Quaderni Giorgiani169
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Quaderni Giorgiani169
Bollettino a diffusione interna a cura di RG N. 169 Luglio 2014 Quaderni Giorgiani 169 appunti personali lun 14-07-14 Questi Quaderni non rappresentano una testata giornalistica in quanto vengono aggiornati senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07/08/2001. Immagini, audio e video inseriti sono reperiti in rete e pubblicati senza alcun fine di lucro; qualora la loro pubblicazione violi diritti d’autore, vogliate comunicarlo per una pronta rimozione. Quaderni-Giorgiani-169Legnano Indice 1 Legnano 1.1 La preistoria: la terra e l'uomo 1.2 I primi abitatori e le loro usanze 1 1.3 Cenni storici 1.4 Le origini 1.5 Le Origini 1.6 Le origini 1.7 Galli e Romani 1.8 Barbari 1.9 Il dialetto 1.10 Il Duecento 1.11 Dal Medioevo al rinascimento 1.12 Il cinquecento 1.13 Feudi e comuni 1.14 La dominazione spagnola 1.15 Nel Sedicesimo secolo "1850 anime da Comunione" 1.16 Dominazione austriaca 1.17 Dall'Ottocento al ventesimo secolo 1.18 Dal borgo agricolo allo sviluppo del primo ottocento 1.19 Il Risorgimento 1.20 Uomini illustri 1.21 Mercato 1.22 Personaggi 1.23 Il fiume OLONA 1.24 L'Olona 1.25 Il Comune di legnano nel quadro delle lotte sociali milanesi 1.26 Gli antichi mulini sul fiume Olona 1.27 Relazione sui Mulini idraulici lungo l'0lona. 1.28 Case in Legnano antica 1.29 Legnano e i suoi monumenti 1.30 Chiese ed oratori trecenteschi 1.31 Chiesa di Sant'Ambrogio 1.32 La basilica di San Magno 1.33 Le sette campane di San Domenico 1.34 Chiesa della Madonnina 1.35 Chiese Campestri 1.36 Chiesa di Sant Ambrogio in Legnano 1.37 Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La resistenza 1.38 Legnano, l'ingegnere archeologo 1.39 La sagra del carroccio 1.40 La Battaglia 1.41 La Battaglia 1.42 La battaglia di Legnano e il problema del confine meridionale del Seprio 2 1.43 La battaglia di Legnano e il problema del confine meridionale del Seprio 1.44 Antiche cascine del Borgo 1.45 Il palazzetto Corio 1.46 Celebrazioni storiche dell'816° 1.47 Fotografie di Legnano 1.48 Nel 1850 a Legnano c'erano 2 ricevitorie postali 1.49 I gloriosi pompieri aziendali 1.50 Breve guida alla visita delle sale Archeologiche del Museo 1.51 Un uomo, una citta', un museo: G. Sutermeister 1.52 Legnano nelle antiche rappresentazioni cartografiche 1.53 In pensione la "Biloria" con l'ultimo vetturale 1.54 Dal "Velociu" al tram elettrico 1.55 La prima autostrada costruita nel mondo 1.56 Castello di Legnano 1.57 Genealogia dei Lampugnani 1.58 Il casato Lampugnani 2 Vicinanze storiche 2.1 Torba 2.2 Monsorino 2.3 Veteres incolae manentes 3 4 Preistoria La terra e l'uomo Di alcune città e' possibile fissare l'origine se non in un anno preciso, almeno in un certo secolo. Non e' il caso nostro. Il nome Legnano, essendo latino, puo' indicare il periodo storico della sua formazione; ma un nome puo' essere applicato ad una realtà già esistente da gran tempo e sostituire quello primitivo a noi sconosciuto. Il museo cittadino infatti contiene un reperto, trovato in Legnanello, che si fa risalire a 2000 anni prima di Cristo, e attesta la presenza umana nel nostro territorio quattromila anni fa. Esso pero' non segna un inizio, ma probabilmente solo un momento di una continuità storica che si protende indietro nel tempo, in quella che solitamente si chiama, con frase stereotipa, la notte dei tempi. La scienza geologica e archeologica ha pero' alquanto diradato le tenebre di quella notte e i suoi strumenti sono in grado di ricostruire a grandi linee l'evoluzione dell'ambiente geografico ed umano, in cui possiamo inquadrare un punto nello spazio, e del tempo. Sappiano ad esempio con certezza che circa sessantacinque milioni di anni fa comincio' ad emergere dal mare la catena delle Alpi, lasciando ancora sommersa l'attuale pianura padana. Forse dopo un ulteriore sollevamento di cinquecento metri emerse anche il piede delle Prealpi su cui oggi siede Legnano, ma il suolo che ci sostiene, e' formato dalla sedimentazione dei detriti che, coll'erosione delle montagne, precipitarono sulla pianura durante il Quaternario. Nel corso di migliaia di millenni sotto l'influsso degli spostamenti astronomici all'interno della nostra galassia, il variare della posizione dei pianeti e della stessa inclinazione dell'asse terrestre, il clima dovette subire profondi rivolgimenti. Qualcuno pensa a cicli ricorrenti ogni centomila anni con alternanze di climi freddi e caldi che modificarono di volta in volta la flora e la fauna. Per avvicinarsi a noi dobbiamo ricordare l'azione determinante e grandiosa delle glaciazioni alpine dette GUNZ, Mindel, Riss, Wurm (precedute dalla Donau, cosidetta perche' studiata lungo il Danubio). In certi periodi, quasi un quarto delle terre emerse fu coperto da ghiaccio, L'acqua solidificata e sottratta al mare ne abbassava il livello. Tra una glaciazione e l'altra s'interponeva un intervallo (detto interglaciale), il cui clima tornato caldo scioglieva il ghiaccio e risollevava il livello marino. Durante i periodi freddi una grande crosta ghiacciata copriva le Alpi e coll'enorme peso della sua massa plastica rosicchiava il fondo e i fianchi delle valli spingendo in basso masse di detriti, formando 5 gli anfiteatri morenici, in cui oggi si raccolgono le acque dei laghi prealpini. Ad esempio la sponda meridionale del lago di Comabbio si formo' con le morene del glaciale Gunz circa settecentomila anni fa: a Cassano Magnago troviamo i depositi del Mindel (trecentomila anni fa); le alture di Somma Lombardo sono morene del Riss (centoventimila anni fa). Ma troviamo anche gli alti terrazzi formati dalle sedimentazioni degli interglaciali che si spingono a sud fino a Lonate Pozzolo e a Origgio, mentre i terrazzi inferiori abbracciano un vasto territorio tra Tradate e Gallarate, Busto e Legnano. Noi non riusciamo ad immaginare l'esistenza di esseri umani durante i periodo glaciali. Le piu' antiche presenze umane sono segnalate nell'Africa Orientale e nella Cina Meridionale circa un milione e ottocentomila anni fa. In Europa, alla foce del Rodano, sulla Costa Azzurra e Riviera Ligure, dove il clima e' piu' mite, i cacciatori del Paleolitico sono presenti anche durante le glaciazioni. Vivevano preferibilmente nelle grotte, frequentate anche da animali come gli orsi in letargo e facilmente uccisi nel sonno, oppure sotto le sporgenze di pareti rocciose (dette ripari), ma anche si accampavano a cielo scoperto. Non erano numerosi. Si calcola che ventimila anni fa fossero un milione, uno in media ogni dieci chilometri quadrati. Naturalmente si raccoglievano in gruppi e si spostavano continuamente seguendo le prede. Milioni di bisonti, di cavalli selvaggi e altri animali pascolavano nelle pianure. Immaginiamo ora la situazione sul nostro territorio. Nei periodi freddi il ghiaccio giungeva fino a pochi chilometri a settentrione. Quando esso si scioglieva, valanghe di acqua spazzavano il terreno. A Castellanza si apre la val Morea incassata fra due ripidi pendii formati dal ceppo, un conglomerato di ciotoli alpini in cui non pote' posarsi uno strato di sedimentazione, perche' l'acqua che colmava quell'incassatura, scorreva veloce e ripuliva le pareti di marogna. A Castellanza la fiumana si allargava rallentando sulla pianura, depositando ghiaia e grossi ciotoli rotondi, con cui sono stati costruiti i vecchi muri cittadini. Quanta strada hanno percorso e quanto tempo e quali forze enormi hanno smussato e levigato le loro già scabre superfici. Il rallentamento e la diminuita velocità dell'acqua scavo' soltanto un piu' largo alveo tra le piu' basse sponde su cui oggi sorgono Legnanello e San Vittore da un lato, San Martino, San Giorgio e Canegrate dall'altro. Come avrebbero potuto vivere gli uomini in un ambiente naturale di tale violenza?. E se pur passarono di qui o si accamparono gruppi di cacciatori nei periodi caldi dell'interglaciale, le successive glaciazioni e alluvioni ne fecero sparire traccia. 6 Dobbiamo dunque arrivare a diecimila anni fa coll'esaurimento dell'ultima glaciazione (Wurm) per ammettere la possibilità di un insediamento umano nel teatro naturale in cui viviamo, rimasto da allora immutato nelle grandi linee. Le modificazioni riguardano la flora e la fauna. I grandi animali amanti del freddo, renne ed orsi, si saranno spostati a settentrione, come in tempi precedenti i leoni e i grandi elefanti si erano spostati a mezzogiorno, mentre i mastodonti ed i mammut si erano del tutto estinti. Alle conifere si erano aggiunte le querce, il nocciolo, l'olmo, il tiglio. E venne il tempo in cui tra i laghi e le paludi dell'attuale Varesotto sorsero i villaggi dei palafitticoli: l'Isolino del lago di Varese, il lago di Monate, La Lagozza di Besnate fiorirono a pochi chilometri di qui. L'insediamento allo sbocco dell'Olona sulla pianura non dovette essere molto posteriore, tenendo pero' presente che le distanze temporali della preistoria si misurano in decine di secoli, nei quali si registrano i passaggi di una facies ad un'altra. Si registrano tali passaggi osservando il variare delle materie e delle forme degli strumenti fabbricati dall'uomo. Il distacco dall'animale e' segnato appunto dal superamento dello stato naturale, ossia il sorgere di una cultura al di là della natura. L'animale ripete per istinto sempre gli stessi suoni: l'uomo modula la voce, crea il linguaggio, inventa la musica. L'animale si nutre con quanto gli offre la natura, l'uomo accende il fuoco e cuoce i cibi. Il primo strumento usato dall'uomo, assieme al bastone, fu probabilmente il sasso, prima intero, poi scheggiato. Le schegge vengono sempre meglio lavorate, diventano lame che tagliano e raschiano, punte che forano, incidono, uccidono animali e anche gli uomini. Dalle ossa delle vittime si ricavano altri strumenti, fra cui l'ago per cucire i vestiti e gli otri di pelle. Sul piano spirituale l'uomo inventa il culto dei morti, perche' pensa di prolungare la vita oltre la morte. I sepolcri prima sono isolati, poi si raggruppano in cimiteri. Si inventano riti magici e religiosi; in funzione magica e religiosa si scopre l'arte colle stupende pitture (La Cappella Sistina dell'arte quaternaria nella grotta di Altamira in Spagna), colle incisioni rupestri e le statuette della Dea Madre. Siamo poi passati attraverso piu' di un milione di anni dal Paleolitico inferiore, medio, superiore, col probabile intervallo del Mesolitico, al Neolitico, quando avviene una nuova, decisiva scoperta, l'avvio ad un progresso tecnologico che con rapidità drammaticamente crescente in soli diecimila anni conduce l'uomo dalla pietra all'energia atomica, dalla ruota alla piroga al volo sulla Luna. La scoperta si chiama agricoltura che trasforma la società mutando i cacciatori in contadini, pastori, allevatori di bestiame, la tribu' in città. Si parte dalle terre calde e fertilissime 7 bagnate dai grandi fiumi, Tigri, Eufrate, Nilo; poi la novità si espande lentamente per via di terra e di mare in Europa, passando per i Balcani, lungo il Danubio, oppure dall'Africa alla Spagna e alla Francia (usando sempre i nomi attuali). Tra gli aspetti piu' rivoluzionari e dinamici si registra l'accumulo della ricchezza, la formazione del capitale. Hinc prima mali labes dirà poi Virgilio con altri poeti, pensando al peccato originale della distinzione tra mio e tuo, alla pacifica, felice e perduta eta' dell'oro, ma ignorando che da un milione di anni ominidi e uomini (homo sapiens) si sono scannati e mangiati letteralmente a vicenda. La caccia aveva impegnato le energie di ogni uomo per procacciare giorno per giorno il cibo per se' e per la famiglia. In ogni caverna o capanna tutti ripetevano le stesse operazioni. L'agricoltura invece riempie i granai di cereali, che assicurano nutrimento per tutti e per molto tempo senza il bisogno che ciascuno partecipi alla coltivazione della terra. Cosi' vi e' che puo' dedicarsi interamente a fabbricare ceramiche, a filare o a tessere la lana, a cercare di fondere e lavorare metalli. La necessita' di misurare i campi promuove lo sviluppo della geometria e del calcolo aritmetico. Nasce la scienza, si studia il cielo, si inventa la scrittura e chi vuole dedicarsi all'arte, alla poesia e alla musica puo' farlo aumentando il tesoro della cultura comune. In un momento imprecisabile di questo grandioso sviluppo dobbiamo collocare i pochi frammenti del vaso campaniforme trovato a Legnanello. Essi ci riportano indietro di quattromila anni, ma ci autorizzano a credere che, da un tempo piu' lungo, gruppi di uomini erano gia' insediati sulle rive dell'Olona, provenendo naturalmente da famiglie residenti nei villaggi palafitticoli dei laghi varesini oppure dalla vicina Lagozza di Besnate, a loro volta oriunde dalla Francia Meridionale. La moltiplicazione dei centri abitati e' certamente il frutto di una esplosione demografica. Il milione di persone che si e' calcolato nel Paleolitico superiore, e' gia' decuplicato nel Neolitico, e nel terzo millennio a.c. i milioni sono trecento. La forma a campana del nostro vaso suggerisce il nome di Remedello, villaggio a sud di Brescia, perche' li' fu trovata la piu' ampia testimonianza della cosidetta cultura del vaso campaniforme, ma vasi di questo tipo si sono trovati il molte localita', Sardegna compresa. Non si puo' dunque inserire con sicurezza un rapporto diretto coi commercianti di Remedello e nemmeno la scomparsa della cultura lagozziana a cui dovevano appartenere i "legnarellesi" del tempo. Dopo circa ottocento anni ("circa" puo' intendere una vasta ampiezza) ai pochi frammenti di Legnanello succedono le duecento tombe di Canegrate, che presentano un'altra grande novita' nella evoluzione delle culture preistoriche: i morti non sono inumati, ma cremati. I reperti archelogici si 8 identificano con il nome attuale delle localita' in cui vengono reperiti, il che non deve pero' circoscriverli entro gli attuali confini amministrativi. Quali furono i rapporti tra i "legnanellesi" che abitavano al di la' dell'Olona e i "Canegratesi" che seppellivano i loro morti sul ciglio poco oltre la "Costa di San Giorgio"?. Non erano forse un solo gruppo di famiglie che vivevano e faticavano sulle rive del fiume, che forniva acqua e pesca, ma periodicamente li inondava costringendoli a portare piu' in alto, all'asciutto, le ceneri dei defunti?. La quantita' dei reperti di Canegrate ha dato materia per analisi minuziose e ampie dissertazioni. Le urne biconiche sono state facilmente riconosciute come tipiche della cultura dei campi da urne che caratterizzavano l'ambiente culturale della regione europea sita tra la Vistola e le Alpi. La trasformazione sociale operata dall'agricoltura in Egitto e Medio Oriente da alcuni millenni e la lavorazione dei metalli, poi diffusa nelle isole dell'Egeo, avevano accumulato in quei paesi ingenti ricchezze. La produzione superiore ai bisogni aveva favorito lo scambio commerciale con i prodotti di altri luoghi. Una delle sostanze ricercate per motivi magici, religiosi e medicinali fu l'ambra, rintracciabile a nord della Germania e in Polonia. Carovane di commercianti attraversavano i Balcani o risalivano l'Adriatico per raggiungere il mercato di Unetice, vicino all'attuale Praga, dove dal nord proveniva l'ambra scambiata con oggetti di bronzo, argento e oro. Il commercio di questi prodotti non si limitava alla via dell'ambra, ma si irradiava per ampi spazi. Commercianti erano anche i diffusori dei vasi campaniformi a Remedello, ma quelli del vaso biconico legato alla cremazione dei cadaveri nel campi di urne, arrivarono probabilmente a Canegrate - Legnano direttamente d'Oltralpe. Da est (Veneto?), da ovest (Francia) o da nord (Ticino)?. A favore della terza ipotesi si puo' richiamare l'attenzione sul fatto che la facies di Canegrate e' apparsa in varie localita' lungo il corso del Ticino, come, per limitarci alle vicinanze, a Castelletto Ticino, Albairate (Scamozzina), e Garlasco. Sono tempi di forti movimenti migratori coll'avvento anche di gruppi indoeuropei. e tale sarebbe quello di Canegrate, se fosse vera l'ipotesi (inaccertabile) della sua appartenenza ai Celti. Ad ogni modo dobbiamo credere che sia stato assorbito dalle altre popolazioni locali, cui forse trasferi' l'uso dell'incinerazione, assumendo pero' altri costumi non esclusa la lingua. 9 I primi abitatori e le loro usanze Tratto da "Legnano Romana" - Relazione degli scavi e ritrovamenti antichi di Guido Sutermeister Si puo' ben affermare che non ci sia citta' d'Italia che non conservi vestigia delle imponenti costruzioni architettoniche ed artistiche delle quali i romani avevano a dovizia dotato il nostro bel suolo. Qua' e' un edificio, la' un'arena, un ponte, una statua, perenni fonti di orgoglio per gli odierni abitatori. Oppure sono minori opere dell'arte, capitelli, lapidi, cippi, che dei precursori perpetuano in tangibile ricordo. Ma, all'infuori delle maggiori o minori vestigia, oggetti sempre d'ispirazione d'artisti, di meraviglia per il pubblico, ci sono in copia molto piu' abbondante di quanto non si pensi, altri ricordi ben meno appariscenti e poco noti, che indicano i vasti limiti di occupazione raggiunti dai nostri precedessori. Nelle campagne ove il livello culturale e sociale era, similmente ad oggi, meno elevato, ove le comunita' composte da poche famiglie non potevano creare le grandi costruzioni architettoniche che sfidano i tempi furono altrove anche difesa naturale per la conservazione delle minori opere, la' nelle campagne, diciamo, ci sono altri ricordi che l'uomo ha inconsciamente affidato alla terra per la conservazione: sono le tombe. E la terra che gli fu amica e per la quale visse traendo il frutto della sua fertilita' restituisce e restituira' i sacri pegni che rinchiude. Se gli abitatori di questi luoghi comuni furono come anco oggi, preponderantemente umili contadini, hanno essi tuttavia cooperato alla grandezza di Roma con il fornirle i prodotti del suolo, gli uomini per le sue falangi conquistatrici, gli artisti o gli ingegni, gli amministratori o i condottieri. Quei ricordi che essi inopinatamente ci hanno tramandato a mezzo di millenari giacigli e che ora esamineremo, sono dunque altrettanto sacri come le grandi opere artistiche che ammiriamo altrove; e' dunque un dovere, un bisogno di raccoglierli per la conservazione e non sono affatto scarsi di interessi. La zona lombarda a Nord di Milano non ha, salvo qualche eccezione, dovizia di avanzi importanti di antiche romane costruzioni, ma pure un attento esame delle singole localita' ci mostra che la terra fu abitata palmo per palmo come pure lo fu molto prima da altri abitatori meno noti dei quali 10 anche piu' raramente troviamo i tangibili segni; le tombe colla loro suppellettile funeraria. Le via maestre da Milano ai laghi furono percorse certamente in ogni epoca dalla presenza dell'uomo nella zona. Egli si stabili' dapprima sulle paludi che abbondavano allora e sui bordi dei laghi. Forse anche Legnano aveva allora la sua palude per quanto di tali abitatori non si sia ancora trovata traccia. da noi. Besnate ( la Lagozza) e le rive occidentali del lago di Varese ci diedero nelle loro torbe molteplici oggetti di selce cioe' lame, coltelli, frecce, martelli che attestano dell'esistenza semplice che condussero i remotissimi abitatori delle capanne e delle palafitte. E le palafitte stesse furono trovate abbondantemente nel lago di Varese e segnatamente all'Isola Virginia; sono gli avanzi dell'abitazione umana di un tempo, nel quale abitare sopra l'acqua gli era necessita' per garantirsi contro gli attacchi delle fiere. Le prime testimonianze scritte dall'uomo le abbiamo nelle stele in carattere nord etrusco, stilate da destra a sinistra, che furono rinvenute in varie localita' come Vergiate, Como, Lugano, Locarno e si riferiscono a tombe di un popolo che abito' la zona fra il VII° e il VI° secolo ac.. La via da Pavia a Sesto Calende lungo il Ticino diede alla luce sovente tumulazioni dei successivi Galli composte di anfore con ricchi corredi di ornamenti in solo bronzo. Il suolo ridente di queste nostre contrade fu dunque una costante attrattiva dell'uomo nei vari periodi della sua esistenza; esso nel suo bisogno di andare al nord le percorreva guidato dai fiumi che lo conducevano ai valichi montani. In quel tragitto, le lenti coorti migratorie, degli elementi si staccavano, si allontanavano dalla via principale per andare a creare nuovi nuclei abitatori. Si vuole che anche a Milano fosse in mezzo ad estese paludi e la sua origine rimonti all'epoca delle palafitte. interpretazioni etimologiche sul suo nome, Infatti fra le 26 constatiamo che 11 accennano alle "paludi" e "al luogo di mezzo" (in mezzo alle acque?). Vedere: Romussi, Milano e i suoi monumenti. La creta accumulatesi nei terreni bassi attorno al castello, adiacenti al decorso dell'Olona, lascia adire a tale supposizione; ma vedasi piu' avanti. 11 Ma dicevamo, un attento esame ci mostra che dappertutto avvenne l'espansione seguendo le leggi naturali che non cessano neppure oggi di avere la loro costante applicazione; e dappertutto si trovano oggi o si trovarono in passato le deboli tracce dell'esistenza umana attraverso tempi anche molto lontani. Gli elementi sin qui raccolti a Legnano ci attestano la presenza dell'uomo soltanto a partire da 4-6 secoli prima di Cristo. Non raccogliemmo mai oggetti dell'eta' delle palafitte e comunque dell'eta' della pietra, ma non tarderemo a trovarne se pure cio' e' connesso a non lievi difficolta'. I Galli, i Romani dell'epoca Repubblicana e quelli dei primi secoli dell'Impero Romano erano si sa di religione pagano e avevano l'uso di cremare i morti deponendo in un'urna sottoterra i residui del rogo. I Romani dei secoli successivi a Cristo invece erano cristiani e seppellivano i loro morti con il rito dell'inumazione. Le loro sepolture sono costituite da tombe lunghe quanto la persona e create in vario modo, come vedremo. Col rito pagano della cremazione era uso di offrire al morto cibo e bevande per la vita che credevasi dover esso condurre nell'al di la'. E si mettevano in un piattino o magari in bocca al morto stesso una o piu' monete onde esso potesse pagare Caronte per il traghetto sul fiume Stige. Si mettevano percio' nell'urna dei vasi di terracotta per cibi e bevande, e gli attrezzi personali del morto quasi ch'egli dovesse ancora servirsene poi. Sono il coltello, la cesoia per tosare, fibbie, anelli o nel caso di matrone, gli oggetti di lusso o da toeletta come braccialetti, anelli, fibule, specchi e pinzette. I vasi di terracotta che si portavano in offerta erano talvolta cosi' numerosi che non trovando posto tutti nell'urna venivano collocati anche fuori vicino ad essa, dentro nello stesso loculo scavato per l'anfora, Il loculo veniva infine riempito di carboni e terra del rogo e della terra dello stesso scavo. Queste usanze differenti per ognuno dei popoli che ci precedettero, sono per noi preziose perche' ci offrono il mezzo per riconoscere a quali stirpi appartennero le tombe che si trovano e permettono di gettare sguardi nella vita che esse conducevano. Sono millenari segreti che la terra polverosa od umida, fertile o arida, rinserra e via via ci restituisce per casi fortuiti o per sistematiche ricerche. Il suolo di legnano contenne abbondantissime le tumulazioni romano pagane in vaso di terracotta e non meno quelli romano cristiane fatte a cassetta con embrici in terracotta. Ne vengono ancor oggi alla luce in occasione di scavi per fondazione ma piu' rare sono quelle dei Galli ed introvabili sin qui quelle dei popoli preistorici. 12 Il rito pagano della cremazione. In vicinanza delle agglomerazioni maggiori, lungo la strada principale che esce dalle abitazioni, era stabilito un luogo per le sepolture, le necropoli preferibilmente su una vicina altura o su un dolce declivio. Negli aggruppamenti minori o per gli abbienti, la tumulazione avveniva anche nel giardino delle loro stesse case cio' che ci spiega alcune urne isolate che si trovano qua' e la'. Ma la legge prescrisse poi per ragione igienica che "in urbe ne seppellito neve unito" percio' la maggioranza dei ritrovamenti le urne non sono isolate, ma sono raggruppate in necropoli, il che non puo' apparire a priori perche' per l'alternarsi delle secolari colture, molti loculi sono scomparsi negli sconvolgimenti che subi' il terreno, diradando le originarie tombe. Nelle nostre campagne fu l'introduzione della coltura del gelso dal XII al XIII secolo che die' inizio alla distruzione lenta ma costante dei ricordi che ci interessano, inquantoche' per piantare i gelsi nuovi e per estirpare i vecchi si fanno delle buche nel terreno che arrivano alla profondita' di sino a un metro, giusto appunto come sono profonde le anfore dei pagani. La coltivazione comune della terra coll'aratro invece non toccava tali vasi sino a tento che l'aratro era in legno. Il recente aratro in ferro che scava a maggiore profondita' arriva piu' sovente a decapitare le anfore piu' alte. Da questo quadro si vece come il celato materiale vada sicuramente assotigliandosi ed urge raccoglierlo la' dove ognora si trova. Il morto, unto di grassi aromatici o balsami contenuti nei balsamarii, vestito degli abiti di festa ed avvolto in un drappo, veniva deposto dai parenti sulla catasta di legna e branchie di albero preparate su uno spiazzo (ustrinum) di un paio di metri di diametro, infossati nel terreno per 50-80 centimetri. Ai piedi della catasta venivano dai parenti ed amici deposti alcuni balsamari che avessero recato per simbolica offerta. La legna era cosparsa di In talune localita' il morto veniva adagiato in un0amaca o rete di amianto sotto al quale veniva consumato il rogo. Vediamo una tale rete ben conservata al Museo di Aquileia. Trovammo anche a Legnano (necropoli di Via Novara) un ustrium, vedere la piantina. 13 resina ed oli e i parenti volgendo il dorso alla catasta le appiccavano il fuoco ed attendevano quindi raccolti la consumazione del rogo. Il giorno successivo si recano di nuovo sul luogo per raccogliere le ceneri, assistere alla loro introduzione nell'urna e alla deposizione nella buca gia' preparata. Le buche erano del diametro di 50 a 70 centimetri di profondita', distanziate un metro una dall'altra in ordine sparso, cioe' non rigorosamente allineate. Nell'urna venivano dunque immesse le ceneri ovvero i frammenti maggiori delle ossa calcinate sul fuoco e sopra ad esse un piatto cogli attrezzi personali del morto ed a fianco o0 ancor sopra agli altri vasi che i parenti e amici avevano recato in offerta. Qualcuno degli amici graffiva sul vaso offerto il suo nome o le iniziali relative. Intorno all'anfora, fuori, venivano messi dei grossi ciotoli a mo' di protezione e sopra ad essi veniva buttata la terra nera residuata dal rogo. I vasi che non avevano trovato posto nell'interno dell'anfora venivano deposti fuori sulla terra di riempimento nella quale i fedeli conficcavano colla punta in su dei grossi chiodi a titolo di portafortuna per il morto onde scongiurargli gli attacchi degli spiriti maligni. La bocca del vaso veniva chiusa da un'embrico o dalla meta' superiore dell'anfora stessa, quando l'anfora era stata appositamente segata per servire alla bisogna, e la fossa veniva poi ricolmata dell'altra terra creatasi collo scavo della buca. I pagani avevano un culto profondo dei trapassati e delle loro spoglie mortali; non distruggevano neppure dopo molti secoli i loculi che consideravano perennamente sacri. Cio' si spiega che perdutosi poi il ricordo della loro ubicazione pel trapasso al cristianesimo, essi si sono copiosamente conservati sino ai giorni nostri. E ci sono utili ora per conoscere la loro vita quasi ci parlino un muto . Vedere Rivista Arch. Comense. Nel museo si conserva un'anfora proveniente sa San Giorgio, dalla vai Umberto I°, che e' visibilmente segata per tre quarti alla periferia e poi spaccata a mano. Altre trovate a San Lorenzo sono tagliate a colpo di scalpello, mentre buon numero di quelle in via Novara a Legnano erano anfore gia' rottesi accidentalmente. Nel museo si conservano pure le anfore di Aquileia, nelle quali era uso frequente fare un foro laterale per la sola immissione di ceneri. 14 linguaggio. Dicemmo che nelle urne troviamo gli attrezzi personali dell'estinto. Il coltello da cucina della casalinga, il coltello pugnale del lavoratore, la cesoia a molla del pecoraio, il raschiatoio del lavoratore delle pelli, l'ago del sarto, lo specchio della signora e cosi' via. Non si uso' presso i popoli delle nostre regioni di sacrificare al morto gli oggetti di ornamento in metalli preziosi. Mai trovammo oggetti d'oro o d'argento mentre le fibule, gli anelli da dito, i braccialetti offerti sono solo in bronzo o ferro. Gli anelli da dito che si trovano accusano sovente d'esser stati nel rogo cioe' non furono tolti dal dito prima della cremazione. Tali oggetti di ornamento ricorrono del resto piuttosto raramente il che ci fa credere che erano poco usati, o era frequente l'uso di tenerli in famiglia come ricordo. E' prossima la supposizione che i piu' abbienti portassero l'anello d'oro o d'argento e che esso perche' di valore venisse poi conservato dai parenti. Un esame del corredo di ogni singola tomba mostra che su 18 agiati, solo 10 hanno l'anello nella tomba e di questi solo 6 sono in ferro (4 con pietre e 2 senza) e gli altri 4 sono in bronzo. E l'anello degli altri 8??. Leggiamo che l'anello in ferro, con pietra era piu' valutato che quello in bronzo, perche' il ferro all'epoca dei primi imperatori aveva perduto la caratteristica del prezioso che godette fino alla seconda epoca del bronzo quando per essere appena introdotto, lo si usava esclusivamente per gli ornamenti. In talune tombe ricorrono i lacrimogeni con relativa abbondanza: sino a quattro in un'anfora: in altre non ce ne sono affatto. La supposizione e' prossima che le prime siano tombe di signore, le seconde di uomini. Si piange di piu' sul tumulo di una donna. Ed infatti il lacrimogeno ricorre piu' frequentemente col coltello da cucina che non con gli altri attrezzi di uso piu' mascolino. Pero' e' difficile stabilire fra le fialette di vetro quali erano lacrimogeni e quali balsamari cioe' destinati ad essenze oleose ed odorose colle quali il morto doveva venire unto. Talvolta troviamo nell'urna delle piccole riproduzioni in terracotta delle urne stesse: Si tratta di una offerta di minima spesa e chi la porto' non fu certo un adulto che potesse umiliarsi a regalare un tale trastullo. E' il bambino o il nipotino che commosso fece sacrificio al suo caro di tale oggettino che poteva ben servirgli come giocattolo. Nelle urne si ripetono con molta regolarita' tre oggetti di suppellettile in terracotta: sono il piatto, il vasetto a bordo extroflesso e la brocca per il liquido con ansa e beccuccio. Essi costituiscono l'offerta minima necessaria ad ogni morto, direi il corredo normale di una sepoltura, il quale e' intuitivo che fosse offerto dai parenti 15 stretti del trapassato. Tali oggetti sono deposti immediatamente sulle ceneri come dicemmo e nel mito pagano servivano per l'offerta del cibo e della bevanda dei quali doveva nutrirsi nel lungo viaggio. In alquanti casi trovammo sicuri indizi che degli alimenti erano stati deposti nei vasetti accessori e persino riconoscemmo che erano cibi cotti. Nelle collezioni del museo civico di Legnano si conservano ossicini di pollo e di capretto estratti dallo scrivente da tali ciotoline. Soventissimo a seconda dei luoghi, le ciotole, piatti e brocche compaiono in soprannumero e come dicemmo non trovando piu' posto van deposti fuori a contatto con l'urna stessa. Sono le offerte di molti amici intimi che mossi dalla credenza o dal rispetto umano concorsero ad alimentare l'estinto per piu' lungo viaggio. Ma dopo i parenti e gli intimi amici, ci sono altri gruppi di persone che pur debbono un tributo al morto ma non sono in famigliarita' di offrirgli gli alimenti od oggetto di utilita'. Essi recheranno la lucernetta ad olio simbolo di quella lunga vita che precisamente e' mancata al morto, ma che l'affetto dell'offerente vorrebbe ancora perdurare, le ciotoline eleganti, leggiere, oggettini di lusso che indicano in chi offre piu' un bisogno di sdebitarsi di qualche favore ricevuto che non di dimostrare un affetto sentimentale. Vediamo la schiera degli offerenti circondare il loculo aperto nel quale e' gia' introdotta l'urna e i residui del rogo. Ognuno reca in mano il suo oggetto e i parenti prima e gli amici poi, gareggiano per porgergli al "vespillo" onde essi vadano a toccare le ceneri, o almeno risultino vicino all'urna. Egli depone prima il piatto vi ripone sopra gli attrezzi personali purificati dal fuoco e contorti o spezzati a dimostrare che anche il loro uso deve essere finito dopo la dipartita dell'affezionato detentore. Sopra la brocca od idria e di fianco una ciotola per alimento coprono facilmente il non grande spazio interno. Se nella ciotola erano realmente contenute delle cibarie, le si metteva sopra un piatto od altro onde la terra non vi penetrasse egualmente e noi tutto troviamo invaso da terra di infiltrazione apportata dalle acque nei periodi di allagamento annuale del sottosuolo. L'obolo per Caronte era generalmente posto in una ciotolina, talvolta dentro, talvolta fuori dal cinerario. Trovammo in un sol caso una pignetta di tre monete sovrapposte mentre non sempre la moneta vi fu immessa e generalmente una sola eravi deposta. Dei vasi offerti, ne venivano messi nell'interno dell'urna quanti ce ne stavano per coprire il piano delle ceneri, il quale raggiungeva l'altezza del massimo rigonfiamento dell'olla. Siccome l'urna era previamente contornata all'esterno con un po' di terra che la reggesse in piedi e questa e' terra nera del rogo mista a detriti carboniosi, le offerte che non 16 avevano trovato posto nell'interno venivano ora messe fuori intorno adagiate sulla terra nera. E piu' fuori a mo' di protezione venivano messi dei giri di grossi ciotoli che circondando il tutto venivano quasi sempre a riempire la buca. Gli intersizi esterni venivano via via riempiti colla terra vergine della buca stessa, mentre quelli interni venivano colmati colla terra nera del rogo. Mentre tale operazione procedeva per mano dell'affossatore, gli intervenuti buttavano nella fossa dei chiodi o ferri vasi che avevano analoghe funzioni. Era credenza popolare che tali offerte avessero la proprieta' di scacciare gli spiriti maligni d'attorno al morto nella sua nuova vita. Dei chiodi di trovavano non di rado anche nell'urna. Per esercitare la loro supposta funzione, essi dovevano essere conficcati punta in su nella terra; ma tale regola era poco conservata. Per analogia che corre, ci viene naturale di rievocare qui un'odierna credenza tedesca per la quale, verso la fine della grande guerra, i tedeschi accorrevano a conficcare dei chiodi nella statua di Hinderburg. L'urna veniva poi coperta da un tegolone rettangolare di circa 54x45 cm. e spesso 3 a 3 cm. avente due risvolti sui due lati piu' lunghi, oggetto caratteristico perche' fu sempre trovato munito di una sigla interessante eseguita con un pettine d'osso o legno a soli 3 denti. Vedremo piu' avanti che tale embrico ebbe anche un suo uso particolare per le tombe cristiane, ma qui in epoca romana esso era noto anche come tegolone del quale erano coperti i tetti delle case in muratura. La sigla che si vede in fotografia aveva indubbiamente il significato dell'"omega" cioe' dell'ultima lettera dell'alfabeto greco con la quale si volle indicare l'uso particolare dei tegoloni per le tombe. Negli scavi di Via Novara del primo secolo trovammo sui tegoloni la sigla 1° mentre su quelli dei secoli avanzati trovammo promiscue sigle I° e II°. Su quelli della costa di San Giorgio dei tardi secoli trovammo pure le sigle I° e II° molto piu' vicine benche' mai nella stessa tomba. Su quelli di San Lorenzo del I° secolo trovammo la sigla 3°. Nella necropoli romana di Gallarate, nel podere dei fratelli Coarezza verso Arnate, gli embrici sono privi di sigla sebbene da speciali incastri che essi posseggono risulti evidente che essi erano appositamente costruiti per l'uso esclusivo delle tombe. A Milano in Castello Sforzesco, ci sono degli embrici che posseggono analoghe sigle, ed altri con diciture incise a mano prima e dopo la cottura. Gli embrici delle tombe di Savona sono identici a quelli di Via Novara, anche nella sigla che e' del tipo di sinistra. Cio' conferma lo scopo non solo rituale animistico mistico della sigla ed esclude l'ipotesi che essa fosse 17 marca di fabbrica. Le differenze riscontrate stanno a dimostrare che la costumanza della sigla fosse ad libitum del figulino. Le diciture incise dopo la cottura sono espressioni dei dolenti verso l'estinto, sono gli ultimi contatti spirituali fra i famigliari ed il trapassato; le troviamo qualche volta anche sui vasetti. Pure la scelta del tipo di urna cineraria, non vigeva una costumanza rigidamente osservata. Nel 70% dei casi e' un'anfora vinaria che riceve le ceneri e la suppellettile; divideremo in due categorie queste anfore: quelle adoperate nuove per la bisogna e quelle gia' rotte, inservibili ormai per l'uso dei liquidi le quali trovano una conveniente utilizzazione. E sono queste le piu'. Ma anche le anfore nuove non potevano senz'altro servire per la sepoltura perche' il loro collo stretto non avrebbe permesso l'introduzione delle suppellettili sul letto di ceneri, ond'ecco che esse vennero segate o spaccate dopo averle intaccate tutto attorno con un bulino. Aperte che sono in due meta', il bisogno impellente del rito di posarvi le suppellettili accompagnatorie ha il suo libero sfogo. L'anfora viene poi interrata in piedi con sovrapposta la meta' superiore a guisa di copertura vedere anche le anfore di San Lorenzo). E cosi' troviamo in terra l'anfora apparentemente intiera e riparabile. Invece le anfora gia' inutilizzate per precedente rottura troviamo facilmente mancante qualche coccio. In altre localita', per esempio a Verona ed Aquileia, vedemmo anfore che furono adoperate nuove, senza segarle, introducendovi solo la cenere senza gli oggetti accessori che erano deposti fuori vicino. Nel 30% dei casi, altri tipi di vasi furono adoperati per le sepolture. Sono vasi a fondo piano, sono pentole curiose, sono perfino grandi ciotole del tipo per alimenti, sono brocche per liquido previamente decapitate. Qualche povero morto fu deposto su un semplice coccio di anfora. Questa variabilita' dei modi di tumulazione e' ai nostri occhi ricca di significato e ci permette di penetrare con sguardo indiscreto nell'umilta' di talune cerimonie mentre ci rendno evidente la relativa agiatezza di altre. Risulto' chiaro che la famiglia di un ricco significava un'anfora nuova, quella di un povero trovava il sacrificio duro e ricorreva alle economia. Cosi' si spiega che un adulto potesse essere deposto in una brocca; o in un vasetto di alimenti; un bambino su un solo coccio di anfora, grande non piu' di due palmi di mano. Vedremo poi che alla Costa di San Giorgio e a San Lorenzo un numero notevole di tumulazioni nel tardo paganesimo avvenne senza il minimo uso di suppellettile ne' di anfore. Nella terra si riconobbero ivi le buche di tumulazione e a piccola distanza fra di loro, riempite della terra nera del rogo, ma non un coccio, non un chiodo, 18 non un segno della pieta' di patenti ed amici. Un senso di tristezza ci accompagna in tali luoghi di dolore non alleviato da una parola amica. Chi puo' penetrare nel mistero di tali tumulazioni? Epidemie? Condannati? Morti in tempo di Guerra?. IL RITO CRISTIANO DELLA INUMAZIONE Coll'avvento del cristianesimo per opera degli apostoli di Cristo e sei suoi seguaci i martiri delle catacombe, il modo di tumulazione ando' mutandosi. I cristiani usavano l'inumazione della salma percio' col proseguire del tempo scompare la cremazione per dare luogo all'inumazione. Con l'editto di Costantino Magno che nel 323 dopo Cristo promulgava il cristianesimo religione di stato la cremazione e' in contrasto colla legge e deve scomparire. Scompare il rito, ma sono rispettati i i luoghi sacri delle generazioni passate che noi ancor oggi troviamo qua' e la'. Nelle nuove epoche dunque non piu' urne cinerarie colle ossa e ceneri del morto, ma tombe fatte in vario modo e sempre colla lunghezza normale della persona. Le tombe contengono lo scheletro disteso del morto. Ma come ogni cosa umana l'abitudine e' difficile da sradicare ed un congruo tempo occorre per spegnere le usanze e sostituirle ad altre, cosi' nelle tombe cristiane perdurera' per un certo tempo l'usanza delle suppellettili funerarie pagane composta come dicemmo dei vasetti di terracotta e degli attrezzi personali del morto. Negli scavi della Costa di San Giorgio di epoca tarda cioe' del III° e IV° secolo, si constata chiaramente questo sfasamento di riti e lo spegnersi successivo delle usanze pagane. La sepoltura cristiana dei primi secoli e' formata a Legnano, come in tutta la pianura fra Milano e e le prealpi, dalla cassa detta a "alla capuccina", lunga circa due metri e costituita da tegoloni di forma rettangolare aventi circa 43x56 cm. e 13 di spessore con due labbri a risvolto. Tre tegoloni adagiati sul piano della fossa formavano un letto sul quale si deponeva il morto; ai due lati si accostavano quattro tegoloni per parte in posizione semiverticale che formando un triangolo sopra ad esso si incontravano fra di loro al vertice. Ad ogni estremita' u altro tegolone messo verticalmente chiudeva il foro triangolare. E cosi' sono 13 tegoloni per ogni tomba di adulto. Senza dubbio la triste nomea del n. 13 ha la sua origine nella circostanza che i 13 tegoloni fanno la cassa del morto. Ogni giunta di tegoloni veniva coperta all'esterno da tegole a canale, le tegole dette "romane" anche oggidi', lunghe 50 cm. che differenziano da 19 quelle odierne solo perche' piu' lunghe e molto piu' convesse, cioe' a semicerchio quasi completo. Molti ciotoli contornavano anche qui i tegoloni a mo di protezione e la suppellettile offerta veniva adagiata in contatto con le falde della cassa o presso il suo vertice man mano che la fossa veniva riempita di terra dello scavo. Il coltello o gli attrezzi personali erano deposti sul corpo del morto ed al suo fianco nell'interno della stessa fossa. Pochissimi vasi accompagnavano la tomba. Queste tombe si seguivano ad uno o due metri di distanza l'una dall'altra ed il loro orientamento era all'incirca da Nord a Sud. Coll'andare del tempo la suppellettile si fece scarsa e poi scomparve del tutto. Piu' tardi anche la cassa di terracotta non venne piu' usata e si passo' certamente alla cassa di legno, ma nessuna delle tombe del territorio nostro, nelle quali la tumulazione era avvenuta senza i tegoloni fu possibile accertare la presenza della cassa di legno. Invece appare sicuro in molti casi che la tumulazione avvenne nella fossa senza alcuna protezione per il morto salvo forse un solo drappo o lenzuolo, un mezzo di occultazione della salma che era gia' in uso presso i pagani per il trasporto dalla casa al luogo del rogo, e che e' oggi ancora in uso nei popoli arabi ed altri. Col cessare di ogni oggetto nella tumulazione, le tombe dei piu' non destano alcun interesse per noi; esse non ci recano piu' le espressioni del rito compiuto, non ci fanno piu' rivivere quell'attimo fugace di affetti e tristezze che costitui' il saluto al trapassato. Polvere era e polvere ritorno'. Caduta la tangibile espressione dell'affetto e sacrificio dei dolenti, si comprende facilmente come col rito cristiano si spegnesse il culto della conservazione secolare delle spoglie mortali. Esso rimane ancora un privilegio per le persone elette le quali anche in tarde epoche furono deposte in tombe rettangolari in muratura coperte da una volta di mattoni o da beole (quale fu una trovata fra Legnano e Castellanza che descriveremo piu' avanti) oppure avelli scolpiti nel sasso massiccio e ricoperti da pesante coperchio pure di pietra. Non di rado gli avelli portavano una dedica incisa nel sasso come ad esempio quello trovato a San Lorenzo che illustreremo piu' avanti. Queste perenni sepolture erano fatte piu' frequentemente ai personaggi o guerrieri i quali vi venivano immessi in cappa e spada. Cosi' pare che fosse anche la sepoltura trovata a San Giorgio in via Umberto I° della quale riferiro' cogli scavi di San Giorgio stesso. 20 VECCHIE RICERCHE E RITROVAMENTI IN LEGNANO Il Professor Serafino Ricci, in uno ospucoletto di 15 pagine intitolato "La necropoli di Legnano" presentava nel 1901 le fotografie di vari interessanti ritrovamenti fatti in Legnano in localita' alquanto discoste fra di loro e riguardanti epoche varie dalla Gallica alla Medioevale. Riprodurremmo tali notizie e le relative fotografie poiche' l'opuscolo e' esaurito e difficile riuscirebbe a rintracciarne qualche copia. E' vero che esso portava un titolo un po' al di la' di quanto realmente poteva desumersi dai ritrovamenti enunciati, ma dobbiamo essere veramente grati al prof. Serafino Ricci relatore, ed al defunto Sig Aristide Mantegazza che ne fu l'informatore oltre che l'appassionato raccoglitore degli oggetti illustrati. Ma diciamolo subito che purtroppo gli oggetti la' ricordati sono oggi smarriti perche' nessuno penso' di radunarli sotto la tutela di chi ha cura della cosa pubblica; forse pochi potranno ritornare a Legnano. La parte saliente dell'opuscoletto e' costituita dal ritrovamento di un'olla di terracotta fatto nella casa che il Sig. Borsani Cristoforo eresse in via Sempione (oggi casa del Comm. Fabio Vignati) e dalla disanima che l'autore fa del contenuto dell'olla stessa. L'olla ando' in frantumi come purtroppo suole accadere quando il ritrovamento e' fatto accidentalmente. Il Sig. Mantegazza accorso pote' raccogliere gli oggetti di bro0nzo ma non l'anfora ne' un vasetto in terracotta che vi era contenuto. L'anfora era come si intuisce l'ossario di un cremato, anzi dai bronzi ritrovati si arguisce che trattasi di una donna e che l'epoca risale ad almeno tre secoli avanti Cristo. Nel centro un anello scendimpetto con raggiera a globetti, un dischetto sottile con foro, avanzo di un tintinnambulo composto da due dischi a emivalva che contenevano una pallina mobile tintinnante, Un braccialetto o collare con secchiolini tintinnambuli. Un'armilla; una catenella composta da anelli a maglia tonda. Varie fibule del periodo della Tene'. Vari secchiolini tintinnanbuli isolati. Alcuni anelli digitali. Tutti questi oggetti sono cosi' tipici che classificano la sepoltura ad epoca . Purtroppo gli oggetti che si vedono in figura paiono passati nel 1902 al Museo Archeologico di Torino, ne' ivi sono rintracciabili in mezzo ad altri di provenienza non classificata 21 preromana e ci riportano alla seconda eta' del ferro corrispondente al periodo di Golasecca e la Tene' II°. Il Prof. Castelfranco ritiene piu' esattamente di fissare l'epoca fra 400 e 300 anni avanti Cristo. I vari fittili riprodotti intorno ai bronzi della figura non appartengono alla tomba dei bronzi ma sono di altre provenienze da Legnano e suo territorio e hanno carattere preromano quelli piu' rozzi, di pasta impura essicata al sole, e carattere gallico gli altri meno rozzi. Il confronto con i fittili di Ornavassso e delle necropoli della Valsassina illustrati dal Castelfranco ci pongono in grado di riconoscere degli elementi liguri o celtici prima, gallici poi, e ci permettono di fissarci anche per essi sulla seconda eta' del ferro nel periodo di transizione tra l'elemento etnico dei Liguro-Galli e dei Galli-Romani. La figura 11 invece contiene oggetti in bronzo, terracotta e ferro propriamente romani e di solito reperibile nelle necropoli romane, come i cucchiai, le armille ed altri oggetti in bronzo e le ampolline lacrimatoie e i balsamari in vetro e lucerne fittili. Altri oggetti sono di carattere Gallico come alcuni degli utensili in ferro. Si notino due fibule frammentose tipo La Tene' che occorrono spesso nelle antichita' Lomelline e di Ornavasso e che bene si accordano con alcuni oggetti in ferro della stessa tavola e figura 12. In quel miscuglio di oggetti di varie eta' che furono scelti fra i piu' caratteristici e che non potevansi altrimenti distribuire anche pel modo in cui erano gia' disposti, si trovano nella fig. 11 accanto alle chiavi, a fibbie, a utensili romani e di tempo tardo un chiodo gallico, una punta di lancia, un'armilla, oggetti che mi convincono della presenza copiosa a Legnano dell'elemento Gallico al quale accennava come ho detto il Castelfranco. Cosi' pure ad elemento Gallico pare accennino alcune delle spade e le cesoie, mentre al elemento barbarico cioe' molto piu' tardo e di stirpe diversa pare accennino invece l'umbone di scudo ed altre armi della stessa figura, nonche' una specie di targhetta da cintura lavorata di cui si vede un Bianchetti Ferrero " I sepolcreti di Ornavasso Atti della societa' Archeologica e Belle Arti di Torino per Lomello e Ornavasso . Di questi oggetti non si conosce la provenienza esatta salvo che essi sono della nostra citta'; solo pel lacrimogeno piatto a mo' di borraccia asserisce la Signora Mantegazza che proviene dalla casa Legnani di via Ponte Carrato (oggi via Corridoni). 22 frammento sotto l'armilla in ferro della figura 11. Questi oggetti hanno intima analogia con quelli rinvenuti a Testone (odierna Moncalieri) esposti nella sezione piemontese del Regio Museo delle Antichita' di Torino. Gli oggetti delle altre figure dell'opuscoletto appartengono piu' propriamente a periodo vario, come ognun vede, e servono a confermare la notizia di una necropoli gallo-romana e poi romano-barbarica a Legnano, cioe' la continuazione dell'esistenza della necropoli nella citta' e nel territorio, e la conferma di cio' che era stato rinvenuto nel 1886 dal Castelfranco, molto piu' che i ritrovamenti non provengono dal medesimo luogo. Infatti gli oggetti rappresentati non furono ritrovati in occasione di lavori della ferrovia Milano-Arona, ma alcuni in occasione degli scavi per la grande vasca dello stabilimento Dell'Acqua nel 1887 (molti oggetti in ferro), altri nell'anno 1894 in seguito a scavi fortuiti in via Garibaldi. L'anno dopo 11895 altri oggetti furono rinvenuti negli scavi per aprire cantine in casa Agosti in corso Garibaldi. . Fu nel costruire la fondazione di un alto camino che a 5 metri di profondita' si trovarono un umbone di scudo, gli speroni e una spada, tutto di epoca barbarica. Gli oggetti furono portati a Milano in casa del Sig. Dell'Acqua, via Settala 45, ma oggi non si trovano piu'. In questo luogo sorgeva il convento di Santa Caterina dal quale alla sua ultima distruzione del 1924 si staccarono alcuni affreschi. Ove esisteva l'osteria della Stella, di proprieta' di Lampugnani al n. 7 di via Garibaldi si trovo' l'umbone di scudo della figura e di alcune spade, ma oggi non possiamo piu' particolarmente designarli. Essi pare che siano passati al Museo di Torino, ma la' non si possono piu' distinguere da altri non essendo classificati. Si tratta invece della casa in corso Vittorio Emanuele 17, angolo Alberto da Giussano, che e' la casa dell'ex sindaco Agosti (oggi casa Cittera) e il Sig. Aristide Mantegazza, sempre solerte raccoglitore, 23 Queste le notizie che nel 1901 scriveva il Prof. Serafino Ricci sui ritrovamenti antichi in Legnano; ma come si vede mancano alcune indicazioni dei luoghi. Il maestro Pirovano Giuseppe, segretario della Congregazione di Carita' nelle sue "Memorie postume su Legnano" datate 1883 (egli aveva precedentemente scritto altre brevi memorie su Legnano), riferisce alcuni luoghi di ritrovamento con queste pagine: ".... Nelle vicinanze della borgata con ci fu dato di ritrovare antichita' romane, ma bensi' tanto da una parte che dall'altra delle due coste che la nascondono alla distanza di mezzo chilometro, se ne trovavano a sufficienza, ne' e' fuori dubbio che i campi della Ponzella possano ancora fornircene..." Delle reliquie romane trovate nei nostri campi, fanno fede oltre quelle dei vari particolari possessori, la bella raccolta fattasi da Don Giuseppe Brambilla di Castellanza, consistente in anfore, vasi cinerari, speroni, fibule e altri oggetti dell'epoca, ritrovati nei suoi poderi posti nel territorio di Legnano e di altri su quello di Castellanza. Facendosi un nuovo tronco della strada provinciale del Sempione che dal nuovo ponte dell'Olona, lasciando Castegnate in disparte e attraversando Castellanza sul piu' alto della sua costa per la Cascina Buon Gesu', detta popolarmente delle Corde perche' qui facevansi corde, ritiro' i cocci dell'anfora che era gia' spezzata e gli oggetti che conteneva... ma oggi non c'e' piu' a Legnano. " Ponzella (anticamente Poncena, vedi questo nome ripetuto piu' volte nei registri dell'ospizio di S. Erasmo del 1471) . In questa localita' piu' volte si ritrovarono vasi cinerari, sepolcreti e lucernette nonche' monete di Aureliano 270-275 d.c., Probo 276-282 dd.c., Massimino 286-305 d.c., nota del Pirovano stesso. Dalle indagini da me fatte per ritrovare tale collezione, risulto' che essa sicuramente ando' distrutta (non dispersa) per vandalismo del detentore, ereditario, verso il 1900. 24 fattosi un taglio di terreno per mettere piu' a dritto il tronco che ascende, fui io presente allo scoprimento delle due belle anfore cinerarie, che vennero comperate dall'Ing. Introini di Busto Arsizio. Piu' oltre di questa localita', andando per la costa verso Olgiate, non abbiamo altre notizie in proposito, quantunque questo comune sia antico come vedremo in seguito. Delle antichita' legnanesi delle quali siamo possessori accenneremo a monete romane quale quelle che ci danno schiarimenti di colonie romane qui stanziate e di cui ci ricordiamo non solo i vasi cinerari ma acnhe la terra che raccolse le ceneri dei corpi abbruciati entro la quale raccolsimo un sasso eguale quasi nella sua struttura lamellare alla lignite con traccia di opalino formato dall'ardenza del fuoco. In generale i zappatori di terreno tanto piu' negli scavi di ghiaia per le strade, allorche' vi trovavano qualche vaso, anfora o sepolcreto, amanti piu' della scoperta di un tesoro che delle rispettabili antichita', queste cadono a pezzi sotto ai colpi dell'impavida zappa a pronta soddisfazione dell'ingorda avarizia di chi la maneggia. In tal modo vanno dispersi i frantumi dei quali riesce il piu' delle volte ad un conoscitore di difficile argomento di conoscere l'origine storica e la configurazione dell'infranto oggetto. Il contadino qualche volta nello scavo fosse per piantagione di gelsi, scopre qualche vaso o sepolcreto ma di cio' osservato non esservi di che possa interessarlo si serve del vaso per qualche ordinario uso proprio e il mattone romano che serviva di coperchio se non e' spezzato prima che veda la superficie, viene adoperato come sedile. Circa alle citate monete antiche, crediamo opportuno di non nuovamente trascriverle essendo queste palesate gia' nell'Omaggio della Societa' Lombarda al VII centenario della Battaglia di Legnano e brevi cenni storici della Battaglia di legnano - Busto Arsizio - Tipografia Volonterio, da Si tratta evidentemente del punto ove la via 29 Maggio si innesta nella via del Sempione, all'estremo nord di legnano. Si fecero poi dei ritrovamenti modesti in localita' Fiorenza e quelli piu' ricchi dal cavo di sabbia che e' fra il cimitero di Castellanza e la Cascina del Buon Gesu' dai quali traemmo la fotografia di un elegantissimo poculus presso l'Ing. Prandoni. Presso gli eredi Pirovano non si pote' nulla rintracciare. Volumetto esaurito ma visibile a Brera a nell'Accademia. 25 noi fatto stampare per l'accennato centenario a corredo di quanto venne omesso nel capitolo Legnano dal suddetto Omaggio. Del periodo dei Longobardi pure abbiamo scoperte da ricordare; per esempio: " nel 1868 ai 3 di marzo scavandosi la creta nel prato di San magno, verso Levante fu ritrovata una tomba coperta da un vergine banco di creta che dalla sua base sollevavasi all'altezza di metri 1,5, contenete un polveroso scheletro reso annichilito dall'infiltrazione cretacea che ne investi' il contenuto fino alla citata altezza, al di sopra del tumulo di un metro". Ci domandiamo quanti anni ci sono voluti per formare quel banco a furia di torbidio delle acque? Quel banco di creta non contava la misura della cotecca del prato ed era a un fondo piuttosto solido e non pantanoso. Noi non possiamo convincerci che quel tumulo composto di embrici della dimensione di 40x55 cm. e di buona cottura da fornace, fosse posto in un fango; attesoche' lo trovammo appoggiato su un solido terreno e la creta presentava la sua vergine compagine, da escludere totalmente la mano dell'uomo. Questi embrici si collegavano assieme nei lati e nel coperchio, Il Pirovano cade nell'errore di credere che la tomba sia stata posta sul nudo terreno e che il tempo a mezzo di allagamenti avesse deposto la creta per lo spessore di 1,5 metri sopra di esso. Come concilia del resto egli la deposizione di tombe in questo luogo ove a dir suo in epoca romana esisteva un lago?. Gli e' che se non un lago certo una zona di allagamento annuale del fiume Olona esisteva intorno al castello di Legnano, ma in epoca ben piu' lontana, preistorica, alla quale va ascritto il deposito della creta, proveniente dai terreni cretacea dell'Alto Varesotto; depositi di creta che troviamo del resto non solo qua ma anche molto piu' sotto, fino ad oltre Milano e danno il lavoro alle numerose fornaci che vi si trovano. Come vedemmo gia' prima, le tombe romano--cristiane a cassetta venivano poste a circa un metro di profondita', ma seguendo un criterio gia' constatato per le tombe pagane, tale profondita' subiva variazioni piu' o meno a seconda del terreno alluvionale (ciotoli e sabbia) era piu' o meno profondo. La 26 con gli appositi risvolti e marcati da una sigla che la ricordiamo nelle pietre della chiesa di S. Ambrogio a Milano. Nel ripostovi scheletro rimasero solo le corone dei denti d'uomo piuttosto giovane e qualche rimasuglio di femore. Se le zappe dei fornaciari non avessero rotta quella creta internatasi (sotto gli embrici) si sarebbe potuto stabilire dall'investitura rimasta a modo di stampo, la grandezza e forse la forma di quel sepolcro ma di cio' nulla, se non che' l'ocria tinta di un lungo spadone, che' pur esso corroso; cio' non di meno possiamo attestarne la lunghezza di metri 1,05; larghezza verso l'elsa di cm 5; grossezza cm. 2 dipartendo dal manico che manca del tutto per indicarlo di ferro, non avendo la creta nessun segno di ruggine; per il che lo supponiamo che fosse d'osso o di legno. La lunghezza e grossezza di questo spadone assai dimostrano essere arma adoperata a due mani. Da qualcheduno tale sepolcro si volle attribuire ad un avanzo della battaglia di legnano, da altri da quella di Parabiago; ma ne' l'una ne' l'altra induzione ci fornisce abbastanza prove a credere veritiere, da che supponiamo che i guerrieri di quei secoli portavano celata ed usbergo maneando invece nello scoperto tumulo totalmente ogni indizio di corrosa armatura od impronta che ne indicasse colla ruggine l'esistenza di tali oggetti, come si verifico' nel 11818, facendosi la strada comunale da Legnano a San Giorgio; sulla colma di questa ritrovossi un mortuario avello con scheletro ed armatura, che fu portata via (ben inteso venduto dai zappatori) al Dottor Gaspare Bossi notaio legnanese. regola appare essere "le tombe siano deposte colla loro base direttamente sul terreno permeabile", il che si fonda su principi di igiene. Il Sig. Francesco Dell'Acqua mi disse che in tale prato furono trovate piu' volte delle tombe formate da tegoloni disposti a triangolo con ossa dentro e vasetti, ma nulla si salvo' all'infuori di qualche moneta che peraltro non potemmo vedere e quindi erano tombe del III IV secolo d.c. . Il Pirovano ha misurato lo spessore di 2 cm. sul pezzo enormemente ingrossato dall'arruginimento; pero' lo spessore originale non poteva superare 6-8 mm. anche se molto grossa. 27 Nel 1851 nel prato Pellegrini si rinvenne una cisterna o tombino continuato verso settentrione del Castello contenente qualche palla grossa di cannone e dei calci di fucile. In uno scavo di ghiaia fatta nel 1863 in vicinanza della filatura (in oggi Bianchi Cuttica) fu rinvenuto uno scheletro di cavallo e poco lungi uno umano con monete d'argento dei Cantoni di Unterwalden, Uppenzell, ecc, coll'impronta di San martino patrono di quei cantoni svizzeri. Tutte queste scoperte ci guidarono alla storia dei loro tempi, imperroche' se quella di San Giorgio ci porta alla battaglia di Federico Barbarossa anche per la quantita' delle ossa ritrovate poco piu' in la' del corazzato guerriero e per il nome che aveva il villaggio di San Giorgio Sottero, quasi ad indicare con tal nome la localita' dei sepolti battaglieri, ben totalmente opposte sono le scoperte del 1851 e del 1863 che chiaramente ricordano l'ammutinamento dei polacchi, ecc. Ora ritornando al tumulo di San magno noi siamo pienamante convinti essere quello di un guerriero Longobardo attesoche quei popoli discesero in Italia non forniti di armi certamente come i popoli civilizzati ma semplicemente armati di una mazza e alabarda ed i piu' di un lungo spadone che per grossezza quasi serviva piu' di colpo che di taglio non avendo quella tempera che rese in seguito tanto celebri le fabbriche di Milano. A causa della mancanza di tempera infatti lo spadone si corrose assumendo una struttura lamellare a sfoglie. A farci piu' identici nel nostro esposto. concorrono pure varie monete di quei tempi che faremo conoscere al lettore: " nel suddetto prato consumandosi la creta si trovo' pure due monete una d'oro e l'altra di rame". La prima appartiene a Tiberio II° (578-582 dopo Cristo) cioe' ad un'epoca in cui le arti e la scienza della lingua latina erano all'estremo della decadenza per il che le monete di quell'epoca erano quasi tutte spropositate dando ai numismatici un difficile compito a decifrarle. Nel retro di questa prima moneta si legge Victoria Augustorum Conob. La seconda e' una moneta bizantina cuprea del diametro di 25 millimetri nel cui diritto presentasi il mezzo busto di Leone VI visto di fronte, con diadema orientale adorno di tenie, sormontato da una piccola croce; In possesso del fisico Dott. Ferrario a Gallarate ed ora di suo figlio Scipione a Samarate. Venne descritta dal Sig. Vigore, giudice del mandamento di Busto Arsizio, appassionato cultore di numismatica. 28 l'ampio suo paludamento scende in larghe pieghe da destra a sinistra del petto, in giro la leggenda: Leon Basileus Romeon. Nel retro senza tipo la leggenda + Leon ENOEO BASILEUS ROMEON. (Leone VI detto il filosofo fu imperatore di oriente dal 886 al 911 dopo Cristo). Fra le tante monete ritrovate, meritano particolare menzione quelle d'argento rinvenute in un'anfora sepolta nella creta del prato detto di San Magno dietro al castello, sulla destra del ramo dell'Olona che per un tratto fiancheggia la strada per San Vittore. Erano numerosissime monetine coniate ai tempi della repubblica romana, riferentesi agli anni 485 della fondazione di Roma ossia 753 (?) anni avanti la venuta di Cristo. Queste monete ben conservate sono di famiglia portante le figure di Castore e Polluce a cavallo e la parola Rome sotto alle loro cavalcature; le altre invece avevano un leone; tutte queste monete portavano sul retro una testa di donna, taluna con cimiero e ali all'orecchio. . Fu un ritrovamento eccezzionale ricchezza e soprattutto molto interessante per noi. Era un vero tesoro personale nascosto; uno di quei ritrovamenti quali accadono di rado ( (ed oggi sono passati 44 anni) ma pur accendono la fantasia e le smanie degli sterratori al danno dell'archeologia.. Di tali monete ce ne sono 28 al Castello Sforzesco a Milano, pervenuteci a mezzo del pittore Bertini, ed una ventina o piu' ne possiede l'ing. Roberto Dell'Acqua a Milano delle quali ce ne cedette una che porta nel diritto: Testa di Diana e nel rovescio: Gallius Lupercus colla legenda: MASSA. Le altre moltissime sono passate a mani ignote a noi e vedremmo volentieri che venissero portate al Museo. Si tratta di monete galliche coniate nella stessa Lombardia fra il 2° e il 1° secolo avanti Cristo, gia' sotto la dominazione della Repubblica Romana. Infatti nel gruzzolo si trovavano anche monete consolari romane coll'effigie di Roma con elmo alato sul diritto e due dioscuri a cavallo in corso sfrenata con la dicitura ROMA nell'esefra, quali ne conserva il ing. Dell'Acqua. E' cosa singolare che in epoca 29 Uno scheletro che ci riporta ad epoca preistorica venne ritrovato il 22 marzo 1871 in un vergine strato di sabbia, frapposto a due di conglomerata ghiaia, alla profondita' di 3 metri sotto le fondamenta di una casa del 1200. Lo scrivente conserva di questo scheletro la mandibola inferiore e un pezzo di femore. Scrive poi il Pirovano nel suo diario: "4 settembre 1885: alla cascina San Bernardino si scopre un'ala romana. Ne e' avvisata la societa' Archeologica - 5 settembre: invitatolo scrivente a portarsi a San Bernardino come sopra, ne fu dato di constatarne un'altra, e un pezzo di frammento lapidario. politicamente romana si coniassero ancora molte monete galliche, ma e' un fatto accertato e non esclusivo in quell'epoca. Tale moneta era benvisa dal popolo nel quale le tradizioni ataviche non erano ancora del tutto estinte. Alla moneta gallica o Massaliota che dir si voglia veniva attribuito un alto grado di fido che la faceva desiderare, un po' come oggi noi tratteremo piu' volentieri la moneta aurea anziche' la moneta cartacea o di nichelio. Cosi' si spiega che in periodo politico Romano si aveva la coniazione delle monete galliche. Non sono falsificazioni ma imitazioni ufficiali. . Non c'e' piu' oggi. . Le cosidette are sono due cippi i quali appunto ci racconta il Rag. Figini che furono ritirati dalla cascina San Bernardino non senza difficolta' per le pretese di possesso accampate da un contadino. Il frammento lapidario e' smarrito; sara' al Castello a Milano?. (26 bis) Vi e' una ragione per credere che questa via era in quella direzione Ponente-Levante per accedere alle scuole Mazzini della I° epoca e ancor oggi (1962), cioe' un avanzo del sepolcreto gallico che io potei scavare piu' sotto nel 1937 ma nella sola via Calatafimi, com'e' noto dalle mie relazioni. 30 14 febbraio 1888: Innalzandosi una fabbrica nel primo cortile del palazzo arcivescovile in via Magenta, con al di sotto una ghiacciaia, si rinvenne un fondamento d'antica origine avente la larghezza di metri 2 ed uno di altezza, nell'eguale costruzione del vecchio campanile di San Salvatore (ora San Magno) - 15 settembre 1889: nella via fattasi al centro del fondo dell'ex convento di San Angelo si rinvennero vari cocci di vasi cinerari e di stoviglie antiche che vi subirono gia' un rivolgimento di terra". (26 bis) Questo dunque cio' che ci racconta il Pirovano che benche' poco erudito ci da' una serie di indicazioni precise che troveranno conferma dai ritrovamenti da noi stessi fatti dal 1925 in avanti nelle stesse localita' ed in varie altre e dalle informazioni assunte presso persone anziane allo scopo di integrare il lavoro del Pirovano possibilmente senza soluzione di continuita' nel tempo. Un'altra importante notizia ci da' il Prof. Castelfranco, gia' direttore del Museo Archeologico di Milano, che scrisse nel 1886: "Durante i lavori di costruzione della ferrovia Minano-Arona si trovarono vicino a Legnano molte tombe con ferri, vasi, ampolline di vetro, braccialetti di ferro di epoca romana e gallo-romana. Gli oggetti furono a me consegnati dall'Ing. Miani dirigente dei lavori". Di essi oggi null'altro ci resta che una parziale riproduzione in una rivista di archeologia dell'epoca malgrado che tutta la collezione personale del prof. Castelfranco da lui donata al Castello Sforzesco sia la raccolta; gli oggetti di Legnano non ci sono, ne' e' conosciuta la localita'. Che l'indicazione del Prof. Castelfranco "vicino a Legnano" debba intendersi nel senso piu' stretto, cioe' di "molto vicino" e' logico, se si pensa che la professione esige di precisare quanto piu' si puo' i luoghi dei ritrovamenti. 31 Cenni storici Le sponde Legnanesi dell'Olona furono popolate in preistoria da genti genericamente definite liguri: della cultura di Canegrate, alla quale e' ascritta la vasta necropoli del XIII° secolo a.c., e della successiva golasecchiana. Scarsa penetrazione vi ebbe l'invasione dei celto-galli, scesi da oltr'Alpe tra il V° VI° secolo a.c.: protetta dai boschi, la zona tra Legnano e Busto meglio conservo' la sua etnia, come sembrava provato dal persistere di assonanze liguri nel locale dialetto. Alla romanita' risale il toponimo Legnano: certo da Laennius, nome del proprietario del fondo. Popolatosi per gradi, in eta' imperiale Leunianum fu vicus di qualche rilievo, a giudicare dai sepolcri scavati in varie zone cittadine e viciniori: i cui corredi (ved. Museo) attestano organizzazione del lavoro e discreta qualita' di vita. Declinato l'impero d'Occidente, il distretto del Seprio ( con la plaga (4) Legnanese ) fu conteso fra i Goti e i Bizantini. Invaso dai longobardi dopo il 568, nel 774 passo' ai Franchi di Carlo Magno, restauratori dell'idea imperiale. Furono i Carolingi a conferire le terre della zona ( con i redditizi mulini mossi dalle acque dell'Olona a quei tempi limpide e pescose ) agli arcivescovi di Milano. Legnanello ( a sinistra del fiume, oggi parte integrante della citta') e' citata per la prima volta in un documento del 789: atto con cui l'Arcivescovo Pietro cedeva al Monastero di San Ambrogio terre ereditate in luogo. Il borgo sottoposto alla chiesa plebana di Parabiago - si trovava al confine del Seprio con Milano: tale posizione influi' sulla sua importanza verso la fine del X° secolo, quando si andarono delineando contrasti tra la nobilta' feudale di campagna e le classi medie del capoluogo. Nel 1066 il diacono Arialdo - fustigatore del clero concubinario e corrotto e portavoce della nuova borghesia cittadina contro nobili e curia filo-imperiali - fu costretto a fuggire da Milano. Trovo' riparo a Legnano, nel palazzo del suo partigiano Erlembardo Cotta: ma venne catturato e 4 Regione 32 condotto in quel d'Angera, a morte per mano dei sicari del vescovo Guido. Il crescente progresso economico in Lombardia premio' infine le classi mercantili, che si organizzarono nel comuni, organismi anelanti all'autonomia del potere imperiale. Il piu' forte di essi, Milano, diede inizio ad un attivo espansionismo a danno dei vicini, usurpando senza scrupoli le regalie (prerogative, imposte ) dell'imperatore. Ad esso si lego' Legnano, abbandonando il Seprio, la cui nobilta' parteggiava per l'impero. Federico I di Svevia il Barbarossa - nel tentativo di rafforzare la sua sovranita' fruendo nel contempo delle strutture italiche in pieno sviluppo intrapprese una decisa lotta contro Milano ed alleati. Nel 1160, per ridurre alla fame l'ostinata ribelle, ne devasto' le campagne, comprese quelle Legnanesi; due anni piu' tardi giunse ad espugnarla e ne fece atterrare le difese. Papa Alessandro III° - anch'egli in contrasto con Federico per secolare antagonismo di potere - incoraggio' allora la costituzione di una Lega di citta' venete e lombarde, i cui aderenti formarono un comune esercito giurando irriducibile ostilita' allo svevo. Nel 1176 barbarossa fu sconfitto a Legnano. L'evento preoccupo' l'imperatore e rafforzo' Milano, ma l'anno successivo la curia romana - che temeva l'eccessiva potenza dei comuni - venne a patti con il Barbarossa; ne segui' una tregua di sei anni. Infine il trattato di Costanza ( 1183 ) sanci' la pace, con il riconoscimento dei comuni e di alcuni diritti dagli stessi acquisiti; ferma restando la sottomissione all'impero (del resto mai contestata) con giuramento di fedelta', pagamento di determinate imposte, investitura sovrana dei consoli eletti. Il 29-5-1176 Barbarossa con poche migliaia di armati marciava da Como alleata verso la fedele Pavia. A Legnano erano le forze della lega con il Carroccio: un carro trainato da tre paia di buoi bianchi, ideato a Milano dal battagliero arcivescovo Ariberto d'Intimiano (XI° secolo) successivamente adottato da quasi tutti i comuni italici. Simbolo della collettivita' comunale, il carroccio era una macchina tattica, con gonfalone inalberato e martinella (campana) per orientare i combattenti, 33 presidi di sostegno materiale (farmaci, vettovaglie energetiche) e morale (crecefisso, prete officiante). Un reparto di cavalleria lombarda intercetto' a Borsano l'avanguardia imperiale e l'attacco', ma dovette ripiegare. Tedeschi e comaschi, inseguendolo, raggiunsero il Carroccio ( nei pressi della chiesetta di San Martino, in fondo all'attuale corso XXIX maggio). La cavalleria del Barbarossa non risparmio' gli attacchi, ma i militi della Lega, in quadrato, resistettero con tenacia; intanto i cavalieri in ritirata, rinforzati da freschi contingenti, erano tornati in campo. Il loro attacco al fianco divise in due l'esercito imperiale: i tedeschi sbandarono verso il Ticino con gravi perdite; lo stesso Federico - entrato coraggiosamente in battaglia - riusci' a malapena a salvarsi e a raggiungere Pavia, perdendo armi e insegne. Una tradizione - dal cronista Milanese Galvano Fiamma (XIV secolo) attibuisce la vittoria alla Compagnia della Morte: formazione volontaria di poche centinaia di cavalieri decisi a tutto, guidata da Alberto da Giussano. Intorno a tale personaggio (del quale in realta' neppure e' certa la partecipazione alla battaglia) fiori' nell'800 romantico e patriottico un'epoca suggestiva ma storicamente poco convincente (Carducci, Pascoli). Anche il senso della lega venne alterato: la precaria, utilitaristica alleanza dei comuni fu considerata atto di cosciente unita' nazionale contro lo straniero. Si enfatizzo' l'importanza della vittoria (netta, ma affatto risolutiva!), e non solo da parte italiana (ved. Hegel). Per il 7° centenario in citta' fu improvvisato un monumento: di gesso e cartapesta color bronzo, su alto basamento, trasse in inganno il pubblico, ma fortunatamente - brutto e poco pertinente, come lo mostrano le fotografie - non resse alle prime intemperie. Ben diverso l'attuale (in piazza omonima) certo tra i piu' felici del Butti, 1990: un bronzeo guerriero in maglia, elmo e scudo, la spada levata in segno di vittoria. Sul basamento in granito grigio, altri bronzi in rilievo: il carroccio e i monaci soccorrono i feriti dopo la battaglia. Ogni ultima domenica di maggio si celebra in citta' la sagra del carroccio, con un carosello di circa 1500 comparse a piedi e a cavallo in costumi medievali fedelmente allestiti. Segue la corsa ippica nello stadio, tra le otto contrade: per la conquista del palio, un crecefisso in rame sbalzato, copia di quello donato da Ariberto al nascente comune di Milano. L'interessante manifestazione - istituita nel 1933 - ripristinata nel dopoguerra - non manca mai di attirare folle di appassionati e curiosi. 34 Verso meta' 1200 l'Arcivescovo Leone da Perego tento' l'avventura della signoria personale a Milano, appoggiandosi all'aristocrazia contro i popolari; scacciato dai Torriani si rifugio' a Legnano, dove teneva una dimora estiva nei pressi della chiesa di San Salvatore (5). Ivi confluirono le forze dei nobili con lui fuoriusciti, intenzionate a battersi per la rivincita: ma l'ottantenne prelato venne a morte improvvisa. In quell'epoca il giovane canonico Ottone Visconti, uomo di fiducia di leone, fortifico' a Legnano un nucleo del castello: in seguito, divenuto a sua volta Arcivescovo, si appoggio' anch'egli alla parte nobiliare per contendere il potere ai Torriani. Dimorava nel borgo il frate laico umiliato Bonvesin della Riva ( 1240 - 1313 ). Considerato il piu' importante letterato milanese del suo tempo, aveva preso nome dalla ripa di Porta Ticinese, dove teneva casa e scuola. Egli stesso fa cenno alla sua permanenza a Legnano, nel poemetto "le cinquanta cortesie da desco" I Visconti finirono con il prevalere sugli antagonisti Torriani: nel '300 affermarono definitivamente una signoria ereditaria, sotto la quale Legnano segui' le vicende del milanese. Nel 1450 Francesco Sforza si impadroni' del Ducato. La signoria sforzesca duro' tutto il secolo; quindi per oltre 30 anni il milanese fu al centro di aspre guerre tra Francia e Carlo V d'Austria e di Spagna Prevalsero gli Ispano-Imperiali. Integrato nei possedimenti asburgici, nel 1596 il ducato venne assegnato a Filippo II di Spagna, che lo resse tramite governatori. Il '500 fu per Legnano un periodo di splendore: gia' luogo di soggiorno estivo dei notabili milanesi, si era ingrandita attorno alla chiesa di San salvatore, ricostruita e dedicata a San magno; il borgo era vivace, attivo, con campi fertili, vigneti, frutteti. Nel 1584 San Carlo lo stacco' da Parabiago facendolo capo-pieve: contava 2083 abitanti. Il secolo successivo porto' decadenza, per guerre e carestie che danneggiarono i domini lombardi di Spagna. Nel 1630 anche Legnano fu spopolata da una grave epidemia di peste; nel 1649 il paese trovo' la somma necessaria per evitare una sgradita infeudazione decisa dal governo. 5 Oggi San magno 35 Nel primo '700 subentrarono gli austriaci: la cui amministrazione piu' moderna ed efficiente, contrassegnata da riforme illuminate di Maria Teresa e di Giuseppe II°, sollevo' l'economia lombarda. Durante il ventennio napoleonico, Legnano con il dipartimento dell'Olona fece dapprima parte della Repubblica Cisalpina, poi italiana; infine del Regno d'Italia (1805). Al declino di Bonaparte tornarono gli austriaci, bene accolti dalla popolazione contraria alle spese di guerra ed alle continue leve militari francesi. Nel 1821 l'indistriale svizzero Carlo Martin impianto' a Legnano la prima filanda di cotone. Nel 1859 - al termine della seconda guerra contro l'Austria - Legnano ( con il centro autonomo di Legnanello) fu aggregata all'Italia unita. Sorsero altre fabbriche, ubicate sulle sponde dell'Olona per trarre forza motrice dalla corrente. Nel 1861 vi passo' il primo treno a vapore della ferrovia MI-VA. Il primo '900 porto' un rapido sviluppo, grazie alle nuove industrie tessili e metallurgiche fondate dai Krumm, dai Bernocchi, dai Dell'Acqua e da altri imprenditori. Con le fabbriche si estesero i quartieri, vennero istituite scuole professionali, il lavoro diffuse un certo benessere. intorno agli anni '20 vi si affermo' il fascismo, debolmente contrastato da opposizioni di sinistra alimentate negli ambienti operai. Nel 1942 Legnano ebbe titolo di citta'; vi fece visita ufficiale Benito Mussolini, che ritornera' trionfalmente 10 anni dopo. (2) Nell'ultimo conflitto due legnanesi ottennero la medaglia d'oro: Roul Achilli e il giovane Carlo Borsani (fascista, cieco di guerra, aderi' alla repubblica Sociale e fini' assassinato a Milano nei giorni della liberazione). Anche la Resistenza ebbe le sue vicende ed i suoi protagonisti (scioperi nelle fabbriche fin dal '43; uccisioni, deportazioni, attacco finale delle Brigate Garibaldi e Carroccio agli ultimi preside fascisti). Il processo di industrializzazione - in crescendo fra le due guerre - riprese dopo il 1945, conferendo a legnano quel volto progredito ed operoso che la distingue. 2 E' da verificare 36 La citta' e' oggi un centro industriale, artigianale e terziario di 49.000 abitanti, percorso dall'animatissima arteria del Sempione. Dista 27 chilometri da Milano ed e' praticamente inurbata con i centri vicini. In Viale Toselli. In origine forse cenobio (3) Agostiniano, ebbe un primo nucleo fortificato verso il 1230 da Ottone Visconti, allora fiduciario di Leone da Perego. Nel 1257 fu acquisito da Martino della Torre; nel 1273 ospito' re Edoardo I d'Inghilterra reduce della terrasanta; quattro anni dopo fu ripreso da Ottone, ormai signore di Milano. I successori lo tennero a scopi difensivi, pr la sua posizione su un'isoletta formata dalla biforcazione dell'Olona. Filippo Maria Visconti nel 1437 lo dono' al fedele capitano Oldrado II da Lampugnano: che lo muni' di mura merlate, vallo, 6 torri cilindriche, e porto' l'ingresso da Ovest a Nord, dove innalzo' il torrione con ponte levatoio. Occupato dallo Sforza, subi' in seguito un incendio da parte di Teodoro Trivulzio, condottiero al servizio dei francesi sul finire del '400. Rimase sempre ai Lampugnani, che non cessarono di apliarlo ed abbellirlo, utilizzandolo come dimora. Nel 1729 Francesco Maria - non avendo eredi - lo lascio' all'ospedale maggiore di Milano; da cui nel 1795 l'acquisto' il mercante cotoniero Cristoforo Cornaggia marchese di Castellanza. I nuovi padroni lo tennero come casa di campagna. Da fine '800 alloggio dei coloni della vasta tenuta circostante, divenne fatiscente, quasi un rudere (ad eccezzione della chiesetta interna di San Giorgio, del torrione di ingresso e dei 4 superstiti laterali). Acquistato dal Comune nel 1973, e' da anni in progetto di restauro. Affreschi del '500 sono stati rimessi in luce nel salone delle feste; si e' scoperto un impianto di riscaldamento a canaletti sotto il pavimento delle camere da letto. Nei pressi, Parco Pubblico, (immenso e frequentatissimo): con prati, laghetti, uccelli acquatici e di ogni specie. Tra gli alberi, scultura equestre del contemporaneo Giacomo Corti. 3 Comunita' di religiosi 37 38 Le origini Legnano durante il sorgere e il consolidarsi della signoria viscontea Abbiamo gia' visto ripetutamente nei capitoli precedenti che la particolare posizione di Legnano ne fece un punto importante del sistema difensivo milanese, finche' la situazione della citta' rimase incerta e le fazioni si avvicendavano al potere. Osserveremo ora come, con il consolidarsi a Milano di un governo signorile, in grado, ormai di controllare vasti territori e di imporre la propria volonta', Legnano sia divenuta, nel corso del secolo XIV, un semplice luogo di soggiorno per i nobili milanesi, sebbene non avesse perso del tutto la propria importanza militare, come vedremo. Ottone Visconti, divenuto arcivescovo di Milano nel 1262, non aveva potuto prendere possesso dei propri beni a causa della ferma opposizione dei Torriani alla sua elezione. Unitosi al partito dei fuoriusciti e messosi a capo di esso nel 1276, tento' ripetutamente di abbattere il potere della fazione avversa, finche' nel 1277 si giunse al fatto risolutore. Essendo i Ottone entrato nella Martesana e puntando decisamente su Milano, i Torriani tentarono di fermarlo attestandosi a Desio, ma l'arcivescovo, che era stato canonico in quel borgo e vi aveva degli appoggi, riusci' a penetrarvi: parte dei Torriani restarono uccisi, altri prigionieri, mentre alcuni di loro, che al momento dell'agguato si trovavano a Cantu', rientrati precipitosamente a Milano, dovettero constatare che la loro autorita' era lesa irrimediabilmente e furono costretti a lasciare il paese. Il 21 gennaio 1277 Milano riconobbe Ottone e bandi' i Torriani. Durante tutta questa lunga lotta la situazione del borgo di Legnano non era probabilmente mutata: nel catalogo delle famiglie nobili ammesse al rango degli ordinari della Metropolitana, redatto in un periodo L'incostanza delle popolazioni milanesi dimostra come in realta' le due fazioni, che avevano assunto i nomi di Guelfi e Ghibellini, non fossero sostanzialmente diverse per ideologia o composizione sociale, ma fossero piuttosto divise da odi personali e famigliari. 39 imprecisato compreso tra il 1277 e il 1377, compaiono gli Oldrendi di Legnano, i quali avevano forse approfittato dello scarso controllo esercitato in questo periodo sui beni dipendenti dalla mensa arcivescovile per aumentare la propria autorita' sul borgo. In seguito, i loro rapporti con l'arcivescovo si faranno assai stretti e si giungera' ad una collaborazione assai fruttuosa per entrambi, come vedremo piu' avanti. La situazione di Ottone non era pero' certamente tranquilla, dal momento che i Torriani, estromessi dal governo e banditi, non avevano abbandonato la speranza di riacquistare cio' che avevano perduto, e, ottenuti numerosi appoggi, facevano numerose scorrerie nei territori attorno a Milano. La sfida aperta tra le due fazioni si ebbe nel 1285 quando Goffredo Torriani, dopo essere entrato a Bergamo e a Como, conquisto' Castelseprio: ben conosceva l'arcivescovo e i sentimenti del Seprio verso Milano e verso il partito dominante in esso, qualunque esso fosse, percio' riuni' tutto l'esercito a Legnano, dove rimase per otto giorni cioe' fino al 13 aprile. Probabilmente lo stesso Ottone aveva innalzato, in quei tempi ancora torbidi per il suo governo, il muro che circondava il borgo, correndo lungo il fosso scavato ai tempi di Leone da Perego; vi aveva inoltre costruito numerosi edifici, anche di una certa importanza. Tutto cio' rendeva Legnano adatta ai soggiorni di una certa durata e permetteva di utilizzarla come base logistica per le operazioni militari da svolgere nel vicino Seprio: infatti, essendo, come abbiamo detto ripetutamente, una porta sul territorio piu' prossimo a Milano, l'arcivescovo poteva da qui osservare le intenzioni del nemico e decidere se attaccarlo direttamente e bloccarlo prima che entrasse nel milanese. In questo caso l'arcivescovo opto' per la prima possibilita' e, uscito da Legnano, si trasferi' a Gallarate e di la' si avvio' a Castelseprio, ma circa un miglio fuori di Gallarate ricevette la notizia che i nemici erano usciti dalla rocca e si accampo' a Bassano, mentre i nemici rientravano in Castelseprio e Giulini - Gli ordinari della Metropolitana attraverso i secoli. Il Castiglioni avanza molti dubbi sull'epoca di redazione di questo elenco e dubita addirittura della sua autenticita' Localita' che non sono riuscito ad individuare, a meno che non si tratti di Cassano Magnago che si trovava appunto poco fuori di Gallarate in direzione di Castelseprio. Il Corio indica appunto la localita' di Bassano, 40 ne miglioravano le fortificazioni. L'arcivescovo allora, dimostrando ancora una volta quanto poco si fidasse del Seprio, si porto' immediatamente a Varese per tagliare i rifornimenti, che pero' nel frattempo erano gia' pervenuti, per opera di Guido da Castiglione, dalla vicina rocca omonima. Il maltempo che ostacolava le operazioni militari indusse le due parti a trattare la tregua, conclusa il 15 maggio con la consegna di Guido da Castiglione di Castelseprio e di Febo e Zanino della Torre come ostaggi, avvenuta il 18 maggio, dopodiche' i Torriani si recarono a Como e i Visconti a Milano. Tuttavia al momento di concludere la pace il 21 maggio a Castiglione, le trattative si ruppero per le eccessive pretese di Ottone che voleva fare da arbitro unico negli accordi. Dopo brevi scorrerie nei reciproci territori, sembrava che fosse tornata la calma, ma ben presto i Torriani minacciarono Varese con l'intenzione di riprendersi Castelseprio. Nuovamente l'esercito milanese si sposto' a Legnano, da dove l'arcivescovo dopo aver invano tentato di ottenere pacificatamente Castelseprio da Guido da Castiglione gli lancio' u ultimatum di due giorni: per tutta risposta Guido consegno' la rocca ai Torriani e fu percio' bandito. L'esercito milanese si porto' a Gallarate, dove si riuni' il 12 ottobre con altri corpi provenienti da Milano; dopo una breve sosta dovuta al maltempo, assali' e saccheggio' il borgo di Castelseprio, ma non potendo prendere la rocca ed essendo impedito da ulteriori operazioni militari dalla piena dell'Olona, lascio' Castelseprio il 28 ottobre, di la' retrocesse su Fagnano e Busto Arsizio e in novembre rientro' a Milano. Nel febbraio dell'anno successivo si fecero nuovi tentativi di pace; l'arcivescovo torno' nuovamente il 27 febbraio a Legnano, che funziono' ancora una volta come punto di appoggio, e presso Legnano, probabilmente il castello di San Giorgio, costruito alcuni anni prima dai Torriani, si incontro' con Guido da Castiglione e Loterio Rusca. Le trattative, proseguite in Barlassina, si conclusero in Lomazzo il 30 marzo con la pace pubblicata il 3 aprile fra Lomazzo e Rodello, in base alla quale veniva revocato il bando ai Torriani, senza pero' permettere che rientrassero in Milano o nel suo contado. mentre la Storia di Milano riferisce la vicenda in termini troppo vaghi per permettere un raffronto. 41 Ottone tuttavia non ebbe pace finche' mediante uno stratagemma, non riusci' il 28 marzo 1287 ad impadronirsi di Castelseprio e a farla radere al suolo, vietandone in perpetuo la ricostruzione. Eliminata questa minaccia, Ottone incomincio' a preparare il terreno per aprire la successione a suo nipote Matteo, che, dopo aver ricoperto cariche sempre piu' importanti, ottenne nel 1294 dal re dei romeni Adolfo di Nassau il titolo di vicario imperiale per la Lombardia, che gli fu riconfermato da Alberto d'Austria nel 1298. Frattanto l'8 ottobre 1295 era morto l'arcivescovo Ottone. Ma nonostante tutto cio' il potere di Matteo Visconti era tutt'altro che solido: oltre alle guerre esterne e alle ribellioni delle citta' soggette, anche in Milano si ordivano congiure contro di lui. Il capo di una di esse, Pietro Visconti, scoperto ed imprigionato a Settezzano, godeva grande autorita' nel Seprio, forse perche' aveva sposato Antiochia, della famiglia dei Crivelli, che dalla sede originaria di Nerviano aveva probabilmente esteso il proprio potere anche su parte del Seprio. Castelseprio costituiva un pericolo essendo un castello assai forte in una zona notoriamente infida: per Ottone mantenervi un presidio sarebbe stato assai costoso, mentre restava aperta la possibilita' che i nemici della citta' se ne servissero in futuro come avevano gia' fatto in passato come rifugio sicuro. La stessa politica di distruzione dei castelli che era impossibile controllare era gia' stata seguita dai Torriani negli anni precedenti all'avvento del dominio di Ottone. . Pietro Visconti e Antonia Crivelli sono i genitori di Lodrisio Visconti che, secondo il Giulini, avrebbe ricevuto da Arrigo VII ampi poteri sul Seprio: cio' e' assai probabile e potrebbe essere semplicemente la sanzione di uno stato di fattom derivante dalla parentela coi Crivelli. Questa famiglia di Valvassori, che e' nota agli inizi del secolo XII e che acquisto' rapidamente una notevole potenza, compare sulla predetta matricola degli ordinari della Metropolitana, suddivisa in quattro rami, uno dei quali e' privo di ulteriori specificazione, mentre gli altri tre sono relativi rispettivamente a Parabiago, Uboldo e Nerviano: cio' 42 L'influenza di Antiochia Crivelli, che aveva provocato l'ennesima ribellione nel Seprio, un assalto delle citta' nemiche di Milano e tumulti in citta' provocarono congiuntamente il tracollo di Matteo, che dovette chiedere la pace e dimettere il capitanato il 13 o 14 giugno 1302. I Torriani rientrarono in Milano e i Visconti dovettero mettersi rapidamente in salvo, colpiti dal bando. Milano rientrava cosi' nello schieramento delle forze anti-imperiali e filo-francesi e ne diveniva uno dei capisaldi. Tutto cio' favoriva evidentemente i mercanti milanesi, che, per i loro commerci oltremontani, necessitavano di un buon accordo coi principi occidentali. Attorno ai Torriani interpreti di queste aspirazioni si stringeva la classe dei fabbricanti, artigiani mercanti e banchieri. Ma la buona posizione politica della famiglia della Torre era minata dal latente dissidio tra Guido e il cugino Cassone, nuovo arcivescovo di Milano, che gia' nel 1303 si era ritirato nei propri castelli di Angera e Cassano. Nel maggio 1305 in seguito ad una congiura furono banditi da Milano alcuni nobili, tra cui Cressone Crivelli che, approfittando di una spedizione milanese con la lega Guelfa contro Brescia entro' in Nerviano, cercando invano di provocare una sollevazione e di impadronirsi di Rho e Legnano, ma all'arrivo dei milanesi dovette lasciare Nerviano, che fu data alle fiamme. Da cio' si puo' dedurre che i Crivelli godevano, o ritenevano di godere, autorita' nella zona di Nerviano e del Seprio; il progetto di impadronirsi di Legnano fa pensare ad u tentativo, attraverso il possesso di quel borgo, di fare insorgere il Seprio. Il fatto poi che i Crivelli dopo aver favorito l'avvento dei Torriani, mediante l'appoggio a Pietro Visconti e a sua moglie Antiochia, tentassero ora di scalzare il dominio, si spiega facilmente dal momento che proprio Pietro aveva da tempo cambiato partito ed era stato bandito assieme agli altri Visconti. Ma piu' dell'infelice tentativo di Cressone Crivelli, danneggio' Guido Torriani il dissidio con l'arcivescovo Cassone. Quando infatti Arrigo VII annuncio' la sua discesa in Italia, Guido si trovo' in posizione critica dal momento che,se egli voleva una ferma opposizione al sovrano, gli altri Guelfi erano incerti, soprattutto perche' l'imperatore si era precedentemente accordato con il papa. Quando poi gli inviati dei Guelfi alla corte di Arrigo permette di stabilire che esistevano dei rapporti precisi tra i Crivelli e quanto meno, la zona attorno a Legnano, se non tutto il Seprio, ipotesi, quest'ultima, suggeritaci dal presitgio che in quella zona godevano Pietro Visconti e Antiochia Crivelli. 43 si videro messi alla pari con Matteo, che si era frattanto presentato anch'esso all'imperatore, caddero tutte le loro speranze di guidare l'azione del sovrano secondo i propri desideri. Frattanto l'arcivescovo Cassone, il cui dissidio con il cugino era ormai palese, si accordo' con Matteo; i patti consistevano nella rinuncia da parte di Matteo ad una eventuale signoria su Milano e nel rispetto dei beni dell'arcivescovo, tra cui compare Legnano. Arrigo VII giunto a Milano ordino' la pacificazione fra le fazioni, ma poco dopo, sembra che per un accordo intervenuto tra i figli dei capiparte, Galeazzo Visconti e Francesco Torriani, scoppio' un tumulto contro l'imperatore, dal quale pero' Matteo riusci' a tenere fuori tutti i Visconti. Benche' la colpa ricadesse sui Torriani, anche i Visconti erano fortemente indiziati e il bando di Arrigo colpi' entrambe le famiglie. Tuttavia dopo breve tempo Matteo fu richiamato e nel campo imperiale sotto Brescia assediata, il 13 luglio 1311, ricevette il titolo di vicario imperiale per Milano e contado a tempo illimitato e revocabile solo alla restituzione della ingente somma prestata da Matteo all'imperatore. Poco dopo in Pavia o in Genova raggiunsero Arrigo 12 nobili milanese, deputati della repubblica per accompagnarlo a Roma, e ricevettero da lui varie donazioni tra di essi, secondo il Giulini, c'era forse Lodrisio Visconti, figlio di Pietro e di Antiochia Crivelli, il quale avrebbe ottenuto dunque in questa occasione quella signoria su tutto il Seprio che sembra possedere in seguito. Sempre secondo il Giulini sarebbe stato lo stesso Matteo, timoroso dell'ambizione del cugino, a procurargli questa concessione, tuttavia considerata l'autorita' dei suoi genitori, come abbiamo visto, godevano nel Seprio, potrebbe trattarsi del semplice riconoscimento di uno stato di fatto. Si erano frattanto guatati i rapporti fra Matteo e l'arcivescovo Cassone, che lascio' Milano e scomunico' l'antico alleato. La causa del dissidio e' probabilmente da ricercarsi nella somma versata da Matteo all'imperatore in cambio del vicariato: poiche' i Visconti in questo momento non avevano una grande disponibilita' finanziaria, e' probabile , Forse intervenne realmente un accorso, temendo i Visconti, in caso di successo della sommossa, di restre isolati come filo-imperiali, ma la parte principale spetta a Firenze che per rallentare la discesa di Arrigo verso Roma per l'incoronazione aveva suscitato tumulti in molte citta'ì del nord. 44 che si siano procurato il denaro necessario impegnando o vendendo i beni della mensa arcivescovile. Infatti nel documento di scomunica, riferito senza data dal Corio l'arcivescovo accusa Matteo, e i suoi parenti e i suoi fautori di aver occupato alcune terre dell'arcivescovado, di cui si fa un elenco dettagliato: Legnano non compresa tra esse, probabilmente resto' proprieta' della mensa e l'arcivescovo infatti vi abito' ancora in seguito, anche se la sua autorita' sul borgo era stata da tempo offuscata da quella dei Visconti. Alle difficolta' create a Matteo all'arcivescovo, si uni' l'accordo tra i Torriani e Roberto d'Angio', stipulato il 5 novembre 1312 a Pavia e messo in atto l'anno successivo, quando un esercito guidato dai Torriani e dal maresciallo del re di Napoli, Tommaso Marzano conte di Squillace, entrato nel milanese dal lato di Pavia, dopo aver tentato invano di attaccare direttamente Milano, si porto' a Legnano dove pose il campo. Il borgo offriva evidentemente una protezione sicura e la possibilita' di alloggiare molte truppe: tutto cio' era dovuto probabilmente alle modifiche apportate al complesso degli edifici e delle fortificazioni da Ottone che, come abbiamo visto, se ne era servito spesso. Il fatto poi che Legnano, solitamente cosi' legata alla politica di Milano, offrisse ora ospitalita' ai suoi nemici, e' spiegabile considerando la potenza esercitata su tutta la zona dai Crivelli, che, al dire di Cermenate, appoggiavano i Guelfi. In ogni caso, malgrado le insistenze dei Torriani che volevano si assalisse immediatamente Milano, il Maresciallo che comandava l'armata era titubante, perche' non riteneva abbastanza consistenti gli aiuti offerti dai nobili locali, finche' decise di abbandonare l'impresa. Secondo il Cermenate in questa ritirata ebbe una parte notevole l'ospite del Maresciallo, Sigisbaldo da Lampugnano, il frate dell'ordine militare della Beata Vergine Gloriosa o, secondo il nome piu' comune della congregazione, frate Godente, il quale, per proteggere le sue proprieta' e il borgo dai danni di una troppo prolungata permanenza delle truppe e anche perche' piu' incline ai Visconti che ai Torriani, convinse il maresciallo dell'opportunita' di allontanarsi prima che i milanesi accorressero. Vediamo dunque qui gia' insediato nel borgo una ramo della famiglia Lampugnani la cui influenza, gia' notevole ora, crescera' ulteriormente col passare del tempo. Di fronte a questa ripresa, per altro assai inconsistente, della resistenza Guelfa, Matteo penso' di consolidare il proprio dominio e, convocata a Soncino nel dicembre 1318 una adunanza dei principali signori Ghibellini, ottenne in essa notevoli appoggi. Tutto cio' ovviamente non riusciva molto gradito al papa e di conseguenza, quando Matteo seppe 45 che il re Roberto di Napoli si stava appunto recando ad incontrarlo in Avignone, cerco' di guadagnarsi le simpatie del pontefice riconoscendo come arcivescovo frate Aicardo, dell'ordine dei Minori che, eletto nel 1317 al momento della rinuncia di Cassone, non aveva ancora potuto prendere possesso del suo arcivescovado. Ma la rottura con il pontefice era ormai inevitabile, dal momento che un accordo con lui avrebbe necessariamente implicato la rinuncia da parte di Matteo alla Signoria su Milano a favore di Roberto d'Angio', re di Napoli. Per conseguenza si ebbero la scomunica di Matteo, l'interdetto su tutto il suo dominio e numerosi processi ecclesiastici contro di lui; infine nel 1322 il papa indisse addirittura una crociata contro i Visconti. Di fronte all'inquietudine causata in Milano da questa situazione, Matteo dovette rassegnarsi ad intavolare trattative di pace, che implicavano la sua rinuncia alla signoria: Matteo depose bensi' il suo titolo, ma fece assegnare la successione a suo figlio Galeazzo. Nel giugno dell'anno 1322 Matteo mori' e il consiglio generale di Milano confermo' la carica a Galeazzo: la guerra di conseguenza riprese e Galeazzo, temendo per il proprio potere, non volle sentire piu' parlare di pace. Questa decisione riusci' sgradita a molti che auspicavano una conclusione della guerra, qualunque essa fosse; si apri' cosi' una netta frattura nel partito visconteo: Francesco da Garbagnate, Simone Crivelli e Lodrisio Visconti, tratti dalla loro parte i capi delle truppe straniere stipendiate da Milano, costrinsero Galeazzo a lasciare la citta'. Tuttavia Lodrisio, che aveva preso parte alla congiura solo per fare i propri interessi personali, nella speranza cioe' di soppiantare Galeazzo, quando vide deluse le proprie aspettative, richiamo' il cugino mentre il Garbagnate e il Crivelli lasciavano Milano. Lodrisio, pero', se non era riuscito in questa occasione a realizzare le sue mire, non le aveva certo abbandonate ed era pronto a cogliere l'occasione opportuna appena questa si fosse presentata. Per il momento comunque appariva in assoluta concordia con Galeazzo e i suoi fratelli: infatti quando nel 1323 proseguendo la guerra e facendosi i Torriani nuovamente minacciosi, molti nobili ghibellini, ostili a Galeazzo, pensarono bene di riconcigliarsi con lui, si recarono a Legnano, dove si trovava Lodrisio coi quattro fratelli del signore di Milano, ed ivi avvenne una generale riconciliazione. Il fatto stesso che i cinque Visconti si trovassero a Legnano che, come abbiamo visto era nell'area di influenza di Lodrisio e dei Crivelli suoi parenti e fautori, dimostra che Galeazzo e i suoi fratelli avevano ora piena fiducia in Lodrisio: se avessero o meno ragione di farlo lo vedremo in seguito. Continuava frattanto la guerra contro l'esercito pontificio e nuovamente Lodrisio, questa volta appoggiato da Marco, fratello di 46 Galeazzo, che era insieme a lui il principale artefice delle vittorie militari di Galeazzo, avanzava pretese sulla signoria di Milano. La frattura si andava facendo sempre piu' insanabile e Galeazzo cercava di calmare Marco e Lodrisio concedendo loro molti beni, probabilmente attingendo al patrimonio ecclesiastico e approfittando del fatto che l'arcivescovo e quasi tutto il clero, in seguito della guerra col papato, avevano lasciato, lo stato visconteo. Lodrisio in particolare ottenne, secondo il Giulini, varie concessioni di giurisdizione nel Seprio: non e' impossibile che abbia ottenuto in questa occasione la conferma del suo potere su Legnano, che appunto era parte del patrimonio arcivescovile. In seguito pero' quando Galeazzo prese ad intavolare trattative di pace col legato papale, incontro' nuovamente l'opposizione di Marco e Lodrisio, che forse temevano, in caso di pace con il pontefice, di dover restituire i beni ecclesiastici che detenevano abusivamente. Percio' essi appoggiarono la discesa di Ludovico il Bavaro nel 1327, il quale destitui' Galeazzo e lo fece prigioniero, ma, per l'unanime pressione dei ghibellini, fu poi costretto a liberarlo. Galeazzo tuttavia mori' poco dopo e gli successe il figlio Azzone, il quale nel 1329 con l'appoggio dello zio Giovanni si accordo' con il Bavaro che gli concesse il vicariato imperiale. Nel dicembre del 1329 la situazione incerta in Germania costrinse Ludovico a lasciare l'Italia e Azzone, che aveva gia' ottenuto in settembre l'assoluzione papale, si schiero' apertamente col papa contro l'imperatore. Cio' frutto' a Giovanni Visconti nel 1332 la riconferma dell'amministrazione dei beni della mensa arcivescovile, che aveva gia' ottenuto da Ludovico il Bavaro, in cambio di una pensione annua allo arcivescovo Aicardo. Nelle abili mani di Giovanni la situazione della mensa cambio' radicalmente: egli rivendico' i suoi diritti e li fece valere con la forza della sua autonomia, recupero' i beni perduti e arricchi' di edifici l'arcivescovado di Milano e le terre che da lui dipendevano. Forse proprio per questo motivo alcuni signori milanese, che probabilmente avevano dovuto restituire cio' che ormai consideravano di loro proprieta', congiurarono contro Azzone e furono da lui arrestati nel novembre del 1333. Tra di essi c'era un Crivelli, mentre Lodrisio, che probabilmente era a capo della congiura, lascio' Milano e dopo essere rimasto in esilio per alcuni anni, assoldo' nel 1339 l'esercito licenziato da Mastino della Scala in seguito alla pace con Venezia, e attraverso Brescia, Bergamo, Cernusco e Sesto di Monza si porto' a Legnano. Quivi giunto prese a Marco Visconti era morto all'inizio del settembre del 1329 in circostanze misteriose. 47 riscuotere le tasse dovutegli dal Seprio: Legnano fungeva ancora una volta da base logistica e da quartiere generale, in questo caso pero' orientato in senso contrario a quello consueto. Cio' era dovuto al fatto che Lodrisio godeva grande autorita' in questa zona e forse aveva qualche titolo giuridico che giustificava il suo potere in questi luoghi: infatti si era portato subito a Legnano e vi aveva stabilito il campo, ben sapendo che non vi avrebbe incontrato alcuna resistenza, inoltre aveva ordinato che in questa localita' si recassero gli abitanti della zona per pagargli le imposte dovute. Ma anche questo tentativo non ebbe un esito migliore dei precedenti, perche' l'esercito di Lodrisio, scontratosi con quello milanese a Parabiago, dove era penetrato furtivamente il 21 febbraio 1339, dopo un successo iniziale dovuto alla sorpresa, subi' una rotta totale, mentre Lodrisio stesso fu fatto prigioniero. Eliminato Lodrisio, Giovanni Visconti, che alla morte di frate Aicardo, avvenuta il 10 agosto 1339, era stato eletto arcivescovo, e a quella di Azzone, avvenuta sei giorni dopo, era stato chiamato a succedergli insieme con il fratello Luchino, pote' riaffermare in pieno la propria autorita' su questo borgo favorendo la famiglia Oldrendi o Oldradi, di cui si servi' per realizzare i propri disegni politici su Bologna. Infatti Giovanni, dopo essere stato confermato arcivescovo dal papa nel 1342, si era dedicato totalmente agli affari ecclesiastici, lasciando a Luchino quelli della Signoria, ma alla morte di questi, assegnata la propria successione ai tre nipoti Bernabo', Galeazzo II e Matteo II, figli di suo fratello Stefano, si diede a governare personalmente. Nel 1350 ottenne da Giovanni de' Pepoli la signoria su Bologna in cambio di una ingente somma; giusto in quest'epoca giunse a Bologna il giurista Giovanni Oldrendi da Legnano, che compare in un mandato di pagamento del 1350 insieme a coloro che dovevano ricevere i pagamenti dal governo, non come lettori dello studio, ma per sevizi politici e amministrativi: probabilmente egli faceva parte di quel gruppo di fedeli dei Visconti che, inviati a Bologna per politico provvedimento, avevano preparato l'avvento dei signori di Milano. Il Legnano ebbe poi a Bologna una carriera sfavillante, sia come giurista che come uomo politico. Per quanto riguarda Giovanni Visconti, dopo aver incontrato l'opposizione della Santa Sede che rivendicava a se' Bologna, la restitui' nel 1352, al Sommo Pontefice e la riottenne da lui in vicariato, insieme con l'assoluzione dalla scomunica. Giovanni mori' poco dopo, il 5 ottobre 1354 e la signoria passo' ai tre nipoti Galeazzo II, Bernabo' e matteo II, che mori' l'anno successivo. La morte di Giovanni apri' anche il problema della successione alla cattedra arcivescovile: fu eletto Roberto Visconti, confermato anche dal pontefice. 48 Cio' provoco' gravi danni al patrimonio della mensa, perche', finche' il potere ecclesiastico e quello civile avevano fatto capo entrambi a Giovanni Visconti, vi era stata una grande confusione di competenze e, al momento di operare la divisione, risulto' assai difficile stabilire quali beni e diritti spettassero all'arcivescovo e quali ai signori di Milano. Cosi' i beni dell'arcivescovado diminuirono ulteriormente: furono perdute per sempre molte proprieta' e la stessa residenza dell'arcivescovo si ridusse ad una abitazione assai modesta, che non meritava neppure il titolo di palazzo. Anche questa volta pero' Legnano, sulla quale Giovanni aveva riaffermato il proprio potere, resto' di proprieta' dell'arcivescovado. Infatti nel 1361, quando la peste stermino' gran parte della popolazione dell'Italia settentrionale, i signori di Milano si ritirarono nei loro castelli di campagna e l'arcivescovo a Legnano, dove mori'. Queste le testimonianze: il continuatore del Manipulus Florum del Fiamma sotto l'anno 1361 dice: " Die VIII Augusti Robertus Vicecomes Archiepiscopus Mediolani in Legnano moritur"; l'autore degli Annali Milanesi afferma "Isto anno Robertus Mediolani Archiepiscopus in Legnano moritur de mense Augusti". Con la morte di questo arcivescovo si apri' per i beni della mensa un periodo assai infelice, perche', per la politica condotta dai due signor di Milano Bernabo' e Galeazzo II, quasi costantemente ostile al papato, i successori di Roberto, che furono, nel 1361, Guglielmo della Pusterla e, dieci anni piu' tardi, Simone da Borsano, non ebbero la possibilita' di prendere possesso del loro arcivescovado, mentre la politica dei Visconti, il cui potere si era fatto ormai solido, diveniva sempre piu' accentrata od esercitava un rigido controllo sulle terre del suo dominio. Da tempo ormai la Bulgaria era stata unita al Seprio e la Barzana alla Martesana e i due contadi principali avevano ciascuno un vicario, dotato di mero e misto imperio, con autorita' di giudicare tutte le cause civili e criminali senza alcuna limitazione. Quando poi a Galeazzo II successe il figlio Gian Galeazzo, nel 1378, egli dovette provvedere a limitare l'autorita' di questi vicari, che si stendeva ormai fino alle porte di Milano, per escludere dalla loro giurisdizione le terre attorno a Milano per un raggio di 10 miglia. Il borgo di Legnano aveva ormai perduti la sua importanza militare, mentre l'abbiamo visto ancora nel primo quarto del secolo XIV fungere da piazzaforte di confine a base logistica, volta a volta nelle operazioni militari contro il Seprio e contro Milano. Era nel contempo enormemente decaduta l'autorita' dell'arcivescovo, che conservava bensi' la proprieta' degli edifici e delle terre di Legnano, spettanti alla mensa, ma aveva ormai perduti qualsiasi potere civile sul borgo e se ne serviva solo come luogo di soggiorno. Legnano e' ormai 49 entrata nell'orbita delle famiglie nobili milanesi, le quali investono i loro capitali acquistando terre nel contado e recandosi a trascorrere i periodi di riposo e di festa. Quest'uso si fara' diffusissimo per Legnano nel secolo successivo comincia gia' nel presente a prendere piede, specie nella seconda meta'. Ne troviamo un'eco nella scorreria di una compagnia militare inglese proveniente dal novarese, che, nel 1362, assali' Legnano, Nerviano, Vittuone, Castano e Sedriano. Cio' avvenne secondo l'Azario nei primi giorni di gennaio e proprio in quei giorni festivi gli inglesi trovarono in tutti quei borghi famiglie nobili, che si erano recate a trascorrere le feste di fine anno in campagna. Inoltre negli statuti pubblicati da Gian Galeazzo nel 1396 si dice espressamente: "Quilibet civis vel capitaneus vel Vavassor habitator Mediolani possit ire ad Hbitandum in burgis, locis, vilis, cassinis, et molendinis, in quibus habet possessiones suas, et ibi possit stare a Kalendis Maij usque ad Sanctum Martinum, absque eo quod teneatur solvere, et sustinere aliquod cum Nobilibus, vel cum Communitate tam nobilium quam vicinorum". Qui si indica chiaramente l'usanza dei nobili a recarsi a soggiornare nelle loro proprieta' di campagna dall'inizio di Maggio all'inizio di Novembre e li si esenta dal sostenere i carichi murali, distinguendoli nettamente da coloro che vivevano nel borgo tutto l'anno. Ovviamente, trattandosi di famiglie nobili e potenti, la loro autorita' nel piccolo borgo si faceva in breve tempo grandissima anzi, col passare del tempo, era una sola di esse a dominare il borgo: cosi' in Legnano nel secolo XIV troviamo numerose famiglie nobili, ma nel secolo XV appare chiaro che i Lampugnani hanno ormai soppiantato tutte le altre, che, seppure non estromesse dal borgo, vivono ormai nell'ombra della famiglia dominante. Nel secolo XIV la famiglia piu' potente sembra essere ancora quella degli Oldrendi: infatti Gerolamo, nonno di quel Giovanni Oldrendi di Legnano giurista a Bologna, e suo padre Conte, sono signori di Oldrendo, Legnano, Legnanello e Cerro. Dal testamento di Giovanni da Legnano in data 27 marzo 1376 si ricava che i suoi fratelli erano Princivallo e Bianco. Appunto Princivallo, ai figli di Bianco, gia' morto, e a sua nipote Caterina, figlia di suo cugino Nioto anche egli gia' morto, concede l'usofrutto di tutti i suoi beni a Legnano e Cerro, costituendo erede universale il figlio Battista. In un codicillo del 15 febbraio 1383 revoco' poi l'usufrutto gia' concesso e lo limito' agli alimenti. Quindi questo ramo degli Oldrendi, sebbene si fosse gia' stabilmente trasferito a Bologna, conservava ancora notevoli proprieta' nel suo luogo di origine. Un'altra famiglia nobile che possedeva beni e autorita' nel borgo era quella dei crivelli, che vi aveva esteso il suo potere dalla sede originaria di Nerviano, seppure fosse rientrata un po' nell'ombra dopo l'insuccesso di 50 Lodrisio Visconti a Parabiago. conservava tuttavia grandi proprieta', che vendera' in parte ai Lampugnani nel secolo successivo. Un ramo dei Lampugnani stessi, diverso da quello che dominera' il borgo agli albori del 1400, doveva essersi stabilito a Legnano gia' dall'inizio di questo secolo, se crediamo al racconto del Cermenate circa il campo Guelfo in Legnano nel 1313: cio' sarebbe comprovato dal fatto che, quando Oldrado Lampugnani e la sua famiglia acquistarono beni nel borgo, alla fine del secolo XIV e all'inizio del secolo XV, tra i venditori vi furono alcuni discendenti da un ramo diverso dal suo. In questo secolo XV si stabili' a Legnano anche un'altra nobile famiglia, quella dei Vismara o Vincemala, nota nel borgo piu' per la sua attivita' a favore delle fondazioni religiose che per il suo peso politico. Gia' nel 1334 un Pudeo o Tadeo Vismara, pagava all'arcivescovo di Milano un livello per le terre in Legnano, nel 1357 da un atto del 26 gennaio risulta che " Vincimala Jacobinus coheret cum bonis Archiepiscopi Mediolani in burgo Legnani et dictus Jacobinus possidet in dicto burgo unum molendinum". Giocabino era figlio del predetto Taddeo e dovette insieme ai suoi figli, accrescere notevolmente le sue proprieta' in Legnano, giacche' vedremo quanto esse fossero vaste nel secolo successivo. Gli appartenenti alle famiglie citate vivevano per lo piu' a Milano, tranne forse qualche ramo secondario che si era stabilito a Legnano, e trascorrevano nel borgo solo la stagione estiva e i periodi festivi. Nel secolo successivo invece molti di loro si stabilirono definitivamente nel borgo e prenderanno parte attiva alla sua vita politica e sociale. 51 Le Origini Tratto da: Legnano nel Medioevo "Memorie Societa' Arte e Storia. Capitolo I°. Legnano sorge a mezza strada Tra Milano e i Laghi, sulle rive dell'Olona, nel punto in cui la valle di questo fiume, dopo un lungo tratto nel quale si presenta stretta e ripida e nel quale tocca tra gli altri gli abitati di Castelseprio, Cairate, Fagnano, Solbiate, Olgiate e Castellanza e si allarga e si abbassa. Da tutto ciò si comprende facilmente quale ruolo la posizione geografica abbia avuto nello sviluppo di questo borgo. () Infatti già in epoca preromana, essendo i traffici abbastanza vivaci da portare alla formazione nell'Europa centrale di un'unica cultura detta "La Tène", è presumibile che la valle dell'Olona fosse percorsa da una strada; questo fatto sarebbe confermato dal ritrovamento di tracce di borgate di epoca preistorica a Parabiago, Legnano e Castelseprio. In particolare quindi Legnano risulterebbe abitata da epoca remotissima e del tutto appare infondata, di conseguenza, la tradizione secondo la quale il villaggio sarebbe stato fondato dal console Lucio Licinio Grasso, Governatore della Gallia Cisalpina, il quale, guerreggiando in Val d'Olona con Quinto Muzio Scevola, avrebbe fondato il borgo imponendogli il nome Forum Licinii. (). Questa fantasiosa ipotesi, sempre secondo questa tradizione, sarebbe confermata dall'antico nome "Licinianum" che ricollegherebbe la fondazione, se non al console, per lo meno a qualcuno dei numerosi capitani che in questo esercito portavano il nome di Licinio. Su questa ipotesi non si può certo essere d'accordo, dal momento che non e' suffragata da alcuna testimonianza: inoltre non risulta altrove il toponimo "Licinianum", secondo l'Olivieri () il nome più antico sarebbe Lemoniano o Leminiano. Tuttavia questo toponimo, che compare in alcune carte medioevali, e tra l'altro Ledegnano, anch'esso attribuito al ( ) Da "Il territorio Insubre nella Eta' Romana" in Storia di Milano. ( ) Da Legnano, in "Legnano" ( ) Aggiunte al dizionario di toponomastica Lombarda in "Archicio Storico Lombardo", 1939, pag. 264 52 nostro borgo, non sembrano avere alcuna relazione con esso, mentre nel documento più antico e noi pervenuto il nome di Legnano, nella variante di Legnanello, suona Lenianellum. Per quanto riguarda il nome quindi l'ipotesi piu' probabile resta quella secondo la quale esso deriverebbe da un nome di persona (), probabilmente Laenius e Linius: si tratterebbe quindi di un aggettivo prediale sorto in eta' romana. Quale sia l'origine del nome, e' comunque certo che in questo luogo si ebbe uno stanziamento in epoca molto antica, forse da parte di una tribu' ligure rimasta isolata tra i boschi e sopravvissuta al generale insediamento gallico; questa ipotesi e' suffragata da substrati tipicamente liguri presenti nel dialetto locale. Cio' nonostante si sono avuti nella zona di Legnano alcuni importanti ritrovamenti di origine gallica: in particolare essi si riferiscono alla cosiddetta civiltà gallo-romana, cioè a quella civilta' nata dalla fusione dei Galli invasori con le popolazioni da loro sottomesse e successivamente con i Romani. (). I ritrovamenti in questione sono elencati dall'Ing. Sutermeister () che presenzio' personalmente ala maggior parte degli scavi, e attualmente raccolti nel museo civico di Legnano. I luoghi che hanno dato piu' cospicui ritrovamenti sono la zona del sagrato della chiesa quattrocentesca del monastero di Santa Maria degli Angeli, ormai da tempo distrutta (), la zona cosiddetta <DATA> ( <DATA>) e, a Canegrate, la zona a circa 100 metri dalla chiesetta di Santa Colomba (). Di altri ritrovamenti dello stesso tipo Sutermeister ( ) L'Olivieri a sostegno di questa ipotesi riporta l'esempio di Luminiano, anticamente Liminiano che deriva da Limenius, nome di persona. ( ) A. Passerini. ( ) da Legnano Romana, Legnano 1939 ( ) Si tratta di una tomba senza anfora cineraria e con corredo di ornamenti di epoca tipicamente gallica e di un' altra tomba con vaso cinerario e corredo di oggetti in bronzo. ( ) Tra l'altro n vaso gallico a . ( ) Da ciò Sutermeister argomenta la continuità attraverso i secoli di una zona sacra a vari culti successivi. 53 dà notizie che trae indirettamente da alcuni opuscoli e delle quali non si può trovare conferma essendo andati dispersi gli oggetti in questione. In particolare il Ricci () riferisce sul rinvenimento di una tomba di donna in una casa di Via Sempione (), mentre il Pirovano () ricorda i ritrovamenti fatti alla Cascina Ponzella e alla Cascina Buon Gesù. Difficile dunque dire quale sia stato effettivamente il peso avuto dai Galli nella storia della nostra città. Certo e' che, in quest'epoca, gli stanziamenti nella nostra zona avvenivano lungo le rive dei laghi e lungo le paludi; forse nella stessa Legnano esisteva allora una palude che farebbe pensare al tipo di terra presso il Castello () e l'insediamento sarebbe avvenuto dunque nelle terre piu' alte. Questa ipotesi sarebbe confermata dal fatto che, anche nei secoli successivi, la parte piu' bassa della valle, accanto al fiume, continuo' ad impaludarsi e dall'altro fatto significativo che i luoghi dei ritrovamenti di epoca gallica e romana corrispondono alla sommita' dei due modesti rilievi, che sovrastano l'Olona da un lato e dall'altro. Con l'avvento dei romani venne mantenuto sostanzialmente il rozzo ordinamento gallico che era costituito dalle singole tribu' che, riunite, formavano cio' che i Romani chiamavano civitates e che erano dotate ciascuna di un proprio territorio, detto da Romani Pagus e suddiviso in vici cioe' villaggi. Tuttavia le funzioni di questo schema di organizzazione furono limitate al campo religioso ed amministrativo. Probabilmente Legnano ebbe entro questo quadro la funzione di Vicus e fu assai forente, almeno a giudicare dalla tracce lasciate in essa dalla dominazione Romana. Infatti i centri rurali piu' floridi in questo periodo sembra fossero proprio quelli a nord-ovest di Milano; in particolare lungo la valle dell'Olona si sussegue una serie di vici la cui importanza e' testimoniata dalla quantità e dalla qualità dei ritrovamenti: Parabiago (), Legnano e, più a ( ) La Necropoli di Legnano. ( ) Vi sarebbero stati rinvenuti un chiodo, una punta di lancia, una armilla ed altro. ( ) Memorie Postume di Legnano, 1883 ( ) ( ) Vi sono ritrovati un sepolcreto, con tombe risalenti anche al secolo I a.C. ed una lanx argentea con figurazioni del ciclo di Cibele e Attis. 54 nord, Sibrium che deve la sua prosperità al fatto d trovarsi all'incrocio delle due vie della valle Olona e da Novara a Como, e che avrà un ruolo di primaria importanza nella storia di tutta la regione nei secoli successivi. Ma tornando in particolare a Legnano, come abbiamo detto, le testimonianze della vita romana nel nostro villaggio sono degne di essere prese in considerazione. Le zone di maggior interesse in questo senso si susseguono lungo le rive dell'Olona e precisamente, nel lato destro, da Castellanza a S. Giorgio e in quello sinistro, da Marnate a Legnano. Più precisamente nel lato destro incontriamo una vasta necropoli nella zona della chiesetta di S. Martino (), costituita per tre quarti da tombe cristiane e per un quarto da tombe tardo-pagane. Proseguendo incontriamo la celebre necropoli di via Novara, comprese tra le vie Novara, Firenze, Giusti: dalle monete ritrovate in queste tombe si può con una certa sicurezza datare l'intero complesso all'epoca dell'Impero da Augusto a Caligola (I sec. a.C. - 1 Sec. d.C.), a parte un piccolo gruppo di sepolture risalenti all'epoca di Licinio Costantino ( IV sec. d.C.). Le suppellettili trovate in questa necropoli corrispondono all'uso generale della Lombardia, vale a dire c'e' abbondanza di vasetti e scarsita' di oggetti in bronzo, poche monete e solo in bronzo; mancano quasi totalmente le armi, mentre sono frequenti gli oggetti collegati in qualche modo all'agricoltura e alla pastorizia . ( ) Secondo i calcoli di Sutermeister, questa necropoli compresa grossomodo tra le vie Roma, Garibaldi, Milazzo e Bellingera, avrebbe un'estensione di circa 60.000 metri quadrati e si collegherebbe perciò a beneficio di 27.000 pertiche, concesso nel secolo XV al monastero di S. Maria degli Angeli e situato a nord del monastero stesso, cioè proprio in questa zona. Questa necropoli presenta numerosi aspetti interessanti, tra cui una kisteriosa divisione interna tra nord-est a sud-ovest tra due settori, quello di levante a sepolture piu' modeste, l'altro assai ricco. Questa 55 Sempre proseguendo lungo il lato destro dell'Olona troviamo, presso l'attuale cimitero, la necropoli della cosiddetta "costa di San Giorgio", che si puo' datare all'incirca al secolo II° d.c. e comprende tombe ad inumazione e incenerizione, divise in due settori . Tracce di tombe dell'epoca augustea sarebbero state scoperte anche a San Giorgio a ponente della via Umberto I° e in altri luoghi, ma se ne hanno notizie vaghe e indirette. Dal lato opposto del fiume si sono avuti ritrovamenti dell'epoca augustea presso Marnate, andati dispersi; inoltre altre tracce di tombe si sono ritrovate nella zona detta "paradiso" e sepolture del basso impero a Legnanello, nella zona che porta il significativo nome tradizionale di "La Morta". Proseguendo lungo questo lato del fiume non si sono fatti altri ritrovamenti, perche' il declivio, anticamente abbastanza scosceso, e' stato poi corretto nel corso dei secoli per permettere la coltivazione: si tratta infatti della zona dei cosiddetti "colli di S. Erasmo" che, coltivati a viti dai tempi assai remoti, producevano un vino assai rinomato fino a qualche decennio fa. Nella zona di legnano si sono ritrovate anche alcune are e precisamente un'ara dedicata a Diana, a Gorla Maggiore, a Vulcano e San Giorgio, e ad una divinita' imprecisata, a Rescaldina; inoltre a Legnano si e' ritrovato un cippo funerario, alla cascina San Bernardino, un cippo votivo a Vulcano ed un cippo di epoca imperiale, a Legnanello. Da quanto si e' detto sopra, si possono trarre alcune considerazioni di carattere generale. Una prima osservazione ci e' suggerita dal fatto che, come si diceva sopra, dall'esame delle numerose tombe rinvenute a Legnano e' risultata evidente l'abbondanza di oggetti legati all'agricoltura e ancora di piu' alla pastorizia, mentre mancano, invece, totalmente le armi. Se ne puo' concludere che il nostro borgo in epoca romana non era un presidio militare fortificato, ma un centro rurale nel quale le condizioni del tempo rendevano piu' redditizio coltivare a cereali i terreni bassi e differenza non sembra giustificata secondo Sutermeister ne' dalla diversa epoca ne' a discriminazioni di natura economica-sociale. La presenza di una specie di fossa comune, un poco discosta dalle altre tombe, ha fatto pensare a Sutermeiister che la peste del 252 / 266 d.c. abbia colpito,, e in misura abbastanza considerevole, anche Legnano. 