolari della citta'. Il 26 aprile da Milano puntano
su Legnano due colonne corazzate; una tedesca ed una fascista mentre
dalla zona di Magenta reparti della colonna tedesca Stam, incalzati da
altre formazioni partigiane, convergono per collegarsi con i reparti
corazzati.
Il C.N.L di Legnano organizza immediatamente la difesa della citta' riunendo le
forze partigiane coadiuvate da un forte contingente di lavoratori delle
fabbriche cittadine. Da Gallarate e da Busto Arsizio altre formazioni
vengono a dar man forte. Dopo duri scontri lungo l'autostrada, il
"Sempione" e verso Busto Garolfo, i nazifascisti si ritirano verso Milano e
verso il confine della Svizzera.
Al mattino del 27 aprile Legnano puo' considerarsi totalmente libera.
Diciassette erano stati i morti e venti i feriti di quelle tragiche ore che
segnarono la riconquista della liberta' anche nella citta' del
Carroccio ,come si era fatto seguendo un medesimo spirito ,sia pur con
altri ideali, nel maggio del 1176.
All'opera di ricostruzione del Paese martoriato dalla guerra e tormentato dal
drammatico periodo seguitone, Legnano partecipa con entusiasmo ed
impegno, avendo come obiettivo la ricostituzione del patrimonio collettivo,
per ridare alla citta' quella pace operosa che gia' aveva caratterizzato gli
anni dell'inizio secolo.
Questo considerevole contributo di dedizione e di attivita' eroica
per la difesa della liberta', della Patria e della dignita' umana ,
generosamente offerto da Legnano, con sacrificio anche di numerose
vite umane, attende un doveroso riconoscimento ufficiale: almeno una
medaglia d'argento da appuntare sul glorioso gonfalone della citta' del
Carroccio.
L'era industriale E le trasformazioni Negli ultimi due secoli
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 36
Pur avendo Legnano un'economia prevalentemente agricola,
gia' tra il Seicento ed il Settecento si potevano annoverare alcune
filande con caratteristiche di artigianato domestico che poi assunsero
un'impronta sempre piu' marcata, creando le premesse per la trasformazione
dell'operoso agglomerato urbano fino a farlo evolvere da borgo agricolo a
336
centro industriale. E la storia di Legnano negli ultimi due secoli e'
strettamente legata proprio a quell'attivita' ndustriale che ne ha fatto la
fortuna.
Abbiamo appena scritto delle prime attivita' produttive alle quali si
dedicavano gli antichi progenitori delle citta' del Carroccio,
dei suoi mulini, delle trasformazioni di prodotti dei campi da avviare
direttamente al commercio. Furono i primi tentativi per imbastire una
economia dinamica ed operosa che dara' frutti concreti nella prima meta'
dell'Ottocento.
Proprio per la preminente importanza che ha avuto l'industria nello sviluppo
di Legnano dall'inizio del XIX secolo, abbiamo voluto concludere questa
carrellata sulla sua storia, soffermandoci piu' compiutamente sull'Era
Industriale .
I dati e le fonti d'informazione sono stati in parte desunti dal "Panorama
storico dell'Alto Milanese -volume II", edito nel 1971 dal Rotary Club
Busto-Gallarate-Legnano, ed in parte attinti direttamente dagli atti e dai
rapporti ufficiali conservati nell'archivio del Comune.
Se in epoca napoleonica si potevano annoverare nel borgo
di Legnano fiorenti attivita' manifatturiere a carattere famigliare specializzate
nella filatura, nella tessitura a mano, nella tintoria con vegetali, nella
conceria e nei pellami dipinti, dobbiamo invece attendere fino all'inizio
dell'Ottocento per vedere delinearsi le prime iniziative di industria vera e
propria.
Il fiume Olona, che gia' aveva dato energia idraulica per il funzionamento
dei numerosi mulini, servi' egregiamente anche alle nascenti attivita'
industriali tessili, offrendo possibilita' di derivazioni per il candeggio e la
tintoria: l'acqua dell'Olona servì anche ad azionare le macchine.
Ma entriamo nell'epoca pionieristica industriale, limitando le nostre
osservazioni e citazioni delle aziende e dei capitani d'industria fino al
1910 . Dopo tale anno infatti, sarebbe troppo lunga l'elencazione ed oltre
tutto usciremmo dal tema prefissatoci in questa opera
la vecchia Legnano.
L'anno di nascita dell'industria legnanese e' il1821. Lo svizzero Carlo
Martin impianta il primo stabilimento per la filatura del cotone che
passera' nel 1845 alla ditta Saverio Amman & C. Nel 1863 aveva gia' una
potenza installata di 500 cavalli-vapore, 5000 fusi e 40 telai ed era in
grado di produrre annualmente 1700 quintali di filati greggi.
Ben duecento persone trovarono lavoro in questo primo cotonificio.
Nel 1824 Eraldo Krumm impianto' il secondo stabilimento di filatura nel punto
ove si trova oggi la Tintoria Mottana ,lungo
Corso Sempione.
337
Anche questo opificio, come il precedente, traeva forza motrice dall'Olona
mediante grandi ruote idrauliche. La terza filatura arrivo' nel 1828 ad
opera dei Signori Borgomaneri, Bazzoni e sperati.
E da questo piccolo stabilimento tessile nacque poi, con uno dei piu'
rappresentativi capitani d'industria ,Costanzo Cantoni, il primo nucleo del
grande cotonificio che oggi costituisce uno dei maggiori complessi tessili
italiani e addirittura europei. Costanzo Cantoni gia' da otto anni aveva
impiantato a Gallarate una filanda e contando sulla manodopera
reperibile in questa zona, apri' uno stabilimento anche a Legnano.
Gia' nel 1862 il Cotonificio Cantoni aveva circa trecento operai.
Dieci anni dopo l'apertura dell'azienda poi passata a Cantoni, un quarto
cotonificio venne ad assorbire altra manodopera in questa plaga: e' la
Andrea Krumm & C. destinata anch'essa a svilupparsi rapidamente: Un
quinto stabilimento di filatura di cotone si aggiunge agli altri nel 1842 ad
opera del dottor Renato Travelli .
Bastarono questi cinque stabilimenti per rivoluzionare la vita del borgo
rurale, mutando abitudini e indirizzo sociale. Gli agricoltori abbandonano i
campi per cercare lavoro nelle filande (anche se la manodopera
femminile, piu' congeniale per le lavorazioni tessili, era preferita); sorgono
qua e la' laboratori casalinghi ai quali le grandi industrie forniscono il
greggio ritirando poi le "pezze" finite; si creano officine meccaniche ed
altri piccoli complessi sussidiari ai cotonifici.
Nel 1857 abbiamo gia' una Legnano centro manifatturiero, come conferma
il manoscritto "Elenco degli stabilimenti, di industrie e di commercio in
Legnano", conservato nell'archivio del Comune.
Ecco le cifre: 24 imprese industriali di cui 6 filature di cotone, 5 filande di seta,
3 confezione pelli, altrettante fornaci e tintorie, 1 fabbrica di organi, 1
fabbrica di saponi e candele.
Su una popolazione che assommava in quell'anno a 1671 abitanti, gli addetti
alle industrie erano il 29% della popolazione, cioè 1855 unità (371 uomini,
582 donne; 294 ragazzi e 608 ragazze).
A differenza della vicina Busto Arsizio, dove l'industria inizialmente era tenuta
a livelli piccoli e medi, a Legnano le aziende assunsero subito una
macrostruttura, con l'impiego di un rilevante numero di dipendenti.
Lungo l'asse dell'Olona, sulla destra e sulla sinistra, altre industrie tessili
venivano impiantate tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo
Novecento. E' la volta del Cantonificio Dell'Acqua nel 1871 per iniziativa
dei fratelli Francesco e Faustino Dell'Acqua, che nel 1910 impiegava
quasi 500 operai con circa 520 telai meccanici, azionati da energia
elettrica. Un anno dopo la fondazione del Dell'Acqua ecco un nuovo
colosso tessile ad opera di Antonio Bernocchi che aveva già avviato alla
338
Gabinella una piccola industria di candeggio. In questo periodo abbiamo
anche il primo esempio di concentrazione industriale nella zona
rappresentato dalla serie di stabilimenti facenti capo alla Stamperia
Italiana Ernesto De Angeli, che si specializza nella filatura e tessitura del
cotone, opifici che hanno sede oltre che a Legnano alla Maddalena di
Milano e in altre località. L'azienda venne fondata nel 1879 dai fratelli
Enea e Febo, figli del dottor Saule Banfi, fervente patriota. Questo nuovo
colosso tessile, che poi diverrà cotonificio De Angeli Frua, ha come data
di nascita il 1875.
Sempre per restare nel settore tessile venne fondata nel 1903 la Manifattura di
Legnano dagli stessi fratelli Banfi insieme a Mariano Delle Piane e al cav.
Giuseppe Frua. Ecco perchè possiamo vedere gli edifici ancora rimasti
nel cuore della città aventi lo stesso stile, mirabili esempi di architettura
industriale veramente indovinata.
La Manifattura di Legnano destinata a divenire terza industria locale in ordine
di importanza (attualmente infatti occupa oltre 900 dipendenti) aveva fatto
delineare la vocazione di grande complesso tessile di rilevanza nazionale
già nel primo decennio di attività. Il censimento industriale del 1911 ce ne
fornisce questi dati: 755 operaie, 63500 fusi meccanici impiegati nella
filatura di cotone mako, 1100 Kw di energia elettrica assorbiti dal
macchinario.
Con il Cotonificio Cantoni, il quale si è mantenuto negli anni in tutta la sua
solidità, con un ammirevole equilibrio di conduzione e di sviluppo,
assurgendo ad importanza mondiale, la Manifattura di Legnano ha
saputo reggere egregiamente alle varie crisi del settore tessile, compresa
la più recente, particolarmente dura.
Questi cospicui complessi tessili agli albori del Secolo avevano esercitato una
notevole forza di propulsione, favorendo il sorgere di industrie minori.
Nel 1900 viene costituita la società in accomandita per azioni Fabio Vignati &
C. con due stabilimenti, uno a Legnano e uno a Villa Cortese e nasce
anche la tessitura di cotone Ettore Agosti.
Per lavorare tessuti di cotone tinti e candeggiati Giulio Giulini e Roberto Ratti
fondano nel 1905 la società che da loro prende il nome.
Tre anni dopo si costituisce la società in accomandita per azioni E.Mottana &
C. di candeggio e tintoria che rileva la piccola azienda di Giuseppe
Bernocchi alla Gabinella.
Attorno a queste maggiori unità dell'industria cotoniera fioriscono altre aziende
minori, come la Ratti, Rizzi & C. (poi Porri e Ronchi), la Giovanni De
Giorgi, la Fratelli Gadda & C., la Giovanni Legnani, Dante D'Anielli e
Donato Miglio.
L'acqua dell'Olona non basta piu' e si attinge il necessario alle industrie tessili
339
dalla falda sottostante mediante pozzi artesiani.
Il fiume viene degradato ad una funzione di collettore per gli scarichi dei
residui di lavorazione degli opifici. La sua morte, almeno come fiume, e'
ormai inesorabilmente decretata.
Favorita dalla posizione in cui si trovava la cittadina, con l'asse di traffico
della statale del Sempione, con l'avvento delle ferrovie dello Stato e della
Nord e poi dell'Autostrada laghi, a prima del mondo, l'industria raggiunge
il suo massimo impulso verso la fine del secolo e nei primi anni del
Novecento. Accanto all'industria tessile si sviluppa quella meccanica ed
altri settori ancora vengono rappresentati .
Luigi Krumm, nel 1874,in collaborazione con Eugenio Cantoni, impianta a
Legnano una fabbrica di telai meccanici. Nel 1879 entra nella societa'
l'ing. Franco Tosi, allora ventiseienne e la ditta sii trasforma in Officina
Franco Tosi & C. con una sezione specializzata nella costruzione di
motrici a vapore. Dopo dieci anni l'officina aveva gia' 650 operai: si
delinea cosi' un nuovo complesso destinato a dominare il mercato italiano
e mondiale .
Come gia' era avvenuto per le industrie tessili, la Franco Tosi fa da richiamo
per altre aziende del settore. Le officine meccaniche fratelli Bombaglio da
Marnate in Val d'Olona, si trasferiscono a Legnano nel 1886.Da cinque
anni Andrea Pensotti, capo reparto della Tosi, si era messo in proprio con
una fonderia alla quale aggiunse poi un'officina meccanica sempre nei
pressi di Piazza del Monumento. Lo stabilimento, che si trasferisce poi in
via Firenze specializzandosi nella produzione di caldaie,esportate oggi in
tutto il mondo, diverra' il quarto complesso legnanese di importanza.
Il chimico dott. Carlo Rossi nel 1907 fonda le Officine Elettrochimiche Rossi,
producendo clorato di potassio, acido nitrico ed una lega metallica :
l'elianite. Sorgono anche le officine Gianazza(1882), La Mario
Pensotti(1881) e la Ing:Giampiero Clerici, divenuta poi Industrie Elettriche
di Legnano, un quinto colosso ,oggi, tra le aziende locali. che La
motorizzazione che gia' comincia ad espandersi vede a Legnano due
aziende impiantate allo scopo proprio di costruire automobili, motori per
autotrazioni e addirittura aeroplani. Sono la FIAL (Fabbrica
Italiana
Automobili da Legnano ), fondata nel 1902
dall'intraprendente
Guglielmo Ghioldi, e nel 1907 nacque la "Wolsit", Officine Legnanesi
Automobili. Dopo la crisi dell'industria automobilistica la "Wolsit" che
diverra' poi Soc. Emilio Bozzi, si dedico' alla produzione di velocipedi e
motocicli. Le prestigiose biciclette "Legnano-Wolsit", con la casa verde
oliva, raccolsero centinaia di vittorie in campionati italiani e del mondo .La
fabbrica dopo 64 anni di attivita' chiuse i battenti nell'ottobre del 1971.
La necessita' di rendere le industrie locali autosufficienti anche per materie
340
prime, prodotti accessori e collaterali, crea decine e decine di altre
aziende con svariate produzioni. Abbiamo cosi, oltre a quelle gia'
ricordate ,le Officine A.Fontana, macchine per tessitura (1908), il
saponificio Agosti e fabbrica di candele (1858),la conceria di pelli Pietro
Rosa (1881),le Industrie Grafiche Proverbio(1887), la Societa' del
ghiaccio artificiale e la Societa' del gas.
Quest'ultima fondata nel 1879,inizio' il servizio di distribuzione il 1° maggio
1880.Infine altre industrie sempre sorte tra la fine dell'Ottocento e il 1910
che citeremo solo nominativamente: Fonderia Marcati e Tricavelli,
Fonderia Ferdinando Raimondi, Officine Venusto Rossi, Geronzio
Rabuffetti, Rodolfo Raimondi, Massimo Vedani, Fratelli Mutti, Pietro
Furrer, Fonderia Lamperti&Gornati, Rubinetteria Uecher & Curti, Idraulica
Eugenio Gianazza, Aziende tipografiche: Emilio Garancini, Natale Marini,
Arti Grafiche Legnanesi e Carlo Guidi: Carpenteria Angelo Testa,
Saponificio Angelo Aspes poi Angelo Bollina, Fabbrica Legnanese Colla e
Saponi, Fratelli Fasola(frutta e fiori artificiali) ,Carpenteria Paolo Citttera,
e, nel settore legno, Gaetano Adamoli ed Eredi Clerici Ciprandi & Figli
(carri e carretti); Frattini & Piscia (calzature a macchina), nell'industria
edilizia Giovanni Borsani ,Carlo Pastori, Gerolamo Calini e Romeo Filetti;
nell'industria dei trasporti Cristoforo Borsani, Natale Schiatti e Fratelli
Scandroglio.
Con lo sviluppo industriale sorse la necessita' della creazione della assistenza
finanziaria in grado di seguire il continuo progresso. Il problema,
largamente sentito, fu affrontato e risolto nell'ambito degli stessi
legnanesi. Fu un prestinaio di Legnano, Gaetano Muttoni, che nel 1887
costitui' la Banca di Legnano con un capitale azionario di 300 mila lire
diviso in azioni da 200 lire, frazionate tra 118 sottoscrittori. Le prime
operazioni vennero svolte in una modesta sede di via Palestro. L'iniziativa
fu subito sviluppata dal barone Cantoni nominato ben presto presidente
onorario. Nel 1898 l'istituto di credito trasporto' i suoi uffici nel nuovo
palazzo allo scopo costruito in via Franco Tosi. Il capitale sociale venne
portato a un milione e mezzo in azioni da L.100 dall'assemblea dei soci,
tenuta il 1° Novembre 1905.Nel 1906 la banca comincio' la sua
espansione territoriale, aprendo una prima agenzia a Parabiago, due anni
dopo un'altra a Castellanza e nel 1910 una terza a S.Vittore Olona. In
quegli anni la Banca di Legnano aveva gia' un patrimonio proprio di
quasi due milioni e mezzo tra capitale e riserve.
Attualmente la Banca di Legnano ha capitale e riserve per oltre quattro miliardi
di lire, una massa fiduciaria che supera i cento miliardi, ed una
organizzazione territoriale sviluppata in 27 filiali, nove tesorerie e due
esattorie. Nei primi anni del ventesimo secolo esisteva a Legnano oltre ad
341
una succursale della Banca di Credito Provinciale, anche una filiale della
Cassa di Risparmio delle Province Lombarde.
A completare il settore bancario della cittadina in pieno sviluppo, verra' nel
1923 un altro istituto locale, il Credito Legnanese che ebbe come primo
presidente il cavaliere del lavoro Francesco Bonecchi, titolare di una
omonima tintoria .Oggi questo istituto bancario, con capitale sociale e
riserve ammontanti ad oltre un miliardo e mezzo di lire, conta trenta filiali.
Specie le due banche locali seppero sviluppare in quegli anni di grande
fervore realizzativo, un proficuo programma di appoggio e finanziamento
delle forze produttive locali piccole e medie.
Nel primo censimento industriale del 1911 il numero delle aziende legnanesi
era salito a 2o5 con 1o.6oo operai addetti. Rileviamo una curiosita': in
quello stesso censimento risultavano in attivita' ancora quindici motori
azionati con forza idraulica (cinque per tessitura e gli altri per i mulini) e
nove macchine a vapore I motori elettrici, statisticamente rilevabili, erano
cinquecento.
Per una singolare coincidenza, ad un secolo esatto dall'anno di nascita
dell'industria locale, si senti' la necessita' di costituire una Federazione
degli Industriali Legnanesi. Nel 1921,infatti,sorse la organizzazione che
riuni' gli imprenditori dell'industria ed ebbe sede in via Alberto da
Giussano. Venne nominato presidente il comm. Fabio Vignati, da
considerarsi quindi pioniere di un movimento associativo autonomo dal
momento che gli imprenditori del luogo in precedenza facevano capo alla
Federazione Industriali Alto Milanese. Ma questo primo organismo
territoriale ebbe vita breve in quanto il mutato clima politico port0' alla
legge fascista del 3 Aprile 1926 che aboliva le " unioni locali miste" come,
tante altre liberta' associative, per conformarle alo schema fisso della
giurisdizione provinciale.
si rifece sentire tra gli industriali legnanesi la tendenza
riunirsi in libera
associazione appena cambiarono le condizioni politiche e nella zona
riprese il vigore economico che aveva improntato il periodo pioneristico.
Cosi' il 4 maggio 1945, a pochi giorni dalla fine della guerra, si costitui' un
Comitato Industriale provvisorio presieduto dal cav: uff: Mario Pensotti
con l'ing. Aldo Palamidese a rappresentare la piccola industria. Da tale
Comitato scaturì l'Associazione Legnanese dell'Industria il cui atto
costitutivo reca la data del 13 luglio 1945.
Primo presidente fu il cav. Pier Luigi Ratti il quale trovo' la preziosa
collaborazione di un direttore, il dott. Manlio Bucci, che con la sua
esperienza e non comune intelligenza, seppe creare le premesse per
assicurare alla rinnovata associazione industriale un ruolo determinante
nella vita organizzativa dell'importante settore economico della citta' e di
342
tutto il Legnanese.
Venticinque furono le ditte industriali che sottoscrissero l'atto costitutivo. Esse
crebbero in un numero fino a raggiungere 319 aderenti a dieci anni dalla
fondazione. Nel 1947 successe al cav. Ratti l'ing: Franco Pensotti che
resse la carica fino al 1965.Gli subentro' l'ing: Giuseppe Pellicano' fino al
1971, anno in cui venne designato presidente l'ing: Giancarlo Colombo
attualmente in carica.
Quali direttori dell'Associazione Legnanese dell'Industria seguirono al
dott:Bucci, dopo la sua morte avvenuta nel settembre del 1963,Luigi de
Niederhausern per circa un anno e il dott. Spartaco Ulzega dal marzo
1966 il quale dirige tuttora l'Associazione. Egli si e' reso anche promotore
del Consorzio Garanzia Fidi e del Consorzio Export Legnano, organismi
dimostratisi di larga utilita' per l'intera zona.
Con le mutate esigenze e necessita' conseguenti anche al nuovo ordinamento
regionale e all'avvento di un comprensorio con caratteristiche
socio-economiche omogenee, si era gradualmente superato il concetto di
raggruppamenti produttivi chiusi in un ambito cittadino, criterio che invece
aveva animato molti centri industriali dell'Italia Settentrionale. Con questo
concetto comunque l'industria legnanese si era sviluppata nel secondo
decennio del secolo.
Municipio di Legnano
--------------------Operai Legnanesi!
L'Autorita' Municipale da Voi incaricata per esporre all'Onorevole
Amministrazione del COTONIFICIO CANTONI le vostre domande, onde
per termine alla sospensione di lavoro, merce' un amichevole
accomodamento ha ricevuto dalla medesima la seguente dichiarazione,
che si fa dovere di comunicarvi per norma: e cioe':
Saranno tenuti chiusi gli Stabilimenti di Legnano e Castellanza finche' gli
operai scioperanti non avranno dato, per mezzo dell'Autorita' Municipale,
avviso alle Direzioni degli Stabilimenti suddetti, che intendono
ricominciare il lavoro alle condizioni e prezzi attuali; riservandosi la
Direzione di fare gli aumenti dei salari a coloro che ne saranno
riconosciuti meritevoli, e nelle proporzioni ch'essa credera' conveniente a
conciliare i loro interessi con quelli dell'Industria.
OPERAI !
la sottoscritta Giunta Municipale ama ritenere che ciascuno di Voi tanto del
Cotonificio che delle altre Ditte sara' oramai persuaso della convenienza
di ritornare al lavoro e di restituire al Paese la sua quiete abituale;
giacche' diversamente non si farebbe che aggravare i danni a Voi stessi
ed all'Industria, oltre alle serie conseguenze che ne deriverebbero;
343
poiche' ove qualche mal intenzionato tentasse d'opporsi a quelli che
hanno volonta' di riprendere il lavoro, verrebbe punito a norma di Legge.
Dall'Ufficio Municipale di Legnano, li 14 Febbraio 1884.
LA GIUNTA MUNICIPALE
ALMASIO ANGELO - DELL'ACQUA FRANCESCO-AGOSTI FRANCESCO
Assessori
Il Segretario Rag. Cesare Figini
Per riprendere il grafico dell'industria locale negli anni successivi, ed
esattamente quelli a cavallo tra le due guerre mondiali, torniamo ancora a
far parlare le cifre del censimento del 1927: rispetto al precedente (1911ì
l'industria tessile aveva raddoppiato i propri addetti. Su 40 aziende, tredici
contavano dai 25o ai 1000 dipendenti ciascuna e due oltrepassavano i
mille (Cantoni e Bernocchi.
La Franco Tosi vantava fin da allora il record di 3200 dipendenti; le aziende
meccaniche erano 87 di cui 77 avevano meno di dieci dipendenti, quindi
conservavano per la maggior parte dimensioni artigianali.
L'andamento delle strutture industriali nell'area del Comprensorio dell'Alto
Milanese e' stato analizzato in termini realistici anche in uno studio del
prof. Mario Casari condotto per conto dell'Associazione Legnanese
dell'Industria
(A.L.I) e permette di giungere alla conclusione che
l'incremento industriale nel Legnanese tra il 1951 w il 1961 e' stato tra i
piu' alti (confronto con Italia e Lombardia) dell'intero sistema
imprenditoriale italiano.
Il censimento del 1951, primo dopo gli anni della ricostruzione post-bellica, ci
dimostra come l'industria legnanese sia sempre in dinamica ascesa:
24.75o dipendenti in 723 aziende, il che porta Legnano ad occupare il
secondo posto tra i Comuni lombardi (grado di industrialita' pari al 65,17
% in rapporto alla popolazione9, dopo Sesto S.Giovanni. E siamo alla
punta massima del grafico che comincera' a segnare una linea in
depressione al sopraggiungere della crisi tessile intervenuta in Italia.
Piu' di uno stabilimento chiude con la conseguenza di una diminuzione pari a
5300 unita' lavorative in pochi anni. Vi e' per fortuna un trapasso delle
maestranze dal settore tessile a quello metalmeccanico. Alla chiusura dei
grossi cotonifici come il De Angeli Frua, il Dell'Acqua, l'Agosti, la
Bernocchi fa riscontro nello stesso periodo la nascita di nuove industrie
nella periferia della citta' e in alcuni centri di recente vocazione industriale
come Rescaldina, (con il colosso gia' da tempo esistente della Bassetti
e una miriade di aziende meccaniche), Canegrate, Parabiago, San
Giorgio su Legnano, S.Vittore olona, Busto Garolfo, Cerro Maggiore.
344
Nel censimento del 1961 il primato dell'industria locale per manodopera
assorbita si e' spostato dal settore tessile al settore meccanico il quale
ultimo contava 9450 addetti (i tessili, abbigliamento compreso, erano
scesi a 7560).Seguivano, notevolmente distanziati, gli altri sett322
dipendenti: pellami e calzature (534 dipendenti), metallurgiche
(322
dipendenti), chimiche (313 dipendenti), legno e mobili ( 300 dipendenti),
alimentari e affini 890 dipendenti), altre aziende manifatturiere (966
addetti).
Abbiamo nel censimento del 1961 un totale di 762 industrie manifatturiere con
19.452 addetti.
La varieta' dell'apparato produttivo ed i quattro cardini su cui poggia l'industria
legnanese(cantoni, Franco Tosi, Manifattura di Legnano e Andrea
Pensotti)con i nuovi centri limitrofi di recente industrializzazione , hanno
costituito una provvidenziale valvola di sfogo offrendo alternative alla
mano d'opera che era rimasta momentaneamente senza lavoro nel
periodo della grande crisi dei tessili. L'assorbimento che ha avuto luogo,
non solo ha permesso di annullare la disoccupazione che si paventava,
ma negli ultimi tempi ha addirittura fatto registrare scarsita' di
manodopera in alcuni settori produttivi.
Al posto delle industrie che hanno chiuso i battenti, alcune anche situate nel
centro della citta', stanno sorgendo aree verdi, quartieri residenziali,
strutture pubbliche( come e' il caso del terreno dell'ex Dell'Acqua) .Stiamo
cioe' assistendo, a distanza di poco meno di un secolo, al fenomeno
inverso che aveva caratterizzato lera della rivoluzione industriale. Allora
i grandi complessi manifatturieri avevano spazzato via gli aggregati
urbani, sacrificando spesso anche costruzioni di un certo interesse
artistico e storico, immolate al progresso, in una frenesia quasi
irresponsabile di sfruttare al piu' presto la nuova fonte di ricchezza.
Il pesante paesaggio industriale si va qua e la' squarciando per lasciar sorgere
di nuovo costruzioni residenziali. Ovviamente non sono piu' casupole a
due o tre piani con i muri di pietra e mattoni e con i tetti di "coppi", ma
enormi condomini che imprimono una nuova fisionomia all'urbanistica
della Legnano di oggi, proiettava verso il Duemila con la medesima
frenesia di cento anni fa, sebbene con attitudini e vocazioni di gran lunga
diverse, frenesia che si stempera (ma e' solo una battuta d'arresto) nella
crisi economica che purtroppo investe tutta la Nazione.
In questa concatenazione di apparati sociali ed economici, in questo altalenar
di avvenimenti, in questo quasi fatale ritorno alle origini per molte aree del
territorio urbano, sta la storia muta ad osservare, mentre in continuazione
angoli di Legnano si vanno di nuovo trasformando come in una immensa
dissolvenza che nulla ormai pu0' fermare.
345
ù
La bramantesca Basilica di San magno
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 70
Il maggior edificio monumentale di Legnano e' rappresentato dalla basilica
romana di S.Magno . Il tempio e' stato costruito sulle vestigia di una
chiesa longobarda che era denominata Santo Salvatore e San Magno.
Cosi' come per la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, in un
primo tempo dedicata al Santo Salvatore, anche il maggior tempio
legnanese doveva intendersi cosi' denominato in onore del Cristo
Redentore( e non gia' del santo, come qualcuno ha voluto ritenere).
Sui pilastri laterali all'altar maggiore troneggiano infatti due figure: quella di
San Magno vescovo ed un Redentore effigiato con sul capo una corona
di spine ed il manto, come vuole la tradizione di pittura sacra.
L'antica chiesa era della foggia classica dei templi di tipo romanico a tre
navate ed era stata fatta costruire dal re longobardo Agilulfo. Le
infiltrazioni d'acqua alle fondamenta provenienti dalla vicina diramazione
dell'Olona ed anche movimenti sismici che si dice furono frequenti in
questa zona tra il '400 e il ' 500 decretarono irrimediabilmente la fine della
secolare costruzione.
Infatti in due fasi successive nei primi anni del '500 la basilica crollo'
definitivamente. Il borgo di Legnano che era gia' assurto a notevole
importanza nel Milanese, non poteva restare senza un a " chiesa granda"
e fu cosi' che il oncerto con Ludovico il Moro i ventotto capi delle nobili
casate del tempo, stabilirono di conferire l'incarico del progetto della
nuova basilica ad un grande architetto che si vuole fosse lo stesso
Bramante al quale in quello stesso periodo varie opere furono affidate
dalla Corte di Ludovico.
La purezza e l'eleganza delle linee, la loro grandiosita' sia pur
conservando un'essenziale sobrieta', la forma della pianta a croce quadrata,
divisa nel centro ad ottagono e con le due cappelle simmetriche ai lati
dell'altar maggiore, sono caratteristici elementi dell'epoca del Bramante
che ebbe quali imitatori molti architetti contemporanei.
Attribuibile o no al Bramante ( e non e' compito nostro in questa sede
disquisire nel merito) la basilica di S.Magno resta un monumento di
grande pregio in se stesso e di immenso valore artistico per gli affreschi
che lo ornano.
Tra questi, particolare citazione meritano quelli di Bernardino Lanino, i quali
nel 156o vennero ad aggiungersi alla grande pala dell'altar maggiore che
346
reca la ben piu' illustre firma di Bernardino Luini (1523). La ricostruzione
della chiesa sulle vestigia dell'antico tempio ebbe inizio il 4 maggio 15o4
e fu ultimata il 6 giugno 1513. L'orientamento della chiesa inizialmente
era diverso dall'attuale. Il portale d'ingresso era sl lato Nord e cioe' di
fronte all'attuale palazzo del Municipio, costruito all'inizio del '900.