56 vicini alle abitazioni, i quali, essendo vicini al fiume, erano anche i piu' fertili, e lasciare a pascolo le terre piu' alte. Non sembra peraltro che in legnano venisse esercitata una particolare attivita' industriale: l'artigianato, anche nei secoli successivi, fu sempre di entita' assai modesta e strettamente limitata alle necessita' locali. Forse si puo' congettuare, dalla frequenza con cui si ripetono certi marchi di fabbrica, che il borgo abbia avuto in epoca romana delle fabbriche di terracotta, per lo piu' di qualita' semplice ma di un certo livello artistico. Queste osservazioni si accordano col quadro generale della campagna milanese in questo torno di tempo: la base dell'economia e' sempre di carattere agricolo. Cio' sarebbe confermato anche dalla toponomastica della zona che, come nel caso di legnano, consente frequentemente di ravvisare un collegamento tra il nome del villaggio e quello di colui che vi possedeva un fondo; cio' sarebbe da attribuirsi al fatto che nel catasto romano la registrazione dei fondi avveniva sotto il nome del proprietario . D'altra parte la frequenza di questi toponimi porterebbe ad escludere la presenza qui di grandi latifondi i quali sarebbero, in ogni caso, abbastanza improduttivi in una zona dove il terreno, fertile e pianeggiante, suggerirebbe gia' di per se' uno sfruttamento intensivo. Circa le coltivazioni, sappiamo da Polibio e Strabone che questa zona dava straordinaria abbondanza di prodotti agricoli, in particolare frumento, rape, ortaggi vari in genere e soprattutto vino. Era praticato anche l'allevamento dei suini e degli ovini, che produceva lane pregiate, lavorate in loco e che era strutturato sulla base di tante piccole greggi e non assumeva la forma del pascolo estensivo. La proprieta' della fertile terra di questa zona costituiva di per se' una certa ricchezza, ma le condizioni dell'agricoltura di quel tempo non erano tali da consentire un reddito abbastanza alto da permettere al proprietario di vivere in citta', disinteressandosi della coltivazione. Questo stretto legame fra il proprietario e la sua terra fu uno dei fattori di sviluppo dell'agricoltura locale e fece si che, essendo questa zona assai intensamente popolata e ben sfruttata, risentisse meno delle altre del contraccolpo della crisi economica che colpi' lo stato romano nel periodo del tardo impero, benche' un certo impoverimento progressivo si avverta anche nella stessa Legnano, ad esempio nel corredo funerario, sia qualitativamente che quantitativamente. Questa osservazione confermerebbe la tesi dell'Olivieri che fa derivare il nome di Legnano da quello di una persona. 57 Legnano comunque, come tutta la zona circostante, gravito' sempre su Milano e risenti' profondamente di tutte le modificazioni di carattere politico-economico, che nel corso dei secoli mutarono la struttura sociale della citta'. Cosi' appunto quando la situazione militare del basso impero, minacciato da nord, porto' alla ribalta Milano, divenuta improvvisamente la chiave di volta di tutto il sistema difensivo, anche la campagna circostante risenti' della mutata situazione. Infatti quando la corte imperiale si trasferi' a Milano, si ebbe in quella citta' una notevole concentrazione di capitali, che trovo' il suo sbocco naturale, secondo la concezione romana, nell'investimento terriero. Si formano cosi' nuove, ma esiterei dire grandi, proprieta', nelle quali erano mutate soprattutto il rapporto fra il proprietario con le sue terre: trattandosi di grandi personaggi di corte, il centro dei loro interessi era Milano e nella sua campagna trascorrevano, al piu', periodi di riposo in sontuose ville. Questa apparente prosperita' e' tuttavia un prodotto artificioso della presenza a Milano dell'apparato burocratico imperiale, che fa di questa citta' un'isola di ricchezza nella generale decadenza. In realta' la crisi economica che travaglia l'impero non tardera' a rivelarsi anche qui, non appena questa illusoria "estate del morti" avra' chiuso il suo corso e le invasioni barbariche avranno liquidato definitivamente gli ultimi resti dell'impero. 58 Le origini Tuttavia possiamo tentare di rifarci alle testimonianze costituite nella necropli di Canegrate: quasi duecento sepolture affiorate nel 1926 durante gli scavi che aveva disposto l'ing. Guido Sutemeister, uno dei piu' appassionati ricercatori di storia legnanese. Solo piu' tardi nel 1952, il prof. Rittatore pote' approfondire gli studi esplorando completamente la necropoli. I risultati di questa indagine paletnologica permisero di configurare la zona del territorio di Legnano con forme di vita pur primordiali ma abbastanza geniali e organizzate. I primi progenitori della cittadinanza legnanese, stando ai risultati degli studi che avevano preso avvio alla "civilta' di Canegrate" dovevano appartenere ad una tribu' ligure, che si era insediata in quella larga fascia di terreno incassata in mezzo a due zone collinari e solcata dal fiume Olona, anticamente chiamato Vepra, quindi Oleunda, e poi Orona. Qui i primi abitatori di legnano avevano impiantato le loro capanne sui rilievi piu' riparati e sicuri dalle periodiche inondazioni del fiume e poco oltre l'attuale "Costa di San Giorgio" avevano il loro cimitero. Ed e' appunto la necropoli di Canegrate che ci offre la prima traccia storica di sicuro affidamento per costruire quale poteva essere l'attivita' e la natura dei nostri progenitori. Indubbiamente erano agricoltori o pastori che traevano dalla terra e dal bestiame di che vivere. L'Olona doveva essere anche molto pescoso; ed ecco un altro facile alimento. Cominciarono in un secondo tempo a lavorare la lana e a tessere i primi rozzi indumenti per ripararsi dal freddo e dalle intermperie. Intorno a questo avvallamento naturale popolato vi erano boschi e brughiere. L'insediamento di questa tribu' celto-ligure doveva costituire una specie di isola in mezzo ad una zona non ancora esplorata ed arida. Il che spiegherebbe anche come questi abitatori abbiano conservato le loro tradizioni e il loro linguaggio. Ed e' un fatto che la diversita' del dialetto legnanese da quello di Gallarate e Saronno. Tuttavia vi furono nel IV° secolo a.c. delle infiltrazioni galliche come e' dimostrato da alcune tombe tipiche dei galli che sono state ritrovate nei sepolcreti della zona con i relativi oggetti e attrezzi solitamente in uso tra le piu' potenti tribu', che erano guidate dal condottiero gallo BELLOVESO, sceso in Italia seicento anni prima di Cristo. Il fatto che le tribu' che si erano stanziate nella fascia legnanese dell'Olona avessero gia' una loro personalita' ed una civilta' tenace, e' proprio confermato dal 59 mantenimento del primitivo dialetto ligure, non soffocato dall'influenza dei nuovi venuti. Come ha annotato anche il prof. Augusto Marinoni, nel dialetto legnanese vi sono caratteristiche ben precise, come la conservazione delle vocali finali delle parole, quali: tempu, vegiu, laci, genti, cadute nei territori piu' influenzati: temp, vecc, lacc, gent, cartteristiche che si riscontrano tanto a Legnano ( ed anche nella confinante Busto Arsizio con ceppo comune nella popolazione) come a Genova e in tutta la Liguria. Stando ai ritrovamenti e agli scavi fatti, non solo attorno alla necropoli di Canegrate, ma anche in altre zone dell'attuale citta' si e' potuto tracciare una mappa delle abitazioni dei primitivi abitatori della futura Legnano. Essa si estendeva lungo un tracciato che occupava un'area di circa un chilometro quadrato con case disposte ai lati collinosi del percorso dell'Olona e sull'altura di ponente (alla quale si accedeva all'incirca lungo l'asse dell'attuale via Lega) ora occupata da piazza Monumento e dal primo tratto della via XXIX Maggio. Il territorio venne successivamente aggregato alla regione Insubria che aveva come capoluogo Castelseprio. Gli Insubri, fondatori di Milano, di tutto il Piemonte, della Lombardia e dell'Emilia, vennero profondamente gallicizzati anche nella lingua. La civilta' gallica, dopo questa aggregazione, si ramifico' anche nel territorio sul quale piu' tardi dovra' formarsi Legnano ed il tipo gallico, nelle caratteristiche somatiche, lo si puo' riscontrare in qualche vecchio ex contadino della zona: capo oblungo, fronte spaziosa, naso leggermente ricurvo verso il basso, mento promimente. Nel 222 a.c. i romani soggiogarono queste popolazioni. Le terre vennero poi occupate nel 93 dal triumviro Lucio Licinio Grasso. Inizia cosi' il periodo Imperiale-Romano, seguito dall'epoca delle dominazioni barbariche alle quali anche la zona della futura Legnano non dovette certo restare estranea. I Longobardi vi si installarono in quanto avevano notato in questa plaga una certa raffinatezza di vita delle popolazioni e quindi prospettive future a loro favorevoli. Questo periodo di benessere che attravervavano le popolazioni legnanesi, si puo' dedurre della ricchezza degli ornamenti, oggetti ed armi affiorati in seguito a ricerche archeologiche. Quanto al toponimo "Legnano" vi sono state in passato varie dispute di studiosi di toponomastica non tutti concordi sulla derivazione del nome della citta'. Le varie tesi (come quella che sosteneva fosse LADEGNANO 60 il nome piu' antico) non erano suffragate da documenti probanti. La piu' accettabile, invece, e' quella del prof. Marinoni che perviene alla conclusione che il toponimo "Legnano" contiene il nome di un antico proprietario terriero. "Laenius", di eta' romana, ampliato non il suffisso, pure romano, -ano, fino a formare Laeniano o Laenianum. Se le testimonianze della nostra preistoria si sono affidate a sepolcreti di Canegrate, i documenti archeologici che attestano la presenza romana a Legnano sono imponenti: centinaia di tombe romane sono affiorate un po' ovunque nel territorio sul quale si estende oggi la citta'. Anche gli oggetti rinvenuti nelle sepolture comprovano che la popolazione, pur continuando ad essere dedita all'agricoltura ed alla pastorizia, aveva gia' cominciato a trovare fin d'allora le prime applicazioni a carattere artigianale. Dalla tosatura delle pecore, alla filatura, alla tessitura della lana e quindi alla lavorazione delle pelli degli animali. Alcuni dei rozzi strumenti di lavoro rinvenuti nelle sepolture sono conservati nel Museo Civico e rafforzano tali testimonianze. Da questo imponente complesso di reperti archelogici si rileva come Legnano ed il suo territorio in eta' romana fosse popoloso e le genti che vi operavano, sfoggiassero gia' una certa agiatezza. Anche il notevole numero di armi di varie foggie (alcune anche di forma inconsueta) farebbero pensare ad una attivita' primordiale artigianale di discreta genialita' nella fabbricazione di oggetti atti alla difesa e all'offesa. Nel periodo della dominazione longobarda si svilupparono lungo il corso dell'Olona i mulini dei quali se ne trovano tracce fin dal IX° secolo. Notevole incremento diedero all'attivita' agricola gli arcivescovi di Milano che ebbero in feudo da Carlo Magno la zona di Legnano, e curarono in modo particolare appunto i mulini, dai quali evidentemente ricavavano notevoli utili. L'agreste pace operosa che regnava tra le popolazioni della zona subi' delle scosse nel corso delle lotte tra i vari pretendenti alla investiture e i confini tra Stato e Chiesa. Ecco che anche a Legnano si consolido' il principio della erezione di un Comune con una forma autonoma di governo, dove i cittadini provvedevano in proprio a difendere la liberta' contro i soprusi degli imperatori e dei loro nobili aggregati. Facevano parte di Legnano Rescaldina, San Giorgio e Castellanza. In questo periodo vediamo sorgere il primo simbolo di unione tra i comuni lombardi, il Caroccio, che innalzava la croce quale simulacro di fede ma 61 anche di unione tra le popolazioni, preoccupate di difendersi dalla baldanza e dalle angherie dell'imperatore Federico Barbarossa. La Lega dei Comuni lombardi non fu che il naturale sfogo nel tentativo di scrollare per sempre dai Comuni il giogo imperiale. La Battaglia di Legnano, che nel 1176 si inseri' quasi come un epilogo a questi primi moti di ribellione, rappresento' appunto il primo fatto d'armi che vedeva combattere fianco a fianco i cittadini di diversi comuni e che avevano lasciato da parte gli interessi e le egemonie individualistiche per affrontare il comune oppressore. E in questo clima si inquadra la disperata ed estrema difesa attorno al Carroccio che si concluse vittoriosamente il 29 maggio 1176 nelle campagne tra Legnano e Busto Arsizio. Al periodo posteriore alla battaglia di Legnano si fanno risalire varie costruzioni agricole e palazzi fortificati e sontuosi che preludono ad un'epoca di splendore. La Battaglia di Legnano e la successiva pace di Costanza offrirono un po' piu' tranquillita' anche alle popolazioni del legnanese. Il XII° e XIII° secolo furono caratterizzati da una rinascita intellettuale e spirituale. E' in questo periodo che vennero costruiti nuovi conventi, ospizi, opere di beneficenza e vennero abbellite le chiese e gli edifici. Il periodo di maggiore prosperita' per il borgo di Legnano risale ai secoli XV° e XVI° quando cioe' molte famiglie nobili milanesi avevano consolidato i propri possessi adattando anche in loco sedi per i loro soggiorni estivi ed in questo periodo di splendore coincide appunto con la costruzione della basilica di San magno. Ma la storia elargisce alternativamente gloria e decadenza, splendore e miseria, ed il secolo successivo segno' anche per Legnano come per tutta la Lombardia un infausto periodo: la peste e le guerre ridussero la popolazione addirittura dell'80% e causarono la miseria. La pellagra fu la sua prima comparsa e proprio a Legnano venne descritta compiutamente e vi furono specialisti in grado di curarla con notevole efficacia. Legnano ebbe il triste primato del primo pellagrosario che si ebbe nel convento di Santa Chiara (la costruzione che in parte ancora resta all'ex n. 5 di Corso Italia, nell'isolato tra largo Seprio e via Giolitti). Tra il XIX° secolo Legnano era un borgo di circa 4000 anime, concentrato nei due nuclei abitati attorno alla basilica si San Magno con estensione verso Ovest e al di la' dell'Olona in quel di Legnanello. L'abitazione dei contadini legnanesi aveva una forma ben individuata: un grande cortile rettangolare con il caseggiato verso la strada e la cascina 62 sul lato opposto; agli altri due lati le stalle e i depositi, Fino ad ora l'economia del Borgo di Legnano si fondava sull'agricoltura e sulla attivita' dei molini, olche che sull'artigianato che, come abbiamo visto, ebbe gia' le prime espressioni nell'epoca romana. Soltanto il commercio e l'artigianato, nel quale ultimo scaturirono poi le industrie che poi consolidarono l'agiatezza di Legnano in epoca piu' vicina alla nostra, frutto' all'economia locale qualche ricchezza che non usciva dalla cerchia del borgo. L'agricoltura dava infatti forti rendite ai proprietari terrieri che per lo piu' risiedevano a Milano o in altre citta' Lombarde. La storia piu' recente e, se vogliamo, un po' quella attuale, per quanto riguarda la conformazione economica e industriale di Legnano si e' sempre trascinata il retaggio di quella struttura, rimasta a caratteristica a differenza, ad esempio, di Busto o di Gallarate. Gli imprenditori che hanno avuto grandi fortune nel periodo dell'industrializzazione, provenivano dall'esterno e continuarono a mantenere fuori dalle mura cittadine le loro residenze. 63 Storia: Galli e Romani Mancano nel nostro territorio le tracce della presenza etrusca, la cui espansione verso nord, dal secolo VI in poi, interesso' la zona lombarda tra i laghi Maggiore e Garda. Famosa a tal proposito la stele di Vergiate impreziosita da un'iscrizione che documenta l'arrivo della scrittura in questa parte d'Italia. E mancano pure le testimonianze della cultura veneta, presente a Sesto Calende in due tombe di guerrieri e, presso Como, con un bellissimo carro da parata. Si pensa siano stati gli Etruschi, pressati a sud dai Romani, a chiamare d'Oltralpe i Galli, perche' combattessero contro i nemici latini. Il dominio dei Galli fu cosi' grande da raggiungere la stessa Roma. Le tribu' del secolo quarto a.C. che s'installarono in Lombardia, si chiamavano Insubri e fondarono Milano. La loro presenza si concentra in alcuni punti, come il lago d'Orta, la Lomellina, il Canton Ticino, ma si dirada nella zona legnanese. Sutermeister parla di tombe gallo-romane ossia di un periodo alquanto tardo. Vero e' la presenza gallica non arresto' ne' sostitui' la cultura di Golasecca con una probabile convivenza celtoligure e un reciproco influsso tra le due culture. Della presenza gallica a Legnano dovrebbero testimoniare i reperti raccolti da Aristide Mantegazza, descritti da Serafino Ricci e riferiti dal Sutermeister in Legnano Romana. I piu' importanti si trovarono nell'attuale corso Sempione dentro un'anfora. Altri descritti dal Castelfranco sono certamente romani, alcuni addirittura barbarici, sparsi in vari punti del suolo legnanese. Anche il maestro Giuseppe Pirovano, che nel 1833 scrisse le Memorie su Legnano e ci ha conservato nei suoi dipinti alcuni aspetti di Legnano fine Ottocento, accenna a molte antichita' romane ritrovate sulle due coste che affiancano il borgo di Legnano alla distanza di mezzo chilometro. Cio' conferma quanto si e' detto sulla necessita' di sepellire i morti sui rialzi laterali dell'avvallamento dell'Olona, per sottrarli alle annue inondazioni. Nel 1928 durante gli scavi per la costruzione del Museo Civico vennero alla luce anfore cinerarie preromane con oggetti di bronzo. Sutermeister le defini' simili a quelli di Giubiasco e anche, per i disegni traslucidi, a quelli del Canton Ticino "ove nel groviglio di molte tombe vicine, c'erano due gruppi etnici, quello dei Galli e quello dei Liguri. Le tombe che ivi offersero vasi con disegni geometrici traslucidi risultarono essere di Liguri 64 facilmente riconoscibili perche' erano inumatori mentre i Galli contemporaneamente ivi presenti erano crematori. Se ora aggiungiamo che la nostra urnetta pur dovendo essere coeva a quelle analoghe di Giubiasco apparteneva pero' ad un Gallo perche' conteneva le ceneri del morto, concludiamo che i rapporti fra le due stirpi diverse, ma vicine, fossero attivi poiche' l'una assorbi' le costumanze dell'altra" (Legnano Romana p.38). Ottima conclusione che pero' toglie forza alle affermazioni precedenti, non essendo piu' la costumanza dell'incinerazione o inumazione argomento sufficiente per determinare l'etnia del defunto. Scrive infatti Ferrante Ritattore che i riti diversi non sempre indicano diversita' d'origine, ma possono essere acquisiti anche mediante pacifici rapporti. "La Valle Padana a nord del Po e' occupata dall'unica facies culturale di Polada, sulla quale s'inseriscono gruppi d'inceneritori (cultura di Canegrate) legati alle genti transalpine della Urnenfelderkultur e accompagnati da elementi terramaricoli. Viceversa nell'eta' del ferro troviamo due gruppi culturali ben differenziati, Este e Golasecca, di cui il primo e' senz'altro da attribuirsi ai Veneti.. il secondo e' da attribuirsi a stirpi liguri che occupavano la Lombardia, il Piemonte e la Liguria" (l?Italia Storica, Milano, T.C.I. 1961, p.26,27). Si consideri inoltre che la vicinanza topografica dei reperti non indica di per se' contemporaneita'. Soprattutto e' da considerare il fatto che i movimenti migratori hanno mescolato oggetti originari di culture diverse. Giustamente Sutermeister ci ricorda che nel periodo galloromano si verifica la stessa mescolanza dell'idria romana colla brocca a trottola gallica (L.R.p.51) e puo' ben darsi che un romano usasse la brocca e un Gallo l'idria. I reperti romani a Legnano sono numerosi e diffusi su un ampio spazio. I piu' importanti appartengono alla necropoli di via Novara, dove, nel 1925, il Sutermeister scopri' circa cento loculi, di cui una trentina intatti. Contenevano monete sicuramente databili da Augusto a Caligola (33 a.C.- 41 d,C.) e da Licinio a Costantino (307-337 d.C.). Dunque sono mescolate insieme testimonianze distanti fra loro oltre trecento anni. Altri loculi isolati furono rinvenuti in citta'. Importante e' la necropoli della costa di S.Giorgio, poco oltre l'attuale cimitero monumentale con altre anfore e monete tra il primo e quarto secolo d.C. Ancor piu' interessante la necropoli di S.Lorenzo di Parabiago con molti sepolcri, ma purtroppo con poche anfore intatte. Vi si trovarono trentasei monete del primo secolo d.C. e una suppellettile piu' varia e piu' costosa: patere decorate, piattini metallici, lacrimari di vetro in forma di colomba e un bellissimo specchio in lega di antimonio levigato. Sutermeister ne dedusse che i poveri stavano a Legnano, i ricchi a San Lorenzo. Aggiungiamo pure Parabiago considerando l'ormai famoso e 65 preziosissimo piatto d'argento lavorato a sbalzo e bulino, pesante tre chili e mezzo. Copriva la bocca di un anfora cinerariaed e' una testimonianza forse tarda del culto pagano di Mitra. Adriana Soffredi l'attribuisce all'eta' di Teodosio (seconda meta' del quarto secolo), quando Milano era divenuta una grande capitale con officine di argentieri e di orefici capaci di fornire un'opera del genere(Soc.Arte e Storia, Il Museo Civico Guido Sutermeister, Legnano 1979, p.32). Il tema religioso e' ancor presente in una elegante iscrizione in bei caratteri sopra un ossuario: VOLCANO / V(otum) S(olvi)L(ibens)M(erito). S.Lorenzo, Parabiago, Legnano,Castellanza formarono probabilmente un gruppo di abitati molto vicini tra loro, non separati da divisioni amministrative. Risalendo il corso dell'Olona nella Val Morea le testimonianze romane continuano a Olgiate, Prospiano, Gorla Minore e alcuni reperti devono essere finiti in famiglie private. Dall'insieme delle descrizioni di Sutermeister si ricavano indizi di una vita laboriosa e tranquilla. Spesso le urne contengono strumenti di lavoro indicanti la professione del defunto: il coltello da cucina della casalinga, il coltello pugnale del lavoratore, la cesoia a molle del pecoraio, il raschiatore del lavoratore di pelli, l'ago del sarto, lo specchio della signora e cosi' via (p.10). Solo a Castellanza pare si siano trovate alcune spade, punte di lance da far supporre la presenza di un presidio militare in un luogo di interesse strategico, ma si tratta soltanto di notizie riferite su reperti perduti e non controllabili. Coll'avvento della fede cristiana e la progressiva scomparsa del paganesimo si torna al rito dell'inumazione colle tipiche sepolture a sezione triangolare formate da tredici tegoloni. Col decadere della floridezza economica anche questi sepolcri scompaiono; i cadaveri sono deposti nella nuda terra, facile preda della decomposizione che cancella ogni resto.Ovviamente qui non ci proponiamo di descrivere analiticamente i reperti archeologici, ma di considerare, per grandi linee, anche in assenza di documenti, le vicende del territorio, che certamente influirono per via diretta o indiretta sulle sue popolazioni. I Romani giunsero in Lombardia sconfiggendo i Galli a Casteggio nel 225 dopo Cristo, ma sconfitti da Annibale nel 218, dovettero ritirarsi per tornare vent'anni dopo schiacciando gli Insubri a Como (197) e conquistando Milano (191). Sappiamo che essi non usarono metodi violenti per romanizzare gli abitanti, lasciati liberi di parlare la loro lingua e di praticare i loro costumi. La conquista spirituale avvenne lentamente per l'attrazione esercitata dalla superiorita' culturale dei vincitori, favorita dalla costruzione di una fitta rete stradale percorsa da traffici intensi, dall'istituzione di scuole, tribunali ed organismi amministrativi saldamente governati da Roma. A 66 poco a poco i linguaggi locali si spensero e l'unificazione linguistica si estese su tutto il territorio dell'Impero. I primi secoli dell'era cristiana furono prosperi. Augusto divise l'Italia in undici regioni, l'ultima delle quali, detta Transpadana, a nord del Po e ad ovest dell'Oglio, comprendeva le nostre terre. Diocleziano ridivise l'Italia settentrionale in sette distretti, tra i quali la Liguria con capitale Milano. Purtroppo il Basso Impero fu un'eta' di decadenza economica, demografica e di gravi ingiustizie. Sparito il controllo governativo il paese si trovo' nelle mani di funzionari corrotti, preoccupati solo di riscuotere tasse dalle classi inferiori, mentre i grandi proprietari le evadevano tranquillamente. La miseria costringeva a volte a vendere i figli come schiavi. Di questa situazione dovettero soffrire anche i Legnanesi e ce lo dice il confronto tra la ricchezza dei reperti del primo secolo colla poverta' di quelli del quarto e sopratutto col silenzio dei secoli successivi. Anche il numero degli abitanti dovette diminuire paurosamente, se pensiamo che da un milione e cinquecentomila gli abitanti della citta' di Roma si ridussero nel quinto secolo a quattrocentomila e un secolo dopo a soli ventitremila. 67 I BARBARI La triste situazione peggiora ulteriormente durante i regni barbarici. Caduta Roma, l'Italia e' sotto il dominio dei Goti comandati da Odoacre. L'impero romano d'Oriente sollecita gli Ostrogoti a calare in Italia colle loro donne e bambini. Odoacre e' vinto e ucciso. Il nuovo signore Teodorico assegna un terzo delle terre occupate ai suoi Ostrogoti, pone la capitale a Pavia, ma lascia intatte le istituzioni preesistenti. Per la stessa incapacita' e l'inferiorita' culturale del suo popolo deve accettare la collaborazione dei vinti senza pero' che le due popolazioni, l'ariana e la cattolica, si fondano insieme. Per alquanto tempo accetta i consigli degli ultimi rappresentanti della cultura romana, Cassiodoro, Simmaco, Boezio; ma quando l'Impero d'Oriente intensifica la lotta contro gli ariani, Teodorico infierisce contro i maggiorenti latini e fa uccidere Simmaco e Boezio. Bisanzio ebbe fortuna nel liquidare il potere gotico e nel riprendere il dominio d'Italia, devastata e colpita da carestie e pestilenze. Di male in peggio, una quindicina d'anni dopo una nuova invasione barbarica s'abbatte sull'Italia. Un popolo rozzo e brutale, gia' disceso dalla Scandinavia fino al Danubio, trasmigra nella pianura Padana (568) spingendosi fino nell'Italia Meridionale. Solo Puglia e Calabria, le isole e le citta' di mare rimangono all'Impero d'Oriente. Le conseguenze dell'invasione sono terribili: tremende distruzioni, popolazioni abbandonate ai soprusi e alle rapine dei vincitori, miserie e malattie. Quelli tra i maggiorenti che sfuggono alle stragi si rifugiano a Ravenna, a Genova, nelle isole della laguna veneta. Le cose migliorano quando la regina Teodolinda, da Monza spinge i suoi Longobardi a seguirla nella conversione al cattolicesimo e ad aprirsi all'influsso civilizzatore dei Latini. Il re Agilulfo adotta una politica filocattolica. Dona a Colombano una vasta proprieta' su cui il santo monaco costruisce il monastero di Bobbio, dove i residui tesori della cultura classica sono conservati e tramandati fino a noi; ma nonostante il relativo miglioramento si puo' dire che sotto i Longobardi l'Italia tocca il fondo della sua decadenza. E' impossibile che a cosi' tragiche vicende i Legnanesi siano del tutto sfuggiti. Della presenza longobarda si hanno indizi in alcuni reperti, come la tomba del guerriero con lungo spadone nel prato di S.Magno dietro il Castello (Sutermeister, L.R., p.22), un luogo dove non ci aspetteremmo i sepolcri. Un segno piu' sicuro e' dato dal toponimo di due vicine localita': Olgiate Olona (in dialetto Ulgia' da un precedente Olza') e Ulza' (la chiesetta della Madonna 68 d'Ulza', italianizzato nel Quattrocento in Dio el sa) a Parabiago nei pressi dell'Olona. Si tratta di un termine d'origine longobarda: aiuta, prato verde. Il popolo longobardo numericamente esiguo fu infine assorbito dalla popolazione latina, che ne conserva alcuni vocaboli e alcuni toponimi tuttora in uso. Ricordiamo il vocabolo schirpa, che indicava la dote della sposa, fino alla passata generazione. 69 Il Dialetto Duemila anni prima di Cristo, data approssimativa del più antico reperto legnanese, l'Italia nord occidentale (gli attuali Piemonte, Liguria, Lombardia) era abitata da popolazioni di origine ligure, mentre la parte orientale era abitata dai Veneti. Queste sono indicazioni generali che coprono una realtà linguistica in massima parte a noi sconosciuta. Del ligure sono rimaste poche tracce della toponomastica, faticosamente analizzate e ricostruite dai linguisti che le classificano come preindoeuropee almeno nello strato più antico. Già nel corso del secondo millennio la valle del Po è percorsa da vari gruppi etnici penetrati dall'Oltralpe e può darsi che fra essi non mancassero gli indoeuropei, certamente presenti nell'Italia centro meridionale. A proposito delle urne biconiche di Canegrate si è parlato di Celti, ma il loro maggiore studioso, Ferdinando Rittatore, scriveva nel 1961: "Caduta ormai la vecchia teoria cara agli studiosi del secolo scorso sull'appartenenza dei popoli incineratori agli invasori indoeuropei .. è prevalsa l'idea che i riti diversi non sempre indichino diversità di origine, ma possono essere acquisiti anche mediante pacifici scambi. Il problema dell'origine dei popoli italici si è fatto cosi' ancor più difficile". Celti o non Celti, sta di fatto che molti secoli prima di Canegrate, certamente imparentato colle vicinissime popolazioni di Besnate e del Varesotto, tutte di stampo ligure, ed è difficile credere che vi fosse una netta separazione tra chi abitava al di la' del fiume e chi seppelliva i morti di qua. E ovvio pensare, quanto mai, a fusione culturale. Bisogna inoltre distinguere le eventuali infiltrazioni celtiche attorno al mille a.c. dalla vera e propria invasione gallica del IV sec. a.c. che muto' l'assetto politico, culturale e linguistico dell'Italia Settentrionale. Quando si parla di ligure o celtico non si deve pensare a una parlata identica su territori molto vasti. La lingua è uno strumento di comunicazione che diventa uguale solo tra chi comunica intensamente con tale strumento. L'unificazione linguistica di un territorio è il frutto delle correnti di scambio culturale tra i vari centri abitati. All'interno di ciascun centro la lingua è in continua evoluzione, generazione dopo generazione, e le singole innovazioni si diffondono con diverso successo attraverso i contatti tra centro e centro. Non si può credere che scambi commerciali e culturali fossero nei territori di allora cosi' intensi da rendere comune per tutti uno stesso identico linguaggio. E ovvio che pur partendo da una base comune la lingua parlata in ogni centro abitato fosse individualmente 70 caratterizzata da varietà particolari, come avverrà in seguito in misura anche superiore nella diversificazione del comune latino nelle infinite varietà dialettali e locali. La vera unificazione linguistica è stata invece realizzata dai romani senza imposizione violente, ma con una organizzazione capillare su tutto il territorio. Grandi costruzioni di strade su cui scorreva un grande volume di traffici, organizzatori di valide strutture amministrative e infine portatori di una cultura enormemente progredita, essi crearono le premesse, perché tutte le popolazioni locali potessero nel corso di alcuni secoli acquisire una cultura comune. A poco a poco Celti, Liguri, Veneti, Etruschi ecc. dimenticarono i nomi con cui i loro antenati chiamavano il padre, la madre e cosi via e tutti dissero pater, mater ecc. Come sempre avviene quando si impara una lingua straniera e si attraversa un periodo di bilinguismo, le due lingue intragiscono fra loro. Le abitudini articolatorie con cui si pronunciano i suoni della lingua locale si applicano ai suoni della lingua importata, che assume cosi' un colorito particolare. E' ciò che avviene oggi in ogni parte d'Italia. In certe regioni, ad esempio, i dialetti locali non conoscono la pronuncia di o chiusa e perciò dicono ancora, lavoro colla o aperta; la curva melodica del fraseggio è diversa da luogo a luogo. Pur quando si legge la medesima pagina stampata, l'andamento ritmico e il colorito vocale è cosi' diverso, che spesso è facile riconoscere la provenienza regionale di chi parla la stessa lingua italiana. Anche il latino dunque dovette suonare diversamente in bocca ligure o celtica o etrusca, e tale diversità non può non aver condizionato una diversa evoluzione linguistica nei secoli successivi. Fin che l'organizzazione civile romana fu salda, tutte le popolazione che avevano sentito la necessita' e scoperto i vantaggi di sostituire il latino alle loro antiche parlate, continuarono a vivere in un ambiente linguistico comune. l'abitante della penisola iberica o dell'Africa settentrionale o della Gallia o della Dacia, giungendo a Roma poteva scambiare il discorso coi Romani di Roma, facendosi intendere pur con diverse inflessioni della pronuncia. Quando pero' l'Impero e la sua organizzazione civile furono distrutti, e le grandi strade furono disertate, e la popolazione enormemente ridotta nel numero e negli averi, e l'unica via di sopravvivenza fu la coltivazione della terra nel chiuso della curtis autarchica, il territorio fu punteggiato da piccoli centri abitati, dove poche famiglie in poche case lavoravano la terra, curando il bestiame con scarsi contatti con i vicini. l'analfabetismo, le diminuite necessita' culturali, le scarse occasioni di colloquio fra persone sparse nei campi ridussero il lessico della lingua latina e poche centinaia di parole. L'isolamento accentuato dalla diffidenza verso gli altri 71 centri, l'attaccamento alla piccolissima patria rendono indipendente l'evoluzione linguistica nella cerchia delle poche famiglie che partecipano alla comunicazione orale, impedendo la diffusione delle innovazioni instaurate nella fonetica, nella morfologia, nel lessico. La grande unita' linguistica realizzata da Roma si frantuma nel polverio dei dialetti neolatini sempre più' divergenti tra loro in funzione del tempo e dello spazio. Sarebbe assurdo pensare che ogni centro abitato sia come un'isola nell'oceano e lo stesso isolamento più' o meno forte a secondo dei tempi, ma le innovazioni linguistiche che prima si dilatavano su tutto il territorio romanizzato conservando l'unita' dello strumento di comunicazione, durante lo stesso impero e specialmente verso e dopo la sua fine, si espandono in ambiti geografici sempre più' ristretti. Facciamo un esempio; il concetto di "bello" si esprime dapprima in latino con puelcher, di cui non si ha traccia nelle parlate neolatine, perché' fu sostituito da formosus, che deve essersi diffuso in tutto l'Impero; è conservato infatti nello spagnolo hermoso e nel rumeno frumos. Ma anche questo fu poi sostituito da bellus che si diffuse in un tempo in cui le regioni dell'Impero cominciarono ad isolarsi, e per questo si fermo' davanti ai Pirenei e ai Balcani restando vivo solo in Italia e Gallia. Se consideriamo ora l'Italia Settentrionale troviamo certi fenomeni comuni a tutto il territorio, altri invece circoscritti in spazi minori che a loro volta i linguisti circorscrivono con linee dette isoglosse. Una di queste linee congiunge La Spezia con Rimini spezzando in due parti l'intero territorio latinizzato. A nord e a ovest di setta linea le consonanti sorde per esempio p, t ,c se sono semplici e poste tra due vocali si sonorizzano diventando b, d, g, ; se sono doppie o lunghe si scempiano (brevi). Sempre per esemplificare: andata diventa andada e poi andaa; mica diviene miga e poi mia ; invece currere diventa curi ecc. Trascurando infiniti altri fenomeni, dobbiamo occuparci solo di pochi che più' interessano il nostro dialetto Si constata che dove il latino si è sovrapposto al celtico, esso ha ricevuto da quest'ultimo la tendenza di contrarre le parole colla scomparsa delle vocali non accentate e di intere sillabe. Si pensi al francese, dove i quattro suoni della parola acqua si sono ridotti a un quinto suono o (eau). A Bologna il latino Hospitale si è ridotto a un monosillabo sbdel. Questo fenomeno pero' non tocca il Veneto o la Liguria, ma è più' intenso in Piemonte e in Emilia Romagna. Infatti è la cetizzazione del territorio dovette essere più' o meno intensa in relazione alla maggiore o minore concentrazione di Celti nei vari territori. In Lombardia il fenomeno è presente ma con minore intensità'. Scompaiono le vocali non accentate alla fine di parola, ma non cosi' frequentemente all'interno. Si confronti il 72 piemontese finestra col lombardo finestra, l'emiliano sbdel col lombardo uspedal. Consideriamo ora alcune parole legnanesi, come ogi, uregi, teciu, vegiu, orbu, gobu e confrontiamole colle corrispondenti milanesi occ, urecc, tecc, vecc, orp, gop (la consonante doppia indica semplicemente che la vocale è breve) per constatare a Milano la scomparsa (apocope) della vocale finale, il che comporta una trasformazione del ritmo stesso della parlata. Questo fenomeno non è solo milanese, ma è generalizzato, oltre che in Piemonte, Emilia Romagna, anche in tutta la Lombardia con esclusione di Legnano, Busto Arsizio e un gruppo di paesi circostanti tra le due citta'. Formano come un'isola a cavallo del fiume Olona da Cairate a Parabiago (nord sud) e da Cantalupo a Castano (est ovest) in mezzo ad un vasto territorio. Un'isola dunque che nella evoluzione linguistica si è fermata ad una fase più' arcaica e una situazione che si trova in tutta la Liguria. Ci sembra del tutto legittimo dedurre che tale situazione risulta da una celtizzazione meno intensa rispetto alla stessa Lombardia. La presenza gallica non si può' negare sia per la condizione generale del territorio invaso dai Galli, sia per alcuni reperti archeologici, ma si potrà' dire che la presenza gallica in questo tratto dell'Olona non fu tale da trasformare decisamente l'ambiente ligure. In altre parole la tribù' di stirpe ligure attestata dal principio del secondo millennio a Legnanello, ebbe la forza di conservare il proprio linguaggio e i propri costumi cosi' da assorbire i nuovi arrivati senza esserne sopraffatta. Le tribù' liguri più' tenaci si arroccarono sui monti della regione che ancor oggi conserva il loro nome. Allo stesso modo una tribù' dello stesso popolo incuneata tra i boschi e le brughiere che isolavano e proteggevano un tratto dell'Olona, poté' sottrarsi parzialmente alla forza trasformatrice della cultura gallica. E quando si lascio' ben più' profondamente trasformare dalla civiltà' di Roma al punto di scordare la sua lingua ancestrale, il passaggio dal ligure al latino non ebbe risultati identici a quello dei gallofoni: il ritmo rimase più' disteso e i vocaboli non subirono le stesse contrazioni imposte dal celtico. Esistono naturalmente delle gradazioni. Anche a Legnano e nei paesi racchiusi dalla stessa isoglossa, cadono le vocali atone finali quando sono precedute da consonanti liquide, nasali o da s sonora. Si dice infatti nas, diaul, bun ; e non è da escludere che questo cedimento sia dovuto alla pressione delle parlate circostanti. Quando avvenne la caduta delle atoni finali e quindi il distacco del nostro territorio dalla restante Lombardia lungo l'isoglossa tracciata nella nostra cartina???. Gli studiosi a questo proposito non sono di accordo. Premesso che in Francia il fenomeno cade nel secolo VIII, noi abbiamo la possibilità' di sfruttare alcuni riferimenti storici e geografici. Il percorso 73 meridionale dell'isoglossa coincide con il confine meridionale del contado del Seprio, indicato nel trattato di Reggio (1185), ossia da Padregnano (Castano) a Cerro Maggiore. In secondo luogo il territorio compreso nella isoglossa comprende tre pievi ecclesiastiche: Olgiate, Dairago, e Parabiago. La formazione delle pievi è molto antica ma il loro consolidamento nell'Italia settentrionale avviene in eta' franco carolingia, formando distretti entro nei quali il sacerdozio plebano ha forma collegiale, l'amministrazione dei beni è condominiale, sotto la giurisdizione del capopieve. Si sa inoltre che i maggiorenti d'ogni villaggio si recavano periodicamente e si incontravano presso il capopieve. Questo legame religioso che strinse tutta la popolazione della pieve, ha un riflesso linguistico nella somiglianza dei pur diversi dialetti. Il contado del Seprio è di origine longobarda, ma anch'esso riceve la sua conferma da Carlo Magno che pone alla sua testa un Conte. Queste connessioni e distinzioni politico religiose ci fanno pensare che l'isoglossa suddetta si sia formata entro il secolo IX. La componente ligure è presente in altro fenomeno certamente posteriore: la scomparsa della consonante semplice r intervocalica, primaria o secondaria (ossia derivata da -l-, come ara da ala ) che è un fenomeno ben noto e tipico del genovese. "lavorare; che ora è; Olona" si dicono a Legnano e in tutta la pieve di Parabiago laura, che ura l'è, urona. invece nelle due pievi di Olgiate e Dairago si dice laua, che ua l'è, uona, come a Genova. Che il fenomeno sia posteriore è dimostrato dal fatto che la seconda isoglossa lascia fuori di sè due aree laterali, Castano e Vanzaghello da una parte, la pieve di Parabiago dall'altra. inoltre supera il confine della prima isoglossa spingendosi fino a Cuggiono. La frattura del vecchio territorio unitario è una diretta conseguenza dell'espansione milanese che ha fatto di Legnano un suo caposaldo sottraendolo al Seprio legato all'Impero, come dimostrano le stesse vicende della Battaglia di Legnano. Cuggiono invece, prima estranea alla famiglia, diciamo, ligure, venne raggiunta dalla novità' r dileguata perché' la crescente importanza di Busto Arsizio (detta Busti grandu) fa sentire il suo influsso fino a Cuggiono, dove appunto non si dice nè uregi, come a Legnano, nè uegi, come a Busto, ma uecc. Non è questa la sede per una analisi di tutti gli aspetti del dialetto legnanese. Ricorderemo ancora una sola caratteristica, l'avversione alla nasalizzazione delle vocali, che da' invece un colorito insolito piuttosto francese al dialetto di Milano. Il latino bonum ridotto a bon, a Milano ha perduto la consonante n che ha lasciato il ricordo di sè attribuendo alla vocale precedente, mutata in u, una risonanza nasale bu. Il legnanese invece rafforza la consonante e dice bum. Non induciamo con altri 74 esempi ed altri fenomeni per aggiungere solo qualche considerazione generale. Il dialetto legnanese è il prodotto di una cultura contadina rimasta piuttosto storica per secoli prima di essere investita dalla rivoluzione industriale e alla profonda trasformazione dell'attuale società'. Era un dialetto dal ritmo lento, con prevalenza di vocali chiuse (perfino la vocale a tonica si oscura verso o, che è pure fenomeno piemontese). Fino a cinquanta anni fa i contadini legnanesi rispettavano il fenomeno della metafonesi sostituendo con la i la vocale tonica del plurale: un vegiu e du vigi, è cosi' teciu-tici, leciu-lici ecc.. Il fenomeno ora è scomparso, ma nemmeno allora tutti i legnanesi parlavano come i contadini. I Signori proprietari di terre che abitavano a Milano e saltuariamente a Legnano, parlavano milanese oppure un legnanese ripulito dei tratti più' pesanti. Tra i due poli opposti delle due parlate contadina e signorile esistevano tante sfumature quanto erano i rapporti dei signori colla classe più' colta. La diffusione dell'analfabetismo limitava grandemente l'influsso dell'italiano letterario. Persino le persone in grado di leggere e scrivere usavano un italiano ibrido. Il parroco di Canegrate per redigere il Stato delle anime .. sporto per mano di me, scrive: Alla cassina del Baggino loco di Canegrate gh'è .. Altrettanto faceva il Prevosto Gianni alla fine del secolo scorso predicando dal pulpito della parrocchiale: Dio disse, sia fatta la luce e la luce fu, colla u lombarda (si vedano anche i documenti dei secoli XV, XVI pubblicati). Lo sviluppo industriale ha sostituito il contadino con l'operaio producendo una accellerazione del ritmo verbale conseguente all'accellerazione del ritmo mentale necessario per seguire il moto veloce della macchina. La compagnia dialettale Legnanese ha raccolto a teatro molti successi, ha rappresentato il mondo e il linguaggio operaio. Anche questo è un mondo ormai scomparso. L'enorme crescita culturale, la scomparsa dell'analfabetismo, la massiccia immigrazione da ogni parte d'Italia ha reso quasi impossibile l'uso del dialetto. Se un tempo si pensava in dialetto e si traduceva, parlando in italiano, oggi si pensa in italiano. Non solo la scuola e la carta stampata, sopratutto il televisore, divenuto un membro di ogni famiglia, impartisce ogni giorno lezioni di lingua. I pochi anziani che si ostinano a parlare dialetto, non insegnano ai figli nemmeno il loro legnanese ormai depurato dal contatto continuo colla lingua nazionale che ha fatto scomparire i vocaboli più' antichi e caratteristici, sostituito da facili italianismi. La situazione suscita comprensibili rimpianti, ma è irreversibile. 75 Il Duecento Fra Bonvesin Dra Riva ke sta in borgo legnan. Con questo verso Legnano fa il suo ingresso nella storia della letteratura italiana. L'autore non e' legnanese. Era nato a Milano probabilmente dove ora c'e' la Ripa di Porta Ticinese e dove allora aveva la sua casa. Insegnava la grammatica cioe' il latino, la lingua fondamentale della cultura, in cui si scrivevano i libri e documenti di ogni genere, anche se cominciava a diffondersi l'uso del volgare per servire la massa crescente di persone, specialmente i cives negotiatiores, considerati illetterati perche' del latino avevano tale ignoranza o soltanto una vaga e iniziale conoscenza. Parlando del Dialetto abbiano ricordato la frammentazione del latino in tanti linguaggi locali, dovuta all'isolamento delle comunita' in minuscoli villaggi unicamente dediti all'agricoltura, solitamente opposti tra loro, scarsamente comunicanti e con una attivita' culturale assai ridotta. Nel giro di alcuni secoli la vita delle popolazioni, specialmente cittadine, e' profondamente mutata. La circolazione delle idee riprende vigorosamente. Il latino continua ad essere lo strumento universale della cultura, ma e' accessibile soltanto ad una minoranza di letterati. La grande massa della popolazione generalmente analfabeta, e' pero' investita in qualche modo dalla intensificata attivita' culturale, che conduce a contatti e rapporti con persone di diverso linguaggio. Basti pensare ai predicatori che girano di paese in paese (come patarino Arialdo), ai giullari che frequentano le fiere e mercati, ai mercanti che varcano mari e monti, ai crociati che attraversano il continente dirigendosi ai porti di imbarco. Le stesse canzoni o popolari, o di gesta o anche piu' raffinate per il loro fascino musicale si espandono in varie regioni, trasmettono testi che vengono adattati ibridamente a lingue diverse, esercitando comunque una funzione stimolante. Vi sono ancora gli uomini politici, i funzionari, che si scambiano messaggi fra paesi lontani. Chi scrive ha frequentato in varia misura la scuola di grammatica fondata sul latino. La lingua dotta, anche per chi usa il volgare, fornisce schemi periodali, strutture sintattiche, vocaboli astratti, che risolvono gran parte dei problemi espressivi. Il dialetto e' solitamente quello dei centri maggiori e piegandosi o adattandosi alle strutture del latino si muove verso schemi comuni con un processo di avvicinamento, se non proprio di unificazione totale. Diversa e' dunque la lingua volgare scritta in Sicilia o Toscana o Italia Settentrionale, dove pero' non si forma una vera coine', un codice 76 identico per il Veneto, il Piemonte o la Lombardia, ma i tratti comuni fra che scrive in queste regioni sono piu' numerosi che con quelli di regioni piu' lontane. Di tutti gli scrittori settentrionali Bonvesin e' il maggiore. Ha scritto molte opere in volgare (circa diecimila versi), ma anche in latino, come il "demagnalibus urbis mediolani". L'opera che ha composto, o cominciato a comporre a Legnano, pur essendo in volgare ha un titolo in latino "De quinquaginta curialitatibus ad mensam", dette anche "cortesie da desco". Rappresenta un segno di evoluzione dei costumi. La crescita culturale investe anche le norme di comportamento. Dai modi rozzi di chi affronta quotidianamente un grave sforzo fisico per strappare alla terra i mezzi per sopravvivere, alle varieta' delle occupazioni in una societa' piu' ricca e raffinata, si afferma un ideale di vita piu' gentile. Per questo il maestro di grammatica si preoccupa di insegnare il galateo alle nuove generazioni, ossia ai suoi scolari, che dovevano essere i figli dell'alta borghesia. Per esemplificare il contrasto tra i modi rozzi e i modi cortesi citiamo solo pochi versi: zascun cortes donzello ke s' vol mocar al desco, coi drap se faza bello. Ki mangia on ki ministra, no s'de' mocar col die le toe man sian nete, ni li die entre orege ni'l man sul co' di' mette. Traducibile con: Ogni giovane cortese che deve soffiarsi il naso a tavola, si pulisca con il fazzoletto. Chi mangia o serve a tavola non deve pulirsi il naso colle dita.. Le tue mani siano pulite, ne devi mettere le dita ne le mani sulla testa. Nel verso che abbiamo posto in apertura del capitolo, il dialetto si manifesta subito con la preposizione articolata dra, che rappresenta de la. L'articolo ha subito la rotacizzazione di l, ancora presente in varie parlate lombarde (ra me mama, ur me pa). La caduta della vocale e ubbidisce anche a ragioni metriche del verso alessandrino. Pero' si ritiene che la vocale o finale di borgo sia stata aggiunta dal copista e che debba essere soppressa per evitare l'ipermetria del verso. Dunque Ke sta in borg Legnan, un monosillabo conforme al dialetto milanese, mentre a Legnano il vocabolo era certamente bisillabo. come lo e' oggi (burgu). A Legnano, il Bonvesin dovrebbe essere venuto in qualita' di frate Umiliato (un ordine che non esigeva il celibato e Bonvesin si sposo' due volte), circa il 1270. A lui si deve con ogni probabilita' l'istituzione dell'ospedale di san Erasmo, che svolse nel corso dei secoli un lavoro prezioso per il borgo e i villaggi vicini, ma anche come ricettacolo degli infanti esposti. Era molto 77 devoto alla Madonna ed il suo epitaffio dice che egli fu il primo a fare suonare le campane dell'Ave Maria a Milano et in comitatu. Con lui dunque le campane della chiesa di San Salvatore cominciarono i loro rintocchi in onore di Maria tre volte al giorno o, come dice il Manzoni, quando sorge e quando cade il die - e quando il sole a mezzo corso il parte. Legnano dunque non e' una terra (villaggio), e' un borgo, appellativo riservato ai paesi dotati di un mercato e di una fortificazione. Oltre al castello ove si era rifugiato Arialdo, esisteva un mercato. Tale privilegio in un tempo che non possiamo determinare, cadde in disuso. Infatti il 20 giugno 1499 Nobili, contadini et hommes habitatores burgi de Legnano rivolsero una supplica al Duca di Milano, ricordando che a Legnano per antiqua tempora se solea fare uno certo mercato che per le grandi guerre e dissipazioni, e' venuto in disuetudine, e poiche' il borgo e' molto restaurato, i suddetti abitanti chiedono che il mercato sia ripreso. Pochi mesi dopo il Duca veniva sconfitto dai Francesi e non poteva occuparsi del nostro mercato. Piu' tardi, nel 1627 i Legnanesi si rivolsero al governo spagnolo e per ristorarsi in qualche parte dei danni patiti e che tuttavia patiscono in occasione dei lungi e frequenti alloggiamenti de' soldati, chiedono l'istituzione di un pubblico mercato in ciascuno giorno di giovedi'. Alla richiesta si oppongono quelli di Saronno, Gallarate e Busto Arsizio per timore concorrenziale e solo nel 1795 viene concesso di riprendere l'antica consuetudine che aveva dato a Legnano il diritto di essere un borgo. Nel corso del secolo XIII il castello dei Cotta assume una importanza notevole durante le lotte intestine di Milano. Nei due precedenti secoli il governo vescovile della citta' si e' ben consolidato coll'appoggio delle tre classi sociali: i capitanei, i valvassori e i cives, ossia la nobilta' e l'alta borghesia. Il Vescovo e' assistito da consoli in funzione di consiglieri eletti dalle varie classi: uno stato di cose che fu definito come una repubblica sotto la Signoria dell'Arcivescovo. Nella lunga lotta per riaffermare i diritti dell'Impero il Barbarossa, pur sconfitto a Legnano, e' riuscito con la pace di Costanza a minare la supremazia vescovile, riconoscendo la legittimita' della magistratura consolare. Tutta la citta' ha ora il diritto di eleggere i propri consoli. Le classi popolari avanzano, rendendo pero' instabile il governo, che deve ricorrere alla nomina di un podesta'. Se i negozianti e gli ex feudatari si uniscono in una associazione detta "MOTTA", il popolo si inquadra nella "credenza di san Ambrogio", la nobilta' feudale si stringe all'Arcivescovo, e si serve pure di squadracce come scudo o offesa verso il popolo. Sono le premesse di una guerra civile, che molte volte nel corso della storia va a sfociare nella dittatura. 78 L'arcivescovo che piu' animosamente combatte' per restaurare il governo aristocratico, fu Leone da Perego, eletto nel 1241. I suoi rapporti con Legnano sono ben registrati nella "Memoria n. 20" della Societa' Arte e Storia (Marina Cattaneo, Legnano nel Medioevo, Legnano 1975,). Nel 1254 Leone inizia una serie di movimenti tra Milano e le varie localita', tra cui Legnano, dove il 10 settembre emette una sentenza. Probabilmente pensa giustamente la Cattaneo - intendeva rientrare a Milano, ma la torbida situazione nel capoluogo lo induce a ritirarsi nel castello di Angera. La funzione di Legnano e' chiara. Per l'arcivescovo e' il primo rifugio fortificato, da cui puo' sorvegliare da presso la situazione politica milanese. Crescendo il pericolo e' pronto il rifugio piu' sicuro, ma piu' lontano nella rocca di Angera. A Legnano, l'arcivescovo torno' nel 1257, per il riaccendersi delle lotte cittadine, quando la fazione popolare sceglieva come suo capo Martino della Torre. Questi, nel mese di agosto, con un gruppo di armati, passando ovviamente da Legnano, raggiunse Fagnano per assediare i nobili milanesi riuniti in quel castello. Leone invece raccoglie intanto nel Seprio un piccolo esercito che respinge Martino a Solbiate, Olgiate Olona, Legnano, Canegrate. La tregua di Parabiago (29 agosto) attenua la tensione fra aristocratici e popolari. Leone e' a Legnano, ammalato, e li' muore il 14 ottobre. E' sepolto viliter in ecclesia San Salvatoris. Il fortilizio legnanese continuo' ad esercitare le sue funzioni nel proseguimento della lotta tra le fazioni milanesi. Il partito aristocratico elesse a suo capo Paolo da Soresina, ma quando lo sospettarono di tradimento, lo imprigionarono a Legnano, che evidentemente era nelle mani della fazione nobiliare (1259). Due anni dopo Martino della Torre invade i beni vescovili e quindi dobbiamo credere anche Legnano. Infatti sono i Torriani ad acquistare, mediante permute, il convento di San Giorgio con ampi terreni (oggi occupati dal castello Visconteo) dai canonici agostiniani che, abbandonato il convento, si ritirano a Milano. Nel 1262 viene eletto un nuovo arcivescovo nella persona di Ottone Visconti. Ormai la lotta politica si fa sempre piu' personale. Non si combatte piu' per un ideale politico, come ai tempi della Lega Lombarda, ne' religioso come ai tempi della Pataria. Sono i Torriani contro i Visconti, e questi usciranno vittoriosi dalla lotta per il primato. I primi sono sconfitti a Desio nel 1276 e l'anno dopo banditi da Milano. Occupano Castelseprio nel 1285. Ottone allora corre a Legnano e nel giro di una settimana vi raduna l'esercito e lo conduce verso Castelseprio, deviando pero' verso Varese, intavolando trattative per un accordo. I 79 Torriani infatti abbandonano Castelseprio nelle mani di Guido Castiglione. In autunno Ottone porta nuovamente a Legnano l'esercito e muove su Castelseprio. Saccheggia il borgo, ma la rocca non cede. Nel febbraio successivo Ottone riceve a Legnano Guido da Castiglione per inutili trattative. Ma il 28 marzo 1287 Ottone con l'astuzia occupa la fortezza di Castelseprio e la rade al suolo. Dall'insieme di questi eventi si constata facilmente come Legnano pur appartenendo al contado del Seprio sia stata sottratta ad esso dai Milanesi, che ne fecero la loro porta di ingresso del loro territorio. Lo dimostrano le vicende stesse della battaglia di Legnano, ma gia' il documento del 789, in cui appare per la prima volta il nome della nostra citta', rivela come da tempo l'arcivescovo milanese avesse qui i suoi possedimenti. Il castello dei Cotta appare come un rifugio per i milanesi in pericolo. L'episodio di Arialdo e' di breve durata, ma con Leone da Perego e Ottone Visconti, Legnano e' un centro di operazioni politiche e militari. Nel frattempo Legnano e' divenuto un comune rustico, di cui conosciamo alcune strutture grazie a due documenti parzialmente sopravvissuti e abbastanza recentemente scoperti. Il primo e' del 1258 e contiene la parte finale di un testo con cui si approvano gli statuti comunali per un anno o piu' secondo il volere del Consiglio. Vi appaiono i nomi di quattro consoli, vicari dell'arcivescovo, e di nove consiglieri, due dei quali appartengono alla piu' illustre famiglia legnanese, gli Oldrendi, che poi, trasferiti a Milano, si chiameranno "da Legnano" o "Legnani". Il secondo documento e' del 1268, contiene l'elenco completo dei diciannove componenti del consiglio comunale del borgo e riguarda l'esazione di una imposta comunale detta con la parola longobarda "fodro", succeduta alla "annoa militare" dei Romani. Consisteva dapprima nel diritto dell'Imperatore o dei funzionari imperiali a ricevere gratuitamente il foraggio dei cavalli, poi fu tramutata in un tributo monetario, finche' i comuni se ne appropriarono facendone una propria imposta, sempre a carattere militare. Puo' darsi che a Legnano fosse collegate coll'esistenza di una fortificazione. Non dovette durare molto dopo il 1268, perche' nel corso del secolo il fodro cesso' di esistere. 80 Dal Medioevo al rinascimento Il presente discorso, piu' che costituire un approdo alla storia rinascimentale o cautelarsi dietro la neutra indicazione di Trecento o Quattrocento, preferisce centrare I'attenzione sul periodo che meglio va sotto I'etichetta di Basso Medioevo. Lo scopo non e' quello presuntuoso di scorporare un contributo di storia locale, ma di trarre da un inestricabile groviglio di istituzioni politiche fornite di capacita' giurisdizionale ormai incrinate nel loro monolitismo, quegli scampoli di notizie che possono non tanto appagare il mito delle memorie patrie, quanto verificare il manifestarsi cosciente e creativo delle categorie umane, come si andavano concretando dal basso, di fronte al potere esercitato dall'alto. In una periferia dunque che mirava a svestirsi del suo abito medioevale, per guadagnarsi posizioni centrali. Gli interessi nascosti erano numerosi e vari i canali, in cui inserirli per la concretizzazione, dalla lingua, come elemento chiave per esprimere il consenso o il dissenso, alla verifica degli stereotipi morali che la Comunita' cercava di manifestare nel pantheon dei suoi vizi; allo studio di tutti quei meccanismi che sarebbe troppo lungo enumerare, ma che testimoniano il conformismo prodotto dal potere, da ricercarsi nei tentativi sommessi di liberazione degli emarginati, nella loro cultura di periferia, in grado di turbare I'andare lento, ma processuale del potere urbano. Da qui il perenne contrasto tra citta' e campagna, tra un pullulare di reazioni che mobilitarono anche la Chiesa, quella cittadina come quella rurale, nello sforzo di riorganizzazione del potere, con I'ausilio del culto dei santi, delle processioni, della creazione di santuari, delle rogazioni, delle litanie, delle indulgenze prima, delle Visite pastorali poi, ma anche con il trapasso dell'autorita' dominante, a volte dovuta alla pressante contingenza, dalla citta' alla campagna. Fu cosi' che I'arcivescovo milanese Leone da Perego, coinvolto nella lotta civile scoppiata tra i nobili e la popolazione guidata da Martino Torriani, per evitare il peggio, si rifugio' con i canonici a Legnano, dove fece erigere un palazzo, in cui pose la sua dimora abituale e dove mori' nel 1257, dopo aver proferito sentenze e aver amministrato sia gli affari suoi che quelli della diocesi. Anche il vescovo di Como. nel 1292, per non essere travolto dai disordini scoppiati nella sua citta', trovo' rifugio nel palazzo arcivescovile di Legnano, finche' Matteo Visconti ando' a prelevarlo, scortando il porporato fino alla sua citta', che lo ricevette con gli onori dovuti. 81 II fatto dunque che I'epoca considerata sia quella, in cui il potere ha posto radici, mette in moto, intorno al nucleo preso in esame, una serie variopinta di valori, che il ricercatore e' tentato di rispolverare. Ad esempio, le sedi naturali dei vescovi sopra accennati; il fatto che lo stesso arcivescovo Ottone Visconti, morto l'8 agosto 1295, abbia arricchito Legnano di preziosi palazzi: preciosis etiam burgum Legniani palaciis (Monumenta Germaniae Historica. VIII, Hannoverae MDCCCLXVIII 108); la constatazione che il vescovo Francesco di Parma, dal palazzo arcivescovile di Legnano abbia concesso, il 3 aprile 1297, quaranta giorni di indulgenza a chi avesse contribuito con elemosine al completamento della chiesa di S. Pietro, in Saronno, iniziata dai Frati Minori, pongono I'accento non solo su problemi di carattere religioso locale, ma addirittura di natura architettonica, che sarebbe curioso indagare. E' pur vero che la ricerca locale chiama in causa questioni erudite minori, le cosiddette "microstorie" Violante, La storia locale, Bologna 1982. p. 122) condite spesso col grigiore della prosa quotidiana e riconducibili. ad esempio. sia alla precisazione di una data. sia all'identificazoone di un personaggio, ma non esclude necessariamente la cucitura del particolare a un tessuto dalla trama piu' ricca. La specificita' di ambito geografico non elimina la riconduzione ad interessi piu' vasti. Pertanto Legnano, nel 1305, si trovo' in non lievi difficolta', a causa di Cressone Crivelli che, cacciato da Milano, perche' coinvolto in una congiura, con un migliaio di fanti, si impadroni' di Nerviano, cercando di occupare Rho e Legnano, anche se il tentativo non fu coronato da successo. Le preoccupazioni per I'attuale nostra citta' non erano pero' finite, perche' quando Matteo Visconti, nel 1313, fu proclamato Signore di Milano, dovette vedersela coi Torriani appoggiati dagli Angioini del re Roberto. La vicenda e' descritta vivacemente da Giovanni da Cermenate nella sua Historia. Il comandante delle truppe angioine si era proprio accampato a Legnano, ma dopo aver sostato a lungo, di fronte alla mancata insurrezione della popolazione, preferi' spostare le sue truppe al di la' del Ticinello, convinto probabilmente dell'opportunita' dell'operazione, da Sigibaldo Lampugnani, preoccupato di difendere le sue proprieta', ma anche piu' incline ai Visconti che non ai Torriani. L'allontanamento momentaneo del pericolo non attenuo' l'importanza strategica del borgo, che funziono' spesso da quartiere generale e la situazione si ripete nel 1339. A Legnano infatti era convenuto Lodrisio Visconti animato dal disegno di spodestare Azzone e il fratello Luchino, per impadronirsi di Milano. Da uomo astuto quale egli era ed esperto nelle armi, considerans quos pecunia costas suorum invnserat (Galvano 82 Fiamma. Opusculum de rebus gestis, XL, 10, Bologna MCMXXXVIII), sfruttando la possibilita' di esigere dalla popolazione tributi dovutigli per precedenti diritti goduti e soddisfare cosi l'avidita' dei suoi soldati e dei trecento "stipendiari" provenienti da Verona, si scontro' con I'esercito milanese, in prossimita' di Parabiago. Dopo un inizio favorevole, la sorte del combattimento volse pero' contro di lui, che fu fatto prigioniero. Alla sua sconfitta, i mercenari chiamati "barbute" da Pietro Azario (Liber gestorum in Lombardia, XII, 20, Bologna MCMXXVI), che erano per lo piu' Inglesi raggruppati nella Societas Anglorum al servizio del conte Lando, furono assoldati in un primo momento da Galeazzo Visconti, ma finirono per scostarsi da lui e, memori probabilmente del bottino fatto precedentemente, nonostante i divieti loro imposti, il 4 gennaio 1343, attaccarono Legnano, Nerviano, Castano, Vittuone, Sedriano e altre cascine in prossimita' di Milano. Anche se non oltraggiarono le donne, come si preoccupa di informare il cronista, forse per la sosta limitata, le depredarono dei loro ornamenti di valore, mentre trassero numerosi prigionieri tra i nobili sorpresi nottetempo intenti a banchettare e a giocare a scacchi: ob festivitates vacantes ludentes ad tabulas et schachos noctis tempore. Non si misura certamente l'importanza del tema delle truppe mercenarie da questo episodio particolare, ne' la soluzione del problema e' riconducibile ai fili della storia generale, alla quale puo' offrire un contributo parziale pero' I'analisi del negoziato intercorso fra le citta' toscane e il Conte di Virtu', per difendersi dalle compagnie di ventura (Seregni G., Un disegno federale di Bernabo' Visconti, in Archivio Storico Lombardo 1911, pp. 181-182). L'accordo fu siglato a Legnano, il 31 agosto 1385, fra' Gian Galeazzo, Firenze, Bologna, con facolta' di accesso al patto anche per Lucca. Lo scopo era quello di tutelarsi contro gli avventurieri, dopo I'esperienza degli attacchi da loro ripetutamente portati alla pace delle genti. Si realizzo' cosi' il piano concepito da Bernabo' Visconti, solo dopo la sua tragica morte avvenuta, a quanto pare, per avvelenamento. Gian Galeazzo riprese le idee dello zio, la smodata ambizione del quale non ando' esente da avvedutezza di mente e grandezza d'animo, anche se la realta' delle cose non ne avrebbe rispettato i desiderata. Pare eccessivo parlare di un sentimento di italianita' per un'operazione del genere, ma non costituisce uno spreco di fatica sottolineare I'importanza annessa alla nostra localita' scelta per la stipulazione dell'accordo sopra accennato. Non e' assolutamente il caso di far leva su richiami di motivo turistico per un borgo o una corte che, in base agli Statuti delle strade ed acque del Contado di Milano emanati, nel 1346. aveva un sistema viario 83 di braccia MCCCCXXVIIII (1 braccio =mt. 0.59) e la cui canonica vantava un reddito di L. 13, soldi 8 e denari 8, nel 1398, mentre i cappellani erano cosi iscritti a ruolo: capella S. Marie de Legnano capella S. Ambrosii de Legnano cagella S. Martino de Legnano L. 1 s. 13 d. 17 L. 1 s. 13 d. 7 L. 1 s. 13 d. 7 (Notitia cleri Mediolanensis de anno 1391 circa ipsius immunitatem, in Archivio Storico Lombardo 1900, p. 258). Semmai la scelta fu dovuta alla posizione strategica assunta dalla nostra localita' piazzata sulla strada consolare del Verbano, il cui percorso andava dalla vecchia piazza d'armi di Milano ad I Iapidem (gia' corrispondente alla zona della fiera campionaria) fino a Sesto Calende. ad XXXVI lapidem, con Legnano al XV lapidem (Palestra, Strade romane nella Lombardia Ambrosiana, Milano 1984). E poiche' si e' parlato dei Visconti, conviene dire che da un loro ramo, ed esattamente da quello di Pogliano, discese quel Roberto Visconti che fu designato come successore dell'arcivescovo Giovanni, Signore di Milano e ingiustamente considerato come una figura scialba, perche' sottomessa al volere di Matteo, Bernabo' e Galeazzo, i fratelli che collegialmente controllarono la Signoria milanese alla morte dello zio. Le recenti ricerche effettuate da A. Palestra (Roberto Visconti, Milano 1971, p. 5 e sgg.) avvalorano invece una diversa figura del prelato, il quale. come piu' grande proprietario della Lombardia, rappresento' una forza non solo morale di straordinaria importanza, fin oltre la meta del sec. XIV, anche in Legnano. Dal carteggio scambiato coi suoi amministratori risulta che I'arcivescovo era il dominus loci, cio' esercitava un vero e proprio dominio temporale su una zona geografica, i cui punti piu' importanti erano Angera, Bellano. Brebbia, Bormio, Cannobbio, Castano. Galliate, Legnano cum cassinis Ravellis, Reschaldine et Reschaldi (Lettera n. 164. 17 marzo 1360), Sesto Calende, Teglio. Varenna, la Valsassina, la Valsolda e il Vergante, cioe' la costa occidentale del Lago Maggiore. Per I'amministrazione Roberto Visconti si serviva di un rector o, con maggior proprieta', di un potestas per Legnano e Castano, come si legge in una lettera del 9 febbraio 1355. L'importanza dell'ufficio dipendeva naturalmente dal borgo amministrato e c'e' da pensare che la mano del rector si posasse con pesantezza quando si trattava di distribuire e applicare la giustizia usque ad condempnationem. fino alla condanna dei reprobi (Lettera 11 aprile). L'epistolario rimasto c'illumina su tutta la vasta organizzazione delle proprieta' arcivescovili, sulle istituzioni locali, sugli 84 ordinamenti della popolazione, sulle attribuzioni e competenze dei funzionari, sia per quanto atteneva gli affari civili, sia per la tutela dei frutti, dei redditi e dei proventi, la cui riscossione l'investito podesta', quale era Pietro Visconti, nel 1355, doveva assicurare al suo Signore. Tali lettere, sotto un certo profilo, riflettono sinteticamente il contenuto di veri e propri statuti, in cui consules de homines burgi nostri Legnani costituivano l'intera Comunita' con la propria organizzazione. Da questi pochi esempi, necessariamente ridotti per I'economia del lavoro, si puo' dedurre che Roberto Visconti fosse tempestivamente informato delle eventuali contravvenzioni alle sue disposizioni e che egli opportunamente intervenisse per fermare abusi, risolvere controversie e ripristinare la sua autorita' in un microcosmo provinciale, dove pulsava non solo il lavoro dei campi, ma incominciava a trasparire una certa attivita' commerciale; dove la popolazione rurale guardava con fiducia alle proprieta' arcivescovili amministrate con una certa larghezza di vedute, secondo un rapporto tra Comunita' locale e autorita' religiosa diverso da quello che si sarebbe potuto instaurare con un sovrano assoluto, magari illuminato. in un momento in cui la vita politica si stava liberando dalle istituzioni medioevali, per avviarsi verso la forma delle Signorie rinascimentali. Non sembra il caso di parlare, nel sec. XV. di Signoria per Legnano, che ha sempre rifiutato qualsiasi infeudazione, ma piuttosto di un prevalente controllo esercitato dai nuclei piu' rappresentativi. destinati piu' tardi a costituire i cosiddetti "Comunetti", ossia i Visconti, i Vismara, le Monache di S. Chiara, i Lampugnani. Diamo per scontata come falsa la attribuzione voluta dal Corio, per ragioni encomiastiche (Storia di Milano, vol. I. Milano 1975) della discendenza viscontea da Alione, Signore di Angera, a cui il pontefice Gelasio I avrebbe concesso, nel 493, l'amministrazione di questo contado assieme a Treviglio, corte di Rho e Legnano. Non possiamo pero' disconoscere che Oldrado Lampugnani pote coprire, in Legnano, un ruolo determinante. nel 1400, grazie alla bonta' dei rapporti mantenuti in particolare con Filippo Maria Visconti, come dimostrano le vicende connesse al rafforzamento del castello di S. Giorgio, i servizi politici e militari resi al Signore di Milano, che fruttarono rendite cospicue tali da assicurare al nobile legnanese il controllo di vaste proprieta' fondiarie, nell'intricato groviglio di interessi che si agitarono intorno alla casata dei Visconti prima, e degli Sforza poi. Fu intorno al 1448 che Legnano risenti' dell'atmosfera agitata dall'offensiva scatenata da Francesco Sforza, per impadronirsi del Ducato milanese. Espugnata Abbiategrasso, le truppe ausiliarie guidate da Matteo Campana, al servizio di Francesco Sforza, si spostarono verso Legnano e ivi 85 piazzarono I'accampamento: hospitiisque per proxima aedificia copiis singillatim dispertitis (In libros Iohannis Simonetae de rebus gestis Francisci 1, Sfortiae Mediolanensium ducis, a. 1448 in Rerum Italiaarum Scriptores. vol. XXl. Bologna 1959. col. 500). Con I'aiuto di Oldrado Lampugnani. lo Sforza pote' accingersi all'espugnazione della vicina Busto Arsizio, i cui abitanti spaventati gli inviarono messi, implorandone la clemenza. Dichiarato ribelle dai "Milanesi", il Lampugnani dovette quindi rinchiudersi nel suo castello di Legnano, ma una volta conclusa la tregua tra Milano e lo Sforza, pote' riguadagnare le posizioni. E poiche' si e' accennato a Busto Arsizio, converra' dire che i rapporti con quella citta' non erano allora propriamente idilliaci, come si legge in una petizione del 19 maggio 1455 (Archivio di Stato di Milano, e d'ora in poi A.S.M. Archivio Sforzesco, cart. 665). In seguito alle disposizioni emanate da Filippo Maria Visconti e alla subordinazione giuridica da Busto Arsizio, gli homeni di Legnano, col Consiglio, non volevano assolutamente discutere le proprie ragioni nella localita' loro ordinata. Per i postulanti era troppo molesto e dannoso andare a litigare a Busto, dove non avevano la possibilita' di trovare dottori o procuratori che curassero i loro interessi. Per di piu' correvano il pericolo di "essere malmenati da quelli Borgesani, che stando a casa sua superchiano gli altri". Da qui la richiesta dei protestatari di allargare la giurisdizione di Gallarate, cui si sarebbe potuto accedere facilmente che non al luogo ordinato, per gli inconvenienti lamentati. Se il documento sopra riportato puo' essere testimonianza di un'animosita' pia che facile a riscontrarsi nei rapporti di vicinato, e destinato a perpetuarsi, come potrebbe essere avvalorato dai focosi successivi incontri tra le rappresentative calcistiche delle due citta', e' anche indice di una vivace conflittualita' che solo in parte la coltura di uva vernacciola o moscatella poteva giustificare. Accanto a questa e' presumibile supporre anche I'esistenza di una produzione cerealicola favorita sia dal facile assorbimento dei mercati vicini, sia da un'attivita' molitoria non indifferente, cui si aggiungeva un sia pur limitato smercio commerciale. Sono elementi che potrebbero trascinare facilmente all'entusiasmo e far pensare a Legnano come a un piccolo Eden, se non sapessimo che diverse zone dell'allora pieve di Olgiate Olona, di cui Faceva parte il nostro borgo, erano infestate da malviventi, i quali trovavano facili nascondigli nella cosiddetta "Selva lunga" compresa tra Gallarate e Legnano e attraversata dalla strada romana che portava al Lago Maggiore. I motivi di turbativa erano notevoli e tali da indurre. nel 1471, il duca Galeazzo Maria Sforza a nominare Capitano del Seprio 86 Antoniazzo di Casate "con potere di spada e piena autorita" perche' procedesse con la massima energia contro quanti infestavano il territorio (A.S.M., Comuni. cart 21). Questi brevi cenni di carattere socio-economico non possono pero' far dimenticare la presenza di altre famiglie che contarono a Legnano, come i Vismara, in grado di interessare largamente I'ambiente religioso, che allo scorcio del 1400, vantava oltre alle chiese, oggetto di indagine da parte dell'arch. Marco Turri, I'ospizio di S. Erasmo; il convento di S. Caterina, fondato nel 1398, situato in prossimita' dell'attuale lstituto Tecnico Dell'Acqua e soppresso nel 1569; il convento di S. Maria del Priorato retto dai ' frati Agostiniani e chiuso nel 1569, nelle vicinanze dell'attuale cinema Galleria; il convento femminile Agostiniano della Trasfigurazione, in via Lega, abolito nel 1569; il convento dei Frati Minori osservanti. detto di S. Angelo, eretto nel 1468. chiuso nel 1785, sede oggi delle Scuole Mazzini e quello delle monache di S. Chiara, in zona largo Seprio. Quest'ultimo convento fatto erigere intorno al 1492 da Gian Rodolfo Vismara, accanto al palazzo conosciuto come casa Vismara, ebbe prima il patrocinio della famiglia omonima e poi dei Lampugnani, di cui accolse le fanciulle divenute monache per vocazione (Sutermeister, Il convento di S. Chiara e la casa Vismara, in Memorie della Societa' Arch e Storia. n. 2. Legnano 1934). A un primo chiostro per le converse, nel 1700, se ne aggiunse un altro per le novizie e il complesso fu arricchito da una chiesetta ancora segnata con una crocetta nella mappa del 1799. Il convento si serviva. per i propri scopi, dell'acqua derivata da una roggia dei frati francescani. che passava attraverso le proprieta' dei Taverna e costitui' fonte di tante controversie tra gli usufruttuari. Ampia descrizione del convento e' possibile trovare sempre nell'opuscolo sopra accennato del Sutermeister, anche se le notizie sono desunte da un'opera di P. M. Sevesi (Le Clarisse di Milano, Milano 1930). Da essa risulta che il Vismara forni' chiesa e convento di S. Chiara di tutto I'arredamento necessario e si preoccupo' di assicurare alle monache I'ospitalita' nei monasteri milanesi. in caso di incursione nel Seprio. Le suore vissero per circa tre secoli nel rispetto assoluto delle regole di S. Chiara e quindi in condizioni iniziali di poverta' tale da essere costrette a questuare e da richiedere l'intervento di S. Carlo, che visito' il loro monastero nel 1570 e detto' norme per il miglioramento delle loro condizioni di vita, in seguito perfezionate con nuove costituzioni emanate dal Generale dell'Ordine e sostenute dalla generosita' degli abitanti, in modo da concedere alle monache di effettuare acquisti e permute di terreni, fino a concedere prestiti, all'inizio del 1700. 87 Non sembra, secondo il Sutermeister, che la popolazione monacale fosse numerosa. Nel 1600 le monache erano una ventina; al momento della soppressione del monastero erano venticinque, ragione per la quale il numero di sessanta indicato nel corso della visita pastorale effettuata a Legnano da parte del cardinale Pozzobonelli, nel 1700, teneva conto probabilmente di monache velate, converse ed educande nel loro complesso. Il convento fu soppresso da Giuseppe II, nel 1782. l Governo confisco' tutti i beni immobili e mobili, questi ultimi depositati presso il Banco di S. Ambrogio. Le monache in parte ritornarono alla loro dimora originaria, in parte affluirono ai monasteri di Busto Arsizio, di Cairate, e di Lonate Pozzolo. 88 Il Cinquecento Alle soglie dell'eta moderna la dinastia degli Sforza si avvio' alla decadenza. Il 10 aprile 1500 Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, fu deposto e, in sua vece, il cardinale d'Amboise entro' in Milano come governatore, in nome di Luigi XII, re di Francia. In questo contesto storico cosi' burrascoso, che vide alternarsi alle redini dello Stato di Milano, di volta in volta, gli Sforza e i Francesi, si inserisce il ricordo di una testimonianza a carattere religioso, di importanza particolare per la storia di Legnano: la costruzione della chiesa di S. Magno, iniziata, nel 1504, sulle vestigia di una antica chiesa, come testimoniato dalla nomina della precedente cappellania dedicata a S. Giovanni Battista e agli Apostoli Giacomo e Filippo, resasi vacante e della quale era stato investito Gabriele Fusano col giuspatronato di casa Vismara, nel 1473. (Archivio Storico Civico di Milano e d'ora in poi A.S.C.M. Fondo Belgioso, cart. 195, pergamena 23 agosto 1473). Questo inizio di secolo favorevole e propiziatorio, sul piano religioso, per il borgo di Legnano, fu pero' ben presto sconvolto dal diffondersi di una spessa coltre di nuvole che ne rabbuio' l'orizzonte. Mentre Luigi XII ondeggiava nell'esame di alcune soluzioni possibili nella guerra di predominio in Italia, secondo il Guicciardini (Storia d'Italia, Milano 1975, X, 8), gli Svizzeri, stimolati dal pontefice Giulio II e, spinti dal cardinale Schiner, cominciarono a scendere in Lombardia, non appena ebbero riordinato l'esercito e senza attendere la stagione propizia. Cosi', mentre a Milano si diffondeva una grande paura, essi raggiunsero, l'ultimo giorno del novembre 1511 Varese e da li', senza incontrare difficolta', toccarono Gallarate, la saccheggiarono e la bruciarono, secondo una lettera indirizzata dal Bibbiena al cardinale Medici (Moncallero, Epistolario di Bernardo Dovizi de Bibbiena, vol. I, Firenze 1953, pp. 416 -422), mentre Gastone di Foix, con Gian Giacomo e Teodoro Trivulzio, accampatosi a Legnano, non attese gli Svizzeri, ma preferi' sgomberare la nostra localita' e ripiegare su Milano, abbandonandola alla discrezione degli avversari. E' comprensibile quale trattamento sia stato riservato al borgo dalle soldatesche, anche se e' prudente non ricamare eccessivamente le informazioni fornite in proposito dal Guicciardini antipapalista o dal Prato (Storia diMilano in continuazione del Corio dall'anno 1499 al 1519 in Archivio Storico Italiano, vol. III, Firenze 1842), i quali descrissero la parte truce degli avvenimenti che interessarono la Lombardia, dal 1490 al 1530, ma non furono certamente a completa 89 conoscenza di tutta la documentazione allora seppellita negli archivi d'oltralpe e in grado di far luce sull'effettiva responsabilita' dello Schiner, come si dedusse piu' tardi, nella scia degli studi effettuati, nel 1898, da Achille Ratti sulle lettere papali e da A. Buchi, nel 1925, sul cardinale in questione. Meglio attendere la menzione allora di Alberto Lampugnani, tesoriere della Fabbrica di S. Magno e uomo degno di reputazione, sull'incendio scoppiato nel borgo (Bettinelli, Legnano nella storia, Milano 1900, p. 17). Le preoccupazioni per la popolazione di Legnano non erano dunque terminate, perche' essa dovette prima sopportare nuovi oneri finanziari imposti da Massimiliano Sforza pressato dall'avidita' degli Svizzeri e poi il condizionamento determinato dal ritorno dei Francesi di Francesco I. Mentre le redini del nuovo governo erano rette da luogotenenti vari vale la pena di accennare a due fatti, il primo dei quali interesse l'opinione pubblica, il secondo incise profondamente sul tessuto della Popolazione. Nel 1517 la superstizione tra il popolo era cosi' grande che, essendo in quell'anno caduta una grossa tempesta, si ritenne di attribuirne la causa all'azione delle maliarde. Piu' drammatica fu invece l'influenza prodotta dalla peste del 1529, che si riprodusse con violenza nel 1540. Per la verita' non e' possibile stabilire con esattezza quante vittime tra la popolazione abbia mietuto la falce della peste, il cui contagio aveva gia intaccato la gente, a piu' riprese, negli anni precedenti. Se i vuoti prodotti furono notevoli, certamente si puo' supporre che le perdite subite dai centri agricoli fossero, in proporzione, inferiori a quelle della citta', nonostante gli elementi contrastanti in nostro possesso. Servono, per la conoscenza, i dati offerti dagli archivi che rappresentano le fonti piu' ricche e le fondamenta piu' solide della realta' storica. Senza di loro un popolo non avrebbe volto e identita', anche se e' pur sempre opportuno accostardi ad essi con un occhio smaliziato, per un rigoroso controllo della docuementazione . Pertanto, per avere un'idea il piu' vicino al vero circa la composizione e la consistenza della popolazione legnanese, nella prima meta' del 1500 bisogna risalire al censimento iniziato nel Ducato milanese da Francesco II e integrato da Carlo V, dopo che l'imperatore spagnolo prese le redini dello Stato milanese, alla morte dello Sforza. L'accertamento e' importante perche' dovrebbe ragguagliarci sul numero delle famiglie allora esistenti, sulle classi sociali, sulle principali colture in atto, sulla distribuzione della proprieta', anche se i risultati globali offerti risultano incompleti. Dall'esame dei fondi Censo p.a. e Gride dell'Archivio di Stato di Milano risulta che, al 15 settembre 1530, i gentilomini piu' 90 rappresentativi residenti a Legnano, i quali non pagavano carichi a Milano erano i Lampugnani abitanti per lo piu' a Legnarello, tra i quali primeggiavano Gaspare Antonio dito el gineto; Barbara; Geronimo, rettore de la giesa magior in Legnano; Francesco, capelano in la suprascritta giesa, il magistro da schola con dui donzenanti forestieri et uno da Milano et altro da Gorla minor. Di rilievo era pure la posizione dei Vismara, dei Visconti, dei Crivelli, dei Maino, dei Caimi, del notaio Francesco Rotta. Tra i gentilomini, che pagavano i carichi a Milano e abitavano a Legnano, prevaleva ancora il magnifico m.Jo. Bernardo da Lampugnano, con la consorte e il fattore; gli eredi di Geronimo Aliprandi, gli eredi Solari, Iacopo Corio, Francesco Maria Casati. Ne' puo' essere dimenticato il riferimento a Ferrando da Lampugnano che abita in el castello di santo Giorgio (A.S.M., Censo p.a., cart. 13 a). Per quanto concerne gli accennati comparti d'estimo, si puo' dire che fossero importanti per il raggiungimento delle prove di nobilta' originaria, da produre al momento della comparitio richiesta qualche secolo piu' tardi, all'epoca dell'imperatrice Maria Teresa, anche se la valutazione dei nobiles non puo' far dimenticare quella altrettanto importante dei cives abitanti nel territorio sottomesso alla citta'. E' ai primi comunque che sono legate le vicende del castello, nel periodo preso in esame. CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE A META' SECOLO. Per una verifica dello status della popolazione giova il censimento ordinato dall'autorita' ed attuato verso il principio del 1549. La situazione di Legnano era allora controllata in buona parte dalle famiglie gia prese in esame, accanto alle quali E' da ricordare pero', per la funzione importante esercitata e di solito non citata tra le fonti piu'l conosciute, quella di Francesco Girami, per una conoscenza approfondita della quale rimandiamo al lavoro di E. Gianazza (Momenti di un incontro: Banco Lariano 1983 - Como 1983). I Girami di cui sopra, discendenti da antica e nobile famiglia, avevano acquistato, nel 1538, dall' imperatore spagnolo, tra varie giurisdizioni, oltre ai feudi di Brebbia e della Fraccia Superiore anche diversi censi del sale, tra cui quello di Legnano: Communitas et homines Burgi Legnani ducatus Mediolani pro stariis centum quadraginta quinque census salis (A.S.M., Feudi Camerali p.a. , cart. 25l). La comunita' di Legnano pagava dunque a Francesco Girami, Signore di Barbaiana e di numerose altre terre, il censo del sale, che era obbligata ad acquistare, secondo lo strumento rogato da Giuliano Pessina il 14 ottobre 1538, anche se in seguito i figli eredi del Girami dichiararono che egli agiva come procuratore del conte Vitaliano Visconti Borromeo. 91 Dall'osservazione del materiale trattato ai fini del censimento e dal confronto con i dati relativi alla popolazione di alcune pievi, si ricava tuttavia la sensazione che il quadro offerto sia frammentario e lacunoso, tanto piu' che per alcune localita' si registra una vera e propria decimazione della popolazione, giustificata parzialmente dal dilagare della peste, ma non nella misura eclatante riportata. Omettendo dunque i tentativi per arrivare a un calcolo esatto della popolazione, in base ai dati offerti, si dovrebbe ammettere che gli abitanti di Legnano ammontassero, nel 1545, a 576 bocche con 184 focolari, con una media del 3,13%, secondo la verifica della cartella 13 b (A.S.M., Censo p.a.), in contrasto non solo con quanto affermato dal Larsimon Pergameni (Censimenti milanesi di Carlo V, in Archivio Storico Lombardo 1949, pp. 168-209), che parla di 608 bocche e 189 famiglie, ma pure coi dati registrati circa cinquant'anni dopo. Se altri elementi interessanti sono forniti dallo sgualcito quinternetto conservato in archivio, questi riguardano i principali prodotti coltivati a Legnano: miglio, frumento, melgone, fagioli, panico e uva; ma anche la figliolanza delle famiglie, che non era cosi' numerosa come si potrebbe pensare, secondo una diceria corrente. Infatti sui "focolari" presi in considerazione, solo quello di Ambrogio Bilizono vantava dieci figli; nove ne allevava Giovanni Tadino, mentre altri tre gruppi crescevano otto rampolli. Ottantotto famiglie e quindi la maggioranza, avevano due figli ciascuna ed una non ne allevava nessuno. Inoltre poiche' le indicazioni offerte dai commissari proposti al censimento riguardavano solo le "bocche" e le biade, mancavano indicazioni relative all'azione svolta dai singoli. Naturalmente, trattandosi di un comune rurale, l'attivita' dominante consisteva nella lavorazione dei campi, i cui appezzamenti variavano secondo le condizioni del coltivatore e del cui perticato possiamo farci un'idea approssimativa, poiche' mancano le indicazioni relative ai nobili, in base agli indici catastali del 1558 (A.S.C.M., Localita' foresi, cart. 35). Da questi si deduce che l'estensione dei terreni lavorati di Legnano con Legnarello, fatta salva l'eccezione indicata, ammontava a pt. 24020 circa, alle quali bisogna aggiungere circa pt. 2482 possedute dagli Enti religiosi, con le monache di S. Chiara in testa, proprietarie di pt. 574. In tale ambito, se i dati a nostra disposizione sono incerti, pur tenendo presente la precarieta' di vita della popolazione rurale, la piu' facile ad essere coartata dalla nobilta' vanitosa dei suoi privilegi, non si far meno di sottolineare col Sella (L'economia barda sotto la dominazione spagnola, Bologna 1982, p. 181 e sgg.) che la campagna lombarda, Legnano compresa, conservo' una discreta carica di attivita', grazie al 92 mantenimento di pratiche colturali, in fase di evoluzione e alla relativa subordinazione alle corporazioni cittadine. Le colture cerealicole, la vite e il gelso offrirono la maggior possibilita' di impiego ai contadini, i quali, con il tradizionale attaccamento alla terra, non esitarono ad affrontare lavori massacranti per intensificare la produzione. Il risultato fu un'economia sommersa, che consenti' di rimediare agli ostacoli delle requisizioni e delle imposizioni fiscali, anche se non e' facile dipingere un quadro chiaro della situazione allora esistente in Legnano, perche' sono disponibili solo scampoli di informazioni inadeguate per avere una visione ampia della realta'. Inoltre paradossalmente fu proprio il fisco ad incentivare l'impegno dei contadini. Dal momento che esso si basava sulla stima del perticato colpito, indipendentemente dalla destinazione a coltura o dal rendimento della stessa, l'agricoltore fu indotto a trarre il maggior reddito possibile. Infatti una delle preoccupazioni maggiori delle autorita' spagnole, austriache e francesi dominanti nel nostro paese fu sempre quella di accertare, per ragioni fiscali l'esistenza dei focolari nelle singole localita'. L'enumerazione dei capi famiglia fu infatti un elemento fondamentale degli estimi per la distribuzione del carico d'imposta, che aveva come base il ceppo famigliare, alla cui unita' coltivatrice imponeva il pagamento del tributo, generalmente riparrito in ragione di una certa somma di denaro. Da qui la necessita' di avere indicazioni sulla strutturazione della popolazione di Legnano distribuitain nove Comuni: Otto dei censiti in luogo, ed uno chiamato comunetto, per quelli che non avevano nome distinto, conforme al maggior censimento; comune dominante era il maggiormente censito, comune Vismara, comune delle Monache, comune di Camillo Prata, comune Visconti, comune Morosinetto e consorti e ilComunetto. Tali indicazioni fornite dal Bettinelli (Op. cit., p. 38 e sgg.) e derivate dal Pirovano, ci consentono inoltre di sapere che ognuno degli enti sopraccennati era rappresentato dai proprietari piu' in vista, i quali concorrevano alla nomina di un Sindaco che era coadiuvato da due deputati e da un cursore nella reggenza di ogni Comune. Per avere pero', elementi piu' sicuri sulla reale consistenza della popolazione legnanese bisogna risalire all'epoca di S. Carlo Borromeo e successivamente al censimento del 1594. Nella seconda meta' del 1500, S. Carlo fu pIU' di una volta a Legnano. Stando al racconto del prevosto Pozzi, sembra che nel corso di uno di questi rapidi soggiorni, mentre si attendeva alla riedificazione della chiesa di S. 93 Ambrogio, sotto una volta sia stato trovato, depostO nel tronco di un albero, il cadavere dell'arcivescovo Leone da Perego, che, profugo da Milano sconvolta dalle lotte di predominio sorte tra i nobili, si rifugio' a Legnano, dove mori', secondo Tristano Calco, nel 1257; secondo Galvano Fiamma nel 1263 e dove fu sepolto. Sempre secondo il racconto del cronista, all'indomani del ritrovamento, il corpo di Leone da Perego spari'. Si diffuse quindi una voce popolare, secondo la quale S. Carlo Borromeo, riconosciuto il cadavere, l'avrebbe fatto sparire, per dargli piu' adeguata sepoltura, ma anche per evitare gli eccessi di un certo culto tributato alla sua tomba. Si verifico' praticamente una situazione analoga a quella, in cui fu protagonista S. Nico o Nicone, a Besozzo, nel 1567. Carlo Borromeo, nel corso di una visita pastorale li' effettuata, saputo dove si conservavano le spoglie del santo eremita, fece fare uno scavo, per riportare alla luce i resti e dare loro una sepoltura piu' adeguata sotto l'altare maggiore deIIa chiesa, da cui furono traslati, nel 1685, in un'altra restaurata ed entro in un'urna piu' ricca. La tradizione sviluppata attorno al corpo di Leone da Perego ha favorito la formulazione di illazioni da parte degli studiosi piu' o meno accreditati, tramandata fino all'epoca moderna. Pertanto, per fare cessare le varie dicerie ricorrenti intorno alla salma di Leone da Perego, nel 1933, il cardinale Schuster commise il compito di effettuare indagini approfondite a una commissione costituita dai mons. Galli, Saba e Castiglioni. Il risultato emerso dai loro studi garanti che Leone da Perego, alla sua morte era stato sepolto, senza grandi onori, nella chiesa di S. Ambrogio. Da qui la salma ritrovata prima del 1566, e quindi anteriormente all'intervento del cardinale Borromeo, fu trasportata nella nuova basilica di S. Magno. Il trasferimento del corpo non si poteva congiungere al ripristino totale dell'edificio sacro a S.Ambrogio, avvenuto dopo il 1592. Si doveva quindi dedurre che l'ipotetica sottrazione attribuita a S.Carlo era solo un parto della fantasia di alcuni scrittori e che la salma era da ritenersi riposta in un luogo sconosciuto della chiesa di S. Magno. A seguito della Visita pastorale effettuata a Parabiago l'8 ottobre 1583, (Archivio Spirituale Diocesi di Milano, ed ora in pi A.S.D.M.. Visite Pastorali, Sez. X, Vol. V), grazie alle facolta' concesse dal Concilio di Trento, della cui legislazione fu scrupoloso esecutorel, in virtu' anche dell'autorizzazione conferitagli dal papa Gregorio XIII, con Brevi del 28 94 giugno, 11 luglio e 4 novembre 1573, S. Carlo Borromeo, il 7 agosto 1584, decise per la soppressione della Prepositurale di Parabiago e per il suo trasferimento a Legnano. Le ragione del mutamento furono varie. Benche' a Parabiago esistessero cinque canonici dotati di prebenda: don Antonio Mozzoni, don Ottavio Ermano, don Giovanni Battista Pusterla, don Cipriano Tarillo, don Briosco, nessuno di loro risiedeva nel paese assistito dal solo prevosto. D'altra parte la Prepositurale non aveva case sufficienti ad ospitare un adeguato numero di canonici ne' esse si potevano costruire per l'esiguita' dei redditi disponibili, insufficienti ad assicurare una dignitosa sopravvivenza. A distanza di tre miglia da Parabiago vi e' pero' Legnano, giudicato un borgo satis insigne, con numerosa popolazione, per di piu' dotato della chiesa di S. Magno considerata magnifice speciosa per l'ampiezza della costruzione e la ricchezza degli ornamenti, nonche' fornita di buoni redditi. A cio'si aggiunga la presenza, in Legnano, di numerose cappellanie sia titolari che mercenarie, i cui rispettivi patroni non chiedevano di meglio che la trasformazione in canonicati prebendati. Pertanto il cardinale Borromeo divise, separo'e smembro'i redditi provenienti ai cinque canonici, soppresse tre canonicati e in particolare quelli cui spettava il diritto di raccogliere le decime, costituendo per loro un beneficio coadiutorale. La chiesa dei SS. Gervaso e Protaso di Parabiago fu costituita in nuova parrocchia assistita oltre che dal parroco anche da un coadiutore, con annessa prebenda scholasticaria e l'onere di istruire almeno cento chierici e adolescenti poveri. Il coadiutore fu alloggiato nella vecchia casa vicino alla chiesa, mentre il curato si trasferi' in quella canonicale, la cui costruzione era iniziata da poco. Percio' la difficolta' di trovare nuove case per l'abitazione dei canonici, unita alla preoccupazione di non avere preti residenti sul posto e che lavorassero per il bene delle anime, indusse l'arcivescovo di Milano a trasportare la Prepositurale da Parabiago a Legnano, in analogia a quanto fatto con Brebbia, con Castelseprio, localita' dalle quali la pieve fu trasferita rispettivamente a Besozzo e a Carnago, cosi' come Busto Arsizio, staccata da Olgiate Olona, divenne capo pieve il 4 aprile 1583. Effettuato il trasferimento a Legnano, fu inserito il chiericato di S. Martino, cioe' una specie di borsa di studio esistente nel territorio e vacante per la morte del rev. Matteo Mascaroni, con relative pertinenze e redditi ammontanti a L. 300. I due canonicati gla esistenti presso la chiesa S. Magno furono trasformati in coadiutorali, di cui uno presso la stessa, con un beneficio di L. 330 annue, l'altro presso S. Maria, nella contrada di Legnarello, in modo da soddisfare le esigenze spirituali degli abitanti spesso impossibilitati ad 95 accedere alle sacre funzioni di Legnano, a causa delle inondazioni del fiume Olona. Il canonicato gia' del rev. Ermano fu trasformato in teologale, con l'assegnazione dei beni della chiesa di S. Lorenzo dipendente dalla Cura di Parabiago, piu' oneri ed onori, derivanti da testamento di Agostino Lampugnani . Un quarto canonicato, gia' del sac. Tarillo, fu congiunto alla cappellania di S. Giovanni Battista esistente nella Prepositurale di Legnano, con un beneficio di L. 300 annue e l'onere di celebrare cinque messe alla settimana, in onore della famiglia Vismara, sotto il cui patronato fu messo. di quello che si trovava nella chiesa di S. Ambrogio, a Milano, con annesso beneficio e obbligo di celebrare una Messa feriale settimanale. Naturalmente la traslazione suscito' un profondo senso di orgoglio nella popolazione di Legnano, ma di grande risentimento in quella di Parabiago, che si senti' colpita, per non dire spogliata di dignita' colla depauperazione del prevosto. Da qui la protesta elevata e sostenuta anche dopo la morte di S. Carlo Borromeo, perche' la localita' fosse reintegrata nelle antiche prerogative, ripristinate solo dopo tre secoli, per opera del cardinale Carlo G. Gaysruck, con decreto del 12 luglio 1845 (Archivio parrocchiale di Parabiago, Beneficio coadiutorale, cart . 1 e A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. X, vol. XVIII). Per quanto riguarda poi la trasmissione delle prerogative di capo pieve da Parabiago a Legnano, si deve tenere presente che cio' non comporti, una acquisizione analoga da parte della nostra citta' sul piano civile. Legnano infatti continuo' a far parte come circoscrizione amministrativa della pieve di Olgiate Olona, esistente ab antiquissimo, anche se appare fuori misura farne risalire l'origine a epoca anteriore al sec. VII, come accenna il Bondioli (Storia di Busto Arsiaio, vol. I, Varese MCMXXXVII, pp. 31-33). Meglio risalire col Giulini (Memorie della citta' e campagna di Milano, Milano 1857, vol. VII, p. 307) al sec. XII, per la pieve di Olgiate Olona, originariamente costituita dalla Comunita' in oggetto piu' quelle di Cislago, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Castenate,' Fagnano, Cairate, Marnate, Legnano, Legnarello, per non parlare dell'aggregazione successiva di Cascina Masina, Castellanza, Nizzolina, Prospiano, Rescalda, Rescaldina con Ravello, Sacconago con la Cascina Borghetto, Solbiate Olona, ancora inserita, al 10 giugno 1757, secondo il prospetto del compartimento territoriale di Milano. L''appartenenza di Legnano alla pieve di Olgiate si spiega con la netta separazione tra affari temporali (in temporalibus) e affari spirituali (in spiritualibus) voluta dall'autorita' civile e con la presenza della Cancelleria, probabilmente fin dall'epoca dei Visconti, ad Olgiate Olona. 96 Qui infatti risiedeva il cancelliere Annibale Mazza trasferito, con una retribuzione annua di L. 2000, alla nuova Cancelleria istituita a Legnano, con Editto governativo de11'8 marzo 1785, dall'imperatore Giuseppe II, il quale si reco' in visita alla nostra citta' nel 1784 e volle gratificarla con un'onoranza particolare, anche se nei bilanci del 1794 Legnano era indicata come ancora appartenente alla pieve di Olgiate Olona, distretto XXX (A.S.M., Censo p.a., cart. 1 329) . Alla fine del 1500 un censimento di carattere religioso della popolazione di Legnano fu steso dal prevosto G.B. Specio, per conto dell'autorita' arcivescovile. Redatto, nel 1594, su 85 pagine e conservato originariamente nell'archivio della Curia milanese (A.S.D.M., Pieve di Legnano, Sez. X, vol. VI), esso indicava a fianco di ogni nominativo se era stato battezzato, cresimato, comunicato. Il documento illustrato dal Sutermeister (Memorie ecc., Legnano 1959, n. 17) e dallo Strobino (Il primo censimento demografico di Legnano, 1 marzo 1594, in Legnano, 1956) risulta importante non solo dal punto di vista religioso, ma anche statistico, per l'abbondanza dei dati forniti, ai fini della classazione della popolazione, sotto il profilo fiscale, specie quando si trattava di nobili che, avendo proprieta' dislocate a Legnano, per esse dovevano pagare le imposte al "referendario" locale, salvo casi di esenzione fiscale. Le contrade costituenti il borgo, sia pure senza corrispondenza a divisioni amministrative erano: Gaminella 7 case Galvagni 11 case Mugia' 45 case Contrada Vismara 9 case Osteria Grande 8 case Ambrosini 11 case Pozzo Vagetto 25 case Sopra la Piazza 52 case Legnarello 41 case Casato 4 case Cascina del del Mino 6 case Canascia 2 case ----------------------------------------------Totale 221 case 97 Mancano dal computo le contrade Ponzella, Mazzafame, S. Bernardino. Le case distinte nelle categorie da nobili, pisonanti, massari, molinari, erano per lo piu' abitate da famiglie che avevano questi cognomi ricorrenti con frequenza: Bollini, Borsani, Caimi, Cavalieri, Crespi, Galli, Lampugnani, Lattuada, Maestri, Mantegazza, Masanzana, Oldrini, Piantanida, Salmoiraghi, Vismara. Secondo i calcoli effettuati dall'ing. Strobino (Op. cit.), la popolazione era costituita da 2368 persone, ma tenendo conto della mancata indicazione degli abitanti dislocati nei tre quartieri non inclusi nel censimento, nonche' del clero,si puo' supporre che si aggirasse intorno a 2500 anime, che diventeranno 2948 nel 1620 e si manterranno su questa cifra per parecchi anni. Le famiglie assommavano invece a 470. Il maggior addensamento si registrava nelle case piu' umili dei pigionanti e dei massari, il minore in quelle dei nobili, che vivevano in condizioni migliori e disponevano di spaziosi locali ricchi di fregi artistici, di ampi camini e decorosi affreschi. Ogni famiglia era costituita in media da cinque elementi, tra i quali potevano rientrare pero', anche gli estranei come i domestici, in netto contrasto con la teoria dei nuclei famigliari numerosi del passato e in probabile diminuzione a causa delle perdite provocate dalla peste del 1576, in un borgo dal prevalente carattere agricolo, statico nella sua conformazione sociale avviato all'esplosione demografica solo parallelermente allo sviluppo industriale in atto all'inizio del sec. XX, allorche', con censimento del 1901, s accertera' una popolazione di 18.285 abitanti. L'eta' media calcolata dall'ing. Strobino era di anni ; 5, 27 nel 1594, salita a 32,50 nel 1951, col miglioramento delle condizioni igieniche. 98 Feudi e comuni Origine del nome di Legnano Origine del nome di Legnano (1) Il regno longobardo cesso' di esistere nel 774, quando Carlo Magno, chiamato in Italia dalla Chiesa, sconfisse a Pavia il re Desiderio. I Longobardi avevano distribuito i territori ai loro duchi, i quali favorirono un sistema economico fondato sulla curtis, un centro di chiusa autarchia che consumava quanto produceva. Il lavoro dei campi era affidato ai servi della gleba, legati alla terra, e all'interno della corte esistevano anche artigiani per costruire e riparare gli strumenti di lavoro. E' un sistema che non solo impoverisce il commercio, ma isola spiritualmente gli uomini limitando fortemente i contatti e gli scambi tra paese e paese, con gravi conseguenze anche sul piano linguistico. Carlo Magno sostitui' i duchi con i suoi conti e la fortezza di Castelseprio, costruita dai Longobardi, divenne la capitale di un contado del Seprio, comprendente Legnano. Anche il sistema feudale di Carlo Magno favoriva la costituzione di organismi economici chiusi. Il Capitolare de villis da lui emanato nell'812, definiva le strutture del sistema curtense, stabilendo che ogni corte doveva avere un certo numero di fabbri, calzolai, orefici,ecc.Probabilmente il nome della vicina Villa Cortese(aggiungiamo Villa Stanza) conserva il ricordo di simili istituzioni anche nella nostra zona. Col passare del tempo pero' e' la citta', non la campagna, a manifestare una impetuosa crescita economica e demografica. Li' i lavoratori liberi operano al di fuori dei vincoli feudali e curtensi. I bisogni alimentari della citta' stabiliscono un flusso commerciale colla campagna e quando una nuova invasione barbarica devasta la Lombardia e gli Ungheri sconfiggono Berengario, marchese del Friuli, e altri feudatari, Milano resta sicura dentro le robuste mura di cui l'ha munita l'arcivescovo Ansperto. Nei momenti di maggior pericolo i contadini si rifugiano dentro la citta'. La protezione della popolazione agricola era affidata ai maggiori organismi monastici e sappiamo che i Legnanesi erano sotto la protezione dei monaci di S.Ambrogio di Milano. E' interessante notare come il piu' antico documento in cui appare il nome di Legnano si riferisca 1 tratto da profilo storico della citta' di Legnano 99 appunto ai monaci di S.Ambrogio. Esso e' contenuto nel Codice Diplomatico Longobardo al numero LIV e riguarda una cessione fatta in data 23 ottobre del 789 da Pietro, arcivescovo di Milano, al monastero di S.Ambrogio: cutem proprietatis nostre in leunianello, cioe' Legnanello, la parte di Legnano separata dall'Olona. Sull'etimologia di questo nome si e' molto discusso. Trascurando le interpretazioni fantasiose o cervellotiche, quali limen lanum oppure lignum anus(a cui probabilmente si ispirano gli inventori dello stemma cittadino), bisogna dire che Legnano non e' un toponimo unico. Esistono anche Legnago, Legnaro, Lignano, Lignana, Lignan e Lignod(Aosta). E' ancor piu' diffuso in Francia, dove, per fare solo qualche esempio, si trova Lignan e molti Ligny, che nei documenti medievali sono denominati in vario modo, tra cui (i numeri indicano le date dei documenti) Lignanum 977, Liniacum 647, Lennacum 1119 (nn-sta per -gn-), Legnianum 1157. Questi nomi sono normalmente degli aggettivi prediali, che denotano un territorio di un certo proprietario. L'aggettivo si forma col nome latino del proprietario a cui si aggiunge un suffisso -anum, se l'ambiente e' completamente romanizzato, -acum, se l'ambiente risente ancora del gallico o celtico. Nell'Italia Settentrionale -anum, divenuto -ano, si riduce a -an, mentre -acum, divenuto -aco, si muta in -ago e poi in -ag con a lunga. In Francia Settentrionale invece mentre -anum diviene -an(cfr. Lignan), -acum per una piu' complessa evoluzione si riduce a -i(scritto -y). Legnano e Legnago sono dunque due toponimi con una base eguale e due diversi suffissi. La base e' il nome latino del proprietario della terra (ltifondo?) che prese il nome da lui. Morto il proprietario se ne tramanda il nome nei secoli, inglobato nel toponimo e sottoposto alle leggi dell'evoluzione fonetica. Quando vissero questi signori delle terre? Certamente non prima della romanizzazione del territorio, ma l'arco del tempo possibile e' molto mpio. Durante l'Impero Romano? alla fine? All'inizio del Medioevo? Teniamo presente che il documento piu' antico, in Francia , e' del 647. Sulla forma precisa di quel nome gli studiosi francesi oscillano tra Linius, che deriverebbe da Linus, e Laenius. Propendiamo per quest'ultimo della cui esistenza siamo certi, mentre Linius e' soltanto ipotizzato. Resta da spiegare la vocale -u di Leunianello. Ricordiamo innanzitutto che il documento del 789 ci e' pervenuto in una copia posteriore e ricordiamo ancora la voce Lennacum di un documento francese del 1119. Partiamo dalla base Laenianum sapendo che gia' nel primo secolo d.C. il dittongo ae si pronunciava e, quindi Lenianum. Poi le consonanti n ed l seguite da i e da un'altra vocale non si pronuciarono piu' colla punta della lingua contro i denti (o alveoli), ma col dorso della lingua schiacciato contro il 100 palato anteriore, assorbendo la i; suoni che prima non esistevano in latino.I notai e gli scrivani che dovevano registrare questi (e altri) nuovi suoni, si trovarono in difficolta' e adottarono (per la n palatale) diverse soluzioni, come nn, oppure gn (analogamente gli per la l). La seconda fini' col trionfare, ma e' naturale che nei documenti piu' antichi si trovi anche la prima. E' del tutto verosimile che del documento originale del 789 fosse scritto Lennianello, che il copista piu' tardo, non abituato a quella grafia, lesse e trascrisse Leunianello. Nel discorso etimologico su Legnano si e' voluto da qualche studioso inserire arbitrariamente la testimonianza di alcuni documenti notarili dei secoli IX e X, dove in qualita' di testimoni, si citano tre persone, Adalberto, Reginaldo, Lupone de Lemoniano, o Leminiano o Lemeniano, senza pero' accertare un qualsiasi rapporto con Legnano. Si tratta di un cognome legato a una localita' indeterminata. Anche uno studioso competente, Giovanni Flechia, fa risalire Legnano a Laenius, ma in altro luogo si lascia ingannare da una falsa spiegazione del Bombognini che parla di un Ladegnano - Ledegnano mai esistiti, e ammette l'ipotesi di un Latinius-Latinianum, che ci condurrebbe fuori strada. Aggiungiamo ancora che la pronuncia dialettale conobbe, almeno fino a qualche decennio fa, un'alternativa tra un piu' colto Legnan e un piu' contadinesco Lignan (identico al citato toponio francese). La cosa non sorprende se pensiamo ad altri doppioni, come tela-tila, sera-sira, cera-scira, ecc. Anche per Legnanello esistevano varie pronunce: Legnanèl e' una pronuncia piu' recente influenzata dall'italiano; piu' genuina la pronuncia Legnarèl, ma ancora piu' schietta e originale la pronuncia Rignarèl, dove compare la i di Lignan e dove le due r possono avere una duplice spiegazione: la prima r sostituisce l come avviene in scara, ara(scala, ala) ecc., la seconda si assimila alla prima (spiegazione meno probabile: la seconda r nasce da una dissimilazione tra n apicale e n palatale; la prima si assimila alla seconda). Il documento del 789 che ci ha costretti ad inserire un escursus etimologico, contiene due indicazioni alquanto vaghe. La prima riguarda il signor Laenius, proprietario del territorio. Latifondo? La stretta vicinanza di altre localita' sembra ridurre fortemente lo spazio legnanese rendendo inapplicabile il termine latifondo, se non ammettessimo che i vari toponimi circonvicini (S.Giorgio, S.Vittore,S.Lorenzo ecc.) siano alquanto piu' recenti. In altre parole la proprieta' del signor Laenius doveva essere molto piu' ampia dell'attuale Legnano. Attorno al nucleo del piu' antico e vasto Lenianum sorgono a distanza di secoli altri nuclei abitati della cui autonomia amministrativa nulla sappiamo. E' chiaro che S.Vittore, S.Giorgio, S.Lorenzo, toponimi derivati dai nomi di chiese dedicate a quei 101 santi, risalgono al Medioevo, come del resto Rescalda, Rescaldina, Cerro, Cantalupo, mentre Laenianum potrebbe risalire perfino a prima di Cristo. La seconda indicazione problematica e' contenuta nel termine curtem come parte di Legnanello. Abbiamo gia' ricordato il sistema curtense a proposito di Villa Cortese. La curtis e' longobarda, mentre villa risale all'eta' franca. Ma il termine ha conosciuto un'ampia evoluzione semantica. Dapprima fu "sinonimo amministrativo del pagus romano, poi suddivisione della judiciaria o finis longobardica e del comitatus franco...piu' tardi tuttavia si uso' in altri significati; infatti nel sec. IX curtis designo' peramplas rusticas domus et integras quandoque villas cum adnexis latifundis e poi ancora ampi poderi con case e talora castello e chiesa". Dunque la corte di Legnanello doveva avere un'ampia estensione, non sappiamo se fornita anche di chiesa e ancor meno probabilmente di castello o piccola fortificazione. Abbiamo constatato certi legami tra Legnano e Milano facenti capo all'arcivescovo e ai monaci o ai canonici di S.Ambrogio, ma in seguito diverra' normale che famiglie milanesi posseggano beni a Legnano. La floridezza della metropoli richiede per i bisogni alimentari di fruire della produzione agricola della campagna. Anche questo concorre allo sviluppo di un'attivita' commerciale e di una classe mercantile di cives negotiatores che investono i loro profitti nei terreni e si affiancano ai possessi ereditari della classe feudale. Possedere terreni in citta' o in campagna vale quanto un titolo nobiliare, e poiche' l'espansione della ricchezza produce il fenomeno dell'urbanesimo, non ci si meraviglia se alcune famiglie legnanesi si trasferiscono in citta'. Si forma cosi' un ceto di ricchi proprietari nobili, di origine feudale o mercantile, che hanno case a Milano, case e terreni a Legnano, che spostano la loro dimora secondo le stagioni e le circostanze, Da queste famiglie usciranno in seguito personaggi di rilievo nell'ambito culturale e politico. Pur appartenendo al contado del Seprio, Legnano ha legami cosi' stretti con Milano da essere obbligata a seguirne, almeno di riflesso le vicende. Nella metropoli va crescendo il potere politico dell'arcivescovo, che non e' solo un ecclesiastico, e' un capo civile e militare; incorona re e imperatori, tiene testa al pontefice e quando il papato e' in crisi, fa di Milano una seconda Roma, Se Ansperto ha fortificato la citta' cosi' da tener lontani gli Ungheri all'inizio del secolo X, Ariberto da Intimiano nella prima meta' del secolo XI si assicura un vero principato mirando addirittura a costituire uno stato dalle Alpi al Po. Prima di morire pero' egli conosce un duro contrasto nella sommossa del popolo capeggiato dal nobile Lanzone, che lo costringe a uscire dalla citta'. La rivolta rientra, ma e' soltanto il preludio delle gravi agitazioni sociali e religiose che nella seconda eta' del secolo faranno capo alla Pataria, una guerra popolare 102 contro il clero simoniaco e concubinario. Come prima da Lanzone, il popolo e' ancora guidato da nobili ed ecclesistici. Si invoca un ritorno alla Chiesa primitiva, con un clero casto e fedele al Sermone della Montagna. Cosi' predica Anselmo da Baggio, gia' candidato alla successione di Ariberto, ma il vero successore per allontanarlo lo fa nominare vescovo di Lucca. Anselmo (che poi diverra' papa Alessandro II), partendo affida il suo compito a un sacerdote, Arialdo da Cucciago, che ha studiato all'universita' di Parigi e a un altro prete di nobile origine, Landolfo Cotta, al quale poco dopo si affianca il fratello erlembaldo, uomo d'arme. Landolfo predica a Milano, Arialdo gira nelle campagne verso Varese. Non si sbaglia pensando che lo abbia fatto anche a Legnano, dove i Cotta avevano un fortilizio. Sapendo che Arialdo riusci' a infiammare tutta la campagna contro l'arcivescovo Guido da Velate, dobbiamo credere che anche i Legnanesi fossero con lui. Dopo un'aspra lotta a base di sommosse e di scomuniche Arialdo in viaggio verso Roma e' sorpreso a Piacenza dai nemici. Sfugge, si ripara a Pavia, quindi Erlembaldo gli trova rifugio nel suo castello a Legnano. Ma vi e' chi lo tradisce. Lo portano sul lago Maggiore (Isola Bella?) e lo uccidono. Abbiamo con questo la certezza dell'esistenza a Legnano di un castello, che il Giulini chiama S.Giorgio, ossia il castello attuale sull'Olona, che fu cominciato a costruire molto tempo dopo. Durante gli scavi per la costruzione del palazzo della attuale Galleria INA vennero alla luce i robusti muraglioni di una fortificazione che si estendeva fino all'area dell'attuale Asilo infantile, di fianco alla chiesa allora dedicata a S.Salvatore. Qui dunque doveva essere situato il castello dei Cotta, che funziono' egregiamente prima del Castello Visconteo. 103 La dominazione spagnola Nel corso del sec. XVII la vita di Legnano inserita nel Ducato di Milano fu caratterizzata dall'influsso della dominazione spagnola, della quale, per molto tempo, e' stato offerto un quadro dalle tinte oscure. Non occorre pero', esagerare e far coincidere il vero aspetto del predominio spagnolo con una desolante decadenza, come hanno fatto molti economisti del 1700. Non si vogliono giustificare leggi assurde ed autoritarie fatte per non essere osservate, ma non si puo' disconoscere il tentativo di arrivare alla costituzione di uno stato moderno compreso tra il sec. XVI e il XVII e che Milano si trovi, sulla via di questo progetto, teso alla eliminazione di privilegi corporativistici, tali da strozzare lo Stato e costringerlo a una condizione di costante debolezza (Visconti, Storia diMilano, Milano 1967, p. 453). E questo valga non per esaltare la Spagna, ma per dare al quadro la giusta prospettiva. Quanto alle strutture dello Stato di Milano, esse erano stabilite dalle Novae Constitutiones fissate da Carlo V, nel 1541, e rimaste in vigore fino al 1786. Grazie ad esse l'organizzazione centrale dello Stato lombardo risiedeva in Milano, trasformata in un centro amministrativo e consumistico, mentre la campagna, se non era un paradiso, costituiva, con le sue terre, un comodo rifugio per i nobili al riparo dalle preoccupazlonl cittadine oltre che un'ottimo investimento, di fronte ai quali giocava un ruolo non indifferente la folla anonima dei contadini, dei mezzadri, dei fittavoli, degli artigiani, in grado di far rifluire) i capitali della stagnante economia della citta' a delle zone rurali, innervata dalla loro volonta'e vivacizzata dalla loro sagacia. La popolazione del borgo di Legnano appariva dunque, all'inizio del 1600, articolata, nel suo assetto costituzionale, nei Comuni dei nobili e dei salariati da loro dipendenti, abitanti in cascine sparse per il territorio, perche' l'abitato era legato allo sviluppo della proprieta fondiaria, ai metodi di conduzione e ai modi di sfruttamento del terreno, che richiedevano una costante presenza dell'uomo. Tale distribuzione si protrasse praticamente fino alle riforme teresiane e fu spesso causa di notevoli contrasti sul piano dei reciproci diritti. Ne abbiamo una testinionianza valida attraverso una tendenza di definizione di privilegi, che fu emanata dal Senato milanese il 13 novembre 1603: Pro nobilibus Burgi Legnani super regulis orterum cum Communitate 104 praescriptis per Sertatum Excellentissimum (A.S.M., Certso p.a., cart. 1329). In seguito a controversie sorte tra i nobili e la Comunita' di Legnano o piuttosto alcuni vecchi sindaci che si attribuivano l'immunita' dagli oneri fatti ricadere sui poveri e ignari coloni dei nobili, sentite le reciproche preghiere avanzate dalle parti, perche' gli oneri fossero regolamentati, il Senato addivenne a un Serzatus Cortsultum. In base a questo stabili' che si creassero nuovi sindaci, ma che non si potessero scegliere tra quanti erano debitori della Comunita', ne' i loro figli o fratelli conviventi, per evitare scandali. Per eliminare future discordie, si diede incarico al senatore Rovida di stabilire delle regole per la divisione degli oneri. Gli amministratori della Comunita' dovevano inoltre rendere conto ogni anno dell'operato, perche' i poveri, gli orfani e le vedove non risultassero oppressi dai potenti. I nobili, senza pregigdizio dei coloni e dei massari, avevano il diritto stabilire regole, ma non potevano, in caso di alloggiamento dei militari, gravare su beni dei cittadini oltre l'ottava parte del lavoro dei loro possessi. Percio' l'eventuale distribuzione eccedente la detta parte e incidente sui massari, costituiva un aggravio illecito, che comportava l'obbligo alla compensazione e alla restituzione di quanto versato oltre la misura. Questo disposto del Senato trovava un precedente in una serie di provvedimenti gia' presi per Saronno, Varese e Monza. Pertanto il delegato del Senato milanese, vista la distribuzione degli oneri fatta nel borgo di Legnano, udite le parti e i loro procuratori, sentiti i nobili Taverna, Lampugnani, Vismara, Crivelli, Bossi, Fumagalli, de Rubeis, il prevosto Specio e Greco Donato, ordino', di fare la distribuzione sia degli oneri ordinari che di quelli straordinari e delle altre spese tra nobili e Comunita'. Pertanto il perito Francesco Landriano designato allo scopo, redasse due comparti, in uno dei quali erano indicati i nobili, nell'altro i capita e le bocche degli abitanti della Comunita', con i loro beni rurali. I massari dei nobili, a loro piacere, potevano essere descritti per capo, bocche e beni sul rotulo dei nobili, se disposti a pagare con la porzione di oneri. Le spese straordinarie sopportate, ogni anno, nell'ambito della Comunita' per pagare il "causidico", il Cancelliere, i sindaci, l'addetto all'orologio, la riattivazione delle strade, erano di L. 800. Rimanevano all'universita' dei rurali due redditi della Comunita', di cui uno di L. 205,9 per il prelievo del sale, l'altro di L. 99,11 per il dazio della macina . In sostanza, come risultato dell'operazione, gli esperti compilarono quattro fascicoli, nel primo dei quali erano indicati i nomi di tutti gli abitanti del Comune, compreso Legnarello e pertinenze, col numero delle bocche e soldi d'estimo per ciascuno; nel seobndo, il perticato rurale del Comune; 105 nel terzo i nobili separati dai rurali, con la quantita' del loro perticato rurale e relativa stima; nel quarto, i censi pagati ogni anno dalla Comunita', con i nobili abitanti a Milano che, per i loro beni rurali, non concorrevano al pagamento dei carichi predetti. Accanto ai nobili si trovavano pure i particolari, ai quali si pagava il dazio dell'imbottato che, nel contado di Milano era anteriore al 1300; e l'onoranza di un bue, cioe' una tassa dell'epoca feudale pagata in genere per i beni allodiali e consistente in una prestazione in natura. A carico della Comunita' risultata un onere complessivo di staia 280, di cui 263 ai rurali 14 ai nobili 2 alla osteria e prestino di S. Antonio a Legnarello e il resto alla cascina della "Poncella". Poiche' era stato dichiarato che le spese straordinarie erano di L. 800 e che ai rurali rimanevano due redditi rispettivamente di L. 99 e di L. 205,9 per complessive L. 305, le restanti L. 495 furono ripartite tra le due parti, in proporzione alla rata di sale che ciascuno era tenuto a pagare, secondo una gabella esistente in Lombardia gia' nel 1300, fissata in ragione del numero delle bocche, della condizione e della facolta' di ogni famiglia, esentata dal pagamento solo quando la sostanza posseduta non oltrepassava L. 1 di estimo. Percio' dovevano pagare: ------------------------------------------------Nobili Osteria di Legnarello Cascina della 'Poncella' L. 24.19.10 L. 465. 2.11 L. 3.10. 9 1. 6. 6 L. 495.-- .-- Il carico di L. 143,7 relativo all'onoranza del bue grasso, pagata a Pietro Giacomo Lampugnani, era cosi' stabilita: Nobili di Legnano Comune di Legnano Osteria di Legnarello Cascina 'Poncella' L. 7.44. 6 L. 134.14. 6 L. 143. 7. -La tassa di L. 313 dovuta per l'imbottato era invece cosi divisa: Nobili di Legnano Comune dei Rurali L.. 15.16. 1 L.. 294. 2. 6 106 Osteria di Legnarello Cascina 'Poncella' L.. 2. 4. 8 L. . 16.9 ---------------L. 313 In base a questa distribuzione, i nobili non poterono piu' accampare di essere gravati nel sostenere l'onere di alloggiamento dei soldati, ne' di spese straordinarie, se non per la rata ad essi addebitata, conformemente al primo deliberato senatoriale del 12 febbraio 1604, ribadito, in quarta sede, il 23 giugno 1605. Sancita la partizione degli oneri e in vista di una possibile infeudazione, il Magistrato delle Entrate Regie Ducali e dei Beni Patrimoniali dello Stato di Milano, predispose un accertamento delle "terre" e della popolazione legnanese. Questa riceveva nel frattempo una Visita pastorale da parte del cardinale Federico Borromeo che, nel 1617, celebro' la Messa nella chiesa collegiata e amministro' la Cresima a molte anime del borgo e della pieve di Legnano (A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. xb vol. XVIII). Dagli atti conservati nell'Archivio della diocesi milanese risulta che la Cura si estendeva a tremila anime, per le quali era insufficiente un solo sacerdote: da qui le disposizioni emanate, nel 1618, pe la aggiunta di due coadiutori: sed cum cura ipsa contineat animas numero tres mille quibus unicus Sacerdos minime satisfacere posset additi sunt duo coadiutores (vol. VII). Documento dunque interessante dal punto di vista religioso, valido per la verifica sulla Scuola del SS. Sacramento, che vantava 388 iscritti tra uomini e donne ed era retta da dieci deputati; sulla Scuola del Rosario con 723 aderenti, ma non meno determinante per l'accertamento della popolazione. Naturalmente di proporzioni piu' ampia fu la documentazione prodotta e allegata alla proposta di comperare il feudo, il 16 novembre 1620 (A.S.M., Feudi Camerali p.a., cart. 220). Obbedendo a inte-ssi fiscali, allo scopo di assicurare nuove entrate alle casse dello Stato, l'autorita' spagnola decise di vendere i luoghi e le terre non ancora infeudati, eccettuate le citta'. Percio' fu emesso il bando per la libera vendita delle terre di Legnano e Legnarello con relative pertinenze, accessibili anche ai forestieri e donne compresi, con facolta' di disporre in successione ordinaria de maschi, al prezzo base di L. 32.000 per rispetto del feudo et giurisdizioni oltre al prezzo di ducati castigliani 4000 per chi volesse appoggiarvi sopra il titolo di marchese. Furono avanzate due offerte interessanti al Magistrato Camerale: una da parte di G.B. Piantanida l'altra da parte di C. Visconti, il cui nome ricorre, con frequenza in questi 107 spregiudicati blitz per l'acquisto di terre abitate. Il primo, della parrocchia di S. Eufemia di Milano propose di acquistare il feudo di Legnano e Legnarello al prezzo di L. 33.000, con l'aggiunta di ducati 4000 per il titolo suddetto. Pur di riuscire nell'intento, il Piantanida allego', all'offerta una curiosa documentazione sull'ascendenza nobiliare dei suoi antenati sui vincoli di parentela coi Lattuada, cogli Arconati; sui beni posseduti a Milano, Cuggiono, Figino, Lonato e relativi redditi; sul tenore di vita che contemplava il possesso di tredici cavalli, numerose armi da caccia, paggi, camerieri, livree, gioielli per il valore di 1500 scudi. Cesare Visconti si dichiaro' invece disposto ad acquistare il feudo di Legnano e ogni altra cosa ad esso spettante, col titolo di marchese per se' e il figlio maschio da designare e discendenti maschi, al prezzo di L. 60.000 imperiali. Di fronte a queste proposte, il Governatore del Ducato milanese predispose l'assunzione di una serie di informazioni sulla struttura effettiva di Legnano e Legnarello per havere l'intiera cognitione della qualita' d'esta terra. Dagli allegati risulta che Legnano, situata nella provincia del Seprio, godeva di un ottimo clima, aveva sotto di se' la contrada di Legnarello e cinque cascine; disponeva di una casa fabbricata a forma di castello con fossato e ponti posseduta dal dott. Ferrante Lampugnani. Il borgo aveva in sua proprieta' una casa della Comunita', in parte affittata a L. 120 annue e in parte adibita a riunioni dei pubblici amministratori. Nel giorno dei Morti, la gente delle zone circostanti accorreva alla omonima fiera per comperare bovi grassi, pelliccie, panno, tele. Tale fiera, secondo il Bombognini (Op. cit., p. 36) aveva un'origine lontana, risultando dalle carte dell'Archivio comunale di Busto Arsizio che la concessione da parte di Carlo V di una fiera simile, nel giorno di S. Luca, non ebbe effetto, perche' non sanzionata dal Senato, troppo vicina e pregiudizievole a quella di Legnano. Sul fiume Olona che correva tra Legnano e Legnarello, insistevano sette mulini, uno dei quali del cardinale Borromeo, l'altro del cardinale Montalto. Poco distante dalla "terra" si ergeva l'ospedale di S.Erasmo con un'entrata di trecento scudi annui, destinato all'accoglienza dei vecchi e di altre persone non in grado di lavorare. Funzione di assistenza esercitava pure la Scuola della Misericordia, la cui entrata di cento scudi era distribuita ai poveri. Le chiese di Legnano erano nove: accanto alla Collegiata retta da un prevosto con un'entrata di L. 1000 annue e assistito da cinque canonici, si distinguevano le chiese di S. Maria di Legnarello; di S. Maria del Priorato; di S. Ambrogio e con l'annessa Scuola dei Disciplini' di S. Angelo con il monastero dei frati zoccolanti, che dava ospitalita' e diciotto persone; di S. Chiara con un 108 monastero ospitante trentacinque monache . Fuori del borgo si trovavano le chiese di S. Maria delle Grazie; di S. Caterina; di S. Maria della Purificazione con la Scuola del SS. Sacramento; di S. Erasmo con annesso ospedale; di S. Martino; di S. Giorgio; di S. Bernardino. Gli abitanti del borgo, Legnarello compresa, ammontavano a 2948, di cui 1959 da comunione. I focolari o famiglie erano 474, di cui gentiluomini, 233 da rurali, cioe' mercanti, artigiani 154 formati da cittadini, 12 da contadini; 75 da persone che lavoravano beni ecclesiastici. Gli abitanti, fatta eccezione per i nobili, contavano, tra le loro fila, dieci mercanti di panno, tela e canapa; tre tintori, cinque proprietari di piccoli empori per la vendita di generi alimentari, sei calzolai, sette sarti, tre barbieri, sette zoccolai, quattro maniscalchi, due venditori di spezie, cinque pasticcieri, sei falegnami, un cappellaio, tre macellai, cinque maestri insegnavano a leggere, a scrivere e musica, un medico "fisico" e un chirurgo, i quali ultimi non percepivano nessun salario da parte della Comunita'. Tre erano le osterie e due i bettolini. Il territorio aveva un'estensione di Dt. 22994 tv. 2: pertiche pertiche pertiche 1 5343 3065 4584 tavole tavole tavole 23 8 19 pertiche 22994 tavole 2 civili rurali ecclesiastiche distinte in vigne, campi, prati, boschi. I terreni producevano ogni sorta di frutti, tranne riso, tanto da essere eccedenti al fabbisogno della Comunita' e da poter essere venduti sui mercati di Milano e Como. Il prodotto prevalente era pero', l'uva "vernazzola" e moscatella. Il borgo non era mai stato infeudato, non aveva mai avuto Podesta', era soggetto per l' amministrazione della giustizia al Vicario del Seprio e ai giudici milanesi, disponeva comunque di due notai pubblici, che rogavano atti e di un usciere per le notifiche. La R. Camera riscuoteva dalla Comunita' annualmente, come censo ordinario, L. 422.15.3. Non esistevano altre entrate feudali, poiche' i dazi sul grano e sulla carne erano riscossi da Ferrante Lampugnani e in parte dagli eredi Vismara, mentre per l'imbottato non si pagava nessun dazio, fatta eccezione per una convenzione pattuita tra privati e nari a L. 314 annue. La Comunita' prelevava staia 280 annue di sale (l staio = lt. 18,27). Il quadro della situazione sembrava (dunque apparentemente sereno, se non fosse stato turbato da rumori di guerra e dalla peste. I primi furono sollevati dalle ostilita' scatenate dal duca di Savoia, Carlo Emanuele I, 109 impegnato nella guerra per la successione del Monferrato e per la Valtellina. Per affrontare e risolvere positivamente la situazione, fu necessario assoldare uomini e inviarli in Sardegna. Tra questi si trovavano G. Battista e Aurelio Lampugnani nominati capitani, che assistettero, nell'isola, agli scavi per il reperimento dei corpi di alcuni martiri e poterono avere alcune reliquie che, una volta autenticate da Luigi Bossi, teologo della Metropolitana milanese, furono consegnate, nel 1628, al prevosto don Agostino Pozzi. Questi diede incarico a due abili intagliatori G. B. Salmoiraghi e G. P. Rossetti di preparare dei reliquari per la conservazione e gia' pensava di celebrare il possesso con una solenne cerimonia, quando essa dovette essere differita, nel 1634, a causa della carestia e del passaggio delle milizie e della peste. Una prima ondata di milizie di passaggio, assoldata per la guerra del Monferrato, si registro' nel 1628 e non pare abbia recato eccessive molestie. Fu invece nel 1629 che il Comune dovette venire a patti con gli ufficiali comandanti circa 1500 soldati tedeschi perche' rimanessero ai bordi del paese, nel timore che diffondessero il contagio. Senonche' i militari, vistisi privati della posslbilita' di compiere saccheggi, si vendicarono, abbattendo numerosi vitigni. Non era pero' finita, perche' il settembre dello stesso anno, truppe mercenarie polacche si ribellarono al loro comandante Serbelloni, si avvicinarono paurosamente a Legnano, che risparmiarono solo dietro versamento di una somma pari a duemila scudi. L'anno piu' interessante pero', a detta di Strobino, (Soldatesche Alemanne e Spagnole a Legnano al tempo dei Promessi Sposi, in Legnano, n. 2, 1956) fu il 1630. Per l'alloggiamento e il mantenimento di un reggimento di fanteria alemanna comandata dal colonnello Aldringar, forte di circa 21.000 uomini e 2375 cavalli, rimasti sul posto ventitre giorni, a cui si aggiunsero altri passaggi prima della fine dell'anno, il Comune dovette sopportare oneri non indifferenti, che si ritorsero in enormi aggravi per la popolazione. Fertile terra di pascolo doveva essere dunque Legnano, nella prima meta' del 1600. Quando mancavano i militari, ci si mettevano pure le donne: una tnrppa de donne n. 800 li quali donne li dassero brente 6 1/2 di vino, che, girando per le strade del borgo, il 21 agosto 1630, ai tradizionali simboli del femminismo preferivano l'ostentazione o meglio la pretesa di abbondanti libagioni. Di fronte a ottocento donne sciamannate, c'e' da pensare che la popolazione potesse anche sopportare ulteriori incursioni nel 1631 e 1632. A complicare la situazione resa disastrosa dalle conseguenze militari prodotte 110 dalle spese relative, si aggiunse lo scoppio della peste, che miete' numerose vittime e paralizzo' l'attivita' economica della zona. Mentre i morti si seppellivano in luoghi appartati, gli ammalati erano portati in altri isolati detti "lazzaretti". Per la gente e non solo di Legnano fu una mazzata: le robe bruciate, la disoccupazione forzata, la superstizione popolare aumentata unitamente alle pratiche devote, accresciuti gli scontri con le autorita' politiche sanitarie, su tutto gravava l'insospettabile orrore del lazzaretto. Ne e' motivo di merito, ma di umanita' ricordare che esso a Legnano, ancora nel 1730, risultava posto sotto una collina, sulla quale sorgeva la casa del nobile Francesco Maria Lampugnani (A.S.M., Acquisti e doni, cart. 44). Dei pregi e, in particolare dell'eco ivi esistente, a somiglianza di villa Simonetta a Milano, il proprietario amo', lasciarci gradevole ricordo condito in eleganti distici, che pareggiavano la sua collina allo ameno colle Parnaso. In collinis mei prope domum meam a nobili in Legnanensi opido Iaudem Carmina Pindi felicitas. Parnasum nunquam repugnas conscendere collem Omnia si nescis gaudia pindus habet Hic tibi laeniet Castalis unda sussurro Et curas currens laeniet unda tuas Si lubet in laetis istis spatiabere pratis Haec tibi praebebit fertilis haerba thorum, Hic pendent onerati fructibucs arbore rami Promptas in dextras advenientque tuas. Arboribus volucres istic dominantur in istis euotidieque simul hic Philomena canit, Hic semper si vox clamat responditur Echo Si quis Calliopem silva reclamat opem. Est pulcrum aspicere ingegnosos tangere vates Invictam Citharam laeta et arva manu Pars vatum lunam, pars lucida sidera cantat Pars vatum laudes cantat Apollo tuas, Hic spirent venti dum sol se condit in undis Hic ore infausto mollior aura videt Nox et hijems longeque viae saevique labores His blandis loci, et dolor omnis abest 111 Franciscus Maria Lampugnanus La peste per altro non soppraggiunse in un periodo di prosperita', ma dopo una grave carestia dovuta alle guerre che si erano abbattute sul Ducato milanese e ne avevano notevolmente alterato il trend economico. All'occultamento dei generi di prima necessita' segui' il rialzo di prezzo degli aridi. Il frumento costava L. 126 la soma (1 soma kg. 100), la segale L. 102, sicche', per la fabbricazione del pane, si dovette anche ricorrere a un impasto di crusca, miglio e saggina, il tutto legato a fiori di lino. I documenti di questo periodo parlano di grave crisi dei ceti agricoli, ma anche dei nobili, anche se poi la vita riprese lentamente il suo andare faticoso, finche' l'apparente bonaccia fu turbata, sei anni dopo lo scoppio della peste, dal riaccendersi delle ostilita' belliche sullo scacchiere europeo. I Francesi, avuto libero accesso in Italia da parte di Vittorio Amedeo di Savoia, ripresero la guerra contro la Spagna, costretta a una posizione guardinga dalle vittorie riportate in Germania da Gustavo Adolfo alleato della Francia e dal pericolo costituito dal re protestante di Svezia intenzionato a passare in Italia, per colpire Filippo IV. Stando cosi' le cose, l'esercito francese invase lo Stato di Milano e minaccio', con una serie di saccheggi, anche Legnano, la quale trovo' un valido aiuto materiale da parte di Giuseppe Lampugnani che, catturati molti prigionieri nei boschi e inviatili al marchese Leganes, governatore di Milano, pote' liberare il nostro borgo. Correvano gli anni, in cui Legnano riceveva la Visita pastorale del cardinale Cesare Monti, entrato nella chiesa di S. Magno il 5 maggio 1638 (A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. X, vol. XVI), ma erano anche quelli, in cui il Lampugnani sopra accennato si presentava agli occhi della popolazione come un novello Don Rodrigo, asserragliato nel suo maniero avvolto dalla difesa di un nugolo di bravi e circondato dal terrore dei suoi villici finche' fu bandito con una grida del 28 febbraio 1647, alla quale il nobile non diede ascolto, perche' continuo' ad abitare nel suo palazzo, fino a quando fu ucciso, per sbaglio, da uno sgherro. L'appoggio dato a Legnano dal Lampugnani non fu di natura tale da distogliere gli Spagnoli dall'antico progetto di infeudare le terre, a maggior ragione, quando per provvedere alle necessita' dell'esercito e racimolare denaro, si dovette ancora battere cassa. Furono dunque esposte le cedole, cioe' gli avvisi negli uffici piil importanti di Milano e delle province dello Stato, nonche' sulle porte della chiesa principale di Legnano: si invitava in sostanza qualunque persona a concorrere all'asta delle terre in vendita, che erano 34 nel Ducato di Milano, 4 nel Novarese, 3 nel Comasco, 2 nel Lodigiano, 1 nell'Alessandrino, 1 nel Tortonese, 28 nel Cremonese, 2 nel 112 Pavese. I membri della Comunita' pero' non erano intenzionati ad arrendersi facilmente, specialmente i possidenti restii ad un'investitura a favore di un feudatario al quale avrebbero dovuto rendere un omaggio non solo di natura onorifica, ma fiscale, mentre i contadini non avevano nessuna forza economica capace di far sentire la loro voce. Si arrivo' dunque a una Convocatio straordinaria, l'8 agosto 1640 in domo eiusdem Commurzitatis, alla presenza di 158 persone, per decidere sulla questione (A.S.C.M., Fondo Belgioioso, cart. 218), ma altre preoccupazioni sembravano gravare sul borgo, quelle derivate da tremende tempestate che danneggiarono le terre di Legnano, Dairago, Borsano, Villa Cortese. Il danno accertato eccedeva di gran lunga la meta' dell'entrata e cavata che si doveva trarre dai frutti del territorio Gli abitanti della zona chiesero quindi la remissione della meta' del debito dovuto e spettante al Ducato (A.S.M., Censo p.a., cart. 1330). Ottenuto qualche sollievo dal danno apportato dalle tempeste, la Comunita' legnanese pote' applicare tutti gli sforzi, ad evitare l'infeudazione. Per sfuggire a questo vincolo, le terre del Ducato potevano diventare "demaniali", cioe' redimere la propria liberta', pagando allo Stato una cifra corrispondente ai due terzi di quella che un particolare o privato era disposto ad offrire, e usufruendo della possibilita' di prelazione prevista dai Librifeudorum a favore delle Comunita', che stavano per essere infeudate, purche' avessero esercitato il diritto stabilito, per mantenersi libere, entro un anno dalla vendita pattuita. Governanti e popolo decisero dunque di partecipare per la vendita di Legnano e di riguadagnare la liberta'. Dopo lunga e minuziosa discussione, fu chiaro ai giudici milanesi che non si poteva negare la redenzione delle terre ai Legnanesi, i quali riuscirono a riscattare l'infeudazione al prezzo di L. 26.13.4 per ciascuno dei 258 focolari calcolati in essere. La cifra di L. 6680, di cui fu garante Baldassarre Lampugnani, fu versata il 17 settembre 1649 nelle mani dell'esattore Francesco Bandoni. Lo strumento definitivo fu rogato da Ludovico Lampugnani il 9 marzo 1652. In base ad esso, si stabili che Legnano sarebbe rimasta sempre sottoposta all'immediato dominio della Maesta', il duca di Milano: semper et perpetuis temporibus sint et remaneant atque conserventur sub immediato Dominio atque Iurisdictioni (sic) Maiestatis Regiae Domini nostri Ducis Mediolani. . . (A.S.M. , Feudi Camerali p.a., cart. 290). Il tema dell'infeudazione meriterebbe indubbiamente un'analisi piu' approfondita di quanto non consenta la presente ricerca, in modo da cogliere, nel microcosmo legnanese, il segreto significato del macrocosmo, come dice il Violante nella prefazione alla Storia locale da lui curata, in analogia all'indagine sviluppata dallo scienziato, che si 113 sforza di trovare nella cellula la ragione d'essere di tutto l'organismo. Se e' intenso il desiderio di poter far rientrare l'indagine in un ambito specifico, e' pur vero pero' che essa varia col variare delle epoche storiche, sicche' diversa diventa la collocazione del fenomeno storico entro un'area piu' o meno ampia. Necessariamente, se si prende come punto di riferimento una localita' nella successione cronologica, la discontinuita' e' inevitabile, cosi' come i rientri o le uscite temporanee. Poiche' la ricerca deve interessare la gente locale, pur senza disconoscere la capacita' a cogliere contributi particolari,e' evidente che possa procedere a strappi, senza voler rinunciare a far conoscere a chi voglia liberarsi dallo sfumato dell'immaginazione, come il sec. XVII si chiuda per Legnano, come si e' aperto, cioe' con un'altra controversia vertente tra il prevosto del borgo e i Deputati dei Luoghi Pii. La questione si chiuse nel 1672, con un ulteriore intervento del Senato, che stabili' le norme per l'elezione dei Deputati, i quali dovevano godere di una condotta irreprensibile; del Priore del Capitolo, da nominarsi per un anno, con suffragio segreto; dell'Assistente Regio, precluso da interventi negli affari del Capitolo. Altre norme furono fissate per la questua, per la distribuzione delle elemosine e delle doti (A.S.M., Acquisti e doni, cart. 44). 114 Nel Sedicesimo secolo "1850 anime da Comunione" Quanti furono nelle varie epoche gli abitanti e quale andamento segui' nei secoli scorsi l'espansione demografica di legnano? Dobbiamo andare per deduzione partendo da epoche remote ed almeno fino alla seconda meta' del '500, allorquando cioe' possiamo trovare il conforto di documenti storici. Ricerche archeologiche impegnate ed approfondite da parte di appassionati studiosi hanno trovato nella necropoli legnanese significative testimonianze del contributo dato dai piu' antichi abitatori di questa plaga alla civilta' preromana e romana. L'ingegner Guido Sutermeister appunto basandosi su calcoli ricavati dai sepolcreti man mano riportati alla luce indicava con aprrossimazione che in epoca romana gli abitanti che vissero lungo le due sponde dell'Olona dovevano essere in numero superiore a mille. Anche se ci sembra un calcolo troppo ottimistico (a meno che non si fossero verificate massicce migrazioni nei quattro o cinque millenni successivi) teniamo comunque per buoni, come base di partenza, questi dati. ma seguiamo l'evoluzione demografica non piu' sulla scorta di relitti di antiche civilta' ma con dati piu' certi, tratti da documenti autentici. Il primo censimento riguardante Legnano e' quello fatto nei primi anni del 1500 che assegna al Borgo "1500 anime da comunione", il che equivale ad una popolazione di circa 23000 persone. Abbiamo un altro riferimento nel 1584, a quando cioe' San Carlo Borromeo avendo in animo di istituire la prepositura, incarico' il suo segretario Monsignor Giussani di ragguagliarlo sul numero dei fedeli. E questi annota nelle sue memorie (volume II°, pagine 175) che "questo borgo di Legnano ha non meno di 500 famiglie con piu' di 2000 anime da comunione", potevano essere dunque a quell'epoca circa 3000 abitanti. La cifra ci viene confermata anche da Giuseppe Pirovano che si riferisce a due anni dopo e cioe' nel 1586. Nella parte storica dell'archivio comunale esiste un documento in copia, rilegato a fascicolo, che reca la data del 9 marzo 1651 e il titolo di "Redenzione alla infeduazione concessa al borgo di Legnano con Legnanello e le sue giurisdizioni". 115 La "Cedola" venne redatta nel 1649 ma resa esecutiva due anni dopo. ( ). Ogni "Redenzione" dall'infeduamento era preceduta da rigorose indagini dalle autorita' regie sulle condizioni economiche e sulla capacita' contributiva degli abitanti. La indagine ricognitiva allo scopo di stabilire la situazione del borgo incluso nel Ducato di Milano venne affidata dal Governo spagnolo nel 1620, ad un suo funzionario, Orazio Mainoldi, questore della Regia Camera delle Entrate Straordinarie e Beni Patrimoniali del Ducato. Da questo documento conservato presso l'archivio di stato di Milano possiamo avere una esatta visione delle condizioni sociali e dell'importanza economica, demografica ed agricola di Legnano in quell'epoca. I dati sono molto attendibili in quanto il carteggio era stato fatto in vista della cessione in feudo del borgo che doveva essere messo, come si direbbe in termini attuali, all'asta. La formalita' prevedeva la esposizione per due volte delle "cedole" per la vendita e quindi avrebbe dovuto aver luogo il pubblico incanto. In quell'occasione sappiamo che i legnanesi compiendo un notevole sforzo finanziario comune, riscattando la liberta' mediante una raccolta di ( La "Cedola", che reca la data del 4 giugno 1649 stipulata tra il Governo Spagnolo e Baldassarre Lampugnani, procuratore dei legnanesi, per "vendere il feudo e le terre di Legnano e Legnanello nella pieve di Olgiate Olona, ducato di Milano".Legnano, dopo la peste del 1629-30, ebbe ancora tale vigore economico da riscattare la propria indipendenza, sia pure con gravi sacrifici. La Spagna per fare soldi vendeva i feudi cosidetti camerali ai signorotti del tempo. I governanti ed il popolo legnanese si autotassarono per comperare la propria liberta' e sottrarre le terre alla dominazione spagnola.La Cedola di un incanto del 1620 per vendere un feudo di legnano, Legnanello ed altri luoghi annessi. L'asta era fissata per il 25 agosto, al prezzo base di trentatremila lire per le terre e i beni e di quattromila scudi per il riconoscimento e l'assegnazione del titolo di marchese. 116 denaro nell'ambito delle stesse famiglie, pagando loro stessi il corrispettivo al Governo spagnolo. Ma trascriviamo integralmente il carteggio che il questore Orazio Mainoldo redasse con il caratteristico linguaggio in uso nel seicento: Ill.mo et Ecc.mo Signore "Avendo noi sotto li 27 di marzo prossimo passato, per ordine li 16 di giugno prossimo passato fatto oblazione di comprar il feudo alcune terre di questo Stato, conforme alla procura fatta da Sua Maesta' in Vostra Eccellenza, fu da Giovan Battista Piantanida sotto li 16 di giugno prossimo passato fatto oblatione di comperar il feudo il borgo di Legnano et Legnarello, con la sua giurisdittione, et entrata di censo del sale, et con titolo di marchese, per quali offerse pagare lire trentatre mille per il feudo, giurisdittione, et entrata in censo; et ducati quattro mille Castigliani per il titolo di Marchese, qual oblatione perche' ci parve assai utile l'accettassimo, et insieme delegassimo il Questore Horatio Mainoldo nostro Colliga, accio' andasse in fatto, visitasse detta terra di Legnano et Legnarello et pigliasse quelle informazioni che gli fossero parse necessarie, per havere l'intera cognitione della qualita' di essa terra: il che ha egli eseguito et cen'ha fatto relatione, dalla quale risulta: Che detta Terra, ovvero borgo di Legnano e' situata nella Provincia del Seprio, di questo Ducato et in buonissim'aria, vicino al quale circa un tiro d'archibugio vi e' la Contrada di Legnarello, sotto lo stesso Comune di Legnano, et e' sopra la strada regale, per la quale si va da Milano a Gallarate, et al Lago Maggiore, et e' distante da Milano sedici miglia, da Como pur sedici miglia, da Gallarate otto e da Busto grande quattro. Ha sotto di se' la detta Terra, o' sia Contrada di Legnarello, et cinque cassine. Non confina con alcun principe straniero, ne' con alcun fiume eccetto che col fiume Olona, qual scorre nel mezzo tra Legnano et Legnarello. Non c'e' cinta di mura, ne' fossa. Non ha Castello, fortezza, ne rocca; vi e' ben una casa fabbricata a forma di castello, con fossa, et ponti levatori, qual'e' del Dottore Ferrante Lampugnano. Non ha palazzo ne' carceri, ne' alcun altro loco pubblico, eccetto che tre piazze et una casa qual'e' della Comunita', la quale si affitta parte, et parte si tiene per uso del Comune, per congregarsi e far li Sindaci, et Officiali et a trattare li negotij pubblici. Non e' terra insigne. Vi e' poi una fiera ogn'anno nel giorno della Commemorazione dei Morti, al quale concorrono gente assai delle parti vicine, a coprare bovi grassi, pelliccie, panno et tele et altre cose assai; ma il maggior nervo della fiera 117 e' dei bovi grassi, quali per la maggior parte sono comperati da Macellari di Milano. Ha diciassette molini sopra il fiume Olona, uno dei quali e' del Signor Cardinale Borromeo, un'altro del signor Cardinale Montaldo, et gli altri sono de diversi proprietari. Ha un'ospitale sotto il titolo di Sant'Erasmo, poco discosto dalla terra, nel quale si ricevono poveri vecchi, et altre persone che non possono lavorare, qual'ha' entrata di trecento scudi l'anno; et ha' anche un altro luoco pio detto della Scuola della Misericordia, qual'ha' l'entrata circa cento scudi l'anno che si dispensano a poveri della terra (omissis). Le anime di questo borgo, et la sua giurisdittione, compresa la sudeta contrada di Legnarello et cassine sono in tutto duemila novecento quarant'otto (2948) delle quali vene sono mille novecento cinquanta nove (1959) da Communione. Et i fochi sono quattro cento settanta quattro (474), de' quali ne sono cento cinquanta quattro (154) de' cittadini, dodeci de gentil'huomini che abitano continuamente in detto Borgo, due cento trentatre (233) di gente rurale, cioe' mercanti, artigiani, et contadini che lavorano beni proprij, o' di detti mercanti, et settanta cinque persone che abitano case, o lavorano beni ecclesistici. Gli abitanti (eccettuati gli suddetti gentil'huomini) sono mercanti, artigiani, massari, e braccianti, fra i quali vi sono dei mercanti di panno, quali vendono anche tele, et canevi, ed uno di essi fa la tentoria, vi sono poi altri tre tentori, et altri otto che vendono tele et canevi, uno che vende del ferro; Vi sono cinque postari, che vendono cose mangiative, nove mercanti d'oglio di linosa et di noce, sei calzolari, sette sarti, tre barbieri, quattro marescalchi, sette che fanno zoccoli, dei speciali, cinque ofellari, sei legnamari, un capellaro, doi che lavorano filisello, tre Beccarie, tre Hostarie grosse, et tre Bettolini, cinque maestri che insegnano a leggere, scrivere, grammatica et Musica; et gli altri son massari e brazzanti, che attendono a lavorare la terra. Vi abita poi anco continuamente un medico fisico et un chirurgo, quali non hanno nessun sussidio dalla Comunita'. Il territorio e' di pertiche ventidue mille novecento quaranta quattro (22.944) e tavole due, parte vigna, parte campo, parte prati, et parte brughera, et alcuni pochi boschi, dei quali ve ne sono pertiche mille trecento quarantatre (1343) et tavole 23 catastrate alli libri del perticato civile, et pertiche quindici mille trecento quarantatre (15.343) et tavole otto catastrate al rurale, pertiche quattro mille cinquecento ottanta quattro (4584) e tavole decinove sono eccllesiastici. Producono quei terreni di ogni sorta de frutti, eccetto che riso, ma particolarmente producono grandi quantita' de vini, stando che il territorio e' per la maggior parte avidato. Et li frutti che producono sopravanzano al 118 bisogno della terra, qual sopravanzo lo conducono a Milano, e anco quel poco di grano a Como. Vagliano i terreni, computati li buoni,et cattivi insieme cento lire la pertica, ma li prati vagliono centocinquanta lire et sotto sopra si affittano a otto lire la pertica, non computando pero' le brughere, le quali si danno per dote delle possessioni. Detto borgo non e' stato mai infeudato, ne ha', o avuto Podesta' particolare, fiscale, notari, o sbirri, ma e' soggetto per l'amministrazione della giustizia al Vicario del Seprio, et alli Giudici della Citta' di Milano, vi habitano pero' dei notari pubblici, quali rogano istrumenti, et un fante,qual serve a fare intimationi. La Regia Camera suol scuoder ogn'anno da detta Comunita' lire duecento dodeci, soldi undeci e danari undeci per il censo ordinario, et lire due cento dieci, soldi tre e danari quattro per l'augumento di detto censo, che in tutto fanno la somma di 422.153. Ne altra entrata v'e' che potesse farsi feudale, perche' li datij del prestino, et della scannatura della carne sono parte di Ferrante Lampugnano et parte dellij eredi di Piero Paolo Vismara, et sull'imbotato non si paga datio alcuno, ma invece di quello si paga una conventione di lire trecento quattordici l'anno a diversi particulari; et del vino non si paga datio alcuno, ma ogni uno ne puo' vender senza datio pagar. Detta Comunita' ha d'entrata lire novant'otto che si scuodono sopra il datio della Macina di Milano. et ha anche la seddetta casa, parte della quale e' affittata cento vinti lire l'anno, et dell'altra parte se ne servono per congregarsi a trattar li nogotij publici. Non e' tassata su alcuni Cavalli di tassa. Leva duecento ottanta stare di sale. Qual relatione sentita nel nostro tribunale, venissimi in parere di dar a Vostro Eccellenza parte d'ogni cosa, e fratanto, per avanzar tempo, ordinassero che si esponessero le seconde cedole per la vendita di detto feudo per vedere se compariva altr'oblatione, le quali cedole essendo esposte, et anco publicato l'incanto, e' nuovamente comparso il feudatario Cesare Visconte, quale ha offerto per detto feudo con la entrata sudetta di censo, et augumento, et con titolo di Marchese per se' et per quello suo figliolo maschio che sara' da lui nominato, lire sessantamille in tutto, la qual oblatione per essere avvantaggiosa, et utile assai, e' stata da noi accettata, et havendo anco sopra di essa fatto publicare per alcuni giorni l'incanto non e' comparsa altr'oblazione migliore. Et percio' hora rappresentiamo a V.E. tutto il seguito di questo particolare, affinche' resti servita commandare quello che gli pare che si faccia. Et all'E.V. humilmente inchinandosi, la preghiamo da N.S. il colmo di ogni bene. In Milano, alli 16 di novembre 1620. 119 Di Vostra Eccellenza, humilissimi servitori. Il presidente et Maestri delle R.D. Entrate Straordinarie et Beni patrimoniali dello Stato di Milano". In questo documento si racavano dati certi per stabilire che l'intero territorio contava 258 fuochi, cioe' nuclei familiari, sparsi in 22994 pertiche e due tavole, corrispondenti a 1505 ettari. Al censitore non comporto' di sgnare oltre si "fuochi" il numero degli abitanti. Ma il confronto ci viene pero' offerto dal censimento del 1594, ripreso meticolosamente da un manoscritto originale esistente nella Biblioteca Ambrosiana, steso dal primo prevosto di Legnano Giovanni Battista Specio. In esso si indica un totale di 224 case ma nel censimento mancano le cascine Ponzella, Mazzafame e San Bernardino. Comunque, all'elencazione dei componenti di ogni famiglia, si ricava un numero di abitanti vicino ai 3000. Una cinquantina d'anni dopo la popolazione diminui' notevolmente anche a causa della peste del 1630. Altri documenti ufficiali citati dallo storico Bettinelli ci dicono che nel 1783 Legnano aveva 2774 abitanti. La dilatazione demografica e' stata dinamica specialmente in corrispondenza di periodi particolarmente felici della storia legnanese. Lo sviluppo industriale a partire dal 1880 in avanti agisce da richiamo per masse consistenti di individui. Successivamente l'intensita' e' minore di quanto si attenua il bisogno di manodopera e la popolazione locale vi provvede con il suo naturale ritmo di accrescimento. L'espansione demografica e l'incremento migratorio riprendono negli anni che seguono la seconda guerra mondiale e il periodo di boom economico. Poi l'andamento si stabilizza attorno a valori eguali ad altri importanti comuni della Lombardia con caratteristiche ambientali simiili a quelle di Legnano. Dalla tabella che segue possiamo osservare l'incremento della popolazione negli ultimi due secoli: La popolazione dal 1800 al 1974 1800 - 2780 1805 - 2784 1840 - 4535 1860 - 6335 1865 - 6505 1870 - 6593 1875 - 6648 1880 - 7041 1885 - 8441 120 1890 - 10643 1895 - 12928 1900 - 17394 1905 - 22494 1910 - 26716 1915 - 28757 1920 - 29805 1925 - 29362 1930 - 31154 1935 - 31019 1940 - 34054 1945 - 34571 1950 - 36254 1955 - 39154 1960 - 41366 1965 - 44784 1970 - 44370 1974 - 47971 al 31 agosto 121 La dominazione Austriaca Per buona parte del 1700 il nucleo fondamentale dell'amministrazione austriaca nel Ducato milanese fu la Comunità, a volte costituita da un solo Comune e di proporzioni cosi ridotte da essere unita ad altre di dimensioni più rispettabili. Qualora ciò non fosse stato possibile, si doveva conservare lo stato di separazione goduto, relativamente al pagamento delle imposte, con obbligo dei "possessori" del Comune di nominare un Sindaco. Come attestano i documenti dei funzionari austriaci, le altre Comunità erano rette dagli Estimati o proprietari di terre non esenti, con esclusione dei "personalisti", cioè di coloro che vivevano in campagna senza essere proprietari e pagavano le imposte ad personam. Essi costituivano un "Convocato" che, a sua volta, eleggeva un Esecutivo formato da tre deputati. Questi nominavano il Sindaco e l'esattore. Al di sopra dell'amministrazione comunale stava la pieve, che comprendeva al minimo una Comunità, al massimo una quarantina. Una o più pievi potevano costituire il distretto di un Cancelliere, il quale rappresentava il Governo di fronte alla Comunità ed era quindi autorità di rilievo nel sistema amministrativo austriaco, perché presiedeva i "Convocati", li poteva sciogliere in caso di irregolarità, verificava la validità delle elezioni, la regolarità nella stesura dei bilanci, provvedeva alla custodia dei documenti ufficiali, mappe catastali comprese, manteneva rapporti epistolari con le autorità superiori, denunciava abusi e trasgressioni. Soppiantata la Spagna nel controllo della Lombardia, all'inizio del 1700, l'Austria iniziò un'egemonia destinata a durare fino al 1850, salvo la parentesi napoleonica. A conquista effettuata, l'Austria si rese conto della importanza strategica della nostra regione, che divenne il posto di guardia avanzata, dal quale sorvegliare tutta la politica italiana, colla collaborazione dei più raffinati palati della cultura illuministica locale, quasi a voler dare l'impressione di una certa autonomia. In realtà d'autoritarismo dominante è sempre il caso di parlare, se si tiene conto della pressione fiscale esercitata dall'Austria, dell'aumento dei prezzi, del perenne stato di guerra. Vita difficile dunque a Milano e logicamente anche in provincia, anche se oggi è cambiato il giudizio degli storici, pronti a vedere la dominazione dell'imperatrice Maria Teresa come un modello di buona amministrazione, di alta civiltà e perfino di tolleranza per le minoranze. Orbene una delle prime preoccupazioni delle autorità austriache, dopo anni di 122 guerra che avevano premuto enormemente sulle casse dello Stato, ponendo l'erario in condizioni insopportabili fu quella di arrivare a un inventario di tutti i beni immobili del Ducato, a un censimento della popolazione e a un accertamento delle principali attività economiche, ad una riforma radicale del catasto già predisposta da Carlo V, re di Spagna, ma non in forma razionale. Già il 4 marzo. 1704, il Magistrato Ordinario dello Stato di Milano invitava la Comunità di Legnano al pagamento dei debiti retrodatati da esigersi negli anni 1696-1697, pari a L. 4570.14 .S.M. , Censo p. a., cart. 1329). In caso di mancato pagamento dell'imposta da corrispondersi in due rate, si sarebbe proceduto, senza avviso, all'esecuzione contro la Comunità, i suoi esattori, i Sindaci, i Reggenti e i Deputati tenuti al pagamento, con le spese del caso. Non sappiamo quale sia stata la soluzione della contesa regolata da un Senato-consulto, ma era già un'avvisaglia della gigantesca operazione che l'autorità austriaca avviò, a partire dal 1706 e che era destinata a protrarsi fino al 1850: la stesura di grandi mappe e di sommarioni per la registrazione dei terreni. Dopo diversi esperimenti e varie valutazioni, si decise di adottare come criterio di stima quello della tavoletta pretoriana, un particolare goniometro, cosi chiamato dal suo inventore Iohannes Praetorius. Perciò, con una serie di notifiche emesse nel 1719, i proprietari furono obbligati a denunciare coi relativi redditi, i terreni classati come "beni di prima stazione" le case, le botteghe, i mulini considerati "beni di seconda stazione". Affluì così alla Giunta del Censimento una congerie enorme di documenti, accompagnati da contestazioni non solo per gli strumenti tecnici adottati, ma anche per gli equivoci in cui i visitatori erano incorsi per la redazione delle mappe, che si proponevano l'individuazione delle varie proprietà distinte in base all'ubicazione, ai confini, alle colture praticate, alla dimensione, alla vicinanza ai corsi d'acqua, alla intersecazione di vie. Perciò, nel 1723, fu effettuata, per opera di Carlo Ronzio, la misura generale dei fondi nella pieve di Olgiate Olona, che ascendevano a 137111.20 pertiche, con 17477 "moroni", mentre quelli di Legnano con Legnarello toccavano 5418 "moroni" e 26422.13 pertiche, cosi distribuiti : Aratorio Aratorio avitato Prato asciutto Prato adacquatorio Ronco Bosco forte Bosco castanile Pt. Pt. Pt. Pt. Pt. Pt. Pt. 6023 1 4700 54 1698 81 515 514 123 Bosco dolce Bosco misto Brughiera boscata Brughiera Pascolo Zerbo Pt. Pt. Pt. Pt. Pt. Pt. 11 . 1 1 25 . 12 . 1/2 591 1354.1/2.1/2 51.1 31.1/2.1/2 (A.S.M., Censo p.a., cart. 432). Effettuata la misura dei fondi, la R. Giunta affrontò il problema delle valutazioni e procedette agli accertamenti, calcolando la rendita, dopo aver dedotto per gli appezzamenti vari di terreno, le spese di produzione e le perdite procurate dagli agenti atmosferici. Quindi poiché i reclami per gli accertamenti non cessavano, le autorità inquirenti procedettero a una revisione generale delle stime, nel 1731. Tale operazione fu interrotta dallo scoppio della guerra di successione polacca, nel 1738, nel corso della quale andarono persi numerosi documenti consegnati dalle Comunità. Una volta ristabilita la tranquillità, l'imperatrice Maria Teresa, il 9 luglio 1749, formò, una nuova Giunta per il Censimento. Un anno dopo Pompeo Neri, responsabile dell'ordinamento censuario, presentò una relazione sull'andamento delle operazioni e dei risultati acquisiti, in base a quarantacinque quesiti posti alle "Città Province, Comunità e Università dello Stato di Milano", per appurare la qualità, la quantità e l'esazione dei carichi, secondo le differenti pratiche di ciascun luogo. Lo scopo del questionario era quello di verificare se la terra esaminata fosse infeudata o no; quale fosse la popolazione; a quale giudice fosse sottoposta la Comunità, quali fossero il tipo di perticato esistente, i redditi, i debiti, i crediti ecc. è indubbio che gli interrogativi presenti nel documento proposto dalle autorità austriache movessero da ragioni fiscali, ragione per la quale le risposte poterono a volte essere reticenti e sconvolgenti nella formulazione, a causa dell'ignoranza degli interessati, su questioni di carattere giuridico. Tuttavia si può dire che la gran parte dei Comuni maggiori rispose al quesiti, offrendo un quadro significativo del compartimento territoriale, da cui risultò che tra le Comunità più importanti l'infeudazione non era uniformemente diffusa, che nel Ducato di Milano comprendente 896 Comunità forensi, distribuite in 59 pievi, solo 42 risultavano redente, tra cui appunto Legnano. In base alle ricerche effettuate intorno ai quarantacinque quesiti di Maria Teresa, risultava dunque che Legnano si era redenta anticamente dal feudo, pagava ogni anno L. 229 all'uopo e dipendeva giuridicamente dal 124 Vicario del Seprio, al quale non pagava nessun salario. La Comunità non aveva sotto di sé altri Comuni, ma piuttosto era divisa in nove Comunetti, cioè Comune Dominante, Trotti, Lampugnani, Morosino grande, Morosinetto, Visconti, RR.M. Monache di Legnano, Vismara, Personale, perpetuando così una situazione già in atto durante la dominazione spagnola. Legnano non aveva Consiglio, ma era regolata da otto Sindaci e da due Consoli. Il Cancelliere percepiva un salario di L. 442 annue compreso carta, libri e scritture. La Comunità dal canto suo, non aveva in Milano mè procuratore, mè agente, sopperendo, all'occasione, gli Estimati. (A.S.M., Catasto, cart. 3037); era tassata in 280 staia di sale, ripartite tra i Comuni in proporzione, dopo la assegnazione effettuata dalla R. Camera, non sappiamo su quale fondamento. Nei registri non si distingueva molto bene, secondo il quesito n. 13, il perticato civile dal rurale, essendosi solo notato in ciascun Comune il perticato registrato in soldi d'estimo, nonostante la diligenza usata. In base poi al quesito n. 20, il numero delle "anime", che si ritrovavano nel Comune, era di 2120. Interessante è pure la risposta data al quesito n. 23. Da essa si deduce che in Legnano esistevano due mercanti di panno, due macellai, un'osteria grossa, un prestino di pane bianco, due bettolini, sedici molinari, un'osteria in Legnarello, due cartari, quattro zoccolari, otto oliarii, dieci calzolai, cinque sarti, cinque cervellari, tre confettori, una posteria, due chirurghi, uno speziale, sedici tessitori di tela di puoca consideratione, sei ferrari, due armaioli, due tintori, due postari che vendevano ferro, due fondegari, due fabricatori di pasta, due offellari, due fornasari, sette prestini di mistura, i quali non pagavano altro che il carico personale, analogamente a quanti lavoravano la terra. Da altre risposte si deduce che i beni ecclesiastici, oltre la cosiddetta porzione colonica, non erano soliti contribuire per la parte dominicale. Il Comune, dal canto suo, non possedeva cosa alcuna, non avendo mè entrate mè rendite; teneva i debiti descritti nei relativi reparti. Nel momento in cui si stendevano i bilanci, gli esattori si assumevano la responsabilità per l'esazione delle imposte arretrate. Similmente la Comunità nutriva qualche pretesa di credito verso la Provincia, come abbuono per le spese incontrate nel corso delle guerre passate e sperava di essere alleggerita dai carichi dai quali trovavasi alquanto aggravata, più di quanto comportassero le sue possibilità. Pertanto in base alle risposte fornite ai quarantacinque quesiti, risultava che la tangente contributiva toccante alla Comunità di Legnano e pagata dai Comunetti infrascritti, che godevano di particolari privilegi e autonomie, era la seguente, per gli anni sottoindicati . 125 manca la tabella In base alle risposte date ai quarantacinque quesiti e alle relazioni dei Deputati dell'Ufficio dei Processi comunali fu ricavata la stima, approvata la tavola proposta e si procedette alla pubblicazione sicché i periti poterono passare alla formazione del catasto. Sul piano generale le risposte ai quesiti proposti dalle autorità austriache evidenziarono ancora una volta l'irrazionale distribuzione dei carichi legati al censimento del 1564, per quanto riguardava non solo la tassazione reale delle terre, ma pure quella personale sugli individui abitanti in campagna, senza essere proprietari dei fondi, per non parlare di quella mercimoniale, che colpiva il settore terziario. Da qui la necessità di un nuovo ordinamento fiscale, che abolisse il vecchio repertorio delle voci impositive e preludesse a quel sistema che la Regia Camera inauguri, nel 1760, in base al quale il tributo dovuto dai proprietari terrieri fu proporzionato al rendimento immediato dei fondi, rapportato al momento del loro censimento. Secondo le disposizioni emanate con l'indicazione dei beni di prima e seconda stazione, si assicurò la perequazione dei carichi, si stabilì l'importo che ogni contribuente doveva pagare in rapporto alle tre imposte, cioè personale, mercimoniale e della casa di ordinaria abitazione. Si ebbero pertanto i bilanci indicati (A.S.M., Censo p.a. , cart. 1329). manca la tabella A integrazione dei dati sopra ricordati può essere interessante sapere che il Sindaco, nel 1762, aveva come stipendio L. 60, il Cancelliere L. 350, il medico L. 500, il console L. 50, il campanaro di Legnano L. 65, con l'obbligo di regolare l'orologio, il campanaro di Legnarello L. 18, il prevosto di Legnano L. 18,1. Nel 1800 il parroco aveva come congrua L. 441.2.6, il Sindaco comunale, come stipendio Questi dati non avevano la pretesa di invadere il campo dell'inconoscibile mè di penetrare nell'essenza delle cose, secondo le ambizioni degli antichi filosofi, ma di raccogliere e di ordinare elementi, sui quali fondare ogni vera conoscenza. Si apriva l'era dei formulari, delle tabelle, delle cifre incolonnate, L. 60, il medico L. 900, il chirurgo L. 600, il console sagrestano di Legnarello L. 18, il Deputato del personale L. 8. Altrettanto importante quanto i bilanci fu il censimento della popolazione di Legnano, in base al quale fu possibile stabilire la tassa personale e 126 mercimoniale, come si può rilevare dalla tabella allegata (A.S.M., Censo p.a., cart. 1329) che dovevano servire a far quadrare l'arte del buon governo, a creare consonanze tra i mezzi usati e il fine da raggiungere. Manca tabella Iniziava lo sviluppo di una nuova scienza, la demografia, la quale apriva la prospettiva di sottoporre alle leggi del numero e delle misure precise le esigenze del complesso sociale. L'accertamento della popolazione e delle sue occupazioni costituiva inoltre un elemento primario nella formulazione degli obiettivi futuri e nella scelta delle attività economiche, per gli incaricati ad esse preposti. Per Legnano, verso la fine del sec. XVIII, non si può, parlare che di coltivazioni intensive, di colture prevalentemente cereali, come frumento e segale; ma anche di colture arboree della vite e del gelso, esercitate in aziende a conduzione familiare e legate al nuovo tipo di contratto che si andava diffondendo: quello della mezzadria, dettato dall'incremento nell'allevamento del baco da seta. Grazie alla compartecipazione agli utili, il proprietario era in grado di stimolare l'interesse del coltivatore per un tipo di lavorazione, che richiedeva molte ore di fatica. Da qui l'attenzione continua dedicata all'insistenza dei "moroni" sui fondi, con il Magistrato ducale addetto all'agricoltura sempre vigile a cogliere quanto potesse soddisfare l'esigenza fiscale. Quanto all' attività di ordine commerciale, essa è testimoniata ancora una volta dai documenti d'archivio, dai quali è possibile ricavare la consistenza dei commercianti, il cui ruolo mercimoniale di L. 300 rimase immutato dal 1771 al 1784, secondo la tabella la riportata sotto (A.S.M., Censo p.a., cart. 1330). A comprova di tale attività commerciale sta poi la creazione del mercato settimanale concesso nel 1795, esattamente un anno dopo che i Francesi avevano spogliato la chiesa di S. Magno di tutta l'argenteria. I Legnanesi presentarono all'autorità competente la richiesta di ottenere un mercato settimanale il 20 giugno 1499, a Ludovico il Moro, poi a Filippo IV, nel 1627, e infine nel 1795. I contadini di Legnano chiesero a Ludovico il Moro di poter effettuare mercato al venerdi, in analogia a quanto concesso a Busto Arsizio e a Gallarate, secondo le antiche consuetudini venute meno per gli sconvolgimenti prodotti dalle guerre. Le situazioni precarie attraversate e probabilmente le pressioni esercitate dai paesi viciniori produssero però, effetto negativo. (A.S.M., Commercio p.a., cart. 191). 127 La seconda supplica fu indirizzata al re di Spagna, Filippo IV e da questi girata al Governatore di Milano. Si chiedeva di poter tenere mercato il giovedi. Solo nel 1637 la burocrazia spagnola prese in esame la richiesta e, pressata dalle opposizioni di Busto Arsizio e di Gallarate, cui si aggiunse pure quella di Saronno in lizza concorrenziale, rispose negativamente. La terza richiesta firmata dai Deputati dell'Estimo legnanese fu inoltrata il 31 dicembre 1794. Visto l'accoglimento sfavorevole di questa domanda, i Legnanesi ne avanzarono un'altra il 10 aprile 1795 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, ottennero di poter tenere mercato, ogni settimana, al martedi (Strobino, Il mercato di Legnano, in Memorie n. 2, Legnano 1934, pp. 36-54). Non si può, chiudere però l'analisi della situazione legnanese nel 1700, senza accennare anche a quella religiosa. Anno Commercianti Ruolo 1771 1772 1773 1774 1775 1776 1777 1778 1779 1780 1781 1782 1783 1784 79 81 86 82 82 78 82 78 75 72 77 78 83 84 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 L. 300 Dati significativi sulla situazione religiosa di Legnano sono offerti dalla Visita pastorale effettuata in città, il 10 maggio 1761, dal cardinale Pozzobonelli che, rimasto per quarant'anni alla guida della diocesi milanese, arrivò, anche alle più piccole e impervie zone della Lombardia. Poiché costante fu la preoccupazione di S. Carlo di prescrivere, nel corso delle Visite, la 128 verifica dello status animarum o censimento della parrocchia, sembra evidente l'importanza di una fonte del genere, indispensabile per la ricostruzione della storia di un borgo. Gli Acta visitationis Legnanesis eiusque plebis compresi in un volume di 1592 pagine (A.S.D.M., Sez. X, vol. XXVIII) risultano stesi in latino, in una nitida calligrafia, toccano non solo le istituzioni religiose di Legnano capo-pieve, ma tutto il patrimonio spirituale della popolazione. Il card. Pozzobonelli entrò nella chiesa prepositurale e collegiata di S. Magno, sotto un baldacchino sorretto dai principali possessores locali, accompagnato da don Giuseppe Marini, vescovo di Tagaste e da don Benedetto Erba, decano della chiesa metropolitana e Visitatore della pieve. Dal resoconto risulta che la chiesa di S. Magno iniziò, ad essere costruita nel 1504, fu completata nel 1513 e consacrata il 15 dicembre 1529, per opera del vescovo Francesco Ladino ed ebbe il "cupolino" nel 1731. Alla verifica degli altari delle suppellettili, dei paramenti, delle reliquie, delle indulgenze, dei codici parrocchiali, dei redditi del Beneficio, dei beni della Scuola dei poveri, segue la rassegna del clero locale composto da ventiquattro persone e guidato dal prevosto G.M. Piantanida. Un accenno particolare all'ospedale di S. Erasmo. In esso si raccoglievano i bambini abbandonati ed erano nutrite quindici donne anziane. Il Luogo Pio era amministrato tramite il Capitolo della Fabbrica di S. Magno e possedeva: tre case da massaro, di cui una in Cerro Maggiore; pt. 404 di vigne distribuite nel territorio di Legnano e altre pt. 3 1 5 dette il "Bosco dei pini" Il tutto era affittato a Giuseppe Ottolini per l'affitto annuo di L. 750. Gli abitanti ammontavano a 3000 persone, di cui 2000 ammesse a "Comunione". Due erano i conventi esistenti sul posto, quello dei Frati Minori e quello di S. Chiara. Il ponderoso documento si chiude con l'elenco degli "Oratori" esistenti, ognuno dei quali evidenziato nei minimi particolari secondo l'elenco unito: -- Oratorio della P purificazione della SS. Vergine Maria, a Legnarello -- Oratorio della Natività della SS. Vergine Maria, a Legnarello, con sepolcri e iscrizioni dedicate alle famiglie Lampugnani, Odescalchi, Arconati -- Oratorio di S. Erasmo -- Oratorio degli Angeli Custodi, a Legnarello -- Oratorio di S. Gregorio -- Oratorio di S. Maria del Priorato -- Oratorio di S. Ambrogio -- Oratorio dei Re Magi, alla cascina "Olmina" -- Oratorio di S. Bernardino 129 -- Oratorio di S. Martino -- Oratorio di Gesù Nazareno, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1728 dal "causidico" Carlo Francesco Fassio -- Oratorio di S. Maria Maddalena, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1724 da C.F. Fassio -- Oratorio di S. Caterina, oltre il fiume Olona -- Oratorio della Vergine delle Grazie, la cui prima pietra fu posta dal prevosto G.B. Specio, il 4 ottobre 1611. Le Segnalazioni più antiche intorno alla pellagra risalgono salgono a Gaspare Casal, che la riconobbe e la curò, nelle Asturie, in Spagna, intorno al 1717, col nome di mal de la rose, ritenendola però, una specie di lebbra. Seguirono altre indicazioni, in Francia, nel 1755 per opera del Thiery; in Romania in Grecia e in altri paesi. In Italia le pubblicazioni di Frapelli e Zanetti, nel 1771 e nel 1778 attribuirono la causa del male al sole, mentre Ghirardini incolpava le graminacee. Regnava in effetti nel campo medico, in tal senso, una generale confusione. Le preoccupazioni e gli interventi dei vari governi risultarono però, inadeguati alla gravità della malattia e non seguirono le innovazioni suggerite dall'evoluzione scientifica. Accettando la tesi del Casal, la Spagna si limitò a far ricoverare i colpiti da pellagra, in normali lebbrosari, per evitare la diffusione del contagio, mentre la Repubblica di Venezia, all'avanguardia nell'adottare provvedimenti di natura igienica, rimase completamente indifferente al male attribuito al continuo consumo di graminacee guaste e di origine turca. In realtà la pellagra, meglio conosciuta con la dizione dialettale di "pelagra" si diffuse, nel 1700, in concomitanza colla propagazione della coltura del mais e col suo eccessivo consumo. Quindi il fenomeno era strettamente connesso colle condizioni sociali dei ceti rurali e poteva chiaramente indicarsi come un male tipico della miseria se si tiene conto delle modalità di pagamento dell'affitto in grano, da parte del contadino. Il suo reddito era infatti sempre più condizionato dalla relativa quantità di granoturco ottenuta colla coltivazione di modesti appezzamenti di terreno non assoggettati al pagamento del canone; dalla compartecipazione all'allevamento del baco da seta o alla coltura della vite tali da consentire la copertura di debiti precedentemente contratti per sanare il "deficit" alimentare. Quanto si poteva risparmiare di frumento e di vino, era cambiato in tanto "formentone", che costituiva l'alimento principale. 130 Da qui l'interesse di diverse Società scientifiche e Amministrazioni ospedaliere che invitarono, sia pure inutilmente, con la promessa di premi, gli studiosi alla riflessione sulle cause della malattia, per la divulgazione di eventuali rimedi. Alla fine il Governo del Ducato milanese, di fronte alle accresciute miserie, si decise all'apertura di un ospedale apposito, dove fossero effettuate ricerche specifiche e si iniziassero cure sistematiche per la risoluzione del male. In un primo momento, con un rapporto del febbraio 1784, steso dal consigliere Cicognini, direttore della Facoltà di medicina a Pavia, si pensi, alla utilizzazione del Convento dei Cistercensi di Parabiago. Poi, con una lettera del 22 aprile 1784 indirizzata dal Kaunitz, Gran Cancelliere di Stato, fu sancita l'erezione dell'ospedale a Legnano, nel soppresso Convento delle Clarisse di S. Chiara e la decisione fu avallata da Giuseppe II, durante il suo soggiorno in Milano. L'8 maggio il plenipotenziario Wilzech diede incarico al conte Ambrogio Cavenago di apportare le modifiche all'ex monastero, coll'aiuto dell'allora prevosto di Legnano, don Francesco Lavazza. Si procedette quindi all'adattamento, per uso dell'ospedale, di quella parte del Convento che meglio si prestava allo scopo, secondo le descrizioni rilasciate da Gaetano Strambio jr., nipote ed omonimo del Direttore. Particolare attenzione fu dedicata all'allestimento dei bagni ritenuti come il rimedio più efficace per la cura della pellagra, con la costruzione di una grande vasca in pietra arenaria situata nell'orto. Per l'acqua ci si valse di un antico privilegio concesso al monastero da Gian Galeazzo Maria Sforza Visconti". Quando la "paterna clemenza" di Giuseppe II istituì l'ospedale, per assistere gli infelici pellagrosi, a curare gli ammalati fu chiamato il dott. Gaetano Strambio, che aveva già effettuato ricerche e studiato la natura del male prima a Carnago e poi a Trezzo d'Adda dove esercitava la professione di medico condotto. Nei suoi esperimenti lo Strambio si preoccupò dell'influenza del vitto, del clima, delle abitudini, per arrivare a conclusioni insolite. Egli infatti intuì che la pellagra non era una malattia puramente stagionale, come potevano lasciar sospettare le manifestazioni cutanee da essa derivate, perché permanevano altri fatti morbosi che interessavano il sistema nervoso e l'apparato digerente. I risultati delle osservazioni, tradotti in alcune pubblicazioni, persuasero della inutilità di tutti i medicamenti fino allora applicati e dell'opportunità di un progressivo miglioramento del tenore di vita. Dopo una serie di adattamenti compiuti con meravigliosa prontezza, superate le difficoltà derivate dalle disastrose condizioni in cui le Clarisse avevano 131 lasciato il loro monastero, approntate le tabelle, predisposti gli assistenti, il pellagrosario fu inaugurato, con modesta solennità, il 29 maggio 1784. Non fu necessaria nessuna pubblicità all'istituzione, perché già all'apertura dell'ospedale si presentarono cinquanta ammalati, solo la metà dei quali poté essere alloggiata in quaranta letti a disposizione, per il timore di dover rifiutare altri pellagrosi che venissero in seguito da zone più lontane. Il dott. Strambio iniziò la sua attività col fervore di un apostolo, anche se la sua missione aveva delle prospettive tutt'altro che rosee, in un ambiente dove era visto come un intruso e dove aveva assunto l'incarico senza uno stipendio fisso, costretto anzi a implorare di tanto in tanto qualche "sussidio interinale" per affrontare carichi di famiglia e attendere agli studi necessari, in continuo contrasto con l'autorità ecclesiastica o meglio con don Lavazza successo al Cavenago nell' amministrazione dell'ospedale. Per opera dello Strambio gli ammalati trassero tuttavia un notevole beneficio; le loro sofferenze cessarono o diminuirono, la scienza si accrebbe di nuove verità e lo stesso imperatore, dopo due quadrimestri di attività, gratificò il medico con cento zecchini, decretando contemporaneamente l'ingrandimento dell'ospedale di Legnano. L'opportunità di allargare il pellagrosario si presentò a Giuseppe II nel 1785 quando, in occasione di un soggiorno in Lombardia poté visitare l'ospedale di Legnano. Dopo l'intervento dell'imperatore, una "Sovrana Risoluzione" stabilì che i letti del pellagrosario fossero portati a cento, ma che ogni ospedale provinciale ne tenesse, all'uopo, a disposizione dieci e quello di Milano venti, in modo da trovare attraverso un'ulteriore sperimentazione, "uno specifico contro l'abominevole malattia". I soldi incamerati dai conventi soppressi non furono però sufficienti per sopperire alle necessità previste e il Governo pertanto non concesse che fosse superato il numero dei quaranta pellagrosi ammessi all'ospedale, anche se questo funzionava con regolarità. Basti dire, in base a documenti rimasti che la spesa per il vitto di un ammalato ammontava a quattordici soldi giornalieri, per salire a ventitré con le medicine e l'assistenza, in modo che l'esborso per l'intera istituzione non superava L. 900 mensili. Era un modo dignitoso di sbarcare il lunario. Purtroppo, nel corso di tale attività, una serie di guai e fastidi turbò l'opera dello Strambio, come si deduce dalle lettere scambiate col Cavenago, a causa di contrasti sorti con l'autorità religiosa locale. Ben presto i rapporti tra il direttore medico e l'Amministratore degenerarono. Ai primi del 1788, don Lavazza, prevosto di Legnano, indirizzò una fiera 132 requisitoria formale al Consiglio di Governo contro lo Strambio, accusato di trascuratezza nei metodi di cura, dai quali derivava una grave mortalità. Se a ciò si aggiungono le difficoltà soprattutto di carattere economico, che minacciavano la sopravvivenza del pellagrosario di Legnano, per la cui definitiva sistemazione non si trovavano capitali adeguati, si comprende come il Consiglio di Governo, con dispaccio del 26 maggio 1788, decretasse la soppressione dell'ente. Si decise quindi lo sgombero dell'ospedale di Legnano: i pochi pellagrosi rimasti furono divisi tra i nosocomi di Milano e di Monza. L'ex monastero di S. Chiara fu venduto all'asta pubblica. Dal 1784 al dicembre 1788 si spesero per il pellagrosario di Legnano L. 89.000 milanesi, tutto compreso. Lo Strambio fu assunto, al primo gennaio 1789, dall'Ospedale Maggiore di Milano. Ottenne, nel 1791, una gratificazione di 150 zecchini, a tacitazione di tutti i suoi diritti e uno stipendio di L. 1800. Eletto direttore medico nel 1810, fu nominato, un anno dopo, direttore dell'Ospedale Maggiore di Milano. Durò in carica tre anni e, alla scadenza, fu creato Prefetto del Dipartimento dell'Olona. Rassegnate le dimissioni nel 1817, chiuse la sua esistenza il 3 maggio 1831, universalmente compianto come una delle figure più significative della Milano ottocentesca. L'antico convento delle Clarisse di Santa Chiara, che ospitò il pellagrosario, era ubicato in Legnano tra l'attuale Largo Seprio e la via Giolitti, con fronte su corso Italia, il cui primo tratto, all'epoca, si denominava via del monastero. Dell'edificio esistono ancora i resti del chiostro delle monache in un cortile, al numero civico 41 di corso Italia. 133 Dall'Ottocento al ventesimo secolo La prima fase dell'industrializzazione di Legnano si può collocare in un arco di tempo corrispondente all'incirca al periodo compreso tra il 1820 e il 1880: il fatto che il borgo vantasse tradizioni di artigianato e di manifattura domestica ebbe un peso particolare per la localizzazione dell'industria tessile, in un certo modo predisposta dalle forme pre-industriali di lavorazione casalinga della seta e del cotone , di cui abbiamo già fatto cenno. Questa prima fase seguì quindi il modello di distribuzione industriale tendente all'installazione di industrie leggere in zone di concentrazione di popolazione, dove preesistevano attività artigianali e manifatturiere fondate su un'organizzazione produttiva di tipo precapitalistico, basata sullo sfruttamento di una manodopera poco qualificata, quale quella femminile e minorile. D'altra parte il processo di meccanizzazione ed ammodernamento tecnologico avvenuto in queste industrie, specie dopo la metà del secolo si può considerare la causa primaria della nascita di un'industria meccanica, che caratterizzò la seconda fase della rivoluzione industriale del borgo. Le filature sorte a Legnano, per le loro caratteristiche, potevano collocarsi a pieno diritto tra le principali indwstrie cotoniere lombarde, e tra di esse la più rappresentativa per organizzazione e tecnologia era la Cantoni, come risulta da un documento del 1876, conservato presso l'Archivio Comunale di Legnano, che riassume alcuni dati significativi sugli stabilimenti tessili del borgo e che si può, comparare ai dati emergenti dall'inchiesta industriale del 1870-74. Tra le industrie tessili legnanesi solo la Cantoni univa la filatura alla tessitura, comprendendo anche un notevole numero di telai meccanici, vantando inoltre, unitamente al Cotonificio di Eraldo Krumm, il maggior numero di cavalli vapore, quando appunto una massiccia integrazione della forza idraulica con quella a vapore era una necessità sempre sentita, soprattutto per annullare gli effetti negativi della interruzione del ciclo produttivo e della ridotta utilizzazione degli impianti. L'introduzione della macchina a vapore e quella del telaio meccanico (o più in generale di macchine più grandi, più potenti e perfette per la tessitura) si condizionavano strettamente a vicenda: le macchine, però, comportavano la necessità di disporre di una bene organizzata attrezzatura tecnica per manutenzione e rapidità nelle riparazioni. Ancora una volta in questo campo il precursore fu il Cantoni, che, entrato in 134 partecipazione nelle officine di Luigi Krumm, costituì nel 1874 la Cantoni-Krumm, organizzandola appunto per la costruzione e la riparazione di macchinari tessili; successivamente, ad essi aggiunse una produzione pi ampia nel campo meccanico in genere. Nel 1876 Eugenio Cantoni assunse l'ing. Franco Tosi, allora ventiseienne, appena rientrato da un periodo di tirocinio presso la Società Decker di Kanustadt in Germania, quale direttore della sua azienda. Questi divenne socio, nel 1882, allorchè nacque la Franco Tosi & C. società è in accomandita semplice, che aveva Tosi quale gerente e Cantoni socio accomandatario. Con le Officine Tosi, Legnano si avviò, ad acquistare una nuova fisionomia, distinguendosi ulteriormente da Busto Arsizio e Gallarate, divenendo il centro di progettazione e costruzione di un'industria meccanica che consentirà più agevoli sviluppi anche nell'industria tessile tradizionale e darà vita a sua volta a molti altri complessi industriali. Il primo esemplare di macchina a vapore, costruito dalle officine della futura Tosi fu destinato al Cotonificio Cantoni di Castellanza. L'azienda aveva infatti creato una sezione specializzata nella costruzione di motrici a vapore da 40-50 HP. E' utile ricordare che questi anni di pieno sviluppo industriale furono anni di crisi per l'agricoltura, come risulta da alcuni documenti conservati presso l'Archivio Comunale di Legnano: nel 1880 il Sindaco comunicava alla Sotto-prefettura: Data la siccità tutti i contadini ebbero uno scarsissimo ed insufficiente raccolto di granturco che è quasi l'unica loro risorsa, talchè i più fortunati si calcola che possono avere il vitto per circa tre mesi. (Arch. com. Legnano, c. 194 f. 107/13). Molti altri contadini trovarono quindi lavoro nelle fabbriche e spesso abbandonarono l'agricoltura, che non costituiva più un grosso cespite di ricchezza. In una lettera al sindaco di Nerviano, che aveva proposto l'attuazione di una linea tranviaria sulla strada del Sempione, il sindaco Dell'Acqua interpretava la nuova situazione del Comune, rispondendo positivamente alla proposta che avrebbe portato vantaggi a Legnano, "poichè concludeva -- la natura di questo borgo è eminentemente industriale e commerciale". (Arch. com. Legnano, c. 174 f. 171/11). Particolarmente degna di nota a questo proposito fu l'attivazione della strada ferrata infrastruttura di primaria importanza per l'insedianento industriale, sollecitata tra l'altro dal ceto dirigente locale, consapevole dell'importanza economica che il comune andava acquistando. Nel periodo 1885-1915, infatti, siamo di fronte ad una completa trasformazione industriale dell'antico borgo: nel campo dell'industria meccanica, sorta come complementare di quella tessile, si assiste ad un proliferare di piccoli stabilimenti ed officine, intorno alla Franco Tosi, colosso del settore, mentre i complessi tessili, tra cui emerge il Cotonificio Cantoni, portano a 135 compimento il processo di ristrutturazione con la completa meccanizzazione degli impianti. Nel 1866 si trasferirono a Legnano le Officine F.lli Bombaglio, che erano sorte a Marnate intorno al 1840 come laboratorio per la costruzione e la riparazione dei mulini. A Legnano divennero una delle principali ditte produttrici di turbine idrauliche, trasmissioni, impianti di oleifici, macchine per la lavorazione del legno, pompe centrifughe e presse idrauliche; nel 1913 l'officina con la relativa fonderia si estendeva sopra un'area di mq. 24.000 di cui 7.000 coperti. Da cinque anni Andrea Pensotti, capo reparto della Tosi, si era messo in proprio con una fonderia, a cui aggiunse poi un'officina meccanica situata nei pressi della ferrovia. Lo stabilimento, che si trasferà poi nel quartiere sorto a nord-ovest di Legnano, specializzandosi nella produzione di caldaie esportate in tutto il mondo, divenne il quarto complesso legnanese in ordine d'importanza. Da un lato si verificò a Legnano un processo di addensamento industriale, tipico del periodo della rivoluzione industriale, per cui le strutture territoriali caratterizzate da una forte concentrazione di capitali e di uomini assunsero la funzione di centro di attrazione dei fattori produttivi. Dall'altro, però, uno degli aspetti dello sviluppo industriale dell'antico borgo fu proprio il sorgere, specialmente nel campo della fonderia e della meccanica, di piccole industrie a carattere complementare dovute spesso all'iniziativa di ex-dipendenti delle grandi aziende, divenuti a loro volta imprenditori. Sembra utile a questo punto riportare un prospetto statistico delle imprese legnanesi nel 1890, da cui si rileva anche la nascita di nuove tessiture di cotone, quali la Carlo Gadda, la Dell'Acqua & C., con sede principale a Busto Arsizio, e la costituzione di una Società del Gas, che aveva effettivamente cominciato il suo servizio nel 1880 (Arch. com. Legnano, c. 240 f. 266/16). Con l'adozione di meccanismi che richiedevano prestazioni molto semplici di controllo e manutenzione, il grado di sviluppo raggiunto nel settore tessile favori l'impiego massiccio di manodopera femminile e minorile, come risulta dalla statistica riportata. Impresa Totale F/motrice +15 anni --15 anni M Cantoni: filatura tessile 203 HP 356 F 342 136 8 M 80 F 786 60 C. idr. Aspes: saponificio Banfi: tessitura cotone 400 HP Landini: conciatura pelli . Cittera: falegname Monti: conciatura pelli 10 HP Gadda: tessitura meccanica 45 HP Dell'Acqua: conciatura pelli Dell'Acqua: tessitura cotone 60 HP G. Bernocchi: tintoria 60 HP R. Bernocchi: tintoria 30 HP R. Borghi: filatura cotone IDR. 150 HP R. Butti: filatura cotone Bombaglio: officine meccaniche 10 HP Scossiroli: fabbrica stufe Società del gas Thomas: filatura cotone Ronchetti: filatura seta 4 HP A. Pensotti: fonderia 3 HP Dell'Acqua & C.: tessitura cotone 12 HP Inhoff: filatura seta 8 HP Dell'Acqua: tintoria 80 HP Kramer: filatura seta IDR. 53 HP Dell'Acqua: laterizi Panighini: tessitura cotone F. Tosi non precisato 2 29 2 60 389 6 478 6 3 3 12 12 4 15 9 3 22 36 222 9 20 166 57 2 33 1 68 100 74 61 2 4 30 1 15 21 7 6 8 59 69 4 1 87 13 12 8 33 120 7 150 54 14 10 159 176 64 7 11 316 3 1 124 30 10 178 33 3 5 50c. 1 86 4 7 42 37 34 206 78 259 2 76 453 2c. 30 10 591 16 605 L'esame di qualche dato aziendale mette in evidenza come questo fenomeno fosse piuttosto elevato soprattutto in mansioni sussidiarie, mentre agli uomini veniva riservata l'assistenza tecnica più qualificata; la manodopera maschile era impiegata per la maggior parte nelle neonate officine di meccanica. All'inizio degli anni Ottanta si verificarono nelle industrie legnanesi i primi scioperi e sorsero anche alcune società operaie: questo fenomeno si inserisce nel quadro più vasto di agitazioni, che preludevano al sorgere di un movimento operaio in tutta la zona industrializzata settentrionale negli 137 anni 1880-1890. E' del 1878 la prima inchiesta sugli scioperi, che rompevano una tradizione di rapporti di "cooperazione" tra padroni ed operai, tradottasi nella formazione di enti assistenziali, spesso con fili moralistici: la complessità dei rapporti di classe che si veniva instaurando con la diffusione della rivoluzione industriale era un sintomo del carattere capitalistico che andava assumendo l'industria legnanese. Negli ultimi anni del XIX secolo i riflessi delle lotte tra la borghesia e la classe operaia si ebbero anche nell'Altomilanese. In una zona in cui l'industria era in piena espansione, si inserirono, accanto alle lotte sindacali, le lotte politiche alimentate dai socialisti e dai radicali che si opponevano ai conservatori e ai moderati, facenti capo al comasco Paolo Carcano, ex garibaldino, che aveva preso parte attiva alle campagne del 1860, del 1866 e dell'anno successivo. La formazione del Governo guidato dal marchese Antonio di Rudini e i suoi prlml provvedimenti antidemocratici (scioglimento delle organizzazioni operaie, domicilio coatto per i sovversivi, tentativi di adozione del voto plurimo per i ricchi e repressioni con le armi contro i lavoratori che chiedevano pane alimentarono ondate di proteste anche a Milano e provincia. Nel maggio 1898, quando di Rudini ordinò, l'uso del cannone a mitraglia contro gli operai e i popolani milanesi, durante una sommossa, e si ebbero 200 vittime, tutti i settori industriali del Legnanese furono sconvolti da scioperi e agitazioni contro i metodi sangumosi e repressivi del generale Fiorenzo Bava Beccaris, incaricato dell'ordine pubblico a Milano. Seguì, il 7 maggio 1898, la proclamazione dello stato d'assedio a Milano e provincia. A Legnano furono eseguite perquisizioni con l'arresto di alcuni esponenti socialisti, ma fortunatamente non accaddero fatti luttuosi. Tutte le fabbriche dell'Altomilanese erano da alcuni anni in crisi per la grave recessione economica, che investiva l'intera penisola, e la situazione si mantenne fluida e critica fino ai primi anni del Novecento. In questo tormentato periodo si registrano due altri episodi significativi per la storia di Legnano. Il 29 giugno 1900 fu inaugurato il monumento, dello scultore Butti, celebrativo della battaglia di Legnano con la statua del guerriero divenuto poi l'emblema della città. Il monumento, oltre che da Garibaldi, era stato auspicato da Felice Cavallotti, uomo politico repubblicano, giornalista e scrittore, che a Legnano contava molti seguaci ed amici. 138 Quando, nel 1898, nel clima infuocato delle sommosse popolari, Cavallotti fu ucciso, battendosi in duello, da un altro giornalista, Ferruccio Macola, suo avversario politico, a Legnano si costituì un comitato e fu aperta una sottoscrizione popolare per onorarne la memoria, con una lapide commemorativa e con un busto dello scrittore. Tale lapide venne collocata ed inaugurata il 10 luglio 1904 in piazza San Magno, di fianco al Municipio, allora denominata piazza Umberto I°, in memoria del re assassinato a Monza da un anarchico, un mese dopo l'inaugurazione del monumento alla battaglia di Legnano. Sempre in tema di inauguravoni, ricordiamo in questo periodo, ed esattamente il 28 novembre 1909, quella del nuovo palazzo degli uffici comunali, opera dell'architetto Aristide Malinverni, più tardi completato con un'ulteriore ala. Nei primi anni del secolo nuovi stabilimenti entrarono a far parte del panorama industriale legnanese, come si può riscontrare dai dati raccolti presso l'Archivio comunale di Legnano: tra gli opifici censiti erano degni di nota la Società in accomandita per azioni F. Vignati & C. (tessitura cotone), la Manifattura di Legnano, fondata nel 1903 dai fratelli Banfi, insieme ad un altro imprenditore legnanese e che contava già 903 dipendenti nel 1908, la Società in accomandita per azioni E. Mottana & C. per l'industria del candeggio, tintoria e mercerizzazione dei tessuti di cotone, che aveva rilevato lo stabilimento fondato molti anni prima alla "Gabinella" da Giuseppe Bernocchi, mentre tra le officine meccaniche si distinguevano la Wolsit e la FIAL dei fratelli Ghioldi, due aziende impiantate allo scopo di costruire automobili, motori per autoriparazioni e addirittura aeroplani. Non si possono infine dimenticare le Elettrochimiche Rossi (fondate nel 1907), uniche in Europa a produrre l'acido nitrico dall'azoto atmosferico a tutte le concentrazioni, fino alle più alte, per l'industria degli esplosivi. Nel 1911 ricaviamo una panoramica generale dell'industria legnanese dal I° censimento industriale i cui dati riassuntivi erano i seguenti: Industrie aventi fino a 10 operai a n° 161 con un total)e di 574 operai, industrie aventi da 10 a 25 operai n. 14 con un totale di 223 operai, industrie aventi più di 25 operai n. 35 con un totale di 9369 operai. Si raggiungeva quindi un totale di 210 industrie con un complesso di 10. 165 operai, esclusi gli artigiani e coloro che esercitavano le cosiddette industrie casalinghe. L'industria del cotone impiegava 150.500 fusi e 6.397 telai meccanici. Tutte le industrie, complessivamente, impiegavano quale forza motrice il vapore per 850 HP e l'energia elettrica per Kw/anno 17.700 circa, oltre ad un 139 modesto sfruttamento delle acque dell'Olona, degradato a funzione di collettore per gli scarichi dei residui di lavorazione. Erano allora in attività 15 motori azionati con forza idraulica e 9 macchine a vapore; i motori elettrici, statisticamente rilevabili, erano 500. Prevaleva nettamente l'industria tessile, che, pur contando appena 32 aziende, occupava da sola 6.750 operai, in media 210 per azienda, rivelando la sua struttura in grossi opifici, dai quali dipendevano anche le miriadi di telai in case private. A sua volta l'industria meccanica aveva acquistato una notevole consistenza con 2.165 operai distribuiti in 49 officine, ma la media di 53 addetti per ogni azienda, manifesta come la meccanica, oltre che in alcuni grossi complessi, fosse ripartita in piccole imprese familiari, sempre però, assai più grandi di quelle bustesi, che contavano appena 12 operai per azienda. Dai dati di questo censimento si deduce che Legnano era al quinto posto tra i maggiori centri industriali italiani per numero di occupati, nel ramo tessile dopo Milano (29.388 addetti Torino (20.455 addetti), Monza (11.071 addetti), Napoli (9.809 addetti) mentre,. sulla base del numero complessivo degli addetti industriali, occupava il diciassettesimo posto, preceduta dalle più grandi città. La percentuale, nella popolazione, di addetti all'industria era del 42,5 % , come risulta da questa tabella compilata in base a dati dell'Archivio comunale: Se consideriamo l'incidenza della popolazione industriale su quella totale presente nei singoli Comuni alla data del Censimento demografico del 1911 vediamo che Legnano era al nono posto, preceduta oltre che da alcuni centri 'monoindustriali' che costituivano casi tipici, da Sesto S. Giovanni Gallarate (47 %) e Borgosesia (44,6%) ed era l'unico Comune con venti centri più industrializzati dove sia l'industria tessile che quella meccanica avessero un ruolo essenziale nella localizzazione industriale. Il prospetto industrie-addetti del 1914, reperibile presso l'Archivio comunale (cart. 392 f. 286/23), offre un panorama dell'industria legnanese e dimostra una diversificazione della produzione e un articolarsi del processo produttivo in settori differenti, sconosciuto alla prima fase d'industrializzazione e segno manifesto di un livello economico più avanzato. Anno N. Industrie % add. ind. sulla pop. 1887 Addetti 26 1855 140 Popolazione 6471 28.7 1891 38 1911 42.5 56 4204 11068 210 10165 24971 1 La prima conseguenza della concentrazione industriale, manifestatasi come abbiamo visto, nel trentennio 1885-1915, si ebbe coll'esplosione demografica, che portò il Comune al primo posto in Italia per l'elevatissimo tasso d'incremento della popolazione. Per il periodo in questione è possibile rielaborare alcuni dati significativi sulla base della documentazione esistente presso l'archivio comunale: vediamo quindi come si è manifestato l'incremento demografico, in assoluto e in percentuale, nel periodo di maggior espansiane industriale, considerando i valori relativi ad ogni quinquennio. Anno 1880 1885 1890 1895 1900 1905 1910 1915S Popolazione Incremento 7041 8441 1 0643 1 2928 17394 22494 26716 28757 + 1400 + 2200 + 2285 + 4466 + 5100 + 4212 + 2041 19.8 26.0 21.4 34.5 29.3 18.7 7.6 L'espansione industriale attrasse la manodopera delle zone circostanti e si determinò, cosi una corrente migratoria che si mantenne in ambito regionale o addirittura provinciale, dato che in genere la forza centripeta delle aree in via di sviluppo si manifesta più intensa nelle zone limitrofe, secondo la dinamica che si esprime soprattutto in movimenti su brevi distanze. Quest'ipotesi è suffragata anche da un documento risalente ai primi anni del Novecento, in cui il Sindaco manifesta la carenza di abitazioni nel borgo e fa riferimento alla notevole immigrazione di operai, asserendo che essi provengono in egual misura dai Comuni circostanti e 141 dalle province vicine (Arch. com. Legnano cart. 415 f. 30/27). A questa carenza rimedieranno in parte alcune grosse industrie locali, che nel primo decennio del secolo intrapresero anche la costruzione di grandi fabbricati aziendali. Tra questi il Cotonificio Cantoni che realizzò il reparto della tessitura destinato a comprendere un migliaio di telai. Alla fine del 1908 l'Italia fu funestata dagli spaventosi terremoti di Reggio Calabria e di Messina con migliaia di morti e distruzioni immani. Nella sola città siciliana si ebbero 30 mila morti e 70 mila in provincia. Le ripercussioni di questa calamità perdurarono anche l'anno successivo, provocando, con la stasi negli affari, una grave recessione economica che toccò da vicino le industrie legnanesi. Purtroppo anche il panorama politico internazionale non faceva sperare nulla di buono e l'Italia dovette legarsi alla Germania e all'Austria nella Triplice Alleanza per garantirsi una relativa tranquillità. Ciò, non evitò, comunque che l'Italia si imbarcasse in una guerra coloniale, la conquista della Libia, e nella guerra contro la Turchia, nel settembre 1911. L'anno precedente Legnano era stata funestata da una grave calamità. Il 23 luglio infatti un tremendo ciclone si abbattè sull'intero Altomilanese e in città si ebbero quattro morti e molti feriti. Gravissimi danni riportarono case private ed alcuni edifici pubblici, tra i quali l'Ospedale Civile, che ebbe asportata una parte del tetto del padiglione inaugurato nel 1903. Furono demolite ciminiere di stabilimenti e sradicati una dozzina di enormi platani secolari lungo la roggia S. Caterina di proprietà dei fratelli Dell'Acqua. Al censimento generale dell'11 giugno 1911 la popolazione segnò un notevole calo, in parte dovuto al perdurare della crisi industriale che aveva spinto molte famiglie ad emigrare. I residenti risultarono circa 25 mila. Lo stesso censimento accertò l'esistenza di 5336 abitazioni civili per un totale di circa 15 mila vani, nonchè di 257 locali adibiti ad uso di ufficio o magazzino. I locali vuoti erano 684, dato quest'ultimo significativo a comprova dell'emigrazione di cui si è accennato, ma anche un segno dell'inversione di tendenza, rispetto alla carenza di alloggi nei primi anni del secolo. 142 Dal borgo agricolo allo sviluppo del primo ottocento AIl'epoca della dominazione napoleonica nel Milanese, negli anni cioe' seguenti le grandi imprese del generale Bonaparte, che vinti i Piemontesi e gli Austriaci fu accolto da trionfatore a Milano, dove proclamo' la liberta' e I'indipendenza (15 maggio 1796). Legnano era un grosso centro agricolo. Aveva case, botteghe e cascine situate in due distinti nuclei, sulla sponda destra (contrada granda) e su quella sinistra (Legnarello) del fiume Olona, che costituiva la spina dorsale del borgo. Favorita dalla notorieta' per le glorie passate e per la ricchezza della sua agricoltura fin dall'epoca medievale e incrementata successivamente nel periodo feudale, Legnano si avvantaggio' anche per i suoi traffici grazie alle vie di comunicazione che la toccavano. Lo stesso Bonaparte, facendo collegare Milano a Parigi, attraverso il Passo del Sempione, sul tragitto Rho-Legnano-Gallarate-Arona, contribui' ad accrescere I'importanza di questo borgo, seconga stazione diposta del postiglione giornaliero. "Passaa Legnan e Castelanza se va drizz in Franza", diceva un motto popolare di quell'epoca, molto indicativo della posizione strategica che aveva questo centro. Nell'aprile 1805, Napoleone pretese il giuramento di fedelta' da parte di tutta I'Amministrazione pubblica, che gli fu reso da Legnano e Legnarello, nella forma indicata. Per Legnano: 15 aprile 1805 - Noi sottoscritti municipali. Agente e Censore di questo Comune di Legnano con Legnarello giuriamo ubbidienza a]le Costituzioni, e fedelta' al Re (sic). Firme: Gaetano Albino sostituto del signor Marchese Carlo Cornaggia Medici primo Municipale Giovanni Battista Pennati sostituto del signor Conte Giovanni Cesare Giulini De Bernardi amministratore municipale Giovanni Novara Cursore De Giovanni cancelliere er Legnarello: 15 aprile 1805 - Io sottoscritto Cancelliere del Distretto XXX Censuario, Dipartimento d'OIona giuro obbedienza alle Costituzioni, e Fedelta' al Re Firma: Piefro De Giovanni Cancelliere (A.S.M.. Potenze Sovrane, cart. 162). In seguito. Napoleone I transito' per Legnano alla vigilia della sua incoronazione a re d'Italia (26 maggio 1805). L'avvenimento risulta da una circolare, trasmessa il 25 aprile. dal Prefetto del Dipartimento d'Olona, Longo, alle amministrazioni municipali (Arch. com. di Legnano. cart. 19). Con essa erano fissate le prescrizioni e le modalita' dell'accoglimento di S.M. l'lmperatore de' Francesi e resa d'onori tanto civili che militari, riserva della presentazione delle chiavi e di tutto cio' che 143 relativo al comando e alla parola d'ordine. In quell'occasione I'artefice della Repubblica Cisalpina era accompagnato dall'Imperatrice Giuseppina Beauharnais. Come si e visto, esaminando gli eventi dell'amministrazione austriaca nel Ducato di Milano, l'economia del borgo legnanese era essenzialmente agricola, con qualche debole influenza dovuta all'eco delle riforme "illuministiche" giunta fin qui. Ben diciassette mulini ad energia idraulica sfruttavano appunto la rivorum copia celebrata nel distico del Bossi in S. Magno. Le campagne della fertile piana irrigata con le acque del fiume Olona. con le sue ramificazioni e le numerose rogge. L'allevamento del bestiame e I'artigianato costituivano i cespiti del modesto benessere della popolazione, che abitava le case di ringhera o le corti. piccoli fortilizi agricoli con le porte carraie, le stalle allineate, i fienili sovrapposti e gli edifici civili ripartiti tra i nuclei familiari di un'unica grande famiglia patriarcale che le teneva a mezzadria o a "colonia" lombarda sotto la responsabilita' del vecchio patriarca (il ragio'), con i fondi coltivati a frumento. meliga. orzo o foraggi che si estendevano dal nucleo abitato alle cascine periferiche Le colline dominanti il corso del fiume erano ricoperte da rigogliosi vigneti e frutteti. E' di questa epoca la costruzione del Cavo Diotti, per irrigare campi non raggiungibili con I'Olona. I gelsi lungo le rogge. Ai lati dei viottoli o al centro delle costruzioni agricole. erano la espressione di una piu' recente ricchezza in connubio tra il substrato rurale e un sempre piu' ricorrente lavoro manifatturiero. A carattere artigianale. di filatura della seta. Il frazionamento delle aziende agricole, con i conseguenti bassi redditi che offriva, non tali da soddisfare il fabbisogno delle famiglie. spingeva ad integrare infatti il lavoro dei campi, svolto in prevalenza dagli uomini, con altre attivita', alle quali si alternavano. durante il giorno. le donne di casa. A sera i contadini legnanesi si trasformavano in filatori o tessitori di cotone, di lana e di seta, oppure in tintori. Le pezze erano tinte in caldaie di rame con il colorante sciolto in acqua bollente: sopra la caldaia era collocata un'aspa che l'operaio faceva funzionare a mano. Dopo che il tessuto aveva assorbito il colorante, veniva lavato nelle acque dell'Olona, su cui erano installate apposite impalcature di legno. All'inizio dell'Ottocento si usavano ancora sostanze coloranti di origine vegetale, soppiantate solo negli ultimi decenni del secolo dai coloranti sintetici (Piero Dagradi. Panornma storico dell'Altomilanese. vol. II. Busto Arsizio 1971. pp. 22-23). Secondo informazioni trascritte dal Pirovano e riportate dal segretario comunale del primo Novecento, Gian Battista Raimondi, in un volumetto edito nel 1913, risulta che all'epoca napoleonica i Cornacchia e i Prata (o Prada), impiantatisi nel borgo fin dal XVII secolo, avevano assunto una 144 notevole importanza a Legnano. Essi davano a filare e a tessere il cotone, da loro per primi introdotto in paese, non solo agli abitanti locali. ma anche a quelli degli altri comuni limitrofi. Sempre secondo il Pirovano, il commercio del cotone esercitato dai Cornacchia e dai Prata si estendeva a Livorno, Marsiglia, Cipro e Smirne e cio' prova I'importanza dell'azienda. che trafficava anche in prodotti di conceria e pellami dipinti. Gia' nel 1807, in un rapporto ufficiale inviato dal municipio al governo. risultavano esistenti in Legnano svariate filature di seta e cotone ed altre aziende minori. tutte esercitate nella primitiva forma casalinga. In una dichiarazione dell'8 aprile 1823 diretta alla Deputazione del Comune di Legnano, a firma di certo Enrico Schoch, originario di Zurigo, e per conto della "Filatura di cotone a macchine idrauliche" si fornivano le generalita' di tre imprenditori esercenti I'attivita tessile in Legnano: Enrico Schoch, Francesco Dapples, Giovanni Schoch, tutti di origine svizzera. Erano elencati inoltre sette dipendenti con le rispettive qualifiche: Eraldo Krum. fabbro ferraio; Enrico Egli, tornitore; Enrico Keller, assistente; Giuseppe Gosti, Giovanni Grassi, Carlo Falcili e Antonio Sbertoli, filatori. (Arch. com. cart. 151). Un altro documento. firmato dalla Deputazione Comunale di Legnano, datato 1824, riporta I'elenco dei primi venti commercianti o imprenditori con stabilimento rilevante d'industria in Legnano. Figuravano due mercanti generici, cinque conciatori di pelli, ;Due venditori di tele, un commerciante all'ingrosso dello stesso settore, due filatori di seta, due pizzicamoli, due commercianti di cotone, un commerciante di salsamenterie, un altro di legna e un terzo di legno; infine un esercente I'attivita' di ferrarezza (ferramenta). Queste prime attivita' manifatturiere, che avevano dvuto inizio nei due secoli precedenti, favorirono, nella prima meta' dell'Ottocento, il sorgere di officine per fabbricare macchine utensili, telai, caldaie ed accessori vari, nucleo iniziale di una concentrazione di industrie destinate ad espandersi in pieno secolo. La stessa presenza di manodopera artigiana. gia' specializzatasi in campo tessile, contribui' alla localizzazione nel territorio di Legnano dei grossi complessi di filatura, tessitura e tintoria e quindi dell'industria meccanica. Nei primi quarant'anni del secolo, con la crescita delle attivita' commerciali e artigiane, si raddoppia, anche la popolazione del borgo. Da un atto ufficiale del governo napoleonico del giugno 1805 risulta che la popolazione di Legnano in quell'anno ammontava a 2784 abitanti. salita a 4536 nel 1840 e a 6349 nel 1861. Il documento era allegato al decreto napoleonico che in quella stessa data riconosceva a Legnano una rappresentanza comunale costituita dal Consiglio comunale e dalla 145 Municipalita'. Nei comuni di terza classe, che come Legnano non superavano i tremila abitanti, il Consiglio comunale era composto di 15 membri. nominati dal prefetto del Dipartimento (Previncia), per quattro quinti tra i possidenti e per un quinto tra i non possidenti di eta' superiore ai 35 anni ed esercitanti un'arte, una professione o un mestiere e paganti la tassa personale. Questi consigli comunali erano convocati ed assistiti dal regio' consigliere del Distretto o Cantone. La Municipalita' era invece composta da un podesta' e da sei o quattro savi, (nei comuni di terza classe, erano soltanto due elsi chiamavano anziani, con a capo un sindaco. Questi era nominato dal prefetto, mentre gli anziani erano eletti dal consiglio comunale tra i venticinque piu' ricchi o notabili del Comune. Gli uni nominata dal re ed aveva la qualifica difunzionario dello Stato. Legnano in quel tempo era capoluogo del Cantone IV. inserito nel Distretto IV (Gallarate) del Dipartimento di Olona, che aveva la sua sede in Milano. Nel primo decennio del secolo figurava, negli atti ufficiali, regio cancelliere del Cantone: Annibale Mazza. Il Cantone comprendeva un territorio di 17 comuni con una popolazione complessiva di 12.727 abitanti. E cioe' Legnano, Cairate, Cascina Masina, Castegnate, Castellanza, Cislago, Fagnano con Bergoro, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Marnate, Nizzolina, Olgiate Olona, Prospiano, Rescalda, Rescaldina con Rello, Sacconago con Cascina Borghetto e Solbiate Olona. Alla successiva caduta di Napoleone e con il conseguente ritorno della Lombardia sotto il dominio austriaco, furono dettate nuove norme per le amministrazioni comunali, con le quali in sostanza furono Ripristinate le disposizioni contenute nelle riforme di Maria Teresa. Cio' avvenne con I'Imperial Decreto del 12 febbraio 1816. Nello stesso anno. ando' in vigore il nuovo compartimento territoriale della Lombardia, che aboli' tanto la suddivisione francese come quella austriaca precedente. Legnano cesso' di essere cosi' capoluogo di Cantone e fu aggregato all Distretto XV di Busto Arsizio. In quell'occasione I'archivio cantonale fu spogliato dai suoi principali documenti, che passarono cosi' all'archivio comunale di Busto Arsizio (G.B. Raimondi. Legnano. Busto Arsizio 1913). Bisogno' poi attendere la formazione del regno d'Italia, come e' meglio precisato nel capitolo dedicato ai sindaci e ai parroci, perche' il Comune di Legnano riavesse il suo ordinamento autonomo. Torniamo pero' alle vicende legate all'evoluzione del borgo agricolo di Legnano nei primi decenni del secolo. Come si e' detto, la spina dorsale dell'economia legnanese restava pur sempre I'agricoltura affiancata dalle nuove attivita' emergenti. Qual era la consistenza dei raccolti agricoli di Legnano a quei tempi? In questo prospetto dei raccolti dell'anno 1805 146 (Arch. com.. cart. 21) si rileva anche quanto mancava a coprire il fabbisogno della comunita' Nel 1814 la situazione del raccolto di cereali era notevolmente migliorata, tanto che in un prospetto risultavano mancanti al fabbisogno della popolazione soltanto 500 moggia di frumentone. Per curiosita' annotiamo che, con un avviso pubblico del sindaco di Legnano, veniva fissato il prezzo del pane di frumento. che doveva essere bello, buono, ben cotto e ben condizionato e da vendersi, fino a nuovo ordine. a Peso e non a numero e in pngnotte an una libbra e mezza Iibbra. Il prezzo, in moneta italiana, doveva essere rispettivamente di 34 e 17 centesimi. Spesso la Municipalita' era costretta ad intervenire per dettare norme in materia di pascoli e di tutela dei fondi e per dirimere accese dispute tra molinari e agricoltori utenti di rogge irrigue, specie in mesi di magra, appunto perche' ciascun mugnaio cercava il piu' possibile di tirare I'acqua al proprio mulino. Gli agricoltori, per essere tutelati, si riunirono in un Consorzio, il quale. nel 1818, acquisto' dal Governo i diritti demaniali sul Fiume Olona per 8 mila scudi. Que- sto Consorzio e' lo stesso che aveva ottenuto in precedenza diritti di derivazioni irrigue ed esiste tuttora con il nome di "Consorzio fiume Olona". Di tutte queste dispute esiste un'ampia documentazione tanto nell'archivio comunale che nell'archivio del Consorzio, corredata da atti giudiziari, avvisi pubblici e grida delle autorita' superiori costituite. Essendo il Comune, come si e visto, amministrato da grossi proprietari o esponenti della borghesia piu' abbiente, scarsa tutela avevano i singoli agricoltori, piccoli proprietari; da qui la tendenza di questi ultimi ad aggiungere nuove attivita' ausiliarie. Questa figura del contadino-tessitore. filatore o tintore sviluppo' anche a Legnano i commerci, facendo sorgere I'esigenza di aggiungere ai mercati di bestiame e prodotti agricoli, anche fiere di manufatti e oggetti di artigianato in genere. Alla prima meta del secolo risalgono infatti le pressanti richieste e perorazioni della Municipalita' legnanese, per ottenere il ripristino dell'annuale Fiera dei morti, nel periodo delle festivita' di Ognissanti e della commemorazione dei defunti. Le ostilita' e le pressioni negative a livello politico erano principalmente esercitate dai vicini centri di Saronno, Busto Arsi- zio e Gallarate, le cui autorita' comunali vedevano nella rassegna fieristica di Legnano una temibile concorrenza per la possibile costituzione di un nuovo polo di attrazione commerciale, proprio in un comune che dimostrava intraprendenza e laboriosita'. Legnano infine ebbe partita vinta nel 1806. Un altro segno dei riconoscimenti ufficiali all'importanza di Legnano in questo periodo fu I'istituzione di una seconda ricevitoria postale autonoma nel territorio di Legnanello, avvenuta nel 1850. La prima era 147 stata aperta in paese nel 1826. Il nuovo ufficio resto' aperto soltanto sei mesi, dall'aprile all'ottobre, in quanto fu meglio organizzato il servizio della regia ricevitoria postale principale, che trovi, sede sull'allora stradone per Legnanello (oggi viale Matteotti), una ubicazione ritenuta idonea per la vicinanza col Sempione, I'arteria lungo la quale si svolgeva il servita da diligenza a cavalli. Tra le altre curiosita' ricavate dal materiale documentaristico dell'archivio comunale, relativo alla prima meta' dell'Ottocento, risulta che le greggi e gli animali domestici erano stati messi in pericolo da un'invasione di feroci lupi che infestavano i boschi, alla periferia del Comune. Pertanto il Sindaco di Legnano. con un avviso in data 27 giugno 1812, chiamo' a raccolta tutti gli abili cacciatori, per organizzare una vasta battuta. Nell'ordinanza si precisava che ai cacciatori sarebbe stata revocata immediatamente la licenza di porto d'armi se non avessero risposto alla precettazione senza un ragionevole motivo. Un'altra preoccupazione delle autorita' fu il proliferare dei figli illegittimi e il governatore di Sua Maesta', conte di Saurau, fece pervenire a tutte le autorita' delle province di Lombardia una circolare datata 8 marzo 1816, nella quale vietava che i figli generati illegittimamente potessero essere adottati dai loro genitori. Il provvedimento fu determinato dal ricorso di un uomo ammogliato che come si legge nella circolare - si era rivolto all'autorita' per essere autorizzato ad adottare due figli generati con altra donna durante I'assenza della propria moglie e battezzati col suo nome. (Arch. com. di Legnano, cart. 50). La salute pubblica, nella prima meta' del secolo, non era sufficientemente tutelata se le statistiche delI'epoca registravano una mortalita' media annuale del 43,67%, con una punta massima del 51.33% tra il 1833 e il 1842. La mortalita' di quel periodo comprese le ben 150 vittime di un'epidemia di colera, registrata nell'estate 1836. Le epidemie ricorsero anche nel 1849 con 25 morti e nel 1854 con 200 morti. Nel 1887 comparve invece. sempre in forma epidemica. il vaiolo, che in due anni fece registrare 186 casi con 22 morti e costo' al Comune la cifra di 30 mila lire, cospicua per quei tempi. Purtroppo I'assistenza sanitaria, non essendovi ancora un ospedale in paese, era assai scarsa e le strutture comunali potevano disporre soltanto di un medico e di un chirurgo (con lo stipendio annuo di 900 e 600 lire rispettivamente) fino al 1860, quando si aggiunse una levatrice condotta. Saranno poi lo sviluppo delle attivita' industriali e il conseguente maggiore benessere della popolazione e le piu' floride condizioni finanziarie del Comune a favorire un'organizzazione sanitaria piu' idonea alle esigenze del paese, per arrivare, nel 1903, alla costruzione del primo padiglione dell'ospedale, 148 grazie alla munificenza di industriali legnanesi. 149 Il Risorgimento Gli anni successivi all'occupazione francese del 1796 furono caratterizzati da grosse difficolta'. Ci furono generali cambiamenti delle strutture politiche, ritocchi e trasformazioni non trascurabili effettuati dalle autorita' austriache, che determinarono un generale senso di incertezza e contraddistinsero il periodo compreso tra la fine del sec. XVIII e il Congresso di Vienna, a causa di una serie di prepotenze militari, di confische di vario genere, di disordine amministrativo (Ciasca R., L 'evoIuzione economica della Lombardia dagli inizi delsec. XIX al 1860, Milano 1923, pp. 346-7) e di insicurezza per le persone di ogni classe sociale e per i loro beni. L'Amministrazione provinciale di Milano concesse sussidi anche ai contadini di Legnano, borgo dalla spiccata tendenza agricola, poiche' l'avvento dell'industria tessile era ancora lontano, ma essi non furono che palliativi inadeguati a compensare i fittavoli dalle sopraffazioni dovute alle violenze compiute dai militari e dai loro comandanti, per i quali era norma comune appropriarsi di carri, bestiame, vettovaglie. Tuttavia il rialzo dei prezzi subito dai generi di prima necessita' non compromise l'apparato agricolo, che riusci' a far fronte alla nuova realta' segnata dalle progressive espropriazioni della proprietà immobiliare appartenente all'autorità religiosa, già in atto Don Giuseppe II. Fu proprio quest'ultimo a dare il suo assenso alla decisione del Kaunitz di ubicare il pellagrosario nell'ex convento di S. Chiara. Il disagio prodotto fu comunque notevole e primi a sentire le conseguenze dei nuovi provvedimenti volti all'applicazione dei principi di liberta', uguaglianza e fratellanza divulgati dalla Rivoluzione francese, nonostante le deroghe concesse in fatto di maggiorascato, primogenitura e fedecommesso, furono i nobili, chiamati a difendere le proprietà fondiarie. Trassero invece vantaggio gli amministratori commercianti, i banchieri che si affacciavano alla ribalta con l'arma della speculazione, sia pur pronti ad indossare le vesti del pioniere per la riattivazione nel campo agricolo, di fronte al ripiegamento nobiliare . Solo quando la direzione dell ' amministrazione pubblica passò nelle mani della magistratura italiana, che potè valersi della solida preparazione di Francesco Melzi d'Eril, a partire dal 1802, incomincò, a serpeggiare la fiducia. Oltre ai diversi provvedimenti che assicuravano la ripresa agricola con la legittimazione concessa ai privati, di proprietà fondiarie 150 già dei religiosi, Legnano deve al Melzi la fondazione dell'Istituto canossiano "Barbara Melzi" ben lieta che il nobile si facesse suo cittadino, dopo aver acquisito edifici e cospicue proprietà a Legnarello. La storia pubblica di Francesco Melzi si intreccia dunque con le vicende della Repubblica Cisalpina e con quelle del Regno napoleonico, in Italia, dopo che il generale Bonaparte ebbe riportato una serie di vittorie sui Piemontesi e sugli Austriaci. Nei territori occupati fu subito istituita la Guardia Nazionale. A Legnano furono arruolati nel terzo battaglione della terza legione, 848 uomini di truppa e 2 ufficiali eletti dal popolo: i tenenti Giuseppe Bossi e Santino Vismara (Archivio Comunale di Legnano, cart. IS). La costituzione della Repubblica Cisalpina divisa in tredici compartimenti con capitale Milano, vide Legnano, sede di cantone, far parte del Distretto di Gallarate, inserito nel Dipartimento dell'Olona. A Legnano si svilupparono, come del resto in tutta la Lombardia, forze contrastanti divise fra i sostenitori del ritorno degli Austriaci e quelli dei Francesi, questi ultimi divisi, a loro volta, fra i moderati (seguaci del conte Melzi), che godevano dell'appoggio del Bonaparte e i giacobini che, malvisti, fornivano uomini alla Legione Lombarda e idee di unità ed indipendenza, sulle colonne di alcuni giornali. Anche a Legnano, e in tutta la Repubblica, furono soppressi alcuni conventi, modificate le imposte e il vincolo matrimoniale mentre il registro di stato civile fu affidato al Comune. Questa situazione però, non durò a lungo, poichè, mentre Napoleone si trovava in Egitto, le forze austrorusse del generale Suvarov sbaragliarono i Francesi a Cassano d'Adda, riconquistando i territori lombardi, cosicchè il 28 aprile 1799 potevano entrare in una Milano precipitosamente abbandonata dai capi del governo cisalpino . I nuovi venuti sciolsero la Guardia Nazionale, ripristinarono la censura sulla stampa, imposero il coprifuoco, proibirono le adunanze politiche e confiscarono i beni degli esponenti della Repubblica (anche quelli legnanesi del Melzi, fuggito in Spagna), mentre torme di contadini, davano la caccia in tutto il Milanese ai repubblicani. Non fu certo per rispondere all'appello inviatogli da Saragozza dal conte Melzi che Napoleone (ormai primo console) rivalicò, le Alpi ed entrò vittorioso in Milano, il 2 Giugno 1800. Il 29 dicembre 1801, il Melzi si recò a Lione con una folta delegazione di Italiani per approvare la Costituzione della Repubblica Italiana, che nacque ufficialmente nel febbraio 1802. Presidente ne era lo stesso 151 Bonaparte, vice presidente Francesco Melzi . Il Melzi comincò, subito ad eliminare ogni residuo focolaio di giacobinismo; nel solo Dipartimento dell'Olona furono cacciati oltre i tre quarti degli impiegati e funzionari dello stato. Fu proprio tra i giacobini fuorilegge che cominciarono a nascere quelle società segrete che tanta parte ebbero poi nel Risorgimento . Il malcontento perb non era solo fra gli Austriacanti e i giacobini. Pessima accoglienza ebbe fra le popolazioni l'istituzione della leva obbligatoria, decisa dal Melzi, che provocò tumulti e fughe in massa, anche se l'arruolamento di decine di migliaia di lombardi (tra quelli in servizio attivo e quelli della riserva) permise la partenza dal territorio della repubblica dei soldati francesi, nient'affatto ben visti dalle popolazioni anche se si presentavano in veste di liberatori. Non si può dire che il periodo della Repubblica e quello immediatamente successivo (quando Napoleone divenne Imperatore dei Francesi e cinse la Corona ferrea di Re d'Italia) sia stato fecondo per il Legnanese, date le spese di guerra e le continue leve di cittadini per l'Armata. Malgrado che giovani generazioni imprenditoriali si affacciassero alla ribalta, favorite dalla vendita dei beni della Chiesa la produzione industriale languiva e la tecnica regrediva. Tra le opere pubbliche più rilevanti di quel periodo va ricordato il Cavo Diotti, un canale artificiale scavato a Legnano nel 1806, che, partendo dall'Olona a Castellanza, manteneva le acque a un livello più alto, per irrigare campi e vigne ubicati in zone elevate di Legnanello e S. Erasmo. Con la campagna di Russia iniziò il declino dell'astro napoleonico e quindi la fine del Regno d'Italia. Il Melzi fu tra i principali fautori dell'offerta della Corona ad Eugenio Beauharnais ma, quando già il Senato aveva nominato una delegazione incaricata di recarsi a Mantova dal Vicerè, dalle campagne giunsero turbe di contadini (assoldate e sobillate dagli austriacanti) che invasero la sede del Senato e assaltarono le case dei bonapartisti più rappresentativi, fra le quali quella di Milano dei Melzi d'Eril. Tumulti si ebbero un po' dovunque, anche nel Legnanese e a Busto Arsizio; in quest'ultimo Comune la folla, capeggiata da un carrettiere, distrusse le liste della coscrizione militare. Il 30 aprile 1814 le avanguardie austriache del generale Neiperg entrarono in Milano, il 13 maggio il maresciallo Bellegarde prendeva possesso della Lombardia, in nome dell'imperatore Francesco I. Durante la dominazione austriaca si svilupparono le società segrete e si ebbero cospirazioni e moti insurrezionali. A Legnano, come altrove, molti cittadini si resero conto della assoluta necessità di un distacco 152 dall'Austria e del superamento della divisione dell'Italia in tanti stati. Di ciò si ebbe la prova negli episodi del '48, per la attiva partecipazione di legnanesi . Il 3 gennaio di quell'anno a Milano iniziò la protesta, con la guerra del fumo. Nei mesi seguenti non solo l'Italia, ma l'intera Europa (Austria compresa) fù sconvolta da una serie di moti e insurrezioni. Milano insorse il 18 marzo, dando avvio alle epiche cinque giornate e scacciando i soldati del maresciallo Radetzky. Anche i Legnanesi insorsero e costituirono bande improvvisate e con armamento di fortuna. Il 23 marzo Carlo Alberto varcò il Ticino, raccogliendo sotto le sue insegne volontari di tutta l'Italia. Il 12 maggio 1848 ebbero inizio le operazlonl per il plebiscito indetto dal Governo Provvisorio, ai fini dell'annessione immediata della Lombardia al Piemonte. Tali operazioni, a cui il clero rese un segnalato servizio, si conclusero il 29 maggio, giorno sacro alla memoria della battaglia di Legnano. In ogni parrocchia delle otto province allora libere si formarono sezioni elettorali presiedute dal parroco assistito da due commissari scelti tra la popolazione e delegati dall'autorità comunale. Nella casa parrocchiale di Legnano furono allestiti due registri per raccogliere le firme di chi voleva l'annessione immediata e di chi desiderava rinviare ogni decisione alla fine della guerra. Potevano votare solo i maschi che avevano compiuto il 21' anno d'età, mentre gli analfabeti facevano il segno della croce a conferma della loro identità autenticata dai delegati, che pure firmavano ogni pagina dei registri, in analogia a quanto succede oggi. Il risultato generale fu di 561 mila voti per l'annessione immediata e di 681 per il differimento della decisione . Non possiamo dire se e quanti furono i Legnanesi che in seguito combatterono con l'esercito piemontese o con i Cacciatori di Garibaldi, ma sicuramente molti si arruolarono nella Guardia Nazionale e in agosto (dopo la sfortunata battaglia di Custoza del 24 luglio 1848) si opposero con gli altri in armi al rientro degli Austriaci in Milano, combattendo valorosamente a Porta Tosa. Il 30 settembre a Legnano gli Austriaci proclamarono lo stato d'assedio e iniziarono le persecuzioni contro i liberali. Il dottor Saule Banfi, medico comunale, subì l'arresto e poi l'esilio. Molte armi furono sequestrate durante le perquisizioni. Il 1O marzo 1849, in conseguenza delle sommosse dell'anno precedente, Radetzky fece affiggere anche in tutto il Legnanese un proclama col quale invitava i disertori a tornare ai rispettivi reparti, assicurando il perdono se ciò fosse avvenuto entro il 30 aprile (Archivio Comunale di Legnano, cartella 89). 153 Ma, solo dieci giorni dopo, Carlo Alberto varcava per la seconda volta il Ticino. Battuto, dovette prendere la via dell'esilio. Gli anni successivi videro in Lombardia una grande attività cospirativa e fughe di patrioti verso il Piemonte. Nella casa milanese di via Pontaccio della patriota legnanese Ester Martini Cuttica si riunivano i congiurati, capitanati da Piolti de' Bianchi e dal Brizio e autori della rivolta del 6 febbraio 1853. Lo stesso Piolti de' Bianchi rimase nascosto presso i Cuttica, a Legnano, prima di riparare in Piemonte. Il 26 aprile 1859 Camillo Benso di Cavour respinse l'ultimatum austriaco che invitava il Piemonte a disarmare. L'Austria dichiarò così guerra allo Stato sabaudo. Il 4 giugno i Franco-Piemontesi guidati dal generale Mac Mahon sbaragliarono gli Austriaci a Magenta . Medico sul campo di battaglia troviamo, al comando di un reparto sanitario, quel Saule Banfi che era stato esiliato nel 1848. Gli scontri interessarono anche il territorio compreso tra il Ticino e l'Olona a nord di Magenta, dove era dislocata la brigata austriaca del generale Benedeck, che faceva parte del contingente del generale Urban. All'indomani della battaglia di Magenta, il 5 giugno, il generale Urban dispose che la brigata del generale Benedeck lasciasse la posizione di attacco a Busto Garolfo, si recasse a Legnanello via Legnano, si accampasse a Legnanello e occupasse Legna nofronteggiando il Ticino. (L. Giampaolo, vicende varesine del marzo 1849 alla proclamazione del Regno d'Italia e la seconda campagna di Garibaldi nel Varesotto, Varese 1959 p. 427). Il giorno successivo la brigata lasciò Legnano ma, essendosi i Legnanesi dimostrati ostili, il comandante, per evitare disordini e atti di sabotaggio, ritenne opportuno prendere come ostaggio il prevosto di S. Magno, Antonio Ponzoni. Molti Legnanesi si accodarono al reparto gridando: mola, mola! (l'ostaggio). Il prevosto fu rilasciato incolume solo ai confini del territorio comunale. La divisione del generale Urban era la stessa che era stata continuamente battuta dai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Mancano documenti probanti sul numero dei Legnanesi che risposero all'appello lanciato da Garibaldi al primo metter piede sul suolo Lombardo, ma senz'altro si arruolò il legnanese Luigi Fazzini, perchè sappiamo che cadde nella battaglia di S. Fermo ed è quindi da annoverare tra i martiri del Risorgimento. Con l'entrata dei Franco-Piemontesi in Milano e la tremenda giornata di Solferino e S. Martino, la Lombardia si liberò definitivamente della dominazione austriaca. Nel novembre del 1859 apparve sui muri di Legnano un manifesto per la raccolta delle offerte per l'acquisto di un milione di fucili necessari a 154 costituire la Potenza Italiana, una sottoscrizione lanciata su scala nazionale da Giuseppe Garibaldi. (Archivio Comunale di Legnano). L'invito era giunto alla Deputazione Comunale di Legnano tramite la Camera di Commercio di Milano, in quanto era particolarmente rivolto al Ceto Mercantile e Industriale di Legnano perchè è dovere di tutti cooperare al santo scopo, ma è precipuo dovere dei Commercianti e Industriali, ne' quali e' concentrata la ricchezza per la massima parte del paese. Alla sottoscrizione risposero infatti Legnanesi di tutti i ceti, dai grandi industriali agli operai. In due liste di sottoscrittori si notano i nomi di Saule Banfi, del filatore di cotone Eraldo Krumm, uno dei pionieri dell'industria legnanese, di commercianti, osti, prestinai, pellettai, farmacisti, postari. Sono inoltre presenti alunni e alunne delle scuole e gli operai dello stabilimento Cantoni, a dimostrazione che lo spirito risorgimentale non conosceva barriere di classe. Furono raccolte fra i Legnanesi 351 lire e 43 centesimi, una cifra di tutto rispetto, dati i tempi non certo floridi . Non uguale fortuna ebbe due anni dopo la Sottoscrizione volontaria della Spada d'onore, Sciabola e Revolver Carabina e Sussidi per la Guera al Generale Garibaldi. Malgrado il sindaco, avvocato Calini, fosse d'accordo, la Giunta comunale non approvò la proposta, che non fu dunque divulgata fra i cittadini . Il 16 giugno 1862 Garibaldi venne in visita a Legnano, accompagnato dai fidi Menotti, Missori e dai fratelli Benedetto ed Enrico Cairoli, figli di Adelaide, grande amica di Ester Cuttica. Dal balcone di casa Bossi (che sorgeva ove ha oggi sede la Banca di Legnano, all'angolo tra l'attuale corso Garibaldi e via Crispi) Garibaldi lanciò, l'idea di costruire un monumento, a ricordo della vittoria del 1176. L'idea fu raccolta dalla Societa Archeologica Milanese e dai cittadini di Legnano. Fu organizzata una sottoscrizione nazionale per mettere insieme la somma necessaria e furono incaricati l'architetto Achille Sfrontini e lo scultore Egidio Pozzi, il primo di disegnare il basamento e l'altro di fondere la statua di un guerriero. Le cose però andarono per le lunghe, per una serie di polemiche sorte sui giornali e per la volontà dei Milanesi di erigere invece il monumento a Milano, tanto che a pochi giorni dal 29 maggio 1876, settimo centenario, era pronto solo il piedistallo. Utilizzando il bozzetto ed il calco del Pozzi, fu costruito un guerriero di cartapesta verniciata in color bronzo. Sembra che quasi nessuna delle quarantamila persone giunte da tutta l'Italia si fosse accorta della finzione. Alle prime piogge la finta statua si dissolse completamente. Bisognerà aspettare il 29 giugno del 1900, per vedere l'inaugurazione del monumento attuale, opera dello scultore Enrico Butti. 155 Tornando al 1862 due mesi dopo la sua visita legnanese, Garibaldi tentò di dirigersi su Roma, (nel 1860 con i Mille vi era anche il diciottenne Renato Cuttica, figlio dell'eroina), ma il 29 agosto fu ferito all'Aspromonte e i suoi seguaci furono dispersi dall'esercito nazionale. In seguito allo sdegno e all'emozione che questo avvenimento suscitò a Legnano, il Consiglio comunale volle ricordare la visita di Garibaldi decidendo di sostituire con Corsia Garibaldi le vecchie denominazioni di Contrada Maggiore e Contrada S. Domenico, nel tratto in cui era ubicata la casa, dalla quale l'eroe aveva salutato i Legnanesi. Vent'anni dopo su quell'edificio fu murata una lapide che ricordava l'avvenimento. Quando la casa fu demolita la lapide fu portata al Museo Civico ed al suo posto, sul muro della nuova costruzione, è stata poi murata una seconda lapide a cura della Societa Arte e Storia di Legnano e della Banca di Legnano. Il legame di Garibaldi con Legnano durò nel tempo. Nel gennaio 1879, diciassette anni dopo la sua storica visita (anche Mazzini, perseguitato come sempre dalle autorità sabaude, aveva segretamente visitato i mazziniani di Legnano, attratto dal ricordo della battaglia), Garibaldi accettò la presidenza onoraria della Società di Tiro a Segno, appena fondata da Renato Cuttica il quale nel frattempo, dopo aver indossato la camicia rossa anche nel Trentino (1866) e a Mentana (1867), era divenuto un apprezzato politico locale e ingegnere capo del Comune. Garibaldi accettò la carica con una lettera in cui fra l'altro affermava: La carabina persuade piu' delle parole i nemicil della Patria, la quale forse avrà bisogno del vostro forte braccio. Addestratevi e siate degni d'Italia. Queste parole, che riecheggiano quelle con cui Garibaldi aveva lanciato la sottoscrizione per un milione di fucili, chiudono in un certo senso il periodo risorgimentale della nostra città. Sono otto i militari legnanesi iscritti nel registro dei combattenti nelle guerre del Risorgimento conservato al Museo del Risorgimento di Milano. Legnano ebbe anche un caduto tra i partecipanti alla battaglia di S. Fermo, Luigi Fazzini, ma altri ancora, oltre a questi registrati e ufficialmente conosciuti, presero parte alle campagne per l'indipendenza d'Italia, non solo militari ma anche civili che operarono attivamente in appoggio alle forze armate, perchè il Risorgimento fu anche un moto di popolo. Al Museo Civico di Legnano è conservata una divisa di garibaldino, trovata in una vecchia abitazione ed appartenuta ad un legnanese, di cui non si 156 conosce il nome. Ecco l'elenco dei combattenti inseriti nell'albo della gloria al già citato di Milano. Matricola Cognome e nome Campagne Grado 349 Clementi Antonio Pietro di Giulio reggimento granatieri 1866 21658 Glori Giovanni reggimento fanteria 1866 18844 Lupo Gregorio di Antonio reggimento fanteria 1866 17234 Mereghetti Luigi di Carlo reggimento fanteria 1860-61 780 Monticelli Michele di Giuseppe reggimento fanteria 1866 20804 Ranaboldo Giuseppe di Giovanni reggimento fanteria 1866 17185 Vignati Angelo di Antonio reggimento fanteria 1860-61 246 Zerbone Luigi Maria di Alessandro reggimento fanteria 1860-61 157 soldato Museo Corpo 7' soldato 10' soldato 9' soldato 10' caporale 68' soldato 6' soldato 10' soldato 26' Uomini illustri La scelta di alcuni uomini illustri di Legnano, descritti in ordine cronologico, e' volutamente caduta su figure del passato, senza avere la pretesa di essere esaustiva. Sono stati lasciati da parte personaggi che pure hanno dato lustro alla citta' in epoche più vicine, non tanto per la mancanza di prospettiva storica che le vicende della loro esistenza possono avere assunta, quanto per una discreta sensibilità' nei confronti di coloro che furono protagonisti degli ultimi eventi e per il desiderio di non opacizzare il valore di un'azione o la profondità' di un'idea, collo schiumare di note transitorie calate nelle righe più o meno fitte di una pagina. - Le notizie intorno a D. Guilielmus de Legnano, già' abate umiliato di Monte Lupario o Monlue', vicino a Milano e poi di S. Ambrogio sono dedotte dall'epigrafe scolpita sul coperchio della sua arca, nella chiesa di S. Satiro. Il testo riportato dal Puccinelli (Raccolta d'iscrizioni dopo lo zodiaco, cap. XIV, n. 26, Milano 1650) e da esso si può dedurre che l'abate, dai costumi severi, guido', i suoi monaci secondo castità' e onesta': fu doctor legis, costrui' diversi palazzi; orno' decorosamente il chiostro e la chiesa di S. Satiro, a Milano; restauro', diversi edifici religiosi; accumulo', grandi ricchezze docto moderamine, finche' le sue ossa riposarono nell'ottobre 1267. -- Il diritto doveva essere proprio di casa presso la famiglia Legnani se, a travasarlo in prove dignitose, tra i membri del casato, uno dei primi fu Francesco, assunto a fama nel Medioevo, per essere stato uno dei dodici anziani del popolo milanese,. detti della "Provvisione". Le sue qualità di illustre giureconsulto furono sfruttate per l'elaborazione del giuramento che Matteo Visconti pronunzio' nel 1289 "sopra la loggia degli Osii nel broletto nuovo, colle trombe, per giurare il capitanato del popolo": .. . ad bonum tranquillum et pacificum statum populi et communis Mediolani, acomnium amicorum ... vos domine capitanaee jurabitis regere populum Mediolani. Il testo completo del giuramento e' stato riportato da B. Corio (Storia di Milano, vol. I, Milano 1975, p. 646), uno dei primi studiosi di storia milanese, che abito' anche in casa Melzi, a Legnarello (ora corso Sempione, n. 157), in un'ampia abitazione arricchita da colonnati e dipinti dei sec. XV e XVI. L'opera del Corio fu stampata, nel 1503, dagli editori "da Legnano", discendenti da Giovanni, 158 pure famoso doctor utriusque doctrinae. -- Se fra tutte le citta' della terra una nomea universale celebra ed esalta la Lombardia per la fertilità delle sue pianure (De magnalibus Mediolani, introduzione); se fra. le citta' della Lombardia la fama magnifica Milano come la rosa e il giglio tra gli altri fiori, velut rosa vel lilium inter flores, non c'e' motivo per dubitare che, fra tanta eccellenza un posto preminente possa spettare tra gli abitanti, per la sua qualitas, anche a Bonvesin de la Riva, a cui appartengono le lodi sopra indicate. Non possediamo notizie sicure sulla sua giovinezza, ne' sappiamo donde abbia tratto i natali, tanto che alcuni scrittori formulavano l'ipotesi addirittura di una derivazione da Riva di Trento o Riva, sul lago di Lugano, ma e' probabile che Bonvesin sia nato a Milano, intorno al 1230 circa; che abbia fatto l'insegnante di scuola media a Legnano, fino al 1230 circa, come asserisce mons. Paredi nella presentazione del De Magnalibus (Milano MCMLXVII), e in seguito si sia trasferito a Milano, a Porta Ticinese, con la moglie Benedicta (primo testamento), oppure Benghesia o Benghedisia (secondo testamento), morta la quale, sposo' Floramonte senza che l'una o l'altra avesse figli. Quindi, benché' il suo nome fosse spesso preceduto da un fra o frater, era un laico iscritto all'ordine degli Umiliati, come dice l'epitaffio riferito dal Giulini (Op. cit. Vol IV, pag. 742): Hic iacet F. Bonvicinus de ripa de ordine tertio humiliatorum doctor in grammatica qui constrixit hospitale de Legniano... Tale iscrizione scolpita sulla tomba, si trovava nel chiostro della chiesa di San Francesco a Milano. Sempre secondo l'epigrafe, Bonvesin, se non fondo' personalmente l'ospedale di Sant'Erasmo a Legnano, ne fu certamente un largo benefattore. Sia nel testamento del 1304 che in quello del 1313, si parlava infatti di un affitto che i frati di detto nosocomio erano tenuti a pagargli, pur potendo fruire di un carro di vino quale ricompensa, per suffragare i defunti della famiglia. Nonostante la dichiarata appartenenza all'ordine degli Umiliati, come dice l'epitaffio, notevoli furono gli sforzi fatti da A. Ratti, il futuro Pio XI, per quanto non confortati da risultati definitivi, per strappare il nostro autore da un ordine legato da interessi cospicui all'arte della lana e dall'archibugiata facile diretta a San Carlo Borromeo, per assegnarlo all'ordine dei Francescani, in un momento di soprassalto contro l'ortodossia. Dotato di largo merito, Bonvesin ne distribui' gran parte di donazioni e in affari con amministrazioni pie ed ospedali. Dal 1296 fu iscritto all'ordine di San Giovanni di Gerusalemme e, a partire dal 1303, fu ispettore dell'ospedale Nuovo di donna Bona. 159 Fra le sue opere poetiche si distinguono, sul piano artistico, per vivacità e schiettezza, i Contrasti. Non meno interessanti, per originalità del tema, furono anche i poemetti volgari, in alcuni dei quali trattò leggende cristiane e discettò sulle più sottili raffinatezze del desco (Cinquanta cortesie da desco), in un'opera composta durante la permanenza a Legnano, come fu ricordato dal primo verso: Fra Bonvesin dar Riva che sta in borgo Legnian. Accanto a questo codice di buona creanza, capace di stuzzicare la curiosità del lettore con la testimonianza conviviale dei nostri antenati, non stona il Libro delle tre scritture, un'opera poetica che evidenzia le miserie dell'uomo, dalla nascita fino alla redenzione operata da Cristo. L'intento di Bonvesin non era però tanto quello di effettuare considerazioni astratte, quanto di narrare, come fece nel Volgare delle Elemosine o meglio ancora nelle opere in latino come il De vita scholastica, assunta recentemente agli onori dell'inclusione nella collezione germanica Teubner, mentre minore fortuna ebbe il De menzsibus. Il trattato più noto e in latino, e' naturalmente il De Magnalibus urbis Mediolani, a cui l'autore attese con anni di paziente ricerca, per offrire ai lettori un quadro esauriente di Milano e del territorio, com'era ai suoi tempi, attraverso la celebrazione dei fasti civili e religiosi della citta, diffondendosi in particolari preziosi sulla sua consistenza topografica, demografica, edilizia. Ultimamente la critica sembra aver concentrato l'attenzione sugli aspetti linguistici della sua produzione e in particolare sul De cruce, mimetizzato tra i tesori della Biblioteca Ambrosiana, ma divulgato dall'editore Scheiwiller, sapientemente allineato lungo il filo della linea lombarda al di la' "delle paratie dei generi" (Contini, Novita' dell'antico Bonvesin, in Corriere della Sera, 16 dicembre 1979). -- Si dice che il Medioevo rinascente, con le strutture della vita biologica, non meno che della sua vita mentale, abbia perso qualcuno dei colori troppo vividi e brillanti, di cui era stato ornato. Dobbiamo forse pensare per questo che il quadro sia stato troppo oscurato, fino ad opporre a una realistica visione le immagini più' cupe evocate un tempo, tratte da alcune grandi affermazioni nel campo del diritto, della religione, della vita spirituale, delle arti primitive? A mitigare tale impressione sembra che un contributo notevole venga dal giurista Giovanni da Legnano. Di mente spietatamente critica, in grado di ricondurre alle giuste proporzioni le diverse proposizioni culturali, capace di spaccare in due la parola per estrapolarne il valore recondito, lo scrittore medioevale si sforzo' di individuare, nei loro rispettivi rapporti, le varie forme dell'attività' umana. 