Dell'antica chiesa del Santo Salvatore era stato mantenuto, dopo lavori di
conssolidamento, il campanile del quale ancor oggi si possono vedere i
resti nel piccolo ingresso esistente dietro il nuovo campanile, il quale
ultimo fu realizzato nel 1752.
Il sagrato come si presenta attualmente e la relativa facciata vennero realizzati
sulla parete Ovest, nel 1610. L'attuale andito d'ingresso venne anzi
mantenuto come cappella esattamente fino al 1810. anno in cui la
fabbriceria decise di aprire la porta centrale verso la piazza attuale che
prende nome della basilica: In quella stessa occasione furono aggiunti
ornamenti architettonici alla facciata che venne rimaneggiata in epoca
successiva. Sotto la prepositura di mons: Eugenio Gilardelli, la chiesa
venne ampliata mediante la costruzione di un avancorpo dalla parte del
sagrato dando alla basilica impostazione a tre navate e del tutto
contrastante con la tipica architettura bramantesca. In questa fase
ovviamente fu rifatta la facciata con i grafiti che ancor oggi formano
ornamento.
Recentemente la basilica di S.Magno, per iniziativa e volonta' dell'attuale
prevosto mons.Giuseppe Cantu' e' stata in parte restaurata ed i lavori
eseguiti dal pittore Turri particolarmente esperto in opere del genere.
Il 7 agosto del 1584 in seguito ad una visita pastorale di S.Carlo Borromeo, ed
in considerazione dell'importanza che il borgo di Legnano aveva assunto,
il cardinale decreto' il trasferimento da Parabiago a Legnano del
"Capitolo" e la chiesa legnanese venne cosi' elevata a dignita' di
Collegiata con " preposito" .
S.Magno ora sede del Vicario Foraneo ,venne designata Basilica Romana
Minore da Pio XII con bolla 29 marzo 195o durante la prepositura di
mons.Virgilio Cappelletti.
Nella storia di Legnano la basilica di S.Magno costitui' sempre un polo di
attrazione .Attorno ad essa si estese e prospero' uno dei due primi nuclei
dell'antico borgo.
I rintocchi dei sacri bronzi del campanile della monumentale chiesa hanno
ritmato nei secoli la vita dell'operoso borgo di Legnano.
In una traversa ancora visibile inserita nei resti del vecchio campanile
longobardo vi e' scolpito un distico latino che tradotto suona così:
" I pascoli ,i vini, i grani, la abbondanza delle acque, il tempio e le molte nobili
famiglie, danno lustro a Legnano".
347
La Romantica piazza "Granda "
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 79
Da piazza Granda o piazza maggiore a piazza Umberto I fino all'attuale
denominazione di S.Magno in omaggio alla basilica dalle linee
bramantesche : il cuore dell'antico borgo che ha pulsato per secoli e dove,
come un immenso scenario vivente, si e' vista evolvere la vita legnanese.
Avvenimenti tristi ed anche tragici, note liete e festose, celebrazioni
ufficiali e storiche rievocazioni .
E pensare che prima di divenire piazza, fu Cimitero del borgo, un piccolo
Cimitero recintato con un muricciolo basso a mattoni ed unito da un lato
alla chiesa di S.Magno, come era in uso anticamente.
Quante trasformazioni ha avuto l'antica piazza Granda!
Abbiamo raccolto una serie di immagini che hanno sullo sfondo l'artistica
basilica con la cupola ottagonale ed il caratteristico campanile; la via
Porta di Sotto (oggi corso Magenta) con la vecchia sede del municipio da
un lato e dalla parte opposta il portale del palazzo arivescovile "Leone da
Perego" sulla sommita' del quale esiste ancor oggiuna piccola pietra
quadrangolare con il serpente che reca in bocca un fanciullo, insegna dei
Visconti.
Sono queste immagini che piu' delle altre della vecchia Legnano testimoniano
i mutamenti nel centro storico. Tra queste la piu' romantica, tracciata
dall'abile pennello di Giuseppe Pirovano tra il 1875 ed il 1880 con la
bancarella del venditore ambulante a troneggiare incontrastata, mentre
sulla destra un contadino a cavallo procede in direzione del viale Melzi.
Sullo sfondo gli alberi di villa Jucker e sul lato nord la ciminiera fumante
della filanda Cramer & C.
Della piazza Maggiore, quando gia' si chiamava Umberto I,( e siamo negli anni
Venti) abbiamo uno scorcio del lato Nord-Ovest con la lunga fila delle
botteghe disseminate anche lungo corso Garibaldi. All'angolo dinanzi al
negozio Bossi e Mazzucchelli, la bancarella di un personaggio
caratteristico " Pasqualin de la tiraca " , così chiamato perche' vendeva
zucchero filato.
Era la delizia dei ragazzi di quei tempi e a quanto pare un vero specialista nel
suo genere .Aveva la " tiraca" monocolore e perfino quella variopinta che
si chiamava kalimera, la caramella del buon giorno, se la denominazione
l'avevano tratta dal greco.
Sempre tra le figure pittoresche che animavano la vita di piazza Umberto I non
possiamo dimenticarne alcune divenute tipiche come " Giuanin da
348
Legnan" barbone intellettuale e cantastorie; "Gieu", venditore ambulante
ed urlatore ante litteram; 2Mina" che con " Carlin Stria" erano i piu' attivi "
topi d'appartamento", terrone delle cascine di periferia;" Tela" un
caratteristico Bertoldo locale; 2Giuan Cuteleta", ultimo vetturale di
Legnano, impeccabile con garofano all'occhiello sul suo lando', infine la
guardia "Giuli" primo vigile urbano, assunto in servizio nel 1898 .
La piazza rappresenta ancora oggi il cuore della Legnano moderna e resta
come un simbolo ad unire il passato al presente in una citta' di provincia,
regolata dai rintocchi dell'orologio del campanile della basilica a cui fa da
contrappunto oggi la massiccia mole del grattacielo " La torre" emblema
della citta' del futuro.
Il santuario Madonna Delle Grazie
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 118
I vecchi legnanesi continuano a chiamarla "santuario della Madonna delle
Grazie", ma di tale destinazione non le resta piu' nulla.
La chiesa settecentesca che sorge in fondo a corso Magenta, quasi a ridosso
del cimitero, e' ora soltanto una delle ausiliarie della parrocchia di
S.Magno.
Fino ai primi anni del Novecento era meta di pellegrinaggi provenienti dalle
citta' vicine e perfino da Milano e dalle altre province lombarde e
piemontesi, specialmente in occasione di due feste caratteristiche
collegate in altri tempi con fiere di merci e bestiame. La piu' importante tra
queste, istituita con un editto di Carlo Magno, era l'antica e tradizionale
fiera" dei Morti" , così detta perche' coincideva con i primi giorni di
novembre.
La tradizione e' conservata ancora oggi anche se la fiera si riduce a pochi capi
di bestiame allineati dinanzi al piazzale del macello pubblico, a
pittoresche bancarelle di dolciumi e cianfrusaglie per i bimbi,
torroni ,palloncini e frittelle.
Ma la festa piu' caratteristica che ha conservato, per un certo aspetto, il sapore
349
popolaresco di un tempo e' quella che coincide con la ricorrenza di
S.Mauro (15 gennaio).In tale occasione lungo Corso Magenta, dal
Macello al piazzale del Cimitero, ed attorno alla chiesa di S.Maria delle
Grazie, si danno convegno i " firunat" cioe' i venditori di "firuni" (cordoni
fatti con castagne appena sbollite e sottoposte ad un particolare
trattamento).
I ragazzi ne sono ghiotti ed ancora oggi in occasione della sagra si aggirano
tra le bancarelle dei venditori ambulanti con il tradizionale cordone a mo'
di collana, e se lo portano trionfalmente a casa.
C'e' una ragione particolare nel fatto che la sagra del di' di S:Mauro si celebra
presso il santuario della Madonna delle Grazie: nell'interno del tempio e'
conservata una vasta tela raffigurante proprio S.Mauro, discepolo di
S.Benedetto, nell'atto di miracolare un muto ed uno storpio. Infatti il
popolino di tutta la plaga legnanese conserva la devozione al santo e lo
invoca a protezione di tutte le infermita'
Alla ricorrenza di S.Mauro e' legata un'altra tradizione legnanese che vuole per
tale festa un tipico piatto. " A san Mavar, pulenta sul tavr<<2 ,una
tradizione che la 2 Famiglia Legnanese" non manca mai di rinnovare.
La chiesa di S.Maria delle <grazie fu edificata tra il 1612 ed il 165o su progetto
dell'architetto Padre Antonio Parea, per iniziativa del cardinal Federico
Borromeo, e fu completata dall'architetto Barca di Gheemme. Ad
affrescare le pareti della chiesa fu incaricato il pittore Bacchetta di Crema.
L'inizio della costruzione della chiesa dovrebbe risalire al mese di ottobre
del 1612 ma i lavori si protrassero per parecchi anni dopo una lunga
interruzione causata dapprima dalla peste e poi da invasioni e saccheggi
da parte di avventurieri o reparti di mercenari stranieri: Il luogo della
costruzione era stato prescelto perche' in quello stesso punto sorgeva
un'antica cappelletta cinquecentesca nella quale era conservato un
affresco di una Vergine al quale si attribuivano poteri taumaturgici,
affresco ancor oggi conservato nel tempio attuale.
Per erigere la chiesa gli abitanti del vecchio borgo di Legnano aprirono una
pubblica sottoscrizione e la ripresero poi per terminare il santuario tra il
1617 ed il 165o.Attorno alla chiesa si ergono, ormai in cattivo stato di
conservazione quindici cappellette affrescate dallo stesso Bacchetta di
Crema, con le raffigurazioni dei Misteri del Rosario .Gli affreschi vennero
successivamente restaurati dai pittori fratelli Beniamino, Mose' e Gersam
Turri. Quest'ultimo anzi nel 1927 rifece completamente gran parte degli
affreschi delle cappelle, dedicando particolare cura e maestria alle due
che figurano all'ingresso della chiesa: Per molti anni a tergo del tempio si
estendeva il vecchio cimitero della citta' poi spostato a sinistra della via
S.Giovanni Bosco.
350
Nel presbiterio della chiesa sono conservati due dipinti del XVIII secolo, autore
Stefano Legnani detto Legnanino, che per molto tempo erano stati nella
chiesa della Madonnina .E' un vero peccato che questa chiesa-santuario
non sia successivamente curata quanto a manutenzione e molte tele,
oltre agli artistici soffitti ricchi di stucchi e dipinti, rischiano di essere
irrimediabilmente danneggiati:
La chiesa e' molto frequentata ancora oggi e specie i vecchi legnanesi sono
affezionati a questo tempio, legato a tradizioni di fede e di folclore
popolare non certo dimenticate.
Gli Affreschi sacri E le nicchie votive.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 127
E' frequente dibattersi a legnano in affreschi regliosimtalvolta protetti da
apposite nicchie, che figuravano su facciate di vecchie case.
Molti sono andati perduti o perche' non realizzati con perfetta tecnica o perche'
eliminati al momento dell'abbattimento degli edifici.
Tra i proprietari delle case che si affacciano su via Palestro e sulla a vicina via
Lega vi era stata una specie di emulazione , stando ai numerosi dipinti
sacro che si potevano ammirare fino a qualche tempo fa: Ma due erano i
piu' caratteristici ed avevano un certo pregio e valore artistico. Se ne
trova traccia di citazioni in vari testi.
Il primo era situato sulla facciata di uno stabile contrassegnato col numero 7
della strada che in precedenza si chiamava Santa Maria .
Ci e' tramandato da un acquerello del Pirovano il quale lo segnalava come
datato 145o.L'affresco raffigurava una Madonna seduta su un trono
dorato in atteggiamento materno col Bambino in braccio.
Lo stile e' spiccatamente rinascimentale, come si puo' desumere anche dagli
ornamenti che inquadravano l'effige sacra, e forse la collocazione piu'
giusta nel tempo sarebbe verso i primi del '500.
Di due secoli dopo era invece l'affresco che era visibile fino a qualche lustro fa
su un edificio di fronte alla via Cavallotti di proprieta' della Manifattura di
Legnano e che un tempo era annesso al Convento delle Clarisse. Vi era
effigiata la Vergine Assunta in un ovale, attorno al quale si sviluppavano
gli ornamenti barocchi di una cornice molto elaborata. In basso figurava
oltre alla data(173o) la scritta latina:" Dirigi tu nostra Virgo Purissima
sensum et serva a culpis libera tabe patris".
Il Sutermeister, dallo stile e dal disegno architettonico ,lo aveva attribuito ad
351
Antonio Longone, l'autore di un leggiadro affresco che adorna labside
della chiesa di S.Ambrogio e che e' datato 1740.
Un'altra nicchia votiva degna di rilievo e rimasta nella primitiva
ubicazione ,anche ad edificio ricostruito, e' quella che ancor oggi si puo'
vedere in corso Garibaldi, angolo vicolo Lanino.
Vi e' custodita una piccola statua (sembrerebbe in "cotto" che rappresenta la
Mdonna col Bambino ed eseguita indubbiamente da mano felice di artista
esperto, tra il XVIII ed il XIX secolo.
La "Cittadella Ospedaliera"
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 138
Legnano ha una " cittadella ospedaliera" che oggi e' considerata, per la sua
efficienza e per la modernita' delle apparecchiature di alcune delle
divisioni specialistiche, tra le migliori della regione.
Fin dal lontano Medio Evo avevano prosperato ospizi e istituzioni di pubblica
assistenza per anziani e l'antico ospizio di Sant'Erasmo, che ebbe il suo
momento di massimo sviluppo con il monaco <bonvesin de la Riva, sta a
testimoniare la preminenza di Legnano in questo settore.
Senza poi trascurare che proprio a Legnano nel 1784 fu istituito presso il
convento di Santa Chiara il primo ospedale del mondo specializzato nella
cura della pellagra, come riferimento nel capitolo sui conventi e le
costruzioni sacre.
L'ospedale civile in ordine di data e' venuto quindi dopo varie altre istituzioni e
piu' che altro se ne e' sentita l'assoluta necessita' nel primo Novecento,
allorche' lo sviluppo industriale aveva postogli allora responsabili della
cosa pubblica di fronte all'indilazionabilita' dell'opera.
Vi erano stati in precedenza dei tentativi per costituire un primo nucleo
ospedaliero ma i fondi non erano stati sufficienti nemmeno ad iniziare un
progetto.
Nell'Ottocento il ricorrere agli organi centrali per finanziare grandi opere anche
di pubblico interesse era l'ultima idea che potesse balenare: Si ricorreva
quindi all'autofinanziamento, alle pubbliche sottoscrizioni che fiorivano
magari durante un banchetto, una festa di 2sciuri2. E' stato cosi' anche
per l'ospedale di Legnano.
Durante un ballo di gala, indetto in occasione della festa patronale nel 1889,
furono raccolte poco piu' di mille lire, che vennero depositate in conto,
vincolato allo scopo, presso la Cassadi Risparmio. Mille lire! Ben poca
cosa per poter sfociare dal mondo dei desideri in quello della realta'. Ci si
352
era pero' avviati lungo la china della speranza.
Dieci anni dopo ed esattamente il 3o maggio 1899, nella seduta del consiglio
comunale si deliberava la costituzione di un " comitato speciale per
l'erezione dell'ospedale" e la presidenza fu affidata al dott. Cesare
Candiani. Sara' lui stesso ad assumere poi la prima carica di presidente
dell'ospedale: Il comitato si riuni' per la prima volta il 19 febbraio 19oo e si
decise di rilanciare la sottoscrizione con una opportuna campagna
sensibilizzatrice:
I legnanesi risposero all'appello con generosita'. In pochi giorni furono
sottoscritte trecentocinquanta mila lire e quando alla presenza dell'allora
sindaco Antonio Bernocchi il 12 maggio 1901 veniva posta la prima pietra
dell'ospedale, si era gia' superato il mezzo milione di lire; cifra
considerevole per quei tempi.
Quando il comitato per l'erezione dichiaro' compiuto il suo mandato e si
avanzo' la richiesta di elevare l'opera pia in ente morale, questa aveva un
patrimonio di 747.331 lire ed un reddito annuo di 20.000 lire.
Nessun dubbio per la scelta dell'area. Si penso' subito al terreno compreso tra
via Sant'Erasmo e corso Sempione, su un tratto del quale sorgeva l'antico
Lazzaretto tristemente noto durante la peste del 1629/30 che colpi'
violentemente oltre a Milano anche gli altri centri lombardi dopo una
drammatica carestia.
Il terreno ideale per il futuro nosocomio aveva una superficie iniziale di 23.664
metri quadrati. La posa della prima pietra avvenne il 12 maggio 19o1. Il
progetto di massima era stato allestito dall'architetto Luigi Broggi e
completato, per essere reso esecutivo, dall'ing. Renato Cuttica il quale
assunse anche la direzione dei lavori .Entrambi i professionisti prestarono
la loro opera gratuitamente per dare in tal modo il loro contributo
personale ad una benefica opera che a quei tempi era molto sentita.
La salute pubblica negli ultimi anni dell'Ottocento era assai precaria in tutta la
plaga legnanese a giudicare dalle statistiche che abbiamo ricavato dagli
archivi comunali. Risulta infatti che nel decennio 1893/ 1902 su una
popolazione media di quindicimila persone ogni anno ne morirono
esattamente 372,vale a dire la mortalita' raggiunse una percentuale del
24,(O per cento.
Sempre per restare in tema di statistiche, possiamo subito vedere un netto
miglioramento negli anni seguenti alla realizzazione del primo nucleo
ospedaliero. Nel decennio successivo, entro il quale si colloca l'inizio
dell'attivita' dell'ospedale, (1903-1912) con una popolazione media di 23
mila persone la mortalita' media annuale era stata di 422, pari al 18,24
per cento, cioe' era diminuita di colpo del 6,56 per cento.
I lavori per la costruzione del primo padiglione dell'ospedale vennero ultimati
353
nel settembre 1903 e la cerimonia dell'inaugurazione, della quale
abbiamo una serie di immagini, messe gentilmente a disposizione
dall'amministrazione attuale dell'ospedale, avvenne il 18 ottobre 1903.
Successivamente vennero costruiti attorno al primo padiglione ( in ordine di
tempo quello piu' prospicente l'attuale via Candiani) altri corpi di
fabbricato, nonche' la camera mortuaria ed una palazzina che servi' di
abitazione al primo chirurgo direttore-sanitario prof. Ercole Crespi.
Allorche'
l'ospedale venne eretto con regio decreto in ente morale (8
dicembre 19o4), comprendeva cinque corpi di fabbricato compreso quello
centrale e primo realizzato, con la possibilita' di svolgere un attivita' quasi
completa per le forme chirurgiche e per la traumatologia, medicina e
ostetricia, con la cooperazione gratuita dei medici condotti che a quei
tempi erano quattro ed altrettante erano le levatrici comunali.
L'ospedale di Legnano era gia' da allora un vero modello degno di imitazione
per la razionalita' dei vari padiglioni e della attrezzatura di cui disponeva.
All'inaugurazione era dotato di $Oletti, con una capienza gia' insufficiente
per le richieste di un ente destinato ad operare per una vasta zona con
una popolazione in rapido aumento. Ma anche le possibilita' economiche
erano limitate nonostante il continuo incremento del patrimonio dell'opera pia
che contava un cospicuo numero di benefattori.
Alla chiusura dei conti con la ditta costrutrice dell'ospedale, cioe' alla fine del
1904, l'intero complesso di un volume totale di 14.184 metri cubi era
costato 334.500 lire, compreso il valore dell'area, l'arredamento e le
attrezzature tecniche e chirurgiche.
La spesa aveva superato di 43.23o il preventivo iniziale.
I membri del comitato amministrativo provvisorio, pur di non intaccare il
patrimonio amministrativo provvisorio, pur di non intaccare il patrimonio
allora pari, come abbiamo detto, a 747.331 lire ,decisero di comune
accordo di suddividere in parti uguali l'eccedenza di spesa e pagare in
proprio anche se avevano gia' largamente contribuito con donazioni in
denaro.
Tale comitato provvisorio era costituito dai seguenti membri: on.le Carlo
Dell'Acqua, Francesco Dell'Acqua, dott.Cesare Candiani, Enea Banfi,
cav:Antonio Bernocchi, dott.Gabriele Cornaggia, ing.Leopoldo Sconfietti
del Cotonificio Cantoni, avv. Sampietro, ing.Cesare Soldini e ing.
Gianfranco Tosi.
L'incremento demografico e industriale ed il progresso dell'economia pubblica
e privata ed anche le notevoli conquiste della tecnica sanitaria
cominciarono ad aprire nuovi orizzonti e nuove prospettive di sviluppo
per l'ospedale di Legnano con caratteristiche di ospedale di circolo.
Subito constatato il gran numero di ammalati che si succedevano fin
354
dall'inizio nei vari reparti (10517 giornate di degenza nel 1905, salite a
11.584 nel 1910) indussero l'amministrazione
ad ampliare e a
completare la disponibilita' dei padiglioni iniziali. Nel 1912 venne costruita
una " stazione di disinfezione", sotto la minaccia dell'epidemia colerica e
nell'aprile 1913 venne inaugurato un vero e proprio padiglione di
isolamento per malati contagiosi realizzato a somiglianza, sebbene con
criteri piu' moderni, dell'antico Lazzaretto.
Nel 192o sorgevano un completo reparto, il padiglione "Vignati", un nuovo
edificio per l'amministrazione , nuovi servizi, la portineria , la camera
necroscopica, e nel 1928 il nuovo padiglione di chirurgia e quindi il
reparrto radiologico. Abbandonato poi anche l'esclusivo concetto di un
ospedale espressione di carita' e di pubblica asistenza, maturo' l'idea di
costruire accanto alle corsie ospitaliere gia' in funzione anche un
padiglione per i solventi con attrezzature piu' decorose, vaste e
complete.Nello stesso tempo l'amministrazione aveva posto in cantiere la
costruzione di un moderno e completo laboratorio chimico in grado di
svolgere una ormai indispensabile azione
nella diagnosi delle
malattie,nonche' nuovi ambulatori ed un piccolo padiglione pediatrico.
In quello stesso periodo, e cioe'nel 1936,era anche stato previsto e
progettatoun padiglione per cronici con una capienza di 52 letti che non
venne pero' poi realizzato.Intanto erano anche sorti nuovi reparti come
l'culistica,la dermosifilopatica,l'otorinolaringoiatria e la maternita',
quest'ultima sistemata a nuovo nel padiglione ora occupato dagli edifici
amministrativi.
Sulla scia di questo progressivo sviluppo, gia' imponente ,per quei tempi, la "
cittadella ospedaliera e' divenuta una delle piu' importanti della
Lombardia.Dal 1971,con l'amministrazione presieduta da Giovanni Borioli
e continuata poi alla sua morte da Angelo Luraghi, si e' avviato un
completo progetto di ristrutturazione dell'ospedale (dichiarato " generale
provinciale"di I' categoria) con la costruzione di un monoblocco gia' in
parte realizzato che portera', a lavori ultimati, la capienza dell'intero
complesso ad oltre 2000 posti letto, con una gamma completa di
specializzazioni e con divisioni tecnicamente molto avanzate che si
aggiungeranno a quelle gia' esistenti .Citiamo ad esempio
laneurochirurgia, la otorino particolarmente attrezzata per interventi di
microchirurgia , la rianimazione ,la cardiologia,la chirurgia plastica e della
mano ed i laboratori di biochimica,ematologia ed istologia in gran parte
gia' funzionanti o in attesadi essere meglio ubicati o sistemati nel
monoblocco.
In un nuovo padiglione , gia' progettato con criteri assai moderni,troveranno
infine una sistemazione definitiva , razionale e con attrezzature di alta
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specializzazione tecnica ,la divisione di pediatria medica e chirurgica, di
ostetricia e ginecologia.
Il sanatorio Regina Elena di Savoia.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 144
Quattro immagini che risalgono al 19 giugno 1924 ci riportano
all'inaugurazione di una imponente opera realizzata nella nostra citta' per
iniziativa dell'ing. Carlo Jucker, il sanatorio" Regina Elena di Savoia2.
Fu la regina Margherita che presenzio' all'inaugurazione svoltasi in forma
solenne e con un grande concorso di popolo, una cerimonia fastosa,
tipica di quei tempi, destinata a restare a lungo impressa nella memoria
dei legnanesi.
L'istituzione era stata voluta nell'intento di affrontare il problema della cura
della tubercolosi, un morbo che el primo scorcio del secolo mieteva
ancora numerose vittime.
Il vasto complesso, situato in mezzo ad un magnifico parco con numerose
piantedi conifere ed altri alberi secolari,eracomposto di un fabbricato
centrale a due piani e di due corpi laterali ad un solo piano. Era dotato di
tutte le apparecchiature piu' moderne di radiologia, diatermia, di un
solarium ,uno stabularium e sale di chirurgia.
Il costo complessivo, compreso l'arredamento e le attrezzature,ammonto' ad
oltre sei milioni di lire.La spesaa venne sostenuta per circa un milione e
mezzo dal Cotonificio Cantoni diretto dall'ing.Carlo Jucker, fondatore
dell'istituzione.
Concorsero con 300 mila lire ciascuno il Comune di Legnano,
l'Amministrazione Provinciale e la Cassa di Risparmio di Milano.
Per cento mila lire il Comune di Castellanza e, per quoteminori, i Comuni
rimanenti del circolo ospedaliero.
I residui quattro milioni circa furono ricavati con pubbliche sottoscrizioni alle
quali aderirono con generosita'inddustriali e privati del Legnanese.Anche
gli operai della citta' e degli altri centri vicini si autotassarono devolvendo
a favore del sanatorio l'ammontare di due quindicine di salario oltre al
contributo delle trattenute di legge.Il numero medio dei ricoverati che
inizialmente era di 15o ammalati, tocco' punte di oltre 35o tra maschi e
femmine con 40.500 giornate medie di degenza annue.
Il sanatorio Regina Elena di Savoia, inaugurato come abbiamo detto nel
giugno del 1924, inizio' l'attivita' il 28 dello stesso mese e assumendo il
nome di fu eretto in ente morale con regio decreto dell' 11 settembre
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1925 assumendo il nome di "Istituzione di assistenza ai tubercolotici2.
Il "/ aprile 1925 fu visitato da re Vittorio Emanuele III che si dichiaro' entusiasta
dell'opera e delle moderne attrezzature di cui era dotata.
Ridottosi gradatamente negli anni Sessanta il numero dei degenti,
l'amministrazione dell'ente decreto' la cessazione dell'attivita' facendo
trasferire altrove i residui ricoverati assumendosene ugualmente l'onere
dell'assistenza .
Con decreto del Presidente della Repubblica in data 7-7-1970 si erano mutati
la denominazione dell'ente morale in 2Istituto Legnanese di Assistenza",
nonche' gli scopi.
Si era cioe' deliberato di trasformare, con opportuni adattamenti poi realizzati,
l'intero complesso per ospitare e curare minori subnormali gravi.
L'iniziativa si deve nuovamente alla famiglia Jucker che aveva legato, con
nobile munificienza il suo nome ad altre opere assistenziali.Per intralci di
diversa natura, in parte recentemente superati,la prevista istituzione non
ha potuto ancora iniziare lì'attivita' con i nuovi svopi statutari,ma sara'
quanto
prima una meravigliosa realta'.
I trenta primi cittadini di Legnano dal 186o al 1974.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 150
Chi furino nel volgere di un secolo e tre lustri i primi cittadini reggitori della
cosa pubblica che si alternarono
dapprima nelle due residenze
comunali di " piazza Granda" e di " piasso' di puii" e poi a Palazzo
Maliverni?
Per coloro che vogliono seguire le trasformazioni di Legnano nelle varie
epoche attraverso le immagini che stiamo presentando in
questapubblicazione, anche in funzione degli uomini che si alternano alla
testa delle diverse amministrazioni comunali, abbiamo ricostruito la esatta
successione di questi " primi cittadini".
Annotiamo che Legnano fu proclamato comune italico nel 18o4, per iniziativa
di Napoleone Bonaparte e confermato nel 1815 dal governo austriacco;
fu elevato al rango di citta' durnate la prima delle tre amministrazioni
presiedute dal comm. Fabio Vignati.
Esattamente la "Regia Patente firmata da Vittorio Emanuele III e controfirmata
da Benito Mussolini" reca la data del 15 agosto 1924.
Da allora si proiettarono arditamente nell'avvenire con sempre maggior
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incisivita' le lineee dello sviluppo della citta' gia'tracciate nel passato.
Dal monumento Di cartapesta Al "Guerriero " del Butti
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 154
" Oh a Legnano e alla Foresta
abbia un marmo la vittoria
se dei padri ai figli attesta
non piu' l'ire ,ma la gloria! "
Con questi versi Felice Cavallotti nei " Due Popoli" auspicava in pieno
Ottocento la realizzazione di un monumento celebrativo della battaglia
del 29 maggio 1176 con l'apertura di una sottoscrizione di un monumento
a ricordo del glorioso avvenimento.
Si costitui' un comitato promotore presieduto dal marchese Pesdi
Villamarina,prefetto di Milano e la posa della prima pietra del basamento
fatto allestire dall'architetto Peverelli ebbe luogo il 29 maggio 1865. Dalla
sottoscrizione ben poco si era potuto raccogliere in Legnano ma si
sperava nell'aiuto delle autorita' milanesi che avevano preso a cuore
l'iniziativa. Il bozzetto del progetto del monumento venne esposto a
Legnano proprio per invogliare i maggiorenni della citta'a finanziare
l'opera: Comprendeva uno zoccolo sormontato da una fascia sulla quale
erano riprodotti a mosaico gli stemmi delle citta' della Lega Lombarda.Si
elevava quindi un basamentoin stile lombardo antico contornato da
colonne e recente ai quattro lati altrettanti bassorilievi con scene
connesse agli avvenimenti della battaglia (la distruzione di Milano, il
patto di Pontida, la vittoria di Legnano, la pace di Costanza). Sul
basamento si innalzava una statua in bronzo costituita da un guerriero
crociato nell'atto di sventolare in aria in segno di vittoria, la bandiera
crociata della Lega Lombarda.
Ma alla prima pietra non ne seguirono altre e dopo l'esposizione del
progetto,da Milano nessuno piu'si fece vedere,tanto che nel 1875, dieci
anni dopo, l'amministrazione comunale ed alcune associazioni locali
sollecitarono la realizzazione alle autorita'milanesi,ma queste accolsero
male l'invito e punte nella loro suscettibilita' minacciarono di erigere il
monumento entro le mura ambrosiane.Si creo' una specie di frattura ed i
legnanesi decisero di tentare la realizzazione da soli.
Ripresero la sottoscrizione costituendo un comitato effettivo presieduto da
Giuseppe Pirovano. Lo componevano il cav. Ernesto Prandoni , l'ing:
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Renato Cuttica,il rag.Luigi Riboldi, Giulio Thomas, Michele Prandoni,
Carlo Dell'Acqua, Costanzo Canziani; segretario il rag: Cesare
Figini.L'Amministrazione Comunale presieduta dal cav. dott. Bernardo
Bossi offri' duemila lire.