160 Di fronte alle mutilazioni che l'insegnamento scolastico fece della storia, della storia dell'arte, dell'archeologia, della storia della letteratura (o meglio delle letterature, nel mondo del bilinguismo, in cui fiorirono, accanto al latino dei chierici le lingue volgari), della storia del diritto (o meglio sarebbe dire dei due diritti, perché il diritto canonico si andava organizzando di fronte all'insorgente diritto romano), Giovanni da Legnano fece suo quello che la civiltà medioevale avverti' più di ogni altra: la passione della globalità. La data e il luogo della nascita di Giovanni, discendente dalla famiglia Oldrendi, che divenne poi Legnani, per i possedimenti in quel di Legnano, Legnarello e Cerro, sono rimasti finora avvolti nell'ombra, anche se non si può escludere l'origine legnanese o perlomeno milanese. Tale tesi e' confortata dal testamento dello studioso. In esso si dichiarava che Giovanni era il figlio del Conte de Oldrendis de Legnano Mediolanensis diocesis e tra l'altro si precisava disposizioni a favore della chiesetta di San martino a Legnano, mentre si disponevano provvedimenti a favore di studenti originari di Legnano, che volessero frequentare lo studio bolognese, nel cui spirito testamentario, nel 1983, in occasione del sesto centenario della morte dell'autore, fu costituita, a Legnano, la "Fondazione Famiglia Legnanese", per l'erogazione di borse di studio. Dell'origine sopra accennata fanno fede inoltre i trattati sull'interdetto ecclesiastico, sulle ore canoniche, sulla censura, sulla pluralità dei benefici, sulla guerra, che indicano come autore Iohannes de Lignano Mediolanensis. Scarse sono le notizie sul periodo trascorso, nei primi anno del 1300, a Milano, dall'autore, il cui nome era inserito nello "statuto della Scuola di San Giovanni sul Muro", del 1337. Oscuri sono pure i motivi che indussero lo scrittore ad allontanarsi da Milano, per stabilirsi a Bologna. Lì il "Da Legnano", esercitò un'intensa attività didattica e di scrittore, svolgendo anche la professione di avvocato, documentata da numerosi contratti e Consilia. Particolarmente impegnativa fu pure la sua attività politica esplicata come ambasciatore in delicate missioni presso il Papato e, come legato pontificio, durante lo scisma d'Occidente, a cui dedico', una Epistula ad Cardinalem Petrum de Luna e due trattati di Urbano VI. Si può' dire, anche se ha dato il meglio di se stesso nel campo del diritto civile e canonico, che non ci sia stata branca dello scibile, nella quale l'autore non abbia sviluppato le straordinarie doti del suo eclettismo, come @ sintetizzato nell'epigrafe posta sul suo sarcofago, dalla filosofia (de amicitia) all'astronomia, dalla medicina alla matematica, e perfino all'astrologia, perché era convinto che l'uomo di legge, se fosse stato 161 esperto di scienza, avrebbe soddisfatto esperienze anche di ordine pratico e non solamente accademico (Cfr. De cometa, La figura della grande costellazione, Somnium, Proemio al De Bello, De adventu Christi, De iuribus Ecclesiae). Se il Legnani si accinse a predire l'avvenire, lo fece però solo per le eclissi e pochi altri fenomeni celesti, senza lasciarsi travolgere dalla follia astrologica. Infatti per la dottrina rigorosa, per le idee al servizio della prassi, per il procedimento comparativo dialettico, con cui applicava le regole del diritto civile a quello pubblico e rifletteva l'autorità del Digesto nelle questioni politiche, informo' a Bologna la pubblicistica fino al termine del sec. XIV. Non è necessario saccheggiare il repertorio della retorica, cui fecero largo ricorso i suoi ammiratori, per mettere maggiormente a fuoco la sua personalità@. Dei meriti si resero particolarmente conto i suoi concittadini, che lo crearono cittadino onorario e gli conferirono la nomina di Vicario equivalente a quella di Signore di Bologna. Anche quando rassegnò@, tale carica, Giovanni da Legnano fu sempre tra i primi cittadini, come componente del Consiglio dei Quattrocento, anche se non destinato a coprire a lungo tale compito, perché morì il 16 febbraio 1383, probabilmente colpito dalla peste. Gli furono decretate solenni esequie e il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Domenico. Il mausoleo a lui dedicato, ancor visibile nel Museo Civico di Bologna, rappresenta uno dei più pregevoli monumenti scultorei dell'epoca. Nel dare un giudizio sull'opera di Giovanni da Legnano, sembra non gli si possa negare animosità nell'affrontare i problemi terreni, energia nel tentativo di arrivare a soluzioni concrete. Può sembrare utopistica la sua tesi sul principato universale della Chiesa, proprio alla vigilia dello scoppio dello scisma, ma può essere intesa come espressione di un desiderio sentito, volto alla costruzione di un ordine basato sulla pacifica convivenza, di fronte a un impero in grave crisi. Se in sede critica e' naturale una certa diffidenza verso la sua tecnica espressiva, fatta spesso di luoghi comuni, di forme usuali, di ripetizioni, dobbiamo pero' vederla come qualche cosa di posteriore rispetto alla varietà della sua concretezza, all'interiorità della sua anima. Al di là del panorama esauriente dell'impostazione dottrinale conta soprattutto l'introspezione del concetto di libertà@, nel tentativo di adattamento alle strutture di un particolare periodo; conta l'equilibrio di una certa volontà terapeutica, congiunto a un pragmatismo non indifferente, che parte da geniali proposizioni scientifiche, per tradurle in principi animatori di esperienze reali. 162 -- Non si sa quanto valga l'incontro di circostanze all'inizio di grandi destini o generazioni blasonate, ma é certo che la fortuna ama avvolgere le proprie sinuosità attorno a vitalità dirompenti, quali furono i "Vincemala", anche se il lettore smaliziato può, guardare con sospetto a un'apologia del genere. Si sa ad ogni modo che tutte le famiglie e non solo le più nobili hanno conosciuto momenti inquietanti, magneticamente occulti o stravaganti, come hanno vissuto momenti di splendore segnati dalla rabdomantica capacita di cogliere dal più minuto segnale messaggi di eventi favorevoli. A voler dare significato alle parole, concorse, in tal senso, la figura di Gian Rodolfo Vismara. Discendente da antica famiglia compresa nella "Matricola" dei nobili milanesi rogata nel 1377, trascorse la sua esistenza in parte a Milano, nella parrocchia di S. Martino a Porta Nuova e in parte a Legnano, dove i suoi antenati possedevano un mulino già nel 1043. Nelle grazie dei Signori di Milano, la sua famiglia ricambiò la protezione con la donazione di terreni usati sia per la costruzione di un auditorium nella zona centrale di Milano, divenuto poi chiesa di S. Maria del Giardino; sia per l'erezione del convento servita di S. Maria del Paradiso. A tale scopo poté usufruire di una concessione ducale rilasciata il 19 marzo 1493, perché' potesse sfruttare una certa quantità d'acqua del fiume Olona, a favore dei monasteri in costruzione. A Legnano il Vismara sfrutto' la vistosa eredita' paterna per assistere generosamente l'ospedale di S. Erasmo, di cui fu direttore grazie alla sua qualità di medico, ma senza retribuzione. Fondi, inoltre un convento di Francescani Minori detto di "S. Maria degli Angeli" sito in quello che attualmente é corso Garibaldi, non lontano dal maniero oggi sede del Museo Civico ed eresse il monastero delle Clarisse di S.Chiara, verso l'odierno corso Italia. Tale monastero fu soppresso nel 1782 dall'imperatore Giuseppe II. -- Maestro di grammatica a Legnano, nel 1518, pare che qui sia stato sepolto. I suoi biografi amano ricordarlo come autore di un distico posto sopra il portale della canonica di Legnano: Pabula, vina, ceres, rivorum copia templum Legnanum illustrant multaque nobilitas. 1518 che esalta il carattere agricolo della città favorita dall'abbondanza dei corsi d'acqua e dalla presenza di numerose famiglie nobili. Gli si attribuiscono però, anche due versi incisi sull'alto della porta della chiesa di S. Maria in Busto Arsizio: Virgo, populus qui hanc lustro tibi condidit aedem fac vigeat felix totaque posteritas. 163 Non é certa la notizia, in base alla quale sarebbe stato il capostipite della famiglia Bossi. -- La famiglia Cornaggia ebbe una notevole parte nella vita pubblica legnanese. Un Carlo Cornaggia si trova tra i firmatari dell'atto del 1649 col quale i cittadini legnanesi provvidero a riscattarsi dal feudo. Un altro marchese Cornaggia figura nel verbale del "concordato generale" del 28 novembre 1760, conservato nell'archivio storico comunale. Successivamente i marchesi Cornaggia risultano proprietari del Castello Visconteo di Legnano, trasformato in vasta proprietà agricola, che già comprendeva 18 mulini lungo l'Olona in gran parte acquistata dall'Amministrazione comunale insieme al castello. Gabriele dei Marchesi Cornaggia-Medici, nato a Milano nel 1856 ed ivi morto nel 1908, fece parte per ben 23 anni del consiglio comunale di Legnano, e per 15 della giunta municipale; fu uno dei membri più attivi e ascoltati per competenza amministrativa e serenità di giudizio. - Milano 1753 - Bellagio 1816) - Discendente di una antica famiglia spagnola, fu uomo politico e attivo nel periodo della repubblica Cisalpina e nel primo periodo del Regno d'Italia. Dopo la conquista napoleonica della Lombardia, Milano divenne il più' attivo centro del movimento giacobino italiano, al quale aderirono patrioti delle più' svariate classi sociali, oltre ad eminenti esponenti della nobiltà di quei tempi. Napoleone, preoccupato principalmente che il governo della città non cadesse nelle mani della parte più oltranzista del giacobismo, vi immise alcuni uomini moderati, che garantissero l'esecuzione delle sue volontà, come finanzieri, grossi proprietari terrieri e nobili milanesi. Tra questi il Conte Francesco Melzi d'Eril, che era considerato il capo dei moderati. Lo stesso Napoleone designò tra i redattori della Costituzione della Repubblica Cisalpina con Greppi, Taverna, Triulzi, anche i Melzi che divenne, nel 1802, vice presidente della stessa Repubblica. Francesco Melzi d'Eril, che aveva sposato Caterina Modignani, rafforzo' il possesso dei beni terrieri, case e palazzi patrizi a Legnano e, primo del suo casato, divenne così cittadino di Legnano (Luigi sartori, l'Opera Barbara Melzi, Legnano 1961). Allo scoppio nel marzo 1799, della nuova guerra tra Francia e Austria si ebbero violenti moti antirepubblicani anche in Lombardia e nei tre mesi del riconquistato dominio degli austriaci, molti beni del Melzi d'Eril furono confiscati e lo stesso fu giudicato in contumacia, essendosi rifugiato a Saragozza. Al ritorno dei Francesi in Lombardia, il Melzi riebbe i suoi poteri e si dedicò, alla formazione di un esercito nazionale come garante dell'indipendenza. 164 Fondò col napoletano Vincenzo Cuoco anche "Il giornale italiano", al quale collaborarono intellettuali dell'epoca come Monti, Foscolo, Romagnosi e Berchet. La rivista ebbe solo tre anni di vita, anche se era diffusa in tutta Italia presso i ceti colti. Alla caduta di Napoleone e all'avvento del Regno d'Italia il Melzi d'Eril fu nominato cancelliere guardasigilli della corona. Una discendente di questo personaggio, figlia dell'omonimo conte Francesco, coniugato ad Isabella Salazar, fu Barbara Melzi, fondatrice dell'istituto ancor oggi esistente. (1825-1899) Figlia del conte Francesco Melzi d'Eril, nobile di antica casata, e di Isabella Salazar, entrò come novizia canossiana nel convento di S. Michele alla Chiusa a Milano, ma, nel 1848, prima dell'arrivo a Milano dell'esercito piemontese in ritirata dopo Custoza, le novizie, e con esse Barbara, furono rinviate alle rispettive famiglie. La sua vocazione religiosa era molto solida e Barbara Melzi che, nel 1849, aveva preso i voti di professione religiosa, cominciò a svolgere a Legnano la sua opera di carità e di insegnamento. Il padre, conte Francesco, per tenere la figlia a lui vicina, decise di realizzare una fondazione a Legnanello, dove donna Barbara potesse proseguire la sua vocazione di educatrice in conformità alle regole delle Canossiane di via Chiusa. Ottenuta l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, il conte Melzi, il 1 agosto 1853, fece atto di donazione di tutti i suoi beni a favore della casa canossiana di Milano, che già aveva aperto a Legnanello una filiale, a condizione che venisse resa indipendente con l'istituzione dell'Opera Melzi. Il 3 aprile 1854, l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Carlo dei conti Romilli concesse la inamovibilità dalla casa di Legnano di Donna Barbara e la indipendenza della casa stessa da quella di Milano e di altre fuori Milano. L'Opera Melzi si estese poi da Legnarello a Tradate, dove il conte Melzi aveva lasciato altri beni alla figlia. L'Istituto dell'Opera Barbara Melzi si ingrandì', sviluppando l'insegnamento privato femminile, con particolare attenzione per il magistero elementare e d'asilo . Morta la Melzi il 13 dicembre 1899, l'eredità spirituale e materiale passò a Madre Gaetana Adamoli e, alla morte di questa (1902), il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, nominò Madre Giulia Amigazzi nuova superiora, alla quale, nel 1942, successe Madre Giuditta Baio, attiva e fedele continuatrice dell'Opera Melzi. Barbara Melzi, dotata di profonda cultura umanistica, ha lasciato oltre a memorie autografe, delicate poesie, velate da profonda malinconia. 165 La stessa arricchì anche la preziosa raccolta paterna di quadri, edizioni rare, manoscritti, monete e medaglie . - Nato nel 1818, si distinse in tre diversi settori della vita cittadina. Pittore acquarellista ha lasciato una serie di pregevoli opere, in parte conservate al Museo Civico, che raffigura angoli della vecchia Legnano o aspetti di vita locale, tratteggiate con uno stile ed un gusto tipico degli impressionisti lombardi dell'Ottocento, con qualche elemento di sapore "naif", che li rende ancor più preziosi. Fu anche patriota, partecipando con Ester Martini Cuttica e Saule Banfi ai moti del 1848 e riuscì a scampare la prigionia, in quanto considerato già allora benemerito dell'istruzione pubblica. Era infatti uno dei più noti insegnanti e storiografo. Morì nel 1902 e in sua memoria venne murata una lapide nella casa natia situata all'inizio di via Milano, angolo corso Sempione. -- Nell'albo del Risorgimento italiano anche Legnano ha iscritto nomi di rilievo. Per non parlare di Saule Banfi fervente patriota imprigionato nel 1848 dall'Austria e che, liberato, continuò, a prodigarsi, senza lasciarsi sorprendere, tanto da offrire il suo contributo, come chirurgo, sul campo di battaglia di Magenta, un posto di spicco e occupato da una straordinaria figura di donna: Ester Martini Cuttica, animosa cospiratrice legata da vincoli di amicizia a Mazzini, a Maurizio Chiesa, ai Cairoli. Discesa da antico e nobile casato, ella andò sposa a Rinaldo Cuttica pure originario di illustre famiglia, per quanto non dotata di grandi risorse economiche. Di squisita sensibilità, quale emerge dalle sue lettere, Ester Cuttica, fu madre esemplare, donna energica ed intraprendente, che non si limiò@ ad affidare i suoi sentimenti patriottici a pagine dalla sintassi contorta, ma non esitò, a rischiare la rispettabilità e la libertà personale, per la difesa quegli ideali risorgimentali. Assidua collaboratrice dei patrioti lombardi, quando Mazzini, tramite Piolti de Bianchi, al quale era ta affidata la direzione del partito a Milano, e tramite Brizio, che aveva assunto il comando dele operazioni militari, sperando nella ribellione dei soldati ungheresi, che l'Austria aveva arruolato di forza, organizzò, un colpo di mano a Milano, Ester Cuttica non esitò ad aprire le porte della sua dimora di via Pontaccio ai cospiratori che volevano dare una fiera risposta alle forche austriache di Belfiore. Per quanto il piano di insurrezione preparato dal Brizio contasse su 5000 uomini, il 6 febbraio 1853, solo poche centinaia di patrioti risposero ai segnali convenuti, sicchè l'Austria ne ebbe facilmente ragione, soffocando il tentativo con metodi di terrore. Fu allora che Ester Cuttica si 166 adoperò per condurre personalmente fuori Milano il Brizio, nascondendolo nei suoi poderi di Legnano e fargli passare poi il Ticino. Nè minore fu l'impegno dei coniugi Cuttica per la fuga del Piolti de Bianchi. Scoperta la trama, l'Austria arrestò la donna come responsabile del colpo e l'avviò alla fortezza di Mantova, dove la tenne segregata per quattro anni, senza però che i suoi carcerieri riuscissero a strapparle i nomi dei congiurati, nonostante le sofferenze, le torture e la minaccia di uccisione dei suoi figli amnistiata nel 1857, la gentildonna, sostenuti efficacemente quanti ritornavano dalle prigioni alle loro case, s'adoperò con un gesto di delicata galanteria per un'offerta di cento anelli raccolti tra le donne italiane, a Garibaldi, come segno di stima verso l'uomo, che tanto aveva contribuito al "patrio riscatto" ed era tutt'altro che insenibile ai "voti di emancipazione della donna" (Carteggio Cuttica - 109-160). Morì a Legnano nel 1898. (1857 1931) -- Fu insegnante d'italiano nelle scuole superiori, scittore di opere varie. Oltre a scritti inediti, il Colombo lasciò una fantasia medioevale in dieci canti, "Il Cavaliere della morte", stampata nel 1900 in occasione dell'inaugurazione del monumento dello scultore Enrico Butti e dedicata appunto al guerriero della battaglia. Lo stesso autore, nella prefazione, avverte che ha inteso raffigurare il guerriero morente come il simbolo, la personificazione del sacrificio. Giacobbe Colombo lasciò alla Parrocchia del Santo Redentore di Legnanello una villa con terreno annesso, utilizzata attualmente dall'oratorio maschile e de nominata appunto "Casa Giacobbe". -- La musica ha avuto a Legnano molti cultori fin dal tempo in cui le famiglie patrizie amavano arricchire le lunghe serate dei salotti con concerti vocali e strumentali, in alternanza alle feste sontuose che rompevano la monotonia di una vita mondana molto limitata, quale poteva offrire la provincia o un borgo come Legnano, meta, nell'Ottocento, di villeggiature estive o fine settimane dedicati alla caccia. La tradizione musicale, è sempre rimasta viva anche nelle giovani generazioni, alimentata dalla tenacia di dirigenti del complesso bandistico cittadino, fondato nel 1880, da altri sodalizi come la "Gioventù Musicale" o da singoli insegnanti, cimentatisi come compositori. In questo campo c'è un personaggio, legnanese di adozione, che ha dato lustro, con la sua arte, alla città, per avervi trascorso gran parte della sua vita, unendo all'insegnamento elementare anche l'attività di direttore d'orchestra e compositore. Nato ad Enna da una famiglia di musicisti, il 22 agosto 1874 diventò apprezzato violinista e buon esecutore di 167 trombone tenore. Ben presto si fece notare anche come compositore di brani vari, tra cui alcune romanze che divennero popolari nella città siciliana. Non era però, la musica che gli poteva riservare solidità economica e quindi, conseguito il diploma di insegnante elementare, per terminare gli studi al Conservatorio, iniziò, la sua peregrinazione che lo condusse a Legnano, avendo vinto un concorso per un posto in una scuola. Qui proseguì la sua attività di compositore, affiancandosi a quel "bouquet" di maestri italiani che tra l'Ottocento e il Novecento arricchirono pagine strumentali e sinfoniche della musica italiana. Tra i suoi capolavori due sinfonie, Quadri di vita veneziana, l'opera Zellia brani di musica sacra e da camera. A Legnano fondò nel 1931, un liceo musicale con l'aiuto finanziario degli industriali locali, organizzando anche alcuni riusciti spettacoli musicali al Teatro Legnano. Fu molto apprezzato come direttore d'orchestra, recandosi anche all'estero in tale veste. Morì a Legnano il 31 luglio 1932 per una grave malattia, ad appena 58 anni, e nel fulgore della sua maturità artistica. -- Nato a Intra nel 1883, dopo aver studiato in Svizzera trovò lavoro presso la Franco Tosi viaggiando per alcuni anni quotidianamente tra Milano e Legnano. Qui si trasferì colla famiglia nel 1920 in via Cappellini, allora periferia estrema del paese. Per conto della ditta si recò, più volte in Egitto e Medio Oriente, dov'ebbe modo di conoscere gli scavi archeologici che stavano riportando alla luce i documenti preziosi e grandiosi di quelle antiche civiltà a cui la nostra stessa vita civile discende. Il fascino di queste ricerche lasciò in lui tale impronta e tanto fervore che, tornato a Legnano, si mise frugare nel nostro terreno, che mai non conobbe piramidi, nè faraoni nè le origini della scrittura e della scienza e che tuttavia racchiudeva (o ancora racchiude?) le testimonianze di un passato molto lontano e poi noi tanto prezioso. La passione, la pazienza e la perizia del Sutermeister hanno estratto da questo suolo tanti documenti che amplificarono l'arco dei secoli in cui sono rintracciabili le vicende della nostra storia. Prima di lui solo un paio di Legnanesi, quali furono Aristide Mantegazza e il maestro Giuseppe Pirovano, avevano dedicato la loro attenzione ai reperti che la zappa o l'aratro avevano estratto da sotto l'humus delle campagne legnanesi. Sutermeister, datosi con passione alla ricerca archeologica, sorvegliò scrupolosamente tutte le operazioni di scavo promosse dallo sviluppo edilizio del paese, intervenendo al primo sentore di un qualsiasi ritrovamento e sottopose a una metodica esplorazione tutta la superficie cittadina, portando alla luce 168 e raccogliendo amorosamente una quantità di reperti che oggi arricchiscono il museo civico a lui intitolato. Contemporaneamente andava affinando la sua preparazione storica, garantendosi la competenza scientifica necessaria ai suoi compiti. La sua scoperta più prestigiosa è legata alla necropoli di Canegrate che richiamò l'attenzione dei maggiori studiosi ed oggi è presente in tutti i manuali di preistoria come documento di una cultura particolare anteriore a quella di Golasecca. A lui dobbiamo la fondazione, la direzione e l'arricchimento del Museo. Ma anche la conoscenza dei periodi meno antichi della storia di Legnano ricevette da lui un largo impulso. I suoi studi sul Castello Visconteo, sulle fortificazioni ad esso anteriori sui conventi di Legnano e sulle vicende genealogiche delle famiglie più note sono consegnati nei fascicoli delle "Memorie, della Società Arte e Storia" da lui fondata e praticamente diretta fino alla morte avvenuta il 21 novembre 1966. - Le prime fabbriche a carattere industriale succedute alle manifatture domestiche, che operavano fin dal XVIII secolo nel territorio di Legnano, sorsero col 1821. In ordine cronologico il primato si deve allo svizzero CARLO MARTIN, che in quell'anno realizzò il primo stabilimento per la filatura del cotone. Seguì ERALDO KRUMM di Wittemberg (Germania), che aprì la seconda filatura di cotone. Nel 1828 sorse il terzo stabilimento tessile fondato dalla ditta Borgomaneri, Sperati e Bazzoni, passato poi in proprietà a COSTANZO CANTONI. Lo sviluppo però di quella che diventerà una delle piIù grosse manifatture tessili dell'Italia Settentrionale, il Cotonificio Cantoni, si deve a EUGENIO CANTONI, che assunse la direzione dell'azienda nel 1850, conducendola in breve tempo ad alto livello. Nel 1857 infatti l'intera maestranza degli opifici di Legnano e Castellanza si componeva di 464 operaI e in particolare lo stabilimento di Legnano, con 204 dipendenti, aveva una filatura, una tessitura, una tintoria e un reparto finissaggio. In quello stesso anno Eugenio Cantoni portò all'altare la figlia del segretario particolare di Gabinetto dell'imperatore d'Austria, la baronessina Amalia Genotte von Merkenfeld de Sauvignj. Questo matrimonio diede lustro ai Cantoni, ponendo Eugenio in una posizione di evidenza e prestigio nella provincia lombarda. Dal matrimonio nacquero tre figli, Arturo, che scelse la carriera militare; Costanzo, che prese il nome del nonno, e Giulia che si appassionò alla musica, divenendo compositrice. In riconoscimento delle sue benemerenze, con decreto reale del 1871, il Cantoni fu nominato barone. Dal 1864 egli fu comandante della Guardia Nazionale di 169 Gallarate col grado di maggiore e in seguito consigliere dell'ordine dell'imperatore Francesco Giuseppe, per essere quindi nominato console generale d'Austria. Morì il 15 marzo 1888. Anche GIULIO THOMAS, nato a Milano nel 1851 da famiglia oriunda francese, merita di essere ricordato tra i pionieri dell'industria cotoniera. Il padre Achille impiantò a Legnano verso il 1870 un'industria per la tessitura del cotone, in località "Gabinella", e fu tra i primi ad applicare i telai meccanici e a utilizzare la forza a vapore per sopperire a quella idraulica tratta dalle acque dell'Olona. Si distinse pure come amministratore pubblico, disimpegnando vari incarichi. Promosse la fondazione dell'asilo infantile e della Società Operaia. La morte troncò la sua promettente esistenza a soli 44 anni. Nel 1842 il dottor G. DONATO TRAVELLI aprì il quinto stabilimento di filatura di cotone e, nel 1879, i fratelli ENEA e FEBO BANFI, figli del benemerito patriota Saule Banfi, fondarono l'azienda che in seguito ad altri passaggi, divenne Cotonificio De Angeli Frua. In precedenza, e cioè nel 1871, i fratelli DELL'ACQUA, in unione ad altri, fondarono l'omonimo cotonificio, che ebbe una considerevole importanza per l'economia cittadina, prima del tracollo negli anni Sessanta. RODOLFO BERNOCCHI, nel 1873 impiantò, un piccolo stabilimento di lavanderia e candeggio di tessuti in cotone, dal quale si svilupparono poi, per iniziativa dei figli ANTONIO e ANDREA BERNOCCHI i vasti stabilimenti di filatura e tessitura, con sede a Legnano e in altre località. Dei Bernocchi restano a Legnano alcune opere sociali di rilievo, la maggiore delle quali l'Istituto Tecnico e Professionale, che prende appunto il nome dal fondatore Antonio Bernocchi, Senatore del regno. L'ing. CARLO JUCKER, nato il 23 maggio 1878 a Reutte in Tirolo, da una famiglia svizzera, che già aveva avuto pionieri nell'industria cotoniera, rivestì nella storia del Cotonificio Cantoni un ruolo notevole come dirigente e tecnico di valore. A lui si deve lo sviluppo degli stabilimenti di Legnano, Castellanza e Bellano negli anni a cavaliere tra il XIX e il XX secolo. Nel 1900 ricevette dall'allora presidente del Cotonificio ing. Cesare Saldini la direzione della filatura di Castellanza e, sette anni dopo, fu incaricato di riorganizzare lo stabilimento d: Legnano, per farne un opificio a livello europeo . Fu il primo ad usare nello stabilimento "coloranti diretti" nel reparto tintoria, nel 1916, in un periodo, in cui la produzione di tessuti di cotone era molto richiesta. Al termine della prima guerra mondiale Carlo Jucker si dedicò ad opere sociali e alla realizzazione di case per lavoratori. Aiutò la costituzione della sezione legnanese dell'Associazione Mutilati e Invalidi 170 di Guerra e di un "Centro sperimentale di rieducazione per mutilati e invalidi"; fondò, un asilo infantile e il Sanatorio "Regina Elena", inaugurato, nel 1924, dalla Regina Margherita. Fece costruire la villa nei pressi del reparto tintoria, per farne la sua dimora ed essere più vicino allo stabilimento e seguirne in modo attivo la produzione. Per interessamento di uno dei due figli, il dott. Riccardo Jucker, degno continuatore delle opere paterne, filantropiche e sociali, questa villa potè essere acquistata dalla Famiglia Legnanese, per divenire sede del sodalizio. Prima di chiudere la sua intensa vita di lavoro, il 4 ottobre 1957, l'ing. Carlo Jucker riuscì a veder realizzata l'ultima sua coraggiosa opera, la modernissima tessitura in località "Olmina". Da una piccola officina meccanica con annessa fonderia, nel 1878, nacque un'azienda denominata "Cantoni, Krumm & C", con lo scopo di eseguire riparazioni di macchine installate nelle numerose industrie, specie tessili, sorte nella zona. Nel 1876 fu chiamato a dirigere l'officina l'ing. FRANCO TOSI il quale, con felice intuizione, si volse allo studio e costruzione di motrici alternate e a vapore, che in pochi anni si affermarono sul mercato in Italia e all'estero. Divenuto socio dell'azienda, che mutò, la denominazione in "Officina Franco Tosi & C." nel 1894, l'ing. Tosi divenne esclusivo proprietario e l'officina assunse la nuova ragione sociale di "Franco Tosi". L'attività di questo pioniere dell'industria legnanese fu breve, ma intensa come la sua vita. Alle sue doti di industriale e cittadino, aggiunse l'opera di filantropo e di realizzatore di una serie di istituzioni per il tempo libero, di mutua assistenza, previdenza e istruzione professionale. Modesto e cortese nella vita e con i dipendenti, chiuse tragicamente la sua esistenza, il 25 novembre 1898, nel fiore degli anni, vittima dell'ira sanguinaria di uno sciagurato, del quale era anche stato benefattore. Tra le varie industrie di Legnano una parte di rilievo ebbero, nel primo Novecento, le Officine Fial (Fabbrica Italiana Automobili Legnano), sorte nel 1902 per iniziativa dei fratelli GUGLIELMO, PAOLO e CARLO GHIOLDI, che già si dedicavano da alcuni anni alla produzione artigianale di motori agricoli, industriali e di motociclette. I Ghioldi, specie per l'intrapredenza e la genialità di Guglielmo, si distinsero nella creazione di originali apparecchiature meccaniche che restano una testimonianza dell'epoca "eroica" del settore motoristico italiano, tra queste una delle trebbiatrici più perfezionate e il primo triciclo per la nettezza urbana con un sistema molto pratico e razionale di sollevamento della spazzatura delle strade. Il prodotto dei fratelli Ghioldi che ebbe maggiore successo fu la vettura "Legnano A", realizzata nel 1905. Dotata di motore bicilindrico di 1135 cc. aveva l'albero di trasmissione cardanica, anzichè a catena e 171 sviluppava una potenza di otto cavalli a 1100 giri, filando ad una velocità di 60 chilometri orari, favolosa per quei tempi. Al termine della prima guerra mondiale Guglielmo Ghioldi si trasferì a Milano, per costruire con i fratelli Vaghi un'altra fabbrica di auto. L'industria legnanese, appunto per lo spirito d'iniziativa e la tenacia dei suoi pionieri, riuscì ad imporsi velocemente agli albori del secolo XX, trasformando in breve tempo un'economia prevalentemente agricola in un'altra con un ruolo di tutto rispetto sullo scacchiere produttivo lombardo di quell'epoca eroica, in cui il progresso era basato proprio sulla disponibilità della manodopera e sull'intraprendenza di illuminati imprenditori. 172 Il Mercato settimanale di Legnano e le sue vicende In esecuzione del programma di opere pubbliche approntato dalla amministrazione comunale sono state recentemente iniziati i lavori per la nuova piazza del mercato; tra breve la nostra citta' sara' in grado di offrire adeguata sede ai mercati settimanali del martedi' e della domenica e vedra' contemporaneamente migliorata l'estetica edilizia di una zona centrale che, a dir vero, avra' sino ad oggi conservato le non invidiabili caratteristiche della grossa borgata rurale. Si e' voluto porre cosi' fine alle peregrinazioni del mercato da una piazza all'altra, dalla via x alla via y e non e' quindi mancato il compiacimento della cittadinanza per la soluzione di un problema che da tempo si agitava. Certo, la cronistoria degli spostamenti subiti dal mercato, negli ultimi anni segnatamente, non palesa il palese il menomo interesse ne' per il pubblico, ne' per il paziente raccoglitore di notizie locali da tramandare ai tempi venturi e non ha sicuramente bisogno di essere scritta per i posteri, del mercato come istituzione e' invece, a parer nostro, interessante far cenno, perche' i documenti relativi consentono di mettere in luce, se non tratti ignorati della storia locale, situazioni particolari, contingenti del nostro borgo, le quali, possono destare, sia pure per pochi istanti, la curiosita' dei dinamici e fattivi legnanesi di oggi. Abbiamo rovistato tra le carte dell'Archivio di Stato di Milano nella secreta speranza di rinvenire attraverso i documenti riguardanti il mercato, nuove testimonianze storiche locali; e se il nostro scopo e' stato raggiunto solo parzialmente abbiamo potuto dal tra parte apprendere singolari notizie circa i rapporti del borgo di Legnano con le comunita' vicine in un periodo storico particolarmente importante: L'indagine come spesso accade nelle ricerche di archivio, ha allora, per fortuna nostra e dei cortesi lettori, mutato contenuto e direzione; che se avessimo dovuto attenerci strettamente al tema propostoci saremmo stati costretti o a riportare interminabili documenti protocollari od a contenere l'esposizione dei fatti in due righe o poco piu'. In questa alternativa, abbiamo preferito scegliere la via di mezzo, e , approfittando del diversivo offerto da documenti seicenteschi, illustrare con misura gli avvenimenti resi noti, in sottile trama, dalle carte dell'Archivio di Stato Milanese. La storia del mercato di Legnano potrebbe, come accennato pocanzi, 173 compendiarsi in poche righe. e, valga il vero, i Legnanesi presentarono, stando ai documenti a nostra disposizione, richiesta di un mercato settimanale per tre volte nello spazio di circa tre secoli, e precisamente una prima volta nel 1499 a Ludovico il Moro, una seconda nel 1627 a Filippo IV° re di Spagna e una terza volta nel 1795. Solo l'ultima domanda ebbe esito positivo con la concessione del mercato mentre le precedenti per cause varie non condussero a risultati concreti. Forse anche il lettore piu' alieno dalle disquisizioni storiche non sarebbe eccessivamente soddisfatto di questa succinta esposizione, ed e' percio' che ci permettiamo di dare dei fatti, nelle note che seguono, un'immagine meno scheletrica e ad ogni modo piu' rispondente alla realta'. Il documento che d'archivio di via Senato in Archivio Sforzesco carteggio generale cartella 627) offre alla nostra considerazione e' una supplica ( piu' precisamente: una copia della supplica autentica) indirizzata dagli uomini, nobili e contadini, del Borgo di Legnano al Duca di Milano, allora Ludovico il Moro, per ottenere la facolta' di fare una volta alla settimana il mercato; porta la data del 20 giugno 1499 ed e' scritta nell'italiano, non ancora divezzato dal latino, caratteristico del tempo. Noi trascriviamo integralmente avvertendo che la punteggiatura e' nostra, come pure alcune lettere o parole ( poste fra parentesi assegnate punto interrogativo ) che ci e' sembrato potessero fedelmente corrispondere a quelle del testo, molte volte oscuro, e , in alcuni punti, indecifrabile. Ill.me et ex.me Princeps: supplicano ala V.E.tia li V.ri fideli servitori, nobili, contadini, et omnes Habitatores dicti burgi de Legnano del Ducato V.ro de Milano che alias per antiqua tempora se soleva fare uno certo merchato specialiter (?) ebdomedo como se fa a Galarate e a Busto Arsisio et in le altre terre et burgi de merchati; ma per le grande guerre et dissipatio et facti per tempora diu elapsa e' venuto in dissuatitudine non fare merchato: Hora il.me Princpes il predicto borgo e' molto restaurato cossi de statij(?) come de persone et facendo il merchato Indies se ...... de bene in melius, et fara'..... Utilo al dicto borgo, ma piu' assai a V.(Ex.tia?) per li datij et merchati li quali darrano(?) molto bene per il grando concorso de homeni in dicto borgo facendo il merchato come speriamo. Per tanto humilitier(?) suplicano predicti nominati del dicto burgo de Lignano che V.Ex.tia per sue littere..... et ..... se digna concedere facultate larga et ampla como..... havere li altri borgi che fanno merchato; che in novo se possa fare uno giorno de la septimana zoe il venerdi Ateso che circum a milia 25, no se ne fa alcuno; et questo suplicano credendo chel sia mente de V.S. Ill.ma atexa utilitatem et honore de quelli et similiter della terra 174 vostra predicta, alo quale ....... Ex.tia de Vi.Si.(?) predicti nominati se recommandano per infinite fiate. Dalla lettura del documento si apprende che a Legnano si faceva gia' in antico (alias per antiqua tempora) un mercato settimanale caduto poi in disuso in seguito a guerre e sconvolgimenti pure avvenuti in tempi assai lontani (facti per tempora diu elapsa) e che all'epoca della richiesta la situazione del paese poteva ritenersi soddisfacente (il predicto borgo e' molto restaurato(?) cossi de statij(?) come de persone) e tale da fare sperare dall'introduzione del mercato un costante e graduale (indies) sviluppo dell'economia locale con conseguente vantaggio del fisco. Quale l'accoglienza riservata alla supplica? Nessun documento viene a far luce su questo punto. D'altronde il momento storico in cui cadde la domanda non era certo favorevole all'evasione delle piccole pratiche locali; basti il dire in quel torno di tempo la Lombardia era invasa dalle truppe di Luigi XII Re di Francia e che Ludovico il Moro, Duca di Milano (ufficialmente dal 1494 e praticamente dal 1480) si era gia' rifugiato nel Tirolo, da dove apprestava un esercito che doveva servirgli per la riconquista del ducato. E' noto che l'anno seguente, Ludovico il Moro, fu sconfitto a Novara (l'esercito mercenario si vendette al nemico) e rinchiuso nel Castello di La Roches, doveva morire nell'anno 1510; cosi' finiva la vita di colui che aveva per primo invitato lo straniero ad invadere la nostra Patria. Dati i tempi non stupirebbe che la richiesta legnanese non sia stata presa in considerazione, ne e' escluso che le comunita' di Busto e Gallarate abbiano fatto pressioni per impedire la concessione del mercato di Legnano; in assenza di testimonianze sicure ci sembrano queste ipotesi plausibili per spiegare il mancato accoglimento del memoriale, per quanto sia possibile che l'eventuale scoperta di un documento possa un domani dare altrimenti ragione del fatto. E veniamo alla seconda parte della nostra storia. Siamo nel 1627 e il Ducato di Milano, da lungo tempo ormai aggiogato al carro di Madrid, e' sotto il dominio di Sua Maesta' Cattolica Filippo IV, Re delle Spagne. I legnanesi hanno indirizzato un memoriale a Sua Maesta' in cui espongono le non liete condizioni della loro terra e supplicano sia loro concesso, a sollievo delle gravi ed urgenti necessita', un mercato settimanale nel giorno di giovedi'. Filippo IV, com'e' naturale, passa la domanda al Governatore di Milano (Don Gonzalo Fernandez de Cordova) con l'ordine di subordinare l'eventuale decisione al parere dei Magistrati Ordinario e Straordinario e delle parti interessate. Non vogliamo guastare con un riassunto l'originalita' del documento (stampato su quella che doveva essere la 175 Gazzetta Ufficiale del tempo) e lo riportiamo integralmente (Archivio di Stato di Milano - Commercio - Fiere Mercati - Comuni, parte antica, 191). Illstr. Magistratus Reg. Duc. Redd. Extraord. bonorumque patrimonalium Status Milani, coram quo lecta fnerunt litterae Excellentiss. D. huius Dominis Guberntoris, in quibus infertae sunt litterae S.R.M. datae ad preces Agen. Burgi Legnani capite plebis Ducati Mediolani, tenoris seguentis vez: PHILIPPUS IV Dei gratia Hispaniarum Rex et Mediolani Dux, etc. etc. Gonzalo Fernandez de Corrdoua, del Consiglio di Guerra di sua Maesta', Suo Capitano Generale, e Governatore dello Stato di Milano, ecc. Magnifi, Spectab., e Egregij nobis dilectiss., La Maesta' del Re nostro Signore ci ha scritio la lettera del tenor seguente. EL REY.Illustre Don Gonzalo Fernandez de Cordoua, mi Maestre de Campo General y Lugartenente General de mi Estado de Milan. Por parte del Burgo de Legnano me ha' sido presentato un memorial del tenor que se sigue. Signore, Fra l'altre Terre del Ducato di Milano vi e' il Borgo di Legnano, discosto da essa citta sedeci miglia, li huomini dello quale sono sempre stati deuotissimi e fedelissimi vassalli di V.M. Reale; nella qual Terra si patiscono molte cose appartenenti al vitto e vestito, ancorche' per grandezza, e altre qualita' sia alquanto insigne, la onde per proucedere a' suoi bisogni, e anco per ristorarsi in qualche parte delli danni patiti, e che tuttavia patiscono in occasione de lunghi e frequenti alloggiamenti de Soldati, desideriano si facesse in essa Terra un pubblico mercato in ciascun giorno di Giovedi', di ciascuna settimana, la qual cosa sarebbe di beneficio pubblico, ne' sarebbe per apportar danno ad alcun, maggiormente che in detto giorno non si suol fare altro mercato in altra terra per molte miglia all'intorno in modo che, meritatamente si puo' con verita' affirmare non trattarsi d'alcun pregiudicio della Citta', ne' d'altri, ma si ben di negotio che apportera' commodo e utile a tutti, e percio' essi huomini ricorrono alla M.V. humilmente supplicandola resti seruita concedere alli supplicanti la detta facolta' di poter far detto mercato come sopra, la qual cosa sperano dalla clemenza e benignita' di V.M. ottenere. Y visto os encargo y mando me informeis con vostro pareçer, y el de los Magistrado Ordinario y Extraordinario, y citadas las partes interessadas en la concession deste mercado de loque cerca deste pretension se ofreciere, para que visto mande proucer loque pareçiere mas conueniente. Dat. en Madrid a' onze de Junio de mil y seiscientos y veintes y siete anos Signat. YO EL REY. Con senal del Presidente. Vidit Marchio Thesaurarius Generalis Vidit Caimus Regens, Vidit Valuenzela Regens.Vidit 176 Branchling Regens.Vidit De Neapolis Regens. Pedro de Hoff'Huerta. In prouisionum Mediolani 50.fol.56. A Tergo. Al Ilustre Don Gonzalo Fernandez de Cordoua su Maestre de Campo General y Lugartenente General de su Estado de Milan. Per compimento della quale vi ordiniamo che eseguiate quanto Sua Maesta' comanda. Nostro Signore vi conservi. In Milano a' 9 di Dicembre 1627. Signat. Gonzalo Fernandez de Cordoua. Vidit Ferrer.Et subscript. Platonus. A tergo Magnif. Spectab. e Egregi Presidi et Magistris Redd. Extraord. Status Mediolani nobis dilectis. ecc. 1628. 14 Genaro S'intimi alle Terre circostanti a detto luoco di Legnano, nelle quali si fa' mercato, et alli Datiari Camerali, accio' rispondino se hanno cosa in contrario, et hauute le risposte si mandino al Fisco, accio' dica l Suo parere. Il documento ora trascritto ha certamente richiamato l'attenzione dei nostri lettori e per il periodo storico cui appartiene e per le illustri firme che, in calce, compaiono solenni e altisonanti. A legger quella filza di nomi, siamo tenteti di dire col leguleio manzoniano: "Ce n'e' della roba eh! E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordoua; e piu' in giu': Platonus: e qui ancora: Vidit Ferrer; non ci manca niente.,,,, Si noti pero' che gli altri documenti allegati di qquello a cui e' parola non portano la data del 1627 o del 1628, ma del 1637, cioe' di dieci ani appresso. La lunga parentesi non e' difficile da spiegare: e noi abbiamo a tale scopo la singolare fortuna di invitare alla lettura delle immortali pagine dei Promessi Spesi. Dal 1627 per alcuni anni dopo, le invasioni di milizie mercenarie, i saccheggi, le guerre, le carestie, la peste fanno del Milanese una terra oppressa e sconvolta dalla fame, dalla miseria, dallo spopolamento. Ed e' possibile immaginare che in tali dolorosi frangenti la burocrazia spagnola, gia' lenta e pesante in tempi normali, abbia potuto prendere in considerazione la richiesta di un mercato settimanale pervenutala da un borgo del contado? Evidentemente no, e non lo si potrebbe a ragione pretendere. Il fatto e' che solo nel 1637, anzi il 21 luglio 1637, la pratica e' ripresa in esame come attesta il documento che segue: D'ordine dell'Ill.mo Magistrato Straordinario del Stato di Milano cosi' istando li Console, et Sindici della Comunita' di legnano si auisano le infrascritte Comunita' che nel termine di giorni tre doppo l'intimazione del presente debbano hauer replicato cosa intendano replicare alla risposta di Legnano dietro la contraddittione fatta in nome della detta infrascritta 177 comunita' fino l'anno 1628 prossimo passato nella causa del mercato ricercato da essi di Legnano .... In Milano adi' 21 luglio 1637. In esecuzione dell'ordine del magistrato Straordinario le comunita' interessate in tal affare (di grande rilevanza per quei tempi in cui i mercati rappresentavano il principale sbocco dei prodotti dell'agricoltura e della manifattura) si fanno dovere e premura di rispondere con dettagliati memoriali. E sarebbe facile, anche se i documenti non fossero pervenuti sino a noi, indovinare il tenore delle risposte di Busto, Gallarate, Saronno. I rapporti che correvano fra Legnano i suoi borghi vicini non eran certo, ne' potevano essere di buon vicinato: il campanilismo ad oltranza veniva esasperato dalle tristissime condizioni economiche, sociali e morali di quel tempo, si che trattandosi di difendere un privilegio, una prerogativa qualsisi o di impedire l'estensione al altra comunita', tutte le armi venivano impugnate e maneggiate con estremo vigore allo sccopo di impedire il crearsi di una nuova situazione, che avrebbe facilmente portato alla rottura dell'equilibrio economico, gia' stabilito ed assiso su basi rese solide dal tempo, a tutto favore delle comunita' fruenti del beneficio. Tale era il caso di Busto, Gallarate e Saronno di fronte a Legnano, sino allora sprovvisto di mercato; il sorgere di un concorrente doveva impedirsi ad ogni costo, doveva ostacolarsi con ogni energia; e un indice della misura con cui era sentita tale necessita' e' offerto dai memoriali delle comunita' menzionate, le quali tutte, con una concordia forse rara a verificarsi in altre occasioni, si scagliano gagliardamente sul nemico comune e con argomentazioni uniformi tentano di impedirne la vittoria. Nell'incartamento troviamo per primo il memoriale di Saronno, la cui introduzione di conclude con una recisa affermazione a sfavore della richiesta Legnanese; Per tanto essi Console, et huomini di Serono dicono che per niuna ragione si deve concedere la richiesta faculta' di far mercato in detto luogo di Legnano. Non seguiamo, passo passo, nella sua monotonia l'esposto dei Saronnesi; in sostanza la loro tesi e' la seguente: a Saronno esiste da tempo memorabile un mercato settimanale che ha sempre egregiamente servito ai paesi circonvicini, tra cui Legnano, distante non piu' di sei miglia. Ora se Legnano ha sempre goduto et gode di questa commodita' perche' non vuole continuare ad usufruirne? E' strano come questo argomento, di nessun valore polemico, si trovi ripetuto, in singolare identita' di forma, anche nelle risposte di Busto e Gallarate. Gli avversari di Legnano, vogliono invertire le parti e 178 hanno tutta l'aria di dire: non e' una bella comodita' per voi Legnanesi fare nei giorni di mercato a Gallarate, Busto e Saronno, quattro o sei miglia di strada per portare le vostre merci e rifornirvi di quanto vi abbisogna? Non vi basta? Cosa volete di piu'? Forse che il mercato si porti a casa vostra? Quale diritto accampate per giustificare le vostre assurde richieste? E via di questo passo. Ma proseguiamo. Dicono ancora quelli di Saronno: non coniuene per migliorare la condizioni d'uno resti dannificata quello dell'altro. Imperoche' e' cosa piu' che chiara, che a' che si leua l'utile, o' commodita' di qualche cosa, tal patisse danno. E occorreva forse una sentenza lapalissiana, come quella ora riportata per persuadere i governanti Spagnoli?. Ma non basta nell'assunto dei saronnesi, poche' ne la ragion dedotta da essi huomini di Legnano, cioe', che la detta loro terra per l'alloggiamento de soldati ... ha patito (?) ... che percio' se li abbi a conceder supplicato perche' se tal ragione militasse ogni terra del Stato pourrebbe pretender tal facolta' per i danni patiti da ciascuna. E di cio' non si puo' dar torto a quelli di Saronno; i documenti del tempo offrono numerose testimonianze, che costituiscono atti di accusa indiretti, ma non percio' meno probatorii, al governo spagnolo di Milano, sordo ad ogni lamento che movesse dai poveri e stremati sudditi, avido solo di ricchezze estorte con la violenza, noncurante in sommo grado del benessere e delle prosperita' dei popoli soggetti. I saronnesi allegano in ultimo una ragione legale: obstano gli ordini che non si possa fare mercato in luoghi per dieci miglia intorno all'altro, e talche' essendo la terra di Legnano lontana da Serono se non sei miglia et essendosi seruita sin'adesso della commodita' del mercato di Seronno puo' ancora perseurare il seruirsi della medesimi commodita' per l'auenire. Ma i Legnanesi non stanno inoperosi: nella loro replica deridono e definiscon priva di motivi sostanziosi e validi la risposta di Saronno la quale si poteua del tutto omettere come quella che in sostanza non contiene cosa alcuna di momento non essendo abreuiato la mano al Re nostro Signore di compartire parte della sua gratia alla terra di Legnano. Per quanto concerne la condizione di una distanza minima di dieci miglia sancite dalla legge, ribattono i Legnanesi: non esser uero per che si uede osservato tutto il contrario, et se cio' fosse, non si sariano fatti i mercati nelle terre sopranominate, tanto poco in molte altre ancora che non sono distante l'una dall'altra piu' di quattro o sei miglia.... Ed eccoci ora al piu' tenace oppositore Busto Arsizio o Busto Grande. Premesse le dibite ragioni ecc. ecc. dicono dunque essi rispondenti con ogni debita riuerenza et sommisssione, per quanto tocca al loro interesse, 179 non douersi essaudire la dimanda di detta Comunita' di Legnano come pur troppo pregiudicevole ( tutto che si dicano quei di Legnano) a quella di Busto, et ale altre circonuicine cioe' Serono et Gallarate non distanti d a detta di Legnano piu' d tre o quattro miglia rispettiuamente nei quali si fanno ogni settimana simil mercato e percio' non potersi consid4erare alcun dnanno di detta terra di Legnano non concedendoseli la dimanda come sarebbe di dette altre, tanto piu' che, oltre l'hauerla quella passata sin qui senza tal mercato, puonno ancora senz'altro dubbio gl'habitatori d'essa, et altre cincuicine per l'auenire ualiersi delle commodita' dei mercati suddetti, che iui d'intorno si fanno come fanno sopra, come hanno anche fatto per il passato. Ma non contenti di allegare la solita ragione della commodita' (che i Legnanesi non sono in alcun modo disponibili a comprendere), gli uomini di Busto Grande escono in una massima che ha anche il sapore di una vaga minaccia: E pertanto e perche' in ogni modo e' cosa piu' che notoria che le nouita' sogliono partorir disordine. Si e' affermato che una sentenza , un detto, un proverbio possono rivelare un secolo nel suo contenuto spirituale; nel caso nostro la massima posta dai bustesi, quasi a suggello delle loro argomentazioni, offre un'immagine reale della mentalita' retrograda radicata profondamente nei popoli soggetti alla esosa tirannide spagnola: Certo i bustesi non avranno emesso quella sentenza cosi' squisitamente seicentesca, per la voglia di filosofare; l'intento economico edonistico vi trapela chiaramente e si rende piu' manifesto alla fine del memoriale quando si supplica di non fare alcuno pregiudicio a detta terra di Busto Grande et sue raggioni et privilegi come seguirebbe senz'altro in concedere a detta Legnano la ricercata licenza. Nella risposta di legnano si ribatte in linea di massima il principio della distanza, osserbando che se esso realmente fosse osservato e applicato secondo l'interpretazione volutamente unilaterale dei bustesi non haurebbe la Comunita' di Busto riportata la faculta' di poter fare il suo mercato stando la poca distanza che interviene fra la terra di Galarate et quella di Busto. E fin qui il ragionamento corre: infatti se le leggi esistenti venissero fedelmente osservate: nella fattispecie, se le grida emanate a getto continuo dai Governatori milanesi fossero nello Stato veramente esecutive ( e la storia ci apprende in qual misura la realta' rispondesse alla supposizione!) non sarebbe stato possibile il sorgere di due mercati vicini (stando alle leggi spagnole, si intende, poiche' la supplica di Legnano del 1499 sappiamo gia' che i mercati di Busto e di Gallarate coesistevano e da tempi ben piu' remoti). Ma dove i Legnanesi errano compromettendo forse l'esito della loro causa, e' nell'asserire che Busto sia piu' vicino a Gallarate che a Legnano. 180 Tale affermazione chiaramente espressa nel corso della pendenza, puo' oggi destare sorpresa, non essendo dubbio che la distanza tra Busto e Gallarate e' maggiore di quella di Busto e Legnano. E' inutile soffermarsi sulle ragioni dell'atteggiamento dei Legnanesi; forse a quei tempi la mancanza di esatte e frequenti misurazioni topografiche poteva generare qualche dubbio; forse ancora i legnanesi approfittando dell'incertezza in materia, avranno creduto di introdurre, in tal modo, un elemento favorevole alla loro richiesta. Sta di fatto che essi esprimono nella forma piu' recisa ed esplicita, il loro fermo convincimento in materia dicendo: la quale (distanza tra Gallarate e Busto) in fatto e' molto minore di quella che e' tra legnano e Busto in modo che con il proprio esempio ha molto ben praticato et conosciuto (intendasi la comunita' di Busto) che la distanza predetta non e' di alcun impedimento. In buona fede o con lo scopo di accapparrarsi ogni possibile argomento a sostegno delle loro tesi, i legnanesi intendono con l'ultimo inciso (in modo che ...) impostare la questione nei seguenti termini: premesse tutte le ragioni sulla invalidita' delle disposizioni relative alla distanza: che esistano o non esistano leggi in proposito, e che queste vengano interpretate in un modo piuttosto che in un altro, il fatto e', signori bustesi, che vicino, molto vicino a voi e precisamente a Gallarate si fa un mercato settimanale: ora, con quale diritto volete impedire che in una localita' che dista dalla vostra piu' di quanto non sia distante Gallarate, che sorga un mercato?. Ragionamento perfetto se il fatto della distanza, com'era prospettata dai legnanesi, avesse trovato rispondenza nella realta': ma essendo questa assai diversa e' facile inferire che in tutta la costruzione difensiva andava certamente a scapito delle premesse generali, esattissime, e quindi non contribuiva a risolvere in senso favorevole a Legnano, la questione del mercato. Era naturale che quelli di Busto. nel sentire le risposte dei Legnanesi, alzassero ancora la voce; avevano facili gli argomenti (tra cui quello della distanza) e li animava alla disputa le tradizionale amicizia (?) con gli abitanti del borgo vicino. E la replica e' bellicosa sin dalle prime battute: Poteano al sicuro gl'Agenti della communita' di Legnano sparagnare di lagnarsi delli Agenti di Busto col uolerli addurre in odio la uicinanza di detta terra di Busto a quelli di Gallarate et che quella non ostante habbi detta communita' di Busto otteenuto facolta' di fare il suo mercato pretendendo farsi percio' essi di Legnano di uoler addurre ab exemplo che non li debba ostare la poca distanza fra esse terre per impedirli la concessione del da loro preteso mercato. Poiche' prescindendo dalla distanza, ad ogni modo non doueuano, ne' deuono detti di Legnano ne' a loro spetta di uoler sapere i fatti di detta terra di Busto, ne' che cosa sia 181 seguito tra Busto et Gallarate circa questo particolare.. Il tono si fa vivace. I Bustesi, con abile tattica, non solo prospettano i loro interessi, ma si fanno paladini e difensori dei diritti delle comunita' circonvicine, e nientemeno di quelle del Regio Fisco, insinuando che oltre all'interesse e pregiudicio di essa terra et altre cincounvicine oue si fanno simili mercati, ui e' ancora l'interesse publico cioe' del medemo Regio Fisco al quale ne seguiria senza dubio pregiuicio notabile et insieme all'impresario, quando si concedesse a detta terra di Legnano la facolta' di far detto mercato poi che a puoco a puoco s'andera aprendo la strada ad altre terre benche' mediocri di procurar simili mercati, oue spacciandosi merce senza pagamento de' soliti dati et gabelle il Fisco ne uerra' a setir notabile danno... Anche nella conclusione il Regio Fisco e' menzionato: Supplicano di nuovo i detti di Busto e S. M. et i suoi Ministri et a che spetta a uoler degnarsi di dar ripulso a detti Agenti di Legnano, a non permetter che si faccia pregiudicio alcuna a detta terra di Busto et sue ragioni et puilegi ne meno al Regio Fisco... Mentre i Legnanesi stanno preparando la controreplica, occupiamoci brevemente di Gallarate ( di Rho non esiste nel carteggio il memoriale per quanto anche tale comunita' fosse citata in causa) Il borgo di Gallarate infeudato al Conte Gaspare d'Altaemps (siamo al 30 luglio 1637) a mezzo dei suoi agenti comunica non douersi di ragion attendere la pretentione di quelli di Legnano per esser la detta terra di Legnano discosta solo otto miglia da Gallarate si che possono comodamente (poteva forse mancare il motivo della "commodita'"??" al detto nercato prouedersi di quelle cose che fanno bisogno. Poiche' e' ammissibile si aggiunge che un emrcato di solito et possesso immemorabile come quello di Gallarate venga danneggiato dal sorgere di un altro mercato in localita' vicina cioe' di Legnano dove non si e' mai fatto un mercato. Questa asserzione ci conferma che l'istanza del 1499 e le eventuali successive non furono accolte dai diversi Governi e che solo nel 1795 come tra poco vedremo, la sospirata erezione del mercato pote' finalmente avere luogo. (Cosi' del resto anche il Comm. Raimondi, nella sua monografia a pag 40 : in Legnano ha luogo ogni martedi' ha luogo un mercato di bestiame e merci la cui istituzione venne concessa per la prima volta con decreto della Reale Conferenza Governativa del 2 ottobre 1795 ....) Prima di terminare i Gallaratesi dicono di non doversi tenere conto del preteso ordine di Sua maesta' perche' quello e' sempre conditionato cioe' che non sij pregiudictio del terzo, come e' cosa inubitata. Tanto indubitata che si potrebbe dire, che se la legge trovasse un limite insuperabile nel danno eventuale arrecato al terzo con la sua applicazione, non vi sarebbero a tutt'oggi forme di societa' giuridicamente costituite e ordinate, ne' quindi 182 la civilta' avrebbe potuto muovere i suoi primi passi ed effermarsi. Ma vale la pena di commentare i fiori giuridici dei nostri buoni avi del seicento?. Il fervore della lotta tra Busto Arsizio e Legnano attrae nuovamente la nostra attenzione: e' pronta la controreplica Legnanese. Inizio anche qui fragoroso: Poteuano et doueuano quelli di Busto sparagnare del tutto la replica da lor fatta, quando non hauendo altre ragioni di quelle hanno apportate. Perche' quando al particolare della distanza (ci siamo) delli luochi e' cosa tanto chiara, notoria et manifesta, che non ha bisogno di altra proua, ne' hanno quelli di Busto con la loro parola torbidarla,ne tan poco snervar in parte alcuna la forza dell'argomento fatto da quelli di legnano controreplicanti. Ed ecco che la politica degli avversari viene svelata e messa a nudo; Del che (continua il memoriale) accorgendosi essi medesimi si sforzano di rappresentare (con poca prudenza pero') non solo la propria causa; ma quella degli altri ancora, non audendosi che' bastanza in questo particolare e' stato prouisto dalla S. N. con hauer dato ordine che si sentissero li datiari li quali (e qui una stilettata in piena regola) nel rappresentare le loro ragioni non haueranno ponto bisogno del consiglio dei bustesi; alli quali datiari a suo luogo, et tempèo se sara' bisogno si dara' la conueiente risposta con far uedere che il detto mercato sara' per apportargli beneficio, et non danno,propositione che restera' tanto piu' chiara, et confirmata quando si considerera', che per altri mercati introdotti non siano sminuite: ma si bene auantaggiate le rendite delli datij... Quest'ultima affermazione esprime in realta' un principio economico esatto; principio che, se allora non venne compreso, forse anche dall'impresario delle gabelle, fu esplicitamente ammesso dal magistrato Politico Camerale del 1795, e decise le autorita' competenti per la concessione del mercato. E quale fu il parere del daziari camerali? Il tempo limitato a nostra disposizione non ci ha consentito di decifrare pazientemente un documento allegato nel carteggio, e stilato in latino notarile ( quindi in forma assai abbreviata e per conseguenza difficilmente comprensibile). Ci sembra tuttavia di intravvedere una risposta recisamente negativa. La conclusione e' ad ogni modo questa: Legnano non ottenne nel 1637 il mercato richiesto per la seconda volta (secondo i documenti citati; ma non e' per nulla esclusa che altre istanze siano state presentate dal 1499 al 1637; come pure dal 1637 al 1795. Facciamo ora un salto di 157 anni e portiamoci alla fine di dicembre del 1794. I Deputati dell'Estimo, gli esimati, e il Sindaco inoltrano istanza alla Reale Conferenza Governativa per ottenere la concessione di un mercato settimanale. La supplica, datata 31 dicembre 1794, porta 66 firme tra cui 183 quella del marchese Carlo Cristoforo Cornaggia Medici, del Conte Francesco Maria Melzi, del Conte Carlo Lucini, del Canonico Gaspare Lampugnani, ordinario della metropolitana e del Regio cancelliere Annibale Mazza, ed e' del seguente tenore: Nel borgo di Legnano si tiene annualmente una fiera di bestiame e di altri generi, il giorno due di novembre. Fuori di questa occasionenon ha il detto borgo alcun altro mezzo con cui alimentare il locale commercio, e gli abitanti sono obbligati a ricorrere ad altri luoghi dello Stato tanto per smerciare i propri generi e manifatture quanto per provvedere di quelli che loro mancano. Utile quindi e necessario sarebbe alla prosperita' degli abitanti del Borgo di legnano e delle molte terre circonvicine l'istituzione nel Borgo stesso di un settimanale mercato, quale non potrebbe per verun conto pregiudicare ai gia' preesistenti nei borghi di altri limitrofi distretti attesa la rispettiva loro distanza ed ove per la fissazione della giornata si intendesse quella del Martedi', in cui non v'anno altri mercati per tutto l'adiacente circondario. Al solo fine di procurare i possibili vantaggi e risorse all'agricoltura e alla languente marcatura del preaccennato Borgo sono determinati i qui sottoscritti Deputati dell'Estimo et Estimati umilissimi servitori della Reale Conferenza Governativa di avanzare come fanno alla medesima le loro piu' fervide suppliche affinche' in vista delle premesse circostanze locali venga accordata per tutti i martedi' dell'anno la concessione di un mercato in luogo umanimamente desiderato dalla Comunita', la quale comecche' disposta a sostenere tutte le occorrenti spese nella ferma persuasione di ritrarre un abbondante compenso ha gia' manifestata la sua adesione per concorrere anche al pagamento di chi per non esservi in luogo una ricevitoria di finanzia dovrebbe venir destinatoi ad assistere alla custodia, ed esazione dei Regi diritti, punto non dubitando che le saranno altresi' concesse le facilitazioni daziarie accordate agli altri mercati rispetto alla bestie bovineche ritornassero dal mercato invendute, salve in questo pèroposito tutte le modalita' e condizioni che piacesse alla Superiore autorita' di prescrivere per sempreppiu' cautelare l'esercizio delle funzioni daziarie: e siccome i ricorrenti sonpo nella massima fiducia di conseguire quanto implorano in nome della Comunita' ed il comodo ed utile della medesima non meno che della terra attigua cosi' osano pure di supplicare la prelodata Reale Conferenza Governativa a volersi degnare di abilitare il Magistrato Politico Camerale a dare le opportune disposizioni per l'istituzione del mercato di cui si tratta previa le occorrenti informazioni e concerti da prendersi, onde possa anche la Comunita' stessa disporre tutto cio', che 184 puo' da lei dipendere per dare principio al mercato il piu' presto che sara' possibile. Ma non era ancora terminata la lunga Via Crucis dei legnanesi: Il Magistrato Politico Camerale e l'Intendente di finanza dovevano dare il loro parere alla Reale Conferenza Governativa; la supplica doveva passare attraverso la trafila di investigazioni burocratiche precise, minute, circostanziate. Una nota apposta in calce al documento dal Conte Kevenhuller, presidente della sudetta Conferenza, in data 2 gennaio 1795 dice: Al magistrato politico Camerale qualora trovi meritevole di riguardo la presente istanza informi con le sue occorrenze: Ed una altra nota a firma Maneina, del Magistrato Politico Camerale, ci avverte dell'esito negativo della pratica: Attese le circostanze non puo' per ora assecondarsi l'istanza dal Magistrato Politico Camerale. Quali erano queste circostanze?. Dall'esame del carteggio si deduce che Il Magistrato Politico Camerale, come pure l'Intendenza di Finanza, avevano espresso parere sfavorevole all'accoglimento della domanda di Legnano perche' mancando in luogo una ricevitoria di finanza, non si reputava opportuno, pur nella previsione di intenso traffico, fare sostenere alla comunita' la spesa di un incaricato alla riscossione daziaria. Gli abitanti del borgo di Legnano sentita la risposta, non si diedero per vinti e presentarono il 10 aprile 1795 una seconda istanza ripetendo la domanda del mercato e rinunciando a qualsiasi facilitazione daziaria. Sopra precedente istanza diretta ad ottenere la concessione di un settimanale mercato nel borgo di Legnano, pieve di Olgiate Olona, coi privilegij accordati in egual circostanza ad altre Comunita' dello Stato, riportano gli Deputati dell'Estimo ed Estimato gl'ingiunto Decreto in virtu' del quale risulta bensi' differito ma non escluso l'addomandato provvedimento. Pressentano in oggi gli Supplicanti che il R.M.P.C. non abbi creduto conveniente annuire allo stabilimento di esso mercato inquantoche' la centrale di lui situazione non rendeva praticvabili le ispezioni di Finanza per l'indennita' dei Reali Diritti al caso delle facilitazioni daziarie, cui aspirano e che d'altronde fosse meno utile alla Comunita' di legnanol'assumere a suo carico le spese occorrenti al divisato oggetto. L'intenzione pero' dei ricorrenti Deputati ed Estimato essendo sempre stata, ed anche in presente limitata a promuover soltanto coll'erezione del proprio mercato e il commercio dei generi ed articoli di manifattura di quella numerosa popolazione, alla rissorsa e fertilita' dell'agricoltura, ed alla languente mercatura, senza far uso dei privilegi che avevano richiesti nella gia' premessa loro rimmostranza verrebbero per tal modo rimossi gli ostacoli che potesse la medesima avere incontrato e la concessione di 185 cui si tratta, oltre all'essere del tutto innocua ai preesistenti mercati dei limitrofi Borghi riuscirebbe comoda piuttosto e vantaggiosa a chiunque suole frequentarli, quallora venisse prescie4lta per il nuovo mercato di Legnano la giornata del martedi' di cui non v'hanno altri Mercati nell'adiacente circondario, non che di utile all'interesse degli attigui Comuni. Rinnovano quindi li Deputati dell'Estimo, ed Estimati le loro piu' vive istanze per la desiderata istituzione colle di sopra suggerite viste, nella giusta lusinga di conseguire un grazioso rescritto, che realizzi anche a favore del Boprgo di legnano quelle Sovrane benefiche dichiarazioni, delle quali hanno recentementeapproffittato in parita' di circostanze diverse altre comunita' dello Stato, ed implorano a tal effetto, che il R.M.P.C. voglia compartire quelle provvide dispozizioni che credera' opportune a regolari a render esaudita la presente loro domanda. In seguito alla esplicita rinuncia dei privilegi daziari la via poteve dirsi spianata: Il Magistrato Politico Camerale e l'Intendenza di Finanza non hanno piu', come si rileva dai documenti protocollari, osservazioni da muovere e accompagnano quindi la seconda istanza alla Reale Conferenza con favorevoli rilievi. Il 4 saettembre 1795 il presidente di quest'ultima firma la deliberazione cosi' concepita: Ora che viene proposto il giorno di martedi (in realta' la proposta del martedi' come giorno di mercato, compare, come si e' visto, anche nella prima istanza; ma, tant'e', per mascherare un po' il prevalente motivo fiscale, una lieve inesattezza poteva ritenersi giustificata) e che non si ricerca alcuna facilitazione daziaria, la Reale Conferenza Governativa convenendo nel sentimento del Regio Magistrato Politico Camerale approva, che abbia effetto la domandata erezione del settimanale mercato nel suddetto Borgo. E finalmente la concessione del mercato viene resa pubblica ragione il 2 ottobre con il seguente AVVISO La Real Conferenza Governativa dietro favorevole sentimento del Regio Magistrato Politico Camerale si e' degnata accondiscendere all'istanza dei Deputati all'estimo della Comunita' di Legnano con approvare e concedere che abbia effetto l'addomandata istituzione di un mercato settimanale in quel Borgo, che terrassi in ogni Martedi' dell'anno e che cominciera' con il giorno di martedi 13 del corrente mese di ottobre, senza che sia pero' accordata a tale mercatoveruna facilitazione Daziaria: ben inteso che qualora il detto giornofosse festivo, debba trasportarsi il Mercato nel giorno di lavoro immediatamente successivo. In esecuzione è pertanto de' venerati Ordini del Prefato R.M.P.C. si rende nota 186 al pubblico col presente avviso l'accennata graziosa Superiore Concessione, onde possa ciascuno ciascuno nei summentovati giorni approfittarne. Dalla Regia Intendenza Provinciale di Milano li' 2 ottobre 1795 Gaetano Conte della Somaglia Regio Intendente Giunti alla fine della nostra storia non ci sembra opportuno fare cenno alle ulteriori vicende del mercato, le quali non presentano alcun interesse. Dice infatti il Comm. Raimondi nella sua nota monografica su Legnano ... "la cui istituzione (del mercato) venne concessa la prima volta con Decreto della Reale Conferenza Governativa del 2 ottobre 1795 e riconfermata poi dopo lunghe alternative di abbandono e di ripresa, dal Consiglio Comunale con deliberazione del 18 agosto 1906..." Ed ora in due parole la conclusione. Puo' darsi che il nostro apprezzamento sia inquinato da una sottile vena di campanilismo, e che l'amore per Legnano renda unilaterale il nostro giudizio; ma ci sembra che la cronistoria del mercato, cosi' come e' stata esposta sulla base di documenti ufficiali, riveli chiaramente una ingiustizia a lungo perpretata ai danni el nostro borgo. Legnano in ogni tempo come nucleo emografico come centro agricolo e commerciale non fu mai in sensibili condizioni di inferiorita' rispetto ai borghi circonvicini, Busto, Gallarate, Saronno e Rho; eppure per un complesso di varie circostanze non ebbe la fortuna di appropriarsi di un efficientissimo strumento economico, di assicurarsi un fattore primo per lo sviluppo ed il potenziamento dellapropria economia. Ma oggi non comprendiamo forse l'importanza di un mercato nei tempi trascorsi, quando le oconomie locali vivevano isolate le une dalle altre, quando scarsi e malsicuri erano i mezzi di comunicazione e di trasporto, e antiquate formule di politica economica informavano l'azione dei governi. Noi sorridiamo vedendo svolgersi, intorno alla richiesta di un mercato, lotte, diatribe, e ludi cartacei che presentano per la loro vivacita' una singolare rassomiglianza con le moderne competizioni sportive; e non ci rendiamo conto di quale fonte di risorse potesse rappresentare per un borgo del contado, un mercato. Attualmente ben altri problemi che non il mercato agitano la vita della nostra Citta': e noi auspichiamo che tenendo presente la modesta ma istruttiva storia del mercato, Legnano non si lasci superare nel fervore di rinnovamento che, in Regime Fascista fa' di ogni citta' d'Italia un sonante cantiere di opere, ma sia sempre all'avanguardia, segnacolo vibrante di operosita' e di progresso. Dott. Aldo Strobino 187 188 Personaggi Legnano ancor prima della costruzione di S. Magno vantava ben ventisette famiglie nobiliari e tra queste, due si distinguevano : quella dei Vismara e dei Lampugnani. Tra i tanti rami dei nobili Lampugnani avvezzi da secoli all'agiatezza ed alla cultura, nacque intorno alla metà del 1400, una tradizione artistica pittorica che vide capostipite Melchiorre Lampugnani e si perpetuò, fino alla seconda metà del 1600 lasciando sia a Legnano che alle città lombarde vicine opere di squisita fattura. Con un intervallo di circa 40 anni la loro tradizione artistica verrà raccolta (nel 1650) dalla famiglia dei pittori Belloti di Busto Arsizio. Alla fine del 1700 la pittura decorativa ad affresco raggiunge i massimi riconoscimenti coll'avvento del Tiepolo chiamato da Carlo III in Spagna a decorare il nuovo palazzo reale. Da noi in Lombardia il canonico Biagio Belloti, (definito il Tiepolo lombardo) decora la volta della chiesa S. Giovanni a Busto Arsizio. A Legnano i pittori Belloti, vengono spesso invitati a decorare le chiese (S. Ambrogio, S. Maria delle Grazie ecc.) e sono venerati dagli intenditori locali. Affrescatori e decoratori raffinati, anche i Belloti protrarranno la loro opera fino alla fine del 1700. Nel 1780 il primo capostipite della famiglia dei pittori Turri, Antonio Maria, frequenti, lo studio dei Belloti e proseguì con figli e nipoti la tradizione artistica del legnanese fino ai giorni nostri. Riportiamo di seguito alcune note biografiche dei piu' importanti artisti di queste famiglie. Fu essenzialmente, come tutti i lombardi, un buon frescante e dalle poche raffigurazioni strappate o riprodotte, lo possiamo qualificare un foppesco sia per quello che riguarda i suoi fondi architettonici, sia per l'interpretazione delle figure umane. Risiedeva abitualmente nella casa sita a Milano (parrocchia di S. Protaso), ma aveva diverse proprietà a Legnano dove veniva di tanto in tanto. Tra queste quella che diventerà la casa dei pittori; ce lo diceva un suo affresco in facciata rispettato scrupolosamente dai successori Lampugnani. Le sue opere sono quasi tutte scomparse: sappiamo che dipinse in casa di Isabella da Robecco, amante di Francesco Sforza in Piazza Camposanto a Milano. 189 Nel 1474 lavori, nel Castello di Milano, e nello stesso anno con altri pittori, decorò le volte delle cappelle delle reliquie a Pavia. Era uno dei più quotati della sua epoca; sull'esempio del pittore Gottardo Scotti (il creatore di un Monte dei Pegni per aiutare i suoi colleghi con altri tredici artisti si iscrisse all'Università dei pittori milanesi e ne fu nominato capo nel 1481. Da Gottardo Scotti ebbe in eredità il famoso volume di araldica che continuato da lui, fu donato poi al Comune di Milano . A Legnano gli si possono attribuire: l'Annunciazione (ora esposta al museo di Legnano e molto deteriorata), la Circoncisione (ora al Louvre) e il trittico di S. Erasmo. Molti sono gli affreschi quattrocenteschi dei quali c'è rimasta memoria ma sono di scarsa importanza e non si possono attribuire ne' a lui, ne' al Giangiacomo. In ogni caso egli è decisamente la figura artistica di maggior rilievo tra tutti i pittori Lampugnani che operarono a Milano e Legnano. Il secondo artista della famiglia dei pittori Lampugnani è ancora strettamente legato allo stile in voga nella sua epoca ispirato al naturalismo chiaroscurale del Mantegna, uno stile cui darà il colpo di grazia Ludovico il Moro chiamando a Milano Leonardo (vedi l'affresco della Crocifissione di Montorfano). Le sue figure sono rigide e composte, come nella cappella detta di S. Agnese in S. Magno a Legnano e nei dipinti fatti fare nel 1517, di fronte all'altare maggiore, dalla famiglia Fumagalli. Il suo capolavoro è la volta della chiesa di S. Magno della quale possiamo lodare la fantasia decorativa e grandiosità. Cancellati tutti i ritocchi si potrebbero attribuirgli i due grandi affreschi di Cislago (chiesa della Madonna della Neve): nel primo si vede il Padre Eterno e sotto la Madonna col bambino, ai lati S. Rocco e S. Sebastiano. Nel secondo la Madonna in orazione con due angioletti e sotto sei santi: S. Magno, S. Rocco, S. Antonio, S. Sebastiano ecc. sullo sfondo il Papa e l'Arcivescovo che dedicano la nuova chiesa. A Prospiano, nella chiesa della Madonna dell'Albero il grande affresco della Crocifissione può, destare dubbi per la composizione affastellata e la decorazione completamente diverse da mettere in discussione la paternità assegnatagli dai critici del 1800. Egli risiedeva in una casa appena fuori la Porta di Sotto in Via Magenta a Legnano. Questa antica dimora, inglobata nel 1700 dai Cornaggia nelle loro costruzioni, venne demolita nel 1950 per dar posto all'attuale palazzo INA. Della casa ci resta un magnifico camino scolpito con lo stemma del 190 Giangiacomo. Epigoni di quel manierismo vantato dal cieco Lomazzo, secondo la formula dei sette pilastri della pittura, li possiamo collocare senza prevenzione, tra i migliori pennelli (soprattutto nell'affresco) della prima metà del 600 Lombardo. Nativi della parrocchia di San Maurilio (Milano) figli di un notaio trasferitosi a Legnano al servizio dei Vismara., ebbero la prima residenza nella casa magna attigua al convento delle monache Clarisse, (fondato da Gian Rodolfo Vismara) e poi nella casa detta dei "pittori" la cui facciata fu dipinta dal Francesco nel 1640 alla morte del fratello Giovanni e in onore di questo e del padre. Lavorano in collaborazione: a Varese S. Maria in prato, oratorio del Sacro Monte XII Cappella e Basilica del S. Monte; a Legnano chiesa della Madonnina, S. Ambrogio, S. Bernardino e chiesa della Purificazione; a Parabiago chiesa di S. Gervaso e Protaso, a Busto Arsizio chiesa di S. Giovanni, pala di S. Giorgio. Poi ancora ad Angera, a Trecate, a Cerro Maggiore, a S. Giorgio per citare solo alcuni elenchi. Francesco Lampugnani fu particolarmente apprezzato dagli ordini monastici e si ispirò al Luini e al Gaudenzio Ferrari pur non trascurando gli apporti moderni voluti nell'Accademia ambrosiana del Cardinale Federico diretta dai pittori Ceirano. Procaccini e Daniele Crespi. Molto bello è anche il grande mappamondo (m. 1,25 di diametro) che si trova nella Biblioteca Ambrosiana ed eseguito su incarico dell'arcivescovo Cesare Monti. Meno nota ma non meno apprezzabile fu l'opera di incisore di acqueforti svolta dal Francesco. Ci sono rimaste alcune opere rappresentanti gli arazzi sacri che erano in S. Magno (ora a Milano), nonché una stupenda carta geografica suddivisa in tre grandi incisioni delle quali una copia è ancora conservata al Castello Sforzesco di Milano mentre la copia più famosa andò distrutta nell'incendio della Farmacia di Brera. Nacque il 18 ottobre 1769 da Carlo Ambrogio Turri e Maddalena Calini. Dimostrando molta propensione per il disegno fu presentato al canonico Biagio Belloti (1714-1789) del quale divenne entusiasta amministratore. In seguito al giudizio positivo del Belloti il Padre Ambrogio lo avviò 191 all'Accademia di Brera ed intraprese lo studio della pittura nonostante una certa ritrosia da parte del padre. Ebbe una notorietà diffusa ed eseguì lavori in tutta l'alta Italia. Come pittore si ispirò, alle mode della sua epoca ancora rococò, e si dedicò quasi esclusivamente all'arte sacra. Molti suoi affreschi rimangono in Legnano, come quelli della chiesetta della Madonnina o in S. Bernardino o la Via Crucis nella chiesa della Madonna delle Grazie; altri purtroppo sono scomparsi come la Madonnina sulla casa in via Palestro, scioccamente distrutta, o la cappella al vecchio cimitero con un'Annunciazione della quale esistono i due bozzetti. Nel 1829 espose nelle gallerie della Imperiale Regia Accademia di Belle Arti delle composizioni floreali dipinte ad encausto guadagnandosi il plauso delle giurie. Fu allievo di Domenico Asperi, Giocondo Albertolli e Giuliano Traballeri, dei quali proseguì l'opera e la tradizione con molto successo. Altri suoi lavori restano nelle chiese di Rovellasca (S. Maria Assunta), di Sacconago (la via Crucis), di Castellanza (chiesa Prepositurale), di Legnano (affresco di S. Pietro Martire in S. Magno), di Arconate, di Besano. In tutti i suoi lavori rimase fedele al principio delle rigorose raffigurazioni in accordo con le interpretazioni derivate dalla pittura romantica della fine del Settecento. Da Antonio Maria e Serafina Colombo nacque a Legnano il 6 novembre 1803 (morì il 5-6-1882) Daniele Giuseppe Beniamino Turri; sposò, Maria Redaelli ved. Lampugnani ed ebbe cinque figli. Cresciuto nell'atmosfera artistica di casa venne avviato agli studi di Brera nel 1820, ma abbandonò quasi subito l'Accademia sia per l'impegno continuo in aiuto al padre Antonio M. sia parchè si reputava già sufficientemente maturo per la professione. Come lavoro di licenza espose alla Imperiale Regia Accademia una Crocifissione di notevole pregio. Eseguì una rilevante serie di affreschi tuttora esistenti come quelli nel camposanto di Arconate; nella chiesa parrocchiale di Besano; nella Lodolo di Tradate; nella chiesa di Bienate, con affreschi e quattro quadri ad olio sulla tazza del coro; nella chiesa Parrocchiale di Magnago. Inoltre sono presenti suoi lavori a Cardano al Campo, Prospiano, Coarezza, Milano . Lo aiutarono Jafet Turri (1804-1830) che fu richiamato alle armi e morì in Galizia, e per le decorazioni i fratelli Sem e Noè Turri. Pressoché autodidatta, buon colorista con un manierismo riassuntivo e piacevole, era molto richiesto per le decorazioni e le figure sacre nelle chiese, nei 192 conventi o suoi mulini . Attivissimo ed attento studioso ha lasciato una imponente collezione di schizzi e disegni che rappresentano quadri e affreschi antichi di tutte le chiese dei nostri paesi vicini e di Legnano. Grazie a questi oggi possiamo ricostruire storicamente molte parti del nostro patrimonio artistico locale anche se scomparse. Mosè Turri nacque da Beniamino e Maria Redaelli il 2 febbraio 1837 a Legnano e vi morì l'8 luglio 1903. Dimostrò fin da ragazzo una mano felicissima nel disegno e venne avviato agli studi artistici a Brera dal 1850 al 1855. Suoi professori furono Angelo Brusa, Luigi Bisi e nella figura i pittori Sogni e Francisco Hajez. Espone a Milano nel 1872, a Genova all'esposizione Nazionale del 1872, a Firenze nel 1873, a Torino nel 1874 e 1878. I suoi quadri ad olio erano ricchi di soggetti animali e floreali e destarono l'ammirazione dei critici di quel tempo. Insieme all'architetto Emilio Alemagna affrontò innumerevoli lavori nelle case nobiliari milanesi sia come figurativista che come decoratore. Anche nel campo dell'arte sacra la sua opera si distinse per l'estrema abilità cromatica delle composizioni. Sono presenti suoi affreschi nelle chiese di Lomello, Cavaglio, Villa Cortese, Sacconago, Romentino, Tradate, Gorla Minore, Cerano, Marnate. In Legnano splendide sono le cappelle d'ingresso nel Santuario della Madonna delle Grazie, la volta della chiesa della Madonnina, la cappella a sinistra è dell'altare in S. Magno con una serie di pregevoli quadri ad olio. Lavorò anche per la casa reale ed eseguì il chiosco Torrazzi di Novara per i Visconti, come pure la loro casa di via Cerva in Milano. Lavorò a Villa Olmo di Como ed a gran parte degli affreschi del castello di Somma Lombardo. La sua opera si può, ancora ammirare anche nell'ambasciata di Madrid. Fu un ottimo disegnatore e fatto tesoro degli insegnamenti di Sogni e Hajez proseguì sulla loro strada dedicandosi, nella pittura ad olio, soprattutto agli animali. Di lui sono rimasti celebri quadri raffiguranti selvaggina. Suoi collaboratori furono i fratelli Daniele ed Elia, con i quali agi integrando le parti di decorazione a stucco e pittoriche eseguite da questi ultimi alle sue creazioni di scene ed ottenendo grazie a questa "bottega d'arte" risultati di grande pregio per l'amalgama tra decorazione pittorica ed a rilievo in stucco. Mosè Turri sposò Vittoria Zanetta ed ebbe da lei sei figli dei quali uno continuò la tradizione artistica della famiglia. 193 Figlio di Beniamino, fratello di Mosè Turri (senior) avviato fin da ragazzo ad aiutare il padre nei suoi lavori di arte sacra, non poté frequentare gli studi rimanendo sacrificato nel suo talento. Era un ottimo colorista ed a lui venivano affidate le esecuzioni di ornamenti e composizioni di fiori. Era anche un restauratore di grande esperienza e, soprattutto, buon interprete delle varie forme di pittura antica. I suoi numerosissimi lavori sono presenti a fianco o costituiscono parte di quelli nominati sia per il padre Beniamino che per il fratello Mosè. Come il fratello Daniele anche Elia Turri fu sempre presente nelle grandi realizzazioni artistiche nelle chiese, negli interni delle ville patrizie eseguite dalla famiglia Turri. Elia occupava della parte scultorea e delle decorazioni in gesso legate alla moda tardo barocca del suo tempo. Bellissimi sono gli altari scolpiti con putti e lesene nella chiesa delle Grazie in Legnano, nella chiesa della Madonnina, nelle ville Bernocchi, Dell'Acqua. Suoi professori a Brera nel 1865 furono Claudio Bernocchi e Raffaele Casnedi. Figlio di Mosè e Vittoria Zanetta, Gersam Turri nacque l'1 settembre del 1879 a Legnano, studiò a Brera dal 1893 al 1898 con i professori Pogliaghi, Carlo Ferrario, Gaetano Moretti, Vespasiano Bignami e Camillo Rapetti nonché come insegnante di pittura Cesare Tallone. Collaborò fino al 1910 nella bottega di famiglia con gli zii Daniele ed Elia. Quindi proseguì da solo creandosi un nutrito gruppo di decoratori in buona parte diplomati, che lo aiutarono nell'esecuzione di lavori talvolta difficili e molto grandi come dimensioni. Fu un conoscitore finissimo degli stili italiano e francese, da Luigi XIV a Luigi Filippo. Per la sua abilità decorativistica e competenza artistica fu definito dai suoi colleghi contemporanei il "re del Barocco". Progettava e campionava le sue decorazioni, eseguiva personalmente la parte figurativa. Fu uno splendido manierista per istinto ed il suo stile è inconfondibile. Alla moda di allora nonché alla sua bravura sono dovute le preferenze accordategli dalle famiglie signorili del tempo . - Nel 1905 sposò Lodovica Giussani ed ebbe due figli. Alcuni suoi lavori sono: la chiesa di Appiano Gentile, la chiesa del S. Crocifisso a Como, la cupola 194 ed il grandioso transetto, il tempio Voltiano di Como e il Palazzo del Broletto, Lomazzo chiesa e Palazzo Somaini, a Legnano le quindici cappelle del Santuario di S. Maria delle Grazie, la chiesetta dell'Orfanotrofio Gilardelli, la cappella di destra all'altare in S. Magno a Legnano, e le figure nei tondi sopra i pilastri nonché tutta la decorazione della parte inferiore della chiesa. A Milano affrescò in Via Durini la casa del maestro Toscanini. Inoltre le ville del conte Emanuele Castelbarco, Villa Stucchi e Villa Pirotta a Como. Dal 1916 al 1918 fu sotto le armi e si occupò di cartografia militare, nel 1919 decorò le case della contessa Luisa Bonacossa a Milano con altre venti abitazioni signorili, compreso il suo capolavoro in Via Cerva di proprietà Visconti, il famoso salone da ballo. Fu anch'egli collaboratore di famosi architetti come il conte Alemagna, il professor Giorgio Portaluppi, l'architetto Federico Frigerio, l'architetto Perrone. Di lui hanno parlato giornali e riviste del tempo in più occasioni. Una nota curiosa è quella che lo vede realizzatore insieme all'architetto Portaluppi in una serie di bellissime meridiane ancor oggi funzionanti e riportate sui più' noti testi in materia, compresa l'enciclopedia Treccani. Uno dei suoi ultimi lavori, eseguito per l'ambasciata italiana a Berlino, fu trafugato durante la guerra ed e' scomparso. Nasce nel 1907 a Legnano da Gersam e Lodovica Giussani. Entra all'Accademia di Brera nel 1926 e studia con i professori Rapetti, Biagi, Alciati, Guidi ed Aldo Carpi. Durante gli studi ottenne due premi il Beltrame e il Briani per un concorso alla Permanente di Milano. Iniziò a lavorare a Cedrate alla Cappella Crespi a grafito. Aiutò il padre nella preparazione dei cartoni per la cupola del S. Crocifisso a Como, ed eseguì la cappella dei caduti a Carnago ed affreschi nelle scuole comunali dello stesso paese. Lasciò l'Italia nel 1935 partendo per la guerra d'Africa, ritornò, nel 1937 con numerosi quadri e disegni ispirati all'ambiente d'arte africana ed espose gli stessi a Roma riportando menzioni di lode. Affrescò con diversi cicli di scene le chiese di Carnago, S. Fermo a Varese, Stimianico a Cernobbio, affrescò la chiesa del Buon Gesù ad Olgiate Olona e la Parrocchiale di Solbiate Olona. Sono suoi gli affreschi nelle scuole Canossiane di Busto Arsizio, Nerviano e S. Stefano. Eseguì numerosissimi ritratti ad olio, Madonne, nature morte e chiaroscuro. Data la grande esperienza ereditata dalla famiglia ed avendo condiviso alcuni anni di lavoro con lo zio Daniele (restauratore) si occupò anch'egli 195 di salvare molti antichi capolavori che gli vennero affidati come la chiesa di Binago, la Cattedrale di Treviglio, la chiesa di S. Magno a Legnano ecc. Con il padre Gersam e l'ingegner Sutermeister recuperò, in Legnano numerosissimi affreschi antichi operando, con interventi d'urgenza, strappi sui muri in abbattimento delle vecchie case signorili di Legnano. A questa sua opera si devono quasi tutti i preziosi affreschi ora conservati nel museo Sutermeister di Legnano. Alla sua esperienza e ad un felice caso si deve oggi l'esistenza della stupenda chiesa di S. Maria Foris Portas a Castelseprio. Nel 1939 infatti a causa di fatti di sangue avvenuti nell'edificio diroccato e incendiato, il parroco di Carnago, proprietario dei boschi e dello stabile, aveva deciso di abbattere le vecchie mura. Richiesto di una perizia tramite i parenti della futura moglie Angela Magnoni di Carnago, e recatosi nella chiesina, scoprì sotto gli intonaci incendiati uno stupendo ciclo di affreschi del VIII secolo e scongiurata la demolizione affidò alle cure della sovrintendenza un così cospicuo patrimonio artistico poi pienamente valorizzato dallo studioso Bognetti. Mosè Turri sempre legato ai temi d'arte sacra, alla ritrattistica ed alla rappresentazione di nature morte, continua ancor oggi, anche se non più sulle volte delle chiese, la sua produzione, sempre preciso nel gesto ed attento alle forme del suo manierismo moderno . Tra i cittadini illustri Legnano può certamente annoverare una famiglia di artigiani costruttori di organi da chiesa, famiglia che operò per più di cento anni dal 1770 al 1896, producendo strumenti di una musicalità squisita. Legnano li ha oggi dimenticati, anche se alcune loro opere nelle domeniche di festa allietano i nostri animi grazie ad "un eccezionale equilibrio discriminatorio nella definizione delle personalità foniche dei singoli registri. Il loro ripieno infatti si fonda su dei 'principali' che sanno contenere la loro peculiare natura robusta in modo tale da permettere alle file di 'ripieno' di estrinsecarsi liberamente nel delicato gioco degli armonici, così da creare un amalgama sonoro di cristallina trasparenza e permeato da una volontà di coesione di inimitabile naturalezza". (Stella e Vinay, I Carrera, Brescia 1973, p. 12). Questi abili artigiani pur non arrivando mai a godere di una "fama illustre" furono sinceramente ammirati e quasi invidiati da organari ben più famosi come gli Almasi, i Bianchini, i Maroni, i Boniforti, i Pedrali, i quali molto spesso non riuscivano ad ottenere organi altrettanto perfetti, anche parchè la committenza talvolta richiedeva loro collocazione ed estetismi 196 neo-barocchi per gli strumenti a discapito della pulizia sonora. Oggi dei Carrera restano circa trentasei piccoli capolavori che sono sparsi per la Lombardia da Bollate a Como, a Milano, a Varese, a Saronno. Anche. a Legnano se ne conservano nella chiesa di S. Ambrogio, nel Santuario della Madonna delle Grazie, nella chiesa della Purificazione della Beata Vergine, unitamente ad un pregevole accrescimento dell'antico organo Antegnati in S. Magno. Tutte queste delicate creazioni richiedono oggi seri provvedimenti di restauro, in quanto non hanno goduto di manutenzione per troppi anni. GIOVANNI MARIA CARRERA (1750-1818) -- Nato da Stefano Carrera e Giovanna Montola, a Canegrate, si trasferì con la fabbrica, dopo il 1790, a Legnano, dove iniziò a formare quella bottega di organari che operò per oltre un secolo. Di lui si conoscono poche note biografiche; è tuttavia il vero fondatore della casa organaria. GEROLAMO CARRERA (1796-1863) Nipote del capostipite Giovanni Maria, venne iniziato ai segreti della bottega artigiana alla morte dello zio e continuò, aiutato dai fratelli Giuseppe e Stefano Carrera, le tradizioni costruttive della famiglia. Egli arricchì con severo spirito critico l'arte dei Carrera, profondendovi la cultura acquisita nei suoi viaggi di studio in Italia ed all'estero. La caratteristica di "bottega d'arte" con lui emerge senza superbie personali ed i lavori vengono firmati sempre "Fratelli Carrera" proprio per rimarcare la preziosa opera di collaborazione esistente all'interno della famiglia. ANTONIO DE SIMONI CARRERA (1826-1896) Ultimo della famiglia Carrera ad occuparsi di quest'arte difficile e sottile, era nipote di Gerolamo. Nativo di Cerano venne presso gli zii ad apprendere i segreti del mestiere. Di segreti doveva trattarsi, stando ad uno scritto dell'organario Luigi Bernasconi che in occasione di un preventivo di restauro per l'organo prepositurale di Parabiago affermava: "l'intonazione e l'accordatura saranno eseguite in modo da lasciare inalterata l'intonazione propria degli strumenti Carrera ". A questo proposito la ditta Bernasconi faceva notare che essa sola possedeva il segreto per riuscire a questo risultato, segreto trasmessole volontariamente e spontaneamente dall'ultimo proprietario della ditta Carrera, il compianto Antonio De Simoni Carrera. (lettera dell'8-8-1912 al Prevosto di Parabiago - Arc. parr.). E' come si fosse chiuso un velo di silenzio sugli antichi strumenti lasciatici. 197 Chissà se le nostre orecchie moderne saranno ancora capaci di cogliere il profondo segreto nascosto nelle armonie che dalle antiche canne escono riempiendo le volte delle nostre chiese! Tra i successori di Giovanni da Legnano una trattazione particolare merita quel gruppo di discendenti conosciuti come Editori da Legnano, i quali, in un certo senso, rappresentano una continuità del giurista e scrittore, come diffusori di cultura. Si sa che Giovanni, oltre che docente, fu sensibile mecenate ed ebbe la preoccupazione di perpetuare anche dopo la sua morte l'attenzione verso studenti poveri che desideravano intraprendere gli studi in diritto canonico o civile, in scienze e in medicina, in particolare privilegiando dapprima studenti di Bologna, poi di Legnano e, in mancanza, di Milano e quindi dovunque residenti, parchè capaci e poveri. Si è già osservato come la parte del testamento che dispone un lascito a detti scopi avesse una singolare analogia con quella di un altro personaggio vissuto a Legnano, Bonvesin de la Riva, il quale con Giovanni può essere considerato tra i precursori dell'istituto delle borse di studio. Tutto ciò comprova anche l'attaccamento di Giovanni alla sua terra d'origine, Legnano. Infatti, trasferendosi a Bologna, volle aggiungere al suo cognome Oldrendi l'indicazione da Legnano, con la quale fu poi universalmente conosciuto. E questa denominazione rimase anche ai suoi successori legnanesi, mentre i suoi discendenti di Bologna si chiamarono, trasformando il cognome, Legnani. Il gruppo degli editori ebbe come capostipite un omonimo del nostro Giovanni. Derivò da un ramo collaterale del fratello Bianco e dal di lui figlio Contolo, nonno appunto del primo degli editori, figlio di Giacominone. Giovanni, che chiameremo editore da Legnano, per distinguerlo dal suo avo, diede un grande impulso alla cultura attraverso una copiosa serie di pubblicazioni, in particolare diffuse nel Ducato milanese. Questi testi ebbero notevole importanza parchè si inserirono in uno dei periodi storici, in cui maggiormente avvennero sconvolgimenti, mutamenti ed innovazioni nel campo del pensiero, nella sfera della morale, nella conoscenza del mondo, tanto in senso geografico che in senso fisico-naturalistico. Non si dimentichi neppure che l'editore da Legnano visse ed operò nel primo periodo di splendore rinascimentale che, nel campo dell'editoria ebbe un notevole impulso con l'invenzione di Gutemberg. al quale si deve l'introduzione della stampa con lettere mobili fuse in metallo. 198 Giovanni editore iniziò ad operare appunto pochi anni dopo la morte del grande tipografo tedesco. Come il suo grande avo giureconsulto, Giovanni da Legnano, e i suoi figli dopo di lui, esplicarono l'importante ruolo di far stampare e diffondere le opere librarie nel Ducato di Milano, trovando negli Sforza illuminati promotori e mecenati, e quindi diramando in tutto il mondo, nel campo della cultura, il nome del paese che diede loro i natali. La data del 23 ottobre 1480, costituisce un riferimento importante per Legnano, parchè in tale giorno uscì il primo libro fatto pubblicare da Giovanni editore, il primo di una lunga serie, che si potrarrà per 45 anni. Si tratta di un'opera impegnativa destinata comunque alla elite culturale di quei tempi, le Historiae Romanae decades di Tito Livio, fatte stampare dal tipografo Antonio Zarotto di Milano, con il quale il da Legnano iniziò così una lunga collaborazione interrotta soltanto nel 1487, quando decise di dedicare la sua attività di editore anche al suo omonimo ascendente Giovanni da Legnano, pubblicando il De represaliis, bello et duello cum additionibus. Questo volume fu stampato da Cristoforo de' Cani di Pavia, forse parchè essendo opera di giurisprudenza da destinare in particolare all'Università pavese, l'editore aveva ceduto a qualche condizionamento locale. Nello stesso anno un'altra opera del giurista fu edita dai da Legnano, il De duello, stampata nuovamente a Milano, ma presso l'editore tedesco Ulrico Scinzenzeler, d'ora in poi preferito, insieme ad altri stampatori, da Zarotto. Si nota che la produzione del Da Legnano, e successivamente dei figli, si indirizzava a Pavia ed ad altre località, quando si trattava di pubblicare opere di diritto, mentre si rivolgeva a tipografi milanesi per quelle opere a carattere religioso, storico e divulgativo (queste ultime scritte per lo più in volgare) così come per volumi di letteratura latina, di filosofia e di grammatica. La scelta evidentemente era dettata anche da ragioni commerciali e dai collegamenti che l'editore legnanese aveva con la corte ducale. I da Legnano erano sempre consci del loro ruolo di diffusori di cultura e curavano minuziosamente i volumi, cosa essenziale in quell'epoca meravigliosa del Rinascimento milanese, anche per una fastidiosa concorrenza da parte di altri editori spesso in gara col tempo pur di far uscire prima un'opera che si sapeva fosse in preparazione presso un'altra impresa editoriale. Uno dei tanti esempi è costituito dai Fasti di Ovidio. I tipografi Pachel e Scinzenzeler riuscirono infatti a battere nel tempo il da Legnano facendo uscire una loro edizione della stessa opera diciannove giorni prima, esattamente il 26 maggio 1483. 199 Ciò, nonostante le opere dell'editore da Legnano trovavano ugualmente una preferenza parchè molto curate con l'intervento frequente anche dello stesso editore nell'incipit e nella praefatio. Egli, colto e conoscitore dei classici, realizzò alcune opere col Filelfo e con altri noti lettori accademici che andavano per la maggiore a quei tempi Sempre come uomo di cultura il da Legnano aveva una propria organizzazione per lo smercio delle opere, una bottega con la stessa insegna della sigla libraria: un angelo ritto che regge in mano un medaglione tondo contenente al centro un monogramma di Cristo circondato dall'orifiamma lombarda, che si riscontra in alcune decorazioni di costruzioni rinascimentali lombarde. Anche a Legnano, ad esempio, la palazzina-maniero dei Lampugnani, oggi sede del museo civico, contiene appunto questo oramento all'esterno e nelle pareti interne dell'edificio. Benché proprietari di un'officina calcografica situata in San Michele al Gallo a Milano i da Legnano non stampavano in proprio, ma curavano personalmente la vendita dei libri (non solo i loro, ma anche quelli inviati da altri centri di cultura italiana) appunto nella bottega sopra accennata che si trovava in località Broleto Novo. Che il da Legnano fosse considerato tra i fornitori ufficiali del Ducato di Milano è provato dall'intervento dello stesso duca il quale lo agevolava nella diffusione delle opere di sua edizione, e per il trasporto nelle altre città poste sotto il dominio della Signoria. Già Galeazzo maria Sforza nel 1494 invio' un messaggio personale al suo oratore personale a Venezia Thadeo Vincemala per renderlo edotto che Jhannes Legnani, mercadante et cartharo milanese nostro deve portare balle due libri de Venetia, invitandolo a rendergli facili i movimenti di trasporto ( Registro Missive Ducali in Archivio di Stato Milano, n. 154, 114-115, 8 settembre 1494.) Nello stesso giorno il Duca fa partire per il Doge di Venezia un messaggio personale con il quale chiede le medesime facilitazioni (Registro Missive Ducali in Milano n. 154 1°, p. 116, 8 settembre 1494). Con questi appoggi l'opera editoriale e di divulgazione libraria dei Da Legnano ebbe il massimo fulgore e una rapidissima evoluzione. la bottega con l'insegna dell'Angelo era a Milano un punto di riferimento quasi obbligato e le opere dei Da Legnano non richiedevano eccessiva propaganda come erano costretti a fare invece altri editori. Come curiosità citeremo quanto si leggeva sul frontespizio della Historia de la Rotta e presa del Moro, edito da un concorrente milanese, cioè' un richiamo sul frontespizio, che, accennava all'utile da ricavare per la vendita del libro, rivolto al lettore: "Voi havete la storia e mi tiro il quatrino". Giovanni da Legnano operò, ininterrottamente, e con il successo che si e' detto, per circa un ventennio prima di interrompere bruscamente l'attivita', 200 nel 1502, (secondo un'ipotesi formulata da Guido Sutermeister che agli editori da Legnano ha dedicato uno studio approfondito, in quanto colpito da una grave malattia (Guido Sutermeister, (Gli editori da Legnano, Societa' Arte e Storia Legnano, 1946 e, stesso autore, Memorie n. 12 1948 - Societa' e Arte e Storia di Legnano). Non e' da escludersi neppure che questa improvvisa battuta d'arresto delle edizioni dei da Legnano sia dovuta anche alle vicissitudini che ebbe la Signoria Sforzesca in quel periodo. Luigi XII, nel 1500, conquisto', il Ducato, come si sa, e lo tenne fino al 1511, quando l'esercito della Lega Santa costrinse il monarca francese a rinunciare a Milano e al Veneto e, dopo la battaglia di Novara (1513), a tornarsene in Francia. Con la scomparsa di Giovanni da Legnano dalla scena editoriale lombarda non si fermo' la produzione, in quanto gli subentrarono nell'importante azienda i figli Giovanni Giacomo, Bernardino e Giovanni Antonio. Costoro, sotto il nome Fratelli da Legnano, con rinnovato vigore ripresero la produzione tipografica che prosegui fino al 1525 realizzando, in questo arco di tempo, 240 opere che si aggiunsero alle 118 del padre. I nuovi conduttori dell'azienda dovettero pero', adeguarsi ai movimenti politici verificatisi in Milano, nei primi anni del XVI secolo. I fratelli da Legnano entrarono nella scena editoriale, ideando un'opera di grande richiamo per quei tempi, in cui i fasti degli Sforza stavano decadendo con la prepotente conquista del Ducato da parte di Luigi XII. Sfruttando il momento psicologicamente favorevole per i cultori del passato e, in genere, per il colto pubblico milanese, decisero di stampare la prima Historia di Milano, scritta da Bernardino Corio nel 1499, curandola in modo particolare nella presentazione, nelle tavole di grandi e pregevoli silografie e nel frontespizio. L'opera ebbe il successo sperato. Le mutate condizioni politiche ed anche una certa crisi economica che caratterizzo' il primo ventennio del secolo, consigliarono ai da Legnano di diversificare le loro edizioni. Accanto ad opere di classici latini e greci, tradotti e commentati con la collaborazione di eminenti umanisti del tempo come Valla Poliziano, Merula e Filelfo (quest'ultimo già' utilizzato dal padre), i fratelli da Legnano stamparono una lunga serie di libri a carattere giuridico. C'e' da osservare che dei tre fratelli, Giovanni Giacomo, che aveva ereditato dal padre una vasta cultura umanistica, si era dedicato allo studio delle opere del suo antenato e omonimo Giovanni da Legnano. La produzione editoriale pertanto si fece intensa in questo particolare settore, alternata comunque ad opere di carattere popolare e divulgativo, ivi compresi romanzi cavallereschi, resoconti di viaggi e di leggende agiografiche, nonche' edizioni di autori in volgare, dal Petrarca a Cecco d'Ascoli all'Ariosto. Scorrendo le schede dell'intera produzione 201 dei da Legnano raccolte e pubblicate da Cesare Gallazzi, nel quinto centenario della stampa del loro primo libro, (Cesare Gallazzi L'editoria milanese nel primo cinquantennio della stampa: I "da Legnano " [1480-1525], Busto Arsizio 1980), troviamo, tra le diverse opere giuridiche, sette incunabuli con scritti del giurista Giovanni da Legnano. Ed esattamente: una riedizione del De bello (1503); poi ancora il De duello (inserito nel Tractatus de re militari ubi est tota materia duelli, a cura di Paride Dal Pozzo) stampato con data 1508 e uscito in ulteriori edizioni l'anno successivo e nel 1515 insieme ad un trattato di Bartolomeo Cepolla e Antonio Corsetti il Tractatus de pluritate beneficiorum (1515) ed infine il De ecclesiastico Interdicto. Una delle opere piu' pregevoli dei fratelli da Legnano e' il Messale Ambrosiano, uno splendido incunabulo in pergamena con belle silografie a piena pagina. Le illustrazioni sacre, come la stessa figura del Crocefisso, contenute nel Messale, dimostrarono come fosse mutata l'immagine e come si fosse verificata una evoluzione dalle forme legate all'arte medievale, con reminiscenze ancora gotiche e bizantine, a forme rinascimentali sempre piu' nuove. Questa edizione era stata fatta stampare nel 1522 dal prevosto Francesco Crespi de Robertis, primo rettore della chiesa di Santa Maria di Busto Arsizio, allora appena finita di costruire. C'e' da ritenere che i fratelli Legnani avessero assunto l'esecuzione di quest'opera di grande impegno per una ragione spirituale basata sui vicendevoli legami con Legnano e lo stesso prevosto di Santa Maria. E' anche noto infatti che i Bustesi avevano costruito la chiesa di Santa Maria sul disegno di quella bramanteggiante di San Magno a Legnano, finita appena cinque anni prima. Entrambe le basiliche restano testimonianze rinascimentali di grande valore architettonico. Ma il fulgore e l'opulenza del Rinascimento lombardo si placarono e, a partire dagli anni Venti del XVI secolo, anche l'attivita' dei da Legnano decrebbe gradatamente, fino a spegnersi nel periodo, in cui imperversava in tutta la Lombardia la terribile peste. Il canto del cigno dei fratelli da Legnano si ebbe nel 1524 con la pubblicazione di una grande opera in terza edizione assoluta, l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Questo capolavoro della letteratura di tutti i tempi, non tenendo conto di altre tre pubblicazioni uscite, due nel 1525 ed una nel 1533, segno' cosi' la fine della produzione libraria degli editori da Legnano, ripresa successivamente da alcuni discendenti dei diversi rami della famiglia, che operarono in Milano col medesimo nome, ma non piu' con la caratteristica insegna dell'Angelo. Questo ritiro dei da Legnano, dovuto alla situazione precaria dell'intero Ducato milanese e di altre Signorie nell'Italia Settentrionale, chiuse anche 202 un'epoca aurea dell'editoria rinascimentale. I da Legnano, nella loro dotta attivita' e nella scelta delle opere da stampare, avevano abbracciato ogni espressione e manifestazione di tutto lo scibile di autori coevi e non, da opere popolari di primario interesse, fino a quelle di formazione umanistica, di filosofia (con particolare preferenza agli argomenti giuridici anche in omaggio al loro noto avo), nonche' a quelle della grande letteratura. La scelta era stata fatta secondo le condizioni politiche e l'ambiente socio culturale, religioso in cui i libri dovevano essere diffusi. Percio' a queste opere già' di per se' di grande interesse, si deve attribuire anche la caratteristica di fedeli specchi del tempo, un compito storico di testimonianza nella evoluzione della stampa, un valore estetico ed anche un sustrato etnografico. Infatti, tra le edizioni pregevoli i da Legnano avevano inserito, anche negli ultimi tempi, una quarantina di volumi in volgare, di impostazione e veste economica popolare, proprio perche' intendevano essere diffusori di cultura a tutti i livelli. Certamente la produzione editoriale dei da Legnano era coincisa con il primo periodo della silografia nel XV secolo e con lo splendore dell'arte e della cultura illustrativa di Leonardo e Bramante. Le edizioni dei da Legnano restano nella storia dell'editoria forme compiute ed elette del Rinascimento, servendosi i Nostri dei grandi maestri silografi, miniatori ed incisori milanesi, mantovani, pavesi e bresciani. I da Legnano avevano saputo sfruttare assai abilmente l'arte illustrativa, specie nel primo periodo della loro opera di divulgazione della cultura. Nel Quattrocento il libro, pur conservando, come e' naturale, le reminiscenze del codice miniato, aveva subito una crisi originaria per l'impossibilita' tecnica, tra l'altro, di usare nella stampa il colore, per cui, verso la fine del secolo, proprio quando i da Legnano erano sulla cresta dell'onda, si delineo' la tendenza a creare il libro illustrato o, perlomeno, decorato, che si affermo' e si impose appunto a incominciare dal Cinquecento. Come siamo debitori all'Alto Medioevo e al XIV secolo dell'ansia di cultura giuridica, filosofica, scientifica e naturalistica che Giovanni da Legnano ha saputo esprimere in tutta la sua illuminata arte di giurista e di scrittore, cosi siamo in gran parte debitori al Rinascimento anche di quelle meraviglie di arte editoriale ed insieme figurativa che ci sono state tramandate proprio attraverso la ricca e varia produzione degli editori da Legnano. 203 Il fiume OLONA Qualche breve notizia per non dimenticar questo nostro fiume. Il perche' del nome Olona, il suo corso e l'importanza che riveste ancor oggi questo fiume per la nstra citta'... Impariamo a conoscerlo ed apprezzarlo. Un corso d'acqua e' certamente un elemento importante nell'economia di un territorio. Si pensi a questo riguardo a quante volte abbiamo sentito affermare, ad esempio, che "l'Egitto e' dono del Nilo" o, passando in rassegna Coitta' d'Italia e d'Europa, possiamo constatare come la maggior parte delle piu' importanti capitali siano sorte proprio lungo e sponde di un fiume. Anche nel caso dell'Olona, seppure in maniera meno accatante rispetto agli esempi sopra citati, non si puo' prescindere o negare il ruolo assunto da questo fiume nel nostro territorio. Sull'importanza che senza dubbio, ha rivestito questo corso d'acqua nella nostra zona si puo' ricordare che, fin dalle epoche piu' antiche, il letto di questo fiume fu affiancato da strade che mettevano in collegamento Milano e la terra elvetica, e che, per quanto ci riguarda da piu' vicino, le sponde del fiume furono anche la zona dei primissimi insediamenti di legnano. Esaminando infatti i siti di questi ultimi insediamenti - alcuni databili a partire dal XIII - XII sec. a.c. - e' possibile rilevare che parte di essi sono stati rinvenuti proprio nei pressi del fiume (in localita' "Gainella", l'attuale Gabinella"). Il corso del fiume L'olona e' un fiume prealpino: nasce infatti sopra Varese, in una localita' poco al di sopra di Rasa. Dopo aver aggirato Varese si snoda in piu' rami nella valle che prende il nome proprio dal suddetto fiume, la valle Olona. Nel territorio del legnanese - se la portata del fiume - anche se a Castellanza i rami si riuniscon in un unico letto - e' ridotta e il flusso si rivela piu' lento a causa della mancanza di affluenti. Parecchi sono i borghi e le cittadine che devono il proprio toponimo alla vicinaza di questo fiume (ad esempio castiglione Olona, Olgiate Olona, San Vittore Olona). Il suo percorso di una settantina di chilometri attraversa quattro province 204 (VA,CO,MI, PV) prima di immettersi nel Po,(2) a San Zenone. L'etimologia del nome Olona e' incerta. La prima attestazione che abbiamo risale all'Anonimo Ravennate, geografo della prima meta' del VIII secolo, che nomina il nostro fiume con il nome "Olona", diventato nei secoli successivi "Oronna", "Ollona",e, infine "Olona". Altri hanno voluto scorgere nel nome una radice indoeuropea indicante, in genere, il verbo scorrere. Probabilmente l'ipotesi piu' accreditata e' quella che accosta il nome ad una radice di origine celtica. I primi abitanti di queste terre - i galli Celti avrebbero, in linea di massima, usando la radice (*ol) per indicare il concetto espresso dal nostro aggettivo "grande". Il fatto che il nome OLONA sembri essere traducibile come il fiume "grande" e' da mettere in relazione alle diverse condizioni del fiume rispetto ai giorni nostri. Il fiume, in passato, sarebbe stato piu' lungo dell'attuale e avrebbe avuto sia una maggiore portata d'acqua sia maggior importanza rispetto agli altri cosrsi d'acqua del primo tratto del territorio in cui scorre l'Olona. Infatti, nonostante vi siano altri ruscelli e fiumiciattoli nella zona ( ad esempio il Lura, Bozzente e Strona) nessuno di questi avrebbe potuto essere classificato come fiume al pari dell'Olona. Oltre a tutti i centri abitanti che la presenza del fiume ha catalizzato lungo tutto il suo percorso e' innegabile che anche nel Legnanese l'Olona abbia rappresentato uno dei fattori che hanno permesso lo sviluppo agricolo-industriale che il nostro territorio ha raggiunto nel corso dei secoli. Infatti mediante opere di canalizzazione, l'agricoltura si e' sviluppata notevolmente in tutta la nostra zona e, successivamente alla Rivoluzione Industriale numerose attivita' produttive industriali si sono insediate vicino all'Olona. Infatti alla fine dell'ottocento, secondo alcuni dati, lungo le sponde del fiume si potevano registrare circa centrenta fabbriche - per la maggior parte 2 C'e' chi dice che il fiume si perde nelle fognature di Milano e non e' piu' possibile rintracciarlo. 205 filande e tessiture - e un centinaio di mulini (numero comunque notevolmente inferiore rispetto ai secoli precerdenti). In Legnano alla meta' del nostro secolo si potevano registrare, al fianco del corso dell'acqua, ancora tre mulini ( due dei quali situati in localita' Gabinella) e, soprattutto, un cospicuo numero di industrie la cui fama varcava oltre i confini d'Italia (valgavano per tutto il complesso industriale Bernocchi e il cotonificio dell'Acqua). Andando a ritroso con la memoria parecchi di noi, probabilmente,conservano qualche immagine del fiume Olona che non corrisponde piu' a quella che, in realta', vediamo ogni giorno. Forse questi ricordi dell'Olona che fu sono collegati a certe stagioni dell'anno o a particolari condizioni atnosferiche. I bagni nel fiume allietarono l'estate a quanti non potevano permettersi una vacanza in una localita' di villeggiatura mentre nei periodi di intense pioggie, la presenza del fiume fu vissuta, in particolare da coloro che abitavano nelle immediate adiacenze, come una minaccia costante alle proprie abitazioni (memorabile a questo proposito fu l'inondazione del 1917). Anche se oggi, il verificarsi di simili episodi e' assai improbabile - e per quanto riguarda il primo esempio, allo stato odierno delle cose, sicuramente impossibile non si deve dimenticare la presenza di questo fiume all'interno della nostra citta' e della nostra zona ed auspicare una ritrovata importanza, se ormai non piu' sul fronte economico sicuramente per il suo valore ambientale e sociale. Certamente i lavori che i comuni - in unione con le Amministrazioni Provinciali e con i fondi della Regione Lombardia - hanno intrappreso per tentare di procedere ad un'opera di depurazione e di risanamento delle acque ( in linea con le normative ecologiche italiane ed europee) non sara' impresa facile ma i numerosi Consorzi sorti in tutto il teriitorio interessato lasciano ben sperare in tal senso. 206 L'Olona Imparare la storia -- ha scritto e ribadito Riccardo Bacchelli -- vuol dire risorgere dai terreni e dalle acque, dalle pietre costruite e dalle parole legate agli uomini, parchè di quello che è veramente storico il popolo serba una sua memoria". Sono parole dettate dalla meditazione sul Po, sulla sua storia intrisa di leggende, al cui confronto un fiume come l'Olona si mette in una posizione di inferiorità, anche se, nel suo capriccioso andare attraverso le terre, ha raccolto sulle sue sponde i segni di una palpitante realtà caratterizzando con la sua presenza la vita di borghi e citta', perché' l'uomo, anche quando ritiene di aver dominato un corso d'acqua, finisce sempre per avvertirne il fascino, fino a piegarsi ai suoi voleri. Percio', in una zona fortemente industrializzata quale è quella di Legnano, rilanciare l'attenzione allo snodarsi di un corso d'acqua, riannodare le fila del racconto al suo lento e limaccioso scorrere nella pianura, significa quasi reimmergersi come in un grembo materno, risalire alle vicende degli uomini legati ai suoi bordi, coi limiti che l'andare a ritroso puo' creare, nel rilanciare ricordi, ripescare sapori, interpretare bandi, decifrare memoriali vecchi di secoli testimoni di diritti conculcati, di norme sopite, ma non distrutte. Vengono in mente certi racconti di Chiara e avventure di Quilici, autori pronti ad evocare fantasie sedimentate col trascorrere degli anni, fino a far credere di aver visto o vissuto quello che forse non c'era. La passione di chi e' nato e vissuto sulle rive del fiume non riesce a cristallizzare immagini di disastro ecologico e di liquame schiumoso, in cui si mescolano residui tossici o inerti, dove confluiscono le piu' svariate scorie. Meglio pensare agli antichi mulini, di alcuni dei quali esiste solo il ricordo, porgere l'orecchio a suoni strani, fluttuanti, sinfonie d'altri tempi, cui si aggancia la memoria di mole, molazze, rodigini, incastri, spazzere, nervili, ma c'e' da tendere gli orecchi: son parole d'altri tempi. Sanno di arcano, ma anche di buono, evocano immagini pregne di gnomica sapienza. Sui loro volumi scivola la fantasia a legittimare la permanenza negli scrigni del linguaggio, mentre la vista corre a pareti fuligginose, a ruote arrugginite dal tempo, a pale sbriciolate dall'usura, a travi e pontili corrosi dall'umidita', a ciuffi d'erba dalle forme strane, quasi contorte a volersi liberare da un antico servaggio. 207 Chi abbia provato, ancor giovane, ad entrare in un vecchio mulino sull'Olona, magari per pura curiosita', non puo' non aver avuto la sensazione di un luogo dove lo sviluppo non seguisse il tempo, ma l'azione si svolgesse al rallentatore. A voler andare alla ricerca di qualche traccia di tanto girar di ruote, viene incontro una brusca realta' rigata dal fischiare di altre ruote, quasi a profanare il velo ammuffito che avvolgeva nelle sue trame vecchi mulini di bacchelliano sapore, ingoiati dalla dimenticanza, come il loro descrittore, dissipati dalla memoria umana, risorgenti fantasmi dalle nebbie sprigionate dai terreni adacquati . Racchiusa la loro esistenza nel contrastare affettuoso e disperato contro l'invisibilita' del tempo, essi s'incidono coi contorni lisi nell'immaginazione, incrinano la tipologia della cronistoria pedissequa, vogliono che si riassegnino loro vite consumate dalla fatica, imprese spezzate dalla sorte, irripetibili contratti, odore di strumenti rogati tra il puzzare del villico, impregnato di farina e la curialita' della norma notarile, mentre l'acqua del fiume grida al riappropriamento della sua antica identita', a partire dal nome e giu' giu' fino alle fasi multiformi della sua intensa esistenza. Una delle abitudini piu' frequenti, a cui si sono abbandonati studiosi italiani e stranieri e' quella di porre, nelle diverse cronache, note piu' o meno lunghe, come studio sull'origine di nomi locali. E' successo di frequente che, non essendo essi in grado di conoscere il fatto, da cui il nome traeva origine, non avendo sottomano documenti relativi oppure non avendo ancora la filologia sviluppato criteri ragionati e comparativi, concludessero con ipotesi lontane dal vero. Il richiamo in tal senso e' pero' troppo forte, perché' gli si possa opporre resistenza. I nomi dei campi, dei monti, delle acque, traggono origine, nella maggior parte dei casi, dal genere dei prodotti che in essi crescevano, dalla loro configurazione, dalla loro posizione naturale, dal nome del casato del possessore, da qualche fatto celebre accaduto. Non pare aver senso comparare i nomi dei luoghi, estrapolandoli dal loro contesto geografico, perché' si legano gli uni agli altri per affinita' formali e semantiche. L'etimologia dei luoghi non e' sicura se non quando possiede una base solida nell'insieme dei nomi geografici di una determinata regione. Siamo naturalmente nel campo della congettura, concepita come strumento utile per puntellare un racconto, in cui la sequenza dei forse, sembra, probabilmente, e' incerto, non vuole essere una regola assoluta, anche se il ricorso ad essi puo', far ricordare, per analogia, lo scanzonato scrittore B.W. Henderson di The life art Principate of the Emperor Hadrian, (A.D. 76-138). In essa lo scrittore britannico, dovendo prendere posizione 208 di fronte alle diatribe sorte sugli itinerari seguiti dall'imperatore Adriano nei suoi viaggi in Grecia e in Asia Minore, dichiarava di essere costretto a infiorare le sue pagine di tanti probabilmente quanti erano i paracarri delle strade, sulle quali l'imperatore romano era passato. Poiche' nel nostro caso l'etimologia riguarda il fiume Olona, forse non e' fuori luogo azzardarsi a dire che dal greco oros deriva quel nome che i nostri contadini chiamavano, in dialetto legnanese Urona e in quello bustocco Uona col dileguo completo della "l" dopo la riduzione della "r" a una vibrazione laterale della lingua, fino a porsi vicina alla "l" (Marinoni, Convergenze e divergenze linguistiche fra Legnano e Busto Arsizio in Legnano, n. 3, 1955 Se vogliamo seguire l'Olivieri (Dizionario di toponomastica lombarda) possiamo risalire all'Olona dell'Anonimo Ravennate, il geografo vissuto nella prima meta' del sec. VIII, mentre il Giulini (Op. cit. , III, p. 343) accenna all'Orona che, formatasi da alcune fonti vicine a Varese, si allunga fino a Milano, ove prende il nome di "Vepra" o "Vedra" finche', arrivata in prossimita' della basilica di S. Lorenzo, ricevute le acque del Nerone e del Seviso, cambia il nome in quello di "Vitabile" o "Vetabile" corrotto poi in "Vitalia" e "Vecchiabbia", tocca S. Siro, detto nei documenti ad Vepram o ad Vebriam; e piega a sud, scorrendo a ovest della citta', in prossimita' della chiesa di S. Pietro in Sala fino a lambire la "Cassina de Tavernis". Si tratta di notizie, come dichiara lo stesso autore, tratte da Galvano Fiamma (Chronicon Extravagans, c. 54). Giunto al punto indicato, l'Olona subiva una contraffazione in "Oleunda" (Giulini, Op. cit., II, p. 183), da un mulino che sorgeva sulle sue rive, il che finirebbe per distruggere la derivazione dal greco, ma l'autore milanese non poteva fare a meno di pensare al monastero di "Aurona", evidente contraffazione di "Orona". Tale monastero era stato fondato verso la meta' del sec. VIII da Aurona o Orona, sorella di un vescovo chiamato Teodoro, che li volle essere sepolto (I, p. 310). Del resto un Olone, comandante di Childeberto, re dei Franchi e' ricordato da Gregorio di Tours, che lo fa morire nell'assedio di Bellinzona, nel sec. VI, e che e' probabilmente lo stesso Ollone, conte di Bourges, di cui si narra al libro VII, cap. 38 e 42 delle Historiae. Sebbene il fiume anticamente abbia avuto un percorso piu' lungo dell'attuale, si potrebbe pensare, dati i riferimenti continui ad esso fatti, nella denominazione medioevale, che il nome abbia attinenza colla radice celtica ol con equivalenza magnus, validus supposta dal D'Arbois nelle ricerche sui nomi di luogo (Recherches sur l'origine de la propriete' fonciere et des noms de lieu). 209 Percorso del Fiume Il fiume Olona nasce a monte dell'abitato della Rasa di Varese, a m. 549 circa d'altezza, ed e' formato da sei sorgenti, di cui le piu' importanti sono tre: la prima, a m. 650 sul livello del mare, compresa tra il monte Pizzello e il monte Legnone; la seconda di maggior rilievo, che nasce in localita' "Fornace di Riana", la terza, che sorge a ovest dell'abitato della Rasa. Le prime due sorgenti si uniscono a monte della medesima frazione, mentre la terza confluisce piu' a Sud. A circa 5 km. dalle sorgenti del ramo ovest, a valle dell'abitato di Bregazzana, un altro ramo detto "Margorabbia" e' pure considerato parte integrante dell'Olona. Dopo qualche chilometro il fiume riceve, come affluente di destra, il torrente Velone e, piu' a valle, la Bevera, che nasce sotto il monte Orsa, in prossimita' di Viggiu'. Piu' a valle, vicino alla localita' "Folla", da sinistra si getta nell'Olona il torrente Lanza, mentre, in Comune di Vedano, confluisce il torrente Quadronna; in territorio di Castiglione e da destra arriva la Selvagna, in Comune di Lozza. Dirigendosi verso la pianura, il corso dell'Olona si divide in alcuni canali industriali, derivazioni varie utili per l'irrigazione, confluendo poi in un unico letto, prima di Castellanza. Il canale piu' importante, fino ad alcuni anni fa, era quello che prendeva nome dall'avv. Diotti il quale ottenne dal Consorzio di immettere nel fiume nuove acque, per riestrarle a Castellanza, dopo una lunga opposizione esercitata dagli utenti e conclusa, nel 1862, col pagamento di L. 61493,93 da parte dei successori del Diotti, al Consorzio stesso. Ora il cavo e' stato interrato e non serve piu' ad irrigare i campi privati che si estendevano a valle del canale Villoresi fino al Comune di Pero e consentivano al loro proprietario una facile irrigazione, grazie alla deviazione di una derivazione d'acque dai propri fondi in un affluente dell'Olona, salvo a ricorrere piu' a valle all'estrazione della medesima quantita', a suo beneficio . Da Legnano il fiume Olona correva fino a Rho e riceveva dalla sinistra il torrente Bozzente, visto dai contadini della zona come delizia per la possibilita' di irrigazione offerta, ma come croce per le inondazioni periodiche causate alle terre percorse, alle quali arrivava, unendosi alle acque del Gardaluso detto anche "Bozzentino", provenendo da S. Martino, per toccare Cislago, Gerenzano e Uboldo. Si cerco' di porre rimedio ai danni provocati con la costituzione, nel 1604, del cavo Borromeo, che servi' da diversione di tutto il Bozzente dal suo antico alveo, per mezzo di una grandiosa chiusa a S. Martino, un vero e proprio 210 capolavoro di ingegneria atto ad evitare i traboccamenti, anche se il successivo disboscamento prodottosi per circa centocinquant'anni aumento' il "precipizio" delle acque fluviali sino a quando, nel 1757, unitisi al Bozzente i torrenti del Gardaluso e del Fontanile di Tradate, fecero dannose irruzioni nei fondi e nei caseggiati di Barbaiana e di Rho. Anticamente il fiume si dirigeva verso Binasco e ricostruire il suo corso da Lucernate fin qui, e' impresa ardua. Il tentativo fu affrontato dal Poggi (Le fognature di Milano. Rapporto dell'Ufficio tecnico all'on. Giunta Municipale su studi e lavori relativi a la fognatura cittadina dal 1868 al 1910, Milano 1911, pp. 171-174). Studiate le caratteristiche geografiche del territorio e l'alveo di alcune rogge, egli formulo' l'ipotesi che, da Lucernate, l'Olona toccasse Cascina Olona, si insinuasse tra Settimo e Quinto, lambisse la zona est di Baggio, bagnasse Cesano Boscone, Corsico, Assago, Pontelungo, Lardirago, Vistarino, Coreleone, sfociando a S. Zenone, nel Po. Dati Tecnici Lunghezza totale del fiume m. 71555 Lunghezza del tratto dalla Rasa a Malnate m. 3769 Lunghezza del tratto da Castellanza a Nerviano m. 12190 Lunghezza del tratto da Nerviano a Porta Ticinese m. 23575 Larghezza m. 9 Portata d'acqua al minuto secondo, misurata all'igrometro di Castellanza, secondo i dati del 1972: minima lt. 50 al secondo massima lt. 48 100 al secondo Superficie irrigata nel 1608 (Catasto Barca) 10801 Superficie irrigata nel 1801 (Catasto Perego) 16120 Superficie irrigata nel 1877 (Catasto Villoresi) Rodigini nel 1608 n. 448 Rodigini nel 1801 n. 424 Rodigini nel 1877 n. 409 pt. pt. pt. 18687 Comuni attraversati, in provincia di Varese, Como, Milano e Pavia n. 45 Torrenti che sboccano nell'Olona: Legnone, Braschee, Valle del Forno, Valle S. Fermo, Valle del Paradiso, 211 Ronchi, Velone, Lanza, Gerre', Quadronna, Selvagna, Selvagnetta, Riale, Marubbio, Bozzone, Bozzente, Lura, Merlata, Muzza Fontane che alimentano l'Olona n. 20 Bocche ordinarie d'irrigazione n. 235 Bocche privilegiate n. 30 Bocche libere n. 15 Mulini sul fiume, nel 1606 (Relazione Barca) n. 459 Mulini sul fiume, nel 1772 (Relazione Raggi) n. 438 Terreni irrigati nel 1608: pertiche metriche n. 7108 Terreni irrigati nel 1801: pertiche metriche . n. 10396 Terreni irrigati nel 1878: pertiche metriche n. 12231 industrie sul fiume, nel 1881 n. 129 Importanza economica La necessita' di affrontare un arco cronologico ampio, in cui collocare l'importanza economica che il fiume ha avuto, di fronte alla frammentarieta' della documentazione disponibile, non deve forzatamente portare a ritroso nel tempo, per rintracciare la data piu' antica alla quale far risalire i primi cenni sulla necessita' di affrontare un arco cronologico ampio, in cui collocare l'importanza economica che il fiume ha avuto, di fronte alla frammentarieta' della l'Olona, quasi a voler rintracciare il suo blasone. Testimonianze in tal senso comunque non mancano e da esse e' facile dedurre il ruolo che, gia' nel 1000, il fiume copriva, per il numero elevato di mulini che sorgevano sulle sue sponde e a cui gli abitanti della nostra zona andavano per la macina dei cereali. Per la puntualizzazione puo' servire una carta libelli conservata in A. S.M. , n. 36, Museo Diplomatico, datata gennaio 1153 - Milano. Secondo il contenuto della pergamena, Ugo detto "Sgantio" e Giovanni detto "Mannio" davano in affitto perpetuo ad Ambrogio Oldani sette appezzamenti di terreno nella localita' di "Garbaniate Marcio", oggi scomparsa, ma ragguagliabile alla periferia di Settimo Milanese, presso il fiume Olona. L'affitto da pagarsi a S. Martino per il fondo, era di un denaro annuo. I venditori davano inoltre garanzia al detto Ambrogio che avrebbero difeso le terre locate e avrebbero posto se stessi come fideiussori. Ne' andiamo molto lontano con un altro documento datato 6 ottobre 1153, pure conservato in A.S.M., Museo Diplomatico, n. 82. L'atto, in buon stato di conservazione, tratta di un livello perpetuo su un prato per il compenso annuo di un denaro d'argento e di una candela da pagarsi a S. Martino. Il terreno situato nella zona di Settimo risultava bagnato dall'Olona e il 212 livello nascondeva probabilmente una finta vendita. Interessante sembra anche una pergamena del maggio 1158 che, sebbene presenti piccole macchie di umidita', e' abbastanza decifrabile, se si ravviva l'inchiostro con la lampada di Wood, laddove l'usura del tempo lo permetta. In questa carta finzis et reffutationis Arialdo da Baggio rinuncia a tutte le terre possedute e site in prossimita' del ponte di Seguro, verso oriente, tranne che a due appezzamenti tenuti per se', con promessa di non acquistare altre terre sul posto, fatta ad Ambrogio detto "Guazone" di Milano il quale, a sua volta, rinuncia a tutte le proprieta' estese se dal ponte di Seguro verso mezzogiorno e verso il Merdarolo, fino all'Olona. Questo strano nome di Merdarolo suscita curiosita' e costituisce elemento di indagine per la ricostruzione del tracciato dell'Olona, in prossimita' di Milano. Si trattava probabilmente di un corso d'acqua piuttosto modesto a giudicare dall'ambito limitato, ln cui era collocato, anche se, osservando le tavolette di Zibido S. Giacomo dell'Istituto Geografico Militare, e' possibile formulare qualche osservazione, cioe' che il Merdarolo fosse un ramo morto di qualche torrente maggiore, rimasto depauperato di acque e in cui furono convogliati gli scarichi delle fogne cittadine. La fonte originaria potrebbe essere il Lura che, dai colli comensi arrivava fino a Rho, per unirsi a quella deviazione dell'Olona, che divenne Vepra; oppure il Bozzente. Se volessimo prendere in considerazione tutti gli appezzamenti di terreno solcati o lambiti dall'Olona, l'elenco si arricchirebbe di numerose "petie" bagnate a mane, a meridie o a sero dall'Olona, come si legge in una cartula libelli del 7 marzo 1158, in cui sono chiamati in causa personaggi soprannominati Ferrus, Stramadizius, Caracosa, professanti la legge longobarda, di probabile stirpe giudea, che concedono, in livello perpetuo, alla canonica di S. Ambrogio circa trenta fondi per la somma di L. 73. I sempre maggior bisogni dell'agricoltura l'utenza delle acque limitata nei tempi passati a poche famiglie nobili e a talune corporazioni, come quella degli Olivetani a Nerviano o delle Monache di S. Chiara o dei Minori Osservanti a Legnano, le spese di sorveglianza, di spurgo, di manutenzione in genere del fiume, il prelievo d'acque non sempre conforme alle disposizioni vigenti, i successivi e notevoli aumenti d'irrigazione, con tutti gli abusi connessi, che hanno finito per compromettere il pacifico godimento, la debolezza degli argini non sempre adeguatamente difesi, le violazioni del diritto di pesca, hanno indotto i diversi utenti dell'Olona a consorziarsi originariamente magari in una; forma non rigorosamente fissata, piu' regolare col passare del tempo . Una delle prime prospettive di associazione fu ventilata nel 1235. Ce ne parla Galvano Fiamma nel suo Manipulus florum, sotto la rubrica di tale anno. Il 213 cronista accenna all'esistenza di una documentazione, nell'archivio ambrosiano, di un sindacato formato dai padroni che godevano delle acque dell'Olona, per nominare un rappresentante che trattasse dei loro interessi con il Podesta' della citta'. Tra gli altri motivi in grado di produrre associazioni del tipo sopra accennato, le inondazioni furono cosi determinanti, da modificare anche il risultato di qualche conflitto militare. Per non parlare della battaglia di Legnano, cui accenna in altre pagine il prof. Marinoni, nell'ottobre 1265, quando gia' la stagione era inoltrata e i Milanesi, portatisi a Fagnano Olona si accingevano a sferrare l'attacco a Castiglione, Ottorino da Mandello e Enrico da Monza, probabilmente amici della famiglia Castiglioni, trassero ragione dall'eccessivo rigonfiamento del fiume per distogliere gli Ambrosiani dalla impresa ideata. Bisogna risalire pero' agli Statuti delle strade ed acque del contado di Milano fatti nel 1346 ed editi da Giulio Porro Lambertenghi in Miscellanea di Storia Italiana, vol. VII (Torino MDCCCXIX), perché' possiamo trovare un vero e proprio regolamento relativo alla rete stradale e alle acque che interessavano li borghi, lochi, cassine, molini e case da religiosi del contado de Milano segundo la forma de la provisione, cioe' dei provvedimenti presi da Giovanni e Luchino Visconti. Oltre a suggerire precise norme di comportamento, le disposizioni emanate dai Signori di Milano ci aiutano a ritrovare anche le tracce di alcuni corsi d'acqua come l'Horortella ultra il loco da Corsico da za dal ponte de Solcio. Ed e' veramente strano che tali Statuti siano sfuggiti all'attenzione del Giulini, nella sua Storia su Milano. Da essi comunque e' possibile rilevare, tra l'altro, modalita' e tempi di estrazione delle acque, che rimasero tali per molti anni: da l'ora del vespero de li di del sabato fine a l'ora del vespero de le vigilie de la Beata Vergine Maria, e da chaduno apostolo fine a l'ora del vespero de chadurza de le loro feste, e da l'ora del vespero de le zobia sanctafine al di de la domenica sequente pose la festa de la pascha de resurrectione del nostro Signore miser Jesu Cristo a l'ora del vespero, e da l'ora del vespero de la vigilia de la nativitate del nostro Signore miser Jesu Cristo fine a la octava pose la festa de la nativitate a l'ora' del vespero (Op, cit., p. 402). Da allora i regolamenti non sono molto cambiati per quanto riguarda la estrazione delle acque, ordinata in seguito dalle Nuove Costituzioni di Carlo V, che prevedevano il prelievo dall'origine a Canegrate, dal Vespero del sabato a quello della domenica, da Canegrate a Rho, dal Vespero della domenica a quello del lunedi; da Rho a Milano, dal Vespero del lunedi a quello del martedi, secondo il regolamento del 1881. Il Vespero corrispondeva, alla sera o al tramontare del sole, ma poi invalse 214 l'abitudine di iniziare l'irrigazione alle quattro pomeridiane, invariabilmente per tutta la stagione estiva. Dopo il varo degli Statuti ricordati si sgrano' il rosario dei privilegi e delle concessioni elargiti agli utenti di rilievo. E' del maggio 1387 un privilegio concesso ad Ambrogio Moriggia ed ai suoi figli eredi e successori, di poter erigere e tenere una chiusa nel fiume Olona ed estrarre l'acqua per irrigare le sue "possessioni" e i prati posti nel territori di Parabiago. Ne' ai Moriggia erano inferiori, per dignita', i Crivelli, a un membro della cui famiglia, il nobile Antonio, fu concesso, nel 1471, dal duca Galeazzo Maria Sforza Visconti il privilegio di poter irrigare, con le acque del fiume Olona i prati siti nella zona di Parabiago, per un giorno alla settimana. Bisogno'' arrivare pero' alle Nuove Costituzioni emanate nel 1541 in Italia dall'imperatore Carlo V, perché' la cura del fiume fosse affidata a una Commissione delle acque e poi a un membro del Senato chiamato "Conservatore del Fiume", che il 14 maggio 1575 emano' uno speciale ordinamento nella persona del Senatore Monti. Si arrivo' cosi' alla redazione del primo Catasto del fiume, secondo i rilievi eseguiti dall'ing. Barca, nel 1608. In base ad esso la R. Camera rinuncio' a diritti e pretese sulle acque del fiume, da parte degli utenti di esso, un esborso di seimila scudi. Seguirono, a partire dal 1610 fino al 1666, transazioni tra il Fisco da una parte e gli utenti del fiume Olona dall'altra, con l'obbligazione per questi ultimi di pagare la somma concordata, previa conferma e ratifica, da parte dell'imperatore, della transazione seguita dalla dichiarazione rilasciata dal Magistero Straordinario, nel 1639, dell'avvenuto pagamento. Col profilarsi della dominazione austriaca subentrata a quella spagnola nella prima meta' del Settecento in Italia, in attesa di varare efficaci provvedimenti per indurre alla piena osservanza delle leggi, alla conservazione e alla retta distribuzione delle acque del fiume, secondo l'uso pubblico e privato, le grida emanate si sprecarono. Non c'e' archivio pubblico milanese che non ne conservi qualche copia. Con esse si volle garantire la macinatura dei grani; l'innaffiamento dei prati da abusivi prelevamenti di acqua, minacciando, ln caso d'inadempimento l'otturazione indistinta di tutti gli "scannoni" e rami del fiume, per sette braccia, nello spazio di quindici giorni. Cadde proprio in questo periodo una grossa questione che vide protagonisti le Monache di S. Chiara e i Frati Osservanti di Legnano, nel 1730. In particolare, a questi ultimi era stato concesso da Galeazzo Maria Visconti Sforza, duca di Milano, per il loro convento di S. Angelo, l'uso di una roggia derivata dal fiume Olona sfruttata per comodita' anche dalle suore di S. Chiara, Senonche' i fratelli Carlo e Giulio Cesare Draghetti consoci 215 di tale privilegio, come altresi' di quello d'essi Padri Possessori di una pezza di terra prato di pertiche sette e mezza per cui passa detta roggia dopo l'uso e detti Padri, come fu accertato dal Console di Legnano, De Angeli, delegato per un accertamento, indebitamente e piu' di una volta avevano sollevato le fascine degli incastri della roggia e quindi "divertito", come continuavano a fare, corsi d'acqua, anche nei periodi proibiti dalle Nuove Costituzioni rimaste in vigore anche ai tempi della dominazione austriaca. Si determinava cosi' un grande rigurgito d'acqua, con sommo danno per il convento dei frati, i quali per non "essere pregiudicati" compivano, ma in altri punti, analoghe operazioni di diversioni d'acqua. Percio', l'utente successivo rappresentato dal monastero di S. Chiara, per diversi giorni e settimane non pote' servirsi di detta acqua, riportando danni ed essiendo costretto a sobbarcarsi l'onere di far spazzare la roggia. La vicenda si protrasse dal 1715 anno in cui furono precettati ad istanza del fisco e delle Religiose per ordine del Commissariato dell'Olona. Rivendicando motivi pretestuosi e contrari al giusto, a detta delle monache, i fratelli suddetti si opposero al precetto, in spregio alle Nuove costituzioni e agli ordini da esse promananti Tuttavia le monache avevano sempre fatto irrigare il prato in questione, sia pure a loro danno, ricorrendo, con l'Abbadessa in testa, nel 1719, al Senatore e Conservatore del fiume, Don Carlo Castiglioni. Nacquero da questo ricorso gli accertamenti disposti dal Magistrato Camerale, da cui risulti, che i Draghetti irrigavano il loro prato in "giudicio criminale". Furono percio' nuovamente precettati e a loro fu imposto che non potessero per l'avvenire direttamente o per interposta persona, in qualsiasi modo, innaffiare se non dal Vespero del sabato a quello della domenica successiva di ogni settimana. Inoltre non avrebbero potuto tenere incastri nello stesso prato, su cui scorressero le acque a pregiudizio delle monache, sotto pena di dover pagare cinquecento scudi per ogni volta e per ogni contravvenzione al R. Fisco . I Draghetti infatti dovevano "adacquare" in conformita' alle Nuove Costituzioni. Liti di questo genere erano all'ordine del giorno e si trascinavano per anni, poiche' nessuno voleva decampare dai propri diritti. L'autorita' dominante, volta a controllare la situazione, tenne gli occhi ben aperti e non esito' a valersi della collaborazione dei piu' raffinati economisti della cultura illuministica. Tra essi si distinse, per il suo contributo, Gabriele Verri, chiamato in causa per una visita fatta al fiume, nel 1772, in compagnia dell'ing. Raggi e durata ben ventidue giorni, frutto della quale fu la emanazione di un'ulteriore grida e la progettazione per il futuro Catasto consorziale elaborato dall'ing. Giuseppe Perego, nel 1801. 216 Nell'attesa che questo fosse predisposto, si ordino' a tutti i molinari di Legnano, di tenere aperte le porte e le cosiddette "spazzere" dei loro mulini, durante i giorni festivi e in quelli in cui non macinavano, perché' l'acqua avesse un libero e naturale corso. Le bocche senza la soglia di pietra o con le medesime rotte, oppure le chiuse non registrate col dovuto cappello, dovevano accomodarsi al piu' presto ed essere collaudate entro termini perentori. In base alla notevole dispersione di acqua registrata nel corso della visita a Legnano e dovuta alla mancanza dei "soratori" cioe' di strumenti atti a raccogliere e rimettere direttamente l'acqua al fiume, dopo congrua irrigazione, i Consoli di Legnano, Parabiago, Rho, nonche' gli utenti erano tenuti, entro quindici giorni, a rispettare le norme prescritte. Tutte le bocche non costruite a norma delle ordinanze del 1575 dovevano avere la soglia prevista e le porte disposte in modo che le acque non debordassero, sotto pena di pagare dieci scudi di ammenda. Tali porte inoltre non potevano essere provviste di serrature, chiavi e catenacci . I campari erano incaricati di farle togliere, in caso di loro esistenza. Era proibita la pesca nel fiume con reti, senza licenza registrata negli atti della Cancelleria Provinciale e sotto pena di perdita delle reti. I campari patentati dovevano esercitare la sorveglianza lungo le sponde del fiume anche di notte, segnare le contravvenzioni in un libro giornale e presentare, senza indugio, le denunce al Commissario, col giuramento nelle mani del Cancelliere. Chi fosse stato colto in flagrante a prelevare acqua dall'Olona, per irrigare le proprie terre contro il regolamento, sarebbe incorso nella penalita' di venticinque scudi. (Archivio Consorzio Fiume Olona - Castellanza). Tali disposizioni, che sotto certi aspetti, potevano sembrare eccessivamente forzate, come quella di far circolare di notte i campari, in fondo giovavano al Fisco e di conseguenza aiutavano l'economia non solo del Consorzio, ma dello Stato. Senza alcuna spesa, l'Olona scorreva per la provincia del Seprio per arrivare a Milano, a beneficio ed uso di quanti possedevano mulini sulle sue sponde. Non era certo fiume reale, non essendo navigabile ed era posto, tramite il Senato, sotto la diretta sovranita dell'imperatore. Questi poi, al fine di eliminare gli inconvenienti che spesso si verificavano nelle frequenti vertenze relative al fiume Olona, si adopero' prima per l'adozione di un nuovo sistema giudiziario e poi per l'emanazione di opportuni provvedimenti con dispaccio datato 4 marzo 1791, a firma Leopoldo II. Grazie a questi, fu ripristinata l'istituzione del Giudice privativo, come esisteva nei tempi addietro, perché' provvedesse ai singolari bisogni rappresentati dai Sindaci del fiume Olona e richiesti dallo sviluppo agricolo locale, 217 come la comune sussistenza, le irrigazioni, la sopravvivenza dei mulini. Fu riconfermata la Delegazione gia' disposta dal Tribunale di giustizia di prima istanza, entro i limiti prescritti dalle leggi provinciali. In base all'editto emanato i mugnai "inferiori" del fiume proposero e ottennero da Francesco II la nomina di un ispettore, nel 1795, da scegliersi tra persone di conosciuta probita' e cultura, che non avessero nessun interesse in qualita' di utenti del fiume. Sarebbe stato suo il compito di bloccare le estrazioni di acqua, quando l'urgente bisogno dei mulini lo avesse richiesto, in modo che l'acqua servisse all'uso pubblico e primario della macina: avrebbe vegliato sulle trasgressioni delle leggi tendenti alla conservazione dell'integrita' fluviale, sul pronto sfogo delle acque, sulla condotta dei campari, da correggere in caso di mancanza ai loro doveri e di contravvenzione agli ordini. I campari dal canto loro erano stimolati a infliggere contravvenzioni, poiche' la meta' dell'importo riscosso sarebbe finito nelle loro tasche. L'Ispettore doveva risiedere stabilmente in Milano e visitare il fiume tutte le volte che l'urgenza dei provvedimenti lo avesse richiesto, oppure fosse voluto dai Sindaci del fiume o da chi altro avesse interesse, ma comunque almeno una volta all'anno, coll'intervento di un perito. La richiesta di visita doveva essere accompagnata dal versamento di una determinata cifra per la copertura delle spese. Il medesimo funzionario era obbligato a stendere una relazione in proposito e gli sarebbe stato corrisposto un onorario di L. 2000, escluso ogni altro emolumento. Negli anni successivi un decreto reale del 1808 uni gli interessati al fiume in Società, una delegazione della stessa, nel 1812 pubblico' il Regolamento Generale sulla base degli antichi ordinamenti del Consorzio; dopo di che prese il titolo di Amministrazione del Consorzio del fiume Olona, nel 1816; approvo' lo Statuto organico del Consorzio, nel 1877, e quindi il nuovo Regolamento Generale, presentato nel 1881. Naturalmente furono apportate modifiche sostanziali alle utenze, con l'adozione di nuove aliquote per il prelievo, imposte dagli accresciuti stipendi ai custodi e da un sensibile squilibrio esistente fra spese e ricavi. Nel vasto archivio del Consorzio situato a Castellanza, trecentocinquanta fascicoli racchiudono le notizie relative alle fasi salienti che hanno caratterizzato la vita del fiume, con una congerie di informazioni che attendono di essere vivificate dall'indagine di qualche solerte ricercatore, per essere rimesse alla curiosita' dei cultori del passato. Non mancano riferimenti al periodo piu' vicino a noi; quello degli anni cinquanta. Nel ricordo di numerosi inconvenienti occorsi nel trascorrere dei secoli e derivati per lo piu' dalle grandi inondazioni prodotte dal fiume, a monte di Legnano, dove non esistevano grossi argini, gia' nel 1941 218 l'Amministrazione Provinciale di Milano si preoccupo', della sistemazione dell'Olona e affido', il compito di preparare il progetto all'ing. Marescotti il quale previde la deviazione delle acque di piena dell'Olona nel lago di Varese. Negli occhi degli uomini anziani erano ancor vive le immagini della grossa inondazione del 1917 che procuro', vasti danni e preoccupazioni alla campagna e alle industrie localizzate in prossimita' del fiume: Mottana, Cantoni, Ratti, Bernocchi. L'altezza delle acque era tale da invadere il corso Garibaldi e il corso Magenta, trasformandole in un vero e proprio pantano, in stridente contrasto con la purezza originaria delle acque fluviali, cui si accostavano le lavandaie per immergere i loro panni e i pazienti pescatori . Il progetto Marescotti in linea generale incontro' l'approvazione dell'Amministrazione Provinciale milanese, anche se era prevista la sistemazione in alveo dell'Olona, con una spesa per altro difficilmente determinabile e in seguito abbandonata per l'esistenza sul fiume Olona di 127 ponti, di cui solo una minima parte con luce sufficiente per far defluire gli 85 mc. al secondo previsti. Inoltre mancavano bacini di contenimento adatti a raccogliere cinque milioni di metri cubi. Il piano pero', evidenzio', la perplessita' del Consiglio Provinciale varesino, preoccupato delle ripercussioni negative che esso poteva determinare per le concerie affacciate sulle rive dell'Olona e per il depauperamento del patrimonio ittico del Lago di Varese, anche se i danni legati a questo fenomeno erano irrisori rispetto a quelli derivanti alle industrie e all'agricoltura. Se il dibattito acceso guidato e sostenuto con forza dall'allora presidente cav. Romeo Bocchi non produsse effetti immediati sul piano tecnico e amministrativo ai fini di una sistemazione generale del fiume, per Legnano il risanamento del centro cittadino, con la copertura dell'Olona, nel 1956, rappresento' un fatto di rilievo. Stando ai dati forniti dall'ing. Guido Amadeo (Legnano n. 2, 1956), il lavoro eseguito, che prevedeva la copertura del fiume con una grande impalcatura in cemento armato appoggiata agli argini, comporto' la spesa di L. 65.000.000, per modificare una superficie di mq. 3500, con l'impiego di n. 70.000 ore lavorative. Grazie a tale intervento fu possibile la realizzazione, nel centro di Legnano, di una piazza dalla superficie di 7000 mq. Nel frattempo il piano non fu lasciato cadere. Le Amministrazioni Provinciali di Milano e Varese, coadiuvate dai Comuni interessati da varie Associazioni rappresentanti industrie importanti costantemente sottoposte al pericolo della piena, continuarono a patrocinare il progetto Marescotti per l'attuazione di un canale scolmatore della portata di mc. 50 al secondo che scaricasse nel lago di Varese le acque di piena. Quindi, nel 1959 il 219 progetto approvato e modificato in parte, a sette, anni di distanza dalla sua prima presentazione, era ancora valido. Nel frattempo il Consorzio aveva provveduto al ripristino integrale delle sponde e delle arginature corrose dalla piena eccezionale dell'Olona nel 1951. Purtroppo, nonostante l'approvazione, ll progetto Marescotti aggiornato dagli ing. Caselotti e Bonomi dovette essere accantonato, per l'opposizione della Cooperativa Pescatori del lago di Varese, come rilevasi dal verbale del Consorzio, datato 3 novembre 1976, quando gia' l'Ufficio Tecnico aveva predisposto una tubazione in grado di far affluire a valle dello scolmatore di Gurone tutti gli scarichi delle aziende a monte dello stesso. A conforto del disappunto per la mancata realizzazione di cui sopra, rimane pero', agli amministratori del Consorzio la soddisfazione di aver affrontate e vinte altre battaglie, come il mantenimento e il ripristino di rogge irrigue o la sistemazione di nuovi argini per il fiume e infine la istituzione dei consorzi volontari per la tutela, il risanamento e la salvaguardia delle acque del fiume Olona, frutto di una lunga collaborazione e di cospicui stanziamenti di fondi da parte delle Amministrazioni Provinciali di Milano e Varese, della Regione Lombardia e dei Comuni compresi nel bacino del fiume Olona. I Consorzi volontari per depurare o risanare le acque del fiume e suoi affluenti sono sette, alcuni dei quali hanno gia' realizzato la costruzione di depuratori funzionanti ed altri in prossimo esercizio. Si tratta esattamente dei seguenti: -- Consorzio tra Busto Arsizio, Castellanza, Varese, Tradate e altri diciotto Comuni della Valle Olona; -- Consorzio tra i Comuni di Legnano, San Vittore, Canegrate e S. Giorgio su Legnano, per la realizzazione del grande depuratore gia' ultimato e parzialmente funzionante in localita Cascinette di Canegrate; -- Consorzio relativo alla roggia Quadronna, torrente Clivio e affluenti alti, per il depuratore del Val Morea interessante i Comuni di Albiolo, Cagno, Solbiate Comasco, Val Morea -- Consorzio tra i Comuni di Parabiago, Nerviano e Cerro Maggiore con tre impianti di depurazione gia' funzionanti, uno in Nerviano e due in Parabiago: -- Consorzio del torrente Fontanile che raggruppa i Comuni di Venegono Inferiore e Superiore, Tradate, Gorla Maggiore e Minore; -- Consorzio del sottobacino torrente Bozzente tra i Comuni di Origgio, Uboldo e Gerenzano, -- Consorzio del sottobacino torrente Lura tra i Comuni di Olgiate Comasco, Beregazzo con Figliaro piu' sei industrie; -- Consorzio bacino dei torrenti Galbogera, Pudiga, Merlata, Guisa e Nirone. 220 Questo vasto piano di risanamento e depurazione ha comportato e comportera' la spesa di parecchie decine di miliardi. Rappresenta una speranza per ridare vita biologica ad un fiume estremamente degradato e a un miglioramento ecologico di tutti i centri situati lungo il corso dell'Olona. E chissa' che gli abitanti della zona non tornino al piu' presto a rivedere limpide le acque del loro fiume, non tanto per risciacquarvi i panni o pescare pochi pesci e gamberi, quanto per rinfrescare nella purezza ritrovata il ricordo di giorni sereni in cui sull'Olona si poteva andare anche in barca. 221 Il Comune di legnano nel quadro delle lotte sociali milanesi della prima meta' del secolo XIII° Tratto da: Legnano nel medioevo Cap VI° di Marina Cattaneo Con la pace di Costanza e il trattato di Reggio, Milano consegui' le basi giuridiche del suo potere sul proprio territorio, restavano tuttavia aperti gravi problemi di natura politica ed economica che portarono alla formazione di due schieramenti che si scontrarono sovente nel corso del secolo XIII. Il primo di questi schieramenti era costituito dalle famiglie capitaneali, strette attorno all'arcivescovo e collegate al popolo grasso, l'altro dai militi minori riuniti nella societa' detta "la credenza di Sant'Ambrogio". I primi scontri aperti tra queste due fazioni si ebbero nel 1221, quando, per un contrasto tra i comune e l'arcivescovo, la situazione si fece cosi' tesa che l'arcivescovo stesso fu bandito e successivamente anche i Capitani e i Valvassori dovettero lasciare la citta'. In questa occasione essi posero a capo del loro, partito Ottone da Mandello, mentre a capo dell'altro fu eletto Ardigoto Marcellino di famiglia consolare non feudale . Le discordie, placatesi momentaneamente, scoppiarono nuovamente nel 1224, con l'elezione dei nuovi capiparte: per la Motta e la Credenza ancora Ardigoto Marcellino, per i Capitani e Valvassori di Milano Guido da Landriano, per quelli del Seprio Obizzone da Pusterla, per quelli della Martesana Enrico da Cernusco, per i mercanti Busnardo Incoardo. In seguito a questi torbidi l'arcivescovo lascio' nuovamente Milano, affidando il governo ecclesiastico al suo vicario Girardo da Bascape', ordinario della Metropolitana, e si ritiro' nel castello di Brebbia. Ma di fronte al profilarsi di nuove minacce, vale a dire la guerra contro Federico II°, si trovo' un punto di accordo tra le fazioni mediante un trattato stretto Le maggiori conquiste ottenute dalla Motta e dalla Credenza in questa occasione furono la partecipazione al collegio degli Ordinari della Metropolitana e dei Decumani e una piu' equa ripartizione del peso delle imposte e del debito pubblico. Tuttavia non fu possibile forzare eccessivamente la mano, perche', nella guerra contro Federico II°, il 222 dal podesta' Aveno da Cisate l'8 giugno 1225 e pubblicato il 10 dello stesso mese. Le parti erano momentaneamente pacificate, ma le cause di fondo della contesa non erano state eliminate e riesploderanno puntualmente alla morte del nemico comune, Federico II°. Mentre la citta' subiva queste violente scosse, anche nella campagna avveniva una rivoluzione, meno evidente, ma gravida di conseguenze altrettanto significative. L'enorme sviluppo commerciale ed industriale di Milano aveva profondamente influenzato la campagna circostante: le conseguenze furono il passaggio da una economia di assistenza ad una economia di mercato e l'aumento del prezzo della terra e della produttivita'. D'altro canto l'avvento dell'economia monetaria aveva profondamente mutato i rapporti tra i proprietari terrieri ed i coltivatori: dal rapporto interpersonale regolato unilateralmente dal concedente si era passati ai contratti di fitto e di locazione; il servo era divenuto cosi' un soggetto di diritti e cominciava ad avere coscienza di cio'. A questa tendenza generale all'emancipazione si erano unite, nel periodo della guerra contro il Barbarossa, la necessita' da parte della citta' e quindi dei proprietari terrieri, di avere ben disposti i contadini e la dispersione dei documenti e titoli di proprieta'. I rustici da parte loro avevano saputo approfittare dell'occasione favorevole, vendendo ad alto prezzo i loro prodotti in tempo di carestia e acquistando per poco terre dai proprietari che si trovavano in difficolta' economiche a causa della guerra e delle devastazioni, mentre avanzavano nuove pretese sulle terre da essi coltivate. Tutto questo vasto movimento di liberazione della campagna dai propri antichi signori aveva dato origine, gia' dalla meta' del secolo XII, alle prime comunita' rurali, spesso in lotta con i propri domini, i quali impugnavano la validita' delle alienazioni e cvercavano in ogni modo di riacquistare i diritti perduti. In questa contesa la citta' interveniva per sottolineare il proprio ruolo di arbitra fra le contese che si sviluppassero nel proprio territorio e favoriva i rustici per indebolire, anche con questo mezzo, tutte le giurisdizioni che non fossero la propria. Legnano segui' probabilmente questo tipo di evoluzione, seppure infrenata dall'autorita' dell'arcivescovo, che era ancora assai forte come possiamo rilevare dal Liber Consuetudinum del 1216 , da cui risulta che l'arcivescovo aveva consuetudini proprie osservate solo nelle sue terre; comune di Milano si trovava a fianco del papato e doveva quindi usare nei confronti del proprio arcivescovo particolari riguardi e cautele. 223 per esempio quella del giudizio mediante ferro rovente che a Milano era proibito ormai da molto tempo. Quando all'inizio del secolo XIII, scoppio' apertamente la lotta delle fazioni in Milano, molti borghi approfittarono delle difficolta' del momento per accrescere il proprio grado di autonomia; infatti, nella concordia stipulata nel 1225 dal Podesta' Aveno da Cisate, si parla di borghi e ville che eleggevano da se' i propri magistrati, senza tenere conto dei diritti dei propri signori laici od ecclesiastici, e si ordina che questi magistrati siano rimossi e non si elegga mai piu' alcuno in danno del dominus che ha l'honor et dirictus sul luogo. Cio' era un effetto della ristabilita concordia con i nobili, di cui si tutelavano i diritti, e della posizione autorevole assunta dall'arcivescovo in seguito della guerra contro Federico II°. Aveva cominciato a farsi luce in Legnano una famiglia, che troveremo piu' tardi a capo del Comune: si tratta della famiglia Oldradi che per il momento e' indicata semplicemente come da Legniano e ricopre da tempo cariche di notevole importanza. Il primo membro compare in un documento del 5 dicembre 1173 ed e' indicato come Obizzone da Legniano, milanese : il che dimostra che con le parole "de Legniano" non si indica l'abitazione ma l'appartenenza ad una sua famiglia che aveva il dominio in quel luogo, mentre d'altro canto la famiglia Oldradi o Oldrendi uso', anche nei secoli successivi, assai spesso anche il semplice cognome di "Legniano" come Franceschini - Ivi, pag. 195, Giulini, Un altro diritto dei signor nelle proprie terre era quello riguardante il castello: il signore aveva il diritto di costringere le persone soggette alla propria giurisdizione a rifare il castello, il muro, il fossato o il bastione, mantenere nel castello un portinaio e le guardie e incastellare i loro frutti. Esse non sono pero' tenute a ricostruire le case del signore e cio' che fosse stato da lui distrutto. Tutto cio' dimostra che questo complesso di diritti non faceva ormai piu' capo al dominus in quanto tale, ma piuttosto al castello visto come edificio di pubblica utilita' e dotato esso stesso di personalita' giuridica. "Gli atti del Comune di Milano fino all'anno MCCXVI" a cura di C. Manaresi - Milano, 1919, documento del 5 dicembre 1173 pag. 127 224 vedremo piu' avanti. Alle soglie del secolo XIII compaiono a piu' riprese altri membri della famiglia; nel 1208 un Rogerius de Legniano Canevarius major del monastero do Morimendo ( 11 gennaio 1210), nel 1210 un Guglielmo da Legnano, delegato del podesta' in una causa riguardante il monastero di Morimondo, nel 1215 un Conradus da Legniano, che e' tra i sottoscrittori del parto di allenza con Vercelli. (5 marzo 1215). A Milano frattanto viene eletto arcivescovo nel 1241 Leone da Perego, di famiglia di Valvassori, frate minore, che aveva attivamente preso parte alla lotta contro Federico II°. Al termine di questa guerra restavano aperti, come abbiamo detto, i problemi di fondo che avevano travagliato il primo quarto di secolo, mentre l'uomo assunto alla dignita' arcivescovile, avendo di essa un'idea assai alta ed essendo deciso a riportarla all'antico splendore, non era certo il piu' adatto a placare gli animi. Per questo motivo Fiamma sostiene che frate Leone divenuto Arcivescovo, totalmente cambiato, si mise a capo della fazione nobiliare e fomento' anziche' sedare le discordie. Un primo segno della latente contesa si ebbe bell'anno 1254, per motivi poco chiari: Il Fiamma accennando al fatto dice semplicemente " ... isto anno populus Mediolani cum parte nobilium pugnavit..." Si tratta di una notizia molto vaga ma confermata da alcuni documenti visti dal Giulini, che ci mostrano in quell'anno l'arcivescovo assente da Milano; il 13 gennaio egli si trovava ancora in Milano, da cui spedi' una lettera all'abate di S. Abbondio di Como, il 5 marzo emano' da un luogo imprecisato una sentenza a favore dei Secondo il Fiamma, Leone, incaricato a causa delle discordie, di scegliere il successore dell'Arcivescovo Guglielmo da Rizolio, morto il 28 marzo 1241, elesse se stesso. La realta', secondo il Giulini, fu assai diversa, infatti da un breve papale del 9 gennaio 1244, risulta che, avendo il capitolo della metropolitana incaricato della scelta del nuovo arcivescovo il legato papale Gregorio da Montelongo, questi elesse il 15 giugno 1241 appunto leone; col suo breve il Papa invita il legato ad accertare l'idoneita' dell'eletto e, nel caso abbia i requisiti necessari, lo autorizza a procedere alla consacrazione, che fu quindi del tutto regolare. 225 canonici di S. Ambrogio e S. Nazaro; il 9 luglio si trovava nel monastero di Civate, da dove scrisse al suo vicario generale Giovanni da Alzate; il 10 settembre era a Legnano, dove emano' una sentenza riguardo la controversia tra l'abate e il preposito di S. Ambrogio; da Legnano passo' ad Angera dove il 16 e 24 ottobre emano' due sentenze analoghe. Probabilmente l'arcivescovo si era trasferito da Civate a Legnano pensando di poter rientrare in citta', poi pero' la situazione si fece di nuovo tesa e da Legnano l'arcivescovo si trasferi' nel forte castello di Angera. Risulta quindi chiara l'importanza di Legnano nei momenti torbidi di Milano, proprio per il fatto che trovandosi a mezza strada tra Milano e i castelli sul lago Maggiore consentiva di mantenersi aperte le due alternative e di mettere in atto manovre politiche e favore del proprio partito in Milano; inoltre offriva, grazie alle sue fortificazioni, anche una certa protezione. Ecco la predilezione di Leone per questo borgo, nel quale cerco' spesso rifugio; e' tuttavia infondata, come vedremo in seguito, la tradizione che lo vuole fondatore di un sontuoso palazzo in Legnano, mentre piu' probabilmente si limito' ad abitare le costruzioni preesistenti. Nel 1256 la situazione a Milano era di nuovo tesa, infatti erano stati eletti nuovi capi-parte, Paolo da Soresina per il partito nobiliare, Martino della Torre per l'altro, e avendo il Podesta' lasciato la citta' diretto a Roma a ricoprire la carica di senatore, scoppiarono tumulti per l'elezione del suo successore. L'arcivescovo lascio' di nuovo la citta' e il 1 ottobre si trovava a Lesa,. Ancora nell'anno 1257 in febbraio e in marzo egli era fuori citta' e si era stabilito di nuovo in Legnano, come risulta dai documenti esaminati dal Giulini, relativi al problema dell'elezione della badessa di San Michele di Borgonuovo. Secondo il Corio l'arcivescovo con il suo partito lascio' Milano in luglio, ma probabilmente in quel mese furono soltanto i nobili ad abbandonare la citta' per raggiungerlo in Legnano e organizzare la propria resistenza. La causa immediata di questa ennesima discordia fu, secondo il Fiamma, l'uccisione di un popolano da parte di un nobile avvenuta a Marnate, ma secondo un antico catalogo degli Arcivescovi di Milano, la cui opinione e' ripresa anche dal Corio, il motivo di fondo fu il desiderio dell'arcivescovo di riportare la chiesa Milanese all'antico splendore e, nella fattispecie, il rifiuto di annettere i popolani al rango di ordinari della Metropolitana. Particolarmente illuminanti riguardo a questo problema e alla figura di Leone da Perego le parole del catalogo sopracitato: " .. qui forbannitus cum Ordinariis Mediolanensis ecclesiae fuit ab ispis popularibus pro eo quod ipse e ordinati predicti aliquos de ipsis populalirbus,titulare in clericis 226 ipsius ecclesiae noluerint..." e piu' avanti parlando dell'arcivescovo " vir strenuus et constants libertatem et honorem Mediolanensis ecclesiae defendit usque ad obitum suum..." In ogni caso il partito nobiliare, riunitosi all'arcivescovo, si diede da fare per raccogliere aiuti e trovo' ovviamente ben disposti il Seprio e Como, pronti a trar vantaggio da qualsiasi partito per arginare la potenza milanese. Estremamente accorata era stata quindi la decisione dell'arcivescovo di portarsi subito a Legnano allo scoppiare dei primi tumulti: infatti quando ormai fu chiaro che non si poteva piu' sperare in un mutamento della situazione in citta' e anche i nobili dovettero abbandonarla, egli si trasferi' subito nel Seprio, mentre l'esercito del partito popolare guidato da Martino della Torre, uscito da Milano l'8 agosto, si porto' all'assedio di Fagnano; riuscendo vano questo tentativo si diede a devastare alcune terre vicine, mentre i nobili chiusi in Fagnano tentarono una sortita senza pero' che si giungesse ad uno scontro. L'arcivescovo allora, raccolto un esercito nel Seprio, entro' l'11 agosto in Varese senza incontrare opposizione alcuna, Martino Torriani approfitto' della sua assenza per attaccare Castelseprio e, uscitone il presidio nobiliare, ne nacque una zuffa. La situazione, ancora incerta, fu risolta dall'arrivo dei rinforzi dalla Martesana e da Como che costrinsero i popolani a ripiegare su Solbiate e Olgiate e a retrocedere ulteriormente verso Milano, incalzati dai due lati dell'Olona dai nobili milanese e dai comaschi, che si spostarono rispettivamente a Legnano e a Canegrate i primi, a Gorla e poi a Legnano i secondi . Il 24 agosto la situazione era mo0lto tesa, con i nobili accampati a Canegrate e il popolari a Nerviano, da dove Martino aveva chiamato il carroccio preparandosi alla battaglia; ma grazie all'intervento dei Legati di Brescia, Bergamo, Crema, Novara, Pavia, Lucca e del Conte Egidio di Cortenueva, si pote' evitare uno scontro diretto: il 28 e 29 agosto a Parabiago, localita' equidistante dai due campi, fu stabilita una tregua pubblicata il 30 dello stesso mese, in seguito alla quale tutti rientrarono in Milano. L'arcivescovo pero' non aveva probabilmente seguito il sue esercito ed essendo malato si era ritirato in Legnano, dove, per provvedere alla sua sicurezza personale in quel momento assai incerta, i capitani e i valvassori fecero circondare il borgo con una grande fossa di cui come Gli itinerari seguiti mi fanno supporre che le strade sui due lati della vallo Olona si riunissero poi a Legnano per proseguire in una unica strada verso Milano. 227 vedremo si sono ritrovate le tracce. Poco dopo la stipulazione della tregua, il 14 ottobre, Leone mori' appunto a Legnano e vi fu sepolto. Circa la data della morte abbiamo la testimonianza sicura nel catalogo sopracitato che dice ".. obiit vero MCCVII quarto decimo die octobris...", affermazione ripetuta anche dal Corio . Con altrettanta precisione sappiamo che fu sepolto a Legnano in modo estremamente modesto: il suddetto catalogo dice: ""..Sepultus vero est in eclesia Salvatoris in loco de Lignano..", il Fiamma "Isto tempore Leo de Perego Archiepiscopus Mediolanensis Legniano moritur, et ibidem viliter tumulatur", gli Annales Mediolanensis "Isto tempore frater Leo de Perego Archiepicospus Mediolani moritur exul, et in legniano posto portam Ecclesiae viliter sepeliturs..." Circa il luogo preciso della sepoltura, il problema e' complesso, giacche', anche se il catalogo parla espressamente di San Salvatore, il corpo che si ritiene essere quello di Leone fu rinvenuto, come narra il Prevosto Pozzo, dentro un tronco di albero scavato, sotto una volta del muro poco alta da terra, nella piccola chiesa di S. Ambrogio, durante dei lavori di trasformazione, avvenuti al tempo di San Carlo Borromeo; dopodiche' il corpo scomparve, sebbene fosse rimasta nel borgo la convinzione diffusa che fosse stato traslato in San Magno. Catalogus, Pag 108 Corio Vol I° Pag 495. Dissente soltanto il Fiamma che prolunga la vita di Leone fino al 1263 e con cui caddero nell'inganno il Muratori, il Eassi, L'Oltrocchi e altri; Ma il Giulini dimostro' che l'arcivescovo era gia' morto prima del 1258, quando nella pace di S. Ambrogio si parla della sua "recolenda memoria". . Non e' impossibile che Leone sia stato effettivamente sepolto in San Ambrogio, dal momento che la tradizione, secondo cui questa chiesa fu costruita nel 1339, risale al Pirovano, scrittore locale ottocentesco, le cui affermazioni sono in genere, quanto meno avventate. Daltra parte il catalogo degli arcivescovi ci indica San Salvatore, ma puo' darsi si sia trattato di un errore dal momento che l'autore, non conoscendo i luoghi, attribui' la sepoltura alla chiesa principale del 228 La morte di Leone avveniva in un momento particolarmente difficile, giacche' la pace di San Ambrogio, stretta il 4 aprile 1258 in conseguenza della tregua di Parabiago, non duro' che fino alla fine di giugno, quando il partito nobiliare lascio' nuovamente Milano e scelse come proprio capo Paolo da Soresina, benche' sospetto, per aver dato in moglie la propria sorella a Martino della Torre. Anche questa la questione si chiuse con un ennesimo accordo e le cose restarono come prima: impossibile in questa situazione trovare un accordo tra gli ordinari per l'elezione del nuovo arcivescovo, in vece del quale reggeva la diocesi di Azzone, arciprete della Metropolitrana. La situazione si aggravo' ulteriormente negli anni successivi, quando la fazione popolare, rimasta padrona di Milano all'inizio del 1259, al momento della scelta del proprio capo si spezzo' in due: La Motta, vedendo bocciato il proprio candidato Azzolino Marcellino, che mori' poco dopo, a favore di Martino Torriani, ruppe l'antica alleanza e si uni' al partito nobiliare. Quest'ultimo, dopo una breve quanto illusoria pacificazione, essendo Martino Torriani padrone di Milano, si lego' ad Ezzelino da Romano, ma lo abbandono' appena questi fu sconfitto e fatto prigioniero dagli alleati milanesi. Dopo la morte di Ezzelino, i nobili cacciati anche da Lodi, sospettando della fedelta' di Paolo da Soresina, per la sua parentela con i Torriani, lo imprigionarono a Legnano, che appare quindi in quest'anno 1259 ancora saldamente in mano al partito borgo. Per quanto riguarda la traslazione in San Magno e' assai probabile: il fatto e' che si sia subito perduto l'indicazione del luogo della nuova sepoltura, e' forse da ricollegarsi, secondo il Giulini alla scarsa considerazione che San Carlo nutriva per l'operato del suo precedessore, come risulta nel catalogo degli arcivescovi, scritto per suo ordine dal Galesini; egli avrebbe voluto cosi' evitare che in Legnano si instaurasse il culto di quell'arcivescovo che gia' stava prendendo piede nel borgo; il Giulini stesso asserisce di aver veduto nella chiesa dei frati minori di Legnano una immagine di Leone con l'aureola e la B di beato davanti al nome. D'altra parte appare improbabile che San Carlo abbia traslato il corpo fuori di Legnano dal momento che non se ne ha alcuna notizia. 229 nobiliare. Paolo, liberatosi rientro' in Milano e si accordo' con martino mentre il governo di Milano veniva affidato per 5 anni al Marchese Pelavicino il quale, per il suo atteggiamento ostile all'ortodossia cattolica, rese i Torriani sospetti alla S. Sede. Nel 1261 l'ostilita' della curia romana nei confronti di Milano si aggravo' per effetto di una grave offesa recata dal Torriani al cardinale Ottaviano degli Ubaldini, legato papale in Francia. Egli lasciando la citta' condusse seco Ottone Visconti e l'anno successivo, quando la scelta dell'arcivescovo di Milano, per effetto del mancato accordo, passo' nelle mani del pontefice, fece conferire appunto a Ottone questa dignita', a scapito dei due pretendenti, Francesco da Settala e Raimondo Torriani, che fu eletto in conpenso Vescovo di Como. Per reazione martino della Torre occupo' i beni del vescovo, tra cui certamente Legnano, dove i Torriani trovarono il modo di accrescere il proprio potere anche sfruttando la difficolta' che attraversavano in quei momenti gli enti religiosi. Gia' da tempo infatti il Comune di Milano aveva imposto, per sopperire alle spese di guerra, il frodo anche agli enti religiosi e avendo incontrato da parte loro forte resistenza, aveva percio' limitato, nel 1256, il frodo ai beni ecclesiastici acquistati negli ultimi 5 anni o da acquistarsi in seguito. Si colpiva osi' l'ascesa degli enti religiosi, ma anche ai contadini che lavoravano le loro terre, causando nuove discordie tra vicini e atti contro le proprieta'. Con la morte di Leone e le discordie susseguenti la situazione peggioro' e i canonici Agostiniani del convento di San Giorgio presso Legnano, decisero di abbandonare il luogo e trasferirsi nella Casa Madre di San Primo in Milano. Attuarono percio' un cambio con i beni presso la chiesa di San Primo, nel sobborgo della Pusterla Nuova in Milano, e in Limido, sotto il titolo di San Martino, spettanti ai fratelli Raimondo, Napo e Francesco della Torre e al loro nipote Enrico, cedendo loro i vasti possedimenti nei dintorni di Legnano. Probabilmente furono proprio i Torriani a costruire sulle terre . C. Marcora - Un frammento degli statuti di Legnano del 1258 - 1268 trovato in un codice dell'Ambrosiana - " Memorie della Societa' Arte e Storia". Legnano, n. 16 1956 pagg. 68,69. Giulini - Perche' Castello di San Giorgio - "Memorie della Societa' Arte e Storia" n. 16 1956 pag 60,61 230 acquistate mediante questa permuta, il cassio che e' attualmente incorporato nel cosidetto castello di Legnano e che serviva ottimamente per controllare i movimenti che avvenivano sulla strada per Milano lungo la Costa di San Giorgio: cio' sarebbe a dimostrare una volta di piu' quanto fosse importante nei momenti di pericolo per Milano il controllo di questo borgo. Frattanto a Legnano continuava la sua scesa la famiglia Oldradi o Oldrendi, che aveva assunto un posto di primo piano anche nel quadro delle istituzioni comunali. Cio' risulta da alcuni frammenti di documenti riguardanti Legnano : il primo di essi e' la parte terminale di una approvazione degli statuti comunali e ci presenta il collegio dei consoli al completo: "... fuerunt aprovata et laudata et confirmata in anno currente millesimo duecentesimo sexagesimo. Primo per Ottonem Tallonum et Mainfredum de Bonatia et Tomazium Gutinazium et Albertum Tallonum consules et vicarios archiepiscopatus mediolani habentis et distructum il predicto burgo et territorio de consensu et voluntade Guillielmi de Ponte et Jacobi de castro Seprio et Jacobi Ferrari et Ambrosi Arimperti et Alberti Belloi et Oliverii Holdrendi et Andeloj Hodrendi et jacobi Servidei et Amboxi Liprandi omnium electorum per comune dicti burgi afd predicta facienda et ordinanda qui consules cum predictis electis concorditer dixerunt et ordinaverunt quod omnia supradicta statuta in quolibet capitullo observetur per quemlibet vicinum burgi de Legnano hinc ad annum unum et plus ad voluntatem totius conscilij dicti comunis vel maioris partis et que statuta fuerent completa die lune octavo die ante Kalendas februarii". Compaiono qui quattro consoli, Ottone Tallono, Mainfredo de Bonatia, Tommaso Gutinazio,e Alberto Tallono, che sono Esso costituisce la parte centrale dell'attuale ala destra del cstello ed e' chiaramente individuabile. Come risquardo del codice I 115 inf. dell'Ambrosiana, risalente al secolo XV, e' stato rinvenuto un foglio pergamenaceo scritto in doppia colonna, ciascuna di 22 righe, di scrittura del secolo XIV; esso costituiva probabilmente la pagina di un mastro pergamenaceo del comune di Legnano in cui venivano conservate le delibere della comunita'; cfr. C. Marcora, "Memorie della Societa' Arte e Storia" n. 16, 1956, pagg. 66 231 espressamente indicati anche come vicari dell'arcivescovo, il quale ha il discrictus su Legnano e il suo territorio. Nell'approvazione degli statuti hanno appunto la precedenza i quattro consoli, i quali pero' devono ottenere l'approvazione e il consenso di un collegio di 9 persone, tra ci i membri della famiglia Oldradi, elette dal comune di Legnano appunto per questo scopo; vale a dire l'autorita' che deriva ai consoli dal fatto di essere anche vicari dell'arcivescovo, sembra essere alquanto mitigata da quella del comune, che traeva vantaggio dalla progressiva diminuzione di potere del proprio dominus per aumentare la propri autonomia, particolarmente in questo periodo confuso di vacanza della sede arcivescovile. Il secondo documento riguarda l'imposizione e l'esazione del frodo da parte del consiglio del comune di Legnano "Millesimo CCLVIII die veneris XVII die februarij totum conscilium burgi de Leniano silicet Castellus Albiollo et Levachae Holdrendi et Rugerius Ferrari et Ambroxi Tallonus et Ambroxis Liprandi et Ollivierus Ravergi et matheus Bellous et Oldrdus de Masenago et Otto Tllonus et Ollivierus Hodrendi et Giullemus de Ponte et Marchixius Terugi et Arnoldus de Retenate et Jacobus Servideo et Jacobus del Castelseprio et Petrus Folcis et Aventollus Sertor et Maifresus de Banatia et Arnoldus Arimperti. Fuerent in concordia et ordinaverunt et statuerunt quod potesta teneatur per sacramentun exigendi fodrum a quolibet homine tam masculum quam fiminam cui vel quibusi impositum vel incissum fueret per comune dicti burgim seu per cosiclim vel pre maiorem partem. Item staturemtun et ordinaverunt per totum suprscriptumconscilium de voluntade vixinanantie quod si aliquis homo de predicto burgo vel eius territorio fecerit seu haberit et tenuerit illud de quo pro quo comune burgi predistum condempnaretur sustinuerit vel habuerit aliqyod dempnum vel dispendium vel cendempnatione aliqua quod ille homo vel femina cuius ocaxione evenerit teneatur et debeat restituere totumdampnumet condempnationem et expensas predicto comuni suis expensis et dampnis et si recussaverit facere ut supra legitur quod comune et consules et podestas qui erit pro temporibus teneatur et debeat eun desconvenzare et facere preconizare per burgum. Et non debeat reverteri in convenentia donec non solverit totum dampnum et dispendium et expensa que et quas facte fuerint et salute per ipsum comune ipsa ocaxione" A questo documento sefue una data: ""in nomine domini MCCLXIII die veneris sexto decimo die mensis Novembris indictione Duodecima ", e qui termina il foglio, percio' questa data potrebbe essere la conclusione del documento suddetto o l'inizio di un 232 documento successivo. Comunque sia resta il fatto che le disposizioni indicate vanno effettivamente attribuite all'anno 1258 e le difficolta' e le resistenze, che evidentemente si pensava di incontrare nella riscossione del tributo, concordano perfettamente col quadro che abbiamo tracciato piu' sopra a proposito del convento di San Giorgio. Anche il consiglio del comune compare, nel documento sopra indicato, nella sua composizione del 1258: oltre ai nomi delle principali famiglie del borgo, ricaviamo la notizia che anche in quest'anno partecipavano alla pubblica amministrazione due membri della famiglia degli Oldradi o Oldrendi, che, insieme a quella dei Talloni, sembra essere la piu' importante del borgo, e che a capo del comune c'era un podesta'. La struttura del comune di Legnano appare in conclusione abbastanza chiara e assai simile a quella di tutti i comuni rurali. I poteri comunali sono affidati ad un consiglio di 19 membri, che, mediante un collegio di persone cio' delegate, redige ed approva gli statuti, la cui durata di un anno, ma puo' essere prorogata per decisione del consiglio stesso a maggioranza semplice. Organi del potere esecutivo sono i consoli o il podesta' che sembrano alternarsi o addirittura coesistere. In entrambi i casi, l'elezione Risulta impossibile stabilirlo, dl momento che il foglio pergamenaceo - in fotocopia in "Memoria della Societa' Arte e Storia" n. 16 tavola II - sembrerebbe che la data suddetta sia l'inizio di un nuovo documento ma non bisogna dimenticare che si tratta di una copia. Cosi' pure la datazione all'inizio del documento contiene un errore, poiche' il 27 febbraio 1258 non era un venerdi ma una domenica, ma anche in questo caso non e' possibile stabilire se l'errore vada attribuito all'originale o al copista. Essendo il comune l'espressione del concorso dei singoli in una azione comune, il pricipio supremo dell'organizzazione e' appunto il consiglio, come fomte di ogni competenza. . Nel 1260 abbiamo visto che erano in carica 4 consoli, nel 1258 un podesta' e in quest'anno appunto si prevede la possibilita della 233 avveniva probabilmente in loco, secondo la prassi generale, e veniva poi ratificata dal Dominus: infatti i poteri di questi ufficiali avevano una doppia base giuridica derivante dal mandato comunale e dalla conferma dominicale. L'importanza reciproca dei due fattori vario', certo, sensibilmente a seconda delle vicende politiche, dal momento che il dominus del borgo non era un qualsiasi signore feudale, ma l'arcivescovo di Milano, il cui potere politico, totalmente inesistente in alcune particolari circostanze, si faceva di volta in volta grandissimo, non appena la situazione si volgeva a suo favore. Le competenze dell'amministrazione comunalee erano probabilmente limitate agli affari interni del borgo, alla polizia campestre e ai compiti di difesa del comune, collegati all'esistenza nel borgo di elementi di fortificazione. Se il comune godette di una certa indipendenza durante le lunghe lotte che opposero i due grandi schieramenti politici cittadini, con l'avvento della signori Viscontea certamente il controllo da parte della citta' si fece piu' attento e forse proprio con il suo appoggio la famiglia Oldradi o Oldrendi, raggiunse quel posto di preminenza nel borgo che la vediamo occupare verso la fine di questo secolo e in quello successivo. presenza dell'una e dell'altra magistratura: si dice "infatti che le decisioni prese poste in atto da "... comune et consules et podesta qui erit, temporibus..". Nella Matricola Nobilium familiarm del 1277 compaiono gli "Oldrendis de Legnano" unica famiglia nobile del borgo, alcuni membri della quale abitavano probabilmente nel borgo stesso, gli altri in Milano, in C. Castiglioni - Gli ordinari della Metropolitana attraverso i Secoli, in "Memorie della Diocesi di Milano", vol. I°, pag. 20 . In una curiosa prova dell'influenza esercitata da questa famiglia sul borgo, si ha confrontando l'attuale stemma cittadino con il suo stemma gentilizio, quale compare nel 1383 a Bologna - Atti e memorie della Regia Depurtazione di Storia Patria per le provincie della Romagna, terza serie, vol XIX, 1901 pag. 80. Chiaramente 234 l'attuale stemma comunale formato da un leone rampante nella banda superiore e da un rametto di corallo in quella inferiore, e' una derivazione di quello degli Oldradi, formato da un leopardo nella banda superiore e da un identico rametto di corallo in quella inferiore. 235 Gli antichi mulini sul fiume Olona Tratto da: Fin dal medio Evo prosperava nel borgo di Legnano l'attivita' molitoria esercitata in forma artigianale e tale era la dovizia dei molini disseminati lungo l'Olona da Castellanza a Nerviano per fare supporre che nel XV° secolo questa attivita' costituisce per l'intera zona, e per Legnano in particolare, una notevole fonte economica. Probabilmente i signorotti di questi tempi cercavano di accaparrarsi il maggior numero di mulini per poter realizzare una vera e propria concentrazione in grado di condizionare altri settori e speculare in occasione di raccolti disastrosi o di carestie. Legnano per molti anni aveva fornito farina per il pane dei milanesi ed e' naturale che alcuni nobili di quei tempi avessero messo assieme una cospicua fortuna con i mulini dell'Olona. In parecchi documenti dei quali i ricercatori si sono imbattuti ricorrevano spesso nomi di mulini le cui ruote e macine avevano scandito per secoli la vita di tranquilli artigiani che lavoravano in proprio o per conto di signorotti. Anche nella denominazione di alcune vie dell'antico borgo sia a Legnanello che nella zona del centro e attorno al castello Visconteo fino a San Vittore, Canegrate ed oltre, veniva ricordata questa vocazione dell'economia locale. Cosi' avevamo in via dei Magnani, via Mulini di Sotto, via Mulini dell'Arcivescovo, Mulino delle Armi e localita' "cinque Mulini" nella zona in cui attualmente vi e' il ponte di via Pontida e dove l'Olona si diramava in ben quattro bracci formando anche due isolotti. Vi erano anche altri mulini presso il vecchio convento di Sant'Angelo della roggia omonima che attraversava poi l'antico nuclo e attorno alla chiesa di San'Ambrogio. Un raggruppamento di altri mulini sorgeva nel tratto compreso tra le attuali via Matteotti e via Beccaria. Qui possedevano parecchie case i Lampugnani discendenti da Ubertino, dottore in legge a Pavia e padre del noto Oldrado II° Lampugnani. Gli appartenenti a questo ramo della nobile casata venivano chiamati dallo storiografo Pirovano "Lampugnani di Ponte Carrato" ed erano appunto proprietari di un gruppo di mulini il piu' grande dei quali si trovava nel punto in ora sbocca via Corridoni ed era stato ribatezzato con il nome di "Mulino della Vedova" probabilmente dopo che Giavannina Omodei fu Gasparolo, vedova di Ubertino, compero' la proprieta' con altri immobili. Di questo acquisto esiste una pergamena nell'archivio dell'Ospedale Maggiore 236 datata 17 marzo 1419 a rogito del notaio Laurentius Martignonibus. In essa si fa cenno proprio al "ponte carratum". Si trattava di un ponte caratteristico a due arcate che univa la via Milano all'attuale via Corridoni (gia' via del Magnani) e che venne demolito il 7 giugno 1882. Di esso ci resta un acquarello del Pirovano. In altri due quadretti delle stesso pittore e storiografo legnanese realizzati nel 1800, possiamo ancora ammirare gli avanzi del cortile inferiore della casa Lampugnani di Ponte Carrato in un'altra costruzione del secolo XV°, indicata come ubicazione, in via Ponte Carrato 10. Scorrendo lungo il percorso dell'Olona a valle del castello troviamo disseminati molti altri mulini tra i quali quello del Melzi - Salazar, poi ancora i mulini Meraviglia, Cozzi, Galeazzi (da cui deriva la famiglia Tenconi). A macinar farina ora dei tanti mulini legnanesi e' rimasto solo a valle del castello il Molino Salmoiraghi, un edificio cadente somigliante piu' ad una prigione che ad una casa di abitazione. La tradizione dell'attivita' molitoria e' conservata alla citta' di Legnano dall'industria Salmoiraghi che ha in via Pietro Micca uno stabilimento per la produzione di farina alimentare. I vecchi mulini che un tempo avevano dato tanto prestigio e ricchezza al borgo di Legnano, ora giacciono come vetusti cimeli con le loro grandi pale e macine immobili, simbolo di un'epoca ormai troppo lontana. Tuttavia bisognerebbe nell'ambito del futuro parco del castello, conservarne almeno qualcuno di questi mulini. Ma occorre fare presto e comunque prima che le intemperie, il fiume e i troppi vandalismi di incoscienti non decretino definitivamente la fine di quanto resta a ricordare una fiorente attivita' legnanese che il 1620 contava ben 17 molini in piena efficienza, come attesta un documento di un funzionario di governo spagnolo, il questore Orazio Mainoldi. Nota: L'olona non e' un fiume regale non essendo navigabile e viene chiamato "roggia molinaria" perche' fornisce energia ad un gran numero di mulini. Serve pero' anche all'irrigazione dei campi e pertanto sorge un conflitto tra i proprietari dei mulini e gli utenti di rogge irrigue, che si contendono la maggior quantita' di acqua in una annata di siccita'. I termini del conflitto sono contenuti in un documento e conservato, tra gli altri, dagli eredi del legnanese Dottor Cesare Candiani, discendente dei nobili Visconti. In questo documento, data 18 settembre 1775, si presenta ancora la stessa contesa. Piu' precisamente si tratta di un avviso di convocazione di tutti gli utenti delle acque del fiume Olona che non avevano rispettato le "grida" del 12 settembre 1773 e, come tali, "sospetti di usurpazione e di abuso" nel prelievo delle acque del fiume. Tra le rogge irrigue che solcavano il territorio di Legnano, oltre al cavo Diotti, 237 ve ne erano altre denominate "Santa Caterina", "Dell'Arcivescovo" e "Sant'Angelo". Quest'ultima era la piuì importante. Si diramava dall'olona prima di Castellanza, passava davanti al convento di frati di Sant'Angelo (ex edificio scuole Mazzini), attraversava l'attuale via della Vittoria che anticamente si chiamava "via pan di meliga" e proseguiva lungo il tracciato delle attuali via De Gasperi, Giolitti, Palestro , San Ambrogio per poi tornare a confluire nell'Olona nei pressi del castello. La roggia veniva tenuta ad un livello piu' alto, sulla destra del letto dell'Olona, appunto per irrigare tutti i campi che si trovavano in quella fascia intermedia, per mezzo di un capillare sistema di rigagnoli "a perdere". La roggia venne soppressa nella prima meta' dell'ottocento. I Mulini Tratto da: I mulini, al pari delle grandi estensioni coltivate a cereali, in pieno Medio Evo rappresentavano un'autentica ricchezza. Il possesso di una serie di impianti di macinazione, con le pale azionate dai salti d'acqua, era infatti strettamente collegato al dominio delle terre coltivate a grano. Mantenere o perdere i mulini, equivaleva a conquistare il territorio su cui erano ubicati o rinunciarvi. Oltre che per fornire farina da alimentazione, i mulini producevano foraggio speciale per bestiame e le grandi ruote in pietra venivano adattate anche come mole a smeriglio, per fabbricare armi bianche. Una delle regioni d'Italia, che ebbe una piu' forte concentrazione di mulini ad acqua, dal Medio Evo all'Ottocento, fu la Lombardia, ricca di fiumi, canali, navigli, rogge, che avevano la duplice funzione di irrigare i campi e fungere da forza motrice. Molti di questi mulini hanno resistito al logorio del tempo, alle guerre, ma anche a quel terribile ciclone che per essi rappresento' la rivoluzione industriale: nel periodo pionieristico, perche' i primi insediamenti produttivi sfruttarono proprio le ruote dei mulini esistenti per azionare le prime macchine utensili, anche se nel periodo successivo, con l'avvento della moderna tecnologia, i superstiti vennero superati dalle piu' avanzate tecniche di macinazione. Nel borgo di Legnano, fin dal Medio Evo, prosperava l'attivita' molitoria, esercitate in forma artigianale e tale era la dovizia di mulini disseminati lungo l'Olona, da Castellanza a Nerviano, da far supporre che nel XV secolo questa attivita' costituisse per l'intera zona, e per Legnano in particolare, una notevole fonte economica. I nobili di quei tempi 238 cercavano di accaparrarsi il maggior numero di mulini, per poter realizzare una vera e propria concentrazione, in grado di condizionare altri settori e speculare in occasione di magri raccolti o di carestie. Legnano per molti anni aveva fornito farina per il pane dei Milanesi ed e' naturale che alcuni signorotti di quei tempi avessero messo insieme una cospicua fortuna con le macine dell'Olona. Il piu' antico documento conosciuto, nel quale si nomina un mulino sull'Olona, e del 1043, un palmento di proprieta' di Pietro Vismara, ubicato tra Castegnate e la localita' Gabinella di Legnano. Nel documento si parla di Cogorezio o Cogonzio, nominativi scomparsi, ma che permettono di localizzare, come si e' detto, questo mulino (Memorie n.3, Societa' Arte e Storia Legnano, Legnano 1936, pagg.38 e 62). Anche nella denominazione di alcune vie dell'antico borgo, sia a Legnanello che nella zona del centro storico e attorno al castello visconteo fino a S.Vittore e Canegrate ed oltre, veniva ricordata questa vocazione dell'economia locale. Cosi' avevamo via dei Magnani, via Mulini di Sotto, via Mulini dell'Arcivescovo, Mulino delle armi e localita' Cinque Mulini, nella zona in cui attualmente sorge il ponte di via Pontida e dove l'Olona si diramava in ben quattro bracci, formando anche due isolotti. Vi erano altri mulini anche presso l'antico convento di S.Angelo sulla roggia omonima, che attraversava poi il nucleo abitato del Borgo di Maragasc (zona S.Ambrogio). Un raggruppamento consistente sorgeva pure nel tratto compreso tra le attuali vie Matteotti e Beccaria, dove possedevano proprieta' terriere e case i Lampugnani del ramo di Oldrado II. Lo storiografo Pirovano chiamava appunto gli appartenenti a questo ramo della nobile casata, (per distinguerli da altri), "Lampugnani di Ponte Carrato". Il piu' grande si trovava nel punto in cui ora sbocca via Corridoni ed era stato ribattezzato col nome di Mulino della Vedova, probabilmente dopo che Giovannina Omodei fu Gasparolo, vedova di Ubertino Lampugnani, acquisto' la proprieta' con altri immobili (atto di vendita datato 17/3/1419 a rogito del notaio Laurentius Martignonibus in Archivio Ospedale Maggiore Milano) Il Ponte Carratum cui si fa cenno nell'atto pergamenaceo citato, caratteristico a due arcate, che univa la via Milano all'attuale via Corridoni, (gia' via Magnani) venne demolito il 7 giugno 1882. Lungo il percorso dell'Olona, a valle del castello, troviamo disseminati altri mulini, alcuni dei quali, come si vedra', pervenuti fino a noi da un antico regno romantico nascosto da un'archeologia industriale o artigianale da museo. Le Signorie Sforzesca e Viscontea posero a presidio dei piu' importanti raggruppamenti di mulini alcune fortificazioni, sfruttando fortilizi e castelli 239 gia' esistenti, per ubicarvi impianti molitori, come nel caso del castello di Legnano. Lo storico milanese Del Prato annota che, nel 1510, al discendere di un esercito svizzero dal Canton Ticino, via Varese, per raggiungere Milano...furono rotti tutti i mulini da Varexo sino a Rho eccio' che il numeroso et povero exercito de Sviceri per se' con fame se vincessi...finalmente, dice lui, la cosa se accordo' con dinari, et il giorno duodecimo di settembre essi Sviceri gia' pervenuti a Gallara' se ne ritornarono a casa loro. Questa fu una delle tante battaglie e, dispute militari che ebbero per teatro i mulini dell'Altomilanese. Secondo alcuni riscontri storici, fatti dal Sutermeister, Gian Rodolfo Vismara, possessore di vari mulini, faceva lavorare i metalli fini, usufruendo della forza dell'Olona, per battere al maglio le foglie d'oro e d'argento e per trafilare gli stessi metalli. Questa lavorazione doveva avvenire, sempre secondo lo studioso, per mezzo di adattamenti alle stesse macine dei mulini. A riprova l'autore cita cinque atti conservati nell'archivio della Congregazione di Carita' di Milano, rispettivamente degli anni 1453, 1461 (aprile e luglio), 1486 e 1487, nonche' altri due atti di acquisto del 1467 (Codice Trivulziano 1816, 194-1. 193-4). Il censimento di Legnano del 1594 segnalo' l'esistenza nel borgo di 16 mulini appartenenti a nove proprietari. Una relazione invece datata 1772 e stilata dall'ing. Gaetano Raggi, del Consorzio Fiume Olona, (che ha tracciato anche una mappa molto precisa), ne aumenta il numero a 18. Ecco l'elenco dei mulini di Legnano al 1594: -----------------------------------------------------------------MULINI RISULTANTI DAL CENSIMENTO DEL 1594 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------lOCALITA' SEGNATA NEL CENSIMENTO DENOMINAZIONE MOLINARO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Gaminella 1 Mul. e Casa Cuttica 29 Rosetti Gius. 2 Mul. e Casa Hipp.Lamp. 16 Reina Ambrog. 4 Mul. F.lli Alui.so Hier 5 Salmoir.Stef. 240 5 Mul. Arciv. le oltre l'Olona 7 Salmoir. Gio.B. 6 Mul. Mensa Arciv.le 7 Salmoir. Ludov. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Mungiato 60 Mul. Mensa Arciv.le 9 Salmoir. Franc. 61 Mul. di Oldrado Lamp. 3 Salmoir. Gio.P. 62 Mul. S.Caterina 11 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sopra la P.za 149 Mul. Prosp.ro Lamp. 9 Salmoir. Gio. * 152 Due Mul. del sig.Pros.ro Rossetto Paulo 153 Lampugnani 13 Salmoir. Gius. 163 Due Mul. della Signora Patto Gio.Batta 164 Lucrez. Cusani 11 Salmoir. Gio.Ant. * ma leggasi: 149, 152 e 153 a Ponte Carrato, 163 e 161 alla Mad. delle Grazie. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sotto al Castello 166 Mul.della Sig.ra Lucrez.Cusani 10 Raguzzo Geron. 167 Mul. Sig. Meraviglia 13 Lanza Panigo Ag. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------In Legnanello 181 Mul. Card.Peretto (esso fu poi Card. Archinto 10 perche' dal contesto risulta che era in Salmoir. Ambr. centro di Legnanello). -------------------------------------------------------------------------------------------------------------241 da Memorie Societa' Arte e storia, n.18, Legnano -------------------------------------------------------------------------------------------------------------Mettendo a confronto la relazione Raggi con questa elencazione, risulta che, nel 1594, non esistevano ancora i mulini 19 e 20 del Conte Prata, rispettivamente del canonico Proverbio, situati in Legnanello, sull'area in cui sorse poi lo stabilimento Bernocchi, tra Gabinella e via Pontida (Sutermeister in I mulini antichi sull'Olona - Memorie Soc. Arte e Storia, Legnano 1960). Nel XIX e XX secolo gli ultimi mulini residui vennero sacrificati per costruire le grandi industrie cotoniere Cantoni, Bernocchi e Dell'Acqua, che sfruttarono la forza motrice dell'Olona, realizzando sistemi di trasmissione interna azionati da ruote idrauliche o da turbine Jonvall, particolarmente adatte per l'Olona a variabilita' di regime. Caddero cosi' sette mulini di grano. Quando i progressi ottenuti dalla diffusione dell'energia elettrica licenziarono le acque dell'Olona come forza motrice, i mulini superstiti tornarono a macinare grano: erano i tempi magri della prima guerra mondiale che fecero riscoprire questi importanti impianti e svolsero cosi' una rinnovata e importante funzione per la sopravvivenza. Nel periodo post bellico, quando con la forte crescita del fabbisogno di corrente, l'uso delle vecchie ruote divenne economicamente sfruttabile anche dalle piccole officine, qualche mulino cambio' attivita' e invece delle macine da grano, prese ad azionare, come si e' detto, trapani, piallatrici, mole a smeriglio. Anche questo nuovo risveglio si spense presto col mutare delle condizioni economiche di Legnano. L'espandersi edilizio della citta' distrusse gli ultimi mulini, a cui si preferirono strade e palazzi. Attualmente ne restano, a monte e a valle del castello visconteo di Legnano, soltanto sei e da essi prende il nome una tradizionale gara di cross campestre, la Cinque Mulini, che si corre ogni anno a primavera. Si tratta dei mulini Meraviglia (gia' Melzi Salazar), Cozzi, Cornaggia (di fronte al Parco comunale del Castello), De Toffol, e Montoli di Canegrate ed un altro a valle di Nerviano. L'unico con le macine ancora in efficienza (piu' che altro per triturare foraggio per bestiame) e' il mulino annesso alla fattoria agricola Meraviglia nel territorio di San Vittore Olona, che e' certamente il piu' antico tra i rimasti perche' risalirebbe al XIV secolo. Esso offre una sorta di melanconica sopravvivenza capace di testimoniare un'attivita' plurisecolare, quasi scomparsa, che pure aveva fatto un tempo la ricchezza di questa zona agricola lombarda. 242 243 Relazione sui Mulini idraulici lungo l'0lona. Tratto da :Societa' Arte e Storia Legnano Memoria n.18 - 1960 I Mulini antichi sull'Olona. La presenza di un corso d'acqua , atto a fare funzionare un numero notevole di mulini, su una parte ravvicinata del suo percorso, e' stato importante fattore di prosperita' locale, che decise uno sviluppo di avanguardia in confronto ad altre zone pur toccate dallo scorso d'acqua. Non e' facile dire quando essi mulini siano stati qui introdotti, ma osiamo pensare che cio' non abbia ritardato molto rispetto alla ruota di mulino scoperta in Campania e classificata del I° secolo dopo Cristo. La storia ci insegna che erano gia' noti agli egiziani, assiri, cinesi e che da noi la descrizione piu' antica ci e' tramandata da Vitruvio, che visse all'epoca di Augusto. Il piu' antico documento sopravvissuto, che nomini un mulino nella nostra zona e' del 1043, e l'ho gia' citato in Memorie 3 Pag. 38 e 62; il proprietario era Pietro Vismara. Vi e' presunzione, che fosse quel mulino, che nel 1450 1470, fu poi di Gian Rodolfo Vismara, proveniente per eredita' dal suo bisnonno, che si trovava in Cogonzio o Gogorezio ( nominativi scomparsi), contiguo alla chiesetta di San Bernardino a Castegnate, ed ora distrutta. Con il diffondersi dei mulini e per l'importanza sociale economica che derivava dal loro uso, essi furono oggetto di accaparramento da parte delle sfere dominanti, ed il loro possesso era intimamente collegato con il dominio delle terre coltivate a grano. Nelle contese sociali o nelle guerre, il mantenere o perdere i mulini, equivaleva a vincere o perdere il relativo territorio. Tutto cio' mette in evidenza, perche' la nostra valle Olona fu disseminata tratto a tratto da castelli, affidati generalmente a nobili possidenti della zona, che provvedevano a fare la leva ogni qualvolta cio' occorresse.. Difendere la terra per avere grano per sfamarsi. Nei tempi di sconvolgimento economico dopo una guerra, cioe' nei momenti di carestia, il governo ducale ordinava con grida: " che si levino le mole dal servizio delle armi e per la carta, per trasformarle al servizio delle macine da grano". Le mole cui qui si accenna sono quelle da arrotare che possedeva ogni mulino 244 che avesse la combinazione con il maglio da fabbro, con cui poteva anche produrre armi bianche. Distruzione difensiva dei Mulini. Il Dal Prato, storico milanese dal 1499 al 1519, ci informa (ma non e' l'unico) che nel 1510, al discendere di un esercito svizzero dal Canton Ticino, via Varese, per raggiungere Milano..."""furono rotti tutti i mulini da Varexo sino a Rho accio' che il numeroso exsercito da Sviceri per se' con fame se vincessi..." "Finalmente, dice lui, la cosa se accordo' con dinari, et il giorno duodecimo di settembre, essi Sviceri, gia' pervenuti a Gallara' se ne ritornarono a casa loro". Veramente da altri storici sappiamo qualche cosa di piu', per esempio che ai mugnai era stato consigliato di fare deviare con tutti i mezzi le loro scorte, fuori dalla rotta di marcia degli svizzeri, e che venuti da Legnano ed accampatisi per dieci giorni nella nuova chiesa di San Magno, che era in costruzione, finirono per bruciarne le armature, causando un grave ritardo alla costruzione stessa. Fu cosi' una piccola battaglia vinta con l'arresto dei mulini, ma purtroppo, ne queste, ne altre successive, non poterono evitare la caduta della Signoria Sforzesca, sopraffatta dai troppi contendenti al suolo lombardo. Lo sfruttamento dell'acqua. Occorre ricordare che lungo il fiume vi sono due tipi di utenti: 1) I mulini, che sfruttavano la discesa naturale dell'acqua nel percorso a cadauno assegnato, non consumano l'acqua, sono relativamente pochi, ma con carattere industriale e con utenza quasi costante. 2) Sono invece moltissimi gli utenti del fiume che consumano l'acqua, facendola defluire fuori dal letto, piu' o meno irrimediabilmente, per irrigare i terreni contigui al fiume, e ne fanno rientrare solo gli scolaticci degli stessi terreni. Tali bocche, che hanno un loro numero sulla tavola, sono ovviamente sottoposte ad altrettanti controlli, non solo circa le misure delle bocche e bocchelli, ma anche circa il battente d'acqua, che su di esse gravita, che e' determinante per la quantita' di acqua che ritirera' l'utente. I mulini invece, che con il loro funzionamento sono fatti a fare ristagnare l'acqua o a lasciarla defluire piu' o meno liberamente, creano anomalie a 245 tali utenti, e le lamentele passano prima al Dirigente del Consorzio e finiscono non di rado in Tribunale. Allora come oggi. Di qui la necessita' di una organizzazione idrologica e di attenti controlli per ottenere ordine nelle molte contese fra gli utenti e ai bisogni contrastanti. Le vie molinare di questa zona, sono tirate tutte parallele l'una all'altra e normali al fiume, in modo che, teoricamente a cadauna localita' piu' o meno lontana dal fiume, corrispondeva una strada, che con il minore percorso possibile, andava ad incontrarsi con un mulino. Rilevata questa caratteristica, si e' trovata la chiave del mito delle strade romane distese con ritmo ortogonale sulle regioni; e' nata prima la serie delle strade parallele, perche' erano evidentemente quelle di primo interesse per condurre il bestiame agli abbevveratoi; le "tratture", ma ben presto si perfezionarono al servizio dei mulini. Vertenze sul godimento delle acque del fiume. Decreto del conte di virtu', del 23 febbraio 1381 contro gli utenti abusivi delle acque pubbliche. Dopo i soliti preamboli prescrive: ".. che nessuna persona, di qualunque condizione disponga, creda di estrarre o fare estrarre acqua dal Ticinello, Naviglio Grande, Carlona, Parona, ed Olona a noi sottoposte, ne' da altre rogge, sotto la pena di 300 fiorini d'oro, se la presa fosse fatta con incastro di sasso di muro; di 200 fiorini se con incastri in legno; di 100 fiorini se in altro modo estratta e senza incastro, se piu' o meno in aria, e per persona, a condizioni di arbitrio a seconda delle circostanze ecc. ecc. Questa ordinanza verra' iscritta negli statuti nostri e nel comune di Milano e di Pavia con le solite norme"". Il Duca con questo bando metteva un catenaccio all'apertura di nuove prese arbitrarie, che togliessero acqua dai fiumi, certamente per ragioni importanti e non solo fiscali,. Anzi dal momento che non vi e' accenno in tal senso, occorre pensare ad un impellente bisogno di disciplinamento delle acque. Circolare di Filippo Maria Visconti del 13 Luglio 1445. Il Duca sente il bisogno di lanciare analoga circolare ai Nobili e Sapienti Viri Commissari, per fare sapere "che" nessuno rallenti o che usando l'acqua in qualsiasi possessione ardisca o presuma con qualunque ostacolo di impedire il decorrere nel suo letto, sotto pena di privazioni, confisca dei beni, a decidere dalle nostre camere "ipso facto", senza alcuna 246 dichiarazione spiegativa e con l'annuncio solo del banditore Antonio d'Arezzo, che tosto di trasferira' lungo il fiume Olona ed dovunque occorresse". Questa comunicazione ha un vero carattere di urgente catenaccio in tempo di guerra. Ed era giustificata dal bisogno che i mulini potessero ottemperare al loro compito di non lasciare mancare il pane alla popolazione, perche' l'amministrazione Ducale sentiva i pericoli delle rivolte popolari. Infatti appena due anni dopo la morte del Duca, si sviluppava la Repubblica Milanese, che tanto filo da torcere diede poi al suo genero Francesco Sforza, per la riconquista e ricostruzione del Ducato, piombato in vero sfacelo. Lettera di sua maesta' Cattolica don Filippo II, re di Spagna e Ducato di Milano. Con cui il 5 maggio 1563 sua maesta' sollecita ai magistrati cui compete, di dare pronto corso ai processi iniziati presso i Commissari generali delle acque e diano forma giuridica alle loro prescrizioni sulle acque e statuti. I magistrati in obbedienza a S.M.C. emettono queste grida per fare svegliare gli utenti. 1563 3 luglio. "Volendo l'Illo e Mag.co Residente e Maestri delle R. Ducali Entrate dello Stato di Milano, venire a cognizioni delle raioni di poter cavare acqua dai fiumi regi, navigli, laghi o altre acque pubbliche, si ammonisce ogni persona sia ecclesiastica che secolare, di denunciare per iscritto entro giorni quattro dalla pubblicazione della presente, le loro ragioni e diritti sulle acque, ed entro altri dieci giorni, presentare documentazioni autentiche. Il 21° giorno i sigg. Presidenti e maestri ordineranno l'otturazione di tutte le prese che non saranno giustificate e decadranno da tutte le ragioni dopo non prerentorio invito a comparire ai prefati sigg. Presidente e Maestri al loro ufficio, posto nella corte dell'Arengo in Milano. Il Presidente e i Maestri della Regia Ducal Camera delle Entrate straordinarie di Milano. Io Galeazzo Palazzi q. Gio Pietro T.T.P.S. Sebastiano Milano Notario Apostolixo successo al fu Gerolamo Legnani gia' Not. e Magistrato straordinario, rogai, scrissi e sottoscrissi." In seguito a questa imposizione il fascicoletto riporta una lunghissima fila di ricorsi presentati dagli utenti fra il 1593 e il 1597 di cui essi dimostrano i loro diritti di Esenzione a tasse di utenza. Pertanto qui il campionario di regesti, dai mastri ducali e degli uffici commerciali, relativi alle esenzioni delle tasse; elargite a membri 247 Legnanesi ed altri, dalle autorita' Ducali. Una piu' vasta distinta trovasi nelle memorie n. 9 fra le pag. 74 e 100. 1464 - 8 settembre - Lampugnani Cattarina madre del dr. Terzago Cancelliere del Co. Giac. Piccinini riceve dal Duca Francesco Sforza la facolta' di valersi dell'acqua del fiume Olona ogni mercoledi' per adacquare pertiche 100 di prato nel territorio di Legnano. arch. Ducale R.° B. B. f° 368 Reg. Lett. Duc. 1462 1472 f° 98 tergo. 1467 - 10 febbraio - Decreto della Ducissa Bianca Visconti e Galeazzo Maria Sforza a Gio. Andrea Lampugnani nipote del M.co Oldrado per immunita' ed esenzione ai suoi beni e massari e redditarii qualsiasi per lui ed i presenti del fu Oldrado. Arch. Osp. Magg. Cart. 93 94. 1467 - 21 ottobre - Grida a stampa per uso interno e pubblico di Galeazzo Maria Visconti per ordinare ai magistri delle entrate ed a tutti a cui spetta, che non si elargiscano piu' esenzioni perche' lo stato abbisogna denaro. Conferma intanto invece che le esenzioni dei sottoindicati restino valide e sono le uniche. Firmato Galeazzo e Cicchus. Eredi di D°. Oldrado Lampugnani e seguono i nomi dei 19 membri preminenti di casa Visconti fra cui tutti i titolari dei Castelli del Milanese. 1467 - 22 dicembre - Lampugnani Gio' Nicolo' e Gio Leonardo fratelli, ricevono l'esenzione dal Duca Galeazzo Maria Sforza sui loro beni e massari. Arch, Duc. f°. 41, n.° 26. 1471 - 22 maggio - Il Duca di Milano ordina che Giovanni Andrea Lampugnani ne' i suoi mugnai non vengano gravati in occasione del dazio sui rodiggini. Reg. Duc. n.° 8, fol. 179 e 180 tergo. Verso 1510 1520. Supplica di Oldrado III Lampugnani al Governatore di Milano avversa e controlli idrologici e sue tasse. Timbro rotondo dell'O.L. colla "camarra" Ill.mo et Ex.mo Sig.re - Essendo novamente andato Jo. Antonio Trombeta con certi balestrieri alle terre quale sono dricto al fiume Olona per provvedere che le acque depso fiume non siani ritenute et possano venire a Mlmo.. Con commissione de la Extia V.ra come se dice di dare 248 contrefacienti pagano la spexa de dicti balestrieri. Et quantoche' esso Jo Antonio non debia molestare li molinari pel tal causa quali non solamente non ritennero l'acqua ma cercano tutta a sua possanza di dare venire piu' acqua se po in dicta flume per essere anchora al beneficio de soy molini. Non dimanco esso Jo Antonio pare voglia astringere dicti molinari per il suo bonfare a pagare mezo ducato per molino e maxime li molinari de li vostri fedelissimi servitori dno. Oldrado et fratelli de Lampugnano contra il debito et contra el solito volendo impugnare nova xervit' ali molini predicti et fare extorsione adicti molinnari il che non he da esser tolerato per la Ex.tia V.ra. Et pero se suplica a la prelibate V. Ex.tia in nome di discti dno Oldrado et fratelli et soy molinari che quella se digna servirse mandare al dicta Jo Antonio che per dicta causa non molesta e fassa molestare li molinari predicti et sel sera facta novita alchuna lo dibia subito revocare. Come se crede essere de mente del la Ex.tia Vostra ala quale dicti suplicanti si ricomanderemo. arch. St. Mil., Cart. Fam. Lamp. 1584 - 12 Maggio - Istanza al fisco - Bernardo Lampugnani (notaio) supplica che nonostante che il suo molino nella Valle Olona, pieve di Parabiago, gia' tassato in Limp. 22, fu venduto e che e' solo un solo ramo dell'Olona, venga mantenuta invariata la tassa. Un fascicoletto del 1610 a stampa in corsivo, di 22 pagine, che e' pervenuto in donazione alla Biblioteca del Museo (dall'amico Bajardini Nino di Castellanza) intitolato: "Transazione tra la regia Camera e gli utenti del fiume Olona" 3 maggio 1611 inizia con carattere giuridico, ma finisce fra le glorie del fisco. Esso ci presenta innanzitutto un certo numero di disposizioni antiche sul possesso delle acque; poi alquanto prolissamente ci informa della contesa svoltasi tra il 1593 e il 1610, per arrivare a una transazione che fornisce al fisco un quid, per sovvenire alle spese dello Stato. Mirava pero' il fisco a stabilire un prezzo di transazione per il passato ed una cifra per il futuro. Faceva rilevare che il fisco che, l'introito fiscale sugli utenti dell'Olona, era stato di lire 2432 nel 1560 ed era caduto a lire 1795 nel 1593, perche' molte esenzioni erano state rilasciate, mentre da un altro lato, l'aprirsi di utenze abusive, faceva diminuire l'acqua del fiume a danno dei mulini. Da qui la necessita' di risistemare tutto, ed aumentare le tassazioni. Mentre la Regia Camera intrapprendeva detta opera, alcuni potenti avversari, 249 si attaccavano alla penna degli avvocati per una schermaglia, che duro' fino al 1610 quando si apri' la via di uscita colla transazione fra le parti. Il fascicoletto pero' ci fa risalire ad atti del 1383 in qua, per esaminare il contradditorio se la Real Camera, era meno in diritto e con quali organismi, di legiferare sulle acque; di vagliare i diritti antichi di esenzione, che molti utenti vantavano, e che dovettero poi documentare in un termine prerentorio, richiesto di pochi giorni, ma che si prolungo' dal 1593 al 1597 e poi sino al 1610 per l'esazione. Per un caso si traversava proprio l'epoca del Censimento, pubblicato nelle Memorie 17, che l'amministrazione Arcivescovile aveva ordinato a tutti i parroci del Milanese. Ognuno puo' pensare che tale censimento abbia facilitato anche l'amministrazione comunale. Ho detto sopra che la via di uscita al ginepraio, si risolse nel campo contingente con la transazione fiscale. Alla camera fiscale premevano i contributi e cosi' il 12 febbraio 1610, il consiglio degli utenti pattuiva una cifra globale di 6000 ducati d'oro a lire 6 cadauno, ossia lire 36000 per una liquidazione a tutto l'anno 1609 e la Camera proponeva 1000 ducati in piu' onde tacitarsi anche per il 1610. Questa seconda proposta cadde, ed il Consorzio Utenti, procedette con il suo tesoriere Gio Battista Prandoni al versamento delle 36000 lire in cinque rate successive, fra il 16 luglio 1610 e il 28 gennaio 1611. Segue poi il curioso silenzio, ritto nel 1638 addi' 5 marzo, dal Consorzio Utenti, perche' esso invita la Regia Camera a stendergli un atto notarile dell'avvenuto pagamento delle 36000 lire per la transazione suddetta, dando l'impressione che la somma non corrispondesse ad una tassa, ma a una vendita di diritti al Consorzio; una specie di licenza. E non si chiarisce. I deputati richiedenti furono: Conte Paolo Simonetta del fu Giacomo, Francesco Pagano fu Lazzaro, Luigi Lampugnano fu Guidone, anche come procuratore del Dott. Gio Battista Pallazzo. Il nostro libbriccino informatore non va piu' in la', ed io non posso arbitrarmi di supposizioni e dire come pote' proseguire la regolarizzazione della vertenza. Il Consorzio naturalmente dovette dividere la "spesa" tassando gli utenti e misconoscendo anche con giuste ragioni le immunita'. Tuttavia esso libbriccino indichera' ad un certo punto una lista di esentati. Cosi' quello di Lucrezia Lampugnani ereditiera dei beni del Castello di Legnano presentato nel 1597 in tempo utile, nel quale adduce brevemente queste note: ... " presentero' le mie dimostrazioni e giuste opposizioni legali, e cioe' che io e i miei antecessori nella loro antichissima possessione, estraggono 250 l'acqua ogni giorno e per ogni ora in perpetuo, per irrigazione dei loro beni per sentenza dei Principi e Duchi gia' di Milano, su relazione dei loro senatori, e presentero' dei privilegi accordati da Gio Galeazzo Maria Sforza Visconti gia' duca di Milano, in data 22 novembre 1543, un voto favorevole al fisco." Invece il fisico Gio Battista Selvatici fa dichiarazione del giusto termine; per dire che ne' lui, ne' il suo genitore non godettero mai, ne godono ora minimamente di detta acqua benche' abbiano dei fondi nel vicinato, con voto favorevole del fisco. (Sarebbe un crumiro??). Una comunicazione del conte Paulo Camillo Marliani, in cui esibisce il privilegio concessogli da Carlo V Imperatore fu Antonio Marliano, in data 17 giugno 1543. Ad essa pero' non puo' venire riconosciuto il privilegio per i successori, perche' le bocche Pisa vecchia e Manera, quindi deve chiudere dette bocche e regolarizzarsi dalla morte di Io. Antonio Marliani. (cioe' regolarizzare gli arretrati). Finalmente il Comune di Milano presenta il suo ricorso di alcune pagine con sette motivazioni a suo vantaggio, per dimostrare il carattere di "civico e pubblico" dell'Olona, adducendo dopo molte obbiezioni, di carattere giuridico e di competenze contrastantisi, che il Naviglio ha una funziona pubblica e civica, e che l'acqua dell'Olona va considerata alla stessa stregua, perche' dal un lato serve ad integrare le acque del naviglio nell'ambito della citta'; (nei tomboni e nei punti di smistamento navi) e dall'altro serve a molte fontane pubbliche di citta'. (questa frase getta una luce "di acqua pulita", sconosciuta a noi oggi). Nella valle d'Olona lavorazione dell'oro e dell'argento ?? So di lanciare una novita', che non posso dimostrare a fondo. La sottopongo per stimolare la critica di studiosi, che siano gia' occupati della cosa. E mi spiego: Gia Rodolfo Vismara, creatore di due correnti a Legnano, era possessore di un mulino presso Castellanza (memorie in societa' Arte e Storia n. 3 pag 62 65) e pero' trafficava ripetutamente con oro e argento per chiese e conventi (pag. 44 48). Ho la percezione ch'egli facesse lavorare metalli fini, usufruendo della forza dell'Olona per battere al maglio le foglie d'oro e d'argento e per trafilare gli stessi metalli. Ho i regesti di cinque atti notarili, dal 1453 al 1478, nei quali Gian Rodolfo riceve pagamenti per "oro e argenti lavorati", percepiti da coloro cui ho fatto le forniture, "atto del 3 marzo 1453; del 14 luglio 1461; del 1 aprile 1461; del 6 marzo 1486; del 20 maggio 1487; arch. Congreg. carita' Milano. 251 ed altri due Lampugnani del castello di Legnano; 1467 - maggio 7 - Rog. Lazaro de Cairate. Domu.us Augustinus de Terzago, frixiarius f.q. dni. Christofori P. O. Parr. Monasteri Lautaxii debet spec. viro dno. Joh. Andrea le Lampugnano f. q. dni Mafioli Libras 1461 imp. et sold. 18 causa et occasione tante quantitae auri et argenti laborati. Cod. Triv. 1816. 194-1. 1467 - febbraio 20 - Rog. Lazaro de Cairate. Dnus Augustinis de Terzago f. q. dni Christofori P. O. Par. Monast. Lautaxii debet sp.lis dno Joh. Andree de Lampugnano f. q. dni Mafioli flor. 5000 causa et occasione tantae quantitae auri et argenti laboratum. Cod. Triv. 1816. 193-4. Note inerenti ai mulini legnanesi Daro' qui quelle note sparse che mi fu possibile racimolare sia dallo stradario 1871 che definisce i proprietari delle case (e dei Mulini) a tal epoca come da informazioni orali di anziani che poterono ricordare vicende industriali lontane. E' venuto meno invece collo stradario 1859 1869 il quale, corrispondendo quasi all'epoca della intesa industrializzazione di Legnano poteva segnalare quale mulino era a tal epoca ancora in mano ai mugnai. I due elementi decisivi per la potenza di cadaun mulino sono caduta e portata di acqua. La caduta e' nell'ambito di Legnano di 0,9 a 1,1 metri per ogni mulino. La portata dell'Olona e' molto variabile ma come media possiamo segnare 15 mc. al secondo. Meta' passa dall'Olona libera e l'altra meta' divisa su ogni gruppo di due mulini affiancati come e' normale. Sono quindi 3,5 mc. al secondo che con 0,9 di salto danno 31,5 CV utili al mulino. Tutto questo valga come media generale, mentre ogni mulino colle sue caratteristiche di salto e di portata presentera' variazioni di tale media. Nella zona dei mulini legnanesi, non mi fu nota ogni altra applicazione industriale se non quella della macinazione del grano e dei foraggi; sino al 1772 la sola eccezione era data dal mulinello n. 30 che azionava alternativamente una sega a legno o un maglio di fabbro. E' poi nel periodo della industrializzazione di Legnano le ruote passarono al servizio delle filature e tessiture come vedremo. 252 Trapasso di Mulini alla famiglia Lampugnani. Nel corso del 1400 i Vismara cedevano diverse proprieta' ai Lampugnani che in Legnano dai tempi di Filippo Maria sino a tutta la Signoria Sforzesca furono in gran ascesa. Dico cio' senza occuparmi qui particolarmente delle cause che indirizzarono questo casato ad una euforia di ricchezza e di potenza. L'Oldrado II° in tale vorticosa ascesa acquistava anche largamente dai Crivelli ben noti rami di Parabiago e Uboldo. Le vendite di costoro di beni in Legnano sono cosi' vaste da dare l'impressione di una patteggiata rinuncia di dominio di essi sulla zona Legnanese. Anche i mulini furono oggetto di mira dei Lampugnani. Cosi' nel 1419 la madre dell'Oldrado II° acquista il mulino con tre rodiggini sito nell'Olonella all'angolo fra via Olonella e Ponte Carrato (oggi Via Franco Tosi, risp. via Milano); nel 1432 egli acquista dai Vismara quello sito sull'Olona presso il convento di Santa Caterina, che prima era dell'arcivescovo. Il grande terreno arcivescovile fra l'Olona e l'Olonella che era ancora tutto prato e tangenziava col Mulino arcivescovile ( del Sighett ) lo aveva gia' acquistato nel 1422 quando aveva gia' messo a nuovo il suo maniero di Legnanello. E tutto cio' mentre, per le necessita' delle mansioni al fianco del Duca, teneva la su abitazione in Parrocchia di San Giovanni sul Muro a Milano, Assistiamo ad una sistematica presa di possesso in Legnano che culminera' colla donazione a lui del Castello nel 1437, una cosa evidentemente a lungo prevista. Sua sorella Maria era andata sposa a Giovanni Branda Castiglioni e risiedeva nel Maniero di Masnago che era poco meno di una reggia. "Esso e' liberamente visitabile per benemerenza Conti Pansa, attuali proprietari ed e' di grande interesse artistico e storico, anche per i legnanesi". L'Oldrado II°, potente a Milano, ma anche a Legnano e Ducale fino all'osso, resistette alla Repubblica Milanese del 1448 e appoggio' Francesco Sforza nella sua faticosa ascesa al Ducato. I tre mulini del Conte Prospero Lampugnani che durante il censimento del 1594 hanno annesse le case n. 149, 152, 153 vanno identificati con quelli di Ponte Carrato che vedremo ai n. 37 e 39 nelle descrizioni piu' avanti. I due mulini della Contessa Lucrezia Cusani in Lampugnano che durante il censimento stesso erano annessi alle case 163 3 a64 e sono quelli immediatamente sopra il Castello, col numero 45a 45b, nella relazione del 1772, furono riassunti poi dal JCC Francesco Maria Lampugnani nel 1729, e passarono infine con tutta la proprieta' del Castello all'Ospedale 253 Maggiore di Milano e poi al Conte Durini, come li troviamo sul disegno del 1772. La Bocca Lampugnana. Un documento del 1476 ci segnala che Princisvalle Lampugnani, oratore (ambasciatore) del Duca Galeazzo Maria a Carrara, possidenti di molti terreni nella piana a levante del castello, otteneva licenza di togliere acqua dall'Olona, con la bocca Antoniora, a scopo irrigatorio di tali terreni. L'architetto Solari, che a tal tempo era al servizio ducale, veniva di persona a Legnano il 2 agosto 1476 a collaudare tale bocca. La denominazione Antoniora scomparve poi col tempo, ma con i disegni ala mano si constata, che essa prese poi la denominazione di Bocca Lampugnana. Non e' difficile pensare che il collaudo dell'architetto Solari veniva a sanzionare un suo aumento di portata. In contrasto con obiezioni che elevera' poi il governo spagnolo, come in altro punto diciamo, che le troppe bocche che succhiano l'Olona. "Del rampo di Princisvalle, capo della zecca di Milano ho data la genealogia e descritta la casa estiva in Legnano, della quale abbiamo ritirato pel Museo quel bellissimo caminone che si fregia dello stemma Visconteo nel centro(mem 17 pag. 175 177). I Cornaggia proprietari terrieri a Legnano. Dalla relazione dell'ing. Raggi si constata che i Cornaggia possedevano nel 1772 dei beni irrigati in territorio di Legnano, ma e' ovvio che ne possedessero anche prima, perche' e' del 1748 che Carlo Arrigo Cornaggia ottenne il titolo di Feudatario e di marchese della Castellanza. Non hanno posseduto pero' mai i mulini, e crederei che non furono industriali sebbene e' noto che un loro precedessore, Carlo Cornaggia, fosse stato attivissimi importatore di corone dall'Oriente. Nel 1798 Cristoforo Cornaggia acquisto' tutti i beni e il Castello di Legnano dall'Ospedale Maggiore di Milano, ma breve fu poi la loro vaghezza per esso Castello, poiche' avendolo poi esso trasformato in una fattoria agricola non provvedettero piu' alla necessaria manutenzione per la conservazione e dal 1900 non lo abitarono piu', lasciandolo quindi andare in deperimento. E' pero' vero che una nuova speranza si e' aperta con il recente nuovo piano regolatore di Legnano, Il perimetro aumentato include ormai anche il Castello e con questo, le stalle dovevano venire sgombrate come prescrive la legge. 254 Cio' nondimeno occorre che l'Amministrazione Comunale si prenda a cuore l'immobile per dargli un assetto utilitario nel senso civico poi con stanziamenti annui ai danni sofferti per l'incuria di questi ultimi cento anni dell'esercizio Cornaggia. La Roggia dei Frati (e il convento) La roggia dei frati Francescani e delle monache di Santa Chiara fu costruita nel 1470 con il consenso ducale e per donazione dello stesso Gian Rodolfo Vismara a due anni dall'inaugurazione del Convento di Sant'Angelo, per provvedere i due conventi di acqua limpida per i servizi. Aveva circa 80 cm. di larghezza e usciva dall'Olona presso Castellanza bassa, in territorio gia' di Legnano, correndo di fianco alla strada comunale che da Castellanza viene a Legnano; penetrava nel terreno s sottostante al Convento dei Frati, ove era la loro lavandera e ne usciva poi per portarsi con debole pendenza attraverso le proprieta' che esistevano lungo le contrade Galvano e Mugiate; entrava nel frutteto ed orto delle Clarisse lungo la direttrice dell'odierna via della Concordia, e attraversando poi via Madonna Mora, oggi via Lega, entrava nella proprieta' dei Cambiaghi, ove si disperdeva nell'irrigazione dei loro prati, che si protraevano oltre San Ambrogio. Le acque residue si buttavano nella roggia arcivescovile e con questa nell'Olona. Poiche' il bisogno di acqua per inaffiare i poderi attraversati, era irresistibile, l'amministrazione sforzesca aveva concesso qualche diritto di uso per tali scopi. Cio' naturalmente aveva dato sfogo a lamentele delle Suore, perche' l'acqua dirottata anche abusivamente nelle proprieta' attraversate e altre meno vicine, giungeva in modo discontinuo al secondo convento e quindi non molto piu' pulita. Fra le carte vecchie dell'archivio di stato, l'amatore delle minuzie locali puo' ancora imbattersi nei fogli di formato protocollo, dei reclami accorati delle suore, con tutte le necessarie motivazioni. Ne accennai anche in memorie 2 pag. 25, mentre nelle memorie 17 ho presentato il disegno del 1797 della Chiesa dei Frati (tav. 13) e di due acquarelli del Pirovano a pag 101 e 102, che mostrano particolari di tale loro proprieta'. Un altro disegno della chiesa e di tutto il convento, eseguito nel 1800, quando il fisco doveva vendere la proprieta', incamerate, e' rigorosamente corrispondente a tutto il "Circondario" in giusta scala, il che non era nel disegno della tavola 13 detta, che va considerato uno schizzo non millimetrico utile solo per la denominazione dei sepolcri. 255 La scomparsa dei mulini a Legnano. Dopo un lungo servizio resa per secoli alla zona legnanese, sono scomparsi in diverse fasi dei secoli XIX e XX tutti i mulini che erano nelle zone acquisite dalle grandi industrie cotoniere, che sono: Cantoni, Bernocchi, Dell'Acqua. Esse4 si installarono, quali prima quali poi lungo l'Olona perche' l'acqua era ed e' una grande necessita' per loro, ma al loro inizio, si compiacevano anche di quella quota parte di forza motrice che l'acqua poteva apportare al loro fabbisogno industriale. Del molino quindi i molini come impianti di molitura e si diedero a migliorare il reddito della forza viva dell'acqua con razionali ruote idrauliche o con turbine Jonvall che ben si prestavano per il nostro corso di acqua a variabilita' di regime. Incidentalmente sia detto che e' sotto questi aspetti che Franco Tosi aveva cominciato in Legnano la sua attivita' con una societa' Franco Tosi.. Cantoni, Krumm per fornire macchinari alle nascenti industrie. Trasmissioni a funi multiple azionavano in tal tempo le macchine operatrici in grandi sale simili a selve, per le numerose cinghie che scendevano dalle macchine. Caddero cosi' 7 mulini da grano che erano nella Legnano in quel tempo. I perfezionamenti intervenuti nei trasporti dell'energia elettrica all'inizio del 1900 ebbero poi il sopravvento su quei sistemi di trasmissione interna detti, col che comincio' l'era dei comandi diretti delle macchine e colla crescita del fabbisogno di energia; le aziende si trovavano persino conveniente crearsi le proprie centrali produttrici, con cui divento' trascurabile l'energia ottenuta dall'acqua e si rinuncio' anche ad essa non risultando conveniente pagarne il canone. L'Olona licenziata dalle industrie!. Ma solo come forza motrice. ed essa, scende tumultuosa ed inutilizzata dai relativi stramazzi. E dalla Gabinella al Castello vi sono 15 metri di salto perduto, qualche cosa come 300 cavalli continui cui si rinuncia per tali molteplici ragioni. L'esistenza dei mulini sopravvissuti era gia' minatissima nel periodo quieto fra le due grandi guerre 1918 1940, ma negli anni della seconda guerra mondiale, sembro' ai mugnai di vedere ristabilirsi una fase di lavoro discreto; giovo' ad essi la macinazione clandestina, quando il produttore di frumento riusciva a sottrarre sensibili quantitativi alla imposizione della consegna all'ammasso, ed i panificatori ne prelevavano giornalmente il loro fabbisogno. Ma cio' duro' solo nel tempo della guerra. Poi segui' ad essa il risveglio del post guerra, una cosi' forte crescita di fabbisogno di corrente, restrizione forzosa al consumo, ed aumento delle tariffe, che qualche modestissimo imprenditore meccanico penso' di sfruttare la economica, ma tecnicamente poco efficiente forza delle 256 vecchie ruote, che erano gia' riabbandonate al triste riposo. Assistemmo ad un fatto nuovo, qualche mulino cambio' professione, si illuse di riaprire un nuovo ciclo di attivita'. Si levarono le macine e nel loro locale si installo' la piccola officinetta: trapano, tornio, mola a smeriglio, magari anche la piallatrice. Ma cio' non doveva durare, perche' mancava alla ruota una regolazione di velocita' di marcia: cosicche' cessata la scarsita' di corrente, tali mulini vennero di nuovo abbandonati. Se e' triste vedere poi i mulini piombati di nuovo nel loro malinconico riposo, e' anche piu' triste per i sentimentalisti assistere alla loro definitiva distruzione, e persino la distruzione delle loro rogge grandi e piccole, che li contornavano con florida vegetazione. Questo abbiamo visto succedere alla Gabinella nel volgere di pochi anni. Ed ora per ben fondate ragioni urbanistiche e' in corso la creazione di uno stradone trasversale all'Olona al limite nord dell'attuale della citta' che attraversando l'ambiente della Gabinella ne trasformera' integralmente l'amata vecchia fisionomia. L'Olona correra' fra due muraglioni di cemento. Addio Gabinella. Addio Mulini. La Gabinella: una nota toponomastica qui intrufolata. Un nome cosi' attraente e cosi' gentile fa pensare a un luogo romantico. E lo sara' magari stato anche in epoca non molto distante da noi. Non e' tale la ragione del suo nome che sara' presto spiegato perche' si allaccia ad una mia scoperta semi-archeologica recente. Esso va inteso come diminutivo di "gabi" che nel gergo valligiano indica un'area lungo un torrente ( o magari un fiume) che in dati momenti soffre di forti piene, che irruendole sopra vi depositano sabbie o ghiaia o bocce che ne travolgono temporaneamente la vegetazione. Nel caso che la frequenza dei travolgimenti e' annuale o magari biennale, la zona diventa sterile, ossia greto. Se i cicli di riposo sono invece pluriennali, la vegetazione arborea si riforma ma verra' poi nuovamente estinta e cosi' via. La Gabinella aveva subito una simile sorte in un lontanissimo passato, e non da bocciame, ma da fine sabbia. Ormai da secoli non era piu' soggetta al fenomeno e al suo disapparire fu chiamato Gabinella il luogo di vegetazione discontinua. Cio' potei constatare in modo indubbio ed interessante, come gia'' riferii in Memorie 11 pag. 3 4, per avere ivi scoperto sotto all'humus un grande banco longitudinale di linda sabbia da fiume avente ben due metri di 257 spessore e contenente disseminati dentro molti cocci di vasi provenienti da tombe romane travolte dalle acque e li depositati. Altre localita' che portano tale toponimo lungo la strada fra Omegna e Gravellona: Gabbio (ove io stesso vidi i travolgimenti a ciclo pluriennale). Lungo la Diveria, sopra a Gondo (Sempione): Gaby era travolta dal fiume a cicli pluriennali. Ma tutto cio' non toglie che il luogo allietato dalla presenza dei mulini fosse divenuto cosi' amabile, nei secoli vicino a noi, da poter fruire di un diminutivo che ha del vezzeggiativo. E chi ammetterebbe oggi l'attribuzione di vezzeggiativi a luoghi toccati dall'Olona?. La via del Sempione attraversava sino dal 1885 il vecchio ponte in centro a Castegnate, per salire a Castellanza con quella rampa che ancora oggi sfocia appena dietro alla Prepositurale di San Giulio. Essa venne poi modificata colla costruzione del nuovo ponte piu' a sud di quello attuale, e raccordata con una grande curva alla via che proviene da Legnanello al qual momento i platani avevano circa 35 anni. La loro distruzione avvenne quindici anni dopo (1937) e quindi erano anche piu' maestosi. Nel 1937, 30 alberi furono distrutti nella curva in oggetto e 21 nel tratto di Castegnate nel quale era ormai cessato il traffico importante. In altri punti della grande arteria, oggi, si ripiantano i platani dopo avere eseguito l'allargamento che aveva ....... I Mulini di Legnano risultanti dal censimento del 1594. Il censimento di Legnano del 1594, che ho sottoposto in Memorie 17 permette di segnare partitamente i mulini allora qui esistenti e di metterli in confronto con quelli di una relazione del 1772 dell'Ing. Raggi del Cons. Fiume Olona, che riproduco piu' avanti. In Gaminella In Gaminella 4 5 6 1 Mul. e Casa Cuttica 2 Mul. e casa Hipp. Lam. Mul. F.lli Alui.so Hier. Mul. Arciv. oltre l'Olona Mul. Mensa Arcivescovile 29 16 5 7 7 Rossetti Giuseppe Reina Ambrogio Salmoiraghi Stefano Salmoiraghi Gio. B. Salmoiraghi Ludovico In Mugiato 61 60 Mul. Mensa Arcivescovile Mul. di Oldrado Lampugnani 9 3 Salmoiraghi Francesco Salmoiraghi Gio. P. 258 62 Sopra la Piazza *152 153 163 164 Mul. di Santa Caterina 11 149 Mul. Prospero Lampugnani Due Mul. del Sig. Prospero Lampugnani Due Mul. della Signora Lucrezia Cusani 9 13 11 Salmoiraghi Gio. Rossetto Paulo Salmoiraghi Giuseppe Patto Giobatta Salmoiraghi Giobatta * Leggasi: 149, 152, 153 a Ponte Carrato, 163, 164 alla Madonna delle Grazie Sotto al castello 166 167 In legnanello Mulino della Signora Lucrezia Cusani 10 Raguzzo Geronimo Mulino Sig. Meraviglia 13 Lanza Panigo Ag. 181 Mul. Card. Peretto. (esso fu poi Card. Archinto perche' dal contesto risulta che era in centro di legnanello) 10 Salmoiraghi Ambrogio Non vi sono segnalati altri mulini. In totale sono quindi mulini 16 di 9 proprietari. Confrontando questa distinta coll'elenco che si puo' ricavare dalla Relazione del 1772 risulta che nel 1594 non esistevano ancora i mulini 19 e 20 del Conte Prata, rispettivamente del Canonico Proverbio siti in Legnanello ove sorse poi lo Stabilimento Bernocchi. Prima di sottoporre l'elenco dei Mulini, come recatoci dalla relazione del 1772, inseriro' qui una brevissima nomenclatura di Voci Tecnologiche relativi ai Mulini, come definite dall'Ing. Mazzocchi, direttore del Consorzio Fiume Olona verso il 1890. Alcune nomenclature relative ai Mulini (Ing. Mazzocchi nel 1900) Roggia Molinara E' la roggia ricavata di fianco al fiume per l'impianto di uno o piu' mulini. Il livello del suo corso e' solitamente disciplinato da uno stramazzo. Nervile E' l'opera in muratura o in sasso, attraverso la roggia molinara, che serve alla distribuzione dell'acqua sulle ruote idrauliche a mezzo di bocche. Bocche Le bocche al servizio delle ruote idrauliche sono costituite di: Soglia, stivi verticali, cappello di pietra e sono munite di paratoia. La luce fra gli stivi e l'altimetria della soglia, determinano la competenza d'acqua dell'utente e sono quindi inamovibili. Spazzera Nel gergo normale del fiume Olona e' la bocca di scarico al nervile. Nel caso di arresto d'esercizio la spazzera deve restare aperta per dare sfogo all'acqua, per i sottostanti utenti e per impedire all'acqua che immagazzinandosi nella roggia molinara crei una anormale uscita alle bocche irrigatorie. Durante l'esercizio delle ruote, la spazzera deve 259 restare chiusa. Bocche irrigatorie Sono aperture di dimensione e di altimetria prefissata, intercettabili con paratoia secondo orario prefisso. Rodiggine d'acqua E' il volume di acqua che in antico si riteneva capace di azionare utilmente una ruota idraulica di vecchio tipo, in legno, pale radiali e piane con larghezza della bocca di 0,90 metri e coll'altezza d'acqua di 0,20 metri cui in linea approssimativa equivaleva alla portata in litri di 150 al secondo " e con un salto medio" di 1,50 metri svilupperebbe una forza di 3 cavalli vapore. Mulini doppi Sono cosi' denominati quei mulini costituiti da due distinti opifici fra di loro a prospetto sulla medesima roggia molinara e da questa divisi. Solo nel percorso centrale dell'Olona vi furono alcuni mulini doppi ( nella zona di Legnano ve ne furono tre ed appunto si distinguono per i due casamenti simmetrici e le ruote che si affacciano). Palmenti sono le macine in sasso dei mulini da grano. Molazza E' una pesante ruota in sasso per macinare od infrangere steli del grano per ridurli a letto o foraggio degli animali. Essa e' generalmente comandabile alternativamente con un mulino mediante ingranaggi ed innesto. I Mulini da Olgiate Olona a San Vittore Olona in una relazione del 1772 In territorio di Olgiate e Marnate n. 16 Molino di 4 rodiggini, in territorio di Olgiate Olona, di proprieta' del Sig. Carlo Genesio Custodi, affittato al molinaro Giuseppe Bomballio. n. 26 Mulino doppio di 8 rodiggini, con due spazzere vuote, situato in territorio di Olgiate Olona di ragione del Sig. Marchese Molo, affittato al molinaro Girolamo Bianco per quattro rodiggini ed al Molinaro Antonio Maria Introzzi. n. 29 Mulino alla destra dell'Olona, in ragione di Don Pietro Antonio Croci, in territorio di Olgiate Olona, di 4 rodiggini, con spazzera vuota affittato al molinaro Antonio Bonballio. n. 32 Molino alla sinistra dell'Olona, in tutto simile al precedente, in territorio di marnate, di ragione del Sig. Don Antonio Cottica, affittato al molinaro Bomballio predetto. n. 39 Molino doppio di 8 rodiggini, situato in territorio di Olgiate Olona, di ragione, rispetto a rodiggini, del Sig. Carlo Sales, affittati a Pietro Zocchi e Pietro Antonio Salmoiraghi, e gli altri 4 rodiggini di ragione del Sig. Ambrogio Custodi, affittati ad Alessandro Zocchi e Francesco 260 Colombi. In Territorio di Castellanza n. 42 Mulino di 4 rodiggini ed una spazzera vuota in territorio della Castellanza, di ragione del Ven. Ospital Maggiore di Milano, affittato al molinaro Paolo Bianchi. n. 43 (al seguito regolare), in territorio di Castellanza, con 4 rodiggini e spazzera vuota, di ragione del Sig. Don Galeazzo Caimi, affittato al molinaro Gioacchino Remolini. n. 46 (al seguito regolare), Molino in territorio di Castegnate, di 4 rodiggini ed una spazzera vuota di 2 porte, di ragione del Sig. Marchese Fagnani, affittato al molinaro Valentino Bianchi. Poco di sotto di detto mulino evvi un ponte in vivo in due archi per la Regia Strada di Sesto Calende quale si vede nel tipo 1 allegato. Si tratta del ponte antico fra l'odierna Manifattura Tosi e il Cotonificio Cantoni. In Territorio di Castegnate n. 5 Mulino a 3 rodiggini con spazzera vuota a tre porte, in territorio di Castegnate di ragione del Sig. Raffaele Molinari. affittato al molinaro Carloantonio Albasio n. 6 Molino doppio situato alla destra del fiume in territorio della Castellanza, di ragione del Sig. Carlo Genesio Custodi di Busto Arsizio; e' di 6 rodiggini, senza spazzera vuota. E' affittato per 3 rodiggini a Gio Maria Macchio e gli altri tre a Carlo Antonio Griffanti. In Territorio di Legnano n. 8 Bocchello del Convento degli Angeli e del Monastero di Santa Chiara. n. 9 Bocca di oncie 27, degli eredi di Gerolamo Brambilla n. 10 Chiusa registrata con cappello. n. 12 Mulino di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig. Don Giuseppe Cajmo; affittato al molinaro Gia Battista Albasio. n. 13 Mulino di 4 rodiggini e 2 spazzere vuote; proprietari DonAntonio Cottica; affittato a Giovanni Bomballio. n. 15 Bocca di 32 oncie. n. 16 Bocca di 29 oncie, del Conte Prata, Marchese Cornaggia, Bartolomeo Vismara. n. 18 Chiusa a sperone, in legno registrata, con cappello. n. 19 Mulino di 4 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig. 261 Conte Giovanni Prata; affittato a Carlo Antonio Salmoiraghi. Mulino di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Canonico Don Agostino Proserpio; affittato a Gio Maria Reina. n. 21 Bocca di Don Antonio Perez, di 20 oncie, con la stessa si adacquano pertiche 24 di prato. n. 22 Bocca di 30 oncie della Mensa Arcivescovile. n. 23 Chiusa in legno, registrata con cappello, del Nodo dell'Olonella. n. 24 Mulino doppio a 8 rodiggini; proprieta' della mensa Arcivescovile; affittato ai mugnani Cristoforo Antonio Reina e Gio Antonio Sirone. n. 26 Chiusa registrata, con cappello in legno. n. 27 Bocca in legno di due porte, di 31 oncie, detta Mensa Arcivescovile. n. 28 Bocca Mantegazza, in due porte di 33 oncie. n. 29 Bocche della Comunita' di Legnano, di 3 oncie della mensa Arcivescovile. n. 30 Mulino a 3 rodiggini e spazzera vuota; proprieta' della Mensa Arcivescovile; affittato al molinaro Gaspare Scossiroli. n. 31 Chiusa registrata con cappello in legno. n. 32 Mulino doppio di 8 rodiggini; proprietaria per leta' l'Abbazia comendata a Momsignor Archinti affittata a Gaspare Scossiroli e per l'altra meta' al Conte Giovanni Prata e affittata a carlo Antonio Salmoiraghi. n. 33 Bocca Lampugnana, in due porte, di 30 oncie, di Don Antonio Lampugnani n. 34 Bocca Filetta, in due porte, di 29 once, molti utenti. n. 35 Bocca Arcivescova, di oncie 29; Utenti: Conte Durini successo al Conte Corio, la Mensa Arcivescovile. n. 36 Chiusa di legno, registrata con cappello. n. 37 Mulino doppio di 7 rodiggini e 1 spazzera vuota; affittato a Giovanni Salmoiraghi detto "Grigio" ed a Giovanni Salmoiraghi detto "della Vedova". n. 39 Mulino sull'Olonella di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario Don Angelo lampugnani; affittato a Antonio Maria Salmoiraghi. n. 41 Bocca di San Magno, in due porte, di 32 oncie. n. 42 Bocche delle Grazie, di 31 oncie, dell'Ospedale Maggiore di Milano, del Conte Durini, del Conte Prata, del Conte Lucini. n. 43 Chiusa della Roggia Molinara, di legno, registrata con cappello. n. 20 262 n. 45 Due mulini "delle Grazie" davanti al Castello, di 3 e rispettivamente 4 rodiggini con cadauno una spazzera vuota; di proprieta' del Sig. Conte Carlo Durini; affittato a Pietro Antonio Cozzi e a Antonio maria Reina. n. 46 Bocca della fossa, di 16 oncie, per l'adacquamento de Prati nella Fossa del Castello di Legnano. n. 47 Bocca Lampugnana, in due porte, di 28 once, dell'Ospedale Maggiore di Milano. n. 48 Scaricatore, fa anche da chiusa, con quattro portoni. n. 49 Mulino appena sotto il Castello sul ramo destra dell'Olona in territorio di Legnano, di 3 rodiggini e una spazzera vuota, Proprietario Sig. Conte Durini; affittato al molinaro Ludovico Bianchi n. 50 Chiusa in legno, registrata con cappello, piu' tardi evvi scaricatore in due portoni. In Territorio di San Vittore n. 51 Mulino sotto al Castello sul ramo sinistra dell'Olona in territorio di San Vittore di 3 rodiggini e 1 spazzera vuota; proprietario il Sig. Conte Durini; affittato al Molinaro Francesco Bianchi. n. 52 Bocca di Casa Castelli, con porta d'incastro per le piene. n. 53 Bocca Selvatica nel territorio di San Vittore, in due porte, di 33 oncie del Sig. Carlo Bossi. n. 54 Chiusa in legno con cappello, sopra alla quale evvi scaricatore a due porte. n. 55 Mulino sotto il Castello, sul ramo sinistro dell'Olona in territorio di San Vittore, di 3 rodiggini e una spazzera vuota; Proprietario il Sig. Dottore Luigi Vailate; affittato a Giovanni Lampugnani. n. 56 Mulino sotto il Castello sul ramo destro dell'Olona, in territorio di Legnano, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Conte Don Giovanni Prata; affittato al molinaro Giuseppe Cozzi. n. 57 Mulino sempre sul lato sinistro dell'Olona in territorio di San Vittore, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Marchese Moriggia; affittato a Antonio maria Cozzi. n. 58 Chiusa in legno. n. 59 Bocca in due porte, di 30 once, del Marchese Castelli. In Territorio di Canegrate n. 60 Mulino quasi parallelo alla statale 57 (San Vittore), sito in territorio di Canegrate, con soglia in legno, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; 263 proprietario il Sig. Marchese Castelli; affittato a Giovanni Brossi. Bocca in due porte, di 30 oncie, del marchese Castelli. Bocca Violanta, nel territorio di San Vittore, in due porte, di 30 oncie del Conte Bellone. n. 63 Chiusa di legno, con scaricatore di cotto. n. 64 Mulino di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Marchese Moriggia e affittato al molinaro Giuseppe Montolo. n. 65 Mulino situato in territorio di Canegrate, proprietario il Marchese Castelli, con soglia in legno, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; affittato a Giovanni Montolo. n. 68 Mulino in seguito del Sig. Marchese Castelli, in territorio di Canegrate, con soglia in vivo, di 4 rodiggini e una spazzera vuota; affittato al molinaro Giuseppe Montolo. n. 70 Mulino in territorio di San Vittore di 4 rodiggini e una spazzera vuota; proprietario il Conte Rescalli; affittato al molinaro Giovanni Prata. n. 61 n. 62 Note sui singoli mulini della zona Legnanese Benche' queste descrizioni singole vogliano limitarsi alla serie dei Mulini del Territorio di legnano, ho voluto qui considerare anche i due mulini "Sotto il Castello", n. 55 e 56, che erano n territorio di Legnano a suo tempo, ma ne furono poi tolti per una variante con San Vittore. Fra le illustrazioni che seguono, mi sono compiaciuto di ritrarre l'interno di un altro mulino di San Vittore, perche' mi e' sembrato meglio fotografabile; cosi' pure le ruote e l'interno di un mulino di Olgiate Olona. Nei disegni delle tavole 1 e 5 che seguiranno, fu messa a base la pianta topografica di legnano del 1859, inserendovi tuttavia qualche aggiornamento che apparve utile. Mulini della Gabinella n. 13 e 13 nella Relazione 1772. tavola 1 All'epoca del censimento del 1594, (vedi Memorie 17 pag. 5 e 6 ) vi erano quei tre mulini e cioe': 1) Mulino del Sig. Curtio Cotica con annessa casa ( n. 1 che ospitava 29 persone ( il Molinaro e tre altre famiglie di congiunti che erano evidentemente in altro modo al servizio del proprietario. 