Ma anche allora accadeva cio' che si verificava ancor oggi a Legnano per le
manifestazioni celebrative della battaglia. Si giunse infatti all'aprile del
1876, l'anno fatidico in cui ricorreva il settimo centenario della battaglia e
niente risultava di concluso.Si sapeva soltanto che l'esecuzione del
basamento era stata affidata all'architetto cav. Achille Sfondrini e la statua
allo scultore Egidio Pozzi. Il Sindaco Bossi scrisse nuovamente a
Milano ma nessuno rispose. Inaspettatamente il 9 maggio, cioe' quando
mancavano venti giorni
alle celebrazioni, arrivava un telegramma a
firma dell'architetto Sfondrini che avvertiva il Sindaco che l'indmani
sarebbe stato lui stesso sul posto per dar mano ai lavori.
Mantenne la promessa . E fu così che in diciannove giorni e venti notti di
lavoro si riusci' a far sorgere il monumento; per lo meno il basamento .
A pochi giorni dalla manifestazione lo scultore Egidio Pozzi, che attendeva
ancora il via dal comitato di Milano non aveva approntato ne' la statua del
guerriero ne' i bassorilievi in bronzo.Vi erano soltantoi bozzetti.Il comitato
milanese all'ultimo momento, rendendosi conto che sarebbero convenuti
a Legnano rappresentanti delle citta' della Lega per inaugurare soltanto il
tronco di un monumento, per evitare aspre critiche, ricorse ad uno
stratagemma.Fece modellare in fretta e furia sui bozzetti esistenti ,statua
e bassorilievi in gesso e cartapesta.
Colorati quindi in bronzo, diedero l'illusione alle rappresentanze e alla folla
convenuta che l'opera fosse veramente compiuta e degna dello storico
avvenimento.L'intenzione era poi quella di sostituire in un secondo tempo
alla chetichella e nottetempo il bronzo alla cartapesta.Purtroppo il
monumento non venne mai completato,ne' tanto meno si fecero le fusioni
e, la statua in cartapesta prima, e quindi il resto, si avviarono pian piano
verso il completo sfacelo.
Le sette campane di San Domenico
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 122
Legnano di ieri Legnano di oggi.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 10
Dal Fascismo alla liberazione
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 32
L'era industriale E le trasformazioni Negli ultimi due secoli
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 36
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La bramantesca Basilica di San magno
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 70
La Romantica piazza "Granda "
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 79
Il santuario Madonna Delle Grazie
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 118
Gli Affreschi sacri E le nicchie votive.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 127
La "Cittadella Ospadaliera"
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 138
Il sanatorio Regina Elena di Savoia.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 144
I trenta primi cittadini di Legnano dal 186o al 1974.
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 150
Dal monumento Di cartapesta Al "Guerriero " del Butti
Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 154
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Chiesa della Madonnina
"Della nova chiesa della Natività di Maria Vergine".
Nel 1650 il legnanese Prevosto Pozzo descrive sotto questo titolo le cause ed i
lavori inerenti all'erezione di una piccola chiesa situata lungo l'attuale
corso Sempione in Legnano. Di una chiesa nuova infatti si trattava
cominciata il 21 luglio 1641 sotto il patrocinio del cavaliere Gioseffo
Lampugnani. Anche se di piccole dimensioni questo edificio rappresenta
l'espressione più colta in tema di architettura prodotta nella Legnano del
1600, in quanto tutte le costruzioni a lei coeve, risentono ancora
l'influenza del 1500.
Prima di addentrarci in una descrizione di fatti è meglio accennare alla
situazione culturale italiana in generale e legnanese in particolare intorno
al 1630.
Alla fine del Cinquecento l'Italia si trova presa nel fervore rinnovatore della
Controriforma. Non era tanto all'intelletto ed alle sue speculazioni che
essa si rivolgeva, quanto al sentimento ed alla fantasia (Spini) aiutata
dalle nuove ondate di mecenatismo che in ogni luogo fanno veri idoli
degli artisti e degli studiosi. Michelangelo ha fatto scuola. Egli a Roma
prese contatto con i resti delle splendide costruzioni romane imperiali, di
cui aveva imitato il gusto della spazialità e della possezza delle forme;
aveva fatto suoi gli arcani segreti di quei lontani plasmatori di masse e di
spazi, profondendoli nelle sue maestose opere.
Ecco che gli eredi di Michelangelo subito si rifanno al gusto romano anche
perchè la maturità costruttiva di questo secolo è paragonabile a quella
del II-III secolo d.C. Nella Roma pagana, con condizioni economiche
paragonabili a quelle seicentesche, si era insinuata la dottrina cristiana,
facendo nascere architetture piene di tormenti e di sentimenti forti che
ritroviamo nel Seicento questa volta generati da un poco di paganesimo
edonistico insinuatosi nel pensiero cristiano. Dice bene la prof.sa Liliana
Grassi: "Al sostituirsi dei principi della nuova ricerca naturalistica
sperimentale delle teorie platonche del Rinascimento corrispose dunque
anche in arte l'adesione a forme figurative in certo senso consorte a tal
sorta forma mentis generale". Tre elementi però impediscono al Seicento
di ricalcare le vie romano imperiali.
Primo: la presenza degli Spagnoli che con il loro gusto influirono sugli artisti, i
quali talvolta si abbandonarono ad eccessi di decorativismo.
Secondo: la sopraggiunta maturità costruttiva permette, ogni secolo che passa,
361
di usare i materiali a piacimento, maggiormente, avvicinandosi ai limiti
dlelle resistenze strutturali fino a rendere più snelli i muri e gli appoggi.
Terzo: la divisione politica in tanti staterelli autonomi toglie la maturazione del
gusto crescente in un corale moltiplicarsi delle fabbriche, e ciò è causa di
architetture tipiche regionali, o spesso solamente cittadine che vediamo
intorno a noi. Proprio quest'ultimo punto introduce il discorso
sull'ambiente nel quale sorse la chiesa presa in esame. In Lombardia
siamo sotto il dominio degli Spagnoli di Filippo IV, tuttavia
l'amministrazione è in mano a nobili milanesi ed il peso delle gabelle di
Filippo non è troppo sentito dato che spesso non vengono pagate. Si
vive in un certo benessere che tranne nei periodi della peste consente
l'erezione di molteplici edifici, patrocinati dalle famiglie nobili, ad opera di
artisti di corte e prettamente lombardi quali Lorenzo Prinago, Buzzi Fabio,
ecc. ed il maestro fra questi Francesco Maria Richini .
In Lombardia le istanze barocche erano state preparate dalle classi sociali e
dal Piermarini. Il nuovo secolo trovò quindi un humus forse più che
altrove preparato ad accogliere le successive manifestazioni barocche.
Nonostante il terreno già pronto all'innesto del barocco in Lombardia,
non si verificò una manifestazione artistica unitaria quale quella
piemontese con Guarini e Vitozzi, o quella siciliana, o napoletana che
improntarono intiere città ed allacciarono discorsi architettonici unici
evolventisi dalle città principali in provincia con sviluppi spesso
equipotenziali, soprattutto grazie al mecenatismo delle corti regali che in
codeste regioni erano ben salde al potere ed intervenivano ovunque. Al
contrario la Lombardia era in mano a tanti piccoli signorotti che più o
meno rispettavano il potere centrale, e ognuno si faceva promotore di
nuove fabbriche senza che Milano intervenisse con finanziamenti. Ecco
dunque crescere fabbriche in leggera anarchia senza un filo conduttore
che le unisca.
A Milano, splendore di mezzi e di architetture, in provincia spesso fabbriche
plu modeste. Il caso verifica della situazione si vede proprio in Legnano.
Nel 1600, Legnano è un Comune abbastanza agiato; lo testimoniano le
sue innumerevoli chiese (tredici) ed i suoi conventi (ben sette). Non solo,
ma in essa risiede, come abbiamo visto, una delle più importanti famiglie
di Lombardia; la famiglia Lampugnani. Discendenti da Odelberto
Lampugnano (804) cavaliere dell'imperatore Carlo Magno (archivio
storico civico Milano, Famiglie, cart. 819).
Un discendente di Odelberto Lampugnani, Joseffo (il primo importante
legnanese possessore del Castello) capitano di sua maestà e cavaliere
jerosolomitano, figlio di Attilio, era in quel tempo molto facoltoso e
potente, tanto che lo stesso Filippo IV di Spagna il 28 febbraio del 1647
362
emise una grida contro di lui (A.S.C., Famiglie, cart. 820) perchè con
stuolo di bravi si proteggeva dalle truppe spagnole e non pagava le
gabelle per gli eserciti del re.
Proprio in una vigna di costui sorgeva una piccola cappella che sembra essere
quella segnalata dallo storico milanese Bussero come presente in
Legnano, ma per i fatti, ecco il racconto del prevosto Pozzo di Legnano
che, nel 1650. scrive "Storia delle Chiese di Legnano" (Archivio di S.
Magno Legnano).
"Fra la contrada di Legnarello et l'Hospitale di S. Erasmo vi si vede in questo
tempo che io scrivo una picciol capella fatta int volto con una assai vaga
effigie della B. Vergine dipinta con S. Sebastiano, et S. Rocho a lati suoi,
oltre che altri santi ne muri latterali in particolare S. Fran.co, S. Joseffo, S.
Carlo alla quale vi fu sempre qualche divotione come quella che è posta
sopra la Strada Milanese.
Si accrebbe la divotione a questa cappella, che essendo fuori a caccia il S.
Antonio Lampugnano fratello già del S. Cavaglier Joseffo sopra i cui beni
è posta, et non so per quale accidente cascò da cavallo restando il piede
nella staffa, et tirato per terra ivi a quella capeletta si fermò,
raccomandandosi sifatto pericolo alla B. Vergine, et restando illeso
riconobbe questa gratia da quella che però in memoria della gratia la
fece questa capella cancellare con legna di noce, et li fece fabricar avanti
un portico, et pur a nostri tempi uno che andava tutto curvo, et li
andavano a basso li intestini, con la divotione a questa capella, confessa
havere la sanità,. che però si è alla nova fabrica dedicato impiegandosi
per quella di continuo.
L'anno 1638 a 4 del mese di Novembre fu gran concorso a Milano per la
solennità di S. Carlo dovendosi riponere il S. corpo di quello Arcivesc.vo
in una mirabil cassa fatta di cristallo et argerno con una solenne
processione a spese del Catholico Re Filippo IV nella quale solennità fu
così copioso il concorso che li portici, botteghe sopra la piazza del domo
anco di notte si videro pieni, con l'occasione di questa solennità si
accrebbe la divotione fermandosi molti de passeggieri a questa capella
tocchi dallo spirito santo qual voleva in quel loco fosse honorato la
Regina de Cieli, et doppo questa solennità e anche sempre crescendo il
concorso in modo che le feste si vedevano venir molti da tutte le parti,
professando molti haver havuto delle gratie.
Et una non devo tacer ... del borgo di Busto indemoniata essendo venuta
alcune feste ci questa capella con sentimento di conseguir qualche
gratia, il giorno de S. S. Innocenti del med. o anno 1638 fu
accompagnata cola con molti stridi che mandava, et ivi stette per spatio
363
di tre hore avanti il giorno riempiendo quel contorto di stridi alla fine cadè
tramortita, et portata nella terra al fuoco non senti altri ritornando alla
medema cappella all'hora, et doppo in ricognitione della gratia l'anno
seguente nel mese di Aprile Giò Pietro Rontio da Gorla Maggiore pieve
di Busto havea un figliolo d'età d'anni 4 in circa è questo venne il male
della pietra et facendogliela
cavare dal Chirurgo Molt'Albino da
Peveranzo presso Carnago restò morto, et quanti erano presenti lo
videro spirare, in quel ponto la madre s'invotò a questa B. Vergine. et
videro in un subito il figliuolo ravivarsi, et vedendo ci rendere le gratie con
portar un quadretto del successo, vennero ancoa deponere il fatto. Molti
professano delle gratie quali a co nell'ottenere la facoltà di poter fabbricar
la nova chiesa si sono esibiti nell'Arciv.to molti anco hanno fatte larghe
elemosine, quali essendo arrivate è qualche somma fu deliberato
fabricar una nova chiesa stando che la capelletta fosse troppo vicina alla
strada ne si poteva ampliare .
Venne l'Ingeniero Richino, qual in materia di Chiese fu sempre in gran stima,
et fatto il modello si esebì a Mons. Cesare Visconte come prefetto
deputato sopra le fabriche qual aprovò quanto fu messo in carta, et
esebito a S. Em.a se ne riportò ogni opportuna facoltà con un rescritto
della Cancelleria del tenor seguente. Blasius Constantius I.U.D.
Prothonotarius Ap.licus Emin. mi ac. Rev.mi D.D. Cesaris S.R.E. Pbri
Cardinalis Montii S. Mediolanens. Eccl.ae Archiepi Vic. Glis.
Ecclesiae sub invocatione Nativitatis B. Virginis Mariae apud vias Legnarelli
parochialio Legnani Med.ni Dioces. Construensitum, formam, ac
dessignationem hac pictura de Architecti penso judicio, et consilio
expressam, et è Per Ill.mi et Ad. Rev. D. Julio Cesare Vicecomite
Prefecto Fabricarum Ecclesiasticarum recognitum, et approbatum atque
instrutionibus fabric. Ecclesiasticarum rationibus congruam: Nos
approbamus ad eiusdemque praescriptae omnis dessignationis typum
formamque istius Ecc. ae instructionem, aedificationemque fieri, et
confici his nostris concedimus. In quorum fidem ect. Datum Mediolani ex
Pallatio archiepli die 15 mens. Yuli 1641.
Signatum Blasius Constantius Vic. Glis
Jo. Da.pta Pellizonus Can.s S. Stefani et Vicecancell. Archieplis. Il 21 luglio
del medesimo anno 1641 in giorno di Dominica stando di già in fronto
gran quantità di calce, pietre, mattoni il tutto preparato mediante la
diligenza del S.r. Cavaglier sopra una vigna contigua a questa capella
ove il med.o S.r dava il loco, et sito per la nova chiesa doppo il vespero
essendosi di già il popolo congregato nella Prepositurale per esser la 3°
Dominica giorno nel quale tutto l'anno (sic) si espone il S. S. mo
Sacramento fatta dico la processione, et quello riposto subito s'inviò il
364
Popolo, qual era numeroso con anche le schole de Disciplini verso
Legnarello alla capelletta, et accostatosi il Prevosto cò, il clero al piede
della croce che alcuni giorni avanti era piantata al loco per l'altar della
nuova chiesa destinato ivi presso era fatta la fossa per il fondamento
della nova chiesa medema, et stando preparando un tavolino coperto di
tapete di seta sopra di quello si vedeva una pietra quadrata et benedetta
nella solita forma del sacerdote Romano fu dal Prevosto posta nel mezo
del fondamento della capella maggiore è dirimpetto dell'altare in quella
maniera che si prescrive cantate le litanie al rito romano stando intornzo
il numeroso popolo. Il giorno seguente si proseguirono li fondamenti
alzandosi la fabrica fuori di terra all'altezza in circa de Br. 8.
Si attendeva d questa abrica, et passando un carro con matteria per servitio
della med.a fabrica il 23 agosto del 1641 urtò per poco accedimento in
una colonnta del portico che avanti a questa capella vi era come già dissi,
et questa andando a terra li andò andò tutto il tetto sotto di questo stava
unz passaggiero orando alla B. Vergine et benchè li venisse parte del
med. o tetto con legnami restando intatto et illeso da tal riuna, et la
lampada stessa che ardeva nel mezo del med. o portico non si ruppe
sotto a tale ruina. Ricortoscendo q. to huomo la salute in simil caso della
B. Vergine nel ritorno che fece dalla città venne a deponere il caso.
QUesto fu un Gio. della Croce di età d'anni 31 figliuolo d'un Antonio detto
Tortiolo Pontemai Dioces. di Novara, terraposta al principio della Valle
d'Antigolo. L'arno seguente cioè il 1642 del mese di Aprile si ripigliò
questa med. a fabrica et in 15 giorni s'alzò due pontade intorno, et fu
necessario fermarsi principalmente per mò esserne pietre cotte, et in
breve spatio di tempo il tutto fu in ordine come anco alcune pietre piccate
che si fecero condur da Somma si per fortezza della cornice di dentrio,
come per ligati nelle stesse mura, oltra legni, et chiave di ferro, quali
circondano la fabrica tutta, et si ripigliò la fabrica nel mese di luglio sino al
coprirla tutta riserbandosi la volta all'anno seguente. Ne sia meraviglia
che in tempo si calamitosi si potesse avanzar tanto in questa fabbrica
l'assistenza di questi sig.ri fu sempre sin dal principio più che ordinaria,
et lemosina della legna per cuocere le pietre fu abbondante
concorrendovi non solo la terra di Legnano ma anco molte altre, cossi
invitati è sovenir quest'opera da RR. Curati quelle".
Come dice il Pozzo è dunque un signorotto locale miracolato a far erigere una
chiesa senza il minimo interessamento di Milano. Viene il Richini?
Forse, ma ecco che la costruzione, pur se ben plasmata, si trova
spaesata lungo il Sempione e vicino a case, conventi, e chiese
cinquecentesche che la attorniano ed il discorso architettonico
urbanistico unitario tipico di tanti paesi piemontesi o meridionali barocchi
365
qui manca del tutto. All'infuori del documento citato da padre Pozzo, non
si sa molto sulle origini della chiesa. Nel testamento del cav. Joseffo
(Archivio Ospedale Maggiore di Milano cart. 11) si menziona la di lui
patrocinazione della chiesa, un lascito di mille lire, l'obbligo delle Messe
e la volontà di essere sepolto in un angolo della chiesa ove infatti si vede
una lapide al suo nome che copre una cella sotterranea, in cui sono i
corpi dei Lampugnani.
Questa infatti è, al di la della narrazione favolistica secentesca, la motivazione
e la vera funzione dell'edificio. Esso costituisce il mausoleo della famiglia
Lampugnani, essendo stato vietato, dopo il concilio di Trento, ai privati
trovare sepoltura nelle chiese (i personaggi importanti all'interno della
chiesa, quelli minori fuori nel cimitero, es. piazza S. Magno). I
Lampugnani non potevano più usufruire delle loro tombe sotto il
pavimento di S. Magno, avevano quindi dovuto costruirsi una cappella
privata, in cui trovare posto per l'eterno riposo ed affinchè assumesse un
aspetto di chiesa normale avevano istituito un lascito per l'altare,
mantenendovi anche un sacerdote per le messe. Sotto il pavimento della
chiesa essi si feecero tumulare. (La cellula funeraria ora sigillata fu
scoperchiata ventisette anni fa per il rinnovo del paviimento ma la
sbadataggine degli intervenuti ha fatto in modo che non sia stato fatto un
rilievo della tomba. Essa viene però descritta come semicircolare, fatta
come un coro e nel sedile a gradino sono posti i feretri seduti di due
signorotti armati (Joseffo e un collaterale cavaliere Tranquillo
Lampugnani) nonche' quella Bianca Lampugnani e sposa al Lampugnani
stesso qui sepolta con il suo abito nuziale.
Vi sono poi documenti che descrivono le successive donazioni alla chiesa e
trasformazioni in oratorio fino al lascito della stessa da parte di Attilio
Lampugnani, nel 1756, all'Ospedale Maggiore di Milano. Inoltre sono
segnalati nell'Archivio di Stato di Milano (Fondo Religione, cart. 764) le
dotazioni i bilanci, la presenza dei documenti di fondazione (non
rintracciati) e l'annessione, probabilmente nel 1700 circa, di una parte
posteriore adibita ad oratorio della Confraternita del SS. Sacramento, per
la costruzione della quale venne demolita parte della cappella dietro la
chiesa.
Nessun riferimento al Richini dunque, se non quello di una perizia calligrafica
stesa dalla prof.sa Liliana Grassi circa un disegno della chiesina
rintracciato in una cartella dimenticata di documenti ancora da registrare
presso l'Archivio dell'Arcivescovado di Milano; pero' bisogna precisare
che proprio le cartelle utili che erano presenti in A.S.C. (Localita' foresi,
cart. 888) sono andate distrutte. Comunque anche le cartelle all'Archivio
di Stato "746 Ingegneri camerali" riguardanti il Richini, non portano
366
riferimenti a Legnano.
Negli elenchi sono indicate le giornate dedicate ai vari lavori lombardi del
Richini e non vi è Legnano, penso per due motivi: primo, il lavoro non era
importante, secondo, era fatto da un privato in lotta col potere centrale e
quindi tenuto quasi nascosto.
Comunque, proprio nel 1640, F.M. Richini ricevette l'investitura ad ingegnere
camerale; quindi è molto probabile il suo intervento un anno dopo in una
fabbrica cosi vicina a Milano.
L'edificio oggi si presenta, in pianta, come formato da un corpo centrale
quadrato, i cui spigoli sono stati troncati mediante l'inserzione di lesene
racchiudenti finte porte in basso e nicchie con statue nella parte alta. Tali
inserzioni vengono a costituire un ottagono con lati alternati lunghi e corti.
Nelle pareti di testa e di fondo sono aperti due archi che inseriscono al
corpo centrale due cappelle; una per l'organo, l'altra per l'altare. La
cappella dell'organo cui si accede dalla facciata, è coperta con volta a
botte e presenta nella lunetta sopra il cornicione una finestra quasi
quadrata con voltino curvo che si apre in facciata. La cappella dell'altare
maggiore è coperta da una crociera ribassata e nelle tre lunette si
aprono 4 finestre uguali alla precedente.
Quella sopra l'altare è chiusa in seguito alla chiara aggiunta dell'oratorio. La
chiesa è stata prolungata nel 1700 con un edificio a due piani, con in
basso un'aula unica coperta a padiglione ed in alto con stanze per il
canonico, a cui si accede mediante una scala inserita in un corpo di muro
sulla sinistra della chiesa e che comprende la sacrestia, il vestibolo, il
campanile ed un vano secondario. Il vano centrale della chiesa ad
ottagono è coperto con una volta a crociera rialzata al centro, in cui
costoloni sembrano riempiti a formare quasi otto vele; quattro grandi e
quattro piccole che si riuniscono in un piano ottagono centrale anch'esso
con i lati più piccoli verso gli spigoli del quadrato di pianta. Nelle lunette
piane formate sui fianchi da due dei quattro archi reggenti la volta, si
aprono ancora le finestre quasi quadre. Le lesene interne sono tutte in
ordine Jonico.
L'imponente cornicione taglia in due l'ambiente, suggerendo un aereo distacco
delle coperture. I marmi delle cornici e dell'altare sono aggiunte
settecentesche.
Notevoli sono i porta lapidi alla base delle lesene fiancheggianti le quattro
porte che, dalla fattura, rivelano origini secentesche.
L'esterno si presenta, tranne per la facciata completamente lisciata, in cotto,
l'ottagono viene denunciato sul fianco destro ove l'aggiunta
settecentesca rivela la sua entita a causa di profonde crepe che la
separano nettamente dal corpo vecchio e grazie alle finestre rettangolari,
367
col bordo non intonacato e con una cornice settecentesca, che si
rivelano subito posteriori. Tutte le facciate sono scandite da lesene che le
incorniciano con misurata eleganza tagliate a mezzo da un semplice
cornicione di cotto che prosegue idealmente quello di facciata. La
copertura è a capanna sulle due cappelle di testa e coda e sul vano
centrale è ottagona con i lati corti. La chiesa si presenta sopraelevata
rispetto la strada con un salto di m. 1.80 che la rende più slanciata. La
facciata non indulge a preziosismi, è a due ordini: dorico e corinzio,
culminata da un timpano in cui le lesene mediane proseguono.
La larghezza della facciata è maggiore di quella del corpo avanti della chiesa e
quasi nasconde a chi entra la sua natura ottagona, dividendosi inoltre in
tre parti come se la chiesa fosse a tre campate. Nella parte centrale
inferiore è sistemato il portale fatto con una cornice sormontata da un
ovale decisamente posteriore con una Madonna. Sopra il grande
cornicione si apre solo la finestra del vano organo quasi quadrata,
contornata da una semplicissima cornice che nella parte superiore
acquista un'aggraziata linea arcuata; nelle campiture laterali sono
rilevate delle cartelle con spigoli sagomati a sguscio. Sopra il complesso
che presenta suIIa destra un portico a un fornice con volta a vela (è un
ampliamento del portale poi spostato dalla facciata del 1600 rifatta) si
erge un campanile che alla base interna acccusa una notevole vecchiaia,
ma all'esterno tradisce un rimaneggiamento settecentesco ed un
restauro dei primi del Novecento.
La singolarità della pianta e la menzione sul Richini mi inducono ad esaminare
un altro monumento sicuramente dello stesso architetto: il S. Giuseppe
(l607-30) di Milano. Sul S. Giuseppe vi è una preziosa descrizione del
Torre (il Ritratto di Milano - 1674) riguardante l'aspetto e le opere di
questa chiesa.
Parlare di attribuzioni è forse eccessivo, tuttavia per molti caratteri la nostra
chiesa della Beata Vergine Maria si avvicina, sia pure come
manifestazione artistica di tono minore, alle caratteristiche morfologiche
dell'architettura Richiniana. Vediamole.
Il primo: lampante parallelo a quello piantistico o del S. Giuseppe milanese.
Una delle peculiarita del barocco fu quella delle trasformazioni delle
piante geometriche del Cinquecento a piante cosidette plastiche, sul tipo
della ellittica. Vediamo in Piemonte le piante mosse dal Guarini, e le sue
volte talvolta incredibili, a Roma il S. Carlo del Borromini, in cui ogni
punto di vista fa scoprire nuovi giochi di superfici concave e convesse, o
il S. Ivo, in cui alla fantasiosa stellarità della pianta corrisponde una
ancor più fantastica cupola impostata su un perimetro trilobato e
tricuspidato, ed un esterno scenografico e mai riposante per chi guarda
368
grazie ai suoi continui cambiamenti di piani.
In mezzo a tanto fervore inventivo anche il Richini ebbe la sua intuizione. "Ad
osservare i suoi studi si scopre una tendenza a non lasciarsi irretire dal
filo di una magia senza confini. Il Richini fissa un asse attorno al quale fa
ruotare il suo pensiero, tendenza ad accentuare lo scatto longitudinale e
cioè allungando sentitamente la cappella lungo l'asse" (Grassi). Infatti le
due chiese di Legnano e Milano presentano pianta centrale ottagona, in
cui l'asse principale è stato allungato mediante una cappella d'ingresso
ed una abside. Mentre però la chiesa legnanese indulge più tipo del S.
Remiglio di Milano (1630) di Fabio Mangone Torre ora distrutto, quella di
S. Giuseppe si avvicina allo schema del S. Giovanni alle Case Rotte, per
delle cappelle radiali del vano abside. Ma se l'impianto generale non è
proprio identico, quasi identici sono i lati corti dell'ottagono centrale. In
entrambi i casi infatti si hanno elementi che li staccano dal corpo della
chiesa. In Legnano lesene, a Milano lesene e colonne. Vi sono quattro
porte nella parte inferiore di tali lati, a Legnano tre finte e una vera, in
Milano quattro vere. Sopra le porte in Milano sono sistemate delle
nicchie aperte in un vano scala con delle balaustre, in Legnano non
essendo possibile per modestia di mezzi e proporzioni costruire i progetti
si supplì con nicchie nelle quali furono sistemate quattro severe statue.
In tutte e due le chiese troviamo l'ordine jonico tanto caro al Richini.
Sopra i capitelli si stendono poderosi cornicioni, i cui respiri non
differiscono molto se non in Legnano, per l'esser stato tornato dalle
successive decorazioni. Per quanto concerne il vano organo, in entrambi
i casi, le proporzioni e le soluzioni sono identiche, persino la porta
d'accesso all'organo. Dietro l'organo la finestra quadrata, sopra la volta a
botte. Anche il vano absidale, se si escludono le cappellette radiali in
Milano, assenti a Legnano per la piccolezza della chiesa, ma segnate
mediante un approfondirsi delle pareti tra le lesene, è risolto in modo
uguale con una crociera di volta e tre lunette, nelle quali si aprono
finestre del solito tipo.
Un terzo esempio di tale copertura si trova nel S. Carlo ad Arona, in cui però la
soluzione è ingigantita e le finestre sono portate a quattro. Per il vano
centrale la somiglianza non è rispettata. In Milano vi è una cupola su
pennacchi, soluzione ricca ed impegnativa, già presente nell'abside del S.
Carlo. In Legnano è una volta a crociera mutata in ottagono con
l'inserzione di piccole vele negli spigoli. Al centro vi è una cartella pure
ottagona.
Orbene, questa soluzione si trova in genere in una famosa costruzione del
Richini: il palazzo di Brera, infatti in tutti gli incroci dei corridoi sono
ricavati dei vani a fianco, in cui le coperture sono molto vicine a Legnano.
369
Le finestrature sono per forma ed ubicazione molto simili nelle tre chiese
menzionate, ed in Legnano, presentandosi con la cornice intonacata,
annunciano una delle caratteristiche del Richini: fabbrica a mattone nudo
con i fori dei ponteggi e le predette sagome intonacate. Anche la finestra
in facciata cosi quasi quadrata e con il bordo superiore sagomato è
elemento caro al Richini e presente anche a Milano ed Arona.
La facciata poi, alta ben raccolta nelle lesenature ascendenti, con quel suo
sviare la visione ottagona, rivela intenti e gusto uguali. Anche i cornicioni
ad un attento esame, rivelano essere quasi identici tranne nelle aggiunte
decorative dei timpani milanesi. Sui fianchi ovviamente si torna a notare
la differenza di natali delle chiese. In Milano si continuano lesene e
capitelli ed i muri sono intonacati, in Legnano ci si limita a costoloni
senza capitelli e ad un cornicione in cotto appena accennato, anche se il
disegno allungato e gli aggetti dei volumi sono uguali. Un'ultima cosa: nel
portale trascurando il sovraportale milanese con le colonne ed il timpano,
si pui, notare un uguale senso delle proporzioni nelle cornici che nel caso
di Legnano si avvicinano a due tipi di porta presenti nel cortile di Brera, in
cui gli spigoli superiori sono stati arrotondati con soluzione nuova tipica
del Barocco che avrà molta fortuna nel Settecento.
La chiesa fu sempre benvoluta dai fondatori Lampugnani, i quali la dotarono di
buone opere d'arte.
Prima fra tutte la pala (trittico) d'altare dipinta con mano più cinquecentesca
che barocca, ma in modo squisito da Francesco Lampugnani, legnanese.
Rappresenta una Madonna con i classici S. Sebastiano e S. Rocco che
riecheggiano quelli posti nella cappella maggiore di S. Magno, ad opera
di B. Lanino.
Il dipinto ad affresco con cornice di gesso e ln buone condizioni. Sempre alla
mano dei Lampugnani si devono le decorazioni e le figure di S.
Francesco e S. Giuseppe poste sulle pareti della cappella dell'altare, che
ripetono le interpretazioni di ornato tipiche di questi pittori con i colori blu
e grigi già splendidamente visti nelle grottesche della cupola della
Basilica maggiore di Legnano dipinte dal Gian Giacomo. Nell'aula
centrale si vedono ora a destra ai lati destro e sinistro due ricche cornici
ovali di marmo nero, in cui si trovavano due tele del pittore Stefano Maria
Legnani detto il Legnanino ora trasportate nella cappella dell'altar
maggiore della chiesa di S. Maria delle Grazie in Legnano. Esse sono di
grandi dimensioni (m. 2 x 2,98) e rappresentano due scene piene di
grazia e dolcezza con la nascita e l'assunzione della Madonna ed erano
il vero capolavoro della chiesina. Quando vennero trasportate, ci si
occupò di non lasciare il muro a nudo e venne incaricato nel 1828 il
pittore legnanese Beniamino Turri perchè ne eseguisse le copie ad
370
affresco all'interno delle cornici.
Queste copie hanno risentito della troppa umidità proveniente dal tetto ed un
maldestro ritocco a tempera, nel 1950 le ha rese quasi irriconoscibili. Per
contro molto più integro è il soffitto decorato a stucchi da Daniele Turri
con inserite tra i putti e le lesene delle stupende scene ad affresco
dipinte dal figlio di Beniamino Turri, Mosè senior. Questi affreschi
unitamente a quelli deterioratissimi della chiesa delle Grazie ed ai quadri
ad olio in S. Magno sono le opere più belle lasciate a Legnano da questo
artista nostro cittadino.
Non mancano nella chiesina della "Madonnina" i marmi preziosi scolpiti,
particolarmente cari alla cultura del 1600, tra i quali si distinguono le
lapidi funerarie dei Lampugnani mirabilmente lavorate in marmo nero.
Già abbiamo accennato al fatto che la chiesetta era posta lungo l'antica
Strada Magna ora Sempione. Orbene, questa sua particolare ubicazione
ed il tipico gusto secentesco di unire l'estetica alla funzionalità fecero si
che essa venisse dotata nel suo esterno di ben tre meridiane poste
rispettivamente ad est, a sud ed a sud-ovest. Queste tre meridiane erano
ben visibili dalla strada sia andando che venendo da Milano ed erano
studiate in modo che quella ad est recepisse le prime luci segnando le
albe per poi passare l'indicazione delle ore centrali a quella grande posta
a mezzogiorno, la quale a sua volta verso sera era coadiuvata dalla terza
verso ovest che segnava i tramonti. La chiesina costituiva quindi un vero
orologio solare con le sue mura esterne ed aiutava i viandanti nel loro
cammino. Le meridiane erano tutte impostate su scenografie con stemmi,
volute, paesaggi e motti latini, ma sono rimasti solo la grafia delle linee
delle ore incise nell'intonaco, i colori delle scene sono spariti. Nel 1984,
grazie all'intervento del Club Antares di Legnano, della Famiglia
Legnanese e della contrada di S. Erasmo, esse sono state restaurate
nelle loro parti tecniche di linee equinoziali, solstizii, ore, gnomoni ecc.,
ma si è dovuto rinunciare al recupero delle parti decorative perchè troppo
compromesse.
Percorrendo il Sempione, non con l'automobile (troppo veloce), ma a piedi
possiamo ancora oggi rimirare il pregevole effetto di questo "laboratorio
solare" unico nel suo genere in tutto il circondario di Legnano.
Nelle precedenti note riguardanti la chiesa di S. Ambrogio e le sue secolari
disavventure edilizie era emerso chiaramente come la piccola società
legnanese del 1500-1600 fosse piena di iniziative e risorse. Mai paghi
del decoro delle loro chiese o cappelle gli abitanti avevano non solo
edificato ed abbellito S. Magno, ma anche riedificato ex novo S.
371
Ambrogio alla fine del secolo terminando i lavori verso il 1610. Il
medesimo fervore rinnovatore nell'anno 1612, venne dedicato ad una
piccola cappella esistente fuori Legnano verso sud, sulla strada che
porta a S. Giorgio. Lungo questa antica via che raggiungeva da più di
mille anni luoghi di inumazione preromani esisteva una costruzione
molto piccola risalente a prima della peste del 1575. Era di aspetto
rustico e conteneva un affresco raffigurante una Madonna con il bambino
ed ai lati le figure di S. Rocco e S. Sebastiano.
Nel 1582-83 già alcuni devoti si erano incaricati di costruire un piccolo oratorio
a tempio che inglobava la primitiva cappellina, denominandola Nostra
Signora delle Grazie, per ricordare i molteplici prodigi attribuiti all'antica
Madonna. Buon ultima la guarigione di due ragazzi sordomuti, figli dei
molinari vicini al castello di S. Giorgio che, durante un temporale, si
erano rifugiati vicino all'affresco, il quale aveva preso a parlare con loro,
dicendo di edificare un portichetto.
Evidentemente non paghi della dimensione della chiesa i Legnanesi nel 1610,
ripresero a fare sottoscrizioni per modificare ed ingrandire l'edificio.
Queste due date: 1583 e 1610 corrispondono ai periodi di due grandi eventi
nella storia di Legnano.
Il primo è l'anno in cui grazie alle pressioni delle famiglie nobili legnanesi ed
alla valorizzazione della chiesa di S. Magno, Legnano prepara il riscatto
della Prepositura che riuscirà a sottrarre nel 1584 a Parabiago. Tutta la
città era quindi tesa ad erigere monumenti ed abbellirsi.
La seconda data 1610 corrisponde all'anno in cui, con il concorso dell'ing.
Francesco Maria Richini a Legnano viene rigirato l'orientamento degli
ingressi e facciata di S. Magno. Si costruiscono un nuovo portale e
contorni marmorei delle finestre nella basilica maggiore. Si progetta
l'innalzamento dell'antico campanile romanico. Si sta terminando
l'ampliamento della chiesa di S. Ambrogio. Poichè l'oratorio di S. Maria
delle Grazie, troppo angusto non doveva piacere, fu deliberata una
costruzione più imponente, ma i disaccordi sulla scelta del luogo, ove
impostare la costruzione, fecero si che, solamente nel 1611, il 4 di
ottobre, si ponesse la prima pietra nel mezzo delle fondazioni del muro di
fondo del coro.
Nel 1612 proseguirono i lavori con le fondazioni della cappella maggiore, del
campanile e della sagrestia fino all'altezza delle cappelle laterali mentre
nel 1613 vennero elevate le pareti e finiti i muri della cappella maggiore
fino al cornicione. Qui cominciarono i guai; infatti nel 1614, posta in
opera la volta della maggiore, questa subito crollò. Perso un poco di
entusiasmo, i Legnanesi rifecero la cupola nel 1615, ma sospesero
anche i lavori, facendo chiudere l'arco trionfale con un muro, quasi a
372
formare una chiesa molto più piccola.
Nel 1616 e 1617 vennero eseguiti lavori di completamento dell'altare e si fece
una porta provvisoria per dire Messa.
Fu quindi ingabbiato il muro con l'affresco venerato del piccolo oratorio
preesistente ed il tutto trasportato il giorno 29 ottobre 1617 nella nuova
cappella .
Il già citato prevosto Pozzo, nelle sue memorie racconta come, la notte della
traslazione di questa immagine, alcuni operai, posti a guardia degli arredi
interni, poichè la chiesa non era finita e sicura dai ladri, ebbero una
visione di angeli venuti a genuflettersi davanti all'affresco venerato, e
come questo fatto riferito il giorno dopo fosse da tutti molto discusso, ma
non spiegato.
Evidentemente il racconto era stato divulgato perchè la popolazione
accettasse di buon grado la distruzione della cappellina più antica e
venerasse ancora l'immagine ora spostata. Si era cioè violentato
l'atavico concetto di luogo sacro, posto da sempre in un certo punto
dell'antica strada, e bisognava far superare alla popolazione il senso
quasi feticistico di identificare un sito o un muro come evocatori di
miracoli .
Inoltre bisognava rimediare al fatto che il crollo del 1614 era stato interpretato
come cattivo presagio.
Dopo questa accettazione della nuova chiesa, la popolazione riprese ad
edificare, finendo la sagrestia e impostando le fondazioni della navata
anteriore e delle cappelle.
Nell'anno 1649 finalmente la fabbrica raggiunse il compimento e furono
edificate le cappelle e la volta a botte della navata centrale. In facciata
posero un semplice portico con due colonne e tutta la costruzione venne
lasciata a mattoni a vista.
Da un punto di vista architettonico il santuario non rappresenta sicuramente un
passo importante nella cultura del 1650. Molto più incisiva nel disegno
delle masse e nelle novità spaziali sarà la chiesetta della Madonnina
fatta eseguire nel 1641 dai Lampugnani.
Con ogni probabilità furono le difficoltà iniziali costruttive ed il troppo tempo
impiegato per l'edificazione (dal 1612 al 1650) ad impedire alla chiesa di
S. Maria delle Grazie di divenire un piccolo capolavoro come già si era
dimostrato, nel 1500, la basilica di S. Magno. Mentre quest'ultima
rappresenta piantisticamente un'invenzione pregevole, il santuario delle
Grazie tenta di riecheggiare, con quasi quarant'anni di ritardo, la chiesa
del Gesù di Roma (1568-1575). Quest'opera sorta per voler del
Cardinale A. Farnese per mano prima del Vignola e poi di Gian Battista
della Porta, rappresenti, un fondamentale tipo di architettura ricca,
373
lussuosa e movimentata di quel periodo. Esuberante in ogni sua
decorazione ed in ogni sovrapporsi di parti architettoniche questo edificio,
tipicamente gesuitico, ottiene immediato effetto voluto sull'osservatore: la
"suggestione per ricchezza".
Nella facciata coesistono in armonica costruzione, varie forme architettoniche
come cappelli frontoni, volute, nicchie con statue, lesenature, finestre,
che si inseriscono una nell'altra. Al contrario la pianta è molto semplice e
riproduce una grande navata unica coperta con volta a botte, lungo la
quale si sviluppano tra piloni massicci le nicchie delle cappelle. La parte
di navata occupata dall'altare viene ricalcata ed evidenziata da una
cupola inserita sopra i grandi cornicioni.
Il disegno generale è quindi molto composto e lascia alla decorazione il
compito di arricchire le superfici . scomparso il transetto e lungo le pareti
si allineano le cappelle pronte a divenire altari, cui le famiglie nobili
potranno lasciare messe e dedicazioni o addirittura innalzare monumenti
funebri.
Lo stesso schema piantistico si rivela presente nel santuario della Madonna
delle Grazie a Legnano: unica navata con brevi cappelle lungo i fianchi
della chiesa. Sopra l'altare una cupola, oltre l'altare ancora una breve
cappella destinata a contenere il coro. Se l'impianto è uguale, non sono
però al medesimo livello i materiali usati. Nella chiesa del Gesù si passa
da una cappella all'altra in un continuo scandire di colonne, cornici,
nicchie di marmo. Qui in Legnano i muri sono lisci ed intonacati, i
cornicioni ricavati con mattoni sagomati, sono molto spartani e viene
proprio a mancare la "suggestione per ricchezza" che in Roma valorizza
l'ambiente della chiesa del Gesù.
Quando il nostro santuario nacque, le idee dei costruttori dovevano essere un
poco confuse, e con ogni probabilità diede un contributo alla confusione
anche l'architetto padre Antonio Parea di Novara. Questi inviato a
Legnano dal cardinale Federico Borromeo per la scelta del iuogo ove far
sorgere la chiesa, come prima soluzione propose un edificio a pianta
ottagonale ricavato sezionando gli angoli di un quadrato, coperto da una
grande volta a spicchi piani e disuguali sugli spigoli dell'ottagono.
Gli spicchi dovevano riunirsi in una grande lanterna ottagonale al centro della
cupola. L'ingresso era ad est e nell'interno sono segnate sei grandi
colonne destinate a sorreggere un imponente baldacchino. Forse per
timore di accinersi ad una così complicata struttura a volta, ma anche a
causa del fatto che ancora una volta la chiesa sarebbe stata troppo
angusta, i Legnanesi iniziarono a costruire un edificio totalmente
differente. Fu infatti impostato un semplice quadrato aperto ad est, di lato
m. 9 x 9. Sui due fianchi fecero solo le fondazioni, a sinistra della
374
sagrestia, mentre sulla destra scavarono un grande ambiente
sotterraneo, con muri spessi circa m. 1,20, raggiungibile con una scala.
Questo ambiente usato come ripostiglio, accoglie le fondazioni in mattoni e
sassi del campanile, che lo occupano quasi per metà. Sopra il primo
quadrato che costituisce la cappella maggiore fu impostata una volta
circolare in mattoni. La prima eseguita crollò. Miglior sorte ebbe la
seconda. Ad un esame statico essa ancor oggi rivela un'estrema
leggerezza e camminandovi sopra la si sente flettere sotto i piedi.
In questa porzione di fabbrica venne sistemato l'altare con il pezzo di muro
recante l'affresco venerato.
Per il trasporto di questo dipinto i capomastri avevano costruito una struttura
lignea con travi e tiranti imbullonati da passanti metallici, in grado di
garantire al muro affrescato la sua integrità. L'ingabbiatura è ancora oggi
visibile sul retro dell'altare.
La chiesa appena iniziata venne consacrata ed i lavori segnarono il passo.
L'architetto Parea si premurò di suggerire la continuazione dei lavori in
modo da creare una sorta di pianta a croce, in cui la navata centrale
fosse affiancata (dopo il transetto) da due navate laterali. Mentre però
l'inizio del corpo centrale era scandito da quinte di muro formanti due
grandi cappelle laterali, la restante parte delle navate era senza cappelle
e divisa da due colonnati.
Questo strano pasticcio era un ripiegamento del Parea, che tentava di
riportare a navata centrale una chiesa, di cui i Legnanesi avevano gia
tracciato le fondazioni per le cappelle laterali in modo da formare una
pianta a croce greca con quattro grandi cappelle attestate su un quadro
centrale. Fortunatamente sia il lavoro non troppo ben pensato dei
Legnanesi che i suggerimenti dell'architetto Parea non vennero
perfezionati. Anzi, nel 1649, su suggerimento dell'ing. Francesco Maria
Richini il giovane, autore della chiesa della Madonnina sul Sempione,
l'edificio fu risistemato, eliminando le fondazioni già gettate per le
cappelle, ingrandendo lo spazio della navata centrale coperta poi con
una volta a botte.
Sui lati della navata stessa il progettista sistemò tre cappelle per parte, di cui
quelle al centro più grandi (m. 6,90) e coperte con volta a botte le altre (m.
4,90) Tramite piccole volte a crocera. A portare a termine i lavori fu, nel
1650, l'architetto Barca di Ghemme.
Si creò cosi un effetto sia di chiesa a navata unica con cappella ed altari
allineati sui lati sia di chiesa a croce greca con il lato dell'altare aperto
verso la èiù antica struttura con volta a cupola. La sensazione all'interno
data dai piloni allineati riporta alla chiesa del Gesù. Anche le finestrature
nelle cappelle e sopra il cornicione contribuiscono ad allungare
375
l'immagine della chiesa. In facciata venne sistemato un portico sorretto
da due colonne. Di esso non è rimasta traccia poichè, nel 1863, fu
abbattuto risistemando la facciata stessa troppo aggredita dall'umido.
I Legnanesi la riedificarono nel 1893 in cotto a vista e scandita da lesenature.
Vennero mantenute le cornici delle finestrature cieche che ancora
richiamavano le linee suggerite dal Richini.
Questa facciata ebbe un portone rettangolare e fu chiuso quello ad arco
presente sotto il portico abbattuto (se ne intravede ancora la linea di
chiusura sotto gli intonaci). Nel 1936 anche la facciata in cotto era
rovinata dalle nebbie e dall'umido delle marcite.
Si pensò quindi di ripristinarla in marmo travertino, seguendo le linee
architettoniche di quella del 1893, coprendo gli affreschi del pittore Mosè
Turri senior, ed aprendo realmente l'antico finestrone richiniano che
campiva la parte superiore centrale.
In questa occasione, sopra la porta d'ingresso, venne ricreato un piccolo
portico con un timpano marmoreo sorretto da due colonne, in ricordo sia
di quello distrutto sia della leggenda riguardante la Madonna venerata
che, parlando ai due ragazzi sordomuti li aveva esortati a chiedere al loro
padre di costruire un portichetto davanti all'antica edicola.
Sempre riferendoci alle parti esterne dell'edificio, è doveroso ricordare che, nel
terreno circostante la chiesa, l'anno 1894, vennero edificate due serie di
cappelle, una dedicata ai misteri dolorosi, l'altra a quelli gloriosi. Le
edicole tutte in muratura di mattoni e sagome cementizie con due
colonne ciascuna in arenaria, furono impostate con stile secentesco. Nel
riquadro centrale il pittore cremonese Bacchetta ideò degli affreschi
terminati nel 1895. La grande umidità esterna tuttavia rese presto
marcescenti questi intonaci affrescati tanto che, su invito di mons.
Gilardelli, nel 1930, fu dato incarico al pittore Gersam Turri di dipingere
nuove scene sui muri ormai bianchi.
Le vigorose scene piene di efficacia emotiva e di tecnica pittorica sono
purtroppo anch'esse state aggredite dall'atmosfera poco clemente della
zona e rimangono solo in parte integre ove la pioggia o le infiltrazioni
nelle edicole non hanno provocato guasti.
In questo decennio la chiesa ha subito alcuni interventi risanatori che sono
consistiti principalmente nell'isolamento del tetto, mediante membrane
plastiche, dalle piogge e dalle infiltrazioni attraverso le tegole.
Nell'ingrandimento della gronda, per protegggre maggiormente la radice
dei muri, sono stati sostituiti tutti i canali e le converse con rame e
piombo.
Il campanile con la cella campanaria è stato consolidato, per evitare rotture
alle sospensioni delle campane. Tutto intorno all'edificio è infine stata
376
creata una larga intercapedine, per impedire all'umidità di ascendere ed
infradiciare gli intonaci esterni ed interni già troppo compromessi. Infatti
anche molte delle affrescature antiche interne sono state aggredite
dall'umidità.
Quando nel 1650 la chiesa fu ultimata nelle sue parti murarie, grandi zone
dell'interno erano state lasciate con i muri a mattone a vista. Il livello del
terreno, su cui la chiesa era stata edificata, si trovava a circa 55 cm. dal
pavimento delle attuali cappelle, rialzato nel 1932. Le cappelle della
navata e dell'altare maggiore erano state intonacate con calce aerea e
sabbia. Questo intonaco originale è emerso al piede dei pavimenti nel
1983, quando è stato sostituito quello in cemento posato nel 1930 sopra
uno strato di terra e ceneri. La sostituzione si era resa necessaria a
causa delle rotture apertesi nel pavimento in cemento e perchè, lungo i
muri perimetrali, il sottofondo, a contatto con le pareti, induceva umidità
negli intonaci.
Eliminato il pavimento in cemento e portati via i riempimenti di terra sopra il
piano antico della costruzione, è stato creato un vespaio areato
appoggiato su muricci e tavelloni isolati dall'umido.
Nei cunicoli del vespaio è stato anche inserito il sistema di tubazioni del
riscaldamento ad aria calda, per uniformare la temperatura ambiente e
diminuire la velocità di immissione aria, ottenendo un maggior confort per
i fedeli nonchè minor pericolo per le opere d'arte interne.
Il nuovo pavimento è stato realizzato con granito limbara e rosa Baveno
lavorato a cesellario. La durezza del materiale garantirà una durata
notevole.
Purtroppo il problema di risanamento sarà molto più arduo per le opere
artistiche; infatti se è vero che si è finalmente fermata l'acqua
ascendente e discendente, molto grave è lo stato attuale di sfioritura
delle superfici. Abbiamo già accennato come alla nascita venissero
intonacate solo le sette cappelle. Su questi intonaci non esisteva
praticamente decorazione ad ecccezione della Prima cappellina a
sinistra di chi entra, che era dedicata a S. Mauro. Sulle pareti erano stati
fatti affreschi molto sommari con decorazioni a cornici e fiori e le
immagini di S. Mauro e della Madonna. Queste pitture furono poi coperte
nelle trasformazioni del 1893. Altri quadri erano appesi alle pareti e
l'unico vero intervento artistico ab origine era stato quello operato
sull'altar maggiore.
Il pezzo di muro che formava il supporto dell'antico affresco della Vergine con
S. Rocco e S. Sebastiano (dipinto con un gusto più quattrocentesco che
377
di fine 1500 e di autore ignoto), era stato posto al centro della parete di
fondo della primitiva cappella edificata dai Legnanesi; infatti anche dalla
pianta suggerita dall'architetto Parea come ingrandimento della chiesa,
l'altare appare appoggiato alla parete cieca del fondo.
Il Parea, nel 1617, inviti, a costruire un coro semicircolare dietro l'altare e
traccò, due aperture ai lati dell'altare, ma il suggerimento non fu seguito.
L'altare ligneo venne cosi costruito attorno alla porzione di antico muro e
appoggiato alla parete di fondo. Solo nel 1894 quando, mettendosi mano
a tutta la chiesa i Legnanesi decisero di edificare una cappella quadrata
come coro dietro l'altare e spostare dall'ultima cappella di sinistra (vicino
alla sagrestia) il prestigioso organo Carrera per sistemarlo in alto dietro
l'altare, anche il muro antico, i gradini e le strutture lignee vennero
rimossi e posti al centro dell'antica cappella sotto la cupola.
L'altare molto grande e con al centro l'affresco antico fu completato da due
qwadri ad olio di Francesco Lampugnani legnanese, nel 1619. Le due
tele raffigurano in basso l'Annunciazione ed in alto la Visitazione di Maria
Vergine. Esse sono ancora ben conservate dopo l'ultimo restauro del
1930, anche se l'Annunciazione "soffre" per la protezione in cristallo che
non lascia respirare la tela, e mostrano una pittura colta e decisa nel
segno, marcata da forti giochi di luce e fondi scuri, tipica del gusto
secentesco.
Le strutture lignee dell'altare sono in parte dipinte ed in parte dorate. Tutta la
composizione studiata probabilmente dai Lampugnani nella prima metà
del secolo XVII misura m. 6 di altezza per m. 3,50 di larghezza. Poggia
su un basamento rettangolare arricchito da lesene e mascheroni dorati
sugli angoli. Vi sono due alzate per poggiare i candelieri e le urne con le
reliquie, nonchè il ripiano per le figure in argento dei santi vescovi da
esporre nelle feste. Ai lati compaiono due alti angeli di fattura più tarda
mentre sulla sommità sono assisi sei angioletti molto ben scolpiti. Alla
sommità della soasa sono poste due figurine della Vergine e S.
Elisabetta intagliate a tutto tondo. La mano felice dell'artigiano richiama
immediatamente lo stile degli artisti che hanno intagliato l'antico
tabernacolo di S. Magno, poi rimosso perchè nascondeva la pala del
Luini, e cioè i fratelli Cojro del 1600.
Nel 1893, quando l'altare di S. Maria delle Grazie fu spostato, si arricchì
anche di un nuovo tabernacolo cesellato e di un magnifico paliotto in
lastra sbalzata e dorata montata su telaio ligneo di ottima fattura. La
cappella tuttavia era ancora spoglia e quindi venne deciso di trasportare i
due grandi quadri ovali presenti nella chiesa della Madonnina, dipinti da
Stefano Maria Legnani, alloggiandoli ai lati dell'altare in grandi cornici di
gesso. Al posto dei vuoti sul muro, nella chiesa della Madonnina,
378
vennero eseguite due copie dal pittore Beniamino Turri.
Già abbiamo accennato al fatto che, sempre nel 1893, fu rimosso l'organo e
posto alle spalle dell'altare. Questo pregevole strumento eseguito dal De
Simoni Carrera di Legnano, nel 1884, con un notevole numero di registri,
pedaliera, cinquantotto tasti, facciata a venticinque canne, nonostante
l'elettrificazione dei mantici e la sostituzione di alcuni registri è ancora
integro nella sua impostazione e dotato di una voce pulita.
La forma della chiesa non si presta molto alla sonorità; esistono anzi alcuni
riverberi d'eco fastidiosi che una volta venivano attenuati dai capocielo,
velari e paramenti di stoffa. Oggi eliminati tutti gli addobbi la voce
dell'organo è più cruda.
Nel 1890 venne anche aggiunto un pulpito in legno scolpito e dorato che, pur
non essendo di fattura eccelsa, era tuttavia un'opera interessante con
pannelli intagliati e colonne tortili a sostegno decorate con tralci di edera.
Passava sopra la stupenda balaustra in marmo "macchia vecchia" e nero
italico e si affiancava al pilastro di sinistra dell'altare.
Venne smontato e allontanato nel 1960, quando furono fatte spostare anche le
balaustre per seguire le nuove disposizioni liturgiche.
Per meglio seguire la descrizione della navata interna, seguiamo l'ordine
cronologico delle opere.
I dipinti più antichi sono quelli che ornano le cappelle centrali di destra e
sinistra. La loro fattura risale all'inizio del 1700. Troviamo a destra la
cappella di S. Antonio Abate.
Con la volta a botte ed il fondo lavorato a leggero sfondato, imitante una
nicchia, essa mostra un'architettura barocca con colonnati e cornicioni in
prospettiva, mentre il soffitto, dipinto a cielo, propone nuvole ed angioli
che attorniano la scritta charitas.
Al centro dell'arco d'ingresso alla cappella è dipinto lo, stemma dei Cornaggia,
ricca famiglia presente a Legnano già dal 1500. Essi furono
evidentemente i donatori all'altare di S. Antonio.
Sopra l'altare, costruito in muratura con sagome piuttosto semplici ma
affrescate ed integrate come in un gioco di rilievi reali e pittorici con la
prospettiva di fondo, è posta una grande tela settecentesca di autore
ignoto, rappresentante S. Antonio attorniato dagli angeli.
Sulle pareti laterali altre due tele coeve ripropongono fatti inerenti la vita del
Santo.
Parimenti la cappella grande dirimpetto, sul lato sinistro, è dedicata, con il
medesimo stile, alla celebrazione della figura di S. Mauro. Il santo già da
molti secoli venerato in Legnano trovò subito una dedicazione in questa
379
chiesa, nel 1650; la primitiva cappella fu tuttavia modificata nel 1700 e a
lui venne dedicato uno spazio più importante. Da ricordare è la festa
legata a questo protettore della salute; il giorno 15 gennaio i Legnanesi
antichi facevano una piccola festa e vendevano davanti alla chiesa i
"firuni" di castagne conservate lesse e asciugate nel camino.
Si doveva in quel giorno anche mangiare la polenta accomodata per
preservarsi dai mali di stomaco.
Molto significativo è il ritrovamento fatto ultimamamente nel grande armadio in
legno intagliato, posto nella sagrestia nel 1600. Questa notevole opera di
artigianato, datata e firmata, presenta ben dodici scomparti segreti
(cassetti o doppi fondi o ante nascoste a prova di ladro). In uno di questi,
nel 1981, è stato rinvenuto un pregevole crocifisso d'argento donato dai
Cornaggia alla chiesa, con tanto di pergamena di dedica e un certo
numero di incisioni con l'immagine di S. Mauro, che venivano vendute
nel 1700 ai fedeli .
Come nella cappella di S. Antonio anche in questa ai lati vi sono due grandi
tele, che qui rappresentano scene della vita di S. Mauro.
Le cornici sono attorniate da grandi decorazioni architettoniche ad affresco.
Tutte queste decorazioni ricordano, come stile, la mano dei pittori Bellotti di
Busto Arsizio che non solo abbiamo visto presenti in S. Ambrogio (1740),
ma sono presenti con un magnifico quadro più tardo di Biagio Bellotti
(1790) anche in questa chiesa.
Questo quadro raffigurante S. Francesco Saverio è posto nella prima cappella
omonima, a destra di chi entra. La decorazione a stucchi e affreschi
attualmente molto rovinata, a causa del tetto marcescente, venne
eseguita dai pittori Turri nel 1893; più precisamente le pareti ad affresco
su encausto sono di Mosè Turri senior, mentre gli stucchi sono di Elia
Turri. La decorazione a frutti e fiori è invece di Daniele Turri. Molto bello è
l'altare marmoreo (1700) della cappella mentre più moderna sembra la
balaustra scolpita a colonne quadrate.
L'effetto generale della cappella era estremamente ricco e prezioso nella
minuziosità dei suoi parti.
cOlari. Esso faceva riscontro con l'estrema ricchezza ed eleganza della
cappellina di fronte (prima entrando a sinistra). Eseguita anche questa
nel 1893 dai fratelli Turri, è forse più completa e preziosa, nel
testimoniare l'arte di questa famiglia di pittori legnanesi.
E' stata dedicata a S. Anna e venne donata dalla famiglia Lombardi ritratta nel
quadro di destra con S. Anna, che li presenta alla Vergine. Nel quadro di
sinistra vi è la Gloria di S. Anna, al centro un grande quadro con la
Vergine, il bambino S. Anna ed altri Santi adoranti. Tutte le tele sono
sempre di Mosè Turri. Una particolare menzione va al soffitto di questa
380
cappellina che, lavorato a stucchi ed encausti (ricorda molto quello
eseguito dagli stessi fratelli Turri sul soffitto della Madonnina in corso
Sempione), venne lodato e riprodotto sulle riviste ed i giornali del tempo.
Anche qui l'acqua ha fatto notevoli disastri e sarà arduo il lavoro di
restauro.
Quando, nel 1893, vennero appaltati i lavori di decorazione delle volte della
chiesa l'opera dei pittori Turri, autori delle due suaccennate cappelle,
venne giudicata eccessivamente cara.
L'incarico generale fu quindi affidato al pittore Bacchetta che eseguì una
decorazione molto simile a quella dei bozzetti a colori presentati dai Turri,
ma molto più "larga" nelle campiture e nel disegno. Il pittore Bacchetta
padre, si dedicò alla cupola con l'Ascensione di M. Vergine e a tutta la
volta scandita da tre scene centrali e quattro lunette, sopra le finestre,
con gli Evangelisti.
Sulla parete di fondo l'artista dipinse due angeli in bianco e nero, su fondo
grigio. In generale il Bacchetta si attenne ai toni grigi ed alle cornici
settecentesche delle due cappelle laterali.
Fece però ricoprire tutti gli antichi cornicioni in cotto con applicazioni di gesso
decorate ad ovuli e rosette. Scomparve così una delle caratteristiche
principali della chiesa secentesca, il mattone lavorato.
L'effetto generale è comunque gradevole, anche se i toni molto grigi
conferiscono alla chiesa un aspetto freddo.
Le pitture sia della volta che della cupola sono ben conservate a parte due
angoli, in cui l'umidità si è concentrata dal tetto.
Nel 1910, il figlio del pittore Bacchetta riprese alcuni lavori del padre deteriorati
ed affresci, nell'occasione le due cappelle vicino alla sagrestia e vicino al
campanile.
Quest'ultima e' dedicata a S. Gaetano e presenta notevoli danni.
Rimane salva la sola pala d'altare con S. Gaetano che riceve dalla Vergine il
Bambino. Anche le lesene dipinte a putti su fondo dorato sono integre,
ma un notevole strato di sporco impedisce di apprezzare la pregevole
fattura.
La cappella a fianco della sagrestia è dedicata inveece a S. Giovanni Bosco.
Sempre decorata dal Bacchetta figlio, presenta notevoli danni che ne
impediscono una buona lettura. In essa aveva trovato posto, fino al 1893,
l'organo; poichè questo era sacrificato ed impediva l'accesso alla
sagrestia, ne fu decisa la rimozione.
Molte altre cose potrebbero essere ricordate come le acquasantiere a
conchiglia del 1600, il pavimento a tarsia marmorea dell'altare, il lavello
secentesco nella sagrestia, gli scanni arcivescovili intagliati dell'altar
maggiore, la via crucis dipinta da Beniamino Turri, i paliotti dipinti dal
381
pittore Darvino Furrer, i candelabri e le teche d'argento, ma lo spazio a
disposizione è troppo breve.
Resta da accennare alla casa canonicale posizionata sul fianco destro della
chiesa, molto semplice e spartana, posta su due piani, accoglie sia la
casa del sacerdote che quella del sagrestano.
Un passaggio secentesco, a fianco del campanile, dava accesso diretto alla
chiesa dalle stanze del pianterreno. Nel passaggio esisteva anche il
pozzo per l'acqua. Una tradizione secolare voleva che per il Natale, nella
nicchia del pozzo, si preparasse il presepe con le statuine colorate. Oggi
tutto questo è scomparso come pure sono cessate le antiche processioni
e le solenni celebrazioni alle cappelle del rosario che vedevano centinaia
e centinaia di Legnanesi radunarsi attorno al loro santuario. A questi
altari e muri una volta ricoperti da quadri ex voto e decorazioni per grazie
ricevute si sono rivolte generazioni e generazioni di Legnanesi con il
cuore angosciato e sulle labbra una invocazione d'aiuto. Il mondo
moderno passò veloce dimentico del silenzio e della pace che il
santuario ha sempre serbato per i suoi fedeli.
382
Chiese Campestri
Leggendo le descrizioni di Legnano secentesca, fatte dal prevosto Pozzo, nel
1650, si scopre.anche una serie di insediamenti periferici ben precisi,
ciascuno con una struttura agricola e sociale, nella quale in generale
non manca un oratorio od una cappellina.
Il Pozzo ci dice:
Ha la parochiale nostra di Legnano sotto di se molti molini al n.° 16
cominciando dalli tre detti le Gaminele sotto a tre patroni sino alli duoi
passati al Castello per la strada che va a Canegrate. Ha parimente
alcune cassine cioè il Mino, S. Erasmo, la Canaza cioè quella parte
verso Legnano se bene vi è ordinatione che tutta sia sotto Legnano.
Casato, la casa rotta passato S. Angelo per andare alla Castellanza, la
Mazzafame, Ponzella, S. Bernardino tutti casali copiosi di persone.
Di tutte queste "cassine" alcune sono già state menzionate come oratori, e più
precisamente le più antiche: S. Erasmo, S. Bernardino, Casato con
S.Martino .
Restano alla nostra escursione da osservare le cascine: Mazzafame (alla fine
di via Ciro Menotti), Ponzella (in via Ponzella), del Mino od Olmina (in via
Resegone al termine). Tutte e tre, queste chiese vennero edificate tra il
1728 ed il 1779.
La più antica e forse più bella è quella della Ponzella, denominata oratorio di S.
Maria Maddalena.
Essa venne eretta nel 1728 per legato di Carlo Francesco Fassi il quale voleva
dotare la cascina di una sua aula religiosa.
La costruzione è di modeste dimensioni (m. 9 X 5,4), con soffitto piano in legno.
Sull'esterno i muri in mattoni erano a faccia a vista. Ultimamente essi
sono stati intonacati in facciata con colorazioni molto contrastanti in
bianco e marrone. Conserva i caratteristici finestrini reniformi a fianco
della porta d'ingresso. Nel 1779 divenne oratorio di Gesù Crocifisso e fu
dotato sull'altare di una bella raffigurazione della croce contornata poi da
pregevoli affreschi ottocenteschi. Abbastanza caratteristico il
campaniletto con una cuspide lavorata in mattoni scalati.
Molto meno pretenziose sull'esterno sono le aulette delle chiese della cascina
Mazzafame e dell'Olmina.
La prima detta oratorio campestre di S. Teresa fu fondata nel 1779. Contiene
solo alcuni quadri ottocenteschi di poco valore ed è stata sostituita nella
sua funzione di chiesa di quartiere, dal nuovo edificio religioso
383
denominato Mater Orfanorum eretto negli anni Cinquanta dal reverendo
padre Rocco su progetto dell'ing. Tenca di Milano. In esso sono
contenuti dei pregevoli dipinti ad olio del pittore Mosè Turri junior di
Legnano, che rappresentano la gloria della Madonna.
L'oratorio di S. Teresa è di piccole dimensioni (m.11 X 5,5), e gli esterni sono a
semplice intonaco, per nascondere il sasso misto ai mattoni. Unica
opera degna di menzione conservata in questo oratorio, è un crocifisso
ligneo del 1700 di notevole bellezza. Qualche maggiore pretesa offre la
chiesina dell'Olmina.
Datata anch'essa 1779 fu titolata ai Re Magi.
E' impostata con lo schema classico di navata unica (m. 6 x 14) con abside; a
fianco due piccole aule con funzioni di sagrestia e ripostiglio. Il soffitto è
stato recentemente rifatto con una volta ribassata e a fianco dell'altare
sono state aperte due navatelle per i fedeli. Un campanile di aspetto
settecentesco sovrasta la copertura. Contiene un bel quadro della
Madonna con i Re Magi donato da un parroco Lampugnani. Fu dipinto
dai fratelli Lampugnani come copia da un'opera del Procaccini. Sulla
sinistra in basso porta un cartiglio con dedica e lo stemma dei nobili
Lampugnani.
La chiesetta prende il nome dal proprietario delle terre intorno tale Mina e la
trasposizione scritta della Pronuncia dialettale (d'ul Minza) divenne,
persa la "d" iniziale, Olmina. In questi ultimi anni è stata dotata di un
oratorio esterno per i ragazzi. La popolazione intorno è cresciuta a tal
punto che sarà creata una parrocchia a sè stante. Il piccolo e vecchio
edificio a stento accoglie i fedeli. Certamente in un prossimo futuro dovrà
essere sostituito da uno più grande.
Fino alla fine del 1700 l'incremento demografico in Legnano era mutato in
maniera quasi irrisoria, per secoli e secoli una civiltà contadina aveva
regolato il numero delle bocche da sfamare, in maniera naturale
secondo l'estensione dei campi da lavorare e secondo la loro resa.
Le costruzioni di case e chiese segnarono quindi il passo.
In S. Magno si cambiò solo il campanile, vennero edificate le cappelline o
oratori dei cascinali esterni, in centro città sorse il cosidetto palazzone
Cambiaghi, lungo via Lega.
Qualche rinnovo ebbe il tessuto urbano lungo via Magenta, ove i Cornaggia
trasformarono le vecchie case in un unico insieme edilizio prospettante
piazza S. Magno fino a via Giulini. In questo grande palazzo con una
facciata di falso cinquecento venne accolto il municipio di Legnano, fino
al 1862. C'erano solo poche stanze (prima una poi altre due) date al
384
Comune dai Cornaggia proprietari del castello dalla fine del 1700. Venne
poi da loro concessa all'amministrazione pubblica un'altra casa sita nella
cosidetta piazza dei Polli, oggi Piazza Carroccio.
Questa sistemazione rimase fino al 1909 quando, demolito il vecchio ponte
sull'Olonella a fianco di S. Magno, coperto il ramo del fiume, venne
edificato con stile neo rinascimentale lombardo l'attuale palazzo del
municipio ad opera dell'architetto Malinverni .
L'antico palazzo Cornaggia venne abbattuto e con esso scomparvero pian
piano tutte le antiche case di via Magenta comprese quella del Gia.
Giacomo Lampugnani, le mura del palazzotto medioevale della braida i
resti della chiesa di S. Maria del Priorato con la sua abside e gli affreschi
sui piloni.
Legnano dunque cresceva unitamente alle sue industrie. Le chiesine
conventuali erano quasi tutte scomparse o inagibili.
Restavano in centro città veramente praticabili solo S. Magno S. Ambrogio la Chiesa delle Grazie - Purificazione - e la Madonnina.
Alla fine del 1757 i fratelli Oldrini abitanti in corso Garibaldi avevano creato una
cappellina denominata oratorio di S. Domenico.
Questa funzionò fino al 1863 quando insufficiente per capienza fu ristrutturata
da Gerolamo Colombo legnanese che vi fondò, una chiesetta, (prima
non vi risiedevano sacerdoti) però alle dipendenze della parrocchia di S.
Magno.
In questa nuova cappella molto poco funzionale si ufficiò, fino al 1895. Giunto
come cappellano don Emanuele Cattaneo, questi si accorse
dell'assoluta inadeguatezza dell'ambiente e pose mano alle prime
raccolte popolari per edificare una vera nuova chiesa.
Scongiurata la scomparsa della vecchia cappella per lasciar posto ad una
conceria, don Cattaneo, con l'aiuto dei contradaioli del borgo riusciva, tra
il 1899 ed il 1902, a far erigere una vera grande chiesa. Il progetto fu
impostato dall'architetto don Enrico Locatelli, e la realizzazione avvenne
ad opera del capomastro legnanese C. Proverbio.
La chiesa dapprima coperta al centro con tetto piano, fu dotata di una
grandiosa cupola, nel 1903. Per ultimo venne edificato il campanile plu
alto di 40 metri e adorno di conci di marmo bianco. La facciata eseguita
verso il 1925 in stile lombardo romanico è di marmo travertino con
colonne e grandi statue dei simboli degli evangelisti. Fu disegnata
dall'arch. Pier Giulio Magistretti. Il Locatelli impostò una classica croce
latina con transetto più alto delle navatelle dell'asse maggiore.
All'incrocio della navata col transetto pose una cupola ottagonale
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scandita da grandi finestre bifore.
L'impianto risulta così quasi a pianta centrale, perchè molto forte è la
predominanza della cupola e della maggior altezza delle navate centrali
e di transetto rispetto alle navatelle laterali, tanto da farle pressochè
dimenticare. L'effetto è volutamente drammatico e accentra l'attenzione
sul grande presbiterio.
La chiesa nel suo interno accoglie un monumentale altare in tarsia marmorea,
sormontato da una grande teca a forma cruciforme, che accoglie il S.
Crocefisso già venerato da secoli nella chiesa conventuale di S. Angelo.
L'altare è a disegno dei fratelli Mosè ed Elia Turri di Legnano. Questi
decorarono anche le restanti parti della chiesa con stucchi dorature e
motivi geometrici che assecondano l'imponenza delle volte e degli archi
della chiesa. I pulpiti interni sono sorretti da cariatidi. Altre statue con
santi e profeti sono opera di uno scultore alsaziano . La grande lampada
votiva in bronzo, dalle forme bizantineggianti è una vera opera d'arte
dovuta all'ingegno di Lorenzo Pogliaghi.
Negli anni Settanta la chiesa dovette essere chiusa al culto perchè alcune
strutture risultavano pericolose, in particolare modo la volta. Ormai
chiesa parrocchiale dal 1907, accoglieva su di se l'affetto degli abitanti
del quartiere.
Questi ritrovatisi come contrada di S. Domenico, con un impegno monetario
notevolissimo, posero mano ai consolidamenti statici, restituendo alla
fine del decennio la bella chiesa al culto.
Ultima e doverosa menzione va al gruppo di sette poderose campane che, nel
1925, vennero poste sul campanile e delle quali, ad ogni festa, udiamo la
voce.
Abbiamo accennato come la comunità di Legnanello, da tempo sprovvista di
una chiesa si servisse dell'oratorio della Purificazione, in via Sempione.
Quando, nel 1898, il 13 agosto, essa divenne parrocchia ad opera del Cardinal
Ferrari, immediatamente don Gerolamo Zaroli spinse l'idea di dotare
l'antica frazione di una nuova chiesa.
Con il concorso popolare vennero raccolte le somme necessarie
all'edificazione; fu dato incarico per il progetto al prof. Cecilio Arpesani di
Milano. Questi impostò secondo la moda vigente allora una vera e
propria basilica in stile romanico lombardo a tre navate, ciascuna con
abside semicircolare dotata di volta a tutto sesto.
La navata centrale è più alta delle altre laterali che le fanno da contrafforte. La
copertura è eseguita a capriate in legno a vista decorate secondo lo stile
francescano. Tra una navata e l'altra si allineano due file di colonne in
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granito bianco con capitelli decorati con simboli della cristianità. Sopra i
capitelli è stato posto un pulvino. Sulla sinistra, entrando, una porta
conduce ad un'edificio ottagonale adibito in origine a fonte battesimale.
Sempre sul lato sinistro si trovano un grande campanile quadrato con
forma che ricorda quello della basilica di S. Ambrogio in Milano, nonchè i
locali della sagrestia con artistici mobili in legno intagliati con motivi
medioevali.
L'esterno della chiesa è giocato esclusivamente con mattone a vista e pietra di
serizzo. Arcatelle ciliali contornano sia la facciata a timpano triangolare
sia i lati della chiesa.
Il battistero ed il campanile, le lesene principali cogli spigoli delle murature,
sono tutti ornati di pietre singolari con gusto molto raffinato. Se non fosse
per lo stato di conservazione di pietre e mattoni, un osservatore non
molto attento potrebbe facilmente scambiare il tempio per un edificio
medioevale.
All'interno il gusto imitativo fece impostare transenne in marmo traforato, altare
in tarsia bianca e blu, pergamo con leggio sorretto da colonne, in
perfetto stile romanico.
Le opere pittoriche furono affidate al prof. Eugenio Cisterna il quale dapprima
dipinse la volta e le pareti del presbitero, imitando i mosaici ravennati,
poi completò sia l'arco trionfale sia le pareti della navata maggiore con
figure di profeti, vergini e martiri. Sopra la porta centrale fu posta una
sacra famiglia.
Le finestre tutte ad arco tondo superiore furono dotate di vetrate colorate
imitanti l'alabastro.
Pregevole è la via crucis in formelle di bronzo.
A ricordo dell'antica chiesa usata dai Legnarellesi, fu trasportato dalla chiesina
del convento Barbara Melzi, un grande quadro ad olio. Questo fu posto
in una cornice di marmo al centro della navata destra. E' una bellissima
e dolce raffigurazione della Purificazione dipinta dai fratelli G. Battista e
Francesco Lampugnani, nel 1635. Si tratta di una tematica ripresa dalle
scene dipinte da Bernardino Lanino nella cappella maggiore di S.
Magno.
Degno di menzione è inoltre il baldacchino dipinto dal prof. Mantegazza. Le
ultime opere di abbellimento della chiesa sono state fatte nelle lunette
sopra le tre porte d'ingresso e sul battistero in facciata. Questi mosaici
policromi con le simbologie e la figura del Redentore, sono opere
pregevoli del maestro Aldo Carpi.
La piazza infine è stata completata con una fontana a pozzo poligonale
sormontata da scudi di foggia medioevali.
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Anche nel cosidetto rione Oltrestazione le chiesine della Mazzafame, Ponzella
e S. Bernardino si rivelarono alla fine del 1800 inadatte per la cura delle
anime di questi quartieri divenuti ormai popolosi. Si dibattè a lungo, tra il
1890 ed il 1904, se costruire e dove ubicare una nuova chiesa. Fu scelta
come zona la strada detta via per Novara, all'altezza della cascina Flora
che si era ormai tramutata in un ampio quartiere a ridosso della ferrovia.
In quegli anni già le prime cerimonie ufficiali per la celebrazione della
battaglia, nonchè le sottoscrizioni per il monumento celebrativo del Butti
(1900) avevano risvegliato nei Legnanesi non poco amore per la loro
storia medioevale. Fu quindi abbastanza facile legare la nuova chiesa ad
una dedicazione che ricordasse in modo religioso il fatto d'armi, In effetti
era l'arcivescovo di Milano l'artefice della rivolta contro Federico I.
Il Carroccio su cui si celebrava una messa era simbolo di Ariberto d'Intimiano e
la croce tolta dalla sua tomba ricordava la fede della chiesa. Memori dei
santi sepolti in Milano nell'altare di S. Simpliciano, i Legnanesi scelsero
per la loro nuova chiesa la nominazione di chiesa dei Santi Martiri, che
erano Sisinio, Martirio e Alessandro. La chiesa doveva sostituire una
vecchia baracca in legno, nella quale il curato don Luigi Castelli aveva
iniziato un faticoso ministero.
Finalmente, nel 1904, si pose la prima pietra del nuovo tempio e la chiesa
stessa fu terminata nel 1910.
Divenne parrocchia autonoma il 24 maggio 1911. La facciata lasciata
incompiuta fu completata in marmo bianco e cotto negli anni Cinquanta.
E' dotata di un grande campanile di foggia moderna ed alle spalle trovano
posto locali per l'oratorio e campi da gioco per ragazzi.
Il progetto redatto da don Locatelli, parroco di Vergiate, prevede un edificio
composto da una grande navata centrale con soffitto piano sorretto da
colonne pensili appoggiate su mensole, affiancate da due navate minori,
più basse e scandite da grandi colonne rifinite in stucco pompeiano
marmorizzato.
L'interno era impostato con una serie di coloriture bizantineggianti delle pareti.
Attualmente è stata lasciata solo la decorazione delle parti alte della
navata maggiore, mentre il resto della chiesa è stato tinteggiato con
colori chiari.
L'altare primitivo è stato sostituito con uno ricavato da un blocco di marmo
molto semplice. Alle sue spalle una grande croce, in ferro e masselli di
granito colorati, si staglia contro il coro pensile, su cui è posto l'organo a
canne di stagno. Interessante è notare come la via crucis, composta da
belle tele ad olio sia stata raggruppata in un unico polittico posto nel lato
destro del finto transetto vicino alla porta laterale. L'effetto è gradevole
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ed originale.
Penultima in ordine di nascita la chiesa parrocchiale di S. Teresa fu edificata il
2 ottobre 1931, in sostituzione di una piccola cappella annessa al
convento dei Carmelitani Scalzi che si erano insediati a Legnanello, nel
1929. Si trova alla fine di via S. Francesco d'Assisi. Nata su progetto del
Cavalier Ugo Zanchetta è impostata con una croce greca formante una
grande aula centrale sormontata da un alto tamburo che sorregge una
cupola.
Negli angoli della croce, ad unire i bracci stessi, vi sono quattro piccole
cappelle anch'esse sormontate da una cupoletta più bassa. La pianta
cosi riportata alla forma quadrata, è però allungata dalla parte dell'altare
mediante una cappella absidale maggiore coronata da una sesta grande
cupola.
Ai lati dell'altare (alle cui spalle in un'abside semicircolare vi sono gli stalli del
coro per i frati) si estendono due cappelle che formano un falso transetto.
Sulla destra e sulla sinistra si aprono anche le porte delle sagrestie e del
convento.
Il pavimentoè@ a tarsia marmorea bianca e rossa con rose inserite nei
riquadri centrali. L'ingresso principale è stato ricavato sfondando in
facciata una grande nicchia che accoglie il portale colonnato. La parte
superiore della nicchia è a cassettoni. Anche nell'interno, dietro la vetrata
di facciata, si ripete il motivo a cassettoni. Ai lati dell'altare altre due
cappelle, ricavate sopra il falso transetto e sostenute da colonne in
granito grigio, accolgono il nuovo organo con canne risonanti in legno.
La chiesa è priva di decorazioni; unica cappella affrescata con risultato
modesto è quella sulla destra, entrando. Un volo d'angeli in un cielo
plumbeo, presenta la nuova basilica.
Sulla sinistra invece, in una nicchia, è posta una statua con la Madonna. Il
fondo della cappella è tutto ricoperto con un mosaico metallizzato
argento-bruno.
L'ultima opera di abbellimento è stata fatta rinnovando l'altar maggiore
primitivo, che era di semplici mattoni intonacati. E' stato sostituito da un
nuovo altare disegnato dall'architetto Provasi che si distingue per la
notevole mole e per il numero veramente incredibile di marmi accostati,
che vanno dal giallo, al bianco, al rosa, al verde, alla pietra della
passione. Ogni colore, a detta dei frati, ha un significato simbolico. Al
centro, sopra il tabernacolo, spicca una grande croce sbalzata e dorata
con maestria.
Completano il gruppo dell'altare, tre sedili per i celebranti e due leggii
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variamente lavorati con blocchi di marmo di diverso colore intarsiati.
Anche la mensa rivolta verso i fedeli è sostenuta da una base marmorea
composta da vari elementi scolpiti e con tarsie colorate.
Ad un altare tanto policromo e mosso corrisponde invece un interno sobrio e
senza decorazioni. Le facciate esterne sono tutte in cotto marcate da
poche cornici in pietra, all'altezza delle coperture. La basilica nel suo
insieme appare molto alta e piccola alla base.
Addirittura il campanile posto dietro, a sud-est, risulta invisibile all'osservatore
che non si porti sul retro della chiesa. Esso è una torre quadrata di
altezza circa 20 metri che eguaglia in misura l'imposta alta del tetto della
cupola maggiore.
Altre cappelle e chiese sono sorte in Legnano dopo la costruzione del
Santuario di S. Teresa del Bambin Gesù. Le ricordiamo brevemente.
Esse sono: le chiese del Convento delle suore Carmelitane; delle nuove
parrocchie di S. Pietro, in via Carlo Guidi nel rione Canazza, e S. Paolo
in via Sardegna, quest'ultima con forme moderne e più da edificio
comunitario che non da chiesa nel senso comune della parola, inoltre la
chiesina-oratorio in via Leoncavallo e la cappella interna del Centro
giovanile di S. Magno in via Montenevoso, nessuna delle quali
comunque ha assunto importanza architettonica di rilievo ad eccezione
della chiesa di San Giovanni.
Legnano è quindi ancora viva e sempre in fermento per i suoi edifici di culto.
Unico neo della situazione è la grande povertà di mezzi e materiali con
cui queste nuove opere vengono affrontate.
S. Magno continua ad essere per tutti noi quasi un miracolo della Legnano più
antica e certamente anche più povera.
L'opera più recente, che maggiormente si allontana da questa generale regola
di povertà di mezzi degli edifici religiosi, è senza dubbio la pregevole
chiesa di S. Giovanni Battista. Essa sorge in via Ligurla, e per il
momento funge da chiesa ausiliaria per la parrocchiale di S. Paolo. Fu
iniziata nel 1973 su progetto dell'architetto Enrico Castiglioni di Busto
Arsizio. Impostata con struttura totalmente in cemento armato a vista.
Una serie di grandi volte a vela intersecantisi formano una navata
principale, sui cui fianchi si aprono navatelle più brevi e camminamenti,
terminati in balconate sospese che ricordano i matronei medioevali. Il
pavimento interno è lavorato con piani inclinati, e porta alla formazione di
una specie di platea che attornia l'altare posizionato al centro
dell'assemblea dei fedeli. Le luci naturali sono tutte pressochè indirette o
filtrate da quinte abilmente posizionate all'interno della navata e
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realizzate sempre in cemento armato a vista. L'effetto è gradevole e
nonostante i materiali siano grezzi invita al raccoglimento. La prima
messa fu celebrata il 5 ottobre 1975 e nell'occasione l'edificio ottenne un
largo consenso dai fedeli. L'agibilità completa, con l'impianto di
riscaldamento si ebbe in occasione della Pasqua 1976.
Manca, a completare la struttura, il campanile.
Già nella prima metà di questo libro è stato detto come proprio grazie alle
tombe, gli studiosi siano riusciti a scrutare la vita dei nostri più antichi
predecessori. I luoghi di inumazione per molti secoli furono sempre
localizzati in aree precise usate da più generazioni. In genere questi
luoghi erano situati sui terreni più alti della piccola valle prospiciente
l'Olona.
Vari sepolcri vennero rinvenuti vicino al Sempione (vaso di Remedello),
oppure in corso Garibaldi all'altezza del Museo civico (urne ad
incinerazione e tombe a tegoloni), vicino alla chiesetta di S. Martino,
sulla costa di S. Giorgio ecc. Tra tutti questi ritrovamenti quello che
assume l'aspetto vero e proprio di cimitero nel senso modemo della
parola, è l'area a sepolcreto emersa durante scavi per lavori edilizi nel
1925, in via Firenze presso via Novara. Si tratta di un rettangolo di m. 50
x 100 di lato nel quale non solo sono state rinvenute urne seppellite con
regolarità, ma si è ritrovata anche la fossa dell' Ustrium, ove gli antichi
Romani del tempo di Tiberio bruciavano i loro defunti, per poi
raccoglierne le ceneri e sistemarle dentro urne, vuoi con il collo largo,
vuoi con la parte alta segata per permettere l'introduzione delle ceneri.
Va subito detto che la comunità di Legnano antica non fu mai numerosa.
I veri incrementi demografici iniziarono dopo il 1700 d.C. Il problema
delle sepolture non divenne quindi mai problematico per la nostra
comunità, stabilizzata per secoli intorno alle 1000 o 1500 anime. Le
ricorrenti aggressioni alla salute della popolazione operate dalla peste,
dal vaiolo, dalla febbre gialla, dal colera, dalla pellagra, dalla difterite o
dalla lebbra spesso decimavano, nel vero senso della parola, gli abitanti.
Fin dagli albori della civiltà cristiana si era posto però un grave problema
di spazio ed una regola di fede. I morti dovevano essere lasciati integri e
non più cremati. Tale pratica portò all'uso delle tombe formate da tredici
tegoloni (dieci per formare i lati di una sorta di capanna e tre per il fondo).
Queste tombe normalmente venivano inumate o nei pressi di qualche
altare o cappellina cristiana, oppure per i più abbienti in un apposito
spazio della casa.
Quando cominciarono a sorgere le prime chiese o cappelline iniziò l'uso di
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inumare vicino alle mura del tempio, e imitando i membri della casa
sacerdotale i cittadini più importanti ottennero il privilegio di essere
sepolti sotto il pavimento della chiesa o addirittura di farsi erigere delle
arche marmoree nei templi.
Orbene, ossequienti alla regola inconscia che fa ricercare in antico sempre gli
stessi luoghi per il culto e per i cimiteri, a Legnano vediamo che le
sepolture si concentrarono in epoca medioevale principalmente vicino
alla chiesa di S. Martino, davanti al porticato di S. Ambrogio, presso la
chiesa di S. Nazaro, lungo il Sempione a Legnanello, e con maggior
frequenza presso la chiesa di S. Salvatore. In particolare la basilica
maggiore accolse nel suo lato destro una vasta area di sepolcri
trasformata poi nell'attuale piazza S. Magno. Quando fu demolita la
chiesa protoromanica per edificare l'attuale dedicata a S. Magno,
terminata nel 1514 furono rispettati i sepolcri sulla destra della chiesa
tanto che le porte stesse del tempio furono collocate nella identica
posizione di quelle più antiche, e cioè verso l'attuale palazzo Malinverni.
Sotto i pavimenti della chiesa non solo si mantennero le antiche mura della
cripta (cappella di S. Crocifisso), ma anche altre tombe familiari furono
ricavate. Qui inumarono fino al 1600 i Lampugnani, i Vismara, i Corio,
ecc.. Altre numerose sepolture furono create nelle chiese conventuali,
prima fra tutte in quella dell'ex convento di S. Angelo ubicata nell'area
delle attuali scuole Mazzini.
Le persone plu umili erano invece tumulate fuori dai templi, ma ciascuno
tendeva sempre ad essere sepolto il più vicino possibile al luogo di
preghiera frequentato in vita. Il culto dei morti era in ogni caso
estremamente sentito. La presenza dello spirito dei defunti era pensata,
creduta, vissuta come fede incrollabile e cercata come sostegno alle
amarezze della vita. Anche le reliquie ossee dei santi nel Medioevo e nel
Rinascimento erano considerate veicoli di grazia divina e testimonianze
di fede vissuta come dimostra il tributo di omaggio dedicato, nel 1634,
dalla popolazione alle reliquie d'antichi martiri cristiani provenienti dalla
Sardegna.
Ai momenti lieti tuttavia seguivano anche quelli tristi: la peste ricorrente ogni
trenta o quaranta anni provocava stragi enormi. Si pensi che una
comunità come Roma, nel 1700, era ridotta da circa tre milioni di anime
dell'età imperiale, a poco più di settantamila persone. Anche in Legnano
la popolazione vide morire centinaia di cittadini in poche settimane. Tutta
questa gente non poteva essere ospitata nel cimitero a fianco della
chiesa; si crearono quindi fosse comuni, nelle quali i numerosi morti di
malattia furono calcinati .
Questo uso era più in antico praticato per liberare le aree cimiteriali. Le ossa
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dei morti più antichi venivano raccolte in ossari o mortorietti cioè
stanzoni sotterranei con una botola superiore, in cui venivano gettate le
ossa riesumate, o vere e proprie cappelle, in cui su lastre a mensola in
pietra erano allineati teschi e tibie, per formare veri e propri disegni
ornamentali.
In Legnano rinascimentale esisteva un mortorietto, poi trasformato, sulla parte
anteriore della chiesa di S. Martino. Si vedono ancora sul lato sinistro le
aperture delle finestre con grata (ora chiuse) che permettevano di
vedere gli scheletri e portare loro fiori o una preghiera.
Per quanto invece concerne le sale sotterranee, se ne ricordano due, di cui
una in Legnanello vicino alla antica chiesa di S. Nazaro lungo il
Sempione. Durante alcuni scavi venne rintracciato uno stanzone del
XVII secolo pieno di scheletri che evidentemente ne qualificavano l'uso a
fianco della chiesa.
L'altro cimitero comune era in piazza S. Magno posto nella posizione che
doveva divenire, nel 1610, il sagrato della chiesa quando il Richini rigirò,
gli ingressi.
Questa modifica all'impianto ecclesiale di S. Magno portò al disfacimento delle
altre sepolture poste sul lato ovest della basilica. I Legnanesi da quel
momento vennero tutti inumati in questo grande stanzone comune
sotterraneo, tranne i nobili che continuarono ad essere sepolti nella
basilica o in S. Angelo o in S. Ambrogio .
Dopo il Concilio di Trento venne però, la proibizione di inumare nelle chiese. I
nobili ricorsero quindi ad un piccolo stratagemma.
Per non finire nelle fosse comuni fecero edificare degli oratori privati che
divennero poi chiese a tutti gli effetti, ed essendo fuori dalla giurisdizione
ecclesiale, potevano ugualmente servire come tombe. Ne sono un
bell'esempio la chiesina di S. Giorgio al castello, oppure la splendida
"Madonnina sul Sempione".
Oggi quest'uso rimane, con aspetto diverso ma identico intento, quando si
costruiscono le cappelle cimiteriali per le famiglie. La tomba comune
principale in piazza S. Magno era denominata dai Legnanesi "il foppone".
Esso rimase in uso con vari problemi igienici, fino al tempo di Maria
Teresa d'Austria. Il successore di Maria Teresa, Giuseppe II, nel 1786
emanò, una disposizione perchè l'uso delle fosse comuni venisse
abbandonato e tutte le municipalità reperissero aree adatte alla
creazione di cimiteri detti "Campi Santi" fuori dal perimetro dei centri
abitati.
Per i Legnanesi che evidentemente avevano come altri il problema del
foppone stracolmo di ossa e cadaveri in decomposizione, la scelta
dell'area non fu semplice .
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Dal 1789 al 1808 la decisione circa l'acquisto dell'area e l'ubicazione non fu
presa, tanto da costringerli, nel 1803, a dover richiedere il permesso di
spurgare il foppone ormai inutilizzabile.
Finalmente, nel 1808, venne acquistata una superficie di mq. 3000 poi portata
a mq. 5500 posta lungo la via Porta di sotto (via Magenta) poco prima
della chiesa di S. Maria delle Grazie.
Quest'area che oggi accoglie la scuola media Bonvesin della Riva, fu l'ultima
dimora per 21896 Legnanesi, dal 1808 al 1898.
Studiata dall'arch. Broggia, era circondata da una bella recinzione in ferro
battuto con basamento in pietra ed aveva due cancelli, uno verso via
Magenta, l'altro verso la chiesa.
Le tombe che i Legnanesi vi edificarono erano per lo più semplici, provviste di
una lapide con iscrizione.
Alcune più pretenziose mostravano un muro a forma di edicola con il ritratto ad
affresco del defunto.
Tre di questi affreschi strappati sono tra le opere conservate nel Museo civico
e mostrano i ritratti dei pittori Antonio Maria, Beniamino e Mosè Turri
senior.
La posizione del cimitero fu scelta sia perchè la strada era percorsa
abitualmente dai Legnanesi diretti alla chiesa delle Grazie, sia perchè
ancora una volta si riconosceva a questa zona la funzione funeraria già
avuta in passato. Verso il 1891 fu improrogabile l'ampliamento del
cimitero. Ancora una volta la primitiva area scelta nel 1803, gla
raddoppiata nel 1863, si rivelò, non adatta alla Legnano di fine secolo.
La civiltà industriale aveva letteralmente fatto esplodere un incremento
demografico sconosciuto nel 1700. Il cimitero che era circondato da
strade, non poteva più essere ingrandito. La municipalità si premurò
quindi di reperire una nuova area sempre lungo via Magenta e subito
dopo la chiesa delle Grazie.
Il cimitero antico fu ripulito dalle tombe. Le ossa dei defunti vennero riesumate
e poste in cassettine in un colombario del nuovo cimitero. Quelle che
non furono raccolte rimasero nella terra rivangata e ricoperta poi da un
nuovo strato di humus riportato all'interno della recinzione. La superficie
venne piantumata e accolse per anni, fino alla costruzione delle attuali
scuole, un parco pubblico, in cui i ragazzi potevano liberamente giocare.
Il nuovo cimitero detto "Monumentale" fu invece inaugurato il 24 luglio 1898 in
via Magenta. La sua superficie era di mq. 18.942. Molti Legnanesi che
avevano le edicole funerarie nel cimitero vecchio trovarono asilo per i
loro defunti lungo i viali principali del nuovo impianto. Questo progetto
del cav. ing. Cuttica fu concepito con criteri moderni per allora e fu dotato
di depositi, camera mortuaria e locali per il custode. L'impianto generale
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fu suddiviso in campi di sepoltura per permettere una migliore rotazione
delle sepolture. Lungo i lati delle recinzioni furono allineate le cappelle
delle varie famiglie legnanesi. Al centro del vialone d'ingresso fu
costruita con stile dannunziano una grande cappella in arenaria grigia
per i fedeli, mentre, sempre sul medesimo asse, verso il fondo del
cimitero, trovò posto il monumento con gli ossari per i caduti di guerra.
Tutto il complesso venne dotato di colombari per contenere le ossa dei
Legnanesi più antichi. Quando una famiglia si estingue, le ossa passati
venticinque anni, vengono riesumate e poste nei colombari. Ben presto
anche il cimitero "Monumentale" ebbe problemi di spazio. Venne
ampliato nel 1907 e dotato di nuovi colombari per l'inumazione, portando
la superficie totale a più di sette ettari. In questo grande spazio erano
previsti i cosidetti "campi comuni" in cui le tombe potevano awicendarsi
con tempi più brevi, mentre per le altre sepolture con edicole marmoree
le concessioni erano novantennali. Furono aggiunti altri colombari di
grandi dimensioni e dopo la guerra il tentativo di aumentare le superfici
disponibili, ma ben presto si arrivò, ad un blocco della ricettività di tutto il
sistema.
Questi nuovi problemi di spazio sorsero nel 1960.
Le tombe spesso con un solo defunto occupavano per troppi anni le superfici
disponibili e la comunità ormai stabilmente vicina alle 50.000 anime non
trovava più spazi per inumare.
Nel 1976 l'amministrazione prese una grave decisione sociale e politica.
Deliberò l'acquisto di un'area di circa mq. 60.000 presso l'antica cascina
di S. Bernardino al termine di viale Liguria.
In quest'area definita "cimitero-parco" in quanto tutto il complesso è stato
pensato come un grande giardino con alberi, passaggi pedonali,
illuminazione notturna ecc., il Comune poteva offrire, con un costo
abbastanza contenuto, un loculo ad inumazione diretta nel terreno in
cassa lignea. Le tombe tutte uguali ed allineate in lunghe teorie, che
ricordano molto da vicino i cimiteri militari, sono rinnovabili ogni
venticinque anni, quindi, sia questo breve tempo di permanenza dei
feretri, sia la grande superficie, possono garantire una lunga vita e
funzionalità del complesso anch'esso dotato di uffici e camera mortuaria.
Nel suo grande sforzo per risolvere tale grave problema il Comune di Legnano
ha affidato l'incarico progettuale all'ing. Clori, responsabile dei servizi
cimiteriali del Comune di Milano. Questi ha impostato il giardino con una
serie di campi di sepoltura separati da viali lastricati e differenziati come
livelli di camminamento. Tutta l'area è recintata con grandi pannelli
prefabbricati con graniglie di marmo candido che formano delle quinte
angolari lungo il perimetro, scandendo con piani di luce e di ombra la
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visuale esterna del cimitero. Molto apprezzati e di valore sono inoltre le
fusioni in bronzo dei cancelli d'ingresso, opera degli scultori Nardo
Dunchi e Jonos Stryk. Anche i lampioni interni sono opere in fusione di
pregevole fattura.
Il grande spazio a disposizione ha permesso la creazione di un parcheggio
esterno di uso esclusivo del complesso. L'inaugurazione fu celebrata
alla presenza del vescovo espiscopale Marino Colombo e delle autorità
civiche, il 15 luglio 1979.
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Chiesa di Sant Ambrogio in Legnano
Anche per molti legnanesi questo monumento, che era quasi giunto alla
completa rovina, resta oggi poco conosciuto. Forse la sua ubicazione
nascosta accanto a altri molti ruderi, lo aveva fatto dimenticare. Eo
tuttavia rappresenta uno dei centri piu' antichi di culto presenti in
Legnano. Senza dubbio il piu' antico di fattura cristiana. Le origini di parte
della forma attuale possono essere collocate nel tempo a fianco di quelle
del palazzo e delle fortificazioni create in Legnano dall'architetto Leone
da Perego attorno al 1520. Subito fuori dalle mura nella braida
arcivescovile, al di la' di un grande fossato difensivo in cui era stata
deviata l'Olona (roggia) nell'anno 1257 esisteva una piccola chiesa in cui
lo stesso arcivescovo Leone era stato sepolto di nascosto e "viliter", in
quanto suoi nemici politici di Milano lo avevano fatto cadere in disgrazia
agli occhi del popolo. La piccola costruzione era talmente povera e
dimenticata che si dovette giungere all'epoca di San Carlo Borromeo ed
alle sue grandi riforme prima che i legnanesi degnassero ancora di
attenzione l'edificio. Durante i recenti lavori di restauro si e' avuto modo
di scoprire le fondazioni di questo piccolo edificio antico, e con estrema
emozione si e' assistito al rinvenimento di una struttura absidale in curva,
edificata con i soli ciotoli bianchi del greto dell'Olona.
Questa abside era ridotta ad est e anche i resti dei legnanesi antichi ivi sepolti
rispettavano tale giacitura, ad indicare un'usanza altomedioevale.
Tuttavia, con grande sorpresa e grazie al lavoro della dott.ssa Cazorzi
collaboratrice alla soprintendente dott. Ceresa, ancor a un livello piu'
basso e' stata rinvenuta un'ansa di vaso che per fattura e' ascivibile alla
fine del V secolo. Questo fatto ci porta in assoluto alla piu' antica basilica
di Legnano, di almeno 500 anni piu' vecchia della chiesa di San
Salvatore e Magno. Anche le salme inumate a questo livello piu' antico
hanno positura verso est, in diffornita' a quelle degli strati superiori che
sono rivolte a sud, ad indicare come nel tempo varie usanze e riti si siano
sovrapposti facendo mutare l'uso della chiesa stessa.Questa chiesa ci
era sconosciuta in assoluto ed e' molto probabile che sia la stessa (poi
ampliata a due navate) che venne riattata e poi riedificata all'epoca di
San carlo Borromeo.
Il primo documento storico che la menziona come "San Ambrogio" e' un
elenco del 1389 steso da Goffredo da Bussero. Nel medesimo elenco
ma in data 1304 viene menzionata una chiesa dedicata a San Nazaro
gia' scomparsa in quell'anno. Con buona probabilità si trattava di questo
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edificio, dismesso dopo la tragica fine di Leone da Perego ivi sepolto nel
1257. Le vere e proprie descrizioni del monumento arrivano molto piu'
tardi e vanno ascritte alle visitazioni operate nel XVI secolo, sotto San
Carlo Borromeo. La chiesina e' definita a due navate di cui una, la
meridionale, e' aperta come un portico ed e' piu' alta della parte chiusa.
Non e' coperta coi mattoni ma con travi di legno ed assi. Le pareti sono
rustiche e non esiste porta. Anche l'altare manca della mensa. Il
campanile molto alto si apre direttamente nella chiesina e sopra la porta
d'ingresso un coro pensile in legno e' collegato con il porticato. Il
pavimento rustico interno e' piu' alto del terreno del porticato a sud. Non
esiste segrestia e tabernacolo. Solo una piccola nicchia nel muro del
campanile pemrette di posare le specie quando viene celebrata una
messa. Con San Carlo Borromeo, l'edificio viene adibito a scuola dei
Disciplini, e con tale destinazione, si impongono delle modifiche alle
strutture murarie che portano l'edificio ad assumere la forma attuale della
prima meta' della navata verso la facciata. Durante i lavori di chiusura del
porticato viene ritrovata la salma di Leone in un volto di muro grosso e
dentro il tronco. Se qualcosa vale l'italiano, quel "volto" altro non era che
la vecchissima abside del V secolo, lasciata lungo il muro della chiesina
come reliquato e non piu' usata come sede dell'altare in quanto le nuove
officiazioni medievali avevano fatto apportare all'abside e al coro
della chiesa, ponendo la mensa ad ovest e la porta proprio ad est proprio
dove doveva essere stato inumato Leone da Perego vicino alla porta.
In Legnano, nel 1580 la cultura estetica, era costantemente aggiornata dagli
eredi di una unica famiglia dei pittori lombardi, i Lampugnani. Costoro
erano dentro la cerchia culturale comprendente i nomi piu' importanti in
Lombardia in campo artistico e contribuirono alle scelte per
l'Impostazione del nuovo edificio. In seguito di persona l'affrescarono
adornandolo anche di stupendi quadri ad olio ora restaurati con contributi
generosamente offerti da Lions, Soroptimist, Collegio dei capitani del
Palio, Famiglia Legnanese, Banca di Legnano. La nuova chiesa fu
portataa compimento nell'anno 1613. Essendo la chiesa sede di una
scuola di Disciplini, naturalmente doveva essere previsto un coro. Fu
infatti reimpostato con maggior ampiezza e dignita' quello che in antico
era sopra la porta.
Nel 1618 terminati tutti i lavori edili fu dato ordine di affrescare
immediatamente la chiesa a Francesco e Giovan Battista Lampugnani.
Ed e' questo che fa della chiesa di San Ambrogio una vera e propria
espressione di arte legnanese del seicento. I due fratelli legnanesi si
dedicarono per la prima volta ed alle lunette dipingendoci una serie di
putti festanti ancora oggi visibili tra la decorazione neo barocca di un
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intervento pittorico del 1930. Recenti assaggi hanno messo in mostra la
decorazione seicentesca sotto la ridipintura del nostro secolo. Il
problema del recupero totale o parziale di queste pitture sara' la
prossima discussione con i Sopraintendenti. Altro capolavoro dipinto dai
Lampugnani e' la pala dell'altare. Questo grande quadro a olio, ora posto
in fondo alla parte settecentesca della chiesa, aveva sostituito l'antica
pala dell'altare del XIII e XIV secolo menzionata nelle visitazioni di San
carlo. Vi e' rappresentata una madonna con bambino attorniata da San
Ambrogio, San Carlo Borroneo e San Francesco. Le figure, molto dolci
nelle espressioni, sono inserite in una scenografia con colonnati e
cornicioni a volte, che richiamano il gusto bramantesco delle prospettive
di fondo interpretato pero' dalla caratteristica ricerca pittorica dei
Lampugnani, che senpre mostrano nella composizione una
compostezza leonardesca.
La chiesa nel 1700 risultava ancora una volta troppo angusta per il carico di
lavoro che la scuola dei Disciplini doveva solgere. Si decise quindi di
ampliarla ancora una volta demolendo l'antichissima parete dell'altare
risalente a prima del 1257 e allungando tutta la fabbrica sia nella parte
della navata che parte dall'antica sagrestia. La pala dei lampugnani
venne spostata verso il fondo e circondata da una bella cornice e
affresco a mano di Antonio Longoni, pittore che in Legnano opero' anche
nella chiesa delle Grazie.
Il risanamento di questa parete e' patrocinato dal contributo della Cariplo che
con la guida della Sopraintendenza ai monumenti ha voluto testimoniare
la sua attenta partecipazione al salvataggio di antichi capolavori
legnanesi. Attorno al 1957 la parte sud-ovest della scuola era stata
murata fino agli archi, Con il restauro odierno si sono riaperte di tale ala e
la chiesa la chiesa ha riacquistato l'antica sonorita' che aveva in parte
perduta. Con la sistemazione appena terminata dai Mascioni dell'organo
dei legnanesi Carrera, nel 1886, San Ambrogio riassume forma a livelli
artistici elevatissimi in campo musicale. Grazie ai Lions Club e
Manifattura di Legnano questo raro capolavoro di una antica cultura
legnanese si e' salvato. Anche l'antico ingresso e il portico a fianco del
campanile sono stati ripristinati. Essi ci danno l'immagine di quella che
era la sistemazione alla fine del 1500 dell'ingresso del quale uscivano
le processioni dei Disciplini. Per ultima cosa devono essere menzionati i
lavori lunghi, costosi e delicati che ci hanno permesso di isolare
dall'umidita' sia le coperture, che le fondazioni e i pavimenti della chiesa.
Non vi sono presenti impianti in modo visibile di riscaldamento,
semplicencemnte perche' gli stessi sono sotto i marmi del pavimento.
L'assemblea dei fedeli o dei partecipanti alle manifestazioni culturali che
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qui si terranno avranno dal pavimento una sensazione di benessere
dovuta all'irragiamento di calore dal basso senza rischio di alterare i
dipinti delle volte che saranno restaurati. Anche questa serie di
impegnativi lavori ha potuto essere eseguita grazie al notevole impegno
ed al patrocinio della Cassa di Risparmo delle Provincie Lombarde.
Nuovi impianti elettrici, di allarme, antiincendio, di diffusione sonora si
affiancano alle opere lignee restaurate per fare splendere ancora la
nostra bella chiesa nella quale ora sappiamo anche molte cose inedite, e
che da buona, antica, vecchia signora ha seguito le vicende di Legnano
per piu' di 1500 anni. Entrando in chiesa in fondo sulla sinistra si vedono
sotto una superficie di vetro, i resti della piu' antica chiesa cristiana di
Legnano. Osservate la laipde posta accanto. Li' sotto sono presenti i resti
dei nostri avi da noi raccolti durante i restauri. Vi e' una frase scritta in
bronzo. Riporta i versi di A. Bosso, 1518, incisi sull'architrave del
campanile medioevale di San Magno. Recitano : "pabula vina ceres
rivorum copiae templum multaque nobilitas Legnanum illustrant"
Pensiamoli con affetto i nostri antenati, ci hanno, nel bene e nel male,
trasmesso dai secoli passati, un saper vivere dignitoso ed una cultura dei
quali godiamo i frutti di una civilta' preziosa. Qui li ritroviamo con una
presenza che e' testimonianza di dedizione a Legnano e alla sua piu'
antica chiesa.
Arch. MARCO TURRI
Presidente della Societa' Arte e Storia di Legnano.
Nel ricco panorama dell'arte organaria lombarda dell'Ottocento un posto di
rilevante importanza e' occupato dalla bottega legnanese dei Carrera.
La bottega organaria venne fondata da Giovanni Maria Carrera (Canegrate
1753 - Legnano 1818), che apprese l'arte del fabbricar organi da Filippo
e Antonio Tronci, famosi organari pistoiesi, e che dopo il 1790 trasferi' il
suo laboratorio a Legnano
Gerolamo Carrera (Canegrate 1796 - Legnano 1863), erede e continuatore
dell'arte dello zio Giovanni Maria, coadiuvato dai fratelli Giuseppe e
Stefano, sara' colui che dara' gran lustro alla casa organaria facendola
assurgere a un posto di primissimo piano.
Strumenti dei Carrera sono infatti presenti in varie chiese di Milano e della
Lombardia, del Piemonte, della Liguria, dell'Emilia e anche nella cappella
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del vescovo di Santiago del Cile.
L'importanza e lì'eccezionale perizia dei nostri costruttori e' ampiamente
testimoniata e documentata dai lusinghieri articoli apparsi sulle
"gazzette" dell'epoca, da riconoscimenti e attestati di stima, nonche' dal
contenuto degli atti di collaudo dei loro strumenti sottoscritti dalle
personalita' musicali piu' in vista del momento.
I giudizi dei musicisti, compositori, organisti e concertisti di chiara fama quali
padre Davide da Bergamo e Vincenzo Petrali, convergevano infatti
nell'esaltare l'estetica sonora degli organi Carrera, la solidita'
dell'impianto, l'accurata lavorazione del canneggio, la celta dei materiali
e soprattutto la loro incontrastata superiorita' nei cosiddeti "registri di
concerto".
L'attivita' costruttiva dei fratelli Carrera continuera' e si concludera' con Antonio
De Simoni-Carrera (Cerano 1826 - Legnano 1896), nipote , allievo ed
erede dei celebri zii legnanesi.
A Legnano sono presenti ben quattro organi documentati dei Carrera: in
S.Magno, nella chiesa del Redentore (in origine lo strumento fu pero'
costruito per la chiesa della Purificazione), nel Santuario delle Grazie a
S.Ambrogio.
Per quest'ultima chiesa , la piu' antica di Legnano, la Fabbriceria di S.Magno,
nel 1886, volle affidare al De Simoni-Carrera i lavori di un nuovo organo.
E' questo uno degli ultimi strumenti usciti dalla famosa casa legnanese e per la
sua costruzione il De Simoni-Carrera volle impiegare anche del materiale
fonico derivato e salvato da organi piu' antichi, ormai demoliti, che
costudiva gelosamente nella sua fabbrica.
Nel corso dell'attuale restauro, infatti, nell'organo di S.Ambrogio e' stato
rivenuto un nucleo di canne cinquecentesche, probabilmente di scuola
antegnatiana, oltre a un altro nucleo di canne di scuola biroldiana.
Tutto questo sta a testimoniare con quale alto senso di rispetto e con quanta
considerazione il nostro artefice sapeva salvaguardare cio' che di piu'
nobile e pregievole era appartenuto a strumenti di alto lignaggio,
lamentevolmente estinti, facendolo rivivere nel nuovo strumento che
andava predisponendo.
L'organo venne ultimato nel corso del 1886 e il 22 agosto dello stesso anno fu
inaugurato dal famoso organista e compositore milanese Carlo
Fumagalli che il 26 agosto redasse anche l'atto di collaudo. Di Carlo
Fumagalli, autore tra l'altro di un metodo teorico-pratico per il pianoforte
e di molta musica da chiesa, ricorderemo la presenza in S.Ambrogio con
due sue composizioni durante il concerto inaugurale del restauro.
Lo strumento riveste una particolare importanza poiche' e' l'unico uscito dalla
fabbrica legnanese che si sia conservato inalterato nel tempo, senza
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aver subito modifiche o manomissioni succesive.
Si tratta di uno strumento di ottima fattura tecnica e di squsita fattura fonica
con i peculiari e ben noti requisiti di eleganza, solidita' e personalita'.
Accanto a un tipico "ripieno" Carrera, dall'intonazione classica e di sapore
settecentesco, spiccano i "registri di concerto": trombe, tromboni, corno
ingese, violoncello, voce umana, flauti, ottavino, la cui robustezza va di
pari passo con la dolcezza e la pastosita', dolcezza che raggiunge il suo
apice nella delicata sonorita' dei violini e degli altri registri violeggianti di
cui, a buon titolo, i Carrera si ritenevano insuperabili. Alla "consolle" di
quest'organo prestigioso, per le esigenze di culto, si sono succeduti
nell'arco di un settantennio i maestri Beniamino Proverbio ed Eugenio
Bonacina, valenti organisti legnanesi che con la loro arte hanno dato
modo ai nostri avi e ad alcuni di noi di conoscere, gustare e apprezzare
le ineguagliabili sonorita' dell'organo di Antonio De Simoni-Carrera.
All'inizio degli anni Sessanta del nostro secolo l'organo si trovava purtroppo in
uno stato di precarieta' e abbandono. La succesiva chiusura al culto della
chiesa di S.Ambrogio fini' per ridurre lo storico strumento a una muta,
ruggine e polverosa suppellettile.
Per circa un ventennio si e' cercato inutilmente di sensibilizzare le autorita'
locali affinche' si facessero carico, seppur parzialmente, del restauro
dell'organo che, ancorche' proprieta' della chiesa, costituisce per altro un
patrimonio storico e artistico dell'intera citta'.
Si dovette gingere al luglio del 1990 per intraprendere per intraprendere i
necessari e urgenti restauri di cui l'organo abbisognava. Grazie a
un'encomiabile sensibilita' culturale e a una generosa sponsorizzazione,
il Lyons Club Legnano Host e la Manifattura di Legnano misero in grado
mons.Giuseppe Cantu' di affidare i lavori di restauro alla famosa casa
Mascioni di Cuvio, indicata dal sottoscritto come una tra le piu' valide e
idonee allo scopo.
L'organo, completamente smontato, fu trasportato nel laboratorio di Cuvio
dove, sotto la direzione di Enrico Mascioni, si e' provveduto alla pulizia
generale di tutte le sue componenti, alla sostituzione delle pelli del
somiere e del mantice, alla sostituzione delle molle delle valvole, alla
revisione delle canne e della meccanica, all'intonazione e alla
riaccordatura di tutto il materiale fonico oltre all'applicazione di un
moderno elettroventilatore.
Con questo competente e sapiente restauro l'organo di S.Ambrogio e' tornato
al suo originario splendore, nuovamente in grado di spiegare nella
navata del tempio le molteplici sonorita' che scaturiscono dai suoi
raffinati registri.
E' un patrimonio artistico voluto e lasciatoci in eredita' dai nostri avi che noi
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abbiamo il dovere di conservare e salvaguardare per noi stessi e per le
future generazioni.
In qualita' di musicista e come persona sensibile ai valori della cultura e alle
bellezze dell'arte non posso che plaudire a questo felice evento
manifestando il piu' ampio senso di stima e di considerazione a tutti
coloro che hanno desiderato e' reso possibile questo restauro, grazie al
quale i legnanesi riacquistano un'autentica opera d'arte.
Mi si permetta inoltre di auspiciare che il restauro dell'organo di S.Ambrogio
possa rappresentare il punto di partenza per il successivo recupero degli
altri strumenti Carrera, presenti in citta', che costituiscono un
incommensurabile patrimonio diarte e di storia di cui Legnano potrebbe
un giorno sentirsi giustamente orgogliosa.
CARLO STELLA
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Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La
resistenza
Alla vigilia della prima guerra mondiale Legnano aveva consolidato la sua
nuova fisionomia di centro industriale. L'Europa, nell'estate del 1914, era
già scivolata sulla china di un conflitto, che ben presto, con rapida
successione di eventi, dilagò, dall'Austria-Ungheria alla Russia. In Italia
gli interventisti si opponevano alle correnti sfavorevoli al nostro
coinvolgimento in una guerra che purtroppo diventava sempre più
inevitabile.
Nel 1915, Legnano contava 28.757 abitanti e proprio nell'anno precedente
aveva registrato il massimo dell'incremento demografico e immigratorio
con l'aumento di 1532 unità da mettere in relazione con l'incremento
dell'industria, che costituì un richiamo di manodopera e di addetti ai
servizi del terziario.
I grandi complessi manifatturieri legnanesi erano in difficoltà per il blocco delle
materie prime, che provenivano dalla Germania e dall'Inghilterra.
L'entrata in guerra decisa il 24 maggio, dopo accese polemiche tra neutralisti e
interventisti, mise ancor più in difficoltà tanto le aziende tessili come le
industrie metallurgiche. Superato il primo sbandamento, le une e le altre
trasformarono in parte i loro impianti per forniture belliche. La Franco Tosi,
in particolare, attrezzò uno dei reparti più vasti per la produzione in serie
di affusti di artiglieria pesante.
Le alterne vicende della guerra si ripercossero anche su Legnano, sfociando
in una crisi resa ancor più drammatica dall'epidemia di spagnola
scoppiata nel 1917. In quello stesso anno un'altra calamità si abbattè su
Legnano.
In concomitanza con gli infausti giorni della disfatta di Caporetto una terribile
alluvione causò allagamenti e danni a tutti gli stabilimenti situati lungo
l'Olona, le cui acque in piena, rotti gli argini, invasero anche il centro
abitato, provocando ulteriori disastri a case e negozi.
Due iniziative assistenziali furono intraprese a Legnano durante il primo
conflitto mondiale. Nell'istituto delle suore canossiane "Barbara Melzi" si
allesti un ospedale da guerra, mentre in una palazzina di via Bissolati,
diventata poi sede del Liceo, fu impiantato un centro sperimentale di
rieducazione per mutilati di guerra, intitolato alla principessa Maria Josè
di Piemonte.
In quegli anni in tutto il triangolo industriale lombardo si intensificarono lotte
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sindacali alimentate dalle condizioni politiche, ma soprattutto dai disagi
delle categorie meno abbienti in una zona trasformata rapidamente da
borgo agricolo a centro industriale.
Questo clima di conflittualità proseguì, con alterne vicende, fino al termine
della guerra.
L'evoluzione economico-sociale del nuovo sistema impose infatti sacrifici
notevoli alle classi lavoratrici, data la carente legislazione sociale.
I contadini, che lasciarono le colture sempre meno redditizie, sollecitati a
trasformarsi in operai di fabbrica, dovettero sottostare a forme di
disciplina a loro prima sconosciute e vivere in ambienti chiusi e non
sempre igienicamente soddisfacenti. Gli stessi subirono un trauma
psichico e fisico a volte acuto, dopo aver ritenuto come vantaggioso il
loro distacco dall'attività agricola.
Una nota ancor più dolente verificatasi a Legnano, come retaggio dei primi
anni pionieristici dell'industria di fine Ottocento, fu il largo impiego della
manodopera infantile. Un fenomeno comunque comune ad altri Paesi
d'Europa ed in particolare all'Inghilterra.
Nel periodo bellico il posto di coloro che erano arruolati fu in parte occupato
nuovamente dalla manodopera giovanissima o femminile, anche perchè
la loro retribuzione, a quei tempi, era di gran lunga inferiore a quella
maschile.
L'eccessivo sfruttamento dei lavoratori era già stato causa a Legnano e in tutto
l'Altomilanese di un movimento sindacale, anche se organizzato con
strutture improvvisate. E' sintomatico che proprio a Legnano si registrò il
primo sciopero generale che si ricordi in Lombardia e precisamente nel
febbraio 1884.
Era in corso una grossa vertenza sindacale che interessava gli operai degli
stabilimenti Cantoni di Legnano e Castellanza. Quando già la lotta
minacciava di assumere le caratteristiche di vera e propria sollevazione,
un intervento della giunta comunale, presieduta da Flaminio Dell'Acqua,
riusci a far sospendere l'agitazione.
In un manifesto datato 14 febbraio 1884, l'autorità municipale portava a
conoscenza degli operai legnanesi l'invito a ricominciare il lavoro alle
condizioni e prezzi attuali, riservandosi la direzione del cotonificio di fare
gli aumenti dei salari a coloro che ne saranno riconosciuti meritevoli e
nelle proporzioni che essa crederà conveniente a conciliare gli interessi
dei lavoratori con quelli dell'industria. E la giunta a sua volta concludeva il
manifesto ammonendo: Se qualche mal intenzionato tentasse di opporsi
a quelli che hanno volontà di riprendere il lavoro, verrebbe punito a
norma di legge.
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Legnano fu in prima linea anche in occasione dello sciopero indetto il 4
settembre 1915 in tutte le città dove esistevano complessi tessili, per
ottenere un aumento del salario negato dagli industriali. Rispondendo
all'appello della Federazione Tessili e delle Camere del Lavoro di
Gallarate, Busto e Legnano, pubblicato sul giornale La lotta di classe,
scioperò la quasi totalità delle maestranze. I sindacati avevano basato la
loro richiesta di aumento di retribuzione sul fatto che era salito il costo
della vita e che gli industriali ricavavano maggiori guadagni dalle
commesse militari. Il 28 settembre si tenne a Legnano, con la mediazione
delle autorità municipali un incontro, al quale tra l'altro presero parte gli
industriali Carlo Jucker, l'on. Carlo Dell'Acqua, Venzaghi e Maino. Gli
operai, erano rappresentati da un esponente di ciascuna delle tre città
sopra indicate, precisamente tali Schiavello, Canziani e Mariani. Dalla
riunione non scaturì alcun accordo. Gli operai allora, lo stesso giorno, si
riunirono in assemblea a Gallarate, decidendo la proclamazione dello
sciopero, come già avevano fatto i tessili di Torino, Biella e Prato.
Nonostante l'atteggiamento incerto delle leghe cattoliche, lo sciopero
riuscì, come si è detto, massiccio in tutti e tre i maggiori centri cotonieri e
nei vicini paesi di Cerro Maggiore, Rescaldina, Castellanza, Canegrate e
Nerviano. Durò, cinque giorni e vi presero parte circa 40 mila operai. Gli
industriali dovettero capitolare, accettando la maggior parte delle
richieste, concretizzate poi, per la parte economica, in aumenti che
andavano dal lO al 20%. Nello stesso anno, nel mese di ottobre, anche i
metallurgici ed altre categorie operaie ottennero aumenti salariali. Nuovi
episodi di scioperi e di lotte si ebbero nel 1917, alimentate stavolta dai
socialisti della provincia, che stavano riannodando le fila della loro
organizzazione sul territorio, anche per controbattere l'aumentata
influenza del partito popolare. Questa volta il pretesto era, oltre l'auento
di salario, anche la mancanza di generi alimentari.
Nel Legnanese in questo clima di lotte e rivendicazioni venne organizzata una
Camera del Lavoro e si costituirono tanto leghe di ispirazione socialista,
come leghe appoggiate dal Partito Popolare e dagli organi dirigenti del
movimento sindacale cooperativo.
Inevitabili i contrasti che degenerarono, non di rado, in violenti conflitti, in
quanto le leghe cattoliche si ponevano in netto antagonismo al
movimento operaio socialista e, a volte, riuscivano a concludere con gli
industriali pacifiche e vantaggiose intese, contando sull'ossequio alle
istituzioni della gerarchia ecclesiastica, che aveva a Legnano in Eugenio
Gilardelli, primo prevosto mitrato, un autorevole esponente.
Nel maggio del 1920 i tramvieri di Legnano fermarono i tram, per impedire una
manifestazione del Partito Popolare indetta a Busto. I socialisti sull'Avanti
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scrissero in quell'occasione che neanche per un 'ora i popolari debbono
avere l'illusione di essere padroni delle vie e delle piazze. Episodi
analoghi si manifestarono in tutto l'Altomilanese con agitazioni e violenze
delle quali alternativamente venivano accusati "caporioni rossi" o
"fomentatori reazionari bianchi".
Se nel primo dopoguerra i reduci rientrati ancora sotto l'influenza della
grandiosa vicenda bellica non trovarono nella classe dirigente e politica il
giusto riconoscimento ai tanti anni di stenti trascorsi al fronte, trovarono
fortunatamente posti di lavoro in una città animata dall'ansia della
crescita e della produzione, per riscattare gli anni perduti a causa degli
impegni e delle limitazioni che il conflitto mondiale aveva imposto.
Superato il primo periodo di relativa tranquillità e di grandi trasformazioni che
avevano fatto sopire le lotte sindacali e le diatribe politiche, cominciarono
a riaccendersi i primi focolai isolati di malcontento e insofferenza.
Un aspetto caratteristico, del resto comune ad altre zone dell'Altomilanese e
del Varesotto, fu, nel dopoguerra, la scomparsa dei partiti democratici
avanzati come forza politica autonoma e influente. Nuovi protagonisti
della lotta politica si inserirono come parte attiva: su un fronte la classe
operaia e pochi intellettuali socialisti; sull'altro fronte le organizzazioni
cattoliche, imprenditori e altre forze economiche, attorno alle quali
andava aggregandosi larga parte della piccola e media borghesia
conservatrice.
A partire dal 1920 si formarono i primi gruppi fascisti provenienti in parte dalla
borghesia reazionaria della destra estrema e in parte da categorie
eterogenee, in cui erano molti giovani, alla ricerca di possbili vantaggi.
Anche alcuni esponenti del partito cattolico diventarono di punto in
bianco fascisti. Nei primi manipoli si infiltrarono anche elementi dal
passato penale poco raccomandabile. Il fascismo in quei momenti aveva
bisogno di individui decisi, violenti pronti anche ad usare le mani per far
fronte alla massa socialcomunista sempre più agguerrita. Dal canto loro i
cattolici di recente formazione politica, denunciavano inesperienza nel
controllo delle masse popolari. Di questa situazione confusa si
avvantaggiò, il nascente partito fascista, che puntò subito a reprimere i
moti operai delle fabbriche e ad opporre la forza di contrasto, anche fisica,
alle suggestioni della propria propaganda rivoluzionaria.
La nebbia della retorica mussoliniana penetrò gradualmente in quasi tutti gli
ambienti legnanesi, ma l'ordine e la disciplina, pur imposti con la forza e
-- per i dissidenti -- con il confino e il carcere, crearono le premesse
perchè la città riprendesse quel processo di industrializzazione già
avviato nel primo quindicennio del secolo, rallentato, e non interrotto,
durante il primo conflitto mondiale.
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29 luglio 1901. All'allora sindaco di Legnano Antonio Bernocchi giunse una
domanda in carta da bollo cosiredatta: "Mussolini Benito, maestro
elementare di grado superiore, licenziato d'onore della regia scuola
normale di Forlimpopoli, diretta dal prof. Alfredo Carducci (era il fratello
del grande poeta), porge rispettosa istanza onde voglia ammetterlo tra i
concorrenti ad uno dei due posti di maestro supplente vacanti nel
capoluogo del Comune dalla Signoria Vostra illustrissima rappresentato.
A giorni seguiranno i documentiprescritti dall'art. 128 del regolamento
generale. Devotissimo Mussolini Benito ".
Questa domanda è conservata nell'archivio storico comunale e, agli atti, figura
anche che la stessa fu respinta perchè il posto nel frattempo era già stato
coperto.
Il giovane maestro di Predappio, se non riuscì a venire a Legnano per lavoro,
lo fece per la prima volta, nella primavera del 1921, come esponente del
partito fascista. In quell'anno il fondatore dei fasci non godeva ancora di
grande notorietà.
Benito Mussolini, esattamente il 5 ottobre 1924, venne di nuovo (e in forma
ufficiale) in visita a Legnano, riorganizzatasi dopo gli anni tristi della ma
guerra mondiale, allorchè gli opifici tessili e le industrie meccaniche locali
si stavano imponendo in campo nazionale. L'invito, accettato, era stato
rivolto a Mussolini dal sen. Antonio Bernocchi; la visita iniziò dal
Cotonificio Bernocchi, per poi passare all'inaugurazione dell'edificio
scolastico voluto dallo stesso senatore.
A Legnano Mussolini tornò, in divisa di capo supremo della milizia fascista e
come presidente del consiglio, il 4 ottobre 1934. Un grande palco era
stato collocato su una turbina della Franco Tosi in piazza S. Magno, dove
il duce tenne il discorso ufficiale ad una folla di alcune migliaia di
Legnanesi. Passò quindi a visitare il Cotonificio Dell'Acqua, nel cui cortile
lo attendevano circa 4500 dipendenti.
Terminò il suo discorso nello stile reboante, che lo caratterizzava, con la frase:
La parola d'ordine in questa azienda è e dovrà essere lavorare e far
lavorare. La giornata legnanese di Benito Mussolini si concluse con una
visita al Cotonificio Bernocchi, con l'inaugurazione di una mostra di
pannelli statistici e di un campionario della produzione aziendale.
Mussolini da allora non tornò più a Legnano vivo. Poco dopo la fucilazione, lo
scempio di Piazzale Loreto e la sepoltura nel cimitero milanese di
Musocco, la salma del duce scomparve, trafugata da ignoti. Transitò
invece lungo le vie della periferia di Legnano, per raggiungere il convento
dei frati cappuccini di Cerro Maggiore, ai quali quel cadavere fu affidato
temporaneamente in custodia e poi restituito a donna Rachele.
408
Legnano passò dagli anni operosi della ripresa, seguita al conflitto mondiale
del 1915-18, caratterizzati peraltro da una espansione urbanistica e da
una trasformazione radicale del centro cittadino, all'era fascista.
Gli anni del dopoguerra videro anche la realizzazione di scuole primarie e di
case operaie, costruite dagli stessi grossi complessi industriali.
L'Amministrazione comunale preferì dedicarsi alla creazione e all'ampliamento
dei servizi collettivi e alle infrastrutture. Fu effettuata negli anni Venti,
infatti l'estensione della rete dell'acquedotto e del gas di città, realizzata
con le disponibilità di bilancio.
In quegli anni Legnano sacrificò edifici di un certo valore storico, oltre che
architettonico (il palazzetto cinquecentesco dei Lampugnani di
Legnanello, l'Ospizio S. Erasmo, alcuni conventi, due caratteristici ponti
sull'Olona) per lasciare posto alle costruzioni industriali.
Attraverso una appropriata propaganda, una organizzazione che si fondava
sull'ordine, sulla disciplina e sull'orgoglio nazionalista, il regime, anche a
Legnano, seppe trascinare larga parte del popolo verso un consenso
sempre più vasto, dimostrato soprattutto nelle grandi adunanze e nelle
manifestazioni sportive, ma anche in occasione di iniziative come la Fiera
Gastronomica, organizzata nel 1934 lungo l'allora viale Brumana, (oggi
viale Matteotti) e nelle parate premilitari.
Mentre le industrie, specialmente le tessili, ottennero il massimo impulso sotto
l'attenta vigilanza delle emanazioni politiche del regime, nel periodo che
va dagli anni Venti ai Trenta furono realizzate alcune importanti opere
pubbliche, destinate a far colpo sul popolo, anche come risposta ai moti
di dissenso: Casa del Balilla in viale Milano, Casa del Littorio, l'attuale
Palazzo Italia, il poligono di tiro, la sede Inam.
Lo stesso Benito Mussolini, il 16 dicembre 1937, consegnò ad un gruppo di
industriali e lavoratori legnanesi, ricevuti a Palazzo Venezia, circa tre
milioni raccolti con una sottoscrizione tra operai e imprenditori per
costruire una scuola all'aperto con colonia elioterapica, uno stadio e una
piscina, che sarà poi intitolata a Costanzo Ciano. Venne anche
organizzata, nel maggio 1935, la prima Festa del Carroccio per ricordare
-- come fece scrivere il federale Rino Parenti -- agli uomini della Nuova
Italia il valore e l'eroismo degIi antichi guerrreri.
Legnano nel frattempo aveva ricevuto un riconoscimento conquistato col
lavoro e con l'intraprendenza dei suoi abitanti: l'elevazione del Comune al
rango di città. Il titolo venne conferito il 15 agosto 1924, con un decreto di
Vittorio Emanuele III, ma fu consegnato da Benito Mussolini il 5 ottobre
dello stesso anno, in occasione della sua seconda visita, per
l'inaugurazione della scuola di avviamento industriale e commerciale
409
"Antonio Bernocchi".
Quale era la fisionomia economica e sociale di Legnano nel 1924 e quali i
principali avvenimenti di quell'anno?
La città contava 29117 abitanti, segnando una ripresa demografica dopo un
calo di popolazione registrato durante la prima guerra mondiale. Secondo
il censimento del 1927 la popolazione era di circa 30 mila unità, con 677
esercizi industriali o artigianali e 17.612 addetti, con un quoziente di
industrialità (occupati nell'industria rispetto alla popolazione) pari al 57,3
%. La forza lavorativa era così suddivisa: industria e artigianato: n.
15.563 addetti tessili: n. 9.926 addetti meccanici: n. 4.056 addetti;
commerciali, credito e assicurazioni e servizi vari: n. 287 addetti.
Anche gli avvenimenti con le date più memorabili, nell'anno in cui allo stemma
di Legnano fu aggiunta la corona di città, offrono qualche spunto per
tracciarne il volto di allora.
Era sindaco, dal 1923, Fabio Vignati (che diventò podestà a partire dal 1 aprile
1927), segretario comunale il dott. Luigi Munari. Tra le opere pubbliche
realizzate, oltre ai già citati edifici delle istituzioni del Partito Nazionale
Fascista, ricordiamo l'ampliamento del cimitero e della via del Sempione
col completamento della pavimentazione, in parte a cubetti di porfido; il
rinnovo dell'Ospizio S. Erasmo, col finanziamento dello stesso sindaco
Vignati, il recupero delle strutture del palazzetto rinascimentale dei
cavalieri Lampugnani di Legnanello per servire alla costruzione, con le
medesime caratteristiche, del Museo Civico, inaugurato due anni dopo.
Inoltre l'Ospedale fu eretto ente morale e si costruì il padiglione chirurgia
con la prima sala operatoria.
Il 19 piugno fu inaugurato il sanatorio "Regina Elena" alla presenza della
regina Margherita (oggi l'edificio è sede del Centro socio-educativo per
handicappati gravi e di altre istituzioni assistenziali, tra cui la
comunità-alloggio
della
Cooperativa
Il
Castoro,
voluta
dall'A.N.F.F.A.S.).
Il 20 settembre fu inaugurato, presente re Vittorio Emanuele III, il tratto iniziale
dell'autostrada Milano-Laghi fino a Gallarate, con casello anche a
Legnano. Era la prima autostrada nel mondo, ideata dal varesino ing.
Piero Puricelli, col patrocinio del Touring Club Italiano. Fu un'opera ardita,
addirittura avveniristica per quei tempi, considerando che in Italia, nel
1924, il parco veicoli non superava le 40 mila unità, la meta delle quali
concentrata proprio in Lombardia.
Il mezzo di trasporto che dominava era la bicicletta e la Franco Tosi già
fabbricava da oltre un decennio le biciclette Wolsit nello stabilimento di
via 20 Settembre, dove all'inizio del secolo si costruirono le prime
vetturette della Fial di Guglielmo Ghioldi. Nel 1927 la società Emilio Bozzi
410
rilevò l'attività rilanciando la bicicletta marca Legnano con la casa
ciclistica verde oliva, nata nel 1918.
La squadra calcistica lilla, fondata nel 1913 militava in
quell'anno nel
massimo campionato prima divisione), allenata dall'ungherese Schoffer .
Già da tre anni era stata costituita la Federazione Industriali Legnanesi, che
proprio nel 1924 ebbe il suo momento di massimo sviluppo (in
precedenza gli imprenditori della città facevano capo alla Federazione
Industriali Altomilanese), anche se fu abolita con la legge fascista del 3
aprile 1926, che eliminava le Unioni locali miste, per conformarle allo
schema fisso della giurisdizione provinciale.
La città aveva come organo di stampa locale il settimanale La voce di Legnano,
diretto da Carlo Guidi. A questo giornale è legato uno degli episodi della
lotta repressiva delle squadre fasciste contro gli oppositori del regime. Il1 novembre del 1926, in seguito ad una perquisizione della milizia
nell'abitazione del Guidi, esponente del Partito Popolare, l'intera edizione
fu bruciata in piazza S. Magno, perchè il giornale non si era allineato ai
commenti voluti dalle gerarchie fasciste.
Il quotidiano varesino Cronaca Prealpina dedicava già allora una pagina intera
agli avvenimenti del Legnanese e della plaga, come il settimanale Luce,
organo cattolico legato alla Curia.
Anche a Legnano e in tutto l'Altomilanese il movimento fascista sorse
seguendo le ispirazioni d d ella demagogia nazionalista e patriottarda e
fece leva sulla delusione dei reduci, sul malcontento di tanti piccoli
borghesi e di giovani, messi in difficoltà dalla crisi economica del
dopoguerra. Le prime squadre, all'indomani della famosa marcia su
Roma, alla quale anche Legnano inviò alcuni rappresentanti, si
formarono con la tacita acquiescenza e gli aiuti concreti di una parte delle
categorie più abbienti e dei grossi proprietari terrieri, che non si
rassegnavano all'avanzata del movimento sindacale ed operaio.
Il primo nucleo delle brigate nere si insediò in un circolo di via Cairoli presso la
ferrovia e da li cominciarono a partire spedizioni contro circoli "non
allineati", cooperative, sedi politiche e sindacali. Inermi cittadini furono
aggrediti e bastonati con l'ingiunzione di non occuparsi più di politica e di
organizzazione operaia. Difficile la difesa dei lavoratori antifascisti contro
queste squadre, provenienti da paesi diversi, forti oltre che del loro
armamento, della connivenza e complicità di molte autorità dello Stato,
che davano loro impunità. Nacquero i manipoli "Numa Negrini" diventati
poi tre per altrettanti rioni della città, intitolati rispettivamente "Renato
Falzone", "Daniele Martinelli" e "Dino Piochi". I primi tentativi di
opposizione furono repressi duramente dall'allora federale Nino Parenti e
411
una decina di legnanesi furono inviati al confino politico.
In questo clima Legnano ebbe la prima vittima della violenza fascista,
Giovanni Novara, un giovane operaio comunista, colpito a morte a
rivoltellate da un sicario delle squadre punitive senza che l'assassino
venisse arrestato. Con la violenza fu defenestrata nello stesso anno la
giunta socialista diretta dal sindaco Ermenegildo Vignati e al suo posto fu
designato, come commissario prefettizio, il dott. F. Spairani, che resterà
in carica fino al 1 marzo 1923, all'elezione cioè del nuovo sindaco Fabio
Vignati.
I cattolici erano divisi tra la corrente conservatrice e la sinistra dello stesso
movimento. Quest'ultima, a volte, faceva sentire la propria voce, ma lo
stesso Achille Grandi, allora dirigente dei sindacati, pur dichiarando che il
Partito Popolare doveva fiancheggiare con l'azione politica l'aspirazione
delle classi lavoratrici sosteneva che le organizzazioni cattoliche
costituivano l'argine più saldo contro il dilagare del sovversivismo, che
attenta alla sicurezza dello Stato (Giornale Luce dell'11 marzo 1920),
concludendo con l'invito ai lavoratori a non aderire agli scioperi
proclamati dai sindacati rossi.
Quali erano le posizioni di forza dei vari schieramenti politici di Legnano nei tre
anni che precedettero la marcia su Roma?
I risultati delle elezioni generali politiche del novembre 1919 offrirono un
quadro abbastanza significativo. Nell'ex collegio di Gallarate, compreso
allora nella circoscrizione Milano-Pavia e al quale apparteneva anche
Legnano, i socialisti passarono da 5349 suffragi del 1913 a 10.289; i
democratici, che si erano presentati nella lista come "combattenti" con un
elmetto per contrassegno, scesero invece dai 7643 a 2835 suffragi; i
Popolari ebbero 2212 voti. Risultarono eletti deputati i socialisti Buffoni e
Campi.
A Legnano in particolare la lista dello scudo crociato (Partito Popolare), che
aveva come unico esponente locale Carlo Guidi (eletto, rinunciò a favore
di un candidato pavese), riportò 989 voti; i socialisti (falce e martello)
3088 voti; i "combattenti" 658 voti; la lista dei monarchici e liberali (con
una stella per simbolo) raccolse 208 voti; il fascio dei littori, cioè la lista
fascista ebbe solo 7 voti. Benito Mussolini ottenne sette preferenze ed
una soltanto Arturo Toscanini, che pure figurava nella stessa lista. Tra i
"popolari" 846 voti di preferenza toccarono a Carlo Guidi, tra i socialisti
287 furono per Claudio Treves e 290 per Filippo Turati.
Nelle successive elezioni politiche del 1924 le violenze e le intimidazioni
fasciste non ebbero piu' freno in tutto il Paese e Giacomo Matteotti, per
averle denunciate in Parlamento, fu rapito nel centro di Roma e
barbaramente trucidato.
412
La protesta e la rivolta popolare seguite al delitto Matteotti costrinsero il
fascismo a togliersi la maschera legalitaria ed a trasformare il suo regime
in un'aperta dittatura. Dichiarati illegalmente decaduti i parlamentari
antifascisti, furono sciolti i partiti e i sindacati operai, soppressa la stampa
antifascista abolita ogni libertà politica ed eliminati i consigli comunali,
sostituiti da gestioni podestarili, che per venti anni umiliarono le
amministrazioni locali. Infine, nel novembre 1926, furono promulgate le
leggi eccezionali, che ristabilivano la pena di morte, e fu costituito il
tribunale fascista, per giudicare gli avversari del regime.
Contro la dittatura fascista e la sua politica i lavoratori e gli antifascisti
legnanesi si batterono valorosamente. Solo con la violenza e
l'intimidazione agli operai e impiegati fu imposta la tessera dei sindacati
fascisti e le relative trattenute sulla busta paga. Scioperi ed agitazioni si
svolsero nel ventennio in molte fabbriche legnanesi. La stampa
clandestina circolava tra gli operal anche nei momenti più bui della
dittatura. Venti comunisti legnanesi furono denunciati al tribunale
speciale fascista per la loro attività e alcuni di loro scontarono con anni di
reclusione l'attiva partecipazione alla lotta per riconquistare agli Italiani la
libertà. Gli antifascisti legnanesi diedero un importante contributo
all'organizzazione provinciale e nazionale del movimento politico e
sindacale. Un ex impiegato comunale e un ex ferroviere furono valorosi
comandanti delle brigate internazionali e garibaldine, che difesero la
Repubblica Spagnola dall'attacco fascista.
Mussolini, che all'inizio dell'aggressione nazista alla Polonia nel settembre
1939 aveva dichiarato lo stato di non belligeranza dell'Italia, dopo la
vittoria lampo dell'esercito tedesco in Francia che aveva travolto anche
la linea Maginot, si convinse che la guerra stava per finire con la vittoria
dei tedeschi e il 10 giugno 1940 dichiarò guerra alla Francia, ormai
prostrata dalla sconfitta all'Ovest. Ma la guerra doveva durare ancora
cinque anni, provocando morte e distruzione in molti paesi.
All'ambizione di Hitler non bastò il dominio tedesco su gran parte dell'Europa
Occidentale e nel 1941 egli attacciò l'Unione Sovietica con l'illusione di
ripetere in Russia la guerra lampo che gli era riuscita in Francia.
Mussolini chiese quindi l'onore di partecipare alla vittoria sulle "orde
bolsceviche" e mandò, sul fronte russo un corpo di spedizione, privo
perfino delle attrezzature necessarie per difendersi dall'inverno glaciale
delle steppe.
Sconfitti i tedeschi a Stalingrado, perdute tutte le colonie in Africa, la guerra
investì direttamente il nostro Paese con lo sbarco delle truppe
anglo-americane in Sicilia. Il regime fascista, già profondamente scosso
dal malcontento popolare e dagli scioperi del marzo 1943, stava per
413
crollare sotto il peso delle sconfitte militari e i gerarchi fascisti del Gran
Consiglio, il 25 luglio 1943, diedero una mano alla monarchia per far
arrestare Mussolini.
Il 25 luglio fu festeggiato dagli Italiani come la fine di un incubo. A Legnano,
Carlo Venegoni, attivo patriota antifascista, liberato dall'internamento
vigilato in sanatorio per malattia contratta in carcere, dopo una condanna
per attività politiche, ricostituì, con Ezio Gasparini ed altri suoi compagni,
la Camera del Lavoro. Anche nelle maggior fabbriche della città si
formarono nuovamente le commissioni interne, soppresse dal fascismo.
La dichiarazione di Badoglio: La guerra continua, restiamo fedeli
all'alleanza con i tedeschi ebbe un senso preciso per i lavoratori delle
fabbriche dell'Altomilanese, trasformate per la produzione bellica e per
commesse militari. Le industrie del Nord da quel momento in poi
avrebbero dovuto offrire al Terzo Reich i prodotti utili per proseguire una
guerra che si sperava conclusa. E così in realta avvenne fino alla
Liberazione.
Fu sintomatico che all'indomani dell'8 settembre, data dell'armistizio tra
governo italiano e Alleati, già circolavano minacciose per Legnano le
autoblinde tedesche. Alla Franco Tosi, in una grande assemblea, i
lavoratori vennero invitati a partecipare alla lotta contro i nazisti, ormai
considerati invasori. Lo stesso avvenne negli stabilimenti Cantoni, dove
era stato allestito un reparto per la produzione di capi confezionati ad uso
militare. Nel cotonificio di Legnano fu tenuto vivo quasi clandestinamente,
un piccolo settore della tagliatura di velluti, allo scopo di conservare
maestranze specializzate, in vista del momento in cui si sarebbe potuta
riprendere la lavorazione a guerra finita, un provvedimento questo che
permise poi di rilanciare subito la produzione, vincendo la concorrenza
giapponese negli scambi commerciali, nel quadro degli accordi di
cooperazione con gli Stati Uniti.
Nel mese di ottobre si costituirono a Legnano e nei paesi vicini le prime
squadre armate composte da operai, da studenti e da soldati, sbandati
dopo l'8 settembre. Iniziò, nelle fabbriche del Legnanese la resistenza
passiva e il non collaborazionismo coi tedeschi, appunto per evitare che
la produzione bellica venisse usata per proseguire una guerra non voluta.
Si formarono le brigate partigiane "Carroccio" , d'ispirazione cattolica, e
"Garibaldi" di estrazione socialcomunista, le brigate autonome, tra le
quali la "Mazzini" di stampo repubblicano ed infine il "Fronte della
Gioventù", ad opera di alcuni studenti universitari. Le "Carroccio" e
"Garibaldi" agirono in appoggio alle formazioni partigiane dell'Alta Italia
secondo le direttive del CLN, che nel Settentrione era affidato a Ferruccio
414
Parri. Si organizzarono in clandestinità le prime SAP (squadre di azione
proletaria) alla Franco Tosi, alla Metalmeccanica, alla Società Industrie
Elettriche, alla Mario Pensotti, alla Manifattura di Legnano e alla Cantoni.
Le SAP rappresentarono il braccio armato dei lavoratori nella lotta
partigiana e fecero da organizzatrici, con le commissioni interne, degli
scioperi generali.
Da Legnano partirono spedizioni di rifornimento alla divisione "Alfredo di Dio",
localizzata sulle montagne dell'Ossola e alla ''Puecher", che aveva tra i
comandanti il legnanese Pietro Sasinini operante nella zona del
Mottarone, Lago d'Orta e Ornavasso.
Nelle fabbriche ormai direttamente controllate dai nazisti, specie dove si
produceva materiale bellico, si intensificò la resistenza passiva e la non
collaborazione. Le commissioni interne, non potendo apertamente
dichiarare che le agitazioni erano dovute alla volontà degli operai di non
lavorare per la Germania, pena l'arresto o la deportazione, puntavano
nelle
rivendicazioni sulla riduzione delle ore lavorative e sulle
condizioni disumane in cui i lavoratori erano costretti ad operare e
sull'aumento della razione di pane e dei salari. Ai primi scioperi massicci
alla Franco Tosi i tedeschi si sostituirono alla milizia fascista nel controllo
della produzione.
ln questo clima maturò uno dei più tragici episodi della resistenza legnanese. Il
5 gennaio 1944 le SS, al comando dello spietato generale Zimmerman,
compirono un'azione dimostrativa di rappresaglia proprio nello
stabilimento della Tosi. Furono dapprima arrestati sei operai tra i più
facinorosi, facenti parte della commissione di fabbrica e noti antifascisti.
Alla ribellione in massa di tutti gli altri operai, furono prelevati 63 tra
coloro che manifestavano nel cortile.
Dopo lunghi interrogatori i tedeschi rilasciarono gli arrestati, tranne sette, che
furono deportati nei lager nazisti.
Analoghe azioni furono compiute negli stabilimenti della Metalmeccanica,
della Manifattura di Legnano e della Società Industrie Elettriche. Nei
giorni precedenti era gia stato arrestato e subito avviato a Mathausen,
sempre alla Tosi, l'antifascista legnanese Candido Poli.
Di questi lavoratori persero la vita nei campi di sterminio Pericle Cima, Alberto
Giuliani, Carlo Grassi, Antonio Vitali, Francesco Orsini Angelo
Sant'Ambrogio. Ernesto Venegoni, Carlo Ciapparelli, Eugenio Verga,
Giuseppe Ciampini e Giannino De Tommasi.
Nell'inverno del 1944 si verificò, tra gli altri episodi della lotta clandestina,
l'attentato al ristorante albergo Mantegazza. Nel locale, mentre la sera
del 4 novembre erano riuniti fascisti e tedeschi per un banchetto, un
nucleo di "garibaldini" fece esplodere su una delle finestre una bomba ad
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orologeria molto potente, che causò, cinque morti e venticinque feriti tra i
militari.
L'attentato scatenò la reazione della polizia fascista che operò diversi fermi e
pestaggi. Il 4 novembre furono massacrati due noti antifascisti legnanesi,
Giovanni Rovellini e Serafino Roveda. Un mese prima cadde nelle mani
dei fascisti uno dei fondatori delle brigate "Garibaldi" di Legnano, Mauro
Venegoni , già dirigente sindacale comunista, condannato nel 1927 a
cinque anni di reclusione dal tribunale speciale. A Venegoni la milizia
impose di rivelare i nomi dei partigiani del suo gruppo e, ad un rifiuto, fu
torturato barbaramente, accecato e quindi ucciso a Cassano Magnago
alcuni giorni dopo. Per questo tragico episodio, dopo la Liberazione, gli fu
assegnata la medaglia d'oro al valore militare, alla memoria.
Recenti studi storici hanno confermato quali funzioni precise avesse, nella
strategia del Terzo Reich, quella grande linea di difesa, chiamata gotica,
che si estendeva, attraverso gli Appennini, da Massa a Pesaro, per 320
chilometri, sfruttando sia le naturali asperità del terreno, sia le
fortificazioni create dai tedeschi. A quella "linea" restarono legate le sorti
di tutta l'Italia Settentrionale fino all'inizio del 1945.
Gli alleati attaccarono la linea gotica alla fine dell'agosto del 1944 con oltre
900 mila soldati e migliaia di aerei, cannoni e carri armati, per dilagare
verso la pianura padana, raggiungere Vienna e arrivare a Berlino prima
dei Sovietici. Ma la "linea" si dimostrò più forte di quanto si ritenesse.
Allora i comandi alleati decisero di tentare l'attacco risolutivo da Ovest,
con lo sbarco in Normandia, sottraendo grandi forze alla quinta Armata
americana e all'Ottava britannica, impegnate sulla gotica, sicchè i
Tedeschi qui poterono arginare l'avanzata. Questi, appunto per la loro
strategia, come ha ribadito G. Schreiber al convegno degli studi storici
sulla linea gotica, tenutosi a Pesaro nel settembre del 1984, avevano
l'ordine di tenere più a lungo possibile il fronte appenninico per tre motivi:
1) per impegnare il nemico e alleggerire il fronte francese impedendo l'
apertura di un nuovo fronte nei Balcani; 2) per evitare che un cedimento
potesse far sentire il popolo tedesco completamente circondato; 3) per
tenere la pianura padana con le sue risorse agricole e con le grandi
fabbriche del triangolo industriale lombardo e sfruttarla nella produzione,
soprattutto bellica. Questo era l'ordine passato da Rudolf Rahn,
plenipotenziario tedesco presso la Repubblica Sociale Italiana, che affidò
alla Milizia e alle SS l'incarico di vigilare nelle fabbriche, perchè la
produzione fosse intensificata.
In risposta al proclama del 13 novembre 1944 del generale Alexander,
comandante le truppe alleate in Italia, che invitò, i partigiani operanti oltre
la linea gotica a smobilitare, provocando così delusione e accuse di
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tradimento da parte delle stesse forze della Resistenza, a Legnano i
gruppi partigiani decisero invece di intensificare la lotta armata, proprio
per dimostrare di non aver raccolto l'invito di Alexander.
Il 24 novembre furono attaccati in forze la caserma legnanese della Guardia
Nazionale Repubblichina e contemporaneamente il carcere di S. Martino
per liberare alcuni detenuti politici: dopo tre ore di conflitto arrivarono
rinforzi fascisti e i partigiani dovettero ritirarsi.
Alla ripresa dell'offensiva degli Alleati lungo la linea gotica si capì che l'ora
della liberazione della pianura padana si avvicinava; le brigate "Garibaldi"
e "Carroccio" predisposero allora con il CLN il piano per l'insurrezione
nell ' Altomilanese . Il lO aprile 1945 alcuni esponenti del PCI, sorpresi a
distribuire a Legnano volantini contenenti il preavviso per tale
insurrezione armata, vennero arrestati dal dirigente l'ufficio della Polizia
Politica locale, capitano della Milizia, Nucci. Anche nei paesi vicini furono
compiuti rastrellamenti e arresti. Mussolini intanto si era stabilito a Milano,
in Prefettura, e anche da Legnano si seguirono con ansia i tentativi di
trattative con il CLN (mediatore il cardinale arcivescovo Schuster per
ottenere dai Tedeschi che, in caso di ritirata, fossero almeno vietate le
distruzioni alle città e il prelievo di ostaggi Il 24 aprile, mentre Mussolini
organizzava coi suoi gerarchi plu fidati la fuga verso la Svizzera,
conclusasi poi con la fucilazione a Dongo, le formazioni partigiane di
Legnano decisero di agire con un giorno di anticipo rispetto alle altre città
della Lombardia. Il primo obiettivo fu quello di neutralizzare una
stazione-radio tedesca, situata a Cascinette di Canegrate, col compito di
tenere i collegamenti con una grossa colonna corazzata tedesca, agli
ordini del maggiore Stamm, che dal Piemonte puntava verso Busto
Arsizio, ed era diretta in Valtellina. L'operazione fu compiuta dal
distaccamento della 182' brigata "Garibaldi". La stessa notte la brigata
"Carroccio" attaccò il presidio tedesco della caserma Cadorna. Alle nove
del 25 aprile il piano dell'insurrezione armata fu completamente
realizzato dal comando partigiano unificato. La caserma Cadorna, dopo
alterne vicende e conflitti a fuoco, fu occupata; contemporaneamente
furono conquistate anche la caserma carabinieri di via dei Mille (dove si
insediò il CLN locale e il Comando Militare Volontari della Libertà), la
Casa del fascio, la scuola Carducci e la piscina. Intanto formazioni
garibaldine ingaggiarono combattimenti per bloccare ai due caselli
dell'autostrada di Legnano e della Cascina Olmina autocolonne tedesche
in ritirata. In queste azioni cinque partigiani furono feriti e altri cinque
uccisi.
Alle 10,30 un gruppo di partigiani tentò, la conquista del palazzo comunale,
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dove aveva sede l'Ufficio di Pubblica Sicurezza, diretto dal commissario
Santini (che finì poi fucilato in piazza Mercato insieme al capitano della
Milizia, Nucci). Gli agenti di polizia contrattaccarono e si ebbe un lungo
conflitto a fuoco. Tra gli assalitori del palazzo comunale vi era anche
Anacleto Tenconi, che, secondo gli accordi a suo tempo presi, era
destinato ad assumere le vesti di sindaco del CLN. Intanto il vicino
Palazzo Littorio, sede del comando fascista, fu occupato e gli uomini
impegnati in questa azione andarono a rinforzare i partigiani, i quali
assediavano Palazzo Malinverni, che potè così essere conquistato.
Sembrava che la liberazione della città fosse ormai completata, ed invece
durante la notte tra il 25 e il 26 alcune formazioni tedesche rioccuparono
la zona centrale di Legnano e dovettero essere attaccate e fatte
sloggiare.
Nella tarda mattinata un nuovo pericolo si profilò. Un'autocolonna corazzata
tedesca, partita da Milano, ormai insorta e occupata dal CLN e dalle
formazioni partigiane, giunse alla periferia di Legnano con l'intento di
ricongiungersi all'altro reparto del maggiore Stamm, che si trovava nel
Magentino (quest'ultimo fu poi bloccato a Lonate Pozzolo e il
comandante, dopo essersi arreso agli "azzurri" del raggruppamento
"Alfredo di Dio" di Busto , si suicidò.
I partigiani, convinti che i Tedeschi volessero rioccupare la città, attaccarono
l'autocolonna tra lo stabilimento Mocchetti e l'Officina Gianazza. Ai
partigiani si unirono operai, giovani e numerosi cittadini. Alla fine i
Tedeschi fecero dietro front e da Lainate si avviarono verso Como (A.
Tenconi, Rapsodia in tono minore, Legnano 1966).
Sul posto, al termine dei combattimenti, restarono 14 morti tra le formazioni
partigiane.
Il 27 aprile la città di Legnano fu completamente libera e in mano ai partigiani:
per le strade in quel giorno cortei e tripudio per la riconquistata libertà.
Purtroppo i giorni che seguirono furono teatro di qualche isolato episodio di
inutile vendetta e di violenza, come hanno riferito i testimoni di quegli
angosciosi eventi: "Errori tragici furono commessi in quei giorni, ma
durante un movimento di grandi masse è quasi sempre difficile, se non
impossibile, a qualunque capo, dominare le azioni dei singoli" (A. Tenconi,
Op. cit.).
Infatti, con giudizi più o meno sommari pronunciati da alcuni capi partigiani
subito dopo la Liberazione, furono fucilati sedici ex appartenenti alla
milizia fascista o cittadini che erano ritenuti implicati in azioni fasciste.
Nonostante l'opera di mediazione dell'allora prevosto mons. Cappelletti le
esecuzioni furono compiute ugualmente (e in mommenti diversi) in
piazza S. Magno e del Mercato, alla cascina Mazzafame e al raccordo
418
dell'autostrada a Castellanza .
Nella città libera, in poche settimane, ritornò, comunque la normalità, si
riorganizzò il lavoro nelle fabbriche e si formò, la giunta comunale nel
CLN col compito di intraprendere l'opera di ricostruzione, e cancellare,
per quanto possibile, i tristi ricordi della guerra. La prima giunta era così
costituita: sindaco, Anacleto Tenconi (DC); componenti: Neutralio
Frascoli (DC), Giovanni Parolo (DC), Guido Cattaneo (PSI), Ernesto
Macchi (PCI), Natale Barnabè (PRI), Enrico Riccardi (PRI). Essa fu poi
completata con altri tre assessori all'atto delle attribuzioni: Ezio Gasparini
(PCI), vicesindaco; Giuseppe Moro (PSI) e Giovanni Brandazzi (PCI). La
prima seduta della giunta si ebbe il 2 maggio 1945, segretario comunale
era il dottor Amedeo Rossi.
Non fu facile normalizzare la vita della città. Mancavano gli alimenti primari, i
mezzi di locomozione erano ridotti al minimo, le case popolari insufficienti,
le aule scolastiche sovraffollate, le strade ridotte in uno stato pietoso e le
classi lavoratrici, in condizioni disagiate, chiamavano continuamente
l'amministrazione comunale a fare da interprete e mediatrice delle loro
aspirazioni. L'avvio della democrazia e della ricostruzione fu lento e
faticoso; le ferite di un passato torbido si cicatrizzarono lentamente, con
tenacia, allorchè lo spirito di collaborazione riuscì a prevalere sulle lotte di
parte. Normalizzatasi anche la politica nazionale, Legnano riprese il
vigore economico che aveva caratterizzato il periodo pionieristico.
Il 4 maggio 1945 si costituì un comitato industriale provvisorio presieduto dagli
industriali Mario Pensotti e Aldo Palamidese, dal quale scaturì poi
l'Associazione Legnanese dell'lndustria, il cui atto costitutivo reca la data
del 13 luglio 1945, primo presidente Pier Luigi Ratti. La direzione fu
affidata al dottor Manlio Bucci, che seppe creare le premesse per
assicurare alla rinnovata associazione industriali un ruolo determinante
nella vita organizzativa dell'importante settore economico di tutta la città
e del Legnanese, tale da assicurare, tra il 1951 e il 1961 il più alto indice
di industrialità in rapporto alla popolazione (65,2%) tra i Comuni lombardi,
secondo dopo Sesto S. Giovanni.
Si ricostituirono anche gli altri organismi economici, professionali e associativi,
tra cui l'Unione Commercialisti, la Consociazione degli Artigiani e l'Unione
Artigianti con giurisdizione su tutta la zona. Legnano nel dopoguerra
dimostrò, la risoluta volontà concorde di ripresa e di continuità delle care
tradizioni, e delle virtù antiche, più che mai da rinnovare, nella pace
riconquistata.
Se, l'8 settembre, l'annuncio della firma dell'armistizio con gli alleati e lo sbarco
degli angloamericani a Salerno crearono disorientamenteo tra la
419
popolazione, che non aveva ancora compreso, nella sua realtà, l'effettiva
portata dei fatti, tali avvenimenti colsero di sorpresa anche le Forze
Armate. Gli ambigui ordini di Badoglio e la fuga del re dalla capitale
furono nuovi motivi di perplessità. I Tedeschi erano ancora tra noi e la
Resistenza stava uscendo dalla clandestinità, ma non aveva ancora
assunto una sua salda struttura organizzativa.
I soldati italiani, increduli, stanchi ed umiliati, non sapevano cosa fare. Se li
coglievano in divisa e sbandati, i tedeschi, considerandoli disertori,
potevano arrestarli e deportarli. La maggior parte di essi aveva solo
raccolto l'ordine non ufficiale del tutti a casa.
In questa situazione quasi tutti i reparti dell'esercito italiano si sbandarono.
Solo gli uomini di alcune unità che si trovavano nel Meridione e nel
Centro Italia afferrarono il significato del momento e, alla guida dei loro
comandanti, passarono tra le fila della Resistenza. Non si sciolsero e,
conservando divisa e stellette, cominciarono a dare il loro contributo alla
lotta per la libertà. A questi contingenti, che diedero poi vita al Corpo
Italiano di Liberazione (C.I.L.), si unirono anche molti militari sbandati che
avevano le loro famiglie nell'Italia Settentrionale. Per loro costituiva un
motivo in più, oltre a quello ideale della riconquista della libertà, ricacciare
i tedeschi oltre le Alpi e tornare alle proprie case.
Gli uomini di questi raggruppamenti militari, pur così eterogenei, seppero dar
vita ad episodi di valore e ad azioni che diventarono vero eroismo, in
alcuni casi, durante combattimenti di appoggio alle forze alleate.
Un contributo essenziale e particolarmente significativo, tra i reparti che si
opposero ai tedeschi, fu dato dalle unità che facevano parte della
Divisione "Legnano": il 67' Reggimento Fanteria, l'11' Reggimento
Artiglieria da campagna, il 68' Reggimento Fanteria e il 2' Battaglione
Genio Pionieri. Alcune aliquote degli uomini dei reggimenti della
"Legnano" andarono a costituire il 1' Raggruppamento Motorizzato
Italiano, rafforzato da unità di varie provenienze. Da citare un battaglione
di allievi ufficiali di complemento, che si trovarono in quel periodo nelle
province di Brindisi e Lecce. Questo raggruppamento ebbe il battesimo
del fuoco a Montelungo, una località a sud di Cassino, l'8 dicembre 1943.
I fanti, gli artiglieri e i genieri della Legnano ebbero il privilegio di
combattere in un'azione offensiva contro reparti nazisti. Con il loro
coraggio e il loro eroismo lasciarono attoniti gli alleati, facendo così
rilevare che l'esercito italiano si considerava sconfitto, ma non vinto e
manteneva sempre integro il proprio prestigio.
Le operazioni dell'II' Reggimento Artiglieria, in appoggio ai fanti del 67' furono
oltremodo dure, protraendosi per dieci ore sugli impervi pendii di
Montelungo. Ben dodicimila colpi sparati, cinque morti e quattordici feriti
420
furono le cifre, in sintesi, dell'epopea di questi militari. Per la battaglia di
Montelungo, la bandiera del 67' fu decorata di medaglia d'oro. Una
medaglia d'argento al valor militare fu assegnata rispettivamente all'11'
Artiglieria, al 2' Battaglione Genio Pionieri e al 68' Fanteria Legnano per i
fatti d'arme avvenuti tra il febbraio 1944 e il 1945. Il raggruppamento
militare, rinforzato da altre unità provenienti dal sud, assunse
ufficialmente la denominazione di Corpo Italiano di Liberazione.
Il suo stemma era una croce bianca in campo azzurro con l'effigie del guerriero
di Legnano.
Alla caduta della linea difensiva tedesca a Cassino, la Gustav, il CIL venne
trasferito sul fronte orientale della penisola alle dipendenze dell'8' Armata
inglese e impiegato nei combattimenti, fino alla liberazione di Ancona.
Al termine di questi cruenti e vittoriosi combattimenti, il CIL fu ritirato nella zona
di Piedimonte d'Aife, a nord di Caserta dove, riarmato ed equipaggiato
con materiali inglesi, assunse la denominazione
di "Gruppo
di
Combattimento Legnano".
Trasferito successivamente sulla linea gotica, partecipò alla liberazione di
Bologna (21 aprile 1945). Nell'autunno dello stesso anno, cessate le
operazioni belliche, il gruppo di combattimento diventò Divisione di
Fanteria Legnano.
Il glorioso 67' Fanteria tornò nella sede della caserma "Raffaele Cadorna" di
Legnano, restandovi fino al 1958. In quell'anno, ed esattamente il 1'
maggio, si costituì in Legnano il 4' Reggimento Fanteria Corazzato,
inquadrato nella Divisione Legnano.
In seguito alla ristrutturazione dell'esercito, in tempi più recenti, (1975) alla
Caserma Cadorna, oltre al Comando di Presidio, resteranno di stanza il
20' Battaglione Carri M.O. Pentimalli e il 2'
Battaglione Bersaglieri
Governolo, appartenenti entrambi alla Brigata "Legnano".
nizio Indice.
1924 - Titolo di citta'
2
Contributo della divisione Legnano alla lotta della liberazione
5
Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La resistenza
1
L'insurrezione Armata
4
L-28.doc
1
La resistenza
3
Le lotte politiche
3
Le lotte sindacali
1
Mussolini a Legnano
2
.Fine Indice.
421
Legnano, l'ingegnere archeologo
(1)
Quanto deve l'Italia dei musei alla passione antiquaria dei privati? Difficile fare
dei conti precisi, certo moltissimo, e gli esempi importanti si chiamano,
per restare in ambito lombardo: Poldi Pezzoli a Milano, Carrara a
Bergamo, Palazzo d'Arco a Mantova, l'ala Ponzone a Cremona, Museo
delle Armi a Brescia.
E per i Legnanesi, appena dietro l'angolo, la Fondazione Pagani di castellanza.
Fatto questo rapido giro di orizzonte, si puo' tornare a casa per trovare
un' altra dimostrazione di mecenatismo tutto particolare, non cioe' di tipo
sponsorio o ereditario ma interpretato in termini di iniziativa filantropica
personale, diretta.
Accadeva infatti negli anni 20 di questo secolo che un severo ingegnere
meccanico, Guido Sutermeister, arrivato a Legnano da Intra per lavorare
alla Franco Tosi, dovesse spostarsi di frequente in Puglia e nelle zone
dell'Antica Magna Grecia per collaudare le pompe costruite dallo
stabilimento di piazza Monumento. l'anima tecnologica dell'ingegnere
coabitava pero' con l'anima umanistica, nel senso che Sutermeister
trovava la sua via di Damasco in direzione della ricerca archeologica alla
quale finiva per dedicare molto del suo tempo libero.
Una snella pubblicazione comunale del maggio 1984 precisa che "le raccolte
archeologiche del Museo Civico di Legnano sono il risultato di una
assidua ricerca condotta dall'ingegner Guido Sutermeister negli anni
1925 - 1964, nel territorio della citta' e delle zone limitrofe. Grazie
all'appassionato studioso, attorno al quale si si uni' ben presto un gruppo
di sostenitori che diede vita alla società' Arte e Storia, si rese possibile
nel 1928 la costruzione, con l'utilizzo dei resti originali, di un edificio che
riprendeva la pianta della dimora quattrecentesca della famiglia dei
Lampugnani, che divenne la sede del Museo cittadino".
Sutermeister, dopo ogni viaggio nel Sud, portava a Legnano pezzi archeologici
ed in seguito ispettore onorario della Soprintendenza alle antichità' della
Lombardia, si impegnava in intense campagne di scavo nel territorio,
delle quali rimane testimonianza significativa nei materiali che hanno
1
Da Provincia di Milano. Elenco SIP 1992
422
dato vita al museo legnanese.
L'edificio al numero 2 di via Mazzini, che ospita le raccolte di Sutermeister, e' il
frutto di un exploit di tipica intraprendenza e concretezza legnanese.
L'antico maniero dei Lampugnani (risalente al XV° secolo) era entrato
nell'area del cotonificio Cantoni, dovendo cedere alle esigenze di
sviluppo dello stabilimento (si trattava comunque di mensa).
Era il 1928: non tutto andava perduto di quel che rimaneva e infatti si
utilizzavano alcune parti murarie per costruire la sede museale,
riproponendone le linee quattrocentesche, trasferendole da via Cantoni
in via Mazzini.
Le "talpe" Legnanesi, guidate da Sutermeister, scavavano un po' dappertutto
nel circondario, approfittando anche delle occasioni offerte dagli scavi
altri, come nel caso dei lavori per la provinciale che unisce Castellanza
con Busto Arsizio con Saranno: tra il 1926 e il 1928, a La Montagnola,
località' Paradiso, Sutermeister trova il reliquato di una lunga scodella a
forma di campana, riferibile alla cultura di Remedello, cioe' all'eneolitico
finale (2000 - 1800 a.c.).
Ancor prima pero', nel 1925, l'ingegnere poteva esplorare un terreno ai margini
di via Novara, tra le vie Giusti e Firenze, riportando alla luce un
sepolcreto con 200 tombe ad incenerazione, databili I° secolo d.c. Tra il
1925 e il 1926, altri ritrovamenti di eta' augustea nel fondo Vignanti a San
Giorgio su Legnano (1925), nel fondo Della Vedova a San Lorenzo di
Parabiago (via Marco Polo 3, 1934), a Canegrate, nel 1946, fino ai
sepolcri di eta' tardoromana ( IV° d.c.), trovati alla costa di San Giorgio
(1925 - 1926), in via Leoncavallo, a Legnano e poi a Bienate.
Mettendo in ordine quel che aveva trovato o portato a Legnano, l'ingegner
Sutermeister aveva privilegiato nella collocazione le località' di
provenienza dei reperti. Diventato civico nel 1970, il museo veniva
riordinato secondo criteri cronologici, indifferentemente dalla
localizzazione del ritrovamento.Fra l'altro il patrimonio della raccolta
legnanese si era arricchito, nello stesso 1970, delle scoperte dovute alle
esplorazioni del gruppo subacquei di Legnano, guidato da Luraschi e
Pontiggia, nel lago di Monate (Varese).
Fin dal 1864 erano stati individuati a Cadrezzate insediamento palafitticoli
dell'eta' del bronzo con tre stazioni importanti: le ricerche, poco piu' di un
secolo dopo, conducevano alla definizione di un abitato "molto
rappresentativo e ricco di informazioni".
Al visitatore di presentano materiali selezionati e studiati. La collocazione e'
avvenuta nella sala della loggetta e i reperti esposti cronologicamente in
base ai contesti tombali ed alla provenienza: nella sala della Torre per i
reperti di eta' romana, proposti seguendo la tipologia e l'uso.
423
Il museo racconta insomma la prima storia di Legnano e delle civiltà'
contermini, della cultura di Remedello e quella di Canegrate, della
Golasecca e La Tene' (celtica), del periodo romano agli stanziamenti
longobardi.
Nel patrimonio museale c'e' anche una raccolta numismatica, esposta im
mostra permanente: Del tutto fuori epoca, pero' sempre interessante, la
presenza di un pittore come Gaetano Previati (1852 - 1920), ferrarese di
nascita, vissuto a Milano e ispirato da soggetti epici trovati nella storia,
come la Battaglia di Legnano del 1176. Tre sue tele si possono ammirare
in una sala. Il museo offe spazi anche per mostre tematiche
424
La sagra del carroccio
Nei secoli passati la battaglia combattuta nel 1176 presso la nostra città era
sempre stata indicata ai posteri come segno di una importante tappa nella
evoluzione della nostra antica società.
Infatti, nel 1176, per la prima volta, dopo anni di terrore barbarico, i nuovi
Italiani dei comuni lombardi avevano osato contrastare ed addirittura
sconfiggere un oppressore straniero. Purtroppo nel XII secolo quella
scintilla di libertà si era subito spenta a causa delle numerose discordie
esistenti tra i comuni lombardi e delle continue lotte tra frazioni popolari,
nobili e clero.
L'antico spirito di italianità si era risvegliato nel 1800 grazie al Risorgimento ed
alla creazione dell'unità d'Italia. In Legnano questo sentimento aveva
portato, grazie alla spinta delle forze culturali locali, alla costruzione, nel
1876, di un primo monumento dedicato alla battaglia ricordata anche
nell'inno nazionale. Le feste popolari, gli articoli di storia sui giornali, la
voglia di essere cittadini, spinsero i Legnanesi a rinverdire ogni anno le
glorie di questo loro fatto d'armi. Nel giugno del 1900 in occasione
dell'inaugurazione del monumento alla battaglia, reso definitivo con
l'opera del Butti il concorso di folla fu enorme e le ricorrenti celebrazioni
del fatto d'arme divennero quasi irrinunciabili per i Legnanesi. Nel 1935
l'Italia era amministrata dal regime fascista. Tra i tanti errori, di cui
possono essere accusate le gerarchie fasciste, almeno un merito deve
essere loro riconosciuto, quello di avere propagandato più di tutti
l'italianità agli Italiani. Lo spirito del Risorgimento, cui anelava l'uniàa di
popoli vissuti fianco a fianco nemici e divisi dagli eserciti stranieri,
riemerse dalla politica mussoliniana con determinazione talvolta
soffocante. Le celebrazioni spontanee e popolari in ricordo della battaglia
assunsero perciò un carattere di ufficialità. Naturalmente i Legnanesi
obbedirono in questo caso al regime, in quanto ciò che si chiedeva loro, in
nome di una politica, era quanto avevano sempre cercato di fare in
proprio, ma senza troppi mezzi per finanziare le manifestazioni.
Fu cos' che il Carosello Storico con la corsa del palio acquistò, ufficialità il
giorno 26 maggio 1935, sostituendo ed integrando quelle manifestazioni
popolari e religiose che fino ad allora si erano tenute anche in Milano
presso la basilica di S. Simpliciano, ove già dal XIV secolo l'ultima
domenica di maggio si svolgeva una commemorazione con processione
e feste (S. Simpliciano era stata ampliata ed arrichita dopo la battaglia,
425
per celebrare proprio la vittoria sul Barbarossa). Le celebrazioni della
Sagra proseguirono dal 1935 al 1939. La guerra fermò, necessariamente,
con le sue restrizioni, anche la nostra manifestazione.
Nel 1952 risanata l'economia cittadina, grazie anche allo sforzo culturale ed
aggregante compiuto dalla Famiglia Legnanese e dal Comune di
Legnano, si ripresero le manifestazioni senza le etichettature politiche
che prima della guerra erano state imposte.
Lo spirito degli antichi comuni lombardi viene rivissuto in Legnano con gioia
profonda, è la consapevolezza di cittadini che additano alle generazioni
future il valore inestimabile di possedere la propria vita, le proprie idee, la
propria casa senza che altri ne dispongano.
E' questa una lezione politica che nessuno deve dimenticare, è lo stesso
sentimento che accomuna nel suo 40° anniversario lo spirito partigiano
del 1944 a quello dei difensori del carroccio. Questo non deve però
essere inteso come atavico odio per il popolo tedesco anche se esso in
entrambe le occasioni si è trovato dall'altra parte del campo di battaglia.
L'amore per la libertà deve essere bene prezioso all'interno di noi e
guidarci oggi come allora nelle scelte politiche di giustizia e di rispetto per
il più debole.
Dimostrazione di questa civile determinazione espressa dalla nostra Sagra è il
viaggio a Costanza compiuto nel 1984 da una rappresentanza delle
contrade esponenti della città di Legnano. Viaggio che vuole non
sottolineare l'antica sconfitta imposta, ma ricordare la mano tesa nel
gesto di pace, artefici uomini liberi di entrambe le parti, ciascuno fiero
della sua terra e del suo lavoro.
I figuranti legnanesi sono stati accolti prima con incredulità poi con calore dalla
popolazione di Costanza. Si erano anch'essi resi conto del valore
universale di quella visita e forse, anche solo per qualche ora, si è
dissipata la inconfessata diffidenza con la quale troppo spesso in tutto il
mondo, dal Nord si guarda a chi viene dal Sud, dimenticando la antica
lezione di 808 anni fa.
A parte questi aspetti che investono dal punto di vista politico e morale
l'atteggiamento di ognuno di noi, la Sagra del carroccio è anche un fatto
sociale e socializzante per Legnano. La nostra popolazione ha da molti
anni accolto ed integrato emigranti veneti e meridionali. Orbene, nella
convivenza civile, tutte queste genti, ritrovatesi a fianco si identificano in
una sola comunità e lavorano per la Sagra come se da sempre l'orgoglio
e l'impegno dei Legnaaesi antichi li abbia pervasi.
Nei manieri, dall'ultimo arrivato dei ragazzi al capitano, ogni concittadino offre
la propria opera in un volontariato assolutamente gratuito e
426
disinteressato.
L'unica paga è la soddisfazione di concorrere alla formazione di uno
spettacolo fuori dal comune. Si organizzano raccolte per pagare i costumi
nuovi e affrontare le spese per i cavalli. Ci si allena per cavalcare,
suonare corni trombe e tamburi. I più agili inventano giochi con le
bandiere. Decine di contradaiole si dedicano al restauro, al rifacimento o
alla confezione di abiti, mantelli, borsette. Artigiani con i capelli bianchi
fondono else di spade e lame; costruiscono archi, lance e scudi. Vengono
con cura ricercati e scelti coloro che sanno tagliare il cuoio, confezionare
scarpe, sellerie, divise militari. Un fervore di lavoro che fa rivivere l'antica
alacrità degli artigiani che ancora è dentro tutti noi, perchè l'epoca
industriale non ha ancora cancellato le tracce della nostra antica società.
Basta solo tornare indietro di due generazioni ed il cavallo è ancora in fondo al
cortile nella sua stalla ed il fabbro fa risuonare l'incudine. Un mondo
misurato e più umano freme ancora nelle mani di chi costruisce per la
Sagra del carroccio . E' gioia di stare insieme, di lavorare senza l'assillo
del cartellino, per produrre qualche cosa che piace e farsene un vanto
intimo e segreto, il giorno della sfilata.
Esistono si, è vero, le rivalità di contrada, ma mai si trascende alle offese o alla
vera inimicizia, anche quando il carattere focoso di certi capitani suscita
polemiche o altisonanti dichiarazioni di guerra contradaiola.
Anzi spesso le contrade si aiutano, scambiandosi materiali o personaggi,
perchè il risultato finale sia più bello per tutti e nessuno venga umiliato. La
molla che aziona tutto questo darsi da fare è il desiderio di aprirsi alle città
vicine, mostrando con orgoglio di essere città antica e comunità vivace,
unita e alacre; di portare un messaggio di cultura del proprio paese, di
additare un messaggio di civile convivenza in quella libertà che in antico è
ha richiesto tanti sacrifici. Ed è forse proprio questo aspetto del sacrificio
della libertà che meglio inquadra il simbolo del carroccio, la croce di
Ariberto d'Intimiano .
La ricompensa per la vittoria comunale è solo il vanto di custodire nella
propria ,chiesa questo simbolo per un anno, mentre il capitano di
contrada riceve una croce pettorale e lo stendardo della vittoria.
La croce che abbiamo in Legnano è solo una riproduzione di quella vera
tutt'ora esistente in Milano Il crocefisso originale è ricavato con una
lavorazione a sbalzo da una lastra di rame dorata nelle parti figurate. La
sua esecuzione avvenne attorno alla metà del secolo XI. Essa era stata
commissionata dall'arcivescovo di Milano Ariberto come ornamento per il
proprio monumento funebre posto nel monastero di S. Dionigi. Venne poi
427
usata dai Milanesi a ricordo del valore del loro arcivescovo, come simbolo
di fede e di forza posto sul pennone del carroccio.
Il supporto ligneo attuale è stato sostituito a quello originale, che legava le
lastre di rame nel secolo XIV. Una composizione molto drammatica ed
espressiva con il Cristo dolente attorniato dalle figure della Vergine, di S.
Giovanni, e sotto, con i piedi posti su un basamento a scacchiera,
l'immagine di Ariberto.
La croce che ora i Legnanesi pongono sul carroccio fu eseguita sotto la
direzione del pittore legnanese Gersam Turri nel 1935. Essa consiste in
una scultura in gesso riproducente quasi alla perfezione la croce originale,
ma non con la medesima grandezza. Infatti la Sovrinteadenza di allora
impose che venisse: realizzata in scala più piccola per evitare; un
"pericoloso" duplicato. Sopra le formelle in gesso venne riportato uno
strato di rame spruzzato a caldo mediante un procedimento inventato a
Legnano. Venne quindi dorata e patinata nelle parti di rame scoperte,
assumendo un aspetto quasi identico a quello dell'originale.
1935 SAN DOMENICO
1936 LEGNARELLO
1937 SANT'ERASMO
1938 LA FLORA
1939 SANT'ERASMO
1940
1951 sospeso per eventi bellici
1952 LEGNARELLO
1953 LEGNARELLO
1454 LEGNARELLO
1955 non aggiudicato
1956 SAN BERNARDINO
1957 SANMARTINO
1958 SANT'ERASMO
1959 SAN BERNARDINO
1960 LA FLORA
1961 SAN BERNARDIN'O
1962 SANT'AMBROGIO
1963 SANMAGNO
1964 SANT'ERASMO
1965 LEGNARELLO
1966 LEGNARELLO
1967 SAN MARTINO
428
1968 SANT'AMBROGIO
1969 SANT'ERASMO
1970 SANT'ERASMO
1971 SAN MAGNO
1972 SAN DOMENICO
1973 SAN MAGNO
1974 SANT'ERASMO
1975 SANT'ERASMO
1976 SANT'ERASlLlO
1977 non aggiudicato
1978 SAN BERNARDINO
1979 SAN MAGNO
1990 SAN BERNARDINO
1981 SAN DOMENICO
1982 SAN BERNARDINO
1983 LEGNARELLO
1984 SAN DOMENICO
La cerimonia rievocante la vittoria delle città della Lega Lombarda su Federico
I, detto il Barbarossa, il 29 maggio del 1176, si tiene generalmente alla
domenica di fine maggio, ogni anno.
Le manifestazioni iniziano al mattino con un raduno in Palazzo Malinverni
(Municipio) di tutti i Gran Priori, dei Capitani e delle Castellane; li accoglie
il Sindaco, Supremo Magistrato della Sagra, con le autorità comunali.
Essi rendono gli onori a tutte le autorità presenti ed alle rappresentanze
delle municipalità appartenenti all'antica Lega Lombarda che ogni anno
vengono a Legnano. Poi si forma un corteo preceduto da scorte armate in
costume e dai gonfaloni. Le autorità e i rappresentanti delle contrade
escono dal portone di Palazzo Malinverni e si dirigono verso il carroccio
sul quale sta la croce di Ariberto, oggetto della disputa sportiva tra le
contrade;
Inoltre è preparata la mensa per la celebrazione della santa Messa.
Come in antico, prima della battaglia, si ripete il giuramento di untià e fedeltà,
in nome della libertà, davanti all'unico simbolo che il popolo allora
riconosceva come espressione di unità nella fede e speranza per il futuro:
la croce di Ariberto. L'officiante sul carroccio, celebrando la s. Messa, si
rivolge ai convenuti sulla piazza, ricordando il valore bellissimo e terribile
di chi andava a morte per allontanare l'oppressore dalla propria terra casa - famiglia, di chi, a costo della propria vita si ribellava ad una
situazione di barbara malversazlone, per tentare di rivedere la luce della
libertà. Al termine si dà il via ad un volo di colombi che ricordano quelli
429
descritti da Galvano Fiamma (storico antico molto fantasioso del 1320).
Essi, partiti dalle tombe dei Santi Sisinio, Martirio ed Alessandro, il 29
maggio 1176, si diressero a Legnano, per posarsi sull'antenna del
carroccio, prima che iniziasse la battaglia; erano le anime dei santi
arcivescovi che fino ad allora avevano difeso queste sventurate terre.
Oggi, dalla direzione che prenderanno i colombi i Legnanesi, con un
sorilso sulle labbra ed un tremito nel cuore, cercheranno di capire verso