2) Mulino del Sig. Hippolito Lampugnani con due case n. 2 e n. 3, ospitanti 16 persone, come sopra. 264 3) Mulino del Sigg. Alouisio e Hieronimo Lampugnani n. 4 ospitante la famiglia del molinaro Stefano Salmoiraghi e quella del fratello Filippo Salmoiraghi, in tutto cinque persone. Proseguiamo ora nel tempo, facendo un salto al 1871 e collo stradario alla mano confrontiamo stabili e proprietari segnalati alla via del Sempione presso la Gabinella: Al n. civico 1b (che va inteso come il primo numero dal confine con Castellanza verso Legnanello lungo la strada del Sempione), un gruppo di due mulini che utilizzano la roggia molinara cavata dal lato sinistro dell'Olona. Essi sono di proprieta' dei fratelli Pisani fu Antonio e di Orsola e Virginia Pisani, e si identificano con i mulini 2 e 3 dei Lampugnani suddetti. Essi passarono poi ai giorni nostri ai consorti Schiatti e Pisani i quali dopo la 2° guerra mondiale smontarono le macine per usare la forza motrice per azionare una piccola industria meccanica, con torni, trapani e piallatrice a mezzo dell'unica superstite ruota. L'esperimento fallisce perche' le ruote idrauliche dei mulini sono prive di regolazione di velocita'. Dopo qualche anno di tribolato esercizio si rinuncia alla forza idraulica propria, per adire all'azionamento elettrico. Il modesto locale di molitura si e' assestato definitivamente ad officina meccanica. Le illustrazioni qui presso mostrano le fasi della Via Crucis questo mulino ( manca l'ultima). Come diro' poco piu' avanti, per il mulino gia' Cuttica, siamo ormai giunti alla rinuncia totale al diritto d'acqua. Al n.° 2b si intravvede l'insediamento dello stabilimento di filatura di cotone dell'industriale Thomas Achille, che avendo acquistato il mulino gia' Cuttica per usarne la forza motrice, vi costrui' lo stabilimento in proseguimento verso nord, ricostrui' nuova in ferro la ruota motrice (quella che tuttora vediamo come diro') e trasformo' pure, contiguo al mulino il casamento, per farne la sua abitazione. Devo intendere che lo stabilimento che aveva integrata la potenza occorrentegli, installando una motrice a vapore, la cui caldaia si protraeva a nord sino alla linea della odierna lavandera Porro, che segna il confine territoriale con Castellanza. Un incendio devasto' poi tale stabilimento ed esso non venne piu' ricostruito. La ruota e la casa di abitazione del Thomas stesso che era contigua alla ruota, si salvarono e divennero ancora mulino. Ed oggi sono il Mulino Albasio, ormai tutto fermo e pronto esso pure alla distruzione perche' nella cessione del terreno che fece il proprietario al Comune per l'allargamento della via Bellingera e creazione del nuovo ponte sull'Olona, rinuncio' all'esercizio ulteriore del mulino e lascio' interrare anche la relativa roggia molinaria. 265 La bella ruota, che e' unica rappresentante sopravvissuta a documentare la tappa dell'industrializzazione della nostra zona; che ricordava anche il triste nefasto di un industriale forestiero che qui aveva portato il suo entusiasmo di collaboratore, mi sembra degna di venire salvata per contribuire, nel Museo, od in Castello a fare conoscere un nobile passato legnanese. Le caratteristiche della ruota e del Mulino, come li vediamo oggi sono: Ruota in ferro, di costruzione dell'inizio dell'ottocento. Diametro 5200 mm., 40 pale in ferro larghe 3000 mm., alte 800 mm.; salto utilizzato 1,1 metri. Mulino a tre palmenti da 1200 mm. e 530 Kg. cad. macinanti 300 kg di grano per ora. Occorrerebbe la generosita' di qualche mecenate che si entusiasmi a tal salvataggio. Altrimenti la bella ruota finira' a rottame per meno di 200.000 lire. Mulino 19 e 20 tav. 1 I mulini 19 e 20 della relazione del 1772 si trovano a meta' percorso fra la Gabinella e via Pontida odierna. In tale relazione sono di proprieta' del Conte Prata rispettivamente del Can. Proserpio. Nel censimento del 1594 li devo considerare nella casa n. 5 come un unicum "della Mensa Arcivescovile" oltre l'Olona, e come tale il molinaro vi e' (casa n. 5) Andrea Salmoirago e fratello Gio Maria fu Gio Battista coi famigliari. Nel 1821 Carlo Martin, svizzero, assorbi' i due mulini per impiegarne la forza per la filatura che eresse vicino; questa passo' poi nel 11845 alla ditta Saverio Amman e C. cui segui' nel 11871 la filatura Borghi, poi cotonificio Tobler e qualche anno dopo a Soc. Antonio Bernocchi. Della disposizione dei mulini stessi, non si hanno piu' notizie se non nei mozziconi di rogge che erano rimaste, inframmezzati fra le costruzioni di opifici industriali che seguirono, da cui trassi le piantine che accompagnano qui. E cio' valga anche per qualche altra che verra' ancora. Mulino doppio n. 24 tav. 2 Il mulino doppio n. 24 della relazione del 1772 si trovava appena a sud della odierna via Pontida ed e' poi stato incamerato dal Cotonificio Cantoni. Nel censimente del 1594 e' segnalato con il numero di casa 6 ( e non 5 e 6 come per errore fu scritto nella tav. 14 in memorie 17) Il Molinaro era Ludovico Salmoirago fu Francesco con 5 famigliari. 266 Nel 1850 e 1859 le mappe di legnano lasciarono capire che tutto e' ancora operantye. Nel 1871 i due mulini non sono piu' discernibili come case e devono gia' essere incamerati nel Cotonificio. Si trovavano precisamente la ove esso tenne una fabbrica di colla in via Pontida 2, ossia ove oggi vi sono le grandi case operaie del Cotonificio stesso. Il Mulino n. 30 (del Sighett) Nel 1772 e' segnato il possesso arcivescovile, affittato a Gaspare Scossiroli ed e' di tre rodiggini, cioe' dei minori mulini; e questo perche' l'Olonella dalla quale esso era mosso, non doveva dargli un notevole battente. Suppongo che sara' stato di 80 cm. e quindi circa di 7 cavalli. Di questo mulino, il Pirovano ci ha tramandato due modesti acquarelli (memorie 17 pag. 144) qualificandolo come azionante una sega: bisogna ammettere che ormai era gia' stato trasformato a tale scopo. Dopo di lui, morto nel 1902, deve essere stato trasformato ulteriormente perche', due persone anziane e attendibilissime mi affermarono che il mulino fosse dato in affitto verso il 1910 ad un artigiano meccanico che gli serviva per maglio e meccanica in genere. Oggi non vi e' piu' traccia di nulla, se non in un piccolo avanzo d'affresco di San Giuseppe, ormai ridotto ad un medaglione di 25 cm. che resiste, sopra l'ingresso di casa n. 1 della via Franco Tosi ove appunto era il mulino. Nel 1871, la casa in cui abitava il molinaro Bottelli Carlo era gia' mulino n. 32, il Civ. n. 1 della via Olonella era il numero giusto a fianco di questo mulino passato ad altre case ( forse sorta ed accomodata infrattempo vicino: ma che non ci riguarda piu'), Il molinaro Bottelli Carlo pare che rimane affittuario della casa n. 1 di via per Legnanello pure li vicina. Il mulino era stato "da grano", ma a stare alla caratteristica denominazione che gli da il Pirovano "el mulin del sighett" si capisce che esso poteva azionare alterbamente la macina od sega circolare (con cui poteva un artigiano un po' sviluppato accrescere il suo reddito). Dall'acquarello detto si vede benissimo che vi era una unica ruota del mulino e che era tutta in legno come parecchie ancora oggi. Mulino n. 32 tav 2 Nel 1772e' segnato come abbiamo visto, in proprieta' per meta' all'Abbazia di Santa Caterina (il convento degli Umiliati di legnanello era stato soppresso, come tutto l'ordine nel 1569 ed i beni incamerati a 267 disposizione dell'Arcivescovado) e per meta' apparteneva al Conte Giovanni Prata che abbiamo ora visto proprietario anche del mulino n. 19 pure a Legnanello. L'altra meta' sembra gia' acquisita a Costanzo Cantoni fra i numeri che vedremo nella segnalazione dello stradario piu' sotto. Questi mulini si trovavano esattamente sotto al primo quarto della parte sopraelevata e rettilinea della via Eugenio Cantoni, la quale sia detto incidentalmente, nella meta' verso Legnanello portava a tal epoca il nome di Vicolo Pomponio, un nome che ha fondamento nella storia di legnano del 1600, Si riferisce a Pomponio Lampugnani ( vedi memorie 17 pag. 185) del ramo degli aventi diritto al Castello di legnano, che godette una porzione di quei beni terrieri ed un mulino quale diro' piu' avanti. Ottenere oggi dati interessanti sui mulini incamerati nelle industrie pare cosa quasi impossibile. Gli stabilimenti che li comperarono, pensarono alle questioni del momento, che erano certamente assillanti e non si curarono di conservare documenti inutili, neanche i pochi disegni delle installazioni che dovevano poi distruggere. Nel 1871, lo stradario di legnano ci fa notare che l'avanzata tattica del Costanzo Cantoni era gia' a buon punto sulla strada da Legnano a Legnanello. La prima casa a destra da chi incede, al n. 1 nella quale abitava Bottelli Carlo, molinaro del molino Arcivescovile n. 30, era gia' divenuta sua proprieta', come le case n. 3 3 n. 5. All'altra estremita' della strada, anche il n. 10 era passato a lui, una casa che con altre vicine apparteneva prima al Marchese Giovanni Cornaggia, figlio di quel Cristoforo che da una trentina di anni aveva acquistato dall'Ospedale Maggiore il castello di legnano, (che i suoi successori stanno ora facendo andare in rovina, con calma olimpica sia del Comune che della Sopraintendenza ai Monumenti). I Mulini del Ponte Carrato n. 37 e 39 nel 1772; tav 3 La spaziosa vista di questi mulini nel largo corso dia acqua ha giustamente colpito il pittore Pirovano (nel 1896) che volle ricordare nel suo quadretto a olio che piace di far rivedere qui al giusto posto, pur a avendolo presentato in Memorie 17, quando dovetti sospendere un certo materiale che non poteva piu' trovare posto in tale monografia. Si vedono qui le ruote di tre mulini: a Sinistra il mulino 37 doppio, le cui quattro ruote (tre in centro e una a destra , molto arretrata, muovono i palmenti nelle casupole abbinate che si vedono a destra) e a sinistra la piu' grande ruota del mulino 39 che si vede gia' rinnovata in ferro, il cui 268 asse penetra nel piano terreno ( ma sopraelevato) del grande fabbricato a due piani. Il quadretto consacra l'aspetto di un notevole gruppo di fabbricati in fase di trasformazione, dall'antico al moderno di quell'epoca, cioe' fine del 1800. L'osservatore guarda a nord. Con riferimento al 1772 vi era a destra il mulino n. 5 doppio (inteso quello delle due case abbinate) che possedeva in totale 7 rodiggini ( ma non se ne vedono che 5) ed a sinistra la ruota moderna del mulino n. 39 che sostitui' le tre ruote d'una volta. Il mulino n. 37 quello che usava l'acqua dell'Olona, apparteneva a tal epoca all'Ospedale Maggiore di Milano ed era affittato a due molinari dal nome Salmoiraghi Giovanni, consanguinei e distinti da due nomignoli: uno era detto il "Grigio" e l'altro "quello della Vedova". Il mulino n. 39, che usava l'acqua dell'Olonella e quindi era a sinistra, apparteneva a Don Antonio Lampugnani ed il possesso ai Lampugnani e' dimostrato anche nel censimento del 1594, alla quale epoca si trovavano nelle diverse case e mulini ( memorie 17 pag 54 55 e tav. 14a). Casa 149 Mulino del Sig. Prospero Lampugnani, Il molinaro e' Maino Salmoiraghi fu Giovanni (membri 9). Casa 150 da Nobile, proprietario Lampugnani Gio Antonio detto Scaramuzza (membri 7) Casa 151 de pisonnanti: ospita 19 persone. Casa 152: altro mulino del Sig. prospero Lampugnani, e' molinaro Rossetto Paulo (5 membri) Casa 153: altro molino del Sig. prospero Lampugnani: e' molinaro Josefo Salmoirago ( 8 membri) Nella relazione del 1772, abbiamo visto qui sopra che solo il mulino n. 37, che era la casa 149 del 1594, era rimasto ai Lampugnani; gli altri due erano passati all'Ospedale Maggiore di Milano dopo la risolta contesa fra i pretendenti ai beni del castello di Legnano ( 1726 ). Nel 1871 riscontriamo nello stradario del Comune che il mulino in via Ponte Carrato n. 10, ossia il n. 37 della relazione del 1772 e' stato acquistato dal Cotonificio Fratelli Dell'Acqua per surroga con il mulino n. 12 della stessa via e cioe' il n. 39 della relazione detta, precedentemente pervenuto in suo possesso. Ma in proseguo, anche questo secondo mulino verra' assorbito dallo stesso Cotonificio con cui esso concludeva l'unita' di perimetro dello stabilimento. Non che i Salmoiraghi che sono stati, come si vede da queste stesse aride note, una vera stirpe di molinari che dura da almeno 400 anni, si ritirassero dall'industria. No, essi seguendo prontamente le innovazioni 269 allora sviluppatesi nel macchinario per la molitura, ed il progresso della distribuzione dell'energia elettrica, installarono in Legnano il primo ed unico stabilimento con i mulini a cilindri ed azionamento elettrico nel 1922. Per dovere di precisione, sia accennato che il mulino di via Pone Carrato 10, era anche stato (scrive l'ing. Mazzocchi predetto) prima che dei Dell'Acqua, di una ditta Tobala; che esso e' di tre rodiggini; che utilizzava un salto di 1,6 metri: e perche' questa ultima parte non e' dell'Ing. Mazzuccati che non esisteva piu' nel 1427, che fu poi soppresso nel 1927 quando l'Olonella fu trasformata in fognatura. * La tradizione del nomignolo orale "della Vedova" accolta evidentemente anche dall'Ing. Raggi, informa che il secondo nome risale alla peste del 1630 in cui i molinaro mori' del triste male, e la vedova ne continuava l'esercizio. A me pero' entra piu' facilmente in considerazione che l'assegnazione possa riferirsi alla vedova madre di Oldrado II° Lampugnani (vedi tav 4 Memorie Societa' Arte e Storia n. 8 pag. 39) Il Mulino doppio n. 45 Un po' di storia. I mulini piu' comunemente detti " della Madonna delle Grazie" e "della Contessa" ed anche dialettalmente "el mulin Cuntess" ed ultimo anche ""i mulini sopra castello", sono segnati nella relazione del 1772 col n. 45 e sono di proprieta' del Conte Durini Giovanni. Essi erano inizialmente, nel 1400, in proprieta' dei Lampugnani del Castello, ma nel 1528 si trovavano per successione in costestato possesso delle figlie di Ferdinando Lampugnani, delle quali Lucrezia Lampugnani Visconti ebbe a secondo sposo Conte Ottaviano Cusani divenendo cosi' la Contessa Cusani. I mulini restarono in suo possesso anche dopo altra vedovanza ma il nominativo suddetto si conservo' ancora a lungo, anche dopo la morte della Donna, per ragioni intuitive come la lunga contesa che continuava su quelli ed altri beni del castello ed ebbe il suo teermine solo nel 1696. Anche questi mulini furono poi accapparrati per la meccanizzazione dell'industria. Per il primo, nel 1824 furono acquistati da Eraldo Krumm da Wutteemberg per istallarvi la sua filatura, il quale poi si accaso' con Geronima Checchi da Gallarate. Di essi si conservano in museo i bellissimi medaglio di marmo che ornavano le loro tombe nel cimitero dell'epoca, a nord della chiesa delle Grazie. Tale fu la frenesia dei capitani dell'industria dell'epoca, di accaparrarsi le forze 270 idriche, che non gli importava di allontanarsi fuori degli abitati lungo le vie dell'Olona. Erano bensi' nati il biciclo in ferro e la bicicletta dalle ruote di legno, ma anche in assenza di tali mezzi essi contavano che la mano di opera li avrebbero raggiunti egualmente. A quei tempi, ma anche quasi cento anni sopo, era tale luogo nella piatta valle dell'Olona null'altro che un vastissimo campo aratorio sezionato in due dal corso tortuoso dell'Olona, accompagnata da doppi filari di altissimi pioppi che conferivano al paesaggio un aspetto romito. Fu grande il nostro dolore quando nei primi anni dell'ultimo dopoguerra dovemmo assistere passivamente alla lroo distruzione. Si presentava una questione di umanita', di fronte a tanta miseria. Non torneranno piu' i pioppi, ma il Comune, nella zona di vincolo intorno al Castello vorra' pur pensare per tempo ad una nuova arborizzazione e non sopprimera' il doppio corso di acqua che fu la ragione della sua costruzione in tal punto. Ma torniamo ai mulini. Il Krumm fu un grande industriale e lo stabilimento progredi'. Dovette ricorrere ai supplementi di potenza che allora erano solo le motrici a vapore alimentate da caldaie ( a bassa pressione). Egli si era allogato in una palazzina all'inizio della via San Giorgio da dove poteva volgere lo sguardo laggiu' al suo stabilimento lontano e quando tutto gli sembrava regolare (il patema d'animo dell'incendio) godersi romantico paesaggio, lontano dall'assordante rumore del macchinario. Non conosco a sufficienza quale industrie abbiano fatto seguito alla prima trasformazione con Krumm: pero' l'unione temporanea col Cantoni, sotto la ragione Cantoni Krumm e C. per industria meccanica di cui non conosco l'ubicazione, andrebbe rispolverata. In tempi piu' recenti vi hanno preso possesso la tessitura Mambretti e poi Scossiroli, ed ora il Cotonificio Villa Cortese alternati con stallie da non capire se il terreno abbia qualche cosa di misterioso da renderlo contrario a redditi industriali. Mulino 49 "Sotto al castello" tav 5 Fu un mulino a tre palmenti che ha appartenuto assieme al Castello ad Oldrado Lampugnani, come il precedente subi' esso stesso la lunga contesa che dal 1507 al 1700 gravo' su tutti questi beni. Nel 1772 e' in proprieta' al Conte Durini Giovanni come abbiamo gia' visto. Si trova, dopo la bifrocazione dell'Olona che avviene giusto davanti al Castello, sul ramo di destra a circa 400 metri sud-ovest. Non fu assorbito da nessuna industria e rimase in attivita' ancora qualche decina di anni dopo la seconda guerra mondiale. 271 Fu un mulino rispettabile perche' l'Olona sotto legnano comincia a risentire delle acque plurime che le si immettono. Le tre ruote idrauliche azionavano casauna un palmento. nell'ultimo periodo due ruote erano ancora in legno, mozzo e pale ed avevano: diametro 4200 mm.: 24 pale larghe 250 mm. e la terza ruota era ormai in ferro con diametro 4200 e 32 pale in lamiera larghe 300 mm. e alte radialmente 500 mm.. Anche questa ruota che e' di bella costruzione, ma ha le pale quasi completamente corrose e' ormai inservibile per il lungo abbandono. L'ultimo mugnaio, ancora vivente ha 72 anni e' Colombo Luigi. Nell'ultimo tempo, dopo rinuncia totale alla molitura, esso aveva ancora azionato un frantoio e pressatura di semi di lino con Scandroglio Enrico. Due molazze in petra del diametro di 1300 mm. per 350 mm. di spessore l'una e l'altra 230 mm. giaccono come al solito come merce inutile nel cortile. All'esterno del fabbricato in un grande riquadro uno squalcito affresco (pittore di occasione) dell'ottocento circa sostitui' forse uno precedente: esso mostra una Madonna con S. Anna se ho ben capito. Mulino 51 gia' del Conte Durini Tavola 5 Seguendo ora il ramo di sinistra dell'Olona in giu' "sotto al castello", troviamo questo mulino, poco prima che esso ramo si riunisca con il ramo di destra, chiudendo cosi' la grande isola che fu scelta a suo tempo da Ottone Visconti per la sede del castello di legnano. Nel 1772, come abbiamo gia' visto, il mulino era segnato di proprieta' del Conte Giovanni Durini e il molinaro era Francesco Bianchi. Ma la storia ci resta muta per il periodo che segue, e del mulino dei tempi nulla piu' e' rimasto, perche, se in un'epoca non tanto lontana le ruote in legno furono sostituite con una grandissima ruota in ferro, questa pure e' scompardsa lasciando vuoto il suo alloggio, cio' che oggi ancora si vedeva erano i canaloni in muratura calibrati sulla larghezza della roggia e della ruota e la classica passerella per la regolazione della paratoia d'ingresso dell'acqua. La ruota ultima che poteeva essere della seconda meta' del 1800 aveva dunque un diametro di 6400 mm. e la larghezza di 3200 mm: le pale in ferro, curve more usuale, avevano una altezza radiale di 700 mm. Ma qualche cosa in piu' ho potuto capire dai soli muri che sotto ai miei occhi furono demoliti or ora. Vi e' stata anche una turbima idraulica ad asse verticale (anche qui la classifica Johnwall) che un industriale aveva ritenuto conveniente installare per meglio sfruttare le portate di magra del fiume. Questo ben di Dio era penetrato fra queste mura che ho visto radere al suolo 272 come materia inservibile. Palazzone industriale alto ed arioso, impianti di forza motrice economica, migliaia di tonnellate di murature, ed un alto caminone in muratura per caldaie. Ad opera finita restera' un terreno nudo di 3500 mq. Lascio al lettore meditare. Le industrie che qui si susseguirono negli ultimi decenni furono: Scossiroli e C. con filatura: Mambretti e C: per maglierie e confezioni di tali tessuti. La distruzione di tutto si compie ora sotto il nuovo possesso del Cotonificio di Villacortese. I Mulini sotto al castello n. 55 e 56 nel 1772 Tav. 5 del dott Vailate D. rispett. Co. Prata G. Il mulino 55 e quello che seguira', sono oggi ambedue in territorio di San Vittore Olona mentre una volta ( nel 1772) il secondo era sotto legnano. Essi hanno una disposizione simmetrica ( che fa pensare ad una costruzione simultanea) su una nuova boiforcazione dell'Olona in due rami che fa seguito a quella ricongiunzione che ciude l'isola su cui ottone V° costrui' il castello nel ontano 1230 circa. Diro' poche parole anche per essi per gli addentellati che ebbero con legnano durante la loro esistenza, non ancora peraltro esaurita. Essi infatti sono ancora entrambi in esercizio. All'epoca dei Frati Agostiniani che ottone Visconti aveva introdotto in questa sua prorieta' di legnano, due o piu' mulini erano posti in loro godimento ed io vorrei proprio pensare a questi due. Confiscati da ottone Visconti, appartennero poi sino al 1276 ai Fratelli Torriani; ritornarono a tal data ad Ottone e poi seguirono tutta la dinastia Visconti e nel 1437 passarono ai lampugnani. Dopo il 1528 la contesa fra i diversi lampugnani li fece passare via via anche ai collaterali non lampugnani. Avvennero poi vendite e riscatti fra terzi che si spensero con il lascito legale all'Ospedale maggiore di Milano. Quest'ultimo vendette poi alla meta' del 1700 i beni e i mulini ad acquirenti diversi. Nel 1772 erano poi di proprieta' dei nobili suddetti. Il mulini 55 che e' sul nuovo ramo di sinistra, attualmete e di proprieta' del Molinaro Meraviglia carlo di Antonio che lo esercisce regolarmente. Possiede due palmenti azionati cadauno da una sua ruota in ferro del diametro di 4 metri, con 24 pale curve da 380 mm. di larghezza e 1000 mm. di altezza radiale. Il salto e' di 1,3 metri. Dispone anche di una molazza di 2,6 quintali comandabile alternativamente da una delle due ruote idrauliche dette. Essa si trova in un localetto a manco del maggiore. La produzione di farina e' di circa 100 Kg. ora di ogni palmento. 273 Il mulino n. 56 (del 1772), sotto al castello Trovasi sul ramo destro della seconda divisione predetta, dell'Olona, accostato al n. 55. per una sequenza genealogica esso e' passato dal Conte Prata al Comm. Francesco Melzi e dopo casa Melzi pervenne in possesso di mugnai esercenti in proprio. Attualmente esso e' in proprieta' dei cugini Cozzi Luigi primo e secondo, che lo eserciscono personalmente. Esso e' di tre ruote di 3,8 metri con 24 pale cad. larghe 400 mm. alter 560 mm. Possiede due palmenti che macinano 100 Kg. ora cadauna. Una molazza del diametro di 1360 mm. e 380 di grossezza e' comandata dalla terza ruota. Qualche mola da palmento, per ricambio, o di taglio inadeguato vedesi all'esterno del fabbricato come e' consueto. Diametro 1400/300 ed altre con solo 200 mm. di spessore. E' tipica in questo mulino la disposizione coincisa ed efficiente del piccolo complesso: la passerella di arrivo coperta, sotto la quale l'acqua corre alle ruote disciplinata dalle paratoie, ed ancora veloce percorrere le spazzere e raggiunge il letto inferiore: un portichetto, cumulativo per le visite ed i carri che portano e ritirano dal locale molitorio, e' regolarmente ornato da un grande affresco religioso, con lucernetta e fiori sul davanzale munito di drappo. Si entra nel locale molitorio ove un uniforme rumore ... tran tra, vi dice che le macine compiono il loro monotono, quanto utile lavoro. Contigue a questo locale di soggiorno del mugnaio e famigliola; il quale in questo mulino ha conservato quel simpatico aspetto di campagnolo che e' offerto sia dalla presenza del classico camino per il fuoco a legna, sia dalle seggiole, tavolo, armadio un po' rustici ma di noce, sia da altre inezie che io non so neppure indicare. Non si vedono ne intorno ne dentro ne fuori figli o figlie di eta' maggiore. A seconda dell'indirizzo che essi hanno scelto, sono ai campi o vanno allo stabilimento. Se tutti i figli vanno all'industria e non ritorneranno, il mulino potra' un giorno non trovare piu' ne un compratore ne un affittuario. E' questa un po' la sorte che il destino prepara ai mulini qui nel nostro ambiente. L'Olona degradata scientemente a fogna delle industrie Tutti sanno che l'Olona e' divenuto un fiume puzzolente e antiigienico. Come si e' arrivati a cio'?. Vi si e' arrivati quando, con una mossa che lascio al lettore giudicare, il Direttore del Consorzio Utenti Fiume Olona, chiedeva 274 (22 dicembre 1921) ed otteneva dall'Amministrazione provinciale e dalla Avvocatura Erariale, la cancellazione del fiume Olona dalle acque pubbliche delle provincie di Milano e Como. Poteva cosi' il consorzio arrogarsi il diritto di concedere ( in forma transitoria, disse...) agli utenti, il permesso di effettuare tutti gli scariche nel fiume. Ma tutti sanno che le concessioni date in forma transitoria, non sono altro che metodi subdoli per concedere cio' che non e' lecito, e creare un fatto compiuto, che servira', come in effetti servi' a scavalcvare tutte le leggi per la tutela igienica e i diritti della gente su una cosa pubblica; in questo caso le acque. Quindi le amministrazioni comunali, sanno ormai che tocca ad esse spendere per proteggersi contro i miasmi del corso d'acqua, perche' nessuno piu' eliminera' quelle connessioni provvisorie. Pero' le acque che presto o tardi i comuni devono eseguire per l'igiene pubblica, non potrebbero venire addossate in adeguata misura ai responsabili degli inquinamenti?. Un'opera di regolazione del fiume a sud di legnano E' nota a tutti nella zona percorsa dal fiume che questo mansueto corso d'acqua, quasi annualmente diventa turbolento nei periodi di forti piogge, perche' nel giro di poche ore cresce di portata, sorpassa gli argini naturali, invade talvolta le campagne e quasi annualmente anche le cantine delle zone piu' basse della citta'. Nel settore di Legnano, per evitare tali iettature, sebbene non fossero molto frequenti, si procedette naturalmente dapprincipio con arginature in opere di terra o di cemento, ma in generale il problema non era solo quello di arginare, perche' l'innalzamento seppure temporaneo delle acque, impediva la recezione nel letto del fiume, delle acque superficiali di scolo dei terreni e delle fognature. Si affaccio' quindi il bisogno di contenere l'innalzamento del livello nell'ambito della citta', sia aumentando la capacita' di invaso dell'alveo del fiume con l'allargarne i margini, sia riducendo la resistenza di passaggio lungo questo suo percorso, sopprimendo alcuni tratti tortuosi e rendendo il decorso sempre piu' prossimo al rettifilo. Siccome tutti questi miglioramenti avrebbero causato durante i periodi di magra un forte abbassamento del pelo liquido (col che non si sarebbe piu' potuto irrigare i terreni di utenti che ne avevano diritto) , divenne necessario eseguire un'opera regolatrice automatica del livello del fiume ( e fu eseguita nel 1940) onde tanto in amgra quanto in piena, mantenga un livello di acqua quasi costante. Tale necessita' corrispondeva a tre principali capisaldi: 275 1) Assicurare ad ogni epoca la possibilita' di prelievo d'acqua da parte delle bocche irrigatorie, che costituiscono antichi diritti dei consorziati (Mugnai, industriali, proprietari di terreni). 2) Impedire gli innalzamenti di livello che disturbavano gli scarichi stradali e delle case in genere gia' detti. 3) In via igienica evitare che nei periodi di magra il letto sudicio emerga creando situazioni igieniche insopportabili. Il risultato di tale opera regolatrice, basato sull'adozione di una grossa paratia metallica a segmento di circolo nel bel mezzo di un'opera di muratura creata a valle del fiume, fu soddisfacente per Legnano, pur non essendo risultata automatica come era previsto. Naturalmente e' premessa indispensabile per una tale applicazione, che non vi siano ne mulini, ne turbine idrauliche, nel tratto reso a livello costante e che diritti preesistenti venissero risolti con trattative singole. L'applicazione di tale regolazione fu contemporanea alla eliminazione di quella grande ansa, che percorreva il fiume di fronte al vecchio cimitero del 1800, a nord della Madonna delle Grazie, la quale ostacolava il deflusso durante le piene. Coll'assorbimento progressivo dei terreni agricoli del pianoro a Sud-est del castello da parte dell'edilizia, va spegnendosi il bisogno di irrigazione nella zona e le diverse roggette attinte dalle bocche sul disegno del 1772 sono infatti gia' scomparse. La stessa paratia, automatica o meno, si avvia a rappresentare fra anni una utilita' solo per gli stabilimenti che aspirano l'acqua per scopi secondari, e, nei riguardi della cittadinanza, per lo scopo igienico gia' detto. Inutile pensare che le sistemazioni che legnano faceva per salvaguardarsi dalle piene non dovessero ripercuotersi sulle utenze sottostanti. Ed infatti quelli se ne lamentano e la fotografia che riproduco, scattata qualche anno addietro presso il mulino Cozzi Montoli che trovasi a 1,5 Km. sotto il castello, mostra che il fiume ha urgente bisogno di venire dragato nei punti piu' nevralgici. Questo mulino non e' del gruppo "Legnanese" come gia' dissi nell'introduzione; faccio un piccolo strappo al mio assunto per contraccambiare alla cortesia con cui il signor Montoli comproprietario ed ottimo fotografo, volle procurarmene la fotografia. Possiede Tre palmenti e un buratto; ad ogni palmento corrisponde un braccio girevole in legno, per il sollevamento della macina, per le rimartellinature o riparazioni. Esso e' contiguo ad altro mulino Montoli, che ha subito un completo ammodernamento anche del plafone. Una modernizzazione lodevole che, in contrasto con la staticita' dei mulini superstiti della zona, sorprende graditamente il visitatore. 276 277 Case in Legnano antica Cercando tracce di monumenti antichi resteremmo delusi alquanto dallo scarso numero di edifici antichi che si riescono a vedere lungo le strade e nelle piazze e non a torto. Da lunghi anni infatti sterratori, ruspe e incuria fagocitano ogni giorno gli antichi angoli della Legnano storica. Possiamo tuttavia, sia grazie ai documenti antichi che alle testimonianze architettoniche rimasteci, fare un quadro abbastanza preciso di quello che fu la città dei nostri padri. Nei capitoli precedenti abbiamo visto che nelle epoche remote a partire da 2000 anni a.C. vi sono già reperti degli insediamenti liguri e poi celtico liguri. Questi abitanti dovevano essere numerosi ma a parte le tombe con i loro corredi, (veri preziosi documenti per leggere la vita) che sono esse stesse dei monumenti minori e sulle quali l'ing. Guido Sutermeister ha scritto nel 1928 un bellissimo volume intitolato Legnano romana, non ci hanno lasciato alcuna traccia di abitato. I motivi di questa mancanza sono principalmente due. Il primo è che non essendo palafitticoli come a Golasecca o a Monate, mancano i ritrovamenti delle fondazioni lignee delle case infisse nell'argilla, il secondo è che mentre nelle sopraccitate zone il cambiamento dell'organizzazione sociale nel corso dei secoli ha coinciso con l'abbandono dei villaggi palafitticoli e ha visto la creazione di nuovi insediamenti su terra ferma, in Legnano per secoli e secoli si è continuato a costruire e ricostruire sempre sulle stesse aree urbane. Questo ci dice che sotto le attuali case (solo quelle vecchie e poco profonde) giacciono le tracce degli antichi abitati di 4000 anni fa. Se si potesse per assurdo demolire un edificio secentesco nei pressi di S. Martino o S.Magno e si analizzasse strato per strato il terreno sottostante, si ritroverebbero nelle parti più profonde probabilmente delle aree spianate di forma rettangolare con aggiunte ai lati corti due aree a semicerchio e lungo il perimetro una serie di buchi di 15/20 cm. di diametro, (le sedi dei pali delle pareti delle capanne). Al centro di queste superfici di circa 25 / 30 mq. altri due buchi per i pali di sostegno del tetto, poi un foro quadrato per il focolare con le sue pietre intorno. Sul perimetro esterno alcuni sassi a proteggere il piede della costruzione e i canali di scolo delle acque piovane. Qualche vaso, oggetti in selce e più tardi qualche oggetto in bronzo e chiodi, null'altro. I monumenti e le case più antiche erano solo capanne di legno e come tali non furono dai successivi abitanti Gallo - Romani, considerati 278 degni di essere usati. Un bell'esempio di questo tipo di capanne viene in questi mesi portato alla luce da un gruppo di archeologi guidati dalla dottoressa Nuccia Negroni Catacchio presso le sorgenti del fiume Nova. Si tratta di un villaggio villanoviano etrusco di circa 300 abitazioni risalente a molto prima dell'anno 1000 a.C. abbandonato improvvisamente dai suoi abitanti nel IX secolo a.C. I Galli ed i Romani dei primi secoli di dominazione vissero anche loro in costruzioni lignee e in base al numero delle tombe e dall'estensione che raggiunsero alla fine verso il 300 d.C. i loro cimiteri, dovettero formare a stima dell'ing. Sutermeister una comunità assai numerosa. Le loro costruzioni si sovrapposero a quelle liguri e furono dapprima di legno . Non più quasi ellittiche, ma rettangolari con pareti formate da tronchi squadrati, porta d'ingresso e una finestra nel timpano sopra la porta stessa; il tetto era sempre fatto con fascine di rami secchi intrecciati. L'uso di fermare le fascine con le pietre spinse alla ricerca delle piode o lastre di ardesia per le coperture. Ma se era facile reperire queste lastre nelle comunità montane dove costruivano fino alla fine del 1700 d.C. le case in questo modo, a Legnano non era pressoché possibile. Si ricorse quindi alle pietre artificiali appositamente studiate per i tetti e cioè alle tegole in argilla cotta. Queste tegole, più esattamente tegole ed embrici sono i reperti più comuni che archeologicamente troviamo in ogni antico scavo di Legnano che risalga dal Medioevo a noi. Sembrerebbe quasi impossibile eppure non vi sono tracce di costruzioni romane in pietra. Abbondano le tombe con i loro corredi che ci mostrano, tramite gli oggetti, quali fabbriche di utensili in bronzo e ferro esistevano le fusioni in vetro, le ceramiche più o meno fini negli impasti , secondo il censo dell'acquirente, le attitudini guerriere o meno, i coppi votivi e funerari in pietra, la coniazione di monete locali più gradite alla parte gallica dei Legnanesi, la creazione di specchi fantastici in leghe di antimonio tutt'ora lucenti e sinonimi di grande agiatezza. Esse però mai testimoniano case in muratura. Eppure i Romani erano grandi costruttori, come mai qui avevano dimenticato questa loro prerogativa? Sicuramente Legnano era una pacifica zona agricola e rimase tale fino all'arrivo delle invasioni barbariche; non necessitava quindi di particolari sfoggi o di marmi. Un'altra ragione era che le poche pietre disponibili erano quelle di Saltrio o le molere delle cave di Bizzozero in genere arenarie, compatte, non molto solide, ma in compenso facilmente lavorabili. Vennero infatti usate fino alla fine del 1800 per fare davanzali di finestre e lavandini. Inoltre la calce non era reperibile qui vicino, mentre i boschi 279 anticamente fornivano legname in abbondanza utilizzato anche per la cottura della terracotta. Quarta e importante ragione di questa mancanza di edifici è che tutta la Legnano romana dovette subire per quasi sei secoli la distruzione continua da parte barbarica come già ha ben dimostrato nei capitoli precedenti il prof. Marinoni. I suoi monumenti sono quindi stati distrutti. Che ci dovessero essere anche case in muratura lo dicono tre elementi architettonici rinvenuti da quell'attento studioso che è stato Sutermeister. Il primo è un reperto scoperto nel 1900 costituito da un muro in calce idraulica e brecciame in mattoni, trovato in via Dandolo (lungo la vecchia strada detta del Confinante) tanto grosso e robusto che dovette essere lasciato in sito dal proprietario sig. Galli e tenuto nella cantina della nuova costruzione; il secondo reperto è costituito da due acquedotti in elementi di cotto lungo via 29 Maggio; uno rettangolare a cassetta interrata, l'altro lungo la via Taramelli formato da tubi in cotto di cm. 80 di lunghezza terminanti con una bocca di erogazione e relativa pietra di appoggio per le brocche. Il terzo e forse più clamoroso rinvenimento fu fatto nel 1951 quando, sconvolgendo il centro di Legnano per la costruzione del palazzo INA (Galleria in Piazza S. Magno) venne alla luce un enorme muraglione in pietra di costruzione medioevale, ma con materiale di risulta inserito alla rinfusa nella calce idraulica. Tra molteplici mattoni ed una serie notevolissima di embrici romani di epoca imperiale faceva bella mostra di sé una "Suspensura". La "Suspensura" è un disco di cotto di circa 28/30 cm. di diametro che serviva come elemento costruttivo modulare per la creazione di una serie di pilastrini in calce e cotto sistemati sotto il pavimento (sospeso) delle stanze delle abitazioni romane. Si formava cosi un alveare di cuniculi (vespaio areato) nei quali i ben organizzati Romani imperiali facevano circolare poi acqua calda o aria calda per ottenere durante l'inverno un maggior conforto negli ambienti della casa. Questo prova che in Legnano esistevano edifici in muratura romani e per giunta tanto evoluti da avere un Caldarium. Ecco che finalmente si apre uno spiraglio di luce. In via Dandolo le vestigia del muro con addossate le anfore vinarie immerse nella sabbia ci indicano la presenza di una torre romana con evidenti funzioni annonarie; gli acquedotti e le case riscaldate ci parlano di una civiltà raffinata con abitazioni confortevoli in una comunità dedita all'agricoltura ed all'artigianato. Cosa fu di tutto questo? Lo sfacelo assoluto. I barbari calati dal S. Bernardino e dall'Engadina ingolositi dalle pianure fertili e dalle ricchezze di Milano, misero a ferro e fuoco tutti gli abitati e fecero fuggire o uccisero quasi tutti gli abitanti. Dovettero anche radere al suolo ogni cosa, portare via statue e suppellettili, solo le tombe nascoste nel sottosuolo si salvarono, anzi 280 videro in alcuni casi i nuovi arrivati tumulare sopra di esse. La grande comunità Gallo-Romana di Legnano pagò a caro prezzo il privilegio di trovarsi sulla antica via che dall'Europa portava al centro della pianura Padana. Questa via ora Sempione era detta dai Romani Strata Magna, rimase per millenni un importantissimo riferimento per i traffici commerciali con l'Europa fino al IV secolo d.C. poi, lungo di essa si avvicendarono operazioni militari di invasori e guerreggianti fino alle soglie del 1700. Legnano cittadina pacifica (come mostrano le tombe antiche coi loro corredi senza armi) venne investita dalle orde barbariche che, preferendo non vivere nelle città come Milano, si distribuivano in piccole comunità nelle campagne, dove edificavano semplici capanne lignee, avendo in odio i muri e non sapendo cuocere mattoni. Essi qui si attestarono usufruendo del caposaldo di via Dandolo come presidio militare che, grazie alle due discendenze di terreno verso Castellanza, poteva essere usato come porta a guardia della Valle Olona verso Milano. Ed a Legnano i barbari combatterono e molto, visto che proprio nelle vicinanze di questa fortificazione sono numerose le tombe barbariche di guerrieri sepolti con le loro armi. Legnano era ridiventata una misera comunità con poche capanne di legno risorte su una grande quantità di macerie romane. Anche l'editto di Rotari del 643, nelle sue indicazioni circa le abitazioni, passa dal termine domus al termine "casa" che indica una costruzione semplice in legno. Questo ha profondo significato di riscontro per la nostra città. Anch'essa non si sottrae al grande generale esodo e massacro, ogni forma di vivere sociale viene estinta sia economicamente che civilmente, anche l'arte tanto elevata dei Romani piomba in forme di espressione paurosamente rozze che forse possono piacere a noi cosiddetti moderni per la loro essenzialità, ma non testimoniano certamente un alto livello culturale di chi si esprimeva attraverso quelle creazioni. Questo buio intellettuale si riflette su ogni aspetto dell'antica Legnano e di nuovo si presenta un vuoto di ben 700 anni prima che le pietre ci testimonino ancora una presenza architettonica in città. Fuggita verso le città di mare, la classe artigianale romana scompare e restano i barbari che non sanno più cuocere mattoni e tegole. L'unico materiale che con i Longobardi le popolazioni altomilanesi useranno fino alla fine del millennio sarà il ciotolo di fiume, di cui il nostro terreno alluvionale abbonda. Con essi erano edificate sia le chiese che i castelli e le case più importanti. In Legnano troviamo due principali vestigia di tarda costruzione con siffatta composizione, una è costituita dai resti del campanile romanico della 281 chiesa principale dedicata a S. Salvatore ed al vescovo S. Magno, l'altra è costituita dagli avanzi di fondazione di una grande costruzione sorgente al centro di Legnano con l'aspetto della fortificazione e risalente attorno all'anno mille come nascita. Detta costruzione a noi nota come castello dei Cotta subì varie aggiunte nel corso dei primi secoli del nostro millennio fino a scomparire dalle memorie storiche allorché iniziò, la trasformazione in fortezza del castello di Legnano dedicato al S. Giorgio ad opera di Ottone Visconti e poi di Oldrado Lampugnani. Sono molto scarse le notizie che ci restano della prima chiesa legnanese. Essa fu edificata in stile lombardo arcaico. Aveva pianta rettangolare suddivisa in tre navate. Ogni navata terminava con una cappella a semicerchio. Stando alla posizione del campanile, che denuncia come stile un romanico primitivo (X o XI secolo) sia per gli archetti sotto le cornici di facciata, sia per la figura scolpita inserita al centro del portale d'ingresso, nonché alla posizione della cripta, ancora esistente nella nuova S. Magno sotto la cappella del SS. Crocifisso (già cappella di S. Carlo). La chiesa aveva un orientamento Nord-Sud con gli altari posti a Sud. Le dimensioni dovevano essere di circa 26 metri di lunghezza per circa m. 18 in larghezza. La forma in pianta sembra similare a quella del duomo di Agliate datato del X o XI secolo e tuttora esistente. Questo appartiene ad un gruppo di complessi absidali, sorti alla vigilia del romanico, le cui caratteristiche aperture a bocca di forno poste alla cornice esterna superiore delle absidi semicircolari, suggeriscono l'anticipazione delle loggette praticabili romaniche. Tali complessi sono in genere trasformazioni delle parti terminali di una chiesa preesistente che divenuta chiesa abbaziale deve trasformarsi. La datazione in genere è assai discussa. I più recenti studi le collocano come costruzione attorno alla metà del X secolo. E' difficile anche indicare una linea evolutiva. Esempi precedenti non ne esistono salvo la loggetta attorno al tiburio (IV secolo) della cappella di S. Aquilino in Milano, nella quale si nota una stessa funzione estetica e costruttiva. Infatti il motivo degli archetti deriva dalla geometrizzazione ed estetizzazione dei pilastrini portanti le travi di legno poste a sostenere la copertura sopra le volte absidali. Tra gli esempi più antichi di questo modo di comporre lesene ed arcatelle ciliali troviamo l'abside di S. Ambrogio a Milano (seconda metà del X secolo) mantenuta nella ricostruzione romanica della basilica che pure presenta internamente una campata con copertura a volta a botte caratteristico 282 nuovo elemento comune alle basiliche del XII secolo. In questo periodo preromanico (IX e X secolo) si colloca l'origine del duomo di Agliate e del S. Vincenzo in Prato. Le due chiese differiscono fra loro per la maggior raffinatezza della seconda rispetto alla prima. Sono tuttavia molto simili. Se S. Ambrogio venne trasformata prima di questi due edifici, viene da pensare che essi rappresentino, nel X secolo circa e con il gusto di questa epoca, la trasformazione che nel IV secolo era avvenuta per la Basilica Ambrosiana con l'aggiunta della nuova parte absidale. Si riprende in queste chiese di epoca così avanzata il tramontante sistema di suddividere le navate con colonnati. Nel S. Pietro in Agliate le rozze colonne ed i capitelli formati da materiale di recupero di chiese del IV e V secolo rappresentano pezzi di frontoni, animali ecc. con abaco e pulvino. In S. Salvatore detto materiale di recupero non esisteva e non ci è pervenuto. L'unico reperto che forse avrebbe potuto costituire parte di un protiro all'ingresso, sostenuto da colonne poggianti sui due classici leoni romanici, è appunto un leone trovato inserito nella casa di Donato Alessandro Vismara in contrada Mugiato, a Legnano. Le chiese erano fornite di abbondante illuminazione interna con grandi finestre e ciò, in contrasto con le nuove costruzioni romaniche poggianti su piloni (e non colonne) ed ai giochi di penombra delle loro navate. Notevoli esempi di queste impostazioni si ritrovano nelle chiese valdostane del X e XI secolo alle quali corrispondono sia lo stile del nostro campanile del SS. Salvatore, sia il materiale lapideo usato. La chiesa che meglio ci può, aiutare a capire la vecchia basilica di Legnano è quella di S. Orso ad Aosta. Creata nel 1050 sui resti di una chiesa del V secolo di cui rimane la cripta ed un pezzo del campanile. Era a navata unica con alte finestre appena sotto la copertura a capriate lignee. Era totalmente affrescata da un artista del periodo ottoniano. Orbene nel 1400 le nuove spinte estetiche portarono a far eseguire delle volte a crociera nell'interno e a far aggiungere due navate laterali per reggere la spinta delle volte. Per poter permettere il passaggio dalle navate laterali a quella centrale si erano fatti demolire grandi tratti di muro, creando degli archi poggianti su pilastri quadrati. Anche nel duomo di Morgex già a tre navate con absidi tonde in testa, la trasformazione da soffitto in assi a quella di chiesa con le volte avviene verso la fine del 1500. Ne rimangono i segni in facciata, dove le volte meno alte del tetto a capriata obbligano a chiudere delle finestre e a rendere piano il cornicione che prima contornava la classica fronte a capanna della chiesa. In Legnano la trasformazione del SS. Salvatore da chiesa con le coperture a capriata in chiesa voltata in pietra, coincise con la sua fine e venne assolutamente scartata per tre motivi. Primo i muri in sasso non erano 283 adatti a ricevere le volte moderne perché troppo fragili sui lati, (si ricordi la menzione alla chiesa pericolante). Secondo, dal 1200 in poi Legnano abbandona quasi totalmente le costruzioni in sasso e torna alla cottura dei mattoni come al tempo dei Romani. Il fare una struttura mista di sassi sotto e volte in mattoni, non doveva essere considerato dai capomastri possibile. Terzo, ammesso anche il riutilizzo delle strutture murarie della chiesa restanti dopo gli opportuni sbrecciamenti, da aprire per inserire le volte, il risultato estetico sarebbe stato di una povertà non consona ai gusti ed al censo dei Legnanesi del 1500. In ogni caso la chiesa antica era molto spartana nel suo aspetto. Delle tre cappelle absidali la principale era dedicata al SS. Salvatore (cioè Gesù e non ad un Santo Salvatore come qualcuno ha scritto) ed a S. Magno arcivescovo da non confondere con S. Gregorio Magno papa, (Roma 540 - 604) convertitore dei Longobardi. San Magno arcivescovo non è molto noto e la sua festa viene collocata nel calendario in modo alquanto sommario dal prevosto Legnanese Pozzo nel 1640. Egli ci dice che S. Magno protettore si festeggiava (prima del 1602) la terza domenica di agosto, cioè il giorno 19 (per noi S. Luigi di Tolosa) e che l'altare maggiore della chiesa era dedicato a S. Magno pontefice e confessore ed in Legnano la sua festa era stata spostata dal 19 agosto al 5 di novembre, "perché nel giorno della commemorazione dei defunti in Legnano si tiene una Fiera che dura talvolta otto giorni continui e viene la festa del Santo anticipata di un giorno nel quale appunto si celebra un S. Magno vescovo di Anagni" è: chiaro che già nel 1600 esisteva un poco di confusione. Premesso che non esistono papi di nome Magno eccettuato S. Gregorio detto Magno, ma che viene sempre chiamato Gregorio e non solo "Magno" il Pozzo cade in una involontaria attribuzione errata, evidentemente ignorando che a Milano il 25' arcivescovo, successore di S. Eustorgio II si chiamava appunto Magno e venne acclamato Santo alla sua morte. Egli morì l'1 novembre del 528 d.C. e fu sepolto nella basilica di S. Eustorgio in Milano. Con l'introduzione nel martirologio ambrosiano della festa di tutti i Santi (Ognissanti o 1 Novembre) la ricorrenza di S. Magno venne trasferita al 5 di Novembre e tutt'ora vi è rimasta, in concomitanza con l'antica Fiera dei Morti legnanese. Gli antichi cataloghi dei vescovi di Milano attribuiscono 30 anni di episcopato al santo. Lo studioso Savio pensa tuttavia che siano troppi e li riduce a circa dieci dal 518 al 528 d.C. Il suo epitaffio, senza dati cronologici, lo loda per la sua carità, ferre manum fessis nudos vestire paratus captorumque gravi solvere colla iugo. Non si conoscono quanti e quali siano stati i prigionieri liberati per intervento di 284 S. Magno e non sembra che sia stata indirizzata al nostro Magno l'epos di Avito di Vienne. Storici del XIV secolo asserivano che S. Magno appartenesse alla famiglia del Trincheri, ma è notizia priva di fondamenti. Nel 1248 venne condotta dai Domenicani allora officianti nella basilica di S. Eustorgio, una solenne ricognizione delle reliquie del santo. La basilica era stata loro affidata nel 1220, (da notare che qui S. Pietro martire aveva iniziato la sua opera di inquisitore). Le ossa di S. Magno riposano dietro l'altare maggiore della chiesa, ma non più sole. Erano presenti dal 324 le ossa di S. Eustorgio poste nella più antica cappella, in una doppia urna marmorea, destinatagli dall'imperatore Costantino di cui era familiare e condottiero militare. Nell'anno 1163 a causa delle scorrerie del Barbarossa, i Milanesi nascosero le ossa del loro protettore nella torre delle campane della collegiata di S. Giorgio al Palazzo. Una sciocca delazione le fece però scoprire e l'imperatore le trasportò a Colonia Agrippina per oltraggio a Milano. Dopo la battaglia di Legnano i Milanesi le riottennero ed esse furono riposte in un'unica urna dietro l'altare assieme a quelle di S. Magno arcivescovo ove sono ancora conservate. Come poi il Pozzo abbia potuto confondere S. Magno con un pontefice non è comprensibile. Infatti egli aveva dinanzi agli occhi due dipinti nella chiesa nuova, ed esattamente la lunetta di destra sopra l'altare maggiore di B. Lanino con S. Gregorio Magno papa che porta il triregno, il pastorale ed ha in mano un libro perché dottore della Chiesa (festa il 12 marzo) e la lesena a destra dell'altare contrapposta al Salvatore (Gesù) con S. Magno Arcivescovo che ha la mitria, il pastorale, ed è benedicente. Ciò significa che il pittore conosceva, nel 1560, la dedicazione della chiesa, ma in seguito se ne era persa la storia. Nella pala di B. Luini e nella cappella di S. Agnese del Lampugnani, S. Magno arcivescovo viene ripresentato a fianco di S. Ambrogio, perché è uno dei protettori di Milano e non può, quindi essere vescovo di Anagni o di Oderzo che con Legnano hanno molto poco a che fare. Proseguendo nel ricordo della chiesa del SS. Salvatore, sappiamo che la cappella di destra era invece intitolata alla Madonna ed a S. Giuseppe, mentre quella sulla sinistra, guardando l'altare, era dedicata a S. Stefano proto martire ucciso nel settimo mese dopo l'Ascensione di N.S.G.C. nell'anno 33 dell'era cristiana. La chiesa aveva il tetto in legno a capriate triangolari e le pareti rustiche in sasso erano di grosso spessore. Le navate erano suddivise da colonne o pilastri, forse anch'essi costruiti in sasso e calce poiché non esistono in Legnano reperti marmorei di risulta del loro abbattimento, cosa che al contrario sempre si verifica quando da un edificio antico si trae materiale di valore, per edificare il nuovo. La porta d'ingresso era a nord e tale 285 posizione rimase anche nella nuova costruzione bramantesca della chiesa. Essa dava in pratica sulla via che portava tramite il ponte carrato dell'Olonella alla cosidetta braida arcivescovile. Sappiamo come già accennato nei capitoli precedenti, che i terreni tra i due rami dell'Olona poiché soggetti a continue inondazioni, erano tenuti a coltivo e non vennero edificati che dopo il diciannovesimo secolo. La strada proseguiva poi verso est fino al congiungimento con la antica Strada Magna oggi Sempione. Sul lato destro della chiesa si estendeva invece un grande cimitero che occupava praticamente tutta l'attuale piazza S. Magno. Questo cimitero abbandonato circa nel 1640 quando si rigirò, l'ingresso della nuova basilica di S. Magno in base ai progetti di F.M. Richini, conteneva tombe cristiane di epoca romana imperiale fatte a cassa rettangolare con tegoloni di fondo con risvolto ed embrici ornati ad ovuli sul bordo superiore, poi tombe ad inumazione con solo il bordo in sasso di epoca paleocristiana, poi tombe medioevali costruite col sistema romano dei tegoloni ma appartenenti a personaggi della curia e tumulati in tal modo anziché con avelli. Lo stesso fenomeno si è riscontrato per inumazioni medioevali anche a Milano, presso la chiesa del SS. Sacramento distrutta nel 1926 in via Carducci. Sul lato sud della chiesa di S. Salvatore dalla parte delle absidi si dipartiva un'area edificata a più riprese nei secoli successivi alla chiesa e che dai documenti antichi viene definita come sede estiva arcivescovile della diocesi di Milano ossia la "mensa capitolare del duomo di Milano" e della quale parleremo più avanti. L'edificio preromanico doveva essere abbastanza rozzo nel suo insieme e piuttosto scarso di sculture; infatti vediamo che l'unico bassorilievo pervenutoci è il Cristo Salvatore scolpito in arenario e inserito, come dicemmo, sul fronte del campanile. Questa scultura insieme ad una piccola mensola in cotto, datata 12 giugno 1170, ritrovata durante la demolizione della casa Lampugnani in vicolo Scaricatore angolo Sempione e che rappresenta una testa di putto inserita sotto una gola terminante in due rosette, (era stata usata come riempimento dei muri del 1400 che formava la nuova casa) sono gli unici due particolari scultorei che fino ad ora abbiamo ricevuto dalla Legnano del Medioevo. Tuttavia nell'interno della chiesa non dovevano mancare opere artistiche visto che le case quattrocentesche di Legnano abbondavano di affreschi e ritratti. La tradizione, ma non i documenti, ci dice che dalla antica cappella di destra vicino al campanile fu recuperata e trasportata nella omonima cappella del nuovo S. Magno, una pala composta da tre tavole più predella a piccole scene dipinta dal Giampietrino. Questa bellissima opera si vede 286 ora nella cappella centrale di sinistra della nostra basilica. Il prevosto Pozzo, nel 1640, la descrive cosi: "Questa ancona per quello si tine è del Gio' Pedrino, nella quale si vede un S. Gio' Evang. a e un S. Joseffo molto lodato dallo Storico Pietro da Giussano nella vita che fu di questo S. to. Nel mezzo di questa si vede un 'anconetta della B. Verg. con il fig.o alla quale vi è molta divotione per molte gratie fatte testimonio ne siano le tavolette et voti". Purtroppo a noi è pervenuta senza la tavola centrale con la Madonna ed il Bambino. Al mezzo è stato posto un vano con una bella statua del XVI secolo raffigurante la Madonna. Le tavole e tavolette rimasteci sono tuttavia stupende. Il pittore Mosè Turri senior che le aveva restaurate alla fine del 1800, diceva di aver trovato in un angolo il nome Marcus (Marco da Oggiono) che parrebbe in contrasto con l'attribuzione al Giampietrino. Tuttavia si deve sapere che sotto questo pseudonimo viene raggruppato tutto un complesso di opere affini e che la costruzione della figura del Giampietrino è fatta su base puramente stilistica; infatti manca qualsiasi documento che identifichi questo artista e non esiste di lui opera firmata. Anche il nome dell' autore è controverso, infatti lo troviamo citato come Pietro Rizzo (= Lomazzo) Gio Pedrini, oppure Gio da Milano detto Pavese, o Gio da Como o infine Gio di Belmonte. Sarebbe molto interessante rintracciare con mezzi moderni radiografici o foto all'infrarosso la scritta e compiere anche una completa indagine artistica per meglio qualificare l'origine dell'opera. Sopra il polittico fu posto ad opera dei Lampugnani un quadro, con il Redentore affiancato da due angeli, nell'intento di alzare tutta la composizione per meglio inserirla nella nuova cappella. Evidentemente nella cappella, in cui era posto precedentemente, lo spazio a disposizione doveva essere più angusto. Il trittico doveva rappresentare l'ultima opera regalata dai Legnanesi al loro tempio, infatti il Giampietrino, allievo di Leonardo, operò tra il 1484 ed il 1514, quindi l'eventuale dipinto in Legnano dovette essere fatto quando la chiesa era "pericolante" o in demolizione. Un prezioso elenco steso da Goffredo da Bussero sembra escludere questa tradizione e menziona in Legnano la presenza della chiesa di S. Salvatore (canonica) cogli altari a: S. Salvatore, S. Paolo, S. Filippo e Giacomo, S. Biagio. Il nome degli altari non coincide con le descrizioni fatte nei manoscritti da mons. Gilardelli, ma si sa che spesso nelle chiese cambiavano i titoli degli altari o ne facevano di nuovi in base ai lasciti. Rimangono però, alcune correlazioni con le iscrizioni date da Goffredo da Bussero, le titolazioni indicate da mons. Gilardelli e la descrizione degli altari fatta nel 1650 dal prevosto Pozzo. Infatti per tutte permane la titolazione principale S. Salvatore per l'altare maggiore, a cui si affianca un San Paolo per il più 287 antico scrittore ed un S. Magno per tutti gli altri, (altari a S. Paolo tuttavia non sono esistiti in tutta Legnano, stando agli archivi della curia). Per quanto riguarda l'altare dedicato a S. Filippo e Giacomo, esso viene riproposto nella nuova chiesa cinquecentesca dimenticandosi dell'apostolo Giacomo ma non del suo compagno e martire Filippo. Anche la cappella di S. Maria e Giuseppe a fianco dell'antico campanile rimane in quella posizione con la pala del Giampietrino fino al 1610, poi viene spostata, ma mantiene tutt'ora il suo titolo. Essa però non compare nell'elenco di Goffredo da Bussero che invece menziona un S. Biagio. Questo altare sarà creato nel 1640 presso il Santuario della Madonna delle Grazie di nuova costruzione. In realtà la chiesa del S. Salvatore era vecchia e bruttina e non piaceva ai Legnanesi del XV secolo. L'incuria e la vecchiaia minavano le sue fondamenta. L'Olonella che scorreva ai suoi piedi dicono infiltrasse nelle fondazioni (peraltro in S. Magno tali infiltrazioni non esistono minimamente) ed una serie di assestamenti del terreno alla fine del 1400 l'avrebbero fatta crollare . Era rimasto in piedi solo il campanile di cui tutt'oggi esiste un pezzo e la contigua cappella di S. Maria e Gioseffo. Questo tra il 1490 e 1500. è; tuttavia doveroso dire, come abbiamo già indicato che il crollo più grosso era stato quello provocato alla cultura rinascimentale e non è molto sbagliato pensare che la chiesa dovette essere demolita dai Legnanesi con la "scusa del crollo" per poter avere il permesso dagli arcivescovi e da Ludovico il Moro, di rifare un tempio più consono ai loro canoni estetici ed al loro censo. Un altro esempio troviamo a Roma dove viene abbattuta la Basilica paleocristiana di S. Pietro per edificarne una più moderna su disegni proprio del Bramante. In Legnano venne lasciato in piedi e tenuto in uso il solo campanile (che stranamente non aveva risentito dei terremoti). Esso venne dapprima alzato durante un restauro del 1520, poi abbattuto per due terzi e sostituito da uno in mattoni, nel 1752, quale ancora vediamo ancora nella piazza di S. Magno. Per dare significato alle origini della nostra più antica chiesa possiamo azzardare solo un'ipotesi in base ai fatti storici che coinvolsero il nostro villaggio tra il 493 ed il 553 d.C. Eravamo in pieno dominio dei Goti. Teodorico fattosi re d'Italia dominava con saggezza (barbara naturalmente). L'imperatore d'Oriente, Giustino I (518-527) pubblicò un editto col quale bandiva gli ariani dall'impero, sollevando le ire da parte di Teodorico. Questi, per rappresaglia, iniziò ad infierire sulla Chiesa e sui cattolici, divenendo ingiusto e crudele. Imprigioni, e fece uccidere personaggi famosi come Simmaco e Severino Boezio. In Milano le prigioni dovevano essere ricolme di vittime. Ecco che entra in gioco l'arcivescovo S. Magno il quale, anche grazie alla più 288 mite figura di Amalassunta succeduta nel 526 a Teodorico, fa liberare questi prigionieri. Anche la comunità di Legnano ebbe cristiani liberati dalle catene e la figura del santo rimase così vivida nel loro ricordo che gli dedicò il primo tempio, unendo il nome di S. Magno a quello di S. Salvatore, proprio per rafforzare il significato dell'opera del suo arcivescovo. 289 Legnano e i suoi monumenti Avevamo prima accennato ad un secondo antico reperto costruito in Legnano con sassi e calce, (naturalmente nelle fondazioni i costruttori usarono anche i pezzi di embrice e mattoni del periodo imperiale romano che è accertato non mancavano sui luoghi di distruzione della più antica città). Questo grande muro venne rivenuto nel 1951 dall'ing. Guido Sutermeister durante gli scavi per costruire i nuovi palazzi INA con la galleria ed il teatro al centro di Legnano, in via Magenta angolo piazza S. Magno. Esso rappresenta la fondazione di una poderosa opera difensiva che era addossata ad una grande fossa nella quale era stata deviata l'acqua dell'Olona, ad ulteriore difesa del nucleo centrale di Legnano. Dunque il centro della Legnano del XI e XII secolo era una vera e propria roccaforte militare. Per meglio capire quali fossero gli abitanti che la frequentavano, ricordiamo in sintesi le precedenti pagine sulla Legnano medioevale. Nel X secolo, in opposizione alle invasioni ungare, si ipotizza la nascita nel centro vicino a S. Salvatore, probabilmente come in quasi tutti i centri vicini di un primo nucleo difensivo. In genere una torre fortificata al pari di quella romana, verso Castellanza, fungeva da "sala" visto che si facevano scorte annonarie; vi era forse anche un primo accenno di cinta murata. Legnano era prevalentemente in proprietà ai rappresentanti della Chiesa. L'arcivescovo infeuda queste terre alle soglie dell'XI secolo e si allea al potere militare con Enrico II. Viene anche requisito il Seprio. Nasce cosi la secolare inimicizia con il contado del Seprio e la veste di Legnano come sentinella militare per Milano. Nel 1014 l'Imperatore lascia qui come milites sancti Ambrosii e vassalli arcivescovili Amizio e suo figlio Erlembaldo che sono antenati dei capi Landolfo ed Erlembaldo Cotta segnalati come proprietari di un castello in Legnano assegnato dall'arcivescovo dopo l'infeudamento. Tuttavia in Varese e nel Seprio serpeggia grande ostilità all'arcivescovo e l'Arialdo che, come predicatore, incitava le popolazioni ad allontanarsi dal potere arcivescovile e militare che le opprimevano, fu proprio con un tradimento preso nel castello dei Cotta in Legnano. Certamente il maniero doveva già essere stato munito di sale e opere di fortificazione piiù importanti da Erlembaldo Cotta in aggiunta alla semplice costruzione fatta in difesa dalle incursioni ungare. Nel XII secolo il nome dei Cotta tuttavia scompare. L'arcivescovo rafforza il suo potere feudale su Legnano e, nel 1176 al culmine dei contrasti tra il potere arcivescovile e comunale ed i reclamati diritti dell'imperatore, viene presso questo castello preparata la Battaglia di Legnano. 290 Il carroccio si porta presso la fortificazione legnanese, le armate della Lega qui convergono poichè sia l'appoggio logistico della torre che le scorte alimentari qui tenute consentono l'organizzazione di un esercito per allora di notevoli dimensioni. Inoltre il Seprio infido era ancora una volta alleato contro i Milanesi e la sentinella Legnano, posta alle porte della Valle olona, era qui la vera chiave di volta della difesa milanese. Espletate le famose gesta della battaglia, gli arcivescovi presero Legnano come riferimento fisso per i loro frequenti viaggi non sempre a carattere pacifico e qui vennero edificati, a fianco del castello dei Cotta, una serie di edifici che concorsero a costituire la cosidetta Mensa Arcivescovile. Non erano vere costruzioni militari, ma case fortificate difese dal castello e dal suo poderoso muro ristrutturato nel XIII secolo. Il più noto a noi di questi palazzi è quello che oggi funge (ricostruito) da Asilo centrale. Esso è detto di Leone da Perego, morto in Legnano nel 1257 e sepolto nella chiesa di S. Ambrogio e di cui parleremo ampiamente in seguito. E' interessante notare che proprio la più appariscente opera di fortificazione venne fatta eseguire nell'agosto 1257 dai capitani e valvassori di Milano, sostenitori dell'arcivescovo e dei nobili, i quali mandarono a scavare una grandissima fossa intorno a Legnano per deviare l'acqua del fiume Olona (Corio vol. I, Milano 1855, p. 494). Tale vallo è proprio quello trovato ai piedi del muraglione del castello dei Cotta, dal Sutermeister. Esso partiva dal mulino arcivescovile a nord dell'Olonella vicino alla chiesa di S. Agnese (più tarda) e, descrivendo un grande arco a ovest di S. Salvatore, si ricongiungeva con l'Olonella e l'Olona all'altezza di quella che oggi è chiamata piazza Carroccio. Si era così formato uno spazio a forma di fuso allungato da nord a sud completamente circondato d'acqua sull'esterno e difeso da mura notevoli (un metro di spessore) sul lato ovest ove c'era il castello Cotta in forma rettangolare (m. 22 x 6,50) a torrione allungato con varie sale di identiche dimensioni, a ciascun piano, destinate agli armati ed al signorotto. Nell'angolo sud ovest all'altezza di quella che è oggi via XXV Aprile si sono ritrovati i resti di fondazione di un palazzotto addossato all'esterno ai muraglioni difensivi della braida. Forse era il maniero più antico, ma nessuna notizia storica ci aiuta a dare un nome a queste pietre. Esattamente dall'angolo dove trovavasi questo maniero e perpendicolarmente a corso Magenta, la cinta muraria proseguiva fino al palazzo di Leone da Perego e incontrava i muri di quello che oggi è il salone del cinema Ratti, ma che fu (prima di essere svuotato al suo interno) il palazzo nobiliare di Ottone Visconti anch'egli arcivescovo in Milano e successore, nel 1277, di Leone da Perego morto nel 1257. Entrambi i palazzi si affacciano su un cortile ancor oggi esistente, il quale attraverso una serie di passggi sfocia in corso Magenta, su quella che doveva essere la piazza d'armi all'interno delle mura difensive. Il portone d'accesso ai palazzi esiste ancora 291 oggi e anche se i cartelli del Cinema Ratti ed il tempo lo hanno privato del suo primitivo splendore e degli stemmi affrescati, ci mostra tuttora la sobrietà e compostezza delle antiche costruzioni del 1200 - 1300 legnanese, in cotto e belle pietre angolari poste sia sugli spigoli degli edifici che nelle serraglie degli archi, alternate ai mattoni lunghi e sottili tipici di questa epoca. Uscendo dal portone arcivescovile su quella che oggi e via Magenta si trovava alla sinistra un passaggio tra gli edifici e le mura difensive, a forma di portone con la parte superiore ad arco che sosteneva dei vani di abitazione. Questo arco scomparso nel 1818 fungeva da vera e propria porta meridionale della città fortificata e la sua strada prendeva il nome di via Porta di Sotto e si allontanava verso il castello di S. Giorgio. Sulla facciata portava lo stemma di S. Carlo Borromeo che aveva ripreso l'uso di questa braida un poco dimenticata dopo gli anni di Ottone Visconti. Quest'ultimo, dopo Leone da Perego, doveva essere stato il vero artefice delle fortificazioni. Sopra il portone le stanze costituivano un vero e proprio passaggio coperto che metteva in comunicazione il Palazzo di Ottone Visconti (sala Ratti) con il castello dei Cotta, che era integrato ad ovest nei muraglioni e forse con quel maniero dell'XI o XII secolo che esisteva all'angolo sud ovest del quadrilatero difensivo. Del lato nord delle fortificazioni non sappiamo nulla in quanto nessuno scavo importante ha permesso di raggiungere la quota del terreno medioevale (circa metri 1,50 sotto l'attuale piano di piazza S. Magno). Il Palazzo di Leone da Perego era ancora sostanzialmente integro nel 1883 (anche se nei secoli rimaneggiato) esso consisteva in una costruzione a due piani di pianta rettangolare con tetto a capanna misurante 33 metri di lunghezza per 10 di larghezza, alto metri 9,50. Era integralmente costruito in mattoni; infatti l'abilità dei fornaciai ereditata dai romani era tornata a fiorire dopo le parentesi barbariche. Possedeva molte finestre bifore con arco ogivale di facciata sempre ricavate con giochi di mattoni speciali sagomati e colonnine centrali in pietra, con davanzale e archetti superlon ricavati in un unico blocco di pietra. La finestra trifora che si vede oggi sopra il portale di ingresso della curia arcivescovile è un moderno tentativo di imitare lo stile duecentesco del palazzo arcivescovile e porta archetti in mattoni e non in pietra monolitica. Una delle finestre originali e invece stata trasportata intera a Milano, e ancora oggi ammirarla al museo civico completa sia di archi che di colonna centrale con il suo elegante capitello a foglie stilizzate. Il motivo di queste finestre ogivali si ritrova in seguito spesso ripetuto a Legnano fino alla metà del 1500. Particolarmente belle erano quelle, ora salvate solo in parte, appartenenti alla 292 ex casa dei pittori Lampugnani in corso Garibaldi che hanno ritrovato collocazione in una facciata moderna edificata sul luogo ove esisteva l'antica casa. Il palazzo arcivescovile era stato nei secoli trasformato e molte delle sue finestre sia ogivali sia a pieno tondo, nel 1800, risultavano gla murate e sostituite da piùl numerose e normali finestre rettangolari della fine del 1500. Nel suo interno i grandi e lineari saloni del 1250 erano stati frazionati con nuovi muri trasversali più ravvicinati e tutta la costruzione aveva perso la sontuosa semplicità iniziale. Alla testata sud era stata aggiunta una loggetta chiusa con i servizi a caduta sull'orto e sopra le finestre più grandi erano stati aggiunti dei tettucci per meglio riparare la facciata. Il cornicione medioevale infatti era di poco aggetto e formato da due file di mattoni sfalsati che sostenevano e coronavano una terza centrale posta di spigolo a formare motivo decorativo. Il tetto che da questo sporgeva appena, non era stato abitato fino alle trasformazioni del 1500, nelle quali si era visto aprire delle finestre appena sotto il cornicione stesso e nel timpano triangolare delle facciate. Il lato sud del palazzo era contiguo all'altro edificio della mensa arcivescovile ora sala cinematografica Ratti. Si vede nei precisi rilievi ottocenteschi che i due edifici costituivano un tutt'uno prospettando sul lato est e sud del cortile interno della braida. Sul lato sud del palazzo di Leone da Perego si vede inoltre appena sopra alla suaccennata loggetta, il segno inequivocabile di una aggiunta trecentesca composta da un grande porticato anteriore alla facciata che prospetta sul cortile (a ovest). Questo porticato alzato fino al secondo piano è quello che si vede ancor oggi nella ricostruzione e funge da atrio d'ingresso per l'asilo delle suore di S. Magno. Attualmente è strutturato con tre archi poggianti su colonne. Nell'angolo destro un antico scalone coperto portava ai piani superiori. I mattoni di facciata presentavano i classici buchi quadrati dei ponteggi antichi distanziati ogni due metri e mezzo in orizzontale ed ogni m. 1,50 in verticale. Nessuna decorazione ad affresco era presente. Probabilmente i saloni erano abbelliti solo con arazzi, stoffe e quadri. Inoltre le notevoli trasformazioni interne avevano già fatto perdere gli intonaci medioevali nel 1500. Anche gli affreschi che erano presenti sopra il portone d'ingresso nel 1885 e che vediamo in uno dei numerosi schizzi del maestro Pirovano (sulla destra un'effigie del santo, sulla sinistra lo stemma arcivescovile dei Borromei) sono andati perduti. Ci restano le due belle lapidi con gli stemmi viscontei, una all'interno, l'altra sulla facciata di corso Magenta, più arcaica la prima, più completa la seconda. Diversamente da quanto successe nei confronti del palazzo di Leone che fu completamente demolito e rifatto, indulgendo un po' 293 troppo nella ricerca di ricostruzione di finestre bifore e nell'inserimento di pietre a concio tra i mattoni con tipica scelta di restauro - ricostruzione propria del secolo XIX, il palazzo di Ottone Visconti fu solo svuotato nel suo interno e vi furono rinvenuti dei pregevoli fregi affrescati. Questi fregi con le raffigurazlonl delle quattro stagioni alternati agli stemmi di Ottone Visconti, ricchi di soggetti animali e puttini, non sono plu visibili poichè la decorazione neoclassica con cui tutto l'interno del maniero venne rifatto per ospitare la sala cinematografica Ratti, ha nascosto le antiche superfici. L'esterno invece ha mantenuto i materiali antichi in pietra e cotto, è però scomparso l'antico passaggio coperto che passava sopra via Magenta e si è aggiunta una modifica per l'ingresso del cinema. Molte antiche trasformazioni del palazzo ottoniano furono dovute anche a S. Carlo Borromeo, il quale lo fece adibire a carcere per i sacerdoti. Evidentemente in questa epoca l'Arcivescovado di Milano curava stabili, mulini e rendite terriere, senza peri, trasferirsi in Legnano come residenza saltuaria e tutti gli stabili medioevali persero le loro destinazioni originali. Resta comunque tutta l'antica cadenza dei volumi degli edifici, lo spazio quasi a chiostro dei cortili lastricati in pietra e il vialetto d'accesso che si diparte dal portale d'ingresso. L'antica via di Porta di Sotto, come abbiamo già accennato, si dirigeva verso il castello detto di S. Giorgio. Tale castello era però fuori dallo spazio fortificato e difeso dalla roggia fatta scavare da Leone da Perego; infatti questa iniziava e finiva fra due mulini sempre di proprietà arcivescovile. Il fossato era infatti stato scavato anche per meglio fornire d'acqua i mulini stessi. Il motivo della creazione della via Porta di Sotto era semplice; a sud lungo l'ultima biforcazione dell'Olona, l'arcivescovo possedeva da tempo immemorabile terreni ed anche degli edifici. 294 Chiese ed oratori trecenteschi Il triste destino subito da tutti i palazzi signorili della Legnano rinascimentale non tralasciò di accomunare alcune chiese ad una demolizione altrettanto miserevole. Questa sorte toccò, principalmente alle chiese conventuali, le quali subirono le vicende degli ordini monastici stessi. Presenti nella Legnano medioevale e rinascimentale in gran numero le comunità religiose presero a scomparire dalla fine del 1500 in avanti. Con loro persero di importanza anche i monasteri delle Clarisse (voluto dai Vismara), degli Umiliati di S. Erasmo, dei Frati Minori osservanti dell'antico convento di S. Angelo sorto già all'epoca di Leone da Perego; scomparve il convento di S. Caterina edificato lungo via Lampugnani a fianco della braida, il convento di S. Agnese presso l'attuale piazza 4 Novembre, il convento di S. Maria del Priorato, i cui ultimi resti furono demoliti nel 1963. Facendo un esame di tutti questi edifici si finirebbe per cadere in un discorso archeologico. Infatti di loro rimangono solo qualche foto ingiallita, tanti documenti di fondazione, compravendite, donazioni, e nei casi più fortunati qualche affresco strappato che ci riempie di stupore, vuoi per la testimonianza di un onorevole passato, vuoi per il messaggio culturale che ancora oggi è in grado di comunicarci. Tutti questi conventi costruiti in sasso e mattoni erano dotati di un oratorio o chiesina annessa (spesso solo aule rettangolari di modeste dimensioni) che non sono sopravvissute al nostro secolo devastatore. Elenchiamo quindi solo a titolo di testimonianza: la chiesa di S. Maria del Priorato che ci ha lasciato un affresco con un ecce homo, dai cartigli ed alcuni conci scolpiti; la chiesa di S. Angelo, che vestì per molti Legnanesi importanti la funzione di ultima dimora e nella quale su affreschi molto antichi era effigiato il beato arcivescovo Leone da Perego; la chiesa di S. Agnese che, sopravvissuta al suo convento (in piazza 4 Novembre), era stata ai primi del 1400 sconsacrata ed adibita ad uso civile; la chiesa dell'Annunciata posta alla fine di via Corridoni e da lunghi anni in disuso prima della demolizione ed il cui convento era posto lungo il Sempione poco prima della casa Corio dotato di una piccola cappella priva di divisione tra pubblico ed officiante; la chiesa di S. Nazaro in Legnanello posta a fianco della località cosidetta La Morta, dove sono state rinvenute le tracce del cimitero dei Legnarellesi; la cappellina di S. Chiara nel convento donato dai Vismara (in corso Italia) ed una chiesa di S. 295 Maria in Legnanello (forse una nuova denominazione per il S.Nazaro che per altro scompare dagli elenchi ufficiali delle chiese dopo il 1500) demolita nel 1940 e posta tra il Sempione e via Galvani. Dobbiamo purtroppo per esigenze di brevità tralasciare la descrizione degli edifici scomparsi per i quali si rimanda il lettore ai preziosi scritti dell'ing. Guido Sutermeister pubblicati a cura della Società Arte e Storia di Legnano, continuando invece una descrizione dei monumenti rimastici ai quali in ordine d'importanza si deve anteporre a nostra basilica maggiore. Certamente non paragonabili, per importanza architettonica ed opere d'arte contenute, alle più grandi chiese di S. Magno, S. Ambrogio, Santuario delle Grazie e chiesa di S. Maria nascente sul Sempione, molte piccole cappelle ed oratori della Legnano antica, sono riuscite a giungere integre a noi, nonostante l'assedio loro portato dalla città moderna in evoluzione. In ordine di anzianità esse sono: la chiesetta di S. Erasmo, la chiesa di S. Martino, l'oratorio di S. Bernardino, l'oratorio della Purificazione, l'oratorio della Ponzella, l'oratorio della cascina Mazzafame e l'oratorio della cascina Olmina. Sono tutte aule rettangolari di poche pretese architettoniche. L'origine è in genere conventuale o si rifà all'ingrandimento di qualche cappellina sacra da lungo tempo preesistente sul luogo. Vengono adibite come oratori conventuali o, più tardi (Ponzella Mazzafame Olmina) come piccole chiese legate ad un complesso rurale in cui si officia la domenica, per non sottoporre i fedeli a troppo lunghi trasferimenti. Le dimensioni oscillano tra i 6-8 metri di larghezza ed i 9-12 metri di lunghezza. Sono coperte con soffitto piano di legno e solo verso la fine del 1700 furono dotate di piccola sagrestia o fu ampliato il campanile in precedenza costituito da un semplice muro con aperta una finestrella per la campana, sul tipo di quello che possedeva la chiesetta di S. Giorgio al castello di cui abbiamo precedentemente parlato. Tra tutte la più antica come luogo di culto deve essere stata la chiesetta di S. Martino. Il fatto che sia legata al santo cui vengono dedicati molti mortorietti, che sorga sul luogo più prossimo al teatro delle ultime fasi della battaglia di Legnano, che sia stata usata come mortorietto fino alla fine del 1600, ci induce a ritenerla ingrandimento di una cappellina votiva del XII secolo. Essa è tuttavia stata rinnovata e la forma antica non 296 traspare più dagli attuali muri. I materiali costruttivi di queste chiese sono il legno, il mattone, le tegole, le pavimentazioni in cotto; nessuna opera è in marmo, eccettuata la soglia; l'altare è fatto in muratura intonacata con alcune decorazioni in legno dipinto; anche le balaustre erano semplici recinzioni in legno. Un bell'esempio di questo tipo di altare e balaustra in legno decorato era presente nella chiesetta del castello, come si vede ancora nelle fotografie, ma è stato stupidamente distrutto in affannose ricerche. Alle finestre spesso non erano apposti serramenti, ma solo grate con una tenda. Grande semplicità quindi modestia di materiali. Le opere d'arte da loro contenute sono poche anche se talvolta importanti per la storia di Legnano. In esse si coglie forse con più vigore la forza della fede dei Legnanesi antichi e ci si avvicina alla vera vita del borgo fatto non solo di nobiltà, ma da tanti agricoltori ed artigiani di gusti semplici e con un bilancio non sempre attivo da far quadrare. Per maggior completezza del discorso facciamo seguire una serie di note riassuntive della storia di ciascuna delle citate chiesette con una breve descrizione. Posto lungo il Sempione a fianco dell'ospedale di Legnano, questo piccolo oratorio (cubiti 14 x 33) è segnalato negli elenchi del 1300 lasciatici, come già accennato, dallo storico Bussero. Esso era affiancato all'ospizio-convento di S. Erasmo fondato quasi certamente dal padre umiliato Bonvesin della Riva (morto nel 1313, il 5 gennaio). Prima del grande ospedale-ospizio, di cui si è già parlato nella prima parte di questo libro, una stazione tenuta dai frati, costituiva un'importante struttura di asilo per i viandanti che percorrevano già nell'XI secolo, l'antica Strada Magna oggi Sempione. Questa stazione assunse il compito della cura dei malati e dei vecchi con Bonvesin della Riva e fu quindi ingrandita e dotata, nel 1300, anche di una chiesetta con un altare dedicato a S. Margherita. Il complesso mantenne nei secoli fino al 1925, la funzione di ospedale e di orfanotrofio e ricovero per i vecchi. Vi era infatti sulla facciata una finestra dotata di una bussola rotante nella quale, le donne, che non intendevano allevare i loro nati, di notte lasciavano i piccoli "esposti" perché le suore li crescessero con carità 297 cristiana. Veniva data anche una certa quantità di vino e di pane alle partorienti, e questo uso era richiamato da un affresco vicino alla porta. La facciata dell'edificio duecentesca nelle forme architettoniche, era letteralmente costellata da affreschi aggiunti di volta in volta da donatori o viandanti. Formava un vero e proprio polittico di stili e colori. Quando nel 1925 venne decisa la demolizione dell'edificio medioevale che ingombrava il Sempione e doveva essere rimodernato per divenire un più efficiente ricovero per anziani dotato di convenienti servizi, infermeria e mensa, fu incaricato il pittore Gersam Turri di strappare le affrescature più belle che sono ora custodite nel museo civico. Le altre vennero invece distrutte assieme ai muri. La chiesetta-oratorio posta sul fianco venne invece restaurata ed in parte rinnovata. All'edificio trecentesco, già rimodernato nel 1490 da Gian Rodolfo Vismara, vennero modificati i muri esterni, rifiniti in paramano e pietra, fu cambiata la facciata settecentesca in lesene di cemento con portale a timpano triangolare e la facciata stessa rifatta in mattoni fu adattata ad uno stile trecentesco un poco falso, con una lunetta sopra il portale ed un rosone cieco al centro della facciata "a capanna". All'interno oggi troviamo uno degli affreschi strappati dalla facciata dell'ospedale, che testimonia le origini del monumento. Sull'altare è posto un bellissimo trittico donato da Gian Rodolfo Vismara nel 1492, rappresentante al centro la Madonna col Bambino che tiene in mano una rosa. Sulla sinistra un S. Erasmo e sulla destra S. Magno vescovo benedicente. Nel 1930 spesso si fece per questa pala riferimento a Benvenuto Tisi detto "il Garofalo" che firmava i suoi quadri ponendo un garofano in basso a destra. Questa attribuzione è tuttavia azzardata, in quanto il Tisi non ebbe modo di dipingere nel Legnanese e secondariamente i fiori raffiguranti nel quadro sono tutte rose. Per la composizione delle figure e per il cromatismo, quest'opera ben conservata, si inquadra molto bene nelle produzioni artistiche della Legnano di fine 1400. Potrebbe essere quindi ascrivibile al Cristoforo Lampugnani che dopo il Melchiorre aveva lavorato per i nobili legnanesi. La cappella maggiore venne affrescata agli inizi del 1800 dal pittore legnanese Antonio Maria Turri. Sulla facciata laterale nel 1925 è stata trasportata una lapide in granito con le date 1677 e 1927, alle quali si devono riferire eventuali lavori di ammodernamento. 298 Come già accennato, questa chiesina sorge più vicina, tra tutte, alla zona che vide le ultime fasi della battaglia di Legnano. Essa è posta quasi alla fine di via 29 Maggio sul bordo di quella discendenza del terreno che i Lombardi della Lega avevano scelto come ostacolo difensivo, per attaccare dall'alto il Barbarossa atteso da Castellanza in valle. Tale scoscesità era stata invece interpretata dai Tedeschi, giunti alle spalle dei Lombardi da Borsano, come un baluardo scelto dai nemici a mo' di impedimento per una propria ingloriosa fuga. lronia della sorte, una vera e propria scelta sbagliata aveva costretto gli Italiani a battersi come leoni per non morire ed aveva cambiato le sorti della battaglia stessa. La dedicazione della chiesina a S. Martino appare antica quanto la battaglia stessa. La forma della chiesa è semplice, con un'aula rettangolare sulla quale, nel 1400, fu inserito un ampliamento. L'orientamento originale, nord-sud, venne così modificato col trasporto della facciata ad ovest. La chiesa è dotata di una piccola sagrestia con una bella volta a crociera e da un'auletta laterale che doveva costituire locale per riunioni in occasione delle processioni agricole. Il padre prevosto Pozzo la definisce: chiesa campestre posta fra le vigne tra S. Angelo et la Castellanza, et per quello si vede dalle scritte antiche fu sempre con il nome di Chiericato, et è antichissima come dalle pitture, et fabrica si vede. Nel 1700 vennero chiuse le aperture a lato della navata principale che consentivano di vedere l'interno del mortorietto e furono dotate di serramenti anche le due finestrelle quadrate della facciata. Venne infine costruito un campaniletto con una bella cornice mossa sopra la cella campanaria. Nel 1977, grazie all'interessamento della contrada di S. Martino, guidata da Sandro Gregori, la chiesetta è stata restaurata con una nuova pavimentazione (la primitiva era in cotto), si è provveduto a rivedere la copertura, a pulire gli affreschi, a porre una vetrata artistica nella finestra di facciata, opera di Roberto Maria Mascheroni. E' invece l'artista libanese Elbacha l'autore di un grande mosaico policromo eseguito, sempre con i temi della battaglia di Legnano e della contrada, come pavimentazione marmorea del sagrato della chiesina. L'antica strada che passava davanti a questa, giungeva un poco più a nord vicino alla cosidetta via del Confinante (via Dandolo) ove si trova una seconda chiesina ancor più antica, detta di S. Giorgio. In questa si trovano affreschi databili agli inizi del 1300. Nel suo intorno furono seppelliti molti morti e soldati (forse anche quelli della 299 battaglia, a giudizio di Sutermeister). Tutta la zona detta in Galvagno (ricordiamo i reperti romani) dovette dunque per secoli costituire un importante nucleo della Legnano più antica. Nella chiesina di S. Martino, ci ricorda il maestro Pirovano, un Joannes Lampugnanus dipinse una bella deposizione con la Madonna e le Pie Donne, di sapore mantegnesco, attorno al 1480. La terza e più recente (stando agli elenchi delle visitazioni di San Carlo - 1580) delle piccole chiese di Legnano e' ubicata presso la cascina San bernardino a sud-ovest della città, alla fine di via Liguria via Delle Palme. E' un piccolissimo oratorio (cubiti 8 x 15), in cui si venera un affresco raffigurante la Madonna, edificato a ricordo delle prediche di S. Bernardino nel convento di S. Angelo, nell'anno 1444. Il prevosto Pozzo ci dice che era più antica, e nell'anno 1642 fu intrapreso l'uso di celebrare la festa di S. Bernardino, il 20 maggio. L'autore racconta anche l'aneddoto riguardante un malvagio che, passando, ruppe con un'archibugiata, la campana, ma colpito da mala sorte dovette rendere l'anima otto giorni dopo per morte violenta. Subito dopo, la chiesa venne messa a posto da padre Gervaso Crivello e venne per lunghi anni officiata. Nel 1800 vi si fecero dei lavori e il venerato affresco con la Madonna, il Bambino, e S. Bernardino, fu restaurato in quanto presentava una grave spaccatura dovuta alla caduta di un fulmine sulla chiesetta. In quella occasione per riparare tutta la costruzione stessa furono abbattute le due ali di muro a fianco dell'affresco e venne ricreato un arco con due porte laterali le quali portavano in una cappella absidale semicircolare aggiunta come coro all'oratorietto. A proposito dell'affresco occorre ricordare un fatto curioso, nel 1940 esso fu attribuito dall'ing. Guido Sutermeister a Daniele Crespi detto "il Cerano". Tale denominazione sempre ripetuta senza osservare il dipinto, ha portato alla comune nomea di "affresco del Cerano. Nel 1970 in occasione della visita da parte del Sovrintendente alle Gallerie di Milano, questa attribuzione fu esclusa, infatti il Cerano era molto più grandioso nel suoi dipinti, inoltre, mentre il suo modo di ritrarre S. Carlo riproduce sempre il naso adunco originale del Borromeo (lui lo conosceva in vita), il ritratto presente in questa chiesina porta un naso, di grandi dimensioni, ma diritto, esattamente come lo voleva la moda pittorica del 1600. La chiesina inoltre era sotto il patrocinio dei Lampugnani e lo dimostra lo 300 stemma gentilizio sull'acquasantiera all'ingresso. Quando alla fine del 1700 si pose mano alle riparazioni dei danni causati dal fulmine, l'affresco fu ritagliato e coperto da una cornice lignea con lesene e capitelli che sorreggono una trabeazione a mo' di iconostasi sormontata da due angioli. In questo modo fu rovinato e scomparve il cartiglio con la firma dell'autore. Questo si nota invece presente su un disegno del 1700 che riporta (due volte) la scritta Fancicus Lampugnanus fecit 1644. Con questa dedica cadono tutti i dubbi circa lo stile dell'opera che è proprio attinente a quello dei fratelli Lampugnani soprattutto paragonandolo alla Pala d'Altare di S. Ambrogio. Ed è anche più logico che anticamente i nobili Lampugnani facessero lavorare i loro rinomati artisti, invece di chiamare un concorrente da Milano. Tanto più che stando alle lettere del Perracino al Cardinal Sfondrati, egli testualmente dice essere una cosa più fantastica che reale il pensare di poter dare incarichi per pitture private al Procaccini od al Cerano che erano oberati di lavoro per gli enti ecclesiastici più importanti. Questo ovviamente ci allontana ancor di più dall'oratorio di S. Bernardino. Sempre nel 1800 la chiesina fu arricchita di una piccola sagrestia sul lato sinistro, a fianco della torricella del campanile. Al suo interno il pittore Antonio Maria Turri eseguì gli affreschi recentemente scoperti dopo l'ultimo restauro degli anni Settanta. In questa occasione l'intervento della Contrada di S. Bernardino ha permesso di restituire salute fisica al tetto pericolante, ai pavimenti ed ai muri della chiesa. L'affresco venerato è stato spostato in fondo all'abside e l'interno della chiesina è divenuto più grande per l'afflusso dei fedeli, essendo state modificate le balaustre. Legnanello fin dal 700 d.C. era stata una frazione staccata di Legnano; aveva, già nel 1300, tre chiese. La prima che abbiamo già visto era quella di S. Erasmo; la seconda era la chiesetta di S. Stefano che però, sorgeva presso S. Vittore Olona, e quindi è edificio più classificabile come non legnanese, la terza era la chiesa di S. Maria o dell'Annunciazione che l'ing. Sutermeister individua presso la località La Morta, lungo il Sempione e che, con ogni probabilità, era dedicata prima ad un S. Nazaro poi scomparso come titolazione dell'altare. 301 Quest'ultima chiesetta non compare più negli elenchi ufficiali delle chiese, già nel 1530. In sua vece, nei cataloghi, comparirà, 17 anni dopo, un piccolo oratorio presso il convento delle Canossiane della Barbara Melzi che, assumendo il nome di S. Maria della Purificazione, fungerà da chiesa parrocchiale per la frazione di Legnanello fino al 1902, quando verrà poi eretta la basilica in stile neoromanico del Redentore. La vecchia chiesina di S. Maria tuttavia rimase in piedi (forse sconsacrata) fino al 1940, anno in cui venne allargato il Sempione e l'angolo di via Galvani vide scomparire l'edificio che all'esterno presentava foggie secentesche. La chiesina della Purificazione benché strutturata con un semplice oratorio privato, è tuttavia molto aggraziata nelle forme. In facciata presenta un bel portico con quattro colonne portanti degli archi coperti da un tettuccio a capanna. Il rimanente frontone è decorato con due finestre rotonde circondate da festoni in stucco con fiori e frutta. Al centro una più severa finestra rettangolare dona luce alla navata interna. Questa è unica e rettangolare, terminante con un'abside. Nel presbiterio si trovano pregevoli affreschi dei pittori Lampugnani Francesco e Giovanni Battista. Attualmente viene usata come cappella privata dall'istituto delle suore Canossiane con la cancellata posta sull'esterno a filo del colonnato sempre chiusa. Sul suo sagrato, fino alla fine del 1800, si tenne la caratteristica festa legnanese del "Caru mi caru ti" il giorno 2 febbraio di ogni anno. Con la creazione della nuova chiesa parrocchiale l'uso fu trasferito in piazza Redentore. 302 Chiesa di Sant'Ambrogio Questa chiesa, ora in triste abbandono, può, dirsi sicuramente l'edificio con le origini più antiche ancora esistente nell'attuale città di Legnano. Il primo tentativo di datazione dell'edificio fu fatto da un modesto cultore di storia locale nel 1800, il quale non sapendo in che modo collocarne la nascita assimilò il S. Ambrogio di Legnano a quello sorto nel 1339 in Parabiago dopo la sanguinosa battaglia colà tenutasi. Tuttavia il Pirovano ignorava la presenza in Legnano di fondi del Capitolo di S. Ambrogio fin dal 800 d.C. e parimenti non era a conoscenza di documenti antichi sia in Milano che in Legnano, nonchè delle tradizioni popolari e canoniche che assegnano alla primitiva parte della chiesa di S. Ambrogio di Legnano il compito di fungere da tomba nascosta per l'Arcivescovo Leone da Perego. Questo fatto sposta la datazione dell'edificio a prima dell'anno 1257. Vediamo ora di andare a scoprire nel suo angolo ancora silenzioso questa testimonianza della nostra cultura lombarda. Per raggiungerla si percorre la piazza S. Magno, corso Magenta ed a destra via Giulini. Le strade sono strette ed antiche, le case a due piani si susseguono una attaccata all'altra ed ecco in via S. Ambrogio come uno spazio triangolare con gradini con gradini consumati dal tempo che ci portano al portico della chiesa. Lo spazio, in cui la chiesa è collocata, ci sembra piccolo ma è il suo, quello vero antico e mai modificato da secoli, più precisamente dal 1500 quando essa venne ampliata la prima volta. Ma quando è stata costruita? Si può rispondere a questa domanda in due modi entrambi validi, ma entrambi non facilmente dimostrabili. La sua storia è profondamente legata alle origini di Legnano stessa. Dobbiamo risalire, aiutati dai documenti storici, alla metà del 1200. Legnano a quell'epoca era ancora divisa da Legnanello ed il borgo si sviluppava attorno alla Braida Arcivescovile; infatti abbiamo visto che l'edificio più bello e tuttora conservato con le funzioni di asilo serviva come sede estiva per l'arcivescovo di Milano. In particolare il pio padre francescano Leone dei valvassori da Perego, salito sul trono episcopale che fu di S. Ambrogio, S. Galdino e di Ariberto, il 15 giugno del 1241, soleva spesso sostare presso Legnano nel palazzo che si dice da lui edificato, vuoi per sottrarsi all'afa di Milano, vuoi per servirsi di un più sicuro rifugio dati gli innumerevoli colpi di scena del quadro politico, che 303 tormentavano la vita dei milanesi di allora. Il padre francescano Seveso ci propone un racconto storico, sfrondato dalle invenzioni fantastiche. "Bisogna rammentare, che l'Arcivescovo di Milano, nel duecento, era ancora ritenuto nel diritto pubblico capo anche dell'ordine politico ed amministrativo. A conservare questa prerogativa sostennero lotte gli Arcivescovi Settala e Rizzoli. Leone da Perego tenne sempre alto ilprestigio della Metropoli lombarda. In certe posizioni oscillanti seppe sopire i partiti e mantenere l'unione. Egli era amato e tenuto in grande considerazione a Milano e fuori. Dagli avversari era temuto perche' teneva fronte ai partiti sovversivi. Egli aveva preservato la chiesa dalle irruzioni eretiche, con i suoi suffraganei, strenuo esecutore delle direttive pontificie, aveva sempre zelato la dignità del suo clero e conservato lo splendore della liturgia ambrosiana. Negli ultimi anni del suo pontificato, Milano sotto il podestà Manfredo Lanza (1233 1256) si mantenne in tranquillità. Fu durante il regime di Emanuele Maggi, succeduto al Lanza, che scoppiarono dissidi fra i nobili ed i popolani, e questi capitanati da Martino della Torre e quelli da Paolo Soresina. Il Perego sedò il furore, commettendo all'Abate di Chiaravalle, al generale degli Umiliati ed ai superiori dei Francescani e dei Domenicani di riconciliare gli animi. Così Milano ritornò in un sol regime nella persona di Enrico Sacco. Però la riconciliazione durò poco. Nell'anno seguente (1257) scoppiò una fortissima rivoluzione che travolse tutti. I popolani sotto il pretesto di voler vendicato il sangue di Guglielmo Salvi, ucciso dal nobile Guglielmo di Landriano, guidati da Martino Della Torre si scagliarono furibondi contro i nobili, non risparmiando neppure l'Arcivescovo e gli ordinari (canonici) cacciodoli dalla città e predando le loro case. (Ragione ciò era il fatto che legalmente un nobile che aveva ucciso un popolano poteva pagare lire sette de Terzoli e dodici denari ed andarsene libero. Questo era il caso di Guglielmo di Landriano che dovendo una grossa somma al popolano Salvi aveva preferito ucciderlo e pagare molto meno ai giudici). Leone da Perego si difese energicamente e da Castel Seprio, ove si era ritirato, coi nobili ed i valvassori respinse i popolani del Della Torre. Indi l'Arcivescovo, ad evitare la lotta cruenta, si rifugiò a Varese, accolto trionfalmente, e di lui con la sua corte si recò a Legnano nel Palazzo episcopale nei pressi della vetusta Chiesa di S. Salvatore. Le città alleate accorsero tosto a salvare la posizione dell'Arcivescovo, e per ammansire i popolazioni si stabilì la tregua, alla quale vennero invitati Francescani e Domenicati. Intanto si rappaccificavano gli animi. Ma l'Arcivescovo affranto dalle fatiche, venne colpito, come scrisse il Corio, da febbre maligna che lo trasse al sepolcro il 14 ottobre 1257. Il Pio Arcivescovo morì in fama di santità pienamente riconciliato coi popolani, ai quali 304 sempre dimostrò la magnanimità del suo animo buono e popolare". Su questa riconciliazione però, pesano molti dubbi in quanto è solo indicata nei documenti francescani (ordine di apparenza del Perego) mentre tutti o quasi tutti gli altri scrittori antichi dicono che era fuggiasco da Milano e inviso a molti. Proprio la morte di Leone da Perego che ci porta per la prima volta il ricordo di S. Ambrogio e alla rocambolesca vicenda di una sepoltura che in esso era indicata. Infatti lo storico Padre Pozzo di Legnano nel 1650 scriveva che facendosi dei lavori di ricostruzione nella antica chiesa di S. Ambrogio "fu trovato il corpo di questo Arcivescovo Leone sotto un volto nel muro poco elevato da terra tutto intiero in un grosso tronco di arbore escavato a modo di culla et scrivendo questo viveano per sorte che attestavano haverlo veduto. Venne ciò a notitia di S. Carlo vivendo qual si trovò una sera in Legnano, et riconosciuto il tutto la mattina immediatamente seguente non si vide nè l'Arcivescovo vivo nè il morto. Correva voce che questo fosse riposto in S. Magno, et l'anno 1638 nel mese di Maggio dovendo venir alla visita l'Emm. mo Monti Cardinale, et Arcivescovo alla visita di Legnano, et sua pieve si fecero riparar alcuni lochi nella medesima chiesa di S. Magno, et si fece diligenza in particolar nel loco ove correva voce esser stato riposto, et non si trovò inditio alcuno, ne sin qui si è potuto saper ove sia stato riposto. Questo Arcivescovo Leone era in grande stima p. a. fosse assunto alla sede Archieple, come anco dopo, ma nata la discordia fra la nobiltà et plebe della città di Milano. Leone adherendo alla nobiltà et con quella vivendo, venne a scemare alquanto il buon nome che havea, et massime venendo con l'arme a Varese, à Castel Seprio. Hanno alcuni detto che male vixit". Dunque se il Pozzo ha ragione la chiesa di S. Ambrogio deve esistere già nel 1263 anno in cui lui asserisce essere morto Leone. Ma altri storici ben più vicini ai fatti occorsi assegnano la data di morte all'anno 1257. Ma allora se la data del Pozzo è errata è forse errato anche il nome della chiesa? Rimane un mistero. Infatti controllando gli elenchi sappiamo che "Oltre a S. Salvatore vi erano certamente altre chiese nel borgo e nei pressi di esso: abbiamo su questo argomento due fonti principali: il Liber notitiae Sanctorum Mediolani - attribuito a Goffredo da Bussero, risalente all'incirca al 1304 e la raccolta - Notitiae cleri Mediolanensis del 1389. Nel primo è indicato oltre alla chiesa di S. Salvatore, la chiesa di S.Agnese, che era situata, come abbiamo già visto all'incirca presso l'attuale Banca di Legnano che fu distrutta all'epoca della costruzione di S. Magno, di essa restava in piedi, nell'800, una parete decorata con un affresco rappresentante la Vergine con alcuni Santi cui era unito uno 305 stemma Vismara: ciò, ha fatto supporre che la chiesa sia diventata un oratorio privato di questa famiglia che andò a stabilirsi presso di essa. Nel predetto elenco compare una chiesa di S. Martino, chiesa campestre che si trova nel punto in cui si congiungono le attuali via S. Martino e Bellingera. La costruzione presente risale però, al secolo XV e deve essere quindi stata eretta sulle rovine di una cappella preesistente. Le altre chiese qui indicate sono ancora quella di S. Maria, probabilmente collegata ad un monastero di Umiliati e quella di S. Nazaro che però era a quell'epoca già scomparsa, come pure la cappelletta di S. Tommaso. Nell'altro documento del 1389 le chiese indicate sono le stesse, fatte eccezione per la chiesa di S. Agnese, che non compare più, essendo forse fuori culto, e per quella di S. Ambrogio, che compare qui, a quanto ci risulta, per la prima volta: vale a dire sarebbe stata costruita nel corso del secolo XIV e non potrebbe perciò, avere accolto il corpo di Leone da Perego morto nel 1257. Il problema della sepoltura dell'Arcivescovo resta quindi tuttora aperto, a meno che non si ammetta una traslazione della Chiesa di S. Salvatore a quella di S. Ambrogio" (Marina Cattaneo - Legnano nel Medioevo - Legnano 1975). Ciò sposterebbe la data di circa un secolo. Nel catalogo beroldiano contemporaneo al Perego si dice che egli fu sepolto in S. Salvatore di Legnano, bandito dal popolo milanese. Lo storico Galvano Fiamma aggiunge che venne seppellito Viliter - senza onori fuori dalla porta della chiesa. Queste considerazioni ci fanno ricordare il ritrovamento di S. Ambrogio, tanto più che a lato sud della chiesa si sono ritrovate, nel 1900 e nel 1935 anche altre tombe di epoca cristiana le quali indicano S. Ambrogio stessa come luogo di inumazione. Che fosse realmente Leone da Perego sepolto nella chiesa maggiore (?) del Borgo di Legnano dal titolo di S. Ambrogio, eletta dallo stesso ancor vivente per suo sepolcro, come ci dice nel 1733 Padre Pietro Nicolò Buonavilla (?). Nulla è certo come certo non è che non errino coloro che indicano il primitivo sepolcro in S. Salvatore spesso citato perchè vicino al Palazzo Arcivescovile ed unica chiesa conosciuta di Legnano e solo successiva la traslazione in S. Ambrogio. In ogni caso è strano che se la traslazione del 1500 era provvisoria, si sia dimenticato il corpo per tanti anni e senza un segno di riconoscimento. L'ipotesi esatta ed attinente a quel Viliter della sepoltura ci porta ad un angolo nascosto di S. Ambrogio e solo a quello rivolto a sud e verso il cimitero esterno dentro un muro grosso e antico. La chiesa nel suo aspetto attuale non ci rivela le sue origini. Quando nacque (1250 o 1350) era solo una piccola aula, forse la cappellina dedicata a S. Tommaso che, come è successo a quasi tutte le chiesine di Legnano, venne poi 306 riedificata mantenendo un altare o un affresco venerato al suo interno (S. Bernardino - Le Grazie - S. Martino - La Madonnina ecc.). Nel caso di S. Ambrogio non vi è più traccia di tale affresco o altare in quanto tutta la chiesa è stata rigirata e rifatta. I primi documenti che ne forniscono una descrizione appartengono agli atti delle visite pastorali dei due grandi Borromeo, San Carlo e Federico. Cito direttamente le ricerche dello storico Mons. Giuseppe Galli. "Nel 1566 Ecclesiae cappellae sanct Ambrosii loci Legnani est valde antiqua et in parte immin ruinam ...sine caelo (soffitto) cum campartili et campana " viene dato ordine: "Fiat caelum saltem ligneum; reficiatur campana: Claudatur de nocte, et imponatur portae et ostio vectes fortes et imponatur onus alicui claudendi illam de nocte et mane reserandi". Dunque, nel 1566, la chiesa era ancora cadente, non aveva nè volta nè soffitto, e neppure una qualche cosa per cui potesse chiudersi di notte. Non era certo stata ricostruita in quel tempo. La chiesa misurava cubiti quattordici di larghezza e cubiti ventiquattro di lunghezza (cubito 0,44 m. = 6,21 x 10,64) e venne chiamata cappella di S. Ambrogio. quasi in stato di abbandono e senza arredi ed ha sulla parte sud un porticato ad archi che viene indicato da chiudere. Se il tetto è in rovina, significa che come chiesa era alquanto disattesa, tal quale capita alle chiesette cimiteriali una volta che il morto non ha più posto nella memoria dei Legnanesi, tanto più che sulla tomba non ci sono lapidi ad indicarlo. Proprio durante detti lavori di chiusura viene scoperta la tomba di Leone da Perego. Cerchiamo di capire quale forma avesse la primitiva chiesina denominata cappella di S. Ambrogio in Legnano. Essa si chiarisce, rileggendo le note delle visite pastorali compiute sotto S. Carlo Borromeo. E' doveroso ricordare come questo Santo, salito alla cattedra arcivescovile in un periodo molto difficile politicamente ed economicamente per la Lombardia, grazie al suo carattere, fosse intransigente verso ogni forma di clientelismo, di corruzione, di malgoverno. Avendo egli trovato anche molto disordine nell'organizzazione della chiesa aveva emanato tutta una serie di prescrizioni riguardanti la dottrina, il culto ed anche gli edifici di culto stessi. Lo strumento principale da lui usato perché queste disposizioni contenute in un suo libro dal titolo De Fabrica Ecclesiae venissero applicate, era costituito dalle visite pastorali frequenti, con ordini perentori, con minacce ai trasgressori con imposizioni di multe o di chiudere al culto le chiese o i conventi dei canonici che non avessero ottemperato ai suoi ordini. Infatti aveva rinnovato anche per S. Ambrogio gli ordini del 1570 aggiungendo " si provvega di una pietra sacra la quale se inserischi nella mensa 307 dell'altare. Si murino gli archi fino alla cima et il spatio resterà dentro d'essi archi si accomodi per sacristia et altri servitii della scola. La chiesa tutta si repari et orni et principalmente la cappella maggiore quando si potrà. Il suolo della cappella si facci uguale al pavimento della chiesa et se li facci la sua bradella condecente. Li scolari della confraternita della pertitenza ai quali havevamo concesso et applicato come ex nunc, li concediamo detta chiesa, osservino le Regole d'essa Confraternita descritte nell'erezione d'essa scuola da noi fatta. Ordeniamo al Curato di Lignano al quale se ritrovano uniti da noi li redditi di questa chiesa venghi a celebrar la Messa quale in virtù della detta unione doveva ogni settimana celebrare in la parrocchiale, e ciò farsi subito dopo che li scolari haverano hornato la chiesa e provisto de paramenti conveniente per la celebratione della Messa. Li suddetti scolari, caso che prete Laurentio de Sabbio capellano della chiesa di S. Maria de Arconate non li paghi li scudi XII d'oro in oro quali fra un mese doppo il giorno della visita doveva pagare conforme alla ordinatione da noi contro de lui fatta, vengano da noi che li provvederemo " I Legnanesi ligi a tante ulteriori prescrizioni diedero immediatamente mano alle opere tanto che nella visitazione del 28 gennaio 1580 si legge: Arch. Cur. Arciv. Sez. X - Vol. VI fasc. 6 (visita pastorale) Legnano 1580 addi 28 Gennaio - Ordinationes nella Chiesa di S. Ambrosio de Disciplinti. L'altare s 'accomodi col telaio e sollevi almeno de una oncia e mezza. Si faccia a una finestrella nelli archi alla forma. La lampada si reporti fuor delli cancelli. Sopra l'altare se vi faccia un baldacchino e questi decente et in essa chiesa nnz si celebri sintanto che sarà accomodato detto baldacchino sopra l'altare". La troppa fretta evidentemente li aveva portati a murare del tutto gli archi senza più lasciare entrare luce nella cappella maggiore. La forma della chiesa evidentemente comincia ad essere più chiara grazie alla descrizione del 1582 (dal latino) . "La chiesa di S. Ambrogio nel predetto borgo di Legnano è stata da poco riparata dagli scolari qui preposti ad usare le dodici monete d'oro provenienti dalla multa imposta dall'arcivescovo illustrissimo al parroco di Arconate. La chiesa ha un unico altare ad occidente, vi sono una pietra sacra, la croce e candelabri, paramenti, il paliotto ed una tabella per l'esposizione dei documenti secondo il rito romano. Nel quadro in cui si vedono la Madonna - S. Ambrogio e S. Agostino, il volto della Madonna è rovinato, la mantovana di cuoio è stata dorata e la predella restaurata alzata di un gradino, e da cancelli di legno è stata circondata. Il quadro è proprio contro la parete che si trova tra il campanile sporgente 308 nell'interno della chiesa e la parete a fianco dell'altare. Vi è pure una finestrella nella quale una volta si conservava il S.S. Sacramento. La chiesa è formata da una sola navata con il soffitto formato da assi, tuttavia essa non fu consacrata con i segni di consacrazione causa le pareti intonacate grossolanamente ed il pavimento che non era ben lastricato. Prima, la chiesa stessa era suddivisa in due navate, ma la navata a Sud da poco tempo separata, si rivela molto più grande di quella laterale come appare anche dalle pareti rustiche sotto gli archi della chiesa che sono stati chiusi ed attraverso i quali si passava da una navata all'altra, tanto più che su questa navata a Sud è stata ricavata nella parte superiore la scuola destinata al coro dei Disciplini, costituito come già scritto come decreto dell'anno 1570. La porta era ad Est, una finestra con una grata di ferro ed una tenda sul lato Nord. Una porta a Sud attraverso la quale si accede alla predetta navata Sud. Nella stessa chiesa sopra la porta maggiore vi è un coro pensile in legno per i disciplini. Ci sono infisse alle pareti due acqua santiere, vi sono le bradelle per le donne. Il campanile a Nord è quadrato e molto alto con una campana, la sua porta è senza serramento. Nei giorni di festa in questa chiesa si insegna con una scuola mariana la Dottrina Cristiana." Seguono quindi le prescrizioni del cardinale. "Nella predetta chiesa di S. Ambrogio si ridipinga la parte della icona dove la Beata Vergine Maria è rovinata. Si chiuda entro otto giorni il piccolo vano nella parete a lato dell'altare. Si intonichino le pareti rustiche e si dia loro una imbiancatura. Vengano immediatamente tolte da questa e dalle altre chiese le "Bradellae mulieribus", fra un giorno pena la sospensione delle celebrazioni fino a che non saranno tolte, nè le si mettano nelle chiese se non comuni e con la forma (prescritta). L'altare ha un palio ed una pianeta di lana (cambellotto) bianca con gli ornamenti delle reliquie. E' stata posta sopra una porta alla apertura del campanile. Che il sacerdote Battista Crespi celebri una volta alla settimana nella chiesa come prescritto da noi nel 1570. Nè ad alcun ordine religioso senza licenza scritta venga permesso di celebrare in detta chiesa". Orbene, se prima le idee circa l'aspetto della chiesa erano confuse ora siamo di fronte ad una notevole quantità di rivelazioni. La più importante tra le quali è fuori da ogni dubbio quella riguardante la definizione Alias praedicta ecclesia erat in duas naves distincta. Una chiesa a due navate! Sicuramente una simile tipologia di edifici è qui da noi sconosciuta, a meno di non risalire alle costruzioni alto medioevali, nelle quali spesso ad un primo impianto di navata unica si univa una seconda navata per ampliamento. In ogni caso dalla descrizione emerge una situazione precisa La chiesa è cadente, un soffitto di assi, aperta su un lato che confina con una specie 309 di porticato ad archi aperto e molto elevato. Sul fianco nord si inserisce un campanile molto alto, anzi troppo alto per una cappellina di soli 6 x 10 mq. La parete sud ancora aperta lascia vedere un dislivello tra il pavimento ed il piano di questa specie di porticato . Questa situazione di abbandono e le incongruenze architettoniche inducono con immediatezza a formulare un'ipotesi (affascinante quanto non dimostrabile, in assenza di una ricerca degli antichi muri e pavimenti sepolti sotto l'edificio che vedremo sarà poi rifatto nel 1590 circa) legata ancora alla storia dell'arcivescovo Leone da Perego. L'insistenza con la quale i documenti dicono che fu sepolto Viliter e fuori dalla porta della chiesa fa escludere come luogo di inumazione S. Salvatore, tanto più che la scoperta del suo corpo in S. Ambrogio fa scalpore anche in antico, quando cioè la memoria collettiva della società era più vigile che non ai giorni nostri. Se leghiamo questi fatti alla strana forma descritta per la chiesa primitiva viene da pensare che S. Ambrogio fosse solo l'inizio di una costruzione più importante, voluta sempre da Leone da Perego, il quale intendendo non idonea la vecchia chiesa di S. Salvatore (che verrà distrutta da altri per il medesimo motivo) pensava di creare a Legnano una sua basilica. Purtroppo la sua morte prematura e le inimicizie che si era attirato fecero molto probabilmente cessare ogni lavoro attorno alla chiesa, e la porzione della stessa ormai eretta venne usata come nascondiglio per il suo corpo. La chiesa era probabilmente sconosciuta ai compilatori degli antichi elenchi ufficiali, semplicemente perché non era stata ancora in gran parte costruita. Ma in Legnano una tacita venerazione esisteva per l'arcivescovo morto: lo dimostrano due cose. In Legnano esisteva una chiesa francescana a titolo S. Angelo. Padre (Burocco) Giuseppe Bernardino de Modoetia, in un manoscritto della Capitolare di Monza, dice che il primo dei sette altari sulla destra dell'ingresso è dedicato a S. Giuseppe, e su di essi si vedono dipinte parecchie immagini di nostri (del suo ordine) beati, e principalmente quella del Beato Leone da Perego arcivescovo di Milano con sotto la scritta che esso giace nella chiesa di S. Ambrogio di Legnano, e l'effige porta i raggi (della santità) attorno al capo. Anche le ricerche dello storico prof. Giuseppe Galli lo confermano. "La stessa pittura che il Burocco descrive con un latino piuttosto alla buona, fu vista anche dal Giulini che ne parla nelle sue Memorie . Egli osservò: <<Sopra un pilastro entrando a mano destra la di lui (Leone da Perego) immagine coi raggi intorno al capo, e col titolo di beato aggiunto al nome, ed anzi, accurato osservatore qual era, nota che il 'B' preposto al nome di Fra Leone, era stato dapprima scassato e ricostruito. Anche l'estensore dei risultati della visita pastorale del card. Pozzobonelli, che 310 avvenne nella seconda metà del secolo XVIII, (1761) vide lo stesso dipinto, e ne parla descrivendo la chiesetta di Sant Ambrogio: "In hoc oratorio S.Ambrosio sacro olim tumulatum fuisse cadaver quondam Leonis de Perego Archiepiscopi Mediolanensis, nec unz communis antiquissima fama est, sed etiam clare comprobatur tum ex vetustissima inscriptione sita sub fenestra capellae sub titulo S. Joseph in Ecclesia fratrum Minorum Observatiae huius oppidi Legnani". Che il dipinto fosse antico, e certo non posteriore alla metà circa del sec. XVI, lo attesta il Giulini, il quale afferma che i caratteri dell'iscrizione erano più antichi di quelli in uso all'epoca di S. Carlo. Come prova della sepoltura in S. Ambrogio, e non nella chiesa del Salvatore, l'estensore del resoconto della visita pastorale citata porta la antiqua fama. Queste parole non sono un semplice accenno e tal fama in Legnano doveva esservi, ne è la prova un brano che tolgo da una minuta della visita eseguita nel 1566, la prima fatta a Legnano per ordine di S. Carlo: "Inter bonza autem quae Legnani sita sunt adest antiqua domus vetusta ac quasi diruta, non procul ab ecclesia, quam incolae Archiepiscopatum vulgo dicunt, asseruntque copertum asse historiis ex antiquis annalibus. Mediolanenses Archiepiscopos ibi certo anzi tempore habitare consuevise, inter quos quondam nominatum Leonem da Perego ibi extremum diem obiisse, ibique sepultum, acilicet in ecclesia parva divi Ambrozii, sed postea translatum ad ecclesiam divi magni". V'era dunque in Legnano, nel sec. XVI , una tradizione che diceva Leone da Perego sepolto non nella chiesa del Salvatore, ma in S. Ambrogio, piccola chiesa, ed oratorio del borgo. E, aggiungiamo subito, questa tradizione aveva avuto la conferma nel fatto indubbio, che in S. Ambrogio ne era stato trovato il cadavere, e di là traslato in S. Magno, ossia nella chiesa che nel primo decennio circa del secolo XVI (1504-1513) era stata ricostruita sull'area dell'antica chiesa del S. Salvatore. Che dire allora della affermazione del catalogo beroldiano, del Papini, del Pizzolpasso, e dell'altro catalogo ambrosiano? Certo concilia ogni cosa una primitiva traslazione da S. Salvatore in S. Ambrogio: l'epoca si potrebbe facilmente precisare; quando cioè fu demolita la chiesa del S. Salvatore prima del 1504. Tale è l'opinione di un moderno cultore di memorie storiche legnanesi. Non vi è però nessun documento storico che parli di questa prima rimozione. Anzi, pochi decenni dopo, come lo prova il brano riferito alla visita pastorale, si ritiene in Legnano che il luogo della prima sepoltura fosse S. Ambrogio e di lì traslato in S.Magno . E' possibile che in così poco tempo si sia perduta la memoria del primitivo luogo di deposizione? Perchè, sia da quanto accenna la visita pastorale 311 del 1566, sia pure ancora, da quanto narra il prevosto Pozzi nel suo manoscritto appare chiaro che a S. Salvatore non si pensi, affatto quando fu scoperto il cadavere di Leone. A parte l'antica venerazione dei francescani legnanesi nonchè la curiosa lotta di S. Carlo Borromeo che certamente per giusti motivi aveva fatto eliminare la "B" di Beato (poi subito rimessa dai frati) per evitare non consone idolatrie, un secondo argomento ci porta a credere S. Ambrogio tomba discreta dell'arcivescovo. A sud della parte della cosiddetta cappella o navata maggiore i Legnanesi cristiani si facevano seppellire vicino all'arcivescovo. Si può tentare seguendo le descrizioni fin qui riportate di ricostruire la vecchia chiesa. Vediamo anzitutto in pianta dove doveva trovarsi prima della trasformazione del 1590. Il campanile ed il muro ad esso addossato, nonchè il fondo su cui era impostato l'altare, ricalcano le linee della costruzione attuale. Invece è sparita la parte di chiesa costituente la seconda navata più grande ancora, nel 1566 aperta a mo' di portico. Prende forma la possibile impostazione della chiesa a navata centrale con transetto, iniziata soltanto per ordine di Leone e non eseguita, all'infuori dell'imposta centrale e di un solo lato del transetto, nel quale si viene a ricreare uno spazio d'emergenza per sfruttare la zona più chiusa e coperta dal tetto. Di questa ipotesi può essere buon testimone il campanile che, mai toccato, dimostra con le sue dimensioni ragguardevoli di essere parte di un progetto ben più ambizioso che non una semplice cappellina. La seconda ipotesi circa la nascita di un simile organismo a due navate, potrebbe essere quella di un ingrandimento (magari a scopo celebrativo) di una primitiva cappellina, cui aggiungendosi un porticato, si sarebbe dato l'aspetto di un mausoleo per Leone da Perego, rivolto verso il cimitero cristiano, (in questo caso però, stona la presenza del campanile alto e non tornano i conti circa lo stato di non finizione dell'opera. Grandi archi aperti, pavimenti non eseguiti, chiesa senza porte, passaggio diretto dalla "chiesina" al porticato?). Come già accennato è molto più probabile invece il fatto che i Legnanesi accingentisi a costruire una chiesa più grande nei borgo, visto morire il patrocinatore per di più in disgrazia col popolo di Milano, abbiano usato l'erigenda costruzione come luogo di inumazione frettolosa e nascosta per il loro arcivescovo. Infatti è proprio demolendo l'antico porticato da poco chiuso ed il suo muro confinante con l'antica cappella che fu scoperto il feretro di Leone certamente non da poco traslato perchè nessuno se ne ricorda (almeno ufficialmente), nè sepolto con onore, perchè giaceva in un tronco scavato in fretta e non in un'urna degna di un arcivescovo, e senza alcun segno 312 esterno. Sono con lui solo le preghiere dei Legnanesi nobili e dei francescani che addirittura lo beatificarono. Nel seguente decennio viene invece radicalmente trasformata la chiesa. Infatti le innumeri imposizioni di modifiche ed aggiunte ordinate da S. Carlo prima e poi da Federico Borromeo , fanno si che i Legnanesi armati di buona volontà, dopo la visita del 1587, pongono mano ad un rifacimento totale dell'edificio per ovviare ai problemi di spazio, diversamente non risolvibili con il primitivo. Si giunse così in Legnano, alla fine del 1587, alla decisione di abbattere quasi dalle fondamenta la chiesina (tranne il campanile, già alto) per edificarne una con una grande navata e dotata sul lato sud - ovest di sagrestia e locali per i Disciplini. Questo atteggiamento non era nuovo per i Legnanesi allora di indole particolarmente alacre. La chiesina vecchia non aveva il soffitto in muratura; negli antichi muri le moderne volte a botte con lunette interposte non potevano essere inserite. Inoltre l'antica chiesina già girata e rigirata non aveva una dimensione ed un decoro adatti sia alla scuola dei Disciplini che al censo dei lasciti agli altari. Vennero quindi abbattuto tutto il vecchio corpo di fabbrica tranne il campanile ed i due muri laterali dell'altare. L'antichità di questi ci viene assicurata da due testimonianze storiche, l'una è quella della presenza sulla destra, a fianco del campanile della finestrella in cui venivano riposte le specie e che con S. Carlo dovette essere chiusa. Sotto l'intonaco ancora oggi suona il vuoto della nicchia; l'altra è la presenza delle porte inferiori e degli accessi al coro superiore che ci vengono descritti in antico presenti tra le due navate della chiesa e che tuttora occupano la parte sinistra delle antiche mura che racchiudevano l'altare medioevale. Per il resto la chiesa venne totalmente rinnovata ed i capomastri crearono come prosecuzione della cappellina più antica una nuova navata rettangolare (insegna la chiesa del Gesil a Roma) di circa m. 15 x 9, suddivisa in tre campate. Ogni campata venne voltata con una crociera e l'antica cappella iniziale fu coperta con una volta a botte. Nelle lunette sotto le volte a crociera furono ricavate delle finestre rettangolari e alcune di queste vennero ripetute anche nella parte inferiore per aumentare la luminosità dell'ambiente. Nella nuova facciata venne creato un porticato con due pilastri lesenati esterni e due colonne in granito di baveno rosa interne, portanti una serie di tre volte a crociera molto leggere. Lo spazio della chiesa sopra le volte dell'ingresso venne sistemato come nuovo coro dei Disciplini e con dimensioni di gran lunga maggiori rispetto a quell'antico sopra la porta. La chiesina ancora svolgeva infatti essenzialmente la funzione di oratorio dei Disciplini e un ruolo di 313 preminenza doveva essere dedicato alla musica sacra. Nel corso del XVII secolo la chiesa era stata dotata anche di un organo che venne più tardi venduto per difficoltà economiche e poi ricomprato su istanza dei cittadini. La nuova volta aveva regalato ai Legnanesi una sonorità più gradevole ed intensa durante i concerti. L'antico costume di cantare le preci sotto il porticato aperto lasciatoci da Leone da Perego, aveva preso vigore e conoscenza dei nuovi canoni estetici musicali. La Legnano secentesca in questa chiesa, più che in S. Magno ove l'antico organo degli Antegnati non era più all'altezza della nuove estensioni vocali in uso (il canto antico era più basso e greve come tonalità), soleva celebrare e ripetere i nuovi estetismi culturali del canto e della musica sacra. Lo spazio tuttavia non era ancora consono a servire il gran numero degli scolari e dei Disciplini . Dalla descrizione delle visite emerge che, morto S.Carlo Borromeo, dopo Gaspare Visconti, il subentrante Federico Borromeo arcivescovo di Milano dispone anche l'edificazione del corpo di fabbrica posto a fianco del campanile sul lato nord, dal quale, mediante una scala coclideia, si accede ad un ballatoio ed alla balconata interna del coro e dell'organo. Nella prima metà del 1600 la chiesa viene affrescata dai pittori Lampugnani di Legnano. Il fatto che siano nostri conterranei ha forse indotto i Legnanesi a dimenticare questa famiglia di pittori, i quali, oltre alle molteplici opere locali, hanno affrescato chiese importantissime come ad esempio il Santuario del Sacro Monte di Varese con due cappelle, e che hanno sempre superato in bravura pittorica i più nominati fiamminghi di Milano. Alla loro arte si devono opere raffinate tra le quali la pala d'altare del convento di S. Maria in Canonica a Milano, e conservata tra i capolavori del Louvre. Delle pitture dei Lampugnani rimangono il grande affresco sulla sinistra (m. 4 x 2) che rappresenta S. Ambrogio a cavallo ricevuto dai dignitari di Milano dopo la sua acclamazione a vescovo. Il dipinto è di grande respiro e molto bello, per il movimento dei personaggi e per l'inserzione di piccoli particolari di paesaggio che rappresentano la Milano antica. Anche le lunette sotto le volte sono tutte dei Lampugnani e rappresentano otto profeti in larghi panneggi, la data 1613 vicino alla firma dei pittori è stata ritoccata, dovrebbe essere infatti 1618. I Lampugnani Francesco e Giovanni avevano eseguito ad affresco anche la volta della chiesa, ma di questa si vedono solo bellissimi puttini ora attorniati dalle decorazioni neo-barocche fatte dal pittore Furrer nel 1900. Costui aveva anche ripreso a tempera i quadri centrali ad affresco delle volte, per uniformarli con quelli della nuova parte di chiesa che vedremo aggiungere più tardi. Sui due piloni frontali della cappella dell'altare 314 maggiore sono visibili un S. Blasio ed un'altro Santo poggianti su due basamenti. L'umidità ha fatto sfiorire la figura di destra e si nota che essa è stata ridipinta su una più antica dedicata a S. Ilario. Probabilmente questa è dei Lampugnani e può essere recuperata togliendo le alterazioni del 1900. Sempre dei pittori Lampugnani: il quadro ad olio con la Madonna ed i santi Carlo, Francesco e Magno che, una volta spostato l'altare, venne collocato sulla nuova parete di fondo ove si trova tuttora. Infatti la chiesa, nel 1740, risultava ancora una volta troppo angusta per il carico di lavoro che la scuola dei Disciplini doveva svolgere. Si decise quindi di ampliarla ancora una volta, demolendo l'antichissima parete dell'altare risalente al 1257 ed allungando tutta la fabbrica sia nella parte della navata che dalla parte dell'antica sacrestia. La pala dei Lampugnani venne spostata come si diceva verso il fondo e circondata da una bella cornice ad affresco di mano di un Bellotti di Busto Arsizio (da notare che le famiglie artistiche dei pittori Lampugnani Bellotti e Crespi rappresentano assieme a quella dei Turri a loro volta eredi dei Bellotti, le origini artistiche e la continuazione storica di una tradizione lombarda di pittura sacra che nasce dal 1400 e termina ai giorni nostri). Il grande valore in lunghezza della chiesa era apparentemente sproporzionato in quanto l'ala nuova di fondo si apriva su una vasta sala laterale che serviva per i raduni dei membri delle consorterie e ultimamente, attorno al 1948 alla catechesi dei bambini per la Comunione e la Cresima. La parete di fondo verso cui si trova l'altare è decorata con una pregevole prospettiva settecentesca che aumenta la profondità dello scenario. Appese alle pareti vi erano numerose tele settecentesche alcune delle quali sono ora presso il Collegio dei Capitani unitamente a panche, crocifissi ed i cosiddetti "cilostri" delle processioni. Attorno al 1957 infatti la parte sud - ovest della scuola è stata murata fino agli archi per ricavarne locali a disposizione dei Capitani del Palio di Legnano e questo fatto ha portato alla dispersione di alcune opere d'arte in Legnano, peraltro recuperabilissime in quanto tenute in debita custodia. Con questa modifica la chiesa ha in parte perduta la sua sonorità musicale interna che, con la sistemazione del nuovo organo dei legnanesi Carrera nel 1886 sul palco del coro dei Disciplini aveva assunto forma e livelli artistici elevatissimi. "per la chiesa di S. Ambrogio, il De Simonti Carrera costruì un organo 'ex novo' nel 1886. Troviamo infatti, fra le Deliberazioni della Fabbriceria Parrocchiale di Legnano in data 12 ottobre 1886: Il primo fabbriciere dà comunicazione del Collaudo del nuovo Organo della chiesa di S. Ambrogio, costruito dal fabbricatore Sig. Antonio de Simoni 315 Carrera, dando lettura del voto emesso il 22 agosto 1886 dell'Egregio Sig. Prof. Carlo Fumagalli di Milano ... E il Fumagalli non solo stese l'atto di collaudo, ma inaugurò l'organo il 22 agosto 188d. Dall'epoca della sua costruzione sino ad oggi l'organo non essendo mai stato alterato o minimamente toccato, neppure per semplici operazioni di ripulitura e accordatura, rimane uno strumento di grande interesse perche' conserva intatta la sua originaria fisionomia". (Stella e Vinay - I Carrera - Legnano, 1973). Questo organo è ancora intatto, però purtroppo non gode di manutenzione da quasi trenta anni, il che ne garantisce senz'altro l'antica struttura strumentale ed i timbri, ma non la longevità. L'allungamento settecentesco aveva ripetuto la forma della navata del 1600, senza nulla variare. Solo le finestre erano state un poco modificate sulla destra, mentre sulla sinistra verso lo spazio della "scola" erano stati fatti degli archi su colonne. L'altare un poco avanzato rispetto alla parete di fondo permetteva la presenza di un grandioso coro ligneo cui si affiancavano sulla sinistra le panche dei Disciplini. L'antica chiesina poverissima era ora diventata grande, adorna e ricca di stoffe e argenti. La Legnano del XVIII - XIX secolo la frequentava sia per l'istruzione sia perchè era centrale per la città. Nel 1923 monsignor Gilardelli la dotò di un salone cinematografico intitolato Teatro Pio XI che andò a completare l'attrezzatura dell'oratorio e del Centro giovanile. Le volte del 1700 vengono affrescate e si copre in parte anche la decorazione dei Lampugnani. Pian piano altre iniziative sia della chiesa sia pubbliche portano questa antica scuola al disuso o all'oblio odierno. Con l'insediamento di monsignor Giuseppe Cantil alla basilica di S. Magno si sono provveduti a lavori di risanamento del pavimento mediante copertura di quello antico con uno strato di marmo saccaroide. Il risultato ha nascosto le ondulazioni e le lapidi tombali, ma non ha rimediato all'umidità della chiesa. Altri interventi più drastici sono necessari per ridare alla città questo antico centro di vita e cultura. 316 La basilica di San Magno Fra tutti i monumenti legnanesi quello che maggiormente ci viene invidiato per la sua maturità artistica è sicuramente la Basilica di S. Magno. Quando nel 1504 iniziarono i lavori sotto il patrocinio delle famiglie Lampugnani e Vismara i Legnanesi si erano appena disfatti della chiesa protoromanica di S. Salvatore, che era sia strutturalmente che culturalmente non recuperabile, nè sufficientemente dignitosa per un borgo benestante come il nostro. Il Rinascimento aveva riportato in architettura al loro pieno splendore i fasti compositivi e strutturali dell'epoca imperiale romana. Vi aveva aggiunto tuttavia una miglior conoscenza dei materiali costrutti, vi che aveva permesso di snellire le strutture murarie, ma soprattutto la cultura di questo secolo si esprimeva con forme leggere, dimostrando un notevole equilibrio interiore. Tutto è misurato, ed in ogni particolare d'opera d'arte si coglie il gusto e la maestria del suo creatore. Verso la fine del 1400 un grande ingegno tormentato, Leonardo da Vinci, obbedendo ad una sua esigenza interiore, cercò, nelle sue opere di esprimere l'anima ed il movimento delle cose. In questa ricerca egli sarà maestro; allievi ed esteti del tempo apprenderanno più tardi questo insegnamento. Era divenuto imperativo nel Cinquecento per ogni artista dare vita autonoma alle proprie creazioni, fornirle cioè di anima. Orbene, Donato Bramante universalmente indicato come padre inventore della nostra basilica, non poteva sottrarsi a questa lezione di spiritualità trasmessa dal più giovane Leonardo. Il mezzo ch'egli più usò per trasfondere vita e movimento nelle forme architettoniche fu l'impostazione piantistica delle chiese, con schema visuale centrale. Mentre in antico si era sempre ricalcata la forma basilicale (anche in S. Salvatore) con una prospettica interna monodirezionale verso l'altare, nelle nuove chiese a pianta centrale bramantesche i fedeli si trovano immersi in uno spazio che da ogni lato riserva scorci, visuali, giochi architettonici sempre diversi con simmetrie mirabili. La chiesa a pianta centrale invita a ruotare lo sguardo e, durante le varie ore del giorno, dalle sue finestre entrano raggi di sole che mutano sempre i giochi di luce sulle superfici delle volte e degli archi. Anche sull'esterno l'edificio si anima. Mentre nelle basiliche troviamo una facciata principale e poi tanti scorci minori come importanza (una delle rarissime eccezioni a 317 questa regola è il Duomo di Pisa, fruibile in tutto il suo intorno), le chiese bramantesche sono volumi da osservare in tutto il loro insieme, formano paesaggio urbano da ogni angolo prospettico, non hanno una facciata vera e propria con angoli e lati minori, ma vengono impostate come volumi in cui simmetrie magistrali si ripetono a 360 gradi. L'attribuzione della paternità del nostro tempio a Donato Bramante di Asdrualdo (Urbino) nasce da due fattori. Il primo è rappresentato dalla Storia delle chiese di Legnano (1650) del prevosto di S. Magno Agostino Pozzo, che nel descrivere la nascita della basilica dice: Questa fabbrica è dissegno per quello si tiene di Bramante architetto de' più famosi habbi hauto la cristianità, è questa fabrica molto riguardevole a cionque la mira attesa la bella proprotione ella è in ottavo, et quadrata, e di presente con sette altari, in tal modo disposti che uno non è d'alcun impedimento all'altro. E' fatta in volto con le nize sotto per porvi le statue, havea altre volte infaccia una sol porta sopra la quale si legò qui versi postivi l'anno 1518 d'Alberto Bosso qual viveva in quei tempi facendo schola di grammatica in Legnano ove anche morto fu sepolto. ... Il distico già ricordato all'inizio del libro avverte il viandante che Legnano è ricca, colta e nobile. Nel libro La Basilica di S. Magno a Legnano da me scritto con l'aiuto di Mosè Turri Junior, nel 1974, con molteplici argomentazioni e documenti riportati, si chiarisce come il Bramante non fosse più a Milano all'epoca in cui la Legnano rinascimentale si accingeva ad edificare il suo capolavoro. Tuttavia è credibile che, come letteralmente dicono le parole del Pozzo, egli lasciò il disegno della chiesa. Il secondo fattore che rende credibile l'attribuzione antica, nasce molto semplicemente dalla lettura critica della composizione architettonica della chiesa. Come abbiamo prima accennato è dopo Leonardo da Vinci, il quale fa scuola in Milano, che nascono il gusto e l'invenzione piantistica osservate in Legnano. Anche il Pozzo, che architetto non è, subito individua il quadrato e l'ottagono legati mirabilmente, stupisce e gioisce del fatto che da ogni lato si possono vedere gli altari senza che si disturbino. Tutto l'impianto architettonico è un inno alla simmetria tesa a far volgere lo sguardo in un continuo di prospettive visive sempre nuove pur restando l'osservatore sempre nel medesimo punto dell'edificio. Una tale "invenzione" di spazio è sconosciuta nel 1400, e fino all'inizio del 1500 non sarebbe stata prodotta dalla cultura lombarda. Bramante agisce intorno al 1492 in Milano, a fianco di Leonardo da Vinci e, mentre si occupa della chiesa di Santa Maria delle Grazie, inizia il suo discorso culturale dirompente nei confronti delle piante basilicali allungate. Egli combina una croce greca maggiore con croci greche minori negli angoli 318 ideando un sistema di tre gradi architettonici, identico a quello disegnato in S. Magno, ognuno dei quali è subordinato a quello superiore (cappelle angolari, cappelle principali più grandi, tamburo ottagonale e cupola fuse sopra i grandi piloni che separano le cappelle o i timpani). Nella nostra chiesa tuttavia la forma è ancora più essenziale e le proporzioni raggiungono una raffinatezza estrema. E sembra piovuta dal cielo in Legnano, ed è evidentemente ideata da una mente colta e geniale che già pensa alle scelte architettoniche per il nuovo San Pietro in Roma. Non può essere il prodotto di una cultura locale, esce dalla tradizione di Milano o Legnano con una tal violenza inventiva che risulta impossibile pensare ad altri autori se non al Bramante. Esempi simili, ma più tardi, si trovano in Lodi, Saronno, Pavia, Crema. A Busto Arsizio la notizia dell'edificio fa subito tanto scalpore che immediatamente la copiano in scala minore edificando S. Maria di piazza. Queste chiese, tutte a pianta centrale, non sono fatte da Bramante, bensì da suoi seguaci, ed infatti pur essendo molto belle, mancano della essenzialità, pulizia ed armonia presenti invece con mirabile equilibrio nel S. Magno di Legnano. Non dimentichiamo che i legnanesi iniziarono nel 1495 a programmare l'eliminazione del S. Salvatore e quindi la vera data in cui S. Magno fu pensata è di ben nove anni precedente a quel 4 maggio 1504 in cui fu posta la prima pietra. A realizzare la chiesa provvide un capomastro affiancato dal nostro maggiore artista di quel tempo, legnanese per adozione (abitava in Milano), il giovane pittore Gian Giacomo Lampugnani. Lontano parente dei Lampugnani di Legnanello e dei proprietari del Castello, Gian Giacomo era l'artefice più adatto per esperienza e sensibilità artistica che potesse assumere il delicato compito di trasporre in muri i disegni e le indicazioni del Bramante. Questi preziosi progetti sono però oggi scomparsi e, con ogni probabilità, furono due le occasioni in cui vennero dispersi. La prima nel dicembre del 1511 quando venne saccheggiata Legnano e furono bruciati dei ponteggi anche nella chiesa ad opera di truppe svizzere in guerra con i francesi per la cacciata di Ludovico di Valois dal Ducato Milanese. La seconda nel 1610 quando dovendosi rigirare gli ingressi, l'ingegnere camerale F. M. Richini venne a Legnano per studiare il tempio cui doveva edificare una nuova facciata. L'edificio venne comunque iniziato con grande lena nel 1504 e terminato, nelle strutture murarie, il 6 giugno 1513. Subito si provvide a dotarlo di decorazioni interne che lo facessero eccellere tra le costruzioni coeve. Per quanto invece riguarda l'esterno i Legnanesi si arrestarono con i lavori nel 1513. Forse mancavano soldi (ricordiamo che il borgo di allora era di 319 poco inferiore alle 2000 anime), forse mancarono le idee decorative, oppure attendevano lumi estetici da Bramante, ma questi lumi non arrivarono mai poiché il grande architetto si era spento a Roma, nel 1514. E' noto che di norma i grandi artisti volevano eseguire personalmente le decorazioni ed i motivi architettonici esterni delle loro creazioni. Era infatti necessaria una stretta collaborazione tra l'artista e gli esecutori per poter rifinire un monumento, inoltre la gelosia professionale degli architetti del tempo faceva si che nessuno di loro anticipasse con disegni di cantiere l'estetica esterna dell'edificio che, sia per i tempi lunghi di costruzione, sia per le incertezze economiche di finanziamento, era molto poco prevedibile come date di finizione. L'esterno della basilica rimase perciò, per molti anni rustico in mattoni. Anche gli interventi del Richini non furono che marginali e a distanza di ben cento anni dalla posa della prima pietra. Era intervenuto a frenare la costruzione anche un fatto socio economico. La primitiva spinta culturale, sostenuta da forti donazioni, proveniva dalle casate nobili che risiedevano a Legnano solo temporaneamente, ma appartenevano per censo e potere politico agli ambienti di governo in Milano. Con l'avvento delle dominazioni francese, spagnola e per ultima austriaca, queste caste nobiliari persero sia parte dei loro privilegi sia l'abitudine di usufruire delle loro proprietà in Legnano come sedi di soggiorno estivo. Legnano quindi subì un grave depauperamento dovuto all'avvenuto scollamento tra questi poteri nobiliari milanesi e la gestione delle loro proprietà di provincia. Anche la progressiva scomparsa degli ordini monastici qui presenti coi loro conventi portò all'allontanamento del potere arcivescovile dal borgo. La basilica rimase quindi orfana del suo aspetto esterno. Al contrario si può affermare che nel suo interno è di una ricchezza e splendore difficilmente eguagliabili . La prima e più importante opera pittorica venne eseguita dal maestro Gian Giacomo Lampugnani, nel 1515, che eseguì una affrescatura della volta ottagona con candelabre a grottesca di notevole forza ed eleganza. Ricavate con tinte bianche e grigie in chiaroscuro su un fondo blu lapislazzolo, le decorazioni sono di una scenograficità e compostezza raramente uguagliate. Lo storico Muntz rimasto estasiato da questo capolavoro, lo definì nei suoi scritti di critica artistica "la più bella grottesca di Lombardia". Essa si inquadra perfettamente nel concetto di centralità di pianta, espresso dall'edificio. Non ha infatti una direzionalità del disegno, ma ripete specularmente la scansione di spicchi uguali delle tarsie marmoree del pavimento e invita a ruotare lo sguardo con movimento circolatorio che 320 man mano sale come in una spirale che termina sotto la lanterna posta al culmine della cupola. I motivi ad animali e piante rispettano anche il notevole slancio della struttura muraria. Essa è costruita in mattoni forti come tutto il resto della chiesa, eccezion fatta per il campanile antico. Come già detto la parte di fondazioni absidali ed il campanile romanico del S. Salvatore, furono riutilizzate nel 1504. Anzi il campanile stesso fu abilmente sfruttato facendogli fungere la cappella minore nel lato destro della parete sud. La cappella di S. Maria e S. Giuseppe che vicino a lui si ritrovava fu rispettata nella sua forma e dedica. Questa in seguito accolse nel 1640 l'organo Antegnati quando venne chiuso il portone rivolto verso l'attuale municipio. L'organo stesso accresciuto dai Carrera e poi dai Maroni trovò posto nel nuovo ampliamento della facciata operato nel 1914 dall'architetto Perrone. Per meglio cogliere le numerose modifiche subite in quasi 500 anni di storia, riporto alcuni dati cronologici : 4 maggio 1504 - Inizio della fabbrica. Note del tesoriere Alessandro Lampugnani Sutermeister - Memorie 4 - 5. 10 aprile 1510 - Gettata una campana di 50 rubbi. 24 maggio 1510 - Gettata una campana di 80 rubbi. Note del tesoriere Alessandro Lampugnani. Storia de "Le chiese di Legnano" di P. Pozzo. 1O dicembre 1511 - Incendio e saccheggio di Legnano ad opera degli Svizzeri in guerra con i Francesi per la cacciata di Ludovico di Valois dal Ducato Milanese. Note del tesoriere Alessandro Lampugnani. 6 giugno 1513 - Compimento della fabbrica. Note del tesoriere Alessandro Lampugnani. Storia de "Legnano" di P. Pozzo. Distico del maestro Alberto Bosso, ora sopra la porta detta del Prevosto, aperta sotto il vecchio campanile verso la casa canonicale. 15 dicembre 1529 - Francesco Landino, vescovo di Laudicea e suffraganeo dell'arcivescovo di Milano, consacra la chiesa. 1542 - Restauro e sopralzo del vecchio campanile. 7 agosto 1584 - Traslazione della Prepositura. 1610 - Trasferimento della facciata da nord a ponente, apertura delle porte laterali del nuovo prospetto e chiusura delle vecchie porte verso nord e sud. Archivio di S. Magno. 2 luglio 1611 - Rafforzamento del campanile romanico e aggiunta di due nuove campane più pesanti. 321 20 agosto 1611 - Il cardinale Federico Borromeo consacra le nuove campane. 1638 - Restauro della torre campanaria. 2 dicembre 1752 - Costruzione del nuovo campanile. Archivio di S. Magno. 1840 - Apertura della porta centrale in facciata, primi restauri sotto la direzione dell'ing. Turconi. Rafforzamento della cupola e demolizione dell'abitazione del sacrestano prospiciente il palazzo municipale. 12 novembre 1850 - Relazione della commissione per i restauri composta dai pittori F. Hayez, Antonio De Antoni e dallo scultore Giovanni Servi, insegnanti a Brera, fatta all'I.R.G.A. (Imperial Regio Governo Austriaco) su proposta del reverendo prevosto Ponzoni. 1888 - Progetto di restauro dell'architetto sacerdote Locatelli parroco di Vergiate, non approvato dalla Conservazione dei monumenti per la Lombardia. Presentatore monsignor Domenico Gianni, predecessore di monsignor E. Gilardelli. 1909 - Costruzione della nuova sacrestia. 20 luglio 1910 - Danni alla chiesa ad opera del ciclone. 1911-1914 - Inizio dei lavori diretti dall'architetto Luigi Perrone Sovraintendente alla conservazione monumenti per la Lombardia. Restauro dei tetti e chiusura delle murature sottotetto. Distruzione delle aggiunte barocche. Rifacimento degli intonaci. Prolungamento dell'atrio della chiesa. Progettazione e rifacimento della facciata e applicazione dei timpani alle porte di ingresso. Il pittore Albertazzi progetta ed esegue i graffiti in facciata. 1963-1964 - Sotto la direzione dell'architetto Pietro Scurati Manzoni espressamente delegato dall'ing. Luigi Crema, Sovraintendente alla conservazione dei monumenti in Lombardia: rifacimento dei tetti ed esecuzione di un secondo tetto sopra l'altare maggiore. Rifacimento degli intonaci e dei vecchi graffiti in facciata, pittore Giannino Colombo. Restauro dei resti del campanile romanico. Ottobre 1967 - Demolizione della vecchia casa canonicale costruita nel 1500 e successivamente ampliata due volte; nel 1600 e nel 1700. Inizio della costruzione del nuovo centro parrocchiale. Architetti Enrico Castiglioni e Ezio Ceruti. Impresa Silvio Saredi. 1972 - Inaugurazione del centro parrocchiale da parte dell'arcivescovo cardinale Giovanni Colombo. Volendo descrivere l'interno della basilica con completezza non basterebbero poche pagine, infatti la chiesa si è nel corso degli anni arricchita in ogni suo angolo di tali e tante opere d'arte, che si è veramente imbarazzati nel doverne tralasciare all'esame qualcuna . Seguendo un criterio cronologico possiamo però, almeno iniziare l'esame di 322 questi piccoli e grandi capolavori . Si è già detto che, immediatamente dopo aver terminato la struttura muraria, un maestro Gian Giacomo (Lampugnani, stando alla tradizione), nel 1514, dipinse la cupola ed il tamburo fino alle cornici. L'anno successivo la famiglia Lampugnani commissionò, le affrescature della cappella di S. Agnese, che si trova alla sinistra di chi entra. Il soffitto richiama con alcune grottesche la decorazione della cupola della basilica in chiaroscuro su fondo azzurro. Sui lati due grandi scene riguardano la Madonna con i Santi. Sul terzo lato di sinistra, ove in un tempo successivo si ricavò, una finestra rettangolare, era posto un quadro di Giovanni Battista Lampugnani con una deposizione ora portata nella cappella del battistero. Gli affreschi sono quasi sicuramente dello stesso maestro Giacomo, autore della cupola. Nella zoccolatura inferiore trovano posto parte degli stalli lignei, tolti nel 1967 dal coro della cappella maggiore, ove coprivano alcuni affreschi. A parte la pala del Giampietrino di cui abbiamo già parlato a proposito della tradizione che la vorrebbe presente intorno al 1490 nella chiesa del S. Salvatore poi abbattuta, e gli affreschi del Gian Giacomo, i lavori nella chiesa si arrestarono per alcuni anni (1516-1523). In questo tempo imperversava la peste in Milano ed il pittore Bernardino Luini, che aveva preso in affitto dai signori Prandoni una casa a Legnano, fu incaricato con atto rogato dal notaio Isolano della Corte Arcivescovile, di dipingere un polittico di notevoli dimensioni (metri 3 x 5). L'opera è stupenda e, tra tutte quelle cui diede vita l'artista, a detta dei critici, la migliore. Il Luini crea, servendosi del telaio in legno intagliato come di un castello architettonico, una sorta di scenografia, in cui ripete il motivo delle cornici vere nello sfondo del dipinto. In questo scenario quasi a rilievo egli inserisce le figure dei santi Pietro e Battista - Magno e Ambrogio, sui lati. Al centro imposta, in una tavola di eccezionale grandezza, una Madonna con bambino attorniata da angioletti musicanti. Sopra, in un timpano, si staglia la figura del padre eterno. Lo zoccolo riporta alcune piccole scene dipinte a chiaroscuro con la passione di Gesù Cristo. Tutto il polittico era inserito in una grande cornice con due ante che lo proteggevano e venivano aperte durante le funzioni festive. Queste ante pure dipinte dal Luini purtroppo, nel corso dei secoli, furono dapprima smontate e poi disperse. 323 Questo capolavoro nel suo scrigno non è più completo; restano però due angeli dipinti sullo sfondo del contenitore sopra il Padreterno. La cappella maggiore aveva subito un ampliamento dopo l'incendio del 1511, le sue pareti erano state solo intonacate, ornate con decorazioni semplicemente graffiate con motivi a tondi e cerchi. Su questo sfondo la pala del Luino doveva sembrare accolta in maniera non degna. Nel 1562 venne quindi incaricato un allievo del grande Gaudenzio Ferrari, Bernardino Lanino affinchè dipingesse la volta e le pareti della cappella maggiore. Usando come punto focale delle sue rappresentazioni la pala del Luini (con l'altare accostato alla parete di fondo, e poi spostato nel 1587), il Lanino affrescò una sequenza di otto grandi scene, più due piccole sopra le finestre. Ai lati del polittico pose un S. Rocco ed un S. Sebastiano grandiosi nel disegno e delicatissimi negli incarnati. Sui piloni dell'arco trionfale infine raffigurò il Salvatore - Gesù Cristo e S. Magno ricordando cosi la dedica della Basilica. Nelle lunette sopra il cornicione della cappella oltre ai classici quattro evangelisti, mise i dottori della Chiesa: Gregorio e Agostino a destra Ambrogio e Girolamo sulla sinistra. Infine si dedicò al soffitto con volta a crociera, tenendo chiaro il colore per contrastarlo col blu e grigio della cupola e decorandolo con quattro tondi a puttini su sfondo giallo oro ed una serie di piccole decorazioni a festoni, figurine che ricordano molto il gusto quattrocentesco lombardo. Anche l'arco trionfale non fu tralasciato, ma ornato con angioli in volo e cornici geometriche decorate con frutti. Il Lanino non tralasciò il risvolto della decorazione della cappella verso l'ottagono e lo risolse con due candelabre di frutta e ortaggi che raggiungono il cornicione. Nello spazio tra l'arco ed i piloni della chiesa pose due tondi sorretti da angeli con le teste di due profeti. All'epoca in cui terminò questo capolavoro (1564) la decorazione dei piloni della chiesa era tutta eseguita con fasce grigie. Nel 1923 il motivo dei tondi con i profeti fu ripreso dal pittore Gersam Turri e completato su tutto il perimetro. Anche i pilastri e le voltine dei pennacchi furono decorati con gusto attinente alla grottesca della volta e diedero alla chiesa uno splendore ed una completezza raramente eguagliabili. Nel 1967 queste decorazioni furono rifatte ad affresco seguendo i cartoni originali dal figlio di Gersam tutti, Mosè Turri Junior, che nell'occasione esegui anche un accuratissimo e lungo restauro degli affreschi del Lanino. Questi a causa dell'umidità del tetto, presentavano distacchi e sfioriture degli intonaci molto preoccupanti. 324 Posta a destra vicino all'ingresso, questa cappellina venne dipinta nel 1556 da uno dei figli del Luini. La tradizione dice grossolanamente Aurelio Luini, in quanto costui era più conosciuto, ma sia le date che l'esecuzione degli affreschi portano al nome di Evangelista Luini. Egli dipinse la scena con il martirio di San Pietro inquisitore attorniato da belle figure di Santi sui lati della cappella; sulla volta, alcuni angeli ed un Padreterno. Nel 1576-77 a causa della peste vennero ricoperti con la calce tutti gli affreschi della chiesa, eccetto le scene del Lanino. Questo scialbo impedì che nel 1610 i muratori che aprivano un nuovo passaggio nel campanile romanico, si accorgessero di essere intenti a distruggere l'affresco del S. Pietro martire. Anche il trasporto nella cappellina dell'organo Antegnati contribuì alla distruzione dei dipinti. Nel 1830 quando venne spostato una seconda volta I'organo, si poterono notare le tracce di questi affreschi. Asportato lo scialbo, fu rifatta la scena centrale con San Pietro pittore Beniamino Turri. Dopo quasi un secolo riapparvero anche le figure laterali e gli angeli della volta. Il pittore Gersam Turri rifece nel 1900 la figura del Padreterno, mentre, nel 1967, Mosè Turri Junior, restaurando tutto l'insieme, mise allo scoperto anche le due figure più in basso ai lati, che erano state per gran parte scalpellate. Le cappelle grandi di destra e sinistra furono decorate dopo il 1610. Quella a sinistra dell'ingresso era dedicata al S. Crocifisso. In antico portava una piacevole prospettiva a corona dell'altare marmoreo tuttora esistente. Questo accoglie sotto una teca con un pregevole Cristo deposto che si trovava nella cappella Vismara, sopra un grande Crocifisso, qui trasportato dalla sagrestia, cui furono aggiunte l'Addolorata e la Maddalena in stucco, di pregevole fattura del XVIII secolo. Le pareti che portavano le insegne di S. Carlo Borromeo furono riaffrescate nel 1925, quando cambiò la dedica della cappella. La cappella di S. Carlo fu spostata sul lato sinistro, ove prima esisteva un passaggio verso le case canonicali che affiancavano la chiesa in faccia all'attuale palazzo Malinverni. I nuovi affreschi del 1925 sono opera del pittore Eliseo Fumagalli scenografo di professione; essi denotano nella costruzione delle scene la dedizione al teatro, caratteristica di questo autore. La cappella dirimpetto ora dedicata all'Assunta, era in origine, ingresso alla basilica. La pala che vi si ammira è quella del Giampietrino (1490?). Quando, spostata dalla sua 325 sede più antica, venne collocata in questa cappella (1610) la sommità della stessa pala fu completata dai fratelli Lampugnani con un bellissimo Ecce Omo. La decorazione ad affresco delle pareti raffigura una complessa prospettiva d'ambiente con colonnati marmorei e soffitti cassettonati. Come mano pittorica e soggetti decorativi, può, essere attribuita agli architetti Gio. Batt. e Girolamo Grandi (1646) autori di un'uguale prospettiva nella XII cappella del Sacro Monte di Varese. I fratelli Lampugnani vi aggiunsero alcune figure e un volto di puti attorno al polittico del Giampietrino. Essi decorarono con un cielo ricolmo di angeli musicanti anche la volta e l'arco principale della cappella (1633). L'aspetto pittorico di tutto questo insieme è gradevole, caldo, e armonizza molto bene con la decorazione esterna del tamburo. Da notare che fino al 1640 la tavola centrale dell'altare era ancora presente. Poi venne dispersa. Al suo posto si trova ora una pregevole statua cinquecentesca della Madonna. Come abbiamo già accennato la terza cappella sul lato sinistro fu solo nel 1923 dedicata a San Carlo. In precedenza si ricorda un altare a San Antonio Abate poi scomparso assieme ai quadri a lui dedicati. Attualmente vi si possono vedere due tele seicentesche con San Carlo che visita gli appesati e San Carlo in estasi. Gli autori sono sempre i Lampugnani, o Francesco o Giovan battista. Nel 1924 fu dato incarico al pittore Gersam Turri di eseguire ad affresco, nelle campiture delle belle decorazioni a stucco secentesche, delle figure chiaro scuro e dei puttini nella volta. In fronte all'attuale cella di S. Carlo vi si trovano due accessi alle sagrestie. Le pareti di questa cappellina sono state lasciate in bianco dopo l'ultimo restauro della chiesa, per fare capire ai visitatori come fosse spoglia nei vani laterali della basilica, prima del 1923. Unica e pregevole opera antica qui presente è una Madonna di sapore quasi cinquecentesco affrescata con dolce maestria da Francesco Lampugnani legnanese nel 1620. Si trova sul lato sinistro della cappella dell'altare maggiore. Oggi accoglie lo stupendo basamento marmoreo dell'antico fonte battesimale nonchè le cancellate ma poste a fianco della cappella di S. Agnese, a 326 recingere il fonte stesso. Come impostazione stilistica la decorazione di questa cappella minore è settecentesca. Posta al centro dell'arco di ingresso lo stemma Vismara. Era in antico dedicata agli apostoli Giacomo e Filippo. Fu, dopo il 1800, dedicata all'Addolorata. Dentro la modanatura delle cornici a gesso, sui pilastri, presero posto quattro dipinti su tela di S. Antonio Schieppati andati poi perduti. verso la fine del 1800 il pittore Legnanese Mosè Turri senior fece altre tele con la presentazione, la Fuga in Egitto, l'Addolorata e la Deposizione. Egli aggiunse anche tre tele, che vennero poi incurvate, sull'arco d'ingresso. Nel centro della parete di destra venne posta una deposizione dipinta da Giovanni Battista Lampugnani, prima presente nella cappella di Santa Agnese. L'altare, nel Settecento, portava sopra i gradini l'urna con la statua del Cristo deposto, ora collocata nella cappella del S. Crocifisso; ai lati erano modellati in grandezza naturale S. Giovanni Battista e S. Giacomo. Quando la cappella cambiò dedica nel 1948, furono demolite le grandi statue sopra l'altare e nella nicchia prese posto un quadro del Sacro Cuore, un poco stonato come colori rispetto alla cappella stessa. Da notare sono il bel pavimento di marmo e la torciera di rame che in antico, con una gemella, serviva al centro della chiesa per meglio leggere, stando seduti nelle panche. Oggi viene usata come supporto per il cero pasquale. Il soffitto a stucchi ed i puttini sono dei fratelli Mosè e Daniele Turri. Posta sulla destra della cappella maggiore essa era dedicata agli apostoli Pietro e Paolo. Un bel quadro ad olio posto sulla parete sinistra ed opera dei fratelli Lampugnani ci mostra il crocifisso con S. Paolo S. Gerolamo e S. Antonio Abate. Questa tela tuttavia è stata posta qui nel 1800. La cappella era usata dalla confraternita del S. Rosario fin dall'anno 1585. Nel 1603 il pittore Gio. Pietro Luini detto Gnocco dipinse degli angeli, riemersi dopo il restauro del 1925, nelle lunette a fianco delle finte finestre. Molto bella è la statua lignea della Vergine del Rosario collocata nella nicchia sopra l'altare. Questo è stato rifatto dopo il 1836, in quanto era andato perso per incendio quello in legno dorato a fiori e grappoli di frutta disegnato dal Borromini ed intagliato dai Cojro. Il quadro posto sulla destra con S. Teresa del Bambin Gesù è della scuola del Beato Angelico (1940). La decorazione della volta ed i tondi con i putti recanti i simboli del rosario 327 sono invece del pittore Gersam Turri (1925). All'esame frettoloso testè concluso non si può, sottrarre qualche nota alle pavimentazioni. Le più antiche sia della cappella del Luini che di quella di S. Agnese, erano in piastrelle di cotto rosso. Mentre per la seconda questo materiale è rimasto, tutto il resto della chiesa, nel XVIII secolo, fu ripavimentato con una tarsia marmorea bianca e nera scandita da grandi fasce in macchia vecchia rossa. Nell'ottagono centrale venne ricreata una scacchiera restringentesi verso il centro, che ripete il gioco prospettico delle costolature della volta. L'insieme, oggi disturbato dalla presenza delle sedie e delle panche, è di una bellezza incantevole. Durante l'inverno, in antico, veniva protetto con grandi pannelli lignei. Tutte le balaustre sono a colonnine lavorate a sagoma quadrata in marmo rosso, i basamenti e i contorni sono neri. Anche l'altare che, nel corso dei secoli, ha cambiato ben tre volte posizione, è formato da un colossale parallelepipedo di pietra miscia, tutto d'un pezzo. Quando era appoggiato alla parete di fondo era stato dotato di un grande tabernacolo dei Cojro. Questo però era così grande da nascondere la pala del Luini. Fu quindi posto in sagrestia e, spostato l'altare, si fece intorno alla mensa una cornice barocca in legno dorato coi ripiani per i candelieri ed un nuovo tabernacolo più piccolo. Questo grande altare fornito di un capocielo scolpito e del velario alle spalle, venne mantenuto fino agli anni 1960. Cambiata la liturgia vennero eliminati sia il capocielo che il velario, e in occasione dei restauri del 1963, fu rigirata la mensa, lasciando il solo blocco marmoreo per le celebrazioni. Anche i due pulpiti scolpiti in legno che erano ai lati della chiesa innestati sui piloni, vennero disfatti e solo uno è stato ricollocato a lato della cappella maggiore, ma a livello del pavimento di questa. Già abbiamo accennato agli stalli del coro. Tutti in legno di noce, furono posti in opera dopo il 1586, per mano dei fratelli Cojro. Essi erano imponenti e preziosi nella loro severità ancora rinascimentale. Attualmente sono stati accorciati fino alla metà dei lati della cappella, per permettere una completa visione degli affreschi del Lanino. Al centro è stata innerita una stupenda cattedra vescovile, che era collocata sulla destra della cappella, con dei putti e delle formelle decorate di notevole pregio. Molte altre opere come il fonte battesimale in legno dei Taurini, gli arazzi dei Lampugnani, quadri e stendardi celebrativi di San Carlo o per le giornate dei morti, Via Crucis, nuovo impianto dell'organo disegnato da Gersam 328 Turri, vetrate, arredi sacri ecc. sarebbero da descrivere, ma per mancanza di spazio rimandiamo al libro scritto sulla Basilica di S. Magno nel 1974. Un'ultima nota riguarda l'esterno. L'antico campanile romanico che era stato conservato nel 1504, fu dapprima rialzato nel 1542. Ancora nel 1611, a causa del rinnovo delle campane fatte ingrandire, venne rinforzato e restaurato. I muri in sasso erano però incoerenti e nel 1638 dovettero nuovamente rafforzarli. Il giorno 2 dicembre 1752 venne iniziata la costruzione di una nuova torre su progetto di Bartolomeo Gazzone, con l'aiuto di maestro Francesco Beltrame. Quella vecchia rimase integra solo fino all'altezza del cornicione del tiburio esterno. Porta ancora due serie di arcatelle ciliali la lapide con il distico del Bossi ed un Cristo romanico proveniente dal S. Salvatore, di modesta dimensione. Il nuovo campanile invece, alto più di 40 metri, fu edificato con una robusta cortina muraria in mattoni, abilmente sagomata con insenature. La sommità venne realizzata con un tetto piano sopra la cella campanaria, semplificando il progetto originale eccessivamente decorato. Nel suo insieme la basilica subì modifiche di poco conto, dal 1504 ad oggi. A parte lo spostamento richiniano della facciata, una vera modifica fu operata, nel 1914, da mons. Gilardelli che incaricò, l'architetto Perrone di allungare di una campata le cappelle verso piazza San Magno. Nell'occasione scomparvero le finestre ed i portali del Richini (1610). Il prospetto e l'esterno della basilica furono finiti ad intonaco con motivi decorativi graffiti. Le finestre tonde accolsero nuovi serramenti e fu sistemato il perimetro esterno. Molte trasformazioni invece ebbero le case canonicali. Poste dapprima verso il ponte sull'Olonella nell'angolo nord-est ed appoggiate alla chiesa (si entrava come abbiamo visto dalla cappella attuale dedicata a S. Carlo), furono abbattute intorno alla fine del 1800. Le canoniche più antiche del 1500 erano poste a lato della sagrestia e formavano cortile proprio in faccia al vecchio campanile romanico. Esse erano state ampliate, nel 1600, sotto Federico Borromeo, che aveva ripreso l'uso della braida e, nel 1700, in occasione del rinnovo del campanile. Come si può, notare dalle foto dei primi dell'Ottocento la basilica era stata come abbracciata dall'abitato, lasciando libero il sagrato con il "foppone" che fungeva da cimitero. Costruito il Palazzo municipale dall'arch. Malinverni, nel 1908, e coperta successivamente l'Olonella lungo via Gilardelli, la chiesa riacquistò, 329 anche all'esterno la sua caratteristica di monumento a pianta centrale, da osservare lungo tutto il suo perimetro. Era ormai visibile da tre lati. Solo a sud, la presenza delle vecchie canoniche, chiudeva la visuale. Nel 1967-72 queste vecchie e basse costruzioni vennero eliminate. Al loro posto sorse un monumentale Centro Parrocchiale dotato di sale riunioni, mensa, uffici ed abitazioni per i sacerdoti. L 'edificio venne proposto dai progettisti Castiglioni e Ceruti, in vetro e pietra rossa di porfido. Sostenuto da una serie di pilastri in acciaio, forma, con la basilica, sul lato sud una galleria che permette la completa rotazione pedonale attorno alla chiesa stessa. Nell'anno 1976 vennero dotate alla basilica tre artistiche porte in bronzo, a ricordo del VIII centenario della battaglia di Legnano. Si rese promotrice di quest'opera la Famiglia Legnanese costituendo un comitato di iniziativa, attraverso il quale vennero raccolti i fondi necessari. In quell'anno era sindaco della città l'ing. Cesare Croci Candiani che si dimostrò particolarmente sensibile a questa opera, le cui figurazioni rappresentavano una sintesi delle glorie e delle virtù della gente legnanese. La proposta, maturata nell'ambito della Famiglia Legnanese, trovò, ampia rispondenza anche nel Comitato Sagra, nelle otto contrade e in diversi enti ed Associazioni della città. Le tre artistiche porte in bronzo, opera dello scultore bergamasco Franco Dotti, vennero benedette il 10 maggio 1976 dall'arcivescovo di Milano card. Giovanni Colombo, prima della celebrazione della tradizionale messa sul carroccio, preludio delle imponenti manifestazioni per l'ottavo centenario della battaglia di Legnano. Le varie formelle sono ispirate alla ricorrenza del memorabile avvenimento e rappresentano una sintesi ideale della storia, delle glorie e delle virtù della operosa gente legnanese. Nel trentesimo anniversario della propria fondazione, la Famiglia Legnanese, ha affidato allo stesso autore Franco Dotti, una riproduzione in scala ridotta delle porte, affinché questo trittico potesse essere fruito da collezionisti e legnanesi amanti delle opere artistiche della loro città. 330 Le sette campane di San Domenico Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 122 Un'immagine, che risale agli anni Venti, ritrae le sette campane della chiesa di S.Domenico con un gruppo di fabbriceri della stessa parrocchia nel momento in cui i bronzi vennero collaudati: I vecchi legnanesi, forse, dalla ingiallita fotografia riuscirebbero a identificare qualcuno dei personaggi in doppiopetto, collo inamidato e farfalla, intervenuti per solennizzare lo storico momento .Evidentemente oltre ai fabbriceri vi erano anche i benefattori e coloro che contribuirono in modo decisivo a realizzare il concerto campanario che e' stato issato sul campanile 16 anni dopo la consacrazione della chiesa. Di qualcuno abbiamo potuto fare l'identikit: l'allora parroco don Emanuele Cattaneo, mons. Angelo Nasoni intervenuto in veste di collaudatore in quanto presidente della Commissione per la Musica Sacra e i titolari, fratelli Ottolina, della fonderia di Seregno, alla quale erano state commissionate le sette campane: Nell'archivio parrocchiale di San Domenico e' ancora conservato il contratto di fornitura dal quale abbiamo rilevato qualche dato. "Dovranno essere consegnate entro il 15 luglio 1925 per un prezzo convenuto complessivamente in lire 130.850". Si specificava anche le caratteristiche delle sette campane: " in la di 870 vibrazioni semplici " nonche' il peso ed il diametro di ciascun sacro bronzo. Il diametro della campana maggiore era di metri 1,685 ed il peso totale Kg.9580. Al momento dell'ordinazione la parrocchia in cassa, disponibili allo scopo, aveva soltanto dodici mila lire circa. Non restava che fare appello alla generosita' dei legnanesi e si apri' allora una sottoscrizione pubblica. Quando il 22 settembre 1924 ( con un largo anticipo quindi sul termine fissato per la fornitura) si era ancora lontani dalla cifra del costo totale, oltre al parroco, si rese garante del saldo entro un termine ragionevole anche l'allora prevosto di San Magno mons: Domenico Gianni: Tre o quattro giorni dopo la data del collaudo le sette campane di S, Domenico erano gia' al loro posto a diffondere quei rintocchi che ancor oggi scandiscono il tempo per gli abitanti del rione, una parte del quale conserva ancora il vincolo di " centro storico". La chiesa di S. Domenico sorge infatti lungo il corso Garibaldi in parte ancora pavimentato con gli antichi lastroni di porfido. 331 Fu edificata in sostituzione dell'antico oratorio del Salvatore. I lavori iniziarono il 16 aprile 1900 su progetto dell'architetto sac: Enrico Locatelli. Lo stile del tempio e' orietantaleggiante. Notevole la facciata in marmo di Carrara dovuta all'arch. Magistrelli e rimaneggiata successivamente rispetto alla fattura originaria . La chiesa, terminata nel novembre del 1904, fu eretta a parrocchia con decreto del cardinale Andrea Ferrari in data 3 gennaio 1907 e consacrata dallo stesso il 30 marzo dell'anno successivo: E' a croce latina a tre navate e all'interno sono conservati, d degni di rilievo, candelabri in bronzo nonche' una lampada bizantina opera del celebre Pogliaghi e due maestosi pulpiti con cariatidi scolpite da un artista alsaziano. Il campanile svetta oltre la cupola ottagonale e conserva una grazia rinascimentale. Il suo stile e' diverso da quello della chiesa e lo stesso rivestimento di prevalente color roseo, si discosta dal resto della decorazione del tempio. Legnano di ieri Legnano di oggi. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 10 Una lenta metamorfosi, una lunga evoluzione nei tempi che l'incedere della storia ha portato fino a noi. Per compiere uno sguardo retrospettivo iniziero' da dove la storia confina con la leggenda quasi stemperandosi in sfumature non sempre percettibili, per poi approdare a tempi piu' vicini, cioe' al periodo in cui Legnano aveva già' assunto una sua precisa fisionomia come grosso borgo agricolo e andava mutando quindi gradualmente il suo volto con il passaggio quasi frenetico dall'economia rurale ad un'economia mista. Bastarono poi cinque lustri per scalzare da Legnano, divenuta ormai città', anche gli ultimi nuclei di una tradizione che nel concetto delle nuove generazioni era divenuta anacronistica. E' l'immenso libro della storia cittadina col voltar di una pagina mi fa entrare nell'era industriale. Il ritmo si fa quasi frenetico, seguendo un'evoluzione di dinamica ascesa. Ed ecco che l'operoso popolo della città' del Carroccio si trova ad essere protagonista di avvenimenti che parlano ormai soltanto di conquiste tecnologiche di una civiltà' del futuro, che riempiono di stupore ma anche di orgoglio. E proprio nella fase di passaggio graduale ma rapido da un tipo di economia all'altro, nel momento cioé in cui la città acquista coscienza del suo destino di grande comunità che ha trovato nell'industria la sua vera vocazione con la prospettiva di progresso e di sviluppo, Legnano cambia 332 volto. E' fatale che con i tempi, con l'avvento di nuove e diverse fonti di lavoro, rispetto a quelle che gli abitanti della Legnano ottocentesca erano o abituati a considerare, inizi una trasformazione urbanistica pari da imporre novità che soltanto qualche anno prima sarebbero addirittura sembrate foglie ci sono angoli, interi isolati, strade, piazze, agglomerati urbani che un tempo apparivano intangibili in centro e alla periferia e che oggi sono irriconoscibili. I vecchi legnanesi quegli angoli, certe case caratteristiche, luoghi legati alla storia o a particolari eventi cittadini, anche se ora non ci sono più, li hanno impressi nella memoria perché componenti della loro stessa vita. Ho voluto dunque fermare il tempo per fissare le immagini più caratteristiche prima che fossero distrutte, sciupate o disperse. L'idea era venuta una sera tra amici, alla Famiglia Legnanese durante la prima fase della raccolta delle immagini della vecchia Legnano, condotta con la collaborazione del quindicinale "30 Giorni nel Legnanese". L'iniziativa si concretizzò nel marzo del 1972 con una mostra delle immagini della vecchia Legnano allestita nella sede del benemerito sodalizio cittadino. Alla rassegna ne seguì una seconda, l'anno successivo, con un'altra parte del materiale raccolto con costanza e con ricerche spesso rese difficili da varie circostanze. Con la collaborazione di molti, mi è stato comunque possibile mettere insieme numerose immagini, documenti autentici, testimonianze di una Legnano scomparsa o in procinto di essere cancellata dalle inarrestabili trasformazioni che nuove esigenze e diverse realtà al passo coi tempi hanno imposto. Il successo che aveva avuto la mostra alla Famiglia Legnanese (la seconda parte della rassegna era stata inaugurata alla presenza del Senatore prof. Giovanni Spadolini, presidente della Commissione Istruzione Pubblica e Belle Arti) aveva dimostrato la validità dell'iniziativa. Dalla mostra di gigantografie ad un volume che le raccogliesse tutte a mo' di racconto fotografico della storia della Legnano operosa e artistica del Medio Evo agli albori del Novecento, il passo è stato breve. Pur non trascurando la Legnano più remota, la maggior parte delle immagini è accentrata del periodo che sta a cavaliere tra le due economie, cioè dal vecchio borgo pervenuto al bon industriale, pronto per inserirsi nel più vasto consesso economico nazionale, con una funzione di protagonista. Quello che Legnano ha poi saputo dare alla provincia, alla regione, alla nazione, appartiene alla nostra epoca e può costituire solo un elemento di riflessione, una pietra di paragone che si proietta nel passato, confrontando appunto le immagini della Legnano ormai scomparsa alla nostra vista, con quelle che ancora oggi sono familiari. Fotografie ingiallite dal tempo, scorci paesaggistici urbani o di edifici 333 monumentali che non esistono più, vecchie incisioni, schizzi ed opere finite di qualche pittore legnanese defunto o contemporaneo, oppure il frutto della certosina pazienza e delle passione di un grande concittadino scomparso, l'ing. Guido Sutermeister (unico ed irripetibile cultore della storia e arte locale), tutto questo materiale, dicevo, ho voluto restituirlo ai legnanesi, quasi come un omaggio di un cittadino adottivo di questa nobile terra. Proprio i legnanesi, prima di tutti sapranno apprezzare questa raccolta di immagini completate da un testo illustrativo, che lungi dal voler essere un lamento del passato, documenta l'evoluzione ed i cambiamenti che Legnano ha subito in tanti anni di storia. Giorgio D'Ilario Dal Fascismo alla liberazione Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 32 Il conflitto mondiale del 1915-18 segnò per l'economia legnanese una battuta di arresto, tuttavia l'industria tessile e quella meccanica riesce a mantenersi sulle posizioni raggiunte. Il dopoguerra segna per Legnano un nuovo processo di sviluppo e di incremento che prosegue nel tormentato periodo della retorica fascista. Alla famosa marcia su Roma Legnano invia suoi rappresentanti e le organizzazioni fasciste trovano nella Legnano già formata con un suo avvenire industriale un facile terreno di infiltrazione. Nascono i manipoli "Numa Negrini" che diventeranno Renato Calzone, Daniele Martinelli, Dino Piochi. I tentativi di opposizione, che restarono anche dopo l'avvento del Fascismo al potere vengono repressi in modo duro dall'allora federale Rino Parenti. Vi fu più di un arresto e vari legnanesi vennero inviati al confino politico. Intanto mentre viene dato il massimo impulso alle industrie, specie alle tessili, vengono realizzate le "opere del regime" tendenti a consolidare sempre più il potere, mirando a far colpo sul popolo. In questo periodo sorge la colonia elioterapica, la "Casa del Balilla" di via Milano iniziata nell'ottobre del 1933 e la "Casa del Fascio (l'attuale palazzo Italia di fronte al Municipio ) che venne realizzata nel 1930,il poligono di tiro in fondo a viale Cadorna, (inaugurato nel 1934 ). Il 4 Ottobre 1934 Mussolini viene in visita a Legnano ed inaugura anche alcuni nuovi reparti in due stabilimenti della citta'. L'anno successivo per 334 la prima volta si ricorda, con il carosello storico ed il Palio, l'antica battaglia del 1176. Mentre la citta' del Carroccio era nel pieno della sua attivita' di sviluppo industriale, la seconda guerra mondiale arriva a far segnare una nuova battuta d'arresto, seminando terrore e lutti. I legnanesi si distinguono nella difesa della Patria, come gia' avevano fatto in occasione della prima guerra mondiale. Durante il conflitto del 1915-18 la citta' ebbe in Aurelio Robino una medaglia d'oro e nella seconda guerra mondiale due furono le medaglie d'oro: Carlo Borsani e Raoul Achilli. Non appena in tutta Italia cominciano a sorgere i primi movimenti di liberazione partigiana, Legnano fa eco fin dall'ottobre 1943 con azioni organizzate da parte delle formazioni partigiane. Nelle fabbriche, con scioperi e con la resistenza passiva, i lavoratori appoggiano le azioni di guerra partigiane che mirano a liberare la nazione dal dominio nazifascista. Alla lotta partigiana Legnano diede un contributo di vite e di sacrifici particolarmente significativi: 57 morti e 123 feriti. Due medaglie d'oro al merito partigiano sono state conferite a cittadini legnanesi, una alla memoria del caduto Mauro Venegoni e l'altra a Candido Poli, uno degli campati del lager nazista di Mathausen. Momenti di particolare drammaticita' si ebbero nel dicembre del 1943 con gli scioperi e le manifestazioni contro il proseguimento della guerra e di non collaborazione coi tedeschi trasformatisi ormai di fatto in truppe di occupazione. Gli scioperi furono piu' massicci alla Franco Tosi: Il 5 Gennaio 1944 le SS tedesche, al comando dello spietato generale Zimmerman, compiono una azione di rappresaglia proprio alla Franco Tosi. Vengono arrestati 92 lavoratori. Caricati su carri ferroviari vengono deportati nei campi di sterminio: Di essi, 7 persero la vita nei lager nazisti: Pericle Cima, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Antonio Vitali, Francesco Orsini, Angelo Sant'Ambrogio ed Ernesto Venegoni .Tra coloro che finirono nei campi nazisti vi fu anche lo studente univesitario Gianni Moro nato nel 1922 e morto nel lager di Ebensee(Austria) nel gennaio 1945. Per non aver voluto militare nelle file dell'esercito fascista repubblicano veniva consegnato ai tedeschi che lo prelevarono dal carcere di S.Vittore il 3 marzo 1944 per deportarlo in Austria. L'insurrezione armata dei partigiani legnanesi, alla quale presero parte le formazioni 101 e 182 della brigata "Garibaldi "nonche' la divisione "Alfredo di Dio2 della brigata" Carroccio", si ebbe la sera del 24 aprile 1945. L'azione comincia con l'attacco ad un comando tedesco di zona ubicato tra Parabiago e Canegrate nell'intento, riuscito, di distruggere la stazione radio per interrompere i collegamenti. L'operazione era concordata con 335 altre forze partigiane e nello stesso istante viene attaccata la caserma di viale Cadorna che era presidiata dai tedeschi. I combattimenti si protraggono fino al pomeriggio dl giorno successivo, allorche' gli ultimi tedeschi che si erano rifugiati in un edificio di via Milano vengono eliminati con l'appoggio di forze popolari della citta'. Il 26 aprile da Milano puntano su Legnano due colonne corazzate; una tedesca ed una fascista mentre dalla zona di Magenta reparti della colonna tedesca Stam, incalzati da altre formazioni partigiane, convergono per collegarsi con i reparti corazzati. Il C.N.L di Legnano organizza immediatamente la difesa della citta' riunendo le forze partigiane coadiuvate da un forte contingente di lavoratori delle fabbriche cittadine. Da Gallarate e da Busto Arsizio altre formazioni vengono a dar man forte. Dopo duri scontri lungo l'autostrada, il "Sempione" e verso Busto Garolfo, i nazifascisti si ritirano verso Milano e verso il confine della Svizzera. Al mattino del 27 aprile Legnano puo' considerarsi totalmente libera. Diciassette erano stati i morti e venti i feriti di quelle tragiche ore che segnarono la riconquista della liberta' anche nella citta' del Carroccio ,come si era fatto seguendo un medesimo spirito ,sia pur con altri ideali, nel maggio del 1176. All'opera di ricostruzione del Paese martoriato dalla guerra e tormentato dal drammatico periodo seguitone, Legnano partecipa con entusiasmo ed impegno, avendo come obiettivo la ricostituzione del patrimonio collettivo, per ridare alla citta' quella pace operosa che gia' aveva caratterizzato gli anni dell'inizio secolo. Questo considerevole contributo di dedizione e di attivita' eroica per la difesa della liberta', della Patria e della dignita' umana , generosamente offerto da Legnano, con sacrificio anche di numerose vite umane, attende un doveroso riconoscimento ufficiale: almeno una medaglia d'argento da appuntare sul glorioso gonfalone della citta' del Carroccio. L'era industriale E le trasformazioni Negli ultimi due secoli Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 36 Pur avendo Legnano un'economia prevalentemente agricola, gia' tra il Seicento ed il Settecento si potevano annoverare alcune filande con caratteristiche di artigianato domestico che poi assunsero un'impronta sempre piu' marcata, creando le premesse per la trasformazione dell'operoso agglomerato urbano fino a farlo evolvere da borgo agricolo a 336 centro industriale. E la storia di Legnano negli ultimi due secoli e' strettamente legata proprio a quell'attivita' ndustriale che ne ha fatto la fortuna. Abbiamo appena scritto delle prime attivita' produttive alle quali si dedicavano gli antichi progenitori delle citta' del Carroccio, dei suoi mulini, delle trasformazioni di prodotti dei campi da avviare direttamente al commercio. Furono i primi tentativi per imbastire una economia dinamica ed operosa che dara' frutti concreti nella prima meta' dell'Ottocento. Proprio per la preminente importanza che ha avuto l'industria nello sviluppo di Legnano dall'inizio del XIX secolo, abbiamo voluto concludere questa carrellata sulla sua storia, soffermandoci piu' compiutamente sull'Era Industriale . I dati e le fonti d'informazione sono stati in parte desunti dal "Panorama storico dell'Alto Milanese -volume II", edito nel 1971 dal Rotary Club Busto-Gallarate-Legnano, ed in parte attinti direttamente dagli atti e dai rapporti ufficiali conservati nell'archivio del Comune. Se in epoca napoleonica si potevano annoverare nel borgo di Legnano fiorenti attivita' manifatturiere a carattere famigliare specializzate nella filatura, nella tessitura a mano, nella tintoria con vegetali, nella conceria e nei pellami dipinti, dobbiamo invece attendere fino all'inizio dell'Ottocento per vedere delinearsi le prime iniziative di industria vera e propria. Il fiume Olona, che gia' aveva dato energia idraulica per il funzionamento dei numerosi mulini, servi' egregiamente anche alle nascenti attivita' industriali tessili, offrendo possibilita' di derivazioni per il candeggio e la tintoria: l'acqua dell'Olona servì anche ad azionare le macchine. Ma entriamo nell'epoca pionieristica industriale, limitando le nostre osservazioni e citazioni delle aziende e dei capitani d'industria fino al 1910 . Dopo tale anno infatti, sarebbe troppo lunga l'elencazione ed oltre tutto usciremmo dal tema prefissatoci in questa opera la vecchia Legnano. L'anno di nascita dell'industria legnanese e' il1821. Lo svizzero Carlo Martin impianta il primo stabilimento per la filatura del cotone che passera' nel 1845 alla ditta Saverio Amman & C. Nel 1863 aveva gia' una potenza installata di 500 cavalli-vapore, 5000 fusi e 40 telai ed era in grado di produrre annualmente 1700 quintali di filati greggi. Ben duecento persone trovarono lavoro in questo primo cotonificio. Nel 1824 Eraldo Krumm impianto' il secondo stabilimento di filatura nel punto ove si trova oggi la Tintoria Mottana ,lungo Corso Sempione. 337 Anche questo opificio, come il precedente, traeva forza motrice dall'Olona mediante grandi ruote idrauliche. La terza filatura arrivo' nel 1828 ad opera dei Signori Borgomaneri, Bazzoni e sperati. E da questo piccolo stabilimento tessile nacque poi, con uno dei piu' rappresentativi capitani d'industria ,Costanzo Cantoni, il primo nucleo del grande cotonificio che oggi costituisce uno dei maggiori complessi tessili italiani e addirittura europei. Costanzo Cantoni gia' da otto anni aveva impiantato a Gallarate una filanda e contando sulla manodopera reperibile in questa zona, apri' uno stabilimento anche a Legnano. Gia' nel 1862 il Cotonificio Cantoni aveva circa trecento operai. Dieci anni dopo l'apertura dell'azienda poi passata a Cantoni, un quarto cotonificio venne ad assorbire altra manodopera in questa plaga: e' la Andrea Krumm & C. destinata anch'essa a svilupparsi rapidamente: Un quinto stabilimento di filatura di cotone si aggiunge agli altri nel 1842 ad opera del dottor Renato Travelli . Bastarono questi cinque stabilimenti per rivoluzionare la vita del borgo rurale, mutando abitudini e indirizzo sociale. Gli agricoltori abbandonano i campi per cercare lavoro nelle filande (anche se la manodopera femminile, piu' congeniale per le lavorazioni tessili, era preferita); sorgono qua e la' laboratori casalinghi ai quali le grandi industrie forniscono il greggio ritirando poi le "pezze" finite; si creano officine meccaniche ed altri piccoli complessi sussidiari ai cotonifici. Nel 1857 abbiamo gia' una Legnano centro manifatturiero, come conferma il manoscritto "Elenco degli stabilimenti, di industrie e di commercio in Legnano", conservato nell'archivio del Comune. Ecco le cifre: 24 imprese industriali di cui 6 filature di cotone, 5 filande di seta, 3 confezione pelli, altrettante fornaci e tintorie, 1 fabbrica di organi, 1 fabbrica di saponi e candele. Su una popolazione che assommava in quell'anno a 1671 abitanti, gli addetti alle industrie erano il 29% della popolazione, cioè 1855 unità (371 uomini, 582 donne; 294 ragazzi e 608 ragazze). A differenza della vicina Busto Arsizio, dove l'industria inizialmente era tenuta a livelli piccoli e medi, a Legnano le aziende assunsero subito una macrostruttura, con l'impiego di un rilevante numero di dipendenti. Lungo l'asse dell'Olona, sulla destra e sulla sinistra, altre industrie tessili venivano impiantate tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo Novecento. E' la volta del Cantonificio Dell'Acqua nel 1871 per iniziativa dei fratelli Francesco e Faustino Dell'Acqua, che nel 1910 impiegava quasi 500 operai con circa 520 telai meccanici, azionati da energia elettrica. Un anno dopo la fondazione del Dell'Acqua ecco un nuovo colosso tessile ad opera di Antonio Bernocchi che aveva già avviato alla 338 Gabinella una piccola industria di candeggio. In questo periodo abbiamo anche il primo esempio di concentrazione industriale nella zona rappresentato dalla serie di stabilimenti facenti capo alla Stamperia Italiana Ernesto De Angeli, che si specializza nella filatura e tessitura del cotone, opifici che hanno sede oltre che a Legnano alla Maddalena di Milano e in altre località. L'azienda venne fondata nel 1879 dai fratelli Enea e Febo, figli del dottor Saule Banfi, fervente patriota. Questo nuovo colosso tessile, che poi diverrà cotonificio De Angeli Frua, ha come data di nascita il 1875. Sempre per restare nel settore tessile venne fondata nel 1903 la Manifattura di Legnano dagli stessi fratelli Banfi insieme a Mariano Delle Piane e al cav. Giuseppe Frua. Ecco perchè possiamo vedere gli edifici ancora rimasti nel cuore della città aventi lo stesso stile, mirabili esempi di architettura industriale veramente indovinata. La Manifattura di Legnano destinata a divenire terza industria locale in ordine di importanza (attualmente infatti occupa oltre 900 dipendenti) aveva fatto delineare la vocazione di grande complesso tessile di rilevanza nazionale già nel primo decennio di attività. Il censimento industriale del 1911 ce ne fornisce questi dati: 755 operaie, 63500 fusi meccanici impiegati nella filatura di cotone mako, 1100 Kw di energia elettrica assorbiti dal macchinario. Con il Cotonificio Cantoni, il quale si è mantenuto negli anni in tutta la sua solidità, con un ammirevole equilibrio di conduzione e di sviluppo, assurgendo ad importanza mondiale, la Manifattura di Legnano ha saputo reggere egregiamente alle varie crisi del settore tessile, compresa la più recente, particolarmente dura. Questi cospicui complessi tessili agli albori del Secolo avevano esercitato una notevole forza di propulsione, favorendo il sorgere di industrie minori. Nel 1900 viene costituita la società in accomandita per azioni Fabio Vignati & C. con due stabilimenti, uno a Legnano e uno a Villa Cortese e nasce anche la tessitura di cotone Ettore Agosti. Per lavorare tessuti di cotone tinti e candeggiati Giulio Giulini e Roberto Ratti fondano nel 1905 la società che da loro prende il nome. Tre anni dopo si costituisce la società in accomandita per azioni E.Mottana & C. di candeggio e tintoria che rileva la piccola azienda di Giuseppe Bernocchi alla Gabinella. Attorno a queste maggiori unità dell'industria cotoniera fioriscono altre aziende minori, come la Ratti, Rizzi & C. (poi Porri e Ronchi), la Giovanni De Giorgi, la Fratelli Gadda & C., la Giovanni Legnani, Dante D'Anielli e Donato Miglio. L'acqua dell'Olona non basta piu' e si attinge il necessario alle industrie tessili 339 dalla falda sottostante mediante pozzi artesiani. Il fiume viene degradato ad una funzione di collettore per gli scarichi dei residui di lavorazione degli opifici. La sua morte, almeno come fiume, e' ormai inesorabilmente decretata. Favorita dalla posizione in cui si trovava la cittadina, con l'asse di traffico della statale del Sempione, con l'avvento delle ferrovie dello Stato e della Nord e poi dell'Autostrada laghi, a prima del mondo, l'industria raggiunge il suo massimo impulso verso la fine del secolo e nei primi anni del Novecento. Accanto all'industria tessile si sviluppa quella meccanica ed altri settori ancora vengono rappresentati . Luigi Krumm, nel 1874,in collaborazione con Eugenio Cantoni, impianta a Legnano una fabbrica di telai meccanici. Nel 1879 entra nella societa' l'ing. Franco Tosi, allora ventiseienne e la ditta sii trasforma in Officina Franco Tosi & C. con una sezione specializzata nella costruzione di motrici a vapore. Dopo dieci anni l'officina aveva gia' 650 operai: si delinea cosi' un nuovo complesso destinato a dominare il mercato italiano e mondiale . Come gia' era avvenuto per le industrie tessili, la Franco Tosi fa da richiamo per altre aziende del settore. Le officine meccaniche fratelli Bombaglio da Marnate in Val d'Olona, si trasferiscono a Legnano nel 1886.Da cinque anni Andrea Pensotti, capo reparto della Tosi, si era messo in proprio con una fonderia alla quale aggiunse poi un'officina meccanica sempre nei pressi di Piazza del Monumento. Lo stabilimento, che si trasferisce poi in via Firenze specializzandosi nella produzione di caldaie,esportate oggi in tutto il mondo, diverra' il quarto complesso legnanese di importanza. Il chimico dott. Carlo Rossi nel 1907 fonda le Officine Elettrochimiche Rossi, producendo clorato di potassio, acido nitrico ed una lega metallica : l'elianite. Sorgono anche le officine Gianazza(1882), La Mario Pensotti(1881) e la Ing:Giampiero Clerici, divenuta poi Industrie Elettriche di Legnano, un quinto colosso ,oggi, tra le aziende locali. che La motorizzazione che gia' comincia ad espandersi vede a Legnano due aziende impiantate allo scopo proprio di costruire automobili, motori per autotrazioni e addirittura aeroplani. Sono la FIAL (Fabbrica Italiana Automobili da Legnano ), fondata nel 1902 dall'intraprendente Guglielmo Ghioldi, e nel 1907 nacque la "Wolsit", Officine Legnanesi Automobili. Dopo la crisi dell'industria automobilistica la "Wolsit" che diverra' poi Soc. Emilio Bozzi, si dedico' alla produzione di velocipedi e motocicli. Le prestigiose biciclette "Legnano-Wolsit", con la casa verde oliva, raccolsero centinaia di vittorie in campionati italiani e del mondo .La fabbrica dopo 64 anni di attivita' chiuse i battenti nell'ottobre del 1971. La necessita' di rendere le industrie locali autosufficienti anche per materie 340 prime, prodotti accessori e collaterali, crea decine e decine di altre aziende con svariate produzioni. Abbiamo cosi, oltre a quelle gia' ricordate ,le Officine A.Fontana, macchine per tessitura (1908), il saponificio Agosti e fabbrica di candele (1858),la conceria di pelli Pietro Rosa (1881),le Industrie Grafiche Proverbio(1887), la Societa' del ghiaccio artificiale e la Societa' del gas. Quest'ultima fondata nel 1879,inizio' il servizio di distribuzione il 1° maggio 1880.Infine altre industrie sempre sorte tra la fine dell'Ottocento e il 1910 che citeremo solo nominativamente: Fonderia Marcati e Tricavelli, Fonderia Ferdinando Raimondi, Officine Venusto Rossi, Geronzio Rabuffetti, Rodolfo Raimondi, Massimo Vedani, Fratelli Mutti, Pietro Furrer, Fonderia Lamperti&Gornati, Rubinetteria Uecher & Curti, Idraulica Eugenio Gianazza, Aziende tipografiche: Emilio Garancini, Natale Marini, Arti Grafiche Legnanesi e Carlo Guidi: Carpenteria Angelo Testa, Saponificio Angelo Aspes poi Angelo Bollina, Fabbrica Legnanese Colla e Saponi, Fratelli Fasola(frutta e fiori artificiali) ,Carpenteria Paolo Citttera, e, nel settore legno, Gaetano Adamoli ed Eredi Clerici Ciprandi & Figli (carri e carretti); Frattini & Piscia (calzature a macchina), nell'industria edilizia Giovanni Borsani ,Carlo Pastori, Gerolamo Calini e Romeo Filetti; nell'industria dei trasporti Cristoforo Borsani, Natale Schiatti e Fratelli Scandroglio. Con lo sviluppo industriale sorse la necessita' della creazione della assistenza finanziaria in grado di seguire il continuo progresso. Il problema, largamente sentito, fu affrontato e risolto nell'ambito degli stessi legnanesi. Fu un prestinaio di Legnano, Gaetano Muttoni, che nel 1887 costitui' la Banca di Legnano con un capitale azionario di 300 mila lire diviso in azioni da 200 lire, frazionate tra 118 sottoscrittori. Le prime operazioni vennero svolte in una modesta sede di via Palestro. L'iniziativa fu subito sviluppata dal barone Cantoni nominato ben presto presidente onorario. Nel 1898 l'istituto di credito trasporto' i suoi uffici nel nuovo palazzo allo scopo costruito in via Franco Tosi. Il capitale sociale venne portato a un milione e mezzo in azioni da L.100 dall'assemblea dei soci, tenuta il 1° Novembre 1905.Nel 1906 la banca comincio' la sua espansione territoriale, aprendo una prima agenzia a Parabiago, due anni dopo un'altra a Castellanza e nel 1910 una terza a S.Vittore Olona. In quegli anni la Banca di Legnano aveva gia' un patrimonio proprio di quasi due milioni e mezzo tra capitale e riserve. Attualmente la Banca di Legnano ha capitale e riserve per oltre quattro miliardi di lire, una massa fiduciaria che supera i cento miliardi, ed una organizzazione territoriale sviluppata in 27 filiali, nove tesorerie e due esattorie. Nei primi anni del ventesimo secolo esisteva a Legnano oltre ad 341 una succursale della Banca di Credito Provinciale, anche una filiale della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. A completare il settore bancario della cittadina in pieno sviluppo, verra' nel 1923 un altro istituto locale, il Credito Legnanese che ebbe come primo presidente il cavaliere del lavoro Francesco Bonecchi, titolare di una omonima tintoria .Oggi questo istituto bancario, con capitale sociale e riserve ammontanti ad oltre un miliardo e mezzo di lire, conta trenta filiali. Specie le due banche locali seppero sviluppare in quegli anni di grande fervore realizzativo, un proficuo programma di appoggio e finanziamento delle forze produttive locali piccole e medie. Nel primo censimento industriale del 1911 il numero delle aziende legnanesi era salito a 2o5 con 1o.6oo operai addetti. Rileviamo una curiosita': in quello stesso censimento risultavano in attivita' ancora quindici motori azionati con forza idraulica (cinque per tessitura e gli altri per i mulini) e nove macchine a vapore I motori elettrici, statisticamente rilevabili, erano cinquecento. Per una singolare coincidenza, ad un secolo esatto dall'anno di nascita dell'industria locale, si senti' la necessita' di costituire una Federazione degli Industriali Legnanesi. Nel 1921,infatti,sorse la organizzazione che riuni' gli imprenditori dell'industria ed ebbe sede in via Alberto da Giussano. Venne nominato presidente il comm. Fabio Vignati, da considerarsi quindi pioniere di un movimento associativo autonomo dal momento che gli imprenditori del luogo in precedenza facevano capo alla Federazione Industriali Alto Milanese. Ma questo primo organismo territoriale ebbe vita breve in quanto il mutato clima politico port0' alla legge fascista del 3 Aprile 1926 che aboliva le " unioni locali miste" come, tante altre liberta' associative, per conformarle alo schema fisso della giurisdizione provinciale. si rifece sentire tra gli industriali legnanesi la tendenza riunirsi in libera associazione appena cambiarono le condizioni politiche e nella zona riprese il vigore economico che aveva improntato il periodo pioneristico. Cosi' il 4 maggio 1945, a pochi giorni dalla fine della guerra, si costitui' un Comitato Industriale provvisorio presieduto dal cav: uff: Mario Pensotti con l'ing. Aldo Palamidese a rappresentare la piccola industria. Da tale Comitato scaturì l'Associazione Legnanese dell'Industria il cui atto costitutivo reca la data del 13 luglio 1945. Primo presidente fu il cav. Pier Luigi Ratti il quale trovo' la preziosa collaborazione di un direttore, il dott. Manlio Bucci, che con la sua esperienza e non comune intelligenza, seppe creare le premesse per assicurare alla rinnovata associazione industriale un ruolo determinante nella vita organizzativa dell'importante settore economico della citta' e di 342 tutto il Legnanese. Venticinque furono le ditte industriali che sottoscrissero l'atto costitutivo. Esse crebbero in un numero fino a raggiungere 319 aderenti a dieci anni dalla fondazione. Nel 1947 successe al cav. Ratti l'ing: Franco Pensotti che resse la carica fino al 1965.Gli subentro' l'ing: Giuseppe Pellicano' fino al 1971, anno in cui venne designato presidente l'ing: Giancarlo Colombo attualmente in carica. Quali direttori dell'Associazione Legnanese dell'Industria seguirono al dott:Bucci, dopo la sua morte avvenuta nel settembre del 1963,Luigi de Niederhausern per circa un anno e il dott. Spartaco Ulzega dal marzo 1966 il quale dirige tuttora l'Associazione. Egli si e' reso anche promotore del Consorzio Garanzia Fidi e del Consorzio Export Legnano, organismi dimostratisi di larga utilita' per l'intera zona. Con le mutate esigenze e necessita' conseguenti anche al nuovo ordinamento regionale e all'avvento di un comprensorio con caratteristiche socio-economiche omogenee, si era gradualmente superato il concetto di raggruppamenti produttivi chiusi in un ambito cittadino, criterio che invece aveva animato molti centri industriali dell'Italia Settentrionale. Con questo concetto comunque l'industria legnanese si era sviluppata nel secondo decennio del secolo. Municipio di Legnano --------------------Operai Legnanesi! L'Autorita' Municipale da Voi incaricata per esporre all'Onorevole Amministrazione del COTONIFICIO CANTONI le vostre domande, onde per termine alla sospensione di lavoro, merce' un amichevole accomodamento ha ricevuto dalla medesima la seguente dichiarazione, che si fa dovere di comunicarvi per norma: e cioe': Saranno tenuti chiusi gli Stabilimenti di Legnano e Castellanza finche' gli operai scioperanti non avranno dato, per mezzo dell'Autorita' Municipale, avviso alle Direzioni degli Stabilimenti suddetti, che intendono ricominciare il lavoro alle condizioni e prezzi attuali; riservandosi la Direzione di fare gli aumenti dei salari a coloro che ne saranno riconosciuti meritevoli, e nelle proporzioni ch'essa credera' conveniente a conciliare i loro interessi con quelli dell'Industria. OPERAI ! la sottoscritta Giunta Municipale ama ritenere che ciascuno di Voi tanto del Cotonificio che delle altre Ditte sara' oramai persuaso della convenienza di ritornare al lavoro e di restituire al Paese la sua quiete abituale; giacche' diversamente non si farebbe che aggravare i danni a Voi stessi ed all'Industria, oltre alle serie conseguenze che ne deriverebbero; 343 poiche' ove qualche mal intenzionato tentasse d'opporsi a quelli che hanno volonta' di riprendere il lavoro, verrebbe punito a norma di Legge. Dall'Ufficio Municipale di Legnano, li 14 Febbraio 1884. LA GIUNTA MUNICIPALE ALMASIO ANGELO - DELL'ACQUA FRANCESCO-AGOSTI FRANCESCO Assessori Il Segretario Rag. Cesare Figini Per riprendere il grafico dell'industria locale negli anni successivi, ed esattamente quelli a cavallo tra le due guerre mondiali, torniamo ancora a far parlare le cifre del censimento del 1927: rispetto al precedente (1911ì l'industria tessile aveva raddoppiato i propri addetti. Su 40 aziende, tredici contavano dai 25o ai 1000 dipendenti ciascuna e due oltrepassavano i mille (Cantoni e Bernocchi. La Franco Tosi vantava fin da allora il record di 3200 dipendenti; le aziende meccaniche erano 87 di cui 77 avevano meno di dieci dipendenti, quindi conservavano per la maggior parte dimensioni artigianali. L'andamento delle strutture industriali nell'area del Comprensorio dell'Alto Milanese e' stato analizzato in termini realistici anche in uno studio del prof. Mario Casari condotto per conto dell'Associazione Legnanese dell'Industria (A.L.I) e permette di giungere alla conclusione che l'incremento industriale nel Legnanese tra il 1951 w il 1961 e' stato tra i piu' alti (confronto con Italia e Lombardia) dell'intero sistema imprenditoriale italiano. Il censimento del 1951, primo dopo gli anni della ricostruzione post-bellica, ci dimostra come l'industria legnanese sia sempre in dinamica ascesa: 24.75o dipendenti in 723 aziende, il che porta Legnano ad occupare il secondo posto tra i Comuni lombardi (grado di industrialita' pari al 65,17 % in rapporto alla popolazione9, dopo Sesto S.Giovanni. E siamo alla punta massima del grafico che comincera' a segnare una linea in depressione al sopraggiungere della crisi tessile intervenuta in Italia. Piu' di uno stabilimento chiude con la conseguenza di una diminuzione pari a 5300 unita' lavorative in pochi anni. Vi e' per fortuna un trapasso delle maestranze dal settore tessile a quello metalmeccanico. Alla chiusura dei grossi cotonifici come il De Angeli Frua, il Dell'Acqua, l'Agosti, la Bernocchi fa riscontro nello stesso periodo la nascita di nuove industrie nella periferia della citta' e in alcuni centri di recente vocazione industriale come Rescaldina, (con il colosso gia' da tempo esistente della Bassetti e una miriade di aziende meccaniche), Canegrate, Parabiago, San Giorgio su Legnano, S.Vittore olona, Busto Garolfo, Cerro Maggiore. 344 Nel censimento del 1961 il primato dell'industria locale per manodopera assorbita si e' spostato dal settore tessile al settore meccanico il quale ultimo contava 9450 addetti (i tessili, abbigliamento compreso, erano scesi a 7560).Seguivano, notevolmente distanziati, gli altri sett322 dipendenti: pellami e calzature (534 dipendenti), metallurgiche (322 dipendenti), chimiche (313 dipendenti), legno e mobili ( 300 dipendenti), alimentari e affini 890 dipendenti), altre aziende manifatturiere (966 addetti). Abbiamo nel censimento del 1961 un totale di 762 industrie manifatturiere con 19.452 addetti. La varieta' dell'apparato produttivo ed i quattro cardini su cui poggia l'industria legnanese(cantoni, Franco Tosi, Manifattura di Legnano e Andrea Pensotti)con i nuovi centri limitrofi di recente industrializzazione , hanno costituito una provvidenziale valvola di sfogo offrendo alternative alla mano d'opera che era rimasta momentaneamente senza lavoro nel periodo della grande crisi dei tessili. L'assorbimento che ha avuto luogo, non solo ha permesso di annullare la disoccupazione che si paventava, ma negli ultimi tempi ha addirittura fatto registrare scarsita' di manodopera in alcuni settori produttivi. Al posto delle industrie che hanno chiuso i battenti, alcune anche situate nel centro della citta', stanno sorgendo aree verdi, quartieri residenziali, strutture pubbliche( come e' il caso del terreno dell'ex Dell'Acqua) .Stiamo cioe' assistendo, a distanza di poco meno di un secolo, al fenomeno inverso che aveva caratterizzato lera della rivoluzione industriale. Allora i grandi complessi manifatturieri avevano spazzato via gli aggregati urbani, sacrificando spesso anche costruzioni di un certo interesse artistico e storico, immolate al progresso, in una frenesia quasi irresponsabile di sfruttare al piu' presto la nuova fonte di ricchezza. Il pesante paesaggio industriale si va qua e la' squarciando per lasciar sorgere di nuovo costruzioni residenziali. Ovviamente non sono piu' casupole a due o tre piani con i muri di pietra e mattoni e con i tetti di "coppi", ma enormi condomini che imprimono una nuova fisionomia all'urbanistica della Legnano di oggi, proiettava verso il Duemila con la medesima frenesia di cento anni fa, sebbene con attitudini e vocazioni di gran lunga diverse, frenesia che si stempera (ma e' solo una battuta d'arresto) nella crisi economica che purtroppo investe tutta la Nazione. In questa concatenazione di apparati sociali ed economici, in questo altalenar di avvenimenti, in questo quasi fatale ritorno alle origini per molte aree del territorio urbano, sta la storia muta ad osservare, mentre in continuazione angoli di Legnano si vanno di nuovo trasformando come in una immensa dissolvenza che nulla ormai pu0' fermare. 345 ù La bramantesca Basilica di San magno Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 70 Il maggior edificio monumentale di Legnano e' rappresentato dalla basilica romana di S.Magno . Il tempio e' stato costruito sulle vestigia di una chiesa longobarda che era denominata Santo Salvatore e San Magno. Cosi' come per la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, in un primo tempo dedicata al Santo Salvatore, anche il maggior tempio legnanese doveva intendersi cosi' denominato in onore del Cristo Redentore( e non gia' del santo, come qualcuno ha voluto ritenere). Sui pilastri laterali all'altar maggiore troneggiano infatti due figure: quella di San Magno vescovo ed un Redentore effigiato con sul capo una corona di spine ed il manto, come vuole la tradizione di pittura sacra. L'antica chiesa era della foggia classica dei templi di tipo romanico a tre navate ed era stata fatta costruire dal re longobardo Agilulfo. Le infiltrazioni d'acqua alle fondamenta provenienti dalla vicina diramazione dell'Olona ed anche movimenti sismici che si dice furono frequenti in questa zona tra il '400 e il ' 500 decretarono irrimediabilmente la fine della secolare costruzione. Infatti in due fasi successive nei primi anni del '500 la basilica crollo' definitivamente. Il borgo di Legnano che era gia' assurto a notevole importanza nel Milanese, non poteva restare senza un a " chiesa granda" e fu cosi' che il oncerto con Ludovico il Moro i ventotto capi delle nobili casate del tempo, stabilirono di conferire l'incarico del progetto della nuova basilica ad un grande architetto che si vuole fosse lo stesso Bramante al quale in quello stesso periodo varie opere furono affidate dalla Corte di Ludovico. La purezza e l'eleganza delle linee, la loro grandiosita' sia pur conservando un'essenziale sobrieta', la forma della pianta a croce quadrata, divisa nel centro ad ottagono e con le due cappelle simmetriche ai lati dell'altar maggiore, sono caratteristici elementi dell'epoca del Bramante che ebbe quali imitatori molti architetti contemporanei. Attribuibile o no al Bramante ( e non e' compito nostro in questa sede disquisire nel merito) la basilica di S.Magno resta un monumento di grande pregio in se stesso e di immenso valore artistico per gli affreschi che lo ornano. Tra questi, particolare citazione meritano quelli di Bernardino Lanino, i quali nel 156o vennero ad aggiungersi alla grande pala dell'altar maggiore che 346 reca la ben piu' illustre firma di Bernardino Luini (1523). La ricostruzione della chiesa sulle vestigia dell'antico tempio ebbe inizio il 4 maggio 15o4 e fu ultimata il 6 giugno 1513. L'orientamento della chiesa inizialmente era diverso dall'attuale. Il portale d'ingresso era sl lato Nord e cioe' di fronte all'attuale palazzo del Municipio, costruito all'inizio del '900. Dell'antica chiesa del Santo Salvatore era stato mantenuto, dopo lavori di conssolidamento, il campanile del quale ancor oggi si possono vedere i resti nel piccolo ingresso esistente dietro il nuovo campanile, il quale ultimo fu realizzato nel 1752. Il sagrato come si presenta attualmente e la relativa facciata vennero realizzati sulla parete Ovest, nel 1610. L'attuale andito d'ingresso venne anzi mantenuto come cappella esattamente fino al 1810. anno in cui la fabbriceria decise di aprire la porta centrale verso la piazza attuale che prende nome della basilica: In quella stessa occasione furono aggiunti ornamenti architettonici alla facciata che venne rimaneggiata in epoca successiva. Sotto la prepositura di mons: Eugenio Gilardelli, la chiesa venne ampliata mediante la costruzione di un avancorpo dalla parte del sagrato dando alla basilica impostazione a tre navate e del tutto contrastante con la tipica architettura bramantesca. In questa fase ovviamente fu rifatta la facciata con i grafiti che ancor oggi formano ornamento. Recentemente la basilica di S.Magno, per iniziativa e volonta' dell'attuale prevosto mons.Giuseppe Cantu' e' stata in parte restaurata ed i lavori eseguiti dal pittore Turri particolarmente esperto in opere del genere. Il 7 agosto del 1584 in seguito ad una visita pastorale di S.Carlo Borromeo, ed in considerazione dell'importanza che il borgo di Legnano aveva assunto, il cardinale decreto' il trasferimento da Parabiago a Legnano del "Capitolo" e la chiesa legnanese venne cosi' elevata a dignita' di Collegiata con " preposito" . S.Magno ora sede del Vicario Foraneo ,venne designata Basilica Romana Minore da Pio XII con bolla 29 marzo 195o durante la prepositura di mons.Virgilio Cappelletti. Nella storia di Legnano la basilica di S.Magno costitui' sempre un polo di attrazione .Attorno ad essa si estese e prospero' uno dei due primi nuclei dell'antico borgo. I rintocchi dei sacri bronzi del campanile della monumentale chiesa hanno ritmato nei secoli la vita dell'operoso borgo di Legnano. In una traversa ancora visibile inserita nei resti del vecchio campanile longobardo vi e' scolpito un distico latino che tradotto suona così: " I pascoli ,i vini, i grani, la abbondanza delle acque, il tempio e le molte nobili famiglie, danno lustro a Legnano". 347 La Romantica piazza "Granda " Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 79 Da piazza Granda o piazza maggiore a piazza Umberto I fino all'attuale denominazione di S.Magno in omaggio alla basilica dalle linee bramantesche : il cuore dell'antico borgo che ha pulsato per secoli e dove, come un immenso scenario vivente, si e' vista evolvere la vita legnanese. Avvenimenti tristi ed anche tragici, note liete e festose, celebrazioni ufficiali e storiche rievocazioni . E pensare che prima di divenire piazza, fu Cimitero del borgo, un piccolo Cimitero recintato con un muricciolo basso a mattoni ed unito da un lato alla chiesa di S.Magno, come era in uso anticamente. Quante trasformazioni ha avuto l'antica piazza Granda! Abbiamo raccolto una serie di immagini che hanno sullo sfondo l'artistica basilica con la cupola ottagonale ed il caratteristico campanile; la via Porta di Sotto (oggi corso Magenta) con la vecchia sede del municipio da un lato e dalla parte opposta il portale del palazzo arivescovile "Leone da Perego" sulla sommita' del quale esiste ancor oggiuna piccola pietra quadrangolare con il serpente che reca in bocca un fanciullo, insegna dei Visconti. Sono queste immagini che piu' delle altre della vecchia Legnano testimoniano i mutamenti nel centro storico. Tra queste la piu' romantica, tracciata dall'abile pennello di Giuseppe Pirovano tra il 1875 ed il 1880 con la bancarella del venditore ambulante a troneggiare incontrastata, mentre sulla destra un contadino a cavallo procede in direzione del viale Melzi. Sullo sfondo gli alberi di villa Jucker e sul lato nord la ciminiera fumante della filanda Cramer & C. Della piazza Maggiore, quando gia' si chiamava Umberto I,( e siamo negli anni Venti) abbiamo uno scorcio del lato Nord-Ovest con la lunga fila delle botteghe disseminate anche lungo corso Garibaldi. All'angolo dinanzi al negozio Bossi e Mazzucchelli, la bancarella di un personaggio caratteristico " Pasqualin de la tiraca " , così chiamato perche' vendeva zucchero filato. Era la delizia dei ragazzi di quei tempi e a quanto pare un vero specialista nel suo genere .Aveva la " tiraca" monocolore e perfino quella variopinta che si chiamava kalimera, la caramella del buon giorno, se la denominazione l'avevano tratta dal greco. Sempre tra le figure pittoresche che animavano la vita di piazza Umberto I non possiamo dimenticarne alcune divenute tipiche come " Giuanin da 348 Legnan" barbone intellettuale e cantastorie; "Gieu", venditore ambulante ed urlatore ante litteram; 2Mina" che con " Carlin Stria" erano i piu' attivi " topi d'appartamento", terrone delle cascine di periferia;" Tela" un caratteristico Bertoldo locale; 2Giuan Cuteleta", ultimo vetturale di Legnano, impeccabile con garofano all'occhiello sul suo lando', infine la guardia "Giuli" primo vigile urbano, assunto in servizio nel 1898 . La piazza rappresenta ancora oggi il cuore della Legnano moderna e resta come un simbolo ad unire il passato al presente in una citta' di provincia, regolata dai rintocchi dell'orologio del campanile della basilica a cui fa da contrappunto oggi la massiccia mole del grattacielo " La torre" emblema della citta' del futuro. Il santuario Madonna Delle Grazie Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 118 I vecchi legnanesi continuano a chiamarla "santuario della Madonna delle Grazie", ma di tale destinazione non le resta piu' nulla. La chiesa settecentesca che sorge in fondo a corso Magenta, quasi a ridosso del cimitero, e' ora soltanto una delle ausiliarie della parrocchia di S.Magno. Fino ai primi anni del Novecento era meta di pellegrinaggi provenienti dalle citta' vicine e perfino da Milano e dalle altre province lombarde e piemontesi, specialmente in occasione di due feste caratteristiche collegate in altri tempi con fiere di merci e bestiame. La piu' importante tra queste, istituita con un editto di Carlo Magno, era l'antica e tradizionale fiera" dei Morti" , così detta perche' coincideva con i primi giorni di novembre. La tradizione e' conservata ancora oggi anche se la fiera si riduce a pochi capi di bestiame allineati dinanzi al piazzale del macello pubblico, a pittoresche bancarelle di dolciumi e cianfrusaglie per i bimbi, torroni ,palloncini e frittelle. Ma la festa piu' caratteristica che ha conservato, per un certo aspetto, il sapore 349 popolaresco di un tempo e' quella che coincide con la ricorrenza di S.Mauro (15 gennaio).In tale occasione lungo Corso Magenta, dal Macello al piazzale del Cimitero, ed attorno alla chiesa di S.Maria delle Grazie, si danno convegno i " firunat" cioe' i venditori di "firuni" (cordoni fatti con castagne appena sbollite e sottoposte ad un particolare trattamento). I ragazzi ne sono ghiotti ed ancora oggi in occasione della sagra si aggirano tra le bancarelle dei venditori ambulanti con il tradizionale cordone a mo' di collana, e se lo portano trionfalmente a casa. C'e' una ragione particolare nel fatto che la sagra del di' di S:Mauro si celebra presso il santuario della Madonna delle Grazie: nell'interno del tempio e' conservata una vasta tela raffigurante proprio S.Mauro, discepolo di S.Benedetto, nell'atto di miracolare un muto ed uno storpio. Infatti il popolino di tutta la plaga legnanese conserva la devozione al santo e lo invoca a protezione di tutte le infermita' Alla ricorrenza di S.Mauro e' legata un'altra tradizione legnanese che vuole per tale festa un tipico piatto. " A san Mavar, pulenta sul tavr<<2 ,una tradizione che la 2 Famiglia Legnanese" non manca mai di rinnovare. La chiesa di S.Maria delle <grazie fu edificata tra il 1612 ed il 165o su progetto dell'architetto Padre Antonio Parea, per iniziativa del cardinal Federico Borromeo, e fu completata dall'architetto Barca di Gheemme. Ad affrescare le pareti della chiesa fu incaricato il pittore Bacchetta di Crema. L'inizio della costruzione della chiesa dovrebbe risalire al mese di ottobre del 1612 ma i lavori si protrassero per parecchi anni dopo una lunga interruzione causata dapprima dalla peste e poi da invasioni e saccheggi da parte di avventurieri o reparti di mercenari stranieri: Il luogo della costruzione era stato prescelto perche' in quello stesso punto sorgeva un'antica cappelletta cinquecentesca nella quale era conservato un affresco di una Vergine al quale si attribuivano poteri taumaturgici, affresco ancor oggi conservato nel tempio attuale. Per erigere la chiesa gli abitanti del vecchio borgo di Legnano aprirono una pubblica sottoscrizione e la ripresero poi per terminare il santuario tra il 1617 ed il 165o.Attorno alla chiesa si ergono, ormai in cattivo stato di conservazione quindici cappellette affrescate dallo stesso Bacchetta di Crema, con le raffigurazioni dei Misteri del Rosario .Gli affreschi vennero successivamente restaurati dai pittori fratelli Beniamino, Mose' e Gersam Turri. Quest'ultimo anzi nel 1927 rifece completamente gran parte degli affreschi delle cappelle, dedicando particolare cura e maestria alle due che figurano all'ingresso della chiesa: Per molti anni a tergo del tempio si estendeva il vecchio cimitero della citta' poi spostato a sinistra della via S.Giovanni Bosco. 350 Nel presbiterio della chiesa sono conservati due dipinti del XVIII secolo, autore Stefano Legnani detto Legnanino, che per molto tempo erano stati nella chiesa della Madonnina .E' un vero peccato che questa chiesa-santuario non sia successivamente curata quanto a manutenzione e molte tele, oltre agli artistici soffitti ricchi di stucchi e dipinti, rischiano di essere irrimediabilmente danneggiati: La chiesa e' molto frequentata ancora oggi e specie i vecchi legnanesi sono affezionati a questo tempio, legato a tradizioni di fede e di folclore popolare non certo dimenticate. Gli Affreschi sacri E le nicchie votive. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 127 E' frequente dibattersi a legnano in affreschi regliosimtalvolta protetti da apposite nicchie, che figuravano su facciate di vecchie case. Molti sono andati perduti o perche' non realizzati con perfetta tecnica o perche' eliminati al momento dell'abbattimento degli edifici. Tra i proprietari delle case che si affacciano su via Palestro e sulla a vicina via Lega vi era stata una specie di emulazione , stando ai numerosi dipinti sacro che si potevano ammirare fino a qualche tempo fa: Ma due erano i piu' caratteristici ed avevano un certo pregio e valore artistico. Se ne trova traccia di citazioni in vari testi. Il primo era situato sulla facciata di uno stabile contrassegnato col numero 7 della strada che in precedenza si chiamava Santa Maria . Ci e' tramandato da un acquerello del Pirovano il quale lo segnalava come datato 145o.L'affresco raffigurava una Madonna seduta su un trono dorato in atteggiamento materno col Bambino in braccio. Lo stile e' spiccatamente rinascimentale, come si puo' desumere anche dagli ornamenti che inquadravano l'effige sacra, e forse la collocazione piu' giusta nel tempo sarebbe verso i primi del '500. Di due secoli dopo era invece l'affresco che era visibile fino a qualche lustro fa su un edificio di fronte alla via Cavallotti di proprieta' della Manifattura di Legnano e che un tempo era annesso al Convento delle Clarisse. Vi era effigiata la Vergine Assunta in un ovale, attorno al quale si sviluppavano gli ornamenti barocchi di una cornice molto elaborata. In basso figurava oltre alla data(173o) la scritta latina:" Dirigi tu nostra Virgo Purissima sensum et serva a culpis libera tabe patris". Il Sutermeister, dallo stile e dal disegno architettonico ,lo aveva attribuito ad 351 Antonio Longone, l'autore di un leggiadro affresco che adorna labside della chiesa di S.Ambrogio e che e' datato 1740. Un'altra nicchia votiva degna di rilievo e rimasta nella primitiva ubicazione ,anche ad edificio ricostruito, e' quella che ancor oggi si puo' vedere in corso Garibaldi, angolo vicolo Lanino. Vi e' custodita una piccola statua (sembrerebbe in "cotto" che rappresenta la Mdonna col Bambino ed eseguita indubbiamente da mano felice di artista esperto, tra il XVIII ed il XIX secolo. La "Cittadella Ospedaliera" Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 138 Legnano ha una " cittadella ospedaliera" che oggi e' considerata, per la sua efficienza e per la modernita' delle apparecchiature di alcune delle divisioni specialistiche, tra le migliori della regione. Fin dal lontano Medio Evo avevano prosperato ospizi e istituzioni di pubblica assistenza per anziani e l'antico ospizio di Sant'Erasmo, che ebbe il suo momento di massimo sviluppo con il monaco <bonvesin de la Riva, sta a testimoniare la preminenza di Legnano in questo settore. Senza poi trascurare che proprio a Legnano nel 1784 fu istituito presso il convento di Santa Chiara il primo ospedale del mondo specializzato nella cura della pellagra, come riferimento nel capitolo sui conventi e le costruzioni sacre. L'ospedale civile in ordine di data e' venuto quindi dopo varie altre istituzioni e piu' che altro se ne e' sentita l'assoluta necessita' nel primo Novecento, allorche' lo sviluppo industriale aveva postogli allora responsabili della cosa pubblica di fronte all'indilazionabilita' dell'opera. Vi erano stati in precedenza dei tentativi per costituire un primo nucleo ospedaliero ma i fondi non erano stati sufficienti nemmeno ad iniziare un progetto. Nell'Ottocento il ricorrere agli organi centrali per finanziare grandi opere anche di pubblico interesse era l'ultima idea che potesse balenare: Si ricorreva quindi all'autofinanziamento, alle pubbliche sottoscrizioni che fiorivano magari durante un banchetto, una festa di 2sciuri2. E' stato cosi' anche per l'ospedale di Legnano. Durante un ballo di gala, indetto in occasione della festa patronale nel 1889, furono raccolte poco piu' di mille lire, che vennero depositate in conto, vincolato allo scopo, presso la Cassadi Risparmio. Mille lire! Ben poca cosa per poter sfociare dal mondo dei desideri in quello della realta'. Ci si 352 era pero' avviati lungo la china della speranza. Dieci anni dopo ed esattamente il 3o maggio 1899, nella seduta del consiglio comunale si deliberava la costituzione di un " comitato speciale per l'erezione dell'ospedale" e la presidenza fu affidata al dott. Cesare Candiani. Sara' lui stesso ad assumere poi la prima carica di presidente dell'ospedale: Il comitato si riuni' per la prima volta il 19 febbraio 19oo e si decise di rilanciare la sottoscrizione con una opportuna campagna sensibilizzatrice: I legnanesi risposero all'appello con generosita'. In pochi giorni furono sottoscritte trecentocinquanta mila lire e quando alla presenza dell'allora sindaco Antonio Bernocchi il 12 maggio 1901 veniva posta la prima pietra dell'ospedale, si era gia' superato il mezzo milione di lire; cifra considerevole per quei tempi. Quando il comitato per l'erezione dichiaro' compiuto il suo mandato e si avanzo' la richiesta di elevare l'opera pia in ente morale, questa aveva un patrimonio di 747.331 lire ed un reddito annuo di 20.000 lire. Nessun dubbio per la scelta dell'area. Si penso' subito al terreno compreso tra via Sant'Erasmo e corso Sempione, su un tratto del quale sorgeva l'antico Lazzaretto tristemente noto durante la peste del 1629/30 che colpi' violentemente oltre a Milano anche gli altri centri lombardi dopo una drammatica carestia. Il terreno ideale per il futuro nosocomio aveva una superficie iniziale di 23.664 metri quadrati. La posa della prima pietra avvenne il 12 maggio 19o1. Il progetto di massima era stato allestito dall'architetto Luigi Broggi e completato, per essere reso esecutivo, dall'ing. Renato Cuttica il quale assunse anche la direzione dei lavori .Entrambi i professionisti prestarono la loro opera gratuitamente per dare in tal modo il loro contributo personale ad una benefica opera che a quei tempi era molto sentita. La salute pubblica negli ultimi anni dell'Ottocento era assai precaria in tutta la plaga legnanese a giudicare dalle statistiche che abbiamo ricavato dagli archivi comunali. Risulta infatti che nel decennio 1893/ 1902 su una popolazione media di quindicimila persone ogni anno ne morirono esattamente 372,vale a dire la mortalita' raggiunse una percentuale del 24,(O per cento. Sempre per restare in tema di statistiche, possiamo subito vedere un netto miglioramento negli anni seguenti alla realizzazione del primo nucleo ospedaliero. Nel decennio successivo, entro il quale si colloca l'inizio dell'attivita' dell'ospedale, (1903-1912) con una popolazione media di 23 mila persone la mortalita' media annuale era stata di 422, pari al 18,24 per cento, cioe' era diminuita di colpo del 6,56 per cento. I lavori per la costruzione del primo padiglione dell'ospedale vennero ultimati 353 nel settembre 1903 e la cerimonia dell'inaugurazione, della quale abbiamo una serie di immagini, messe gentilmente a disposizione dall'amministrazione attuale dell'ospedale, avvenne il 18 ottobre 1903. Successivamente vennero costruiti attorno al primo padiglione ( in ordine di tempo quello piu' prospicente l'attuale via Candiani) altri corpi di fabbricato, nonche' la camera mortuaria ed una palazzina che servi' di abitazione al primo chirurgo direttore-sanitario prof. Ercole Crespi. Allorche' l'ospedale venne eretto con regio decreto in ente morale (8 dicembre 19o4), comprendeva cinque corpi di fabbricato compreso quello centrale e primo realizzato, con la possibilita' di svolgere un attivita' quasi completa per le forme chirurgiche e per la traumatologia, medicina e ostetricia, con la cooperazione gratuita dei medici condotti che a quei tempi erano quattro ed altrettante erano le levatrici comunali. L'ospedale di Legnano era gia' da allora un vero modello degno di imitazione per la razionalita' dei vari padiglioni e della attrezzatura di cui disponeva. All'inaugurazione era dotato di $Oletti, con una capienza gia' insufficiente per le richieste di un ente destinato ad operare per una vasta zona con una popolazione in rapido aumento. Ma anche le possibilita' economiche erano limitate nonostante il continuo incremento del patrimonio dell'opera pia che contava un cospicuo numero di benefattori. Alla chiusura dei conti con la ditta costrutrice dell'ospedale, cioe' alla fine del 1904, l'intero complesso di un volume totale di 14.184 metri cubi era costato 334.500 lire, compreso il valore dell'area, l'arredamento e le attrezzature tecniche e chirurgiche. La spesa aveva superato di 43.23o il preventivo iniziale. I membri del comitato amministrativo provvisorio, pur di non intaccare il patrimonio amministrativo provvisorio, pur di non intaccare il patrimonio allora pari, come abbiamo detto, a 747.331 lire ,decisero di comune accordo di suddividere in parti uguali l'eccedenza di spesa e pagare in proprio anche se avevano gia' largamente contribuito con donazioni in denaro. Tale comitato provvisorio era costituito dai seguenti membri: on.le Carlo Dell'Acqua, Francesco Dell'Acqua, dott.Cesare Candiani, Enea Banfi, cav:Antonio Bernocchi, dott.Gabriele Cornaggia, ing.Leopoldo Sconfietti del Cotonificio Cantoni, avv. Sampietro, ing.Cesare Soldini e ing. Gianfranco Tosi. L'incremento demografico e industriale ed il progresso dell'economia pubblica e privata ed anche le notevoli conquiste della tecnica sanitaria cominciarono ad aprire nuovi orizzonti e nuove prospettive di sviluppo per l'ospedale di Legnano con caratteristiche di ospedale di circolo. Subito constatato il gran numero di ammalati che si succedevano fin 354 dall'inizio nei vari reparti (10517 giornate di degenza nel 1905, salite a 11.584 nel 1910) indussero l'amministrazione ad ampliare e a completare la disponibilita' dei padiglioni iniziali. Nel 1912 venne costruita una " stazione di disinfezione", sotto la minaccia dell'epidemia colerica e nell'aprile 1913 venne inaugurato un vero e proprio padiglione di isolamento per malati contagiosi realizzato a somiglianza, sebbene con criteri piu' moderni, dell'antico Lazzaretto. Nel 192o sorgevano un completo reparto, il padiglione "Vignati", un nuovo edificio per l'amministrazione , nuovi servizi, la portineria , la camera necroscopica, e nel 1928 il nuovo padiglione di chirurgia e quindi il reparrto radiologico. Abbandonato poi anche l'esclusivo concetto di un ospedale espressione di carita' e di pubblica asistenza, maturo' l'idea di costruire accanto alle corsie ospitaliere gia' in funzione anche un padiglione per i solventi con attrezzature piu' decorose, vaste e complete.Nello stesso tempo l'amministrazione aveva posto in cantiere la costruzione di un moderno e completo laboratorio chimico in grado di svolgere una ormai indispensabile azione nella diagnosi delle malattie,nonche' nuovi ambulatori ed un piccolo padiglione pediatrico. In quello stesso periodo, e cioe'nel 1936,era anche stato previsto e progettatoun padiglione per cronici con una capienza di 52 letti che non venne pero' poi realizzato.Intanto erano anche sorti nuovi reparti come l'culistica,la dermosifilopatica,l'otorinolaringoiatria e la maternita', quest'ultima sistemata a nuovo nel padiglione ora occupato dagli edifici amministrativi. Sulla scia di questo progressivo sviluppo, gia' imponente ,per quei tempi, la " cittadella ospedaliera e' divenuta una delle piu' importanti della Lombardia.Dal 1971,con l'amministrazione presieduta da Giovanni Borioli e continuata poi alla sua morte da Angelo Luraghi, si e' avviato un completo progetto di ristrutturazione dell'ospedale (dichiarato " generale provinciale"di I' categoria) con la costruzione di un monoblocco gia' in parte realizzato che portera', a lavori ultimati, la capienza dell'intero complesso ad oltre 2000 posti letto, con una gamma completa di specializzazioni e con divisioni tecnicamente molto avanzate che si aggiungeranno a quelle gia' esistenti .Citiamo ad esempio laneurochirurgia, la otorino particolarmente attrezzata per interventi di microchirurgia , la rianimazione ,la cardiologia,la chirurgia plastica e della mano ed i laboratori di biochimica,ematologia ed istologia in gran parte gia' funzionanti o in attesadi essere meglio ubicati o sistemati nel monoblocco. In un nuovo padiglione , gia' progettato con criteri assai moderni,troveranno infine una sistemazione definitiva , razionale e con attrezzature di alta 355 specializzazione tecnica ,la divisione di pediatria medica e chirurgica, di ostetricia e ginecologia. Il sanatorio Regina Elena di Savoia. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 144 Quattro immagini che risalgono al 19 giugno 1924 ci riportano all'inaugurazione di una imponente opera realizzata nella nostra citta' per iniziativa dell'ing. Carlo Jucker, il sanatorio" Regina Elena di Savoia2. Fu la regina Margherita che presenzio' all'inaugurazione svoltasi in forma solenne e con un grande concorso di popolo, una cerimonia fastosa, tipica di quei tempi, destinata a restare a lungo impressa nella memoria dei legnanesi. L'istituzione era stata voluta nell'intento di affrontare il problema della cura della tubercolosi, un morbo che el primo scorcio del secolo mieteva ancora numerose vittime. Il vasto complesso, situato in mezzo ad un magnifico parco con numerose piantedi conifere ed altri alberi secolari,eracomposto di un fabbricato centrale a due piani e di due corpi laterali ad un solo piano. Era dotato di tutte le apparecchiature piu' moderne di radiologia, diatermia, di un solarium ,uno stabularium e sale di chirurgia. Il costo complessivo, compreso l'arredamento e le attrezzature,ammonto' ad oltre sei milioni di lire.La spesaa venne sostenuta per circa un milione e mezzo dal Cotonificio Cantoni diretto dall'ing.Carlo Jucker, fondatore dell'istituzione. Concorsero con 300 mila lire ciascuno il Comune di Legnano, l'Amministrazione Provinciale e la Cassa di Risparmio di Milano. Per cento mila lire il Comune di Castellanza e, per quoteminori, i Comuni rimanenti del circolo ospedaliero. I residui quattro milioni circa furono ricavati con pubbliche sottoscrizioni alle quali aderirono con generosita'inddustriali e privati del Legnanese.Anche gli operai della citta' e degli altri centri vicini si autotassarono devolvendo a favore del sanatorio l'ammontare di due quindicine di salario oltre al contributo delle trattenute di legge.Il numero medio dei ricoverati che inizialmente era di 15o ammalati, tocco' punte di oltre 35o tra maschi e femmine con 40.500 giornate medie di degenza annue. Il sanatorio Regina Elena di Savoia, inaugurato come abbiamo detto nel giugno del 1924, inizio' l'attivita' il 28 dello stesso mese e assumendo il nome di fu eretto in ente morale con regio decreto dell' 11 settembre 356 1925 assumendo il nome di "Istituzione di assistenza ai tubercolotici2. Il "/ aprile 1925 fu visitato da re Vittorio Emanuele III che si dichiaro' entusiasta dell'opera e delle moderne attrezzature di cui era dotata. Ridottosi gradatamente negli anni Sessanta il numero dei degenti, l'amministrazione dell'ente decreto' la cessazione dell'attivita' facendo trasferire altrove i residui ricoverati assumendosene ugualmente l'onere dell'assistenza . Con decreto del Presidente della Repubblica in data 7-7-1970 si erano mutati la denominazione dell'ente morale in 2Istituto Legnanese di Assistenza", nonche' gli scopi. Si era cioe' deliberato di trasformare, con opportuni adattamenti poi realizzati, l'intero complesso per ospitare e curare minori subnormali gravi. L'iniziativa si deve nuovamente alla famiglia Jucker che aveva legato, con nobile munificienza il suo nome ad altre opere assistenziali.Per intralci di diversa natura, in parte recentemente superati,la prevista istituzione non ha potuto ancora iniziare lì'attivita' con i nuovi svopi statutari,ma sara' quanto prima una meravigliosa realta'. I trenta primi cittadini di Legnano dal 186o al 1974. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 150 Chi furino nel volgere di un secolo e tre lustri i primi cittadini reggitori della cosa pubblica che si alternarono dapprima nelle due residenze comunali di " piazza Granda" e di " piasso' di puii" e poi a Palazzo Maliverni? Per coloro che vogliono seguire le trasformazioni di Legnano nelle varie epoche attraverso le immagini che stiamo presentando in questapubblicazione, anche in funzione degli uomini che si alternano alla testa delle diverse amministrazioni comunali, abbiamo ricostruito la esatta successione di questi " primi cittadini". Annotiamo che Legnano fu proclamato comune italico nel 18o4, per iniziativa di Napoleone Bonaparte e confermato nel 1815 dal governo austriacco; fu elevato al rango di citta' durnate la prima delle tre amministrazioni presiedute dal comm. Fabio Vignati. Esattamente la "Regia Patente firmata da Vittorio Emanuele III e controfirmata da Benito Mussolini" reca la data del 15 agosto 1924. Da allora si proiettarono arditamente nell'avvenire con sempre maggior 357 incisivita' le lineee dello sviluppo della citta' gia'tracciate nel passato. Dal monumento Di cartapesta Al "Guerriero " del Butti Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 154 " Oh a Legnano e alla Foresta abbia un marmo la vittoria se dei padri ai figli attesta non piu' l'ire ,ma la gloria! " Con questi versi Felice Cavallotti nei " Due Popoli" auspicava in pieno Ottocento la realizzazione di un monumento celebrativo della battaglia del 29 maggio 1176 con l'apertura di una sottoscrizione di un monumento a ricordo del glorioso avvenimento. Si costitui' un comitato promotore presieduto dal marchese Pesdi Villamarina,prefetto di Milano e la posa della prima pietra del basamento fatto allestire dall'architetto Peverelli ebbe luogo il 29 maggio 1865. Dalla sottoscrizione ben poco si era potuto raccogliere in Legnano ma si sperava nell'aiuto delle autorita' milanesi che avevano preso a cuore l'iniziativa. Il bozzetto del progetto del monumento venne esposto a Legnano proprio per invogliare i maggiorenni della citta'a finanziare l'opera: Comprendeva uno zoccolo sormontato da una fascia sulla quale erano riprodotti a mosaico gli stemmi delle citta' della Lega Lombarda.Si elevava quindi un basamentoin stile lombardo antico contornato da colonne e recente ai quattro lati altrettanti bassorilievi con scene connesse agli avvenimenti della battaglia (la distruzione di Milano, il patto di Pontida, la vittoria di Legnano, la pace di Costanza). Sul basamento si innalzava una statua in bronzo costituita da un guerriero crociato nell'atto di sventolare in aria in segno di vittoria, la bandiera crociata della Lega Lombarda. Ma alla prima pietra non ne seguirono altre e dopo l'esposizione del progetto,da Milano nessuno piu'si fece vedere,tanto che nel 1875, dieci anni dopo, l'amministrazione comunale ed alcune associazioni locali sollecitarono la realizzazione alle autorita'milanesi,ma queste accolsero male l'invito e punte nella loro suscettibilita' minacciarono di erigere il monumento entro le mura ambrosiane.Si creo' una specie di frattura ed i legnanesi decisero di tentare la realizzazione da soli. Ripresero la sottoscrizione costituendo un comitato effettivo presieduto da Giuseppe Pirovano. Lo componevano il cav. Ernesto Prandoni , l'ing: 358 Renato Cuttica,il rag.Luigi Riboldi, Giulio Thomas, Michele Prandoni, Carlo Dell'Acqua, Costanzo Canziani; segretario il rag: Cesare Figini.L'Amministrazione Comunale presieduta dal cav. dott. Bernardo Bossi offri' duemila lire. Ma anche allora accadeva cio' che si verificava ancor oggi a Legnano per le manifestazioni celebrative della battaglia. Si giunse infatti all'aprile del 1876, l'anno fatidico in cui ricorreva il settimo centenario della battaglia e niente risultava di concluso.Si sapeva soltanto che l'esecuzione del basamento era stata affidata all'architetto cav. Achille Sfondrini e la statua allo scultore Egidio Pozzi. Il Sindaco Bossi scrisse nuovamente a Milano ma nessuno rispose. Inaspettatamente il 9 maggio, cioe' quando mancavano venti giorni alle celebrazioni, arrivava un telegramma a firma dell'architetto Sfondrini che avvertiva il Sindaco che l'indmani sarebbe stato lui stesso sul posto per dar mano ai lavori. Mantenne la promessa . E fu così che in diciannove giorni e venti notti di lavoro si riusci' a far sorgere il monumento; per lo meno il basamento . A pochi giorni dalla manifestazione lo scultore Egidio Pozzi, che attendeva ancora il via dal comitato di Milano non aveva approntato ne' la statua del guerriero ne' i bassorilievi in bronzo.Vi erano soltantoi bozzetti.Il comitato milanese all'ultimo momento, rendendosi conto che sarebbero convenuti a Legnano rappresentanti delle citta' della Lega per inaugurare soltanto il tronco di un monumento, per evitare aspre critiche, ricorse ad uno stratagemma.Fece modellare in fretta e furia sui bozzetti esistenti ,statua e bassorilievi in gesso e cartapesta. Colorati quindi in bronzo, diedero l'illusione alle rappresentanze e alla folla convenuta che l'opera fosse veramente compiuta e degna dello storico avvenimento.L'intenzione era poi quella di sostituire in un secondo tempo alla chetichella e nottetempo il bronzo alla cartapesta.Purtroppo il monumento non venne mai completato,ne' tanto meno si fecero le fusioni e, la statua in cartapesta prima, e quindi il resto, si avviarono pian piano verso il completo sfacelo. Le sette campane di San Domenico Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 122 Legnano di ieri Legnano di oggi. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano Pag 10 Dal Fascismo alla liberazione Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 32 L'era industriale E le trasformazioni Negli ultimi due secoli Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 36 359 La bramantesca Basilica di San magno Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 70 La Romantica piazza "Granda " Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 79 Il santuario Madonna Delle Grazie Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 118 Gli Affreschi sacri E le nicchie votive. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 127 La "Cittadella Ospadaliera" Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 138 Il sanatorio Regina Elena di Savoia. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 144 I trenta primi cittadini di Legnano dal 186o al 1974. Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 150 Dal monumento Di cartapesta Al "Guerriero " del Butti Tratto da: Immagini della vecchia Legnano pag 154 360 Chiesa della Madonnina "Della nova chiesa della Natività di Maria Vergine". Nel 1650 il legnanese Prevosto Pozzo descrive sotto questo titolo le cause ed i lavori inerenti all'erezione di una piccola chiesa situata lungo l'attuale corso Sempione in Legnano. Di una chiesa nuova infatti si trattava cominciata il 21 luglio 1641 sotto il patrocinio del cavaliere Gioseffo Lampugnani. Anche se di piccole dimensioni questo edificio rappresenta l'espressione più colta in tema di architettura prodotta nella Legnano del 1600, in quanto tutte le costruzioni a lei coeve, risentono ancora l'influenza del 1500. Prima di addentrarci in una descrizione di fatti è meglio accennare alla situazione culturale italiana in generale e legnanese in particolare intorno al 1630. Alla fine del Cinquecento l'Italia si trova presa nel fervore rinnovatore della Controriforma. Non era tanto all'intelletto ed alle sue speculazioni che essa si rivolgeva, quanto al sentimento ed alla fantasia (Spini) aiutata dalle nuove ondate di mecenatismo che in ogni luogo fanno veri idoli degli artisti e degli studiosi. Michelangelo ha fatto scuola. Egli a Roma prese contatto con i resti delle splendide costruzioni romane imperiali, di cui aveva imitato il gusto della spazialità e della possezza delle forme; aveva fatto suoi gli arcani segreti di quei lontani plasmatori di masse e di spazi, profondendoli nelle sue maestose opere. Ecco che gli eredi di Michelangelo subito si rifanno al gusto romano anche perchè la maturità costruttiva di questo secolo è paragonabile a quella del II-III secolo d.C. Nella Roma pagana, con condizioni economiche paragonabili a quelle seicentesche, si era insinuata la dottrina cristiana, facendo nascere architetture piene di tormenti e di sentimenti forti che ritroviamo nel Seicento questa volta generati da un poco di paganesimo edonistico insinuatosi nel pensiero cristiano. Dice bene la prof.sa Liliana Grassi: "Al sostituirsi dei principi della nuova ricerca naturalistica sperimentale delle teorie platonche del Rinascimento corrispose dunque anche in arte l'adesione a forme figurative in certo senso consorte a tal sorta forma mentis generale". Tre elementi però impediscono al Seicento di ricalcare le vie romano imperiali. Primo: la presenza degli Spagnoli che con il loro gusto influirono sugli artisti, i quali talvolta si abbandonarono ad eccessi di decorativismo. Secondo: la sopraggiunta maturità costruttiva permette, ogni secolo che passa, 361 di usare i materiali a piacimento, maggiormente, avvicinandosi ai limiti dlelle resistenze strutturali fino a rendere più snelli i muri e gli appoggi. Terzo: la divisione politica in tanti staterelli autonomi toglie la maturazione del gusto crescente in un corale moltiplicarsi delle fabbriche, e ciò è causa di architetture tipiche regionali, o spesso solamente cittadine che vediamo intorno a noi. Proprio quest'ultimo punto introduce il discorso sull'ambiente nel quale sorse la chiesa presa in esame. In Lombardia siamo sotto il dominio degli Spagnoli di Filippo IV, tuttavia l'amministrazione è in mano a nobili milanesi ed il peso delle gabelle di Filippo non è troppo sentito dato che spesso non vengono pagate. Si vive in un certo benessere che tranne nei periodi della peste consente l'erezione di molteplici edifici, patrocinati dalle famiglie nobili, ad opera di artisti di corte e prettamente lombardi quali Lorenzo Prinago, Buzzi Fabio, ecc. ed il maestro fra questi Francesco Maria Richini . In Lombardia le istanze barocche erano state preparate dalle classi sociali e dal Piermarini. Il nuovo secolo trovò quindi un humus forse più che altrove preparato ad accogliere le successive manifestazioni barocche. Nonostante il terreno già pronto all'innesto del barocco in Lombardia, non si verificò una manifestazione artistica unitaria quale quella piemontese con Guarini e Vitozzi, o quella siciliana, o napoletana che improntarono intiere città ed allacciarono discorsi architettonici unici evolventisi dalle città principali in provincia con sviluppi spesso equipotenziali, soprattutto grazie al mecenatismo delle corti regali che in codeste regioni erano ben salde al potere ed intervenivano ovunque. Al contrario la Lombardia era in mano a tanti piccoli signorotti che più o meno rispettavano il potere centrale, e ognuno si faceva promotore di nuove fabbriche senza che Milano intervenisse con finanziamenti. Ecco dunque crescere fabbriche in leggera anarchia senza un filo conduttore che le unisca. A Milano, splendore di mezzi e di architetture, in provincia spesso fabbriche plu modeste. Il caso verifica della situazione si vede proprio in Legnano. Nel 1600, Legnano è un Comune abbastanza agiato; lo testimoniano le sue innumerevoli chiese (tredici) ed i suoi conventi (ben sette). Non solo, ma in essa risiede, come abbiamo visto, una delle più importanti famiglie di Lombardia; la famiglia Lampugnani. Discendenti da Odelberto Lampugnano (804) cavaliere dell'imperatore Carlo Magno (archivio storico civico Milano, Famiglie, cart. 819). Un discendente di Odelberto Lampugnani, Joseffo (il primo importante legnanese possessore del Castello) capitano di sua maestà e cavaliere jerosolomitano, figlio di Attilio, era in quel tempo molto facoltoso e potente, tanto che lo stesso Filippo IV di Spagna il 28 febbraio del 1647 362 emise una grida contro di lui (A.S.C., Famiglie, cart. 820) perchè con stuolo di bravi si proteggeva dalle truppe spagnole e non pagava le gabelle per gli eserciti del re. Proprio in una vigna di costui sorgeva una piccola cappella che sembra essere quella segnalata dallo storico milanese Bussero come presente in Legnano, ma per i fatti, ecco il racconto del prevosto Pozzo di Legnano che, nel 1650. scrive "Storia delle Chiese di Legnano" (Archivio di S. Magno Legnano). "Fra la contrada di Legnarello et l'Hospitale di S. Erasmo vi si vede in questo tempo che io scrivo una picciol capella fatta int volto con una assai vaga effigie della B. Vergine dipinta con S. Sebastiano, et S. Rocho a lati suoi, oltre che altri santi ne muri latterali in particolare S. Fran.co, S. Joseffo, S. Carlo alla quale vi fu sempre qualche divotione come quella che è posta sopra la Strada Milanese. Si accrebbe la divotione a questa cappella, che essendo fuori a caccia il S. Antonio Lampugnano fratello già del S. Cavaglier Joseffo sopra i cui beni è posta, et non so per quale accidente cascò da cavallo restando il piede nella staffa, et tirato per terra ivi a quella capeletta si fermò, raccomandandosi sifatto pericolo alla B. Vergine, et restando illeso riconobbe questa gratia da quella che però in memoria della gratia la fece questa capella cancellare con legna di noce, et li fece fabricar avanti un portico, et pur a nostri tempi uno che andava tutto curvo, et li andavano a basso li intestini, con la divotione a questa capella, confessa havere la sanità,. che però si è alla nova fabrica dedicato impiegandosi per quella di continuo. L'anno 1638 a 4 del mese di Novembre fu gran concorso a Milano per la solennità di S. Carlo dovendosi riponere il S. corpo di quello Arcivesc.vo in una mirabil cassa fatta di cristallo et argerno con una solenne processione a spese del Catholico Re Filippo IV nella quale solennità fu così copioso il concorso che li portici, botteghe sopra la piazza del domo anco di notte si videro pieni, con l'occasione di questa solennità si accrebbe la divotione fermandosi molti de passeggieri a questa capella tocchi dallo spirito santo qual voleva in quel loco fosse honorato la Regina de Cieli, et doppo questa solennità e anche sempre crescendo il concorso in modo che le feste si vedevano venir molti da tutte le parti, professando molti haver havuto delle gratie. Et una non devo tacer ... del borgo di Busto indemoniata essendo venuta alcune feste ci questa capella con sentimento di conseguir qualche gratia, il giorno de S. S. Innocenti del med. o anno 1638 fu accompagnata cola con molti stridi che mandava, et ivi stette per spatio 363 di tre hore avanti il giorno riempiendo quel contorto di stridi alla fine cadè tramortita, et portata nella terra al fuoco non senti altri ritornando alla medema cappella all'hora, et doppo in ricognitione della gratia l'anno seguente nel mese di Aprile Giò Pietro Rontio da Gorla Maggiore pieve di Busto havea un figliolo d'età d'anni 4 in circa è questo venne il male della pietra et facendogliela cavare dal Chirurgo Molt'Albino da Peveranzo presso Carnago restò morto, et quanti erano presenti lo videro spirare, in quel ponto la madre s'invotò a questa B. Vergine. et videro in un subito il figliuolo ravivarsi, et vedendo ci rendere le gratie con portar un quadretto del successo, vennero ancoa deponere il fatto. Molti professano delle gratie quali a co nell'ottenere la facoltà di poter fabbricar la nova chiesa si sono esibiti nell'Arciv.to molti anco hanno fatte larghe elemosine, quali essendo arrivate è qualche somma fu deliberato fabricar una nova chiesa stando che la capelletta fosse troppo vicina alla strada ne si poteva ampliare . Venne l'Ingeniero Richino, qual in materia di Chiese fu sempre in gran stima, et fatto il modello si esebì a Mons. Cesare Visconte come prefetto deputato sopra le fabriche qual aprovò quanto fu messo in carta, et esebito a S. Em.a se ne riportò ogni opportuna facoltà con un rescritto della Cancelleria del tenor seguente. Blasius Constantius I.U.D. Prothonotarius Ap.licus Emin. mi ac. Rev.mi D.D. Cesaris S.R.E. Pbri Cardinalis Montii S. Mediolanens. Eccl.ae Archiepi Vic. Glis. Ecclesiae sub invocatione Nativitatis B. Virginis Mariae apud vias Legnarelli parochialio Legnani Med.ni Dioces. Construensitum, formam, ac dessignationem hac pictura de Architecti penso judicio, et consilio expressam, et è Per Ill.mi et Ad. Rev. D. Julio Cesare Vicecomite Prefecto Fabricarum Ecclesiasticarum recognitum, et approbatum atque instrutionibus fabric. Ecclesiasticarum rationibus congruam: Nos approbamus ad eiusdemque praescriptae omnis dessignationis typum formamque istius Ecc. ae instructionem, aedificationemque fieri, et confici his nostris concedimus. In quorum fidem ect. Datum Mediolani ex Pallatio archiepli die 15 mens. Yuli 1641. Signatum Blasius Constantius Vic. Glis Jo. Da.pta Pellizonus Can.s S. Stefani et Vicecancell. Archieplis. Il 21 luglio del medesimo anno 1641 in giorno di Dominica stando di già in fronto gran quantità di calce, pietre, mattoni il tutto preparato mediante la diligenza del S.r. Cavaglier sopra una vigna contigua a questa capella ove il med.o S.r dava il loco, et sito per la nova chiesa doppo il vespero essendosi di già il popolo congregato nella Prepositurale per esser la 3° Dominica giorno nel quale tutto l'anno (sic) si espone il S. S. mo Sacramento fatta dico la processione, et quello riposto subito s'inviò il 364 Popolo, qual era numeroso con anche le schole de Disciplini verso Legnarello alla capelletta, et accostatosi il Prevosto cò, il clero al piede della croce che alcuni giorni avanti era piantata al loco per l'altar della nuova chiesa destinato ivi presso era fatta la fossa per il fondamento della nova chiesa medema, et stando preparando un tavolino coperto di tapete di seta sopra di quello si vedeva una pietra quadrata et benedetta nella solita forma del sacerdote Romano fu dal Prevosto posta nel mezo del fondamento della capella maggiore è dirimpetto dell'altare in quella maniera che si prescrive cantate le litanie al rito romano stando intornzo il numeroso popolo. Il giorno seguente si proseguirono li fondamenti alzandosi la fabrica fuori di terra all'altezza in circa de Br. 8. Si attendeva d questa abrica, et passando un carro con matteria per servitio della med.a fabrica il 23 agosto del 1641 urtò per poco accedimento in una colonnta del portico che avanti a questa capella vi era come già dissi, et questa andando a terra li andò andò tutto il tetto sotto di questo stava unz passaggiero orando alla B. Vergine et benchè li venisse parte del med. o tetto con legnami restando intatto et illeso da tal riuna, et la lampada stessa che ardeva nel mezo del med. o portico non si ruppe sotto a tale ruina. Ricortoscendo q. to huomo la salute in simil caso della B. Vergine nel ritorno che fece dalla città venne a deponere il caso. QUesto fu un Gio. della Croce di età d'anni 31 figliuolo d'un Antonio detto Tortiolo Pontemai Dioces. di Novara, terraposta al principio della Valle d'Antigolo. L'arno seguente cioè il 1642 del mese di Aprile si ripigliò questa med. a fabrica et in 15 giorni s'alzò due pontade intorno, et fu necessario fermarsi principalmente per mò esserne pietre cotte, et in breve spatio di tempo il tutto fu in ordine come anco alcune pietre piccate che si fecero condur da Somma si per fortezza della cornice di dentrio, come per ligati nelle stesse mura, oltra legni, et chiave di ferro, quali circondano la fabrica tutta, et si ripigliò la fabrica nel mese di luglio sino al coprirla tutta riserbandosi la volta all'anno seguente. Ne sia meraviglia che in tempo si calamitosi si potesse avanzar tanto in questa fabbrica l'assistenza di questi sig.ri fu sempre sin dal principio più che ordinaria, et lemosina della legna per cuocere le pietre fu abbondante concorrendovi non solo la terra di Legnano ma anco molte altre, cossi invitati è sovenir quest'opera da RR. Curati quelle". Come dice il Pozzo è dunque un signorotto locale miracolato a far erigere una chiesa senza il minimo interessamento di Milano. Viene il Richini? Forse, ma ecco che la costruzione, pur se ben plasmata, si trova spaesata lungo il Sempione e vicino a case, conventi, e chiese cinquecentesche che la attorniano ed il discorso architettonico urbanistico unitario tipico di tanti paesi piemontesi o meridionali barocchi 365 qui manca del tutto. All'infuori del documento citato da padre Pozzo, non si sa molto sulle origini della chiesa. Nel testamento del cav. Joseffo (Archivio Ospedale Maggiore di Milano cart. 11) si menziona la di lui patrocinazione della chiesa, un lascito di mille lire, l'obbligo delle Messe e la volontà di essere sepolto in un angolo della chiesa ove infatti si vede una lapide al suo nome che copre una cella sotterranea, in cui sono i corpi dei Lampugnani. Questa infatti è, al di la della narrazione favolistica secentesca, la motivazione e la vera funzione dell'edificio. Esso costituisce il mausoleo della famiglia Lampugnani, essendo stato vietato, dopo il concilio di Trento, ai privati trovare sepoltura nelle chiese (i personaggi importanti all'interno della chiesa, quelli minori fuori nel cimitero, es. piazza S. Magno). I Lampugnani non potevano più usufruire delle loro tombe sotto il pavimento di S. Magno, avevano quindi dovuto costruirsi una cappella privata, in cui trovare posto per l'eterno riposo ed affinchè assumesse un aspetto di chiesa normale avevano istituito un lascito per l'altare, mantenendovi anche un sacerdote per le messe. Sotto il pavimento della chiesa essi si feecero tumulare. (La cellula funeraria ora sigillata fu scoperchiata ventisette anni fa per il rinnovo del paviimento ma la sbadataggine degli intervenuti ha fatto in modo che non sia stato fatto un rilievo della tomba. Essa viene però descritta come semicircolare, fatta come un coro e nel sedile a gradino sono posti i feretri seduti di due signorotti armati (Joseffo e un collaterale cavaliere Tranquillo Lampugnani) nonche' quella Bianca Lampugnani e sposa al Lampugnani stesso qui sepolta con il suo abito nuziale. Vi sono poi documenti che descrivono le successive donazioni alla chiesa e trasformazioni in oratorio fino al lascito della stessa da parte di Attilio Lampugnani, nel 1756, all'Ospedale Maggiore di Milano. Inoltre sono segnalati nell'Archivio di Stato di Milano (Fondo Religione, cart. 764) le dotazioni i bilanci, la presenza dei documenti di fondazione (non rintracciati) e l'annessione, probabilmente nel 1700 circa, di una parte posteriore adibita ad oratorio della Confraternita del SS. Sacramento, per la costruzione della quale venne demolita parte della cappella dietro la chiesa. Nessun riferimento al Richini dunque, se non quello di una perizia calligrafica stesa dalla prof.sa Liliana Grassi circa un disegno della chiesina rintracciato in una cartella dimenticata di documenti ancora da registrare presso l'Archivio dell'Arcivescovado di Milano; pero' bisogna precisare che proprio le cartelle utili che erano presenti in A.S.C. (Localita' foresi, cart. 888) sono andate distrutte. Comunque anche le cartelle all'Archivio di Stato "746 Ingegneri camerali" riguardanti il Richini, non portano 366 riferimenti a Legnano. Negli elenchi sono indicate le giornate dedicate ai vari lavori lombardi del Richini e non vi è Legnano, penso per due motivi: primo, il lavoro non era importante, secondo, era fatto da un privato in lotta col potere centrale e quindi tenuto quasi nascosto. Comunque, proprio nel 1640, F.M. Richini ricevette l'investitura ad ingegnere camerale; quindi è molto probabile il suo intervento un anno dopo in una fabbrica cosi vicina a Milano. L'edificio oggi si presenta, in pianta, come formato da un corpo centrale quadrato, i cui spigoli sono stati troncati mediante l'inserzione di lesene racchiudenti finte porte in basso e nicchie con statue nella parte alta. Tali inserzioni vengono a costituire un ottagono con lati alternati lunghi e corti. Nelle pareti di testa e di fondo sono aperti due archi che inseriscono al corpo centrale due cappelle; una per l'organo, l'altra per l'altare. La cappella dell'organo cui si accede dalla facciata, è coperta con volta a botte e presenta nella lunetta sopra il cornicione una finestra quasi quadrata con voltino curvo che si apre in facciata. La cappella dell'altare maggiore è coperta da una crociera ribassata e nelle tre lunette si aprono 4 finestre uguali alla precedente. Quella sopra l'altare è chiusa in seguito alla chiara aggiunta dell'oratorio. La chiesa è stata prolungata nel 1700 con un edificio a due piani, con in basso un'aula unica coperta a padiglione ed in alto con stanze per il canonico, a cui si accede mediante una scala inserita in un corpo di muro sulla sinistra della chiesa e che comprende la sacrestia, il vestibolo, il campanile ed un vano secondario. Il vano centrale della chiesa ad ottagono è coperto con una volta a crociera rialzata al centro, in cui costoloni sembrano riempiti a formare quasi otto vele; quattro grandi e quattro piccole che si riuniscono in un piano ottagono centrale anch'esso con i lati più piccoli verso gli spigoli del quadrato di pianta. Nelle lunette piane formate sui fianchi da due dei quattro archi reggenti la volta, si aprono ancora le finestre quasi quadre. Le lesene interne sono tutte in ordine Jonico. L'imponente cornicione taglia in due l'ambiente, suggerendo un aereo distacco delle coperture. I marmi delle cornici e dell'altare sono aggiunte settecentesche. Notevoli sono i porta lapidi alla base delle lesene fiancheggianti le quattro porte che, dalla fattura, rivelano origini secentesche. L'esterno si presenta, tranne per la facciata completamente lisciata, in cotto, l'ottagono viene denunciato sul fianco destro ove l'aggiunta settecentesca rivela la sua entita a causa di profonde crepe che la separano nettamente dal corpo vecchio e grazie alle finestre rettangolari, 367 col bordo non intonacato e con una cornice settecentesca, che si rivelano subito posteriori. Tutte le facciate sono scandite da lesene che le incorniciano con misurata eleganza tagliate a mezzo da un semplice cornicione di cotto che prosegue idealmente quello di facciata. La copertura è a capanna sulle due cappelle di testa e coda e sul vano centrale è ottagona con i lati corti. La chiesa si presenta sopraelevata rispetto la strada con un salto di m. 1.80 che la rende più slanciata. La facciata non indulge a preziosismi, è a due ordini: dorico e corinzio, culminata da un timpano in cui le lesene mediane proseguono. La larghezza della facciata è maggiore di quella del corpo avanti della chiesa e quasi nasconde a chi entra la sua natura ottagona, dividendosi inoltre in tre parti come se la chiesa fosse a tre campate. Nella parte centrale inferiore è sistemato il portale fatto con una cornice sormontata da un ovale decisamente posteriore con una Madonna. Sopra il grande cornicione si apre solo la finestra del vano organo quasi quadrata, contornata da una semplicissima cornice che nella parte superiore acquista un'aggraziata linea arcuata; nelle campiture laterali sono rilevate delle cartelle con spigoli sagomati a sguscio. Sopra il complesso che presenta suIIa destra un portico a un fornice con volta a vela (è un ampliamento del portale poi spostato dalla facciata del 1600 rifatta) si erge un campanile che alla base interna acccusa una notevole vecchiaia, ma all'esterno tradisce un rimaneggiamento settecentesco ed un restauro dei primi del Novecento. La singolarità della pianta e la menzione sul Richini mi inducono ad esaminare un altro monumento sicuramente dello stesso architetto: il S. Giuseppe (l607-30) di Milano. Sul S. Giuseppe vi è una preziosa descrizione del Torre (il Ritratto di Milano - 1674) riguardante l'aspetto e le opere di questa chiesa. Parlare di attribuzioni è forse eccessivo, tuttavia per molti caratteri la nostra chiesa della Beata Vergine Maria si avvicina, sia pure come manifestazione artistica di tono minore, alle caratteristiche morfologiche dell'architettura Richiniana. Vediamole. Il primo: lampante parallelo a quello piantistico o del S. Giuseppe milanese. Una delle peculiarita del barocco fu quella delle trasformazioni delle piante geometriche del Cinquecento a piante cosidette plastiche, sul tipo della ellittica. Vediamo in Piemonte le piante mosse dal Guarini, e le sue volte talvolta incredibili, a Roma il S. Carlo del Borromini, in cui ogni punto di vista fa scoprire nuovi giochi di superfici concave e convesse, o il S. Ivo, in cui alla fantasiosa stellarità della pianta corrisponde una ancor più fantastica cupola impostata su un perimetro trilobato e tricuspidato, ed un esterno scenografico e mai riposante per chi guarda 368 grazie ai suoi continui cambiamenti di piani. In mezzo a tanto fervore inventivo anche il Richini ebbe la sua intuizione. "Ad osservare i suoi studi si scopre una tendenza a non lasciarsi irretire dal filo di una magia senza confini. Il Richini fissa un asse attorno al quale fa ruotare il suo pensiero, tendenza ad accentuare lo scatto longitudinale e cioè allungando sentitamente la cappella lungo l'asse" (Grassi). Infatti le due chiese di Legnano e Milano presentano pianta centrale ottagona, in cui l'asse principale è stato allungato mediante una cappella d'ingresso ed una abside. Mentre però la chiesa legnanese indulge più tipo del S. Remiglio di Milano (1630) di Fabio Mangone Torre ora distrutto, quella di S. Giuseppe si avvicina allo schema del S. Giovanni alle Case Rotte, per delle cappelle radiali del vano abside. Ma se l'impianto generale non è proprio identico, quasi identici sono i lati corti dell'ottagono centrale. In entrambi i casi infatti si hanno elementi che li staccano dal corpo della chiesa. In Legnano lesene, a Milano lesene e colonne. Vi sono quattro porte nella parte inferiore di tali lati, a Legnano tre finte e una vera, in Milano quattro vere. Sopra le porte in Milano sono sistemate delle nicchie aperte in un vano scala con delle balaustre, in Legnano non essendo possibile per modestia di mezzi e proporzioni costruire i progetti si supplì con nicchie nelle quali furono sistemate quattro severe statue. In tutte e due le chiese troviamo l'ordine jonico tanto caro al Richini. Sopra i capitelli si stendono poderosi cornicioni, i cui respiri non differiscono molto se non in Legnano, per l'esser stato tornato dalle successive decorazioni. Per quanto concerne il vano organo, in entrambi i casi, le proporzioni e le soluzioni sono identiche, persino la porta d'accesso all'organo. Dietro l'organo la finestra quadrata, sopra la volta a botte. Anche il vano absidale, se si escludono le cappellette radiali in Milano, assenti a Legnano per la piccolezza della chiesa, ma segnate mediante un approfondirsi delle pareti tra le lesene, è risolto in modo uguale con una crociera di volta e tre lunette, nelle quali si aprono finestre del solito tipo. Un terzo esempio di tale copertura si trova nel S. Carlo ad Arona, in cui però la soluzione è ingigantita e le finestre sono portate a quattro. Per il vano centrale la somiglianza non è rispettata. In Milano vi è una cupola su pennacchi, soluzione ricca ed impegnativa, già presente nell'abside del S. Carlo. In Legnano è una volta a crociera mutata in ottagono con l'inserzione di piccole vele negli spigoli. Al centro vi è una cartella pure ottagona. Orbene, questa soluzione si trova in genere in una famosa costruzione del Richini: il palazzo di Brera, infatti in tutti gli incroci dei corridoi sono ricavati dei vani a fianco, in cui le coperture sono molto vicine a Legnano. 369 Le finestrature sono per forma ed ubicazione molto simili nelle tre chiese menzionate, ed in Legnano, presentandosi con la cornice intonacata, annunciano una delle caratteristiche del Richini: fabbrica a mattone nudo con i fori dei ponteggi e le predette sagome intonacate. Anche la finestra in facciata cosi quasi quadrata e con il bordo superiore sagomato è elemento caro al Richini e presente anche a Milano ed Arona. La facciata poi, alta ben raccolta nelle lesenature ascendenti, con quel suo sviare la visione ottagona, rivela intenti e gusto uguali. Anche i cornicioni ad un attento esame, rivelano essere quasi identici tranne nelle aggiunte decorative dei timpani milanesi. Sui fianchi ovviamente si torna a notare la differenza di natali delle chiese. In Milano si continuano lesene e capitelli ed i muri sono intonacati, in Legnano ci si limita a costoloni senza capitelli e ad un cornicione in cotto appena accennato, anche se il disegno allungato e gli aggetti dei volumi sono uguali. Un'ultima cosa: nel portale trascurando il sovraportale milanese con le colonne ed il timpano, si pui, notare un uguale senso delle proporzioni nelle cornici che nel caso di Legnano si avvicinano a due tipi di porta presenti nel cortile di Brera, in cui gli spigoli superiori sono stati arrotondati con soluzione nuova tipica del Barocco che avrà molta fortuna nel Settecento. La chiesa fu sempre benvoluta dai fondatori Lampugnani, i quali la dotarono di buone opere d'arte. Prima fra tutte la pala (trittico) d'altare dipinta con mano più cinquecentesca che barocca, ma in modo squisito da Francesco Lampugnani, legnanese. Rappresenta una Madonna con i classici S. Sebastiano e S. Rocco che riecheggiano quelli posti nella cappella maggiore di S. Magno, ad opera di B. Lanino. Il dipinto ad affresco con cornice di gesso e ln buone condizioni. Sempre alla mano dei Lampugnani si devono le decorazioni e le figure di S. Francesco e S. Giuseppe poste sulle pareti della cappella dell'altare, che ripetono le interpretazioni di ornato tipiche di questi pittori con i colori blu e grigi già splendidamente visti nelle grottesche della cupola della Basilica maggiore di Legnano dipinte dal Gian Giacomo. Nell'aula centrale si vedono ora a destra ai lati destro e sinistro due ricche cornici ovali di marmo nero, in cui si trovavano due tele del pittore Stefano Maria Legnani detto il Legnanino ora trasportate nella cappella dell'altar maggiore della chiesa di S. Maria delle Grazie in Legnano. Esse sono di grandi dimensioni (m. 2 x 2,98) e rappresentano due scene piene di grazia e dolcezza con la nascita e l'assunzione della Madonna ed erano il vero capolavoro della chiesina. Quando vennero trasportate, ci si occupò di non lasciare il muro a nudo e venne incaricato nel 1828 il pittore legnanese Beniamino Turri perchè ne eseguisse le copie ad 370 affresco all'interno delle cornici. Queste copie hanno risentito della troppa umidità proveniente dal tetto ed un maldestro ritocco a tempera, nel 1950 le ha rese quasi irriconoscibili. Per contro molto più integro è il soffitto decorato a stucchi da Daniele Turri con inserite tra i putti e le lesene delle stupende scene ad affresco dipinte dal figlio di Beniamino Turri, Mosè senior. Questi affreschi unitamente a quelli deterioratissimi della chiesa delle Grazie ed ai quadri ad olio in S. Magno sono le opere più belle lasciate a Legnano da questo artista nostro cittadino. Non mancano nella chiesina della "Madonnina" i marmi preziosi scolpiti, particolarmente cari alla cultura del 1600, tra i quali si distinguono le lapidi funerarie dei Lampugnani mirabilmente lavorate in marmo nero. Già abbiamo accennato al fatto che la chiesetta era posta lungo l'antica Strada Magna ora Sempione. Orbene, questa sua particolare ubicazione ed il tipico gusto secentesco di unire l'estetica alla funzionalità fecero si che essa venisse dotata nel suo esterno di ben tre meridiane poste rispettivamente ad est, a sud ed a sud-ovest. Queste tre meridiane erano ben visibili dalla strada sia andando che venendo da Milano ed erano studiate in modo che quella ad est recepisse le prime luci segnando le albe per poi passare l'indicazione delle ore centrali a quella grande posta a mezzogiorno, la quale a sua volta verso sera era coadiuvata dalla terza verso ovest che segnava i tramonti. La chiesina costituiva quindi un vero orologio solare con le sue mura esterne ed aiutava i viandanti nel loro cammino. Le meridiane erano tutte impostate su scenografie con stemmi, volute, paesaggi e motti latini, ma sono rimasti solo la grafia delle linee delle ore incise nell'intonaco, i colori delle scene sono spariti. Nel 1984, grazie all'intervento del Club Antares di Legnano, della Famiglia Legnanese e della contrada di S. Erasmo, esse sono state restaurate nelle loro parti tecniche di linee equinoziali, solstizii, ore, gnomoni ecc., ma si è dovuto rinunciare al recupero delle parti decorative perchè troppo compromesse. Percorrendo il Sempione, non con l'automobile (troppo veloce), ma a piedi possiamo ancora oggi rimirare il pregevole effetto di questo "laboratorio solare" unico nel suo genere in tutto il circondario di Legnano. Nelle precedenti note riguardanti la chiesa di S. Ambrogio e le sue secolari disavventure edilizie era emerso chiaramente come la piccola società legnanese del 1500-1600 fosse piena di iniziative e risorse. Mai paghi del decoro delle loro chiese o cappelle gli abitanti avevano non solo edificato ed abbellito S. Magno, ma anche riedificato ex novo S. 371 Ambrogio alla fine del secolo terminando i lavori verso il 1610. Il medesimo fervore rinnovatore nell'anno 1612, venne dedicato ad una piccola cappella esistente fuori Legnano verso sud, sulla strada che porta a S. Giorgio. Lungo questa antica via che raggiungeva da più di mille anni luoghi di inumazione preromani esisteva una costruzione molto piccola risalente a prima della peste del 1575. Era di aspetto rustico e conteneva un affresco raffigurante una Madonna con il bambino ed ai lati le figure di S. Rocco e S. Sebastiano. Nel 1582-83 già alcuni devoti si erano incaricati di costruire un piccolo oratorio a tempio che inglobava la primitiva cappellina, denominandola Nostra Signora delle Grazie, per ricordare i molteplici prodigi attribuiti all'antica Madonna. Buon ultima la guarigione di due ragazzi sordomuti, figli dei molinari vicini al castello di S. Giorgio che, durante un temporale, si erano rifugiati vicino all'affresco, il quale aveva preso a parlare con loro, dicendo di edificare un portichetto. Evidentemente non paghi della dimensione della chiesa i Legnanesi nel 1610, ripresero a fare sottoscrizioni per modificare ed ingrandire l'edificio. Queste due date: 1583 e 1610 corrispondono ai periodi di due grandi eventi nella storia di Legnano. Il primo è l'anno in cui grazie alle pressioni delle famiglie nobili legnanesi ed alla valorizzazione della chiesa di S. Magno, Legnano prepara il riscatto della Prepositura che riuscirà a sottrarre nel 1584 a Parabiago. Tutta la città era quindi tesa ad erigere monumenti ed abbellirsi. La seconda data 1610 corrisponde all'anno in cui, con il concorso dell'ing. Francesco Maria Richini a Legnano viene rigirato l'orientamento degli ingressi e facciata di S. Magno. Si costruiscono un nuovo portale e contorni marmorei delle finestre nella basilica maggiore. Si progetta l'innalzamento dell'antico campanile romanico. Si sta terminando l'ampliamento della chiesa di S. Ambrogio. Poichè l'oratorio di S. Maria delle Grazie, troppo angusto non doveva piacere, fu deliberata una costruzione più imponente, ma i disaccordi sulla scelta del luogo, ove impostare la costruzione, fecero si che, solamente nel 1611, il 4 di ottobre, si ponesse la prima pietra nel mezzo delle fondazioni del muro di fondo del coro. Nel 1612 proseguirono i lavori con le fondazioni della cappella maggiore, del campanile e della sagrestia fino all'altezza delle cappelle laterali mentre nel 1613 vennero elevate le pareti e finiti i muri della cappella maggiore fino al cornicione. Qui cominciarono i guai; infatti nel 1614, posta in opera la volta della maggiore, questa subito crollò. Perso un poco di entusiasmo, i Legnanesi rifecero la cupola nel 1615, ma sospesero anche i lavori, facendo chiudere l'arco trionfale con un muro, quasi a 372 formare una chiesa molto più piccola. Nel 1616 e 1617 vennero eseguiti lavori di completamento dell'altare e si fece una porta provvisoria per dire Messa. Fu quindi ingabbiato il muro con l'affresco venerato del piccolo oratorio preesistente ed il tutto trasportato il giorno 29 ottobre 1617 nella nuova cappella . Il già citato prevosto Pozzo, nelle sue memorie racconta come, la notte della traslazione di questa immagine, alcuni operai, posti a guardia degli arredi interni, poichè la chiesa non era finita e sicura dai ladri, ebbero una visione di angeli venuti a genuflettersi davanti all'affresco venerato, e come questo fatto riferito il giorno dopo fosse da tutti molto discusso, ma non spiegato. Evidentemente il racconto era stato divulgato perchè la popolazione accettasse di buon grado la distruzione della cappellina più antica e venerasse ancora l'immagine ora spostata. Si era cioè violentato l'atavico concetto di luogo sacro, posto da sempre in un certo punto dell'antica strada, e bisognava far superare alla popolazione il senso quasi feticistico di identificare un sito o un muro come evocatori di miracoli . Inoltre bisognava rimediare al fatto che il crollo del 1614 era stato interpretato come cattivo presagio. Dopo questa accettazione della nuova chiesa, la popolazione riprese ad edificare, finendo la sagrestia e impostando le fondazioni della navata anteriore e delle cappelle. Nell'anno 1649 finalmente la fabbrica raggiunse il compimento e furono edificate le cappelle e la volta a botte della navata centrale. In facciata posero un semplice portico con due colonne e tutta la costruzione venne lasciata a mattoni a vista. Da un punto di vista architettonico il santuario non rappresenta sicuramente un passo importante nella cultura del 1650. Molto più incisiva nel disegno delle masse e nelle novità spaziali sarà la chiesetta della Madonnina fatta eseguire nel 1641 dai Lampugnani. Con ogni probabilità furono le difficoltà iniziali costruttive ed il troppo tempo impiegato per l'edificazione (dal 1612 al 1650) ad impedire alla chiesa di S. Maria delle Grazie di divenire un piccolo capolavoro come già si era dimostrato, nel 1500, la basilica di S. Magno. Mentre quest'ultima rappresenta piantisticamente un'invenzione pregevole, il santuario delle Grazie tenta di riecheggiare, con quasi quarant'anni di ritardo, la chiesa del Gesù di Roma (1568-1575). Quest'opera sorta per voler del Cardinale A. Farnese per mano prima del Vignola e poi di Gian Battista della Porta, rappresenti, un fondamentale tipo di architettura ricca, 373 lussuosa e movimentata di quel periodo. Esuberante in ogni sua decorazione ed in ogni sovrapporsi di parti architettoniche questo edificio, tipicamente gesuitico, ottiene immediato effetto voluto sull'osservatore: la "suggestione per ricchezza". Nella facciata coesistono in armonica costruzione, varie forme architettoniche come cappelli frontoni, volute, nicchie con statue, lesenature, finestre, che si inseriscono una nell'altra. Al contrario la pianta è molto semplice e riproduce una grande navata unica coperta con volta a botte, lungo la quale si sviluppano tra piloni massicci le nicchie delle cappelle. La parte di navata occupata dall'altare viene ricalcata ed evidenziata da una cupola inserita sopra i grandi cornicioni. Il disegno generale è quindi molto composto e lascia alla decorazione il compito di arricchire le superfici . scomparso il transetto e lungo le pareti si allineano le cappelle pronte a divenire altari, cui le famiglie nobili potranno lasciare messe e dedicazioni o addirittura innalzare monumenti funebri. Lo stesso schema piantistico si rivela presente nel santuario della Madonna delle Grazie a Legnano: unica navata con brevi cappelle lungo i fianchi della chiesa. Sopra l'altare una cupola, oltre l'altare ancora una breve cappella destinata a contenere il coro. Se l'impianto è uguale, non sono però al medesimo livello i materiali usati. Nella chiesa del Gesù si passa da una cappella all'altra in un continuo scandire di colonne, cornici, nicchie di marmo. Qui in Legnano i muri sono lisci ed intonacati, i cornicioni ricavati con mattoni sagomati, sono molto spartani e viene proprio a mancare la "suggestione per ricchezza" che in Roma valorizza l'ambiente della chiesa del Gesù. Quando il nostro santuario nacque, le idee dei costruttori dovevano essere un poco confuse, e con ogni probabilità diede un contributo alla confusione anche l'architetto padre Antonio Parea di Novara. Questi inviato a Legnano dal cardinale Federico Borromeo per la scelta del iuogo ove far sorgere la chiesa, come prima soluzione propose un edificio a pianta ottagonale ricavato sezionando gli angoli di un quadrato, coperto da una grande volta a spicchi piani e disuguali sugli spigoli dell'ottagono. Gli spicchi dovevano riunirsi in una grande lanterna ottagonale al centro della cupola. L'ingresso era ad est e nell'interno sono segnate sei grandi colonne destinate a sorreggere un imponente baldacchino. Forse per timore di accinersi ad una così complicata struttura a volta, ma anche a causa del fatto che ancora una volta la chiesa sarebbe stata troppo angusta, i Legnanesi iniziarono a costruire un edificio totalmente differente. Fu infatti impostato un semplice quadrato aperto ad est, di lato m. 9 x 9. Sui due fianchi fecero solo le fondazioni, a sinistra della 374 sagrestia, mentre sulla destra scavarono un grande ambiente sotterraneo, con muri spessi circa m. 1,20, raggiungibile con una scala. Questo ambiente usato come ripostiglio, accoglie le fondazioni in mattoni e sassi del campanile, che lo occupano quasi per metà. Sopra il primo quadrato che costituisce la cappella maggiore fu impostata una volta circolare in mattoni. La prima eseguita crollò. Miglior sorte ebbe la seconda. Ad un esame statico essa ancor oggi rivela un'estrema leggerezza e camminandovi sopra la si sente flettere sotto i piedi. In questa porzione di fabbrica venne sistemato l'altare con il pezzo di muro recante l'affresco venerato. Per il trasporto di questo dipinto i capomastri avevano costruito una struttura lignea con travi e tiranti imbullonati da passanti metallici, in grado di garantire al muro affrescato la sua integrità. L'ingabbiatura è ancora oggi visibile sul retro dell'altare. La chiesa appena iniziata venne consacrata ed i lavori segnarono il passo. L'architetto Parea si premurò di suggerire la continuazione dei lavori in modo da creare una sorta di pianta a croce, in cui la navata centrale fosse affiancata (dopo il transetto) da due navate laterali. Mentre però l'inizio del corpo centrale era scandito da quinte di muro formanti due grandi cappelle laterali, la restante parte delle navate era senza cappelle e divisa da due colonnati. Questo strano pasticcio era un ripiegamento del Parea, che tentava di riportare a navata centrale una chiesa, di cui i Legnanesi avevano gia tracciato le fondazioni per le cappelle laterali in modo da formare una pianta a croce greca con quattro grandi cappelle attestate su un quadro centrale. Fortunatamente sia il lavoro non troppo ben pensato dei Legnanesi che i suggerimenti dell'architetto Parea non vennero perfezionati. Anzi, nel 1649, su suggerimento dell'ing. Francesco Maria Richini il giovane, autore della chiesa della Madonnina sul Sempione, l'edificio fu risistemato, eliminando le fondazioni già gettate per le cappelle, ingrandendo lo spazio della navata centrale coperta poi con una volta a botte. Sui lati della navata stessa il progettista sistemò tre cappelle per parte, di cui quelle al centro più grandi (m. 6,90) e coperte con volta a botte le altre (m. 4,90) Tramite piccole volte a crocera. A portare a termine i lavori fu, nel 1650, l'architetto Barca di Ghemme. Si creò cosi un effetto sia di chiesa a navata unica con cappella ed altari allineati sui lati sia di chiesa a croce greca con il lato dell'altare aperto verso la èiù antica struttura con volta a cupola. La sensazione all'interno data dai piloni allineati riporta alla chiesa del Gesù. Anche le finestrature nelle cappelle e sopra il cornicione contribuiscono ad allungare 375 l'immagine della chiesa. In facciata venne sistemato un portico sorretto da due colonne. Di esso non è rimasta traccia poichè, nel 1863, fu abbattuto risistemando la facciata stessa troppo aggredita dall'umido. I Legnanesi la riedificarono nel 1893 in cotto a vista e scandita da lesenature. Vennero mantenute le cornici delle finestrature cieche che ancora richiamavano le linee suggerite dal Richini. Questa facciata ebbe un portone rettangolare e fu chiuso quello ad arco presente sotto il portico abbattuto (se ne intravede ancora la linea di chiusura sotto gli intonaci). Nel 1936 anche la facciata in cotto era rovinata dalle nebbie e dall'umido delle marcite. Si pensò quindi di ripristinarla in marmo travertino, seguendo le linee architettoniche di quella del 1893, coprendo gli affreschi del pittore Mosè Turri senior, ed aprendo realmente l'antico finestrone richiniano che campiva la parte superiore centrale. In questa occasione, sopra la porta d'ingresso, venne ricreato un piccolo portico con un timpano marmoreo sorretto da due colonne, in ricordo sia di quello distrutto sia della leggenda riguardante la Madonna venerata che, parlando ai due ragazzi sordomuti li aveva esortati a chiedere al loro padre di costruire un portichetto davanti all'antica edicola. Sempre riferendoci alle parti esterne dell'edificio, è doveroso ricordare che, nel terreno circostante la chiesa, l'anno 1894, vennero edificate due serie di cappelle, una dedicata ai misteri dolorosi, l'altra a quelli gloriosi. Le edicole tutte in muratura di mattoni e sagome cementizie con due colonne ciascuna in arenaria, furono impostate con stile secentesco. Nel riquadro centrale il pittore cremonese Bacchetta ideò degli affreschi terminati nel 1895. La grande umidità esterna tuttavia rese presto marcescenti questi intonaci affrescati tanto che, su invito di mons. Gilardelli, nel 1930, fu dato incarico al pittore Gersam Turri di dipingere nuove scene sui muri ormai bianchi. Le vigorose scene piene di efficacia emotiva e di tecnica pittorica sono purtroppo anch'esse state aggredite dall'atmosfera poco clemente della zona e rimangono solo in parte integre ove la pioggia o le infiltrazioni nelle edicole non hanno provocato guasti. In questo decennio la chiesa ha subito alcuni interventi risanatori che sono consistiti principalmente nell'isolamento del tetto, mediante membrane plastiche, dalle piogge e dalle infiltrazioni attraverso le tegole. Nell'ingrandimento della gronda, per protegggre maggiormente la radice dei muri, sono stati sostituiti tutti i canali e le converse con rame e piombo. Il campanile con la cella campanaria è stato consolidato, per evitare rotture alle sospensioni delle campane. Tutto intorno all'edificio è infine stata 376 creata una larga intercapedine, per impedire all'umidità di ascendere ed infradiciare gli intonaci esterni ed interni già troppo compromessi. Infatti anche molte delle affrescature antiche interne sono state aggredite dall'umidità. Quando nel 1650 la chiesa fu ultimata nelle sue parti murarie, grandi zone dell'interno erano state lasciate con i muri a mattone a vista. Il livello del terreno, su cui la chiesa era stata edificata, si trovava a circa 55 cm. dal pavimento delle attuali cappelle, rialzato nel 1932. Le cappelle della navata e dell'altare maggiore erano state intonacate con calce aerea e sabbia. Questo intonaco originale è emerso al piede dei pavimenti nel 1983, quando è stato sostituito quello in cemento posato nel 1930 sopra uno strato di terra e ceneri. La sostituzione si era resa necessaria a causa delle rotture apertesi nel pavimento in cemento e perchè, lungo i muri perimetrali, il sottofondo, a contatto con le pareti, induceva umidità negli intonaci. Eliminato il pavimento in cemento e portati via i riempimenti di terra sopra il piano antico della costruzione, è stato creato un vespaio areato appoggiato su muricci e tavelloni isolati dall'umido. Nei cunicoli del vespaio è stato anche inserito il sistema di tubazioni del riscaldamento ad aria calda, per uniformare la temperatura ambiente e diminuire la velocità di immissione aria, ottenendo un maggior confort per i fedeli nonchè minor pericolo per le opere d'arte interne. Il nuovo pavimento è stato realizzato con granito limbara e rosa Baveno lavorato a cesellario. La durezza del materiale garantirà una durata notevole. Purtroppo il problema di risanamento sarà molto più arduo per le opere artistiche; infatti se è vero che si è finalmente fermata l'acqua ascendente e discendente, molto grave è lo stato attuale di sfioritura delle superfici. Abbiamo già accennato come alla nascita venissero intonacate solo le sette cappelle. Su questi intonaci non esisteva praticamente decorazione ad ecccezione della Prima cappellina a sinistra di chi entra, che era dedicata a S. Mauro. Sulle pareti erano stati fatti affreschi molto sommari con decorazioni a cornici e fiori e le immagini di S. Mauro e della Madonna. Queste pitture furono poi coperte nelle trasformazioni del 1893. Altri quadri erano appesi alle pareti e l'unico vero intervento artistico ab origine era stato quello operato sull'altar maggiore. Il pezzo di muro che formava il supporto dell'antico affresco della Vergine con S. Rocco e S. Sebastiano (dipinto con un gusto più quattrocentesco che 377 di fine 1500 e di autore ignoto), era stato posto al centro della parete di fondo della primitiva cappella edificata dai Legnanesi; infatti anche dalla pianta suggerita dall'architetto Parea come ingrandimento della chiesa, l'altare appare appoggiato alla parete cieca del fondo. Il Parea, nel 1617, inviti, a costruire un coro semicircolare dietro l'altare e traccò, due aperture ai lati dell'altare, ma il suggerimento non fu seguito. L'altare ligneo venne cosi costruito attorno alla porzione di antico muro e appoggiato alla parete di fondo. Solo nel 1894 quando, mettendosi mano a tutta la chiesa i Legnanesi decisero di edificare una cappella quadrata come coro dietro l'altare e spostare dall'ultima cappella di sinistra (vicino alla sagrestia) il prestigioso organo Carrera per sistemarlo in alto dietro l'altare, anche il muro antico, i gradini e le strutture lignee vennero rimossi e posti al centro dell'antica cappella sotto la cupola. L'altare molto grande e con al centro l'affresco antico fu completato da due qwadri ad olio di Francesco Lampugnani legnanese, nel 1619. Le due tele raffigurano in basso l'Annunciazione ed in alto la Visitazione di Maria Vergine. Esse sono ancora ben conservate dopo l'ultimo restauro del 1930, anche se l'Annunciazione "soffre" per la protezione in cristallo che non lascia respirare la tela, e mostrano una pittura colta e decisa nel segno, marcata da forti giochi di luce e fondi scuri, tipica del gusto secentesco. Le strutture lignee dell'altare sono in parte dipinte ed in parte dorate. Tutta la composizione studiata probabilmente dai Lampugnani nella prima metà del secolo XVII misura m. 6 di altezza per m. 3,50 di larghezza. Poggia su un basamento rettangolare arricchito da lesene e mascheroni dorati sugli angoli. Vi sono due alzate per poggiare i candelieri e le urne con le reliquie, nonchè il ripiano per le figure in argento dei santi vescovi da esporre nelle feste. Ai lati compaiono due alti angeli di fattura più tarda mentre sulla sommità sono assisi sei angioletti molto ben scolpiti. Alla sommità della soasa sono poste due figurine della Vergine e S. Elisabetta intagliate a tutto tondo. La mano felice dell'artigiano richiama immediatamente lo stile degli artisti che hanno intagliato l'antico tabernacolo di S. Magno, poi rimosso perchè nascondeva la pala del Luini, e cioè i fratelli Cojro del 1600. Nel 1893, quando l'altare di S. Maria delle Grazie fu spostato, si arricchì anche di un nuovo tabernacolo cesellato e di un magnifico paliotto in lastra sbalzata e dorata montata su telaio ligneo di ottima fattura. La cappella tuttavia era ancora spoglia e quindi venne deciso di trasportare i due grandi quadri ovali presenti nella chiesa della Madonnina, dipinti da Stefano Maria Legnani, alloggiandoli ai lati dell'altare in grandi cornici di gesso. Al posto dei vuoti sul muro, nella chiesa della Madonnina, 378 vennero eseguite due copie dal pittore Beniamino Turri. Già abbiamo accennato al fatto che, sempre nel 1893, fu rimosso l'organo e posto alle spalle dell'altare. Questo pregevole strumento eseguito dal De Simoni Carrera di Legnano, nel 1884, con un notevole numero di registri, pedaliera, cinquantotto tasti, facciata a venticinque canne, nonostante l'elettrificazione dei mantici e la sostituzione di alcuni registri è ancora integro nella sua impostazione e dotato di una voce pulita. La forma della chiesa non si presta molto alla sonorità; esistono anzi alcuni riverberi d'eco fastidiosi che una volta venivano attenuati dai capocielo, velari e paramenti di stoffa. Oggi eliminati tutti gli addobbi la voce dell'organo è più cruda. Nel 1890 venne anche aggiunto un pulpito in legno scolpito e dorato che, pur non essendo di fattura eccelsa, era tuttavia un'opera interessante con pannelli intagliati e colonne tortili a sostegno decorate con tralci di edera. Passava sopra la stupenda balaustra in marmo "macchia vecchia" e nero italico e si affiancava al pilastro di sinistra dell'altare. Venne smontato e allontanato nel 1960, quando furono fatte spostare anche le balaustre per seguire le nuove disposizioni liturgiche. Per meglio seguire la descrizione della navata interna, seguiamo l'ordine cronologico delle opere. I dipinti più antichi sono quelli che ornano le cappelle centrali di destra e sinistra. La loro fattura risale all'inizio del 1700. Troviamo a destra la cappella di S. Antonio Abate. Con la volta a botte ed il fondo lavorato a leggero sfondato, imitante una nicchia, essa mostra un'architettura barocca con colonnati e cornicioni in prospettiva, mentre il soffitto, dipinto a cielo, propone nuvole ed angioli che attorniano la scritta charitas. Al centro dell'arco d'ingresso alla cappella è dipinto lo, stemma dei Cornaggia, ricca famiglia presente a Legnano già dal 1500. Essi furono evidentemente i donatori all'altare di S. Antonio. Sopra l'altare, costruito in muratura con sagome piuttosto semplici ma affrescate ed integrate come in un gioco di rilievi reali e pittorici con la prospettiva di fondo, è posta una grande tela settecentesca di autore ignoto, rappresentante S. Antonio attorniato dagli angeli. Sulle pareti laterali altre due tele coeve ripropongono fatti inerenti la vita del Santo. Parimenti la cappella grande dirimpetto, sul lato sinistro, è dedicata, con il medesimo stile, alla celebrazione della figura di S. Mauro. Il santo già da molti secoli venerato in Legnano trovò subito una dedicazione in questa 379 chiesa, nel 1650; la primitiva cappella fu tuttavia modificata nel 1700 e a lui venne dedicato uno spazio più importante. Da ricordare è la festa legata a questo protettore della salute; il giorno 15 gennaio i Legnanesi antichi facevano una piccola festa e vendevano davanti alla chiesa i "firuni" di castagne conservate lesse e asciugate nel camino. Si doveva in quel giorno anche mangiare la polenta accomodata per preservarsi dai mali di stomaco. Molto significativo è il ritrovamento fatto ultimamamente nel grande armadio in legno intagliato, posto nella sagrestia nel 1600. Questa notevole opera di artigianato, datata e firmata, presenta ben dodici scomparti segreti (cassetti o doppi fondi o ante nascoste a prova di ladro). In uno di questi, nel 1981, è stato rinvenuto un pregevole crocifisso d'argento donato dai Cornaggia alla chiesa, con tanto di pergamena di dedica e un certo numero di incisioni con l'immagine di S. Mauro, che venivano vendute nel 1700 ai fedeli . Come nella cappella di S. Antonio anche in questa ai lati vi sono due grandi tele, che qui rappresentano scene della vita di S. Mauro. Le cornici sono attorniate da grandi decorazioni architettoniche ad affresco. Tutte queste decorazioni ricordano, come stile, la mano dei pittori Bellotti di Busto Arsizio che non solo abbiamo visto presenti in S. Ambrogio (1740), ma sono presenti con un magnifico quadro più tardo di Biagio Bellotti (1790) anche in questa chiesa. Questo quadro raffigurante S. Francesco Saverio è posto nella prima cappella omonima, a destra di chi entra. La decorazione a stucchi e affreschi attualmente molto rovinata, a causa del tetto marcescente, venne eseguita dai pittori Turri nel 1893; più precisamente le pareti ad affresco su encausto sono di Mosè Turri senior, mentre gli stucchi sono di Elia Turri. La decorazione a frutti e fiori è invece di Daniele Turri. Molto bello è l'altare marmoreo (1700) della cappella mentre più moderna sembra la balaustra scolpita a colonne quadrate. L'effetto generale della cappella era estremamente ricco e prezioso nella minuziosità dei suoi parti. cOlari. Esso faceva riscontro con l'estrema ricchezza ed eleganza della cappellina di fronte (prima entrando a sinistra). Eseguita anche questa nel 1893 dai fratelli Turri, è forse più completa e preziosa, nel testimoniare l'arte di questa famiglia di pittori legnanesi. E' stata dedicata a S. Anna e venne donata dalla famiglia Lombardi ritratta nel quadro di destra con S. Anna, che li presenta alla Vergine. Nel quadro di sinistra vi è la Gloria di S. Anna, al centro un grande quadro con la Vergine, il bambino S. Anna ed altri Santi adoranti. Tutte le tele sono sempre di Mosè Turri. Una particolare menzione va al soffitto di questa 380 cappellina che, lavorato a stucchi ed encausti (ricorda molto quello eseguito dagli stessi fratelli Turri sul soffitto della Madonnina in corso Sempione), venne lodato e riprodotto sulle riviste ed i giornali del tempo. Anche qui l'acqua ha fatto notevoli disastri e sarà arduo il lavoro di restauro. Quando, nel 1893, vennero appaltati i lavori di decorazione delle volte della chiesa l'opera dei pittori Turri, autori delle due suaccennate cappelle, venne giudicata eccessivamente cara. L'incarico generale fu quindi affidato al pittore Bacchetta che eseguì una decorazione molto simile a quella dei bozzetti a colori presentati dai Turri, ma molto più "larga" nelle campiture e nel disegno. Il pittore Bacchetta padre, si dedicò alla cupola con l'Ascensione di M. Vergine e a tutta la volta scandita da tre scene centrali e quattro lunette, sopra le finestre, con gli Evangelisti. Sulla parete di fondo l'artista dipinse due angeli in bianco e nero, su fondo grigio. In generale il Bacchetta si attenne ai toni grigi ed alle cornici settecentesche delle due cappelle laterali. Fece però ricoprire tutti gli antichi cornicioni in cotto con applicazioni di gesso decorate ad ovuli e rosette. Scomparve così una delle caratteristiche principali della chiesa secentesca, il mattone lavorato. L'effetto generale è comunque gradevole, anche se i toni molto grigi conferiscono alla chiesa un aspetto freddo. Le pitture sia della volta che della cupola sono ben conservate a parte due angoli, in cui l'umidità si è concentrata dal tetto. Nel 1910, il figlio del pittore Bacchetta riprese alcuni lavori del padre deteriorati ed affresci, nell'occasione le due cappelle vicino alla sagrestia e vicino al campanile. Quest'ultima e' dedicata a S. Gaetano e presenta notevoli danni. Rimane salva la sola pala d'altare con S. Gaetano che riceve dalla Vergine il Bambino. Anche le lesene dipinte a putti su fondo dorato sono integre, ma un notevole strato di sporco impedisce di apprezzare la pregevole fattura. La cappella a fianco della sagrestia è dedicata inveece a S. Giovanni Bosco. Sempre decorata dal Bacchetta figlio, presenta notevoli danni che ne impediscono una buona lettura. In essa aveva trovato posto, fino al 1893, l'organo; poichè questo era sacrificato ed impediva l'accesso alla sagrestia, ne fu decisa la rimozione. Molte altre cose potrebbero essere ricordate come le acquasantiere a conchiglia del 1600, il pavimento a tarsia marmorea dell'altare, il lavello secentesco nella sagrestia, gli scanni arcivescovili intagliati dell'altar maggiore, la via crucis dipinta da Beniamino Turri, i paliotti dipinti dal 381 pittore Darvino Furrer, i candelabri e le teche d'argento, ma lo spazio a disposizione è troppo breve. Resta da accennare alla casa canonicale posizionata sul fianco destro della chiesa, molto semplice e spartana, posta su due piani, accoglie sia la casa del sacerdote che quella del sagrestano. Un passaggio secentesco, a fianco del campanile, dava accesso diretto alla chiesa dalle stanze del pianterreno. Nel passaggio esisteva anche il pozzo per l'acqua. Una tradizione secolare voleva che per il Natale, nella nicchia del pozzo, si preparasse il presepe con le statuine colorate. Oggi tutto questo è scomparso come pure sono cessate le antiche processioni e le solenni celebrazioni alle cappelle del rosario che vedevano centinaia e centinaia di Legnanesi radunarsi attorno al loro santuario. A questi altari e muri una volta ricoperti da quadri ex voto e decorazioni per grazie ricevute si sono rivolte generazioni e generazioni di Legnanesi con il cuore angosciato e sulle labbra una invocazione d'aiuto. Il mondo moderno passò veloce dimentico del silenzio e della pace che il santuario ha sempre serbato per i suoi fedeli. 382 Chiese Campestri Leggendo le descrizioni di Legnano secentesca, fatte dal prevosto Pozzo, nel 1650, si scopre.anche una serie di insediamenti periferici ben precisi, ciascuno con una struttura agricola e sociale, nella quale in generale non manca un oratorio od una cappellina. Il Pozzo ci dice: Ha la parochiale nostra di Legnano sotto di se molti molini al n.° 16 cominciando dalli tre detti le Gaminele sotto a tre patroni sino alli duoi passati al Castello per la strada che va a Canegrate. Ha parimente alcune cassine cioè il Mino, S. Erasmo, la Canaza cioè quella parte verso Legnano se bene vi è ordinatione che tutta sia sotto Legnano. Casato, la casa rotta passato S. Angelo per andare alla Castellanza, la Mazzafame, Ponzella, S. Bernardino tutti casali copiosi di persone. Di tutte queste "cassine" alcune sono già state menzionate come oratori, e più precisamente le più antiche: S. Erasmo, S. Bernardino, Casato con S.Martino . Restano alla nostra escursione da osservare le cascine: Mazzafame (alla fine di via Ciro Menotti), Ponzella (in via Ponzella), del Mino od Olmina (in via Resegone al termine). Tutte e tre, queste chiese vennero edificate tra il 1728 ed il 1779. La più antica e forse più bella è quella della Ponzella, denominata oratorio di S. Maria Maddalena. Essa venne eretta nel 1728 per legato di Carlo Francesco Fassi il quale voleva dotare la cascina di una sua aula religiosa. La costruzione è di modeste dimensioni (m. 9 X 5,4), con soffitto piano in legno. Sull'esterno i muri in mattoni erano a faccia a vista. Ultimamente essi sono stati intonacati in facciata con colorazioni molto contrastanti in bianco e marrone. Conserva i caratteristici finestrini reniformi a fianco della porta d'ingresso. Nel 1779 divenne oratorio di Gesù Crocifisso e fu dotato sull'altare di una bella raffigurazione della croce contornata poi da pregevoli affreschi ottocenteschi. Abbastanza caratteristico il campaniletto con una cuspide lavorata in mattoni scalati. Molto meno pretenziose sull'esterno sono le aulette delle chiese della cascina Mazzafame e dell'Olmina. La prima detta oratorio campestre di S. Teresa fu fondata nel 1779. Contiene solo alcuni quadri ottocenteschi di poco valore ed è stata sostituita nella sua funzione di chiesa di quartiere, dal nuovo edificio religioso 383 denominato Mater Orfanorum eretto negli anni Cinquanta dal reverendo padre Rocco su progetto dell'ing. Tenca di Milano. In esso sono contenuti dei pregevoli dipinti ad olio del pittore Mosè Turri junior di Legnano, che rappresentano la gloria della Madonna. L'oratorio di S. Teresa è di piccole dimensioni (m.11 X 5,5), e gli esterni sono a semplice intonaco, per nascondere il sasso misto ai mattoni. Unica opera degna di menzione conservata in questo oratorio, è un crocifisso ligneo del 1700 di notevole bellezza. Qualche maggiore pretesa offre la chiesina dell'Olmina. Datata anch'essa 1779 fu titolata ai Re Magi. E' impostata con lo schema classico di navata unica (m. 6 x 14) con abside; a fianco due piccole aule con funzioni di sagrestia e ripostiglio. Il soffitto è stato recentemente rifatto con una volta ribassata e a fianco dell'altare sono state aperte due navatelle per i fedeli. Un campanile di aspetto settecentesco sovrasta la copertura. Contiene un bel quadro della Madonna con i Re Magi donato da un parroco Lampugnani. Fu dipinto dai fratelli Lampugnani come copia da un'opera del Procaccini. Sulla sinistra in basso porta un cartiglio con dedica e lo stemma dei nobili Lampugnani. La chiesetta prende il nome dal proprietario delle terre intorno tale Mina e la trasposizione scritta della Pronuncia dialettale (d'ul Minza) divenne, persa la "d" iniziale, Olmina. In questi ultimi anni è stata dotata di un oratorio esterno per i ragazzi. La popolazione intorno è cresciuta a tal punto che sarà creata una parrocchia a sè stante. Il piccolo e vecchio edificio a stento accoglie i fedeli. Certamente in un prossimo futuro dovrà essere sostituito da uno più grande. Fino alla fine del 1700 l'incremento demografico in Legnano era mutato in maniera quasi irrisoria, per secoli e secoli una civiltà contadina aveva regolato il numero delle bocche da sfamare, in maniera naturale secondo l'estensione dei campi da lavorare e secondo la loro resa. Le costruzioni di case e chiese segnarono quindi il passo. In S. Magno si cambiò solo il campanile, vennero edificate le cappelline o oratori dei cascinali esterni, in centro città sorse il cosidetto palazzone Cambiaghi, lungo via Lega. Qualche rinnovo ebbe il tessuto urbano lungo via Magenta, ove i Cornaggia trasformarono le vecchie case in un unico insieme edilizio prospettante piazza S. Magno fino a via Giulini. In questo grande palazzo con una facciata di falso cinquecento venne accolto il municipio di Legnano, fino al 1862. C'erano solo poche stanze (prima una poi altre due) date al 384 Comune dai Cornaggia proprietari del castello dalla fine del 1700. Venne poi da loro concessa all'amministrazione pubblica un'altra casa sita nella cosidetta piazza dei Polli, oggi Piazza Carroccio. Questa sistemazione rimase fino al 1909 quando, demolito il vecchio ponte sull'Olonella a fianco di S. Magno, coperto il ramo del fiume, venne edificato con stile neo rinascimentale lombardo l'attuale palazzo del municipio ad opera dell'architetto Malinverni . L'antico palazzo Cornaggia venne abbattuto e con esso scomparvero pian piano tutte le antiche case di via Magenta comprese quella del Gia. Giacomo Lampugnani, le mura del palazzotto medioevale della braida i resti della chiesa di S. Maria del Priorato con la sua abside e gli affreschi sui piloni. Legnano dunque cresceva unitamente alle sue industrie. Le chiesine conventuali erano quasi tutte scomparse o inagibili. Restavano in centro città veramente praticabili solo S. Magno S. Ambrogio la Chiesa delle Grazie - Purificazione - e la Madonnina. Alla fine del 1757 i fratelli Oldrini abitanti in corso Garibaldi avevano creato una cappellina denominata oratorio di S. Domenico. Questa funzionò fino al 1863 quando insufficiente per capienza fu ristrutturata da Gerolamo Colombo legnanese che vi fondò, una chiesetta, (prima non vi risiedevano sacerdoti) però alle dipendenze della parrocchia di S. Magno. In questa nuova cappella molto poco funzionale si ufficiò, fino al 1895. Giunto come cappellano don Emanuele Cattaneo, questi si accorse dell'assoluta inadeguatezza dell'ambiente e pose mano alle prime raccolte popolari per edificare una vera nuova chiesa. Scongiurata la scomparsa della vecchia cappella per lasciar posto ad una conceria, don Cattaneo, con l'aiuto dei contradaioli del borgo riusciva, tra il 1899 ed il 1902, a far erigere una vera grande chiesa. Il progetto fu impostato dall'architetto don Enrico Locatelli, e la realizzazione avvenne ad opera del capomastro legnanese C. Proverbio. La chiesa dapprima coperta al centro con tetto piano, fu dotata di una grandiosa cupola, nel 1903. Per ultimo venne edificato il campanile plu alto di 40 metri e adorno di conci di marmo bianco. La facciata eseguita verso il 1925 in stile lombardo romanico è di marmo travertino con colonne e grandi statue dei simboli degli evangelisti. Fu disegnata dall'arch. Pier Giulio Magistretti. Il Locatelli impostò una classica croce latina con transetto più alto delle navatelle dell'asse maggiore. All'incrocio della navata col transetto pose una cupola ottagonale 385 scandita da grandi finestre bifore. L'impianto risulta così quasi a pianta centrale, perchè molto forte è la predominanza della cupola e della maggior altezza delle navate centrali e di transetto rispetto alle navatelle laterali, tanto da farle pressochè dimenticare. L'effetto è volutamente drammatico e accentra l'attenzione sul grande presbiterio. La chiesa nel suo interno accoglie un monumentale altare in tarsia marmorea, sormontato da una grande teca a forma cruciforme, che accoglie il S. Crocefisso già venerato da secoli nella chiesa conventuale di S. Angelo. L'altare è a disegno dei fratelli Mosè ed Elia Turri di Legnano. Questi decorarono anche le restanti parti della chiesa con stucchi dorature e motivi geometrici che assecondano l'imponenza delle volte e degli archi della chiesa. I pulpiti interni sono sorretti da cariatidi. Altre statue con santi e profeti sono opera di uno scultore alsaziano . La grande lampada votiva in bronzo, dalle forme bizantineggianti è una vera opera d'arte dovuta all'ingegno di Lorenzo Pogliaghi. Negli anni Settanta la chiesa dovette essere chiusa al culto perchè alcune strutture risultavano pericolose, in particolare modo la volta. Ormai chiesa parrocchiale dal 1907, accoglieva su di se l'affetto degli abitanti del quartiere. Questi ritrovatisi come contrada di S. Domenico, con un impegno monetario notevolissimo, posero mano ai consolidamenti statici, restituendo alla fine del decennio la bella chiesa al culto. Ultima e doverosa menzione va al gruppo di sette poderose campane che, nel 1925, vennero poste sul campanile e delle quali, ad ogni festa, udiamo la voce. Abbiamo accennato come la comunità di Legnanello, da tempo sprovvista di una chiesa si servisse dell'oratorio della Purificazione, in via Sempione. Quando, nel 1898, il 13 agosto, essa divenne parrocchia ad opera del Cardinal Ferrari, immediatamente don Gerolamo Zaroli spinse l'idea di dotare l'antica frazione di una nuova chiesa. Con il concorso popolare vennero raccolte le somme necessarie all'edificazione; fu dato incarico per il progetto al prof. Cecilio Arpesani di Milano. Questi impostò secondo la moda vigente allora una vera e propria basilica in stile romanico lombardo a tre navate, ciascuna con abside semicircolare dotata di volta a tutto sesto. La navata centrale è più alta delle altre laterali che le fanno da contrafforte. La copertura è eseguita a capriate in legno a vista decorate secondo lo stile francescano. Tra una navata e l'altra si allineano due file di colonne in 386 granito bianco con capitelli decorati con simboli della cristianità. Sopra i capitelli è stato posto un pulvino. Sulla sinistra, entrando, una porta conduce ad un'edificio ottagonale adibito in origine a fonte battesimale. Sempre sul lato sinistro si trovano un grande campanile quadrato con forma che ricorda quello della basilica di S. Ambrogio in Milano, nonchè i locali della sagrestia con artistici mobili in legno intagliati con motivi medioevali. L'esterno della chiesa è giocato esclusivamente con mattone a vista e pietra di serizzo. Arcatelle ciliali contornano sia la facciata a timpano triangolare sia i lati della chiesa. Il battistero ed il campanile, le lesene principali cogli spigoli delle murature, sono tutti ornati di pietre singolari con gusto molto raffinato. Se non fosse per lo stato di conservazione di pietre e mattoni, un osservatore non molto attento potrebbe facilmente scambiare il tempio per un edificio medioevale. All'interno il gusto imitativo fece impostare transenne in marmo traforato, altare in tarsia bianca e blu, pergamo con leggio sorretto da colonne, in perfetto stile romanico. Le opere pittoriche furono affidate al prof. Eugenio Cisterna il quale dapprima dipinse la volta e le pareti del presbitero, imitando i mosaici ravennati, poi completò sia l'arco trionfale sia le pareti della navata maggiore con figure di profeti, vergini e martiri. Sopra la porta centrale fu posta una sacra famiglia. Le finestre tutte ad arco tondo superiore furono dotate di vetrate colorate imitanti l'alabastro. Pregevole è la via crucis in formelle di bronzo. A ricordo dell'antica chiesa usata dai Legnarellesi, fu trasportato dalla chiesina del convento Barbara Melzi, un grande quadro ad olio. Questo fu posto in una cornice di marmo al centro della navata destra. E' una bellissima e dolce raffigurazione della Purificazione dipinta dai fratelli G. Battista e Francesco Lampugnani, nel 1635. Si tratta di una tematica ripresa dalle scene dipinte da Bernardino Lanino nella cappella maggiore di S. Magno. Degno di menzione è inoltre il baldacchino dipinto dal prof. Mantegazza. Le ultime opere di abbellimento della chiesa sono state fatte nelle lunette sopra le tre porte d'ingresso e sul battistero in facciata. Questi mosaici policromi con le simbologie e la figura del Redentore, sono opere pregevoli del maestro Aldo Carpi. La piazza infine è stata completata con una fontana a pozzo poligonale sormontata da scudi di foggia medioevali. 387 Anche nel cosidetto rione Oltrestazione le chiesine della Mazzafame, Ponzella e S. Bernardino si rivelarono alla fine del 1800 inadatte per la cura delle anime di questi quartieri divenuti ormai popolosi. Si dibattè a lungo, tra il 1890 ed il 1904, se costruire e dove ubicare una nuova chiesa. Fu scelta come zona la strada detta via per Novara, all'altezza della cascina Flora che si era ormai tramutata in un ampio quartiere a ridosso della ferrovia. In quegli anni già le prime cerimonie ufficiali per la celebrazione della battaglia, nonchè le sottoscrizioni per il monumento celebrativo del Butti (1900) avevano risvegliato nei Legnanesi non poco amore per la loro storia medioevale. Fu quindi abbastanza facile legare la nuova chiesa ad una dedicazione che ricordasse in modo religioso il fatto d'armi, In effetti era l'arcivescovo di Milano l'artefice della rivolta contro Federico I. Il Carroccio su cui si celebrava una messa era simbolo di Ariberto d'Intimiano e la croce tolta dalla sua tomba ricordava la fede della chiesa. Memori dei santi sepolti in Milano nell'altare di S. Simpliciano, i Legnanesi scelsero per la loro nuova chiesa la nominazione di chiesa dei Santi Martiri, che erano Sisinio, Martirio e Alessandro. La chiesa doveva sostituire una vecchia baracca in legno, nella quale il curato don Luigi Castelli aveva iniziato un faticoso ministero. Finalmente, nel 1904, si pose la prima pietra del nuovo tempio e la chiesa stessa fu terminata nel 1910. Divenne parrocchia autonoma il 24 maggio 1911. La facciata lasciata incompiuta fu completata in marmo bianco e cotto negli anni Cinquanta. E' dotata di un grande campanile di foggia moderna ed alle spalle trovano posto locali per l'oratorio e campi da gioco per ragazzi. Il progetto redatto da don Locatelli, parroco di Vergiate, prevede un edificio composto da una grande navata centrale con soffitto piano sorretto da colonne pensili appoggiate su mensole, affiancate da due navate minori, più basse e scandite da grandi colonne rifinite in stucco pompeiano marmorizzato. L'interno era impostato con una serie di coloriture bizantineggianti delle pareti. Attualmente è stata lasciata solo la decorazione delle parti alte della navata maggiore, mentre il resto della chiesa è stato tinteggiato con colori chiari. L'altare primitivo è stato sostituito con uno ricavato da un blocco di marmo molto semplice. Alle sue spalle una grande croce, in ferro e masselli di granito colorati, si staglia contro il coro pensile, su cui è posto l'organo a canne di stagno. Interessante è notare come la via crucis, composta da belle tele ad olio sia stata raggruppata in un unico polittico posto nel lato destro del finto transetto vicino alla porta laterale. L'effetto è gradevole 388 ed originale. Penultima in ordine di nascita la chiesa parrocchiale di S. Teresa fu edificata il 2 ottobre 1931, in sostituzione di una piccola cappella annessa al convento dei Carmelitani Scalzi che si erano insediati a Legnanello, nel 1929. Si trova alla fine di via S. Francesco d'Assisi. Nata su progetto del Cavalier Ugo Zanchetta è impostata con una croce greca formante una grande aula centrale sormontata da un alto tamburo che sorregge una cupola. Negli angoli della croce, ad unire i bracci stessi, vi sono quattro piccole cappelle anch'esse sormontate da una cupoletta più bassa. La pianta cosi riportata alla forma quadrata, è però allungata dalla parte dell'altare mediante una cappella absidale maggiore coronata da una sesta grande cupola. Ai lati dell'altare (alle cui spalle in un'abside semicircolare vi sono gli stalli del coro per i frati) si estendono due cappelle che formano un falso transetto. Sulla destra e sulla sinistra si aprono anche le porte delle sagrestie e del convento. Il pavimentoè@ a tarsia marmorea bianca e rossa con rose inserite nei riquadri centrali. L'ingresso principale è stato ricavato sfondando in facciata una grande nicchia che accoglie il portale colonnato. La parte superiore della nicchia è a cassettoni. Anche nell'interno, dietro la vetrata di facciata, si ripete il motivo a cassettoni. Ai lati dell'altare altre due cappelle, ricavate sopra il falso transetto e sostenute da colonne in granito grigio, accolgono il nuovo organo con canne risonanti in legno. La chiesa è priva di decorazioni; unica cappella affrescata con risultato modesto è quella sulla destra, entrando. Un volo d'angeli in un cielo plumbeo, presenta la nuova basilica. Sulla sinistra invece, in una nicchia, è posta una statua con la Madonna. Il fondo della cappella è tutto ricoperto con un mosaico metallizzato argento-bruno. L'ultima opera di abbellimento è stata fatta rinnovando l'altar maggiore primitivo, che era di semplici mattoni intonacati. E' stato sostituito da un nuovo altare disegnato dall'architetto Provasi che si distingue per la notevole mole e per il numero veramente incredibile di marmi accostati, che vanno dal giallo, al bianco, al rosa, al verde, alla pietra della passione. Ogni colore, a detta dei frati, ha un significato simbolico. Al centro, sopra il tabernacolo, spicca una grande croce sbalzata e dorata con maestria. Completano il gruppo dell'altare, tre sedili per i celebranti e due leggii 389 variamente lavorati con blocchi di marmo di diverso colore intarsiati. Anche la mensa rivolta verso i fedeli è sostenuta da una base marmorea composta da vari elementi scolpiti e con tarsie colorate. Ad un altare tanto policromo e mosso corrisponde invece un interno sobrio e senza decorazioni. Le facciate esterne sono tutte in cotto marcate da poche cornici in pietra, all'altezza delle coperture. La basilica nel suo insieme appare molto alta e piccola alla base. Addirittura il campanile posto dietro, a sud-est, risulta invisibile all'osservatore che non si porti sul retro della chiesa. Esso è una torre quadrata di altezza circa 20 metri che eguaglia in misura l'imposta alta del tetto della cupola maggiore. Altre cappelle e chiese sono sorte in Legnano dopo la costruzione del Santuario di S. Teresa del Bambin Gesù. Le ricordiamo brevemente. Esse sono: le chiese del Convento delle suore Carmelitane; delle nuove parrocchie di S. Pietro, in via Carlo Guidi nel rione Canazza, e S. Paolo in via Sardegna, quest'ultima con forme moderne e più da edificio comunitario che non da chiesa nel senso comune della parola, inoltre la chiesina-oratorio in via Leoncavallo e la cappella interna del Centro giovanile di S. Magno in via Montenevoso, nessuna delle quali comunque ha assunto importanza architettonica di rilievo ad eccezione della chiesa di San Giovanni. Legnano è quindi ancora viva e sempre in fermento per i suoi edifici di culto. Unico neo della situazione è la grande povertà di mezzi e materiali con cui queste nuove opere vengono affrontate. S. Magno continua ad essere per tutti noi quasi un miracolo della Legnano più antica e certamente anche più povera. L'opera più recente, che maggiormente si allontana da questa generale regola di povertà di mezzi degli edifici religiosi, è senza dubbio la pregevole chiesa di S. Giovanni Battista. Essa sorge in via Ligurla, e per il momento funge da chiesa ausiliaria per la parrocchiale di S. Paolo. Fu iniziata nel 1973 su progetto dell'architetto Enrico Castiglioni di Busto Arsizio. Impostata con struttura totalmente in cemento armato a vista. Una serie di grandi volte a vela intersecantisi formano una navata principale, sui cui fianchi si aprono navatelle più brevi e camminamenti, terminati in balconate sospese che ricordano i matronei medioevali. Il pavimento interno è lavorato con piani inclinati, e porta alla formazione di una specie di platea che attornia l'altare posizionato al centro dell'assemblea dei fedeli. Le luci naturali sono tutte pressochè indirette o filtrate da quinte abilmente posizionate all'interno della navata e 390 realizzate sempre in cemento armato a vista. L'effetto è gradevole e nonostante i materiali siano grezzi invita al raccoglimento. La prima messa fu celebrata il 5 ottobre 1975 e nell'occasione l'edificio ottenne un largo consenso dai fedeli. L'agibilità completa, con l'impianto di riscaldamento si ebbe in occasione della Pasqua 1976. Manca, a completare la struttura, il campanile. Già nella prima metà di questo libro è stato detto come proprio grazie alle tombe, gli studiosi siano riusciti a scrutare la vita dei nostri più antichi predecessori. I luoghi di inumazione per molti secoli furono sempre localizzati in aree precise usate da più generazioni. In genere questi luoghi erano situati sui terreni più alti della piccola valle prospiciente l'Olona. Vari sepolcri vennero rinvenuti vicino al Sempione (vaso di Remedello), oppure in corso Garibaldi all'altezza del Museo civico (urne ad incinerazione e tombe a tegoloni), vicino alla chiesetta di S. Martino, sulla costa di S. Giorgio ecc. Tra tutti questi ritrovamenti quello che assume l'aspetto vero e proprio di cimitero nel senso modemo della parola, è l'area a sepolcreto emersa durante scavi per lavori edilizi nel 1925, in via Firenze presso via Novara. Si tratta di un rettangolo di m. 50 x 100 di lato nel quale non solo sono state rinvenute urne seppellite con regolarità, ma si è ritrovata anche la fossa dell' Ustrium, ove gli antichi Romani del tempo di Tiberio bruciavano i loro defunti, per poi raccoglierne le ceneri e sistemarle dentro urne, vuoi con il collo largo, vuoi con la parte alta segata per permettere l'introduzione delle ceneri. Va subito detto che la comunità di Legnano antica non fu mai numerosa. I veri incrementi demografici iniziarono dopo il 1700 d.C. Il problema delle sepolture non divenne quindi mai problematico per la nostra comunità, stabilizzata per secoli intorno alle 1000 o 1500 anime. Le ricorrenti aggressioni alla salute della popolazione operate dalla peste, dal vaiolo, dalla febbre gialla, dal colera, dalla pellagra, dalla difterite o dalla lebbra spesso decimavano, nel vero senso della parola, gli abitanti. Fin dagli albori della civiltà cristiana si era posto però un grave problema di spazio ed una regola di fede. I morti dovevano essere lasciati integri e non più cremati. Tale pratica portò all'uso delle tombe formate da tredici tegoloni (dieci per formare i lati di una sorta di capanna e tre per il fondo). Queste tombe normalmente venivano inumate o nei pressi di qualche altare o cappellina cristiana, oppure per i più abbienti in un apposito spazio della casa. Quando cominciarono a sorgere le prime chiese o cappelline iniziò l'uso di 391 inumare vicino alle mura del tempio, e imitando i membri della casa sacerdotale i cittadini più importanti ottennero il privilegio di essere sepolti sotto il pavimento della chiesa o addirittura di farsi erigere delle arche marmoree nei templi. Orbene, ossequienti alla regola inconscia che fa ricercare in antico sempre gli stessi luoghi per il culto e per i cimiteri, a Legnano vediamo che le sepolture si concentrarono in epoca medioevale principalmente vicino alla chiesa di S. Martino, davanti al porticato di S. Ambrogio, presso la chiesa di S. Nazaro, lungo il Sempione a Legnanello, e con maggior frequenza presso la chiesa di S. Salvatore. In particolare la basilica maggiore accolse nel suo lato destro una vasta area di sepolcri trasformata poi nell'attuale piazza S. Magno. Quando fu demolita la chiesa protoromanica per edificare l'attuale dedicata a S. Magno, terminata nel 1514 furono rispettati i sepolcri sulla destra della chiesa tanto che le porte stesse del tempio furono collocate nella identica posizione di quelle più antiche, e cioè verso l'attuale palazzo Malinverni. Sotto i pavimenti della chiesa non solo si mantennero le antiche mura della cripta (cappella di S. Crocifisso), ma anche altre tombe familiari furono ricavate. Qui inumarono fino al 1600 i Lampugnani, i Vismara, i Corio, ecc.. Altre numerose sepolture furono create nelle chiese conventuali, prima fra tutte in quella dell'ex convento di S. Angelo ubicata nell'area delle attuali scuole Mazzini. Le persone plu umili erano invece tumulate fuori dai templi, ma ciascuno tendeva sempre ad essere sepolto il più vicino possibile al luogo di preghiera frequentato in vita. Il culto dei morti era in ogni caso estremamente sentito. La presenza dello spirito dei defunti era pensata, creduta, vissuta come fede incrollabile e cercata come sostegno alle amarezze della vita. Anche le reliquie ossee dei santi nel Medioevo e nel Rinascimento erano considerate veicoli di grazia divina e testimonianze di fede vissuta come dimostra il tributo di omaggio dedicato, nel 1634, dalla popolazione alle reliquie d'antichi martiri cristiani provenienti dalla Sardegna. Ai momenti lieti tuttavia seguivano anche quelli tristi: la peste ricorrente ogni trenta o quaranta anni provocava stragi enormi. Si pensi che una comunità come Roma, nel 1700, era ridotta da circa tre milioni di anime dell'età imperiale, a poco più di settantamila persone. Anche in Legnano la popolazione vide morire centinaia di cittadini in poche settimane. Tutta questa gente non poteva essere ospitata nel cimitero a fianco della chiesa; si crearono quindi fosse comuni, nelle quali i numerosi morti di malattia furono calcinati . Questo uso era più in antico praticato per liberare le aree cimiteriali. Le ossa 392 dei morti più antichi venivano raccolte in ossari o mortorietti cioè stanzoni sotterranei con una botola superiore, in cui venivano gettate le ossa riesumate, o vere e proprie cappelle, in cui su lastre a mensola in pietra erano allineati teschi e tibie, per formare veri e propri disegni ornamentali. In Legnano rinascimentale esisteva un mortorietto, poi trasformato, sulla parte anteriore della chiesa di S. Martino. Si vedono ancora sul lato sinistro le aperture delle finestre con grata (ora chiuse) che permettevano di vedere gli scheletri e portare loro fiori o una preghiera. Per quanto invece concerne le sale sotterranee, se ne ricordano due, di cui una in Legnanello vicino alla antica chiesa di S. Nazaro lungo il Sempione. Durante alcuni scavi venne rintracciato uno stanzone del XVII secolo pieno di scheletri che evidentemente ne qualificavano l'uso a fianco della chiesa. L'altro cimitero comune era in piazza S. Magno posto nella posizione che doveva divenire, nel 1610, il sagrato della chiesa quando il Richini rigirò, gli ingressi. Questa modifica all'impianto ecclesiale di S. Magno portò al disfacimento delle altre sepolture poste sul lato ovest della basilica. I Legnanesi da quel momento vennero tutti inumati in questo grande stanzone comune sotterraneo, tranne i nobili che continuarono ad essere sepolti nella basilica o in S. Angelo o in S. Ambrogio . Dopo il Concilio di Trento venne però, la proibizione di inumare nelle chiese. I nobili ricorsero quindi ad un piccolo stratagemma. Per non finire nelle fosse comuni fecero edificare degli oratori privati che divennero poi chiese a tutti gli effetti, ed essendo fuori dalla giurisdizione ecclesiale, potevano ugualmente servire come tombe. Ne sono un bell'esempio la chiesina di S. Giorgio al castello, oppure la splendida "Madonnina sul Sempione". Oggi quest'uso rimane, con aspetto diverso ma identico intento, quando si costruiscono le cappelle cimiteriali per le famiglie. La tomba comune principale in piazza S. Magno era denominata dai Legnanesi "il foppone". Esso rimase in uso con vari problemi igienici, fino al tempo di Maria Teresa d'Austria. Il successore di Maria Teresa, Giuseppe II, nel 1786 emanò, una disposizione perchè l'uso delle fosse comuni venisse abbandonato e tutte le municipalità reperissero aree adatte alla creazione di cimiteri detti "Campi Santi" fuori dal perimetro dei centri abitati. Per i Legnanesi che evidentemente avevano come altri il problema del foppone stracolmo di ossa e cadaveri in decomposizione, la scelta dell'area non fu semplice . 393 Dal 1789 al 1808 la decisione circa l'acquisto dell'area e l'ubicazione non fu presa, tanto da costringerli, nel 1803, a dover richiedere il permesso di spurgare il foppone ormai inutilizzabile. Finalmente, nel 1808, venne acquistata una superficie di mq. 3000 poi portata a mq. 5500 posta lungo la via Porta di sotto (via Magenta) poco prima della chiesa di S. Maria delle Grazie. Quest'area che oggi accoglie la scuola media Bonvesin della Riva, fu l'ultima dimora per 21896 Legnanesi, dal 1808 al 1898. Studiata dall'arch. Broggia, era circondata da una bella recinzione in ferro battuto con basamento in pietra ed aveva due cancelli, uno verso via Magenta, l'altro verso la chiesa. Le tombe che i Legnanesi vi edificarono erano per lo più semplici, provviste di una lapide con iscrizione. Alcune più pretenziose mostravano un muro a forma di edicola con il ritratto ad affresco del defunto. Tre di questi affreschi strappati sono tra le opere conservate nel Museo civico e mostrano i ritratti dei pittori Antonio Maria, Beniamino e Mosè Turri senior. La posizione del cimitero fu scelta sia perchè la strada era percorsa abitualmente dai Legnanesi diretti alla chiesa delle Grazie, sia perchè ancora una volta si riconosceva a questa zona la funzione funeraria già avuta in passato. Verso il 1891 fu improrogabile l'ampliamento del cimitero. Ancora una volta la primitiva area scelta nel 1803, gla raddoppiata nel 1863, si rivelò, non adatta alla Legnano di fine secolo. La civiltà industriale aveva letteralmente fatto esplodere un incremento demografico sconosciuto nel 1700. Il cimitero che era circondato da strade, non poteva più essere ingrandito. La municipalità si premurò quindi di reperire una nuova area sempre lungo via Magenta e subito dopo la chiesa delle Grazie. Il cimitero antico fu ripulito dalle tombe. Le ossa dei defunti vennero riesumate e poste in cassettine in un colombario del nuovo cimitero. Quelle che non furono raccolte rimasero nella terra rivangata e ricoperta poi da un nuovo strato di humus riportato all'interno della recinzione. La superficie venne piantumata e accolse per anni, fino alla costruzione delle attuali scuole, un parco pubblico, in cui i ragazzi potevano liberamente giocare. Il nuovo cimitero detto "Monumentale" fu invece inaugurato il 24 luglio 1898 in via Magenta. La sua superficie era di mq. 18.942. Molti Legnanesi che avevano le edicole funerarie nel cimitero vecchio trovarono asilo per i loro defunti lungo i viali principali del nuovo impianto. Questo progetto del cav. ing. Cuttica fu concepito con criteri moderni per allora e fu dotato di depositi, camera mortuaria e locali per il custode. L'impianto generale 394 fu suddiviso in campi di sepoltura per permettere una migliore rotazione delle sepolture. Lungo i lati delle recinzioni furono allineate le cappelle delle varie famiglie legnanesi. Al centro del vialone d'ingresso fu costruita con stile dannunziano una grande cappella in arenaria grigia per i fedeli, mentre, sempre sul medesimo asse, verso il fondo del cimitero, trovò posto il monumento con gli ossari per i caduti di guerra. Tutto il complesso venne dotato di colombari per contenere le ossa dei Legnanesi più antichi. Quando una famiglia si estingue, le ossa passati venticinque anni, vengono riesumate e poste nei colombari. Ben presto anche il cimitero "Monumentale" ebbe problemi di spazio. Venne ampliato nel 1907 e dotato di nuovi colombari per l'inumazione, portando la superficie totale a più di sette ettari. In questo grande spazio erano previsti i cosidetti "campi comuni" in cui le tombe potevano awicendarsi con tempi più brevi, mentre per le altre sepolture con edicole marmoree le concessioni erano novantennali. Furono aggiunti altri colombari di grandi dimensioni e dopo la guerra il tentativo di aumentare le superfici disponibili, ma ben presto si arrivò, ad un blocco della ricettività di tutto il sistema. Questi nuovi problemi di spazio sorsero nel 1960. Le tombe spesso con un solo defunto occupavano per troppi anni le superfici disponibili e la comunità ormai stabilmente vicina alle 50.000 anime non trovava più spazi per inumare. Nel 1976 l'amministrazione prese una grave decisione sociale e politica. Deliberò l'acquisto di un'area di circa mq. 60.000 presso l'antica cascina di S. Bernardino al termine di viale Liguria. In quest'area definita "cimitero-parco" in quanto tutto il complesso è stato pensato come un grande giardino con alberi, passaggi pedonali, illuminazione notturna ecc., il Comune poteva offrire, con un costo abbastanza contenuto, un loculo ad inumazione diretta nel terreno in cassa lignea. Le tombe tutte uguali ed allineate in lunghe teorie, che ricordano molto da vicino i cimiteri militari, sono rinnovabili ogni venticinque anni, quindi, sia questo breve tempo di permanenza dei feretri, sia la grande superficie, possono garantire una lunga vita e funzionalità del complesso anch'esso dotato di uffici e camera mortuaria. Nel suo grande sforzo per risolvere tale grave problema il Comune di Legnano ha affidato l'incarico progettuale all'ing. Clori, responsabile dei servizi cimiteriali del Comune di Milano. Questi ha impostato il giardino con una serie di campi di sepoltura separati da viali lastricati e differenziati come livelli di camminamento. Tutta l'area è recintata con grandi pannelli prefabbricati con graniglie di marmo candido che formano delle quinte angolari lungo il perimetro, scandendo con piani di luce e di ombra la 395 visuale esterna del cimitero. Molto apprezzati e di valore sono inoltre le fusioni in bronzo dei cancelli d'ingresso, opera degli scultori Nardo Dunchi e Jonos Stryk. Anche i lampioni interni sono opere in fusione di pregevole fattura. Il grande spazio a disposizione ha permesso la creazione di un parcheggio esterno di uso esclusivo del complesso. L'inaugurazione fu celebrata alla presenza del vescovo espiscopale Marino Colombo e delle autorità civiche, il 15 luglio 1979. 396 Chiesa di Sant Ambrogio in Legnano Anche per molti legnanesi questo monumento, che era quasi giunto alla completa rovina, resta oggi poco conosciuto. Forse la sua ubicazione nascosta accanto a altri molti ruderi, lo aveva fatto dimenticare. Eo tuttavia rappresenta uno dei centri piu' antichi di culto presenti in Legnano. Senza dubbio il piu' antico di fattura cristiana. Le origini di parte della forma attuale possono essere collocate nel tempo a fianco di quelle del palazzo e delle fortificazioni create in Legnano dall'architetto Leone da Perego attorno al 1520. Subito fuori dalle mura nella braida arcivescovile, al di la' di un grande fossato difensivo in cui era stata deviata l'Olona (roggia) nell'anno 1257 esisteva una piccola chiesa in cui lo stesso arcivescovo Leone era stato sepolto di nascosto e "viliter", in quanto suoi nemici politici di Milano lo avevano fatto cadere in disgrazia agli occhi del popolo. La piccola costruzione era talmente povera e dimenticata che si dovette giungere all'epoca di San Carlo Borromeo ed alle sue grandi riforme prima che i legnanesi degnassero ancora di attenzione l'edificio. Durante i recenti lavori di restauro si e' avuto modo di scoprire le fondazioni di questo piccolo edificio antico, e con estrema emozione si e' assistito al rinvenimento di una struttura absidale in curva, edificata con i soli ciotoli bianchi del greto dell'Olona. Questa abside era ridotta ad est e anche i resti dei legnanesi antichi ivi sepolti rispettavano tale giacitura, ad indicare un'usanza altomedioevale. Tuttavia, con grande sorpresa e grazie al lavoro della dott.ssa Cazorzi collaboratrice alla soprintendente dott. Ceresa, ancor a un livello piu' basso e' stata rinvenuta un'ansa di vaso che per fattura e' ascivibile alla fine del V secolo. Questo fatto ci porta in assoluto alla piu' antica basilica di Legnano, di almeno 500 anni piu' vecchia della chiesa di San Salvatore e Magno. Anche le salme inumate a questo livello piu' antico hanno positura verso est, in diffornita' a quelle degli strati superiori che sono rivolte a sud, ad indicare come nel tempo varie usanze e riti si siano sovrapposti facendo mutare l'uso della chiesa stessa.Questa chiesa ci era sconosciuta in assoluto ed e' molto probabile che sia la stessa (poi ampliata a due navate) che venne riattata e poi riedificata all'epoca di San carlo Borromeo. Il primo documento storico che la menziona come "San Ambrogio" e' un elenco del 1389 steso da Goffredo da Bussero. Nel medesimo elenco ma in data 1304 viene menzionata una chiesa dedicata a San Nazaro gia' scomparsa in quell'anno. Con buona probabilità si trattava di questo 397 edificio, dismesso dopo la tragica fine di Leone da Perego ivi sepolto nel 1257. Le vere e proprie descrizioni del monumento arrivano molto piu' tardi e vanno ascritte alle visitazioni operate nel XVI secolo, sotto San Carlo Borromeo. La chiesina e' definita a due navate di cui una, la meridionale, e' aperta come un portico ed e' piu' alta della parte chiusa. Non e' coperta coi mattoni ma con travi di legno ed assi. Le pareti sono rustiche e non esiste porta. Anche l'altare manca della mensa. Il campanile molto alto si apre direttamente nella chiesina e sopra la porta d'ingresso un coro pensile in legno e' collegato con il porticato. Il pavimento rustico interno e' piu' alto del terreno del porticato a sud. Non esiste segrestia e tabernacolo. Solo una piccola nicchia nel muro del campanile pemrette di posare le specie quando viene celebrata una messa. Con San Carlo Borromeo, l'edificio viene adibito a scuola dei Disciplini, e con tale destinazione, si impongono delle modifiche alle strutture murarie che portano l'edificio ad assumere la forma attuale della prima meta' della navata verso la facciata. Durante i lavori di chiusura del porticato viene ritrovata la salma di Leone in un volto di muro grosso e dentro il tronco. Se qualcosa vale l'italiano, quel "volto" altro non era che la vecchissima abside del V secolo, lasciata lungo il muro della chiesina come reliquato e non piu' usata come sede dell'altare in quanto le nuove officiazioni medievali avevano fatto apportare all'abside e al coro della chiesa, ponendo la mensa ad ovest e la porta proprio ad est proprio dove doveva essere stato inumato Leone da Perego vicino alla porta. In Legnano, nel 1580 la cultura estetica, era costantemente aggiornata dagli eredi di una unica famiglia dei pittori lombardi, i Lampugnani. Costoro erano dentro la cerchia culturale comprendente i nomi piu' importanti in Lombardia in campo artistico e contribuirono alle scelte per l'Impostazione del nuovo edificio. In seguito di persona l'affrescarono adornandolo anche di stupendi quadri ad olio ora restaurati con contributi generosamente offerti da Lions, Soroptimist, Collegio dei capitani del Palio, Famiglia Legnanese, Banca di Legnano. La nuova chiesa fu portataa compimento nell'anno 1613. Essendo la chiesa sede di una scuola di Disciplini, naturalmente doveva essere previsto un coro. Fu infatti reimpostato con maggior ampiezza e dignita' quello che in antico era sopra la porta. Nel 1618 terminati tutti i lavori edili fu dato ordine di affrescare immediatamente la chiesa a Francesco e Giovan Battista Lampugnani. Ed e' questo che fa della chiesa di San Ambrogio una vera e propria espressione di arte legnanese del seicento. I due fratelli legnanesi si dedicarono per la prima volta ed alle lunette dipingendoci una serie di putti festanti ancora oggi visibili tra la decorazione neo barocca di un 398 intervento pittorico del 1930. Recenti assaggi hanno messo in mostra la decorazione seicentesca sotto la ridipintura del nostro secolo. Il problema del recupero totale o parziale di queste pitture sara' la prossima discussione con i Sopraintendenti. Altro capolavoro dipinto dai Lampugnani e' la pala dell'altare. Questo grande quadro a olio, ora posto in fondo alla parte settecentesca della chiesa, aveva sostituito l'antica pala dell'altare del XIII e XIV secolo menzionata nelle visitazioni di San carlo. Vi e' rappresentata una madonna con bambino attorniata da San Ambrogio, San Carlo Borroneo e San Francesco. Le figure, molto dolci nelle espressioni, sono inserite in una scenografia con colonnati e cornicioni a volte, che richiamano il gusto bramantesco delle prospettive di fondo interpretato pero' dalla caratteristica ricerca pittorica dei Lampugnani, che senpre mostrano nella composizione una compostezza leonardesca. La chiesa nel 1700 risultava ancora una volta troppo angusta per il carico di lavoro che la scuola dei Disciplini doveva solgere. Si decise quindi di ampliarla ancora una volta demolendo l'antichissima parete dell'altare risalente a prima del 1257 e allungando tutta la fabbrica sia nella parte della navata che parte dall'antica sagrestia. La pala dei lampugnani venne spostata verso il fondo e circondata da una bella cornice e affresco a mano di Antonio Longoni, pittore che in Legnano opero' anche nella chiesa delle Grazie. Il risanamento di questa parete e' patrocinato dal contributo della Cariplo che con la guida della Sopraintendenza ai monumenti ha voluto testimoniare la sua attenta partecipazione al salvataggio di antichi capolavori legnanesi. Attorno al 1957 la parte sud-ovest della scuola era stata murata fino agli archi, Con il restauro odierno si sono riaperte di tale ala e la chiesa la chiesa ha riacquistato l'antica sonorita' che aveva in parte perduta. Con la sistemazione appena terminata dai Mascioni dell'organo dei legnanesi Carrera, nel 1886, San Ambrogio riassume forma a livelli artistici elevatissimi in campo musicale. Grazie ai Lions Club e Manifattura di Legnano questo raro capolavoro di una antica cultura legnanese si e' salvato. Anche l'antico ingresso e il portico a fianco del campanile sono stati ripristinati. Essi ci danno l'immagine di quella che era la sistemazione alla fine del 1500 dell'ingresso del quale uscivano le processioni dei Disciplini. Per ultima cosa devono essere menzionati i lavori lunghi, costosi e delicati che ci hanno permesso di isolare dall'umidita' sia le coperture, che le fondazioni e i pavimenti della chiesa. Non vi sono presenti impianti in modo visibile di riscaldamento, semplicencemnte perche' gli stessi sono sotto i marmi del pavimento. L'assemblea dei fedeli o dei partecipanti alle manifestazioni culturali che 399 qui si terranno avranno dal pavimento una sensazione di benessere dovuta all'irragiamento di calore dal basso senza rischio di alterare i dipinti delle volte che saranno restaurati. Anche questa serie di impegnativi lavori ha potuto essere eseguita grazie al notevole impegno ed al patrocinio della Cassa di Risparmo delle Provincie Lombarde. Nuovi impianti elettrici, di allarme, antiincendio, di diffusione sonora si affiancano alle opere lignee restaurate per fare splendere ancora la nostra bella chiesa nella quale ora sappiamo anche molte cose inedite, e che da buona, antica, vecchia signora ha seguito le vicende di Legnano per piu' di 1500 anni. Entrando in chiesa in fondo sulla sinistra si vedono sotto una superficie di vetro, i resti della piu' antica chiesa cristiana di Legnano. Osservate la laipde posta accanto. Li' sotto sono presenti i resti dei nostri avi da noi raccolti durante i restauri. Vi e' una frase scritta in bronzo. Riporta i versi di A. Bosso, 1518, incisi sull'architrave del campanile medioevale di San Magno. Recitano : "pabula vina ceres rivorum copiae templum multaque nobilitas Legnanum illustrant" Pensiamoli con affetto i nostri antenati, ci hanno, nel bene e nel male, trasmesso dai secoli passati, un saper vivere dignitoso ed una cultura dei quali godiamo i frutti di una civilta' preziosa. Qui li ritroviamo con una presenza che e' testimonianza di dedizione a Legnano e alla sua piu' antica chiesa. Arch. MARCO TURRI Presidente della Societa' Arte e Storia di Legnano. Nel ricco panorama dell'arte organaria lombarda dell'Ottocento un posto di rilevante importanza e' occupato dalla bottega legnanese dei Carrera. La bottega organaria venne fondata da Giovanni Maria Carrera (Canegrate 1753 - Legnano 1818), che apprese l'arte del fabbricar organi da Filippo e Antonio Tronci, famosi organari pistoiesi, e che dopo il 1790 trasferi' il suo laboratorio a Legnano Gerolamo Carrera (Canegrate 1796 - Legnano 1863), erede e continuatore dell'arte dello zio Giovanni Maria, coadiuvato dai fratelli Giuseppe e Stefano, sara' colui che dara' gran lustro alla casa organaria facendola assurgere a un posto di primissimo piano. Strumenti dei Carrera sono infatti presenti in varie chiese di Milano e della Lombardia, del Piemonte, della Liguria, dell'Emilia e anche nella cappella 400 del vescovo di Santiago del Cile. L'importanza e lì'eccezionale perizia dei nostri costruttori e' ampiamente testimoniata e documentata dai lusinghieri articoli apparsi sulle "gazzette" dell'epoca, da riconoscimenti e attestati di stima, nonche' dal contenuto degli atti di collaudo dei loro strumenti sottoscritti dalle personalita' musicali piu' in vista del momento. I giudizi dei musicisti, compositori, organisti e concertisti di chiara fama quali padre Davide da Bergamo e Vincenzo Petrali, convergevano infatti nell'esaltare l'estetica sonora degli organi Carrera, la solidita' dell'impianto, l'accurata lavorazione del canneggio, la celta dei materiali e soprattutto la loro incontrastata superiorita' nei cosiddeti "registri di concerto". L'attivita' costruttiva dei fratelli Carrera continuera' e si concludera' con Antonio De Simoni-Carrera (Cerano 1826 - Legnano 1896), nipote , allievo ed erede dei celebri zii legnanesi. A Legnano sono presenti ben quattro organi documentati dei Carrera: in S.Magno, nella chiesa del Redentore (in origine lo strumento fu pero' costruito per la chiesa della Purificazione), nel Santuario delle Grazie a S.Ambrogio. Per quest'ultima chiesa , la piu' antica di Legnano, la Fabbriceria di S.Magno, nel 1886, volle affidare al De Simoni-Carrera i lavori di un nuovo organo. E' questo uno degli ultimi strumenti usciti dalla famosa casa legnanese e per la sua costruzione il De Simoni-Carrera volle impiegare anche del materiale fonico derivato e salvato da organi piu' antichi, ormai demoliti, che costudiva gelosamente nella sua fabbrica. Nel corso dell'attuale restauro, infatti, nell'organo di S.Ambrogio e' stato rivenuto un nucleo di canne cinquecentesche, probabilmente di scuola antegnatiana, oltre a un altro nucleo di canne di scuola biroldiana. Tutto questo sta a testimoniare con quale alto senso di rispetto e con quanta considerazione il nostro artefice sapeva salvaguardare cio' che di piu' nobile e pregievole era appartenuto a strumenti di alto lignaggio, lamentevolmente estinti, facendolo rivivere nel nuovo strumento che andava predisponendo. L'organo venne ultimato nel corso del 1886 e il 22 agosto dello stesso anno fu inaugurato dal famoso organista e compositore milanese Carlo Fumagalli che il 26 agosto redasse anche l'atto di collaudo. Di Carlo Fumagalli, autore tra l'altro di un metodo teorico-pratico per il pianoforte e di molta musica da chiesa, ricorderemo la presenza in S.Ambrogio con due sue composizioni durante il concerto inaugurale del restauro. Lo strumento riveste una particolare importanza poiche' e' l'unico uscito dalla fabbrica legnanese che si sia conservato inalterato nel tempo, senza 401 aver subito modifiche o manomissioni succesive. Si tratta di uno strumento di ottima fattura tecnica e di squsita fattura fonica con i peculiari e ben noti requisiti di eleganza, solidita' e personalita'. Accanto a un tipico "ripieno" Carrera, dall'intonazione classica e di sapore settecentesco, spiccano i "registri di concerto": trombe, tromboni, corno ingese, violoncello, voce umana, flauti, ottavino, la cui robustezza va di pari passo con la dolcezza e la pastosita', dolcezza che raggiunge il suo apice nella delicata sonorita' dei violini e degli altri registri violeggianti di cui, a buon titolo, i Carrera si ritenevano insuperabili. Alla "consolle" di quest'organo prestigioso, per le esigenze di culto, si sono succeduti nell'arco di un settantennio i maestri Beniamino Proverbio ed Eugenio Bonacina, valenti organisti legnanesi che con la loro arte hanno dato modo ai nostri avi e ad alcuni di noi di conoscere, gustare e apprezzare le ineguagliabili sonorita' dell'organo di Antonio De Simoni-Carrera. All'inizio degli anni Sessanta del nostro secolo l'organo si trovava purtroppo in uno stato di precarieta' e abbandono. La succesiva chiusura al culto della chiesa di S.Ambrogio fini' per ridurre lo storico strumento a una muta, ruggine e polverosa suppellettile. Per circa un ventennio si e' cercato inutilmente di sensibilizzare le autorita' locali affinche' si facessero carico, seppur parzialmente, del restauro dell'organo che, ancorche' proprieta' della chiesa, costituisce per altro un patrimonio storico e artistico dell'intera citta'. Si dovette gingere al luglio del 1990 per intraprendere per intraprendere i necessari e urgenti restauri di cui l'organo abbisognava. Grazie a un'encomiabile sensibilita' culturale e a una generosa sponsorizzazione, il Lyons Club Legnano Host e la Manifattura di Legnano misero in grado mons.Giuseppe Cantu' di affidare i lavori di restauro alla famosa casa Mascioni di Cuvio, indicata dal sottoscritto come una tra le piu' valide e idonee allo scopo. L'organo, completamente smontato, fu trasportato nel laboratorio di Cuvio dove, sotto la direzione di Enrico Mascioni, si e' provveduto alla pulizia generale di tutte le sue componenti, alla sostituzione delle pelli del somiere e del mantice, alla sostituzione delle molle delle valvole, alla revisione delle canne e della meccanica, all'intonazione e alla riaccordatura di tutto il materiale fonico oltre all'applicazione di un moderno elettroventilatore. Con questo competente e sapiente restauro l'organo di S.Ambrogio e' tornato al suo originario splendore, nuovamente in grado di spiegare nella navata del tempio le molteplici sonorita' che scaturiscono dai suoi raffinati registri. E' un patrimonio artistico voluto e lasciatoci in eredita' dai nostri avi che noi 402 abbiamo il dovere di conservare e salvaguardare per noi stessi e per le future generazioni. In qualita' di musicista e come persona sensibile ai valori della cultura e alle bellezze dell'arte non posso che plaudire a questo felice evento manifestando il piu' ampio senso di stima e di considerazione a tutti coloro che hanno desiderato e' reso possibile questo restauro, grazie al quale i legnanesi riacquistano un'autentica opera d'arte. Mi si permetta inoltre di auspiciare che il restauro dell'organo di S.Ambrogio possa rappresentare il punto di partenza per il successivo recupero degli altri strumenti Carrera, presenti in citta', che costituiscono un incommensurabile patrimonio diarte e di storia di cui Legnano potrebbe un giorno sentirsi giustamente orgogliosa. CARLO STELLA 403 Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La resistenza Alla vigilia della prima guerra mondiale Legnano aveva consolidato la sua nuova fisionomia di centro industriale. L'Europa, nell'estate del 1914, era già scivolata sulla china di un conflitto, che ben presto, con rapida successione di eventi, dilagò, dall'Austria-Ungheria alla Russia. In Italia gli interventisti si opponevano alle correnti sfavorevoli al nostro coinvolgimento in una guerra che purtroppo diventava sempre più inevitabile. Nel 1915, Legnano contava 28.757 abitanti e proprio nell'anno precedente aveva registrato il massimo dell'incremento demografico e immigratorio con l'aumento di 1532 unità da mettere in relazione con l'incremento dell'industria, che costituì un richiamo di manodopera e di addetti ai servizi del terziario. I grandi complessi manifatturieri legnanesi erano in difficoltà per il blocco delle materie prime, che provenivano dalla Germania e dall'Inghilterra. L'entrata in guerra decisa il 24 maggio, dopo accese polemiche tra neutralisti e interventisti, mise ancor più in difficoltà tanto le aziende tessili come le industrie metallurgiche. Superato il primo sbandamento, le une e le altre trasformarono in parte i loro impianti per forniture belliche. La Franco Tosi, in particolare, attrezzò uno dei reparti più vasti per la produzione in serie di affusti di artiglieria pesante. Le alterne vicende della guerra si ripercossero anche su Legnano, sfociando in una crisi resa ancor più drammatica dall'epidemia di spagnola scoppiata nel 1917. In quello stesso anno un'altra calamità si abbattè su Legnano. In concomitanza con gli infausti giorni della disfatta di Caporetto una terribile alluvione causò allagamenti e danni a tutti gli stabilimenti situati lungo l'Olona, le cui acque in piena, rotti gli argini, invasero anche il centro abitato, provocando ulteriori disastri a case e negozi. Due iniziative assistenziali furono intraprese a Legnano durante il primo conflitto mondiale. Nell'istituto delle suore canossiane "Barbara Melzi" si allesti un ospedale da guerra, mentre in una palazzina di via Bissolati, diventata poi sede del Liceo, fu impiantato un centro sperimentale di rieducazione per mutilati di guerra, intitolato alla principessa Maria Josè di Piemonte. In quegli anni in tutto il triangolo industriale lombardo si intensificarono lotte 404 sindacali alimentate dalle condizioni politiche, ma soprattutto dai disagi delle categorie meno abbienti in una zona trasformata rapidamente da borgo agricolo a centro industriale. Questo clima di conflittualità proseguì, con alterne vicende, fino al termine della guerra. L'evoluzione economico-sociale del nuovo sistema impose infatti sacrifici notevoli alle classi lavoratrici, data la carente legislazione sociale. I contadini, che lasciarono le colture sempre meno redditizie, sollecitati a trasformarsi in operai di fabbrica, dovettero sottostare a forme di disciplina a loro prima sconosciute e vivere in ambienti chiusi e non sempre igienicamente soddisfacenti. Gli stessi subirono un trauma psichico e fisico a volte acuto, dopo aver ritenuto come vantaggioso il loro distacco dall'attività agricola. Una nota ancor più dolente verificatasi a Legnano, come retaggio dei primi anni pionieristici dell'industria di fine Ottocento, fu il largo impiego della manodopera infantile. Un fenomeno comunque comune ad altri Paesi d'Europa ed in particolare all'Inghilterra. Nel periodo bellico il posto di coloro che erano arruolati fu in parte occupato nuovamente dalla manodopera giovanissima o femminile, anche perchè la loro retribuzione, a quei tempi, era di gran lunga inferiore a quella maschile. L'eccessivo sfruttamento dei lavoratori era già stato causa a Legnano e in tutto l'Altomilanese di un movimento sindacale, anche se organizzato con strutture improvvisate. E' sintomatico che proprio a Legnano si registrò il primo sciopero generale che si ricordi in Lombardia e precisamente nel febbraio 1884. Era in corso una grossa vertenza sindacale che interessava gli operai degli stabilimenti Cantoni di Legnano e Castellanza. Quando già la lotta minacciava di assumere le caratteristiche di vera e propria sollevazione, un intervento della giunta comunale, presieduta da Flaminio Dell'Acqua, riusci a far sospendere l'agitazione. In un manifesto datato 14 febbraio 1884, l'autorità municipale portava a conoscenza degli operai legnanesi l'invito a ricominciare il lavoro alle condizioni e prezzi attuali, riservandosi la direzione del cotonificio di fare gli aumenti dei salari a coloro che ne saranno riconosciuti meritevoli e nelle proporzioni che essa crederà conveniente a conciliare gli interessi dei lavoratori con quelli dell'industria. E la giunta a sua volta concludeva il manifesto ammonendo: Se qualche mal intenzionato tentasse di opporsi a quelli che hanno volontà di riprendere il lavoro, verrebbe punito a norma di legge. 405 Legnano fu in prima linea anche in occasione dello sciopero indetto il 4 settembre 1915 in tutte le città dove esistevano complessi tessili, per ottenere un aumento del salario negato dagli industriali. Rispondendo all'appello della Federazione Tessili e delle Camere del Lavoro di Gallarate, Busto e Legnano, pubblicato sul giornale La lotta di classe, scioperò la quasi totalità delle maestranze. I sindacati avevano basato la loro richiesta di aumento di retribuzione sul fatto che era salito il costo della vita e che gli industriali ricavavano maggiori guadagni dalle commesse militari. Il 28 settembre si tenne a Legnano, con la mediazione delle autorità municipali un incontro, al quale tra l'altro presero parte gli industriali Carlo Jucker, l'on. Carlo Dell'Acqua, Venzaghi e Maino. Gli operai, erano rappresentati da un esponente di ciascuna delle tre città sopra indicate, precisamente tali Schiavello, Canziani e Mariani. Dalla riunione non scaturì alcun accordo. Gli operai allora, lo stesso giorno, si riunirono in assemblea a Gallarate, decidendo la proclamazione dello sciopero, come già avevano fatto i tessili di Torino, Biella e Prato. Nonostante l'atteggiamento incerto delle leghe cattoliche, lo sciopero riuscì, come si è detto, massiccio in tutti e tre i maggiori centri cotonieri e nei vicini paesi di Cerro Maggiore, Rescaldina, Castellanza, Canegrate e Nerviano. Durò, cinque giorni e vi presero parte circa 40 mila operai. Gli industriali dovettero capitolare, accettando la maggior parte delle richieste, concretizzate poi, per la parte economica, in aumenti che andavano dal lO al 20%. Nello stesso anno, nel mese di ottobre, anche i metallurgici ed altre categorie operaie ottennero aumenti salariali. Nuovi episodi di scioperi e di lotte si ebbero nel 1917, alimentate stavolta dai socialisti della provincia, che stavano riannodando le fila della loro organizzazione sul territorio, anche per controbattere l'aumentata influenza del partito popolare. Questa volta il pretesto era, oltre l'auento di salario, anche la mancanza di generi alimentari. Nel Legnanese in questo clima di lotte e rivendicazioni venne organizzata una Camera del Lavoro e si costituirono tanto leghe di ispirazione socialista, come leghe appoggiate dal Partito Popolare e dagli organi dirigenti del movimento sindacale cooperativo. Inevitabili i contrasti che degenerarono, non di rado, in violenti conflitti, in quanto le leghe cattoliche si ponevano in netto antagonismo al movimento operaio socialista e, a volte, riuscivano a concludere con gli industriali pacifiche e vantaggiose intese, contando sull'ossequio alle istituzioni della gerarchia ecclesiastica, che aveva a Legnano in Eugenio Gilardelli, primo prevosto mitrato, un autorevole esponente. Nel maggio del 1920 i tramvieri di Legnano fermarono i tram, per impedire una manifestazione del Partito Popolare indetta a Busto. I socialisti sull'Avanti 406 scrissero in quell'occasione che neanche per un 'ora i popolari debbono avere l'illusione di essere padroni delle vie e delle piazze. Episodi analoghi si manifestarono in tutto l'Altomilanese con agitazioni e violenze delle quali alternativamente venivano accusati "caporioni rossi" o "fomentatori reazionari bianchi". Se nel primo dopoguerra i reduci rientrati ancora sotto l'influenza della grandiosa vicenda bellica non trovarono nella classe dirigente e politica il giusto riconoscimento ai tanti anni di stenti trascorsi al fronte, trovarono fortunatamente posti di lavoro in una città animata dall'ansia della crescita e della produzione, per riscattare gli anni perduti a causa degli impegni e delle limitazioni che il conflitto mondiale aveva imposto. Superato il primo periodo di relativa tranquillità e di grandi trasformazioni che avevano fatto sopire le lotte sindacali e le diatribe politiche, cominciarono a riaccendersi i primi focolai isolati di malcontento e insofferenza. Un aspetto caratteristico, del resto comune ad altre zone dell'Altomilanese e del Varesotto, fu, nel dopoguerra, la scomparsa dei partiti democratici avanzati come forza politica autonoma e influente. Nuovi protagonisti della lotta politica si inserirono come parte attiva: su un fronte la classe operaia e pochi intellettuali socialisti; sull'altro fronte le organizzazioni cattoliche, imprenditori e altre forze economiche, attorno alle quali andava aggregandosi larga parte della piccola e media borghesia conservatrice. A partire dal 1920 si formarono i primi gruppi fascisti provenienti in parte dalla borghesia reazionaria della destra estrema e in parte da categorie eterogenee, in cui erano molti giovani, alla ricerca di possbili vantaggi. Anche alcuni esponenti del partito cattolico diventarono di punto in bianco fascisti. Nei primi manipoli si infiltrarono anche elementi dal passato penale poco raccomandabile. Il fascismo in quei momenti aveva bisogno di individui decisi, violenti pronti anche ad usare le mani per far fronte alla massa socialcomunista sempre più agguerrita. Dal canto loro i cattolici di recente formazione politica, denunciavano inesperienza nel controllo delle masse popolari. Di questa situazione confusa si avvantaggiò, il nascente partito fascista, che puntò subito a reprimere i moti operai delle fabbriche e ad opporre la forza di contrasto, anche fisica, alle suggestioni della propria propaganda rivoluzionaria. La nebbia della retorica mussoliniana penetrò gradualmente in quasi tutti gli ambienti legnanesi, ma l'ordine e la disciplina, pur imposti con la forza e -- per i dissidenti -- con il confino e il carcere, crearono le premesse perchè la città riprendesse quel processo di industrializzazione già avviato nel primo quindicennio del secolo, rallentato, e non interrotto, durante il primo conflitto mondiale. 407 29 luglio 1901. All'allora sindaco di Legnano Antonio Bernocchi giunse una domanda in carta da bollo cosiredatta: "Mussolini Benito, maestro elementare di grado superiore, licenziato d'onore della regia scuola normale di Forlimpopoli, diretta dal prof. Alfredo Carducci (era il fratello del grande poeta), porge rispettosa istanza onde voglia ammetterlo tra i concorrenti ad uno dei due posti di maestro supplente vacanti nel capoluogo del Comune dalla Signoria Vostra illustrissima rappresentato. A giorni seguiranno i documentiprescritti dall'art. 128 del regolamento generale. Devotissimo Mussolini Benito ". Questa domanda è conservata nell'archivio storico comunale e, agli atti, figura anche che la stessa fu respinta perchè il posto nel frattempo era già stato coperto. Il giovane maestro di Predappio, se non riuscì a venire a Legnano per lavoro, lo fece per la prima volta, nella primavera del 1921, come esponente del partito fascista. In quell'anno il fondatore dei fasci non godeva ancora di grande notorietà. Benito Mussolini, esattamente il 5 ottobre 1924, venne di nuovo (e in forma ufficiale) in visita a Legnano, riorganizzatasi dopo gli anni tristi della ma guerra mondiale, allorchè gli opifici tessili e le industrie meccaniche locali si stavano imponendo in campo nazionale. L'invito, accettato, era stato rivolto a Mussolini dal sen. Antonio Bernocchi; la visita iniziò dal Cotonificio Bernocchi, per poi passare all'inaugurazione dell'edificio scolastico voluto dallo stesso senatore. A Legnano Mussolini tornò, in divisa di capo supremo della milizia fascista e come presidente del consiglio, il 4 ottobre 1934. Un grande palco era stato collocato su una turbina della Franco Tosi in piazza S. Magno, dove il duce tenne il discorso ufficiale ad una folla di alcune migliaia di Legnanesi. Passò quindi a visitare il Cotonificio Dell'Acqua, nel cui cortile lo attendevano circa 4500 dipendenti. Terminò il suo discorso nello stile reboante, che lo caratterizzava, con la frase: La parola d'ordine in questa azienda è e dovrà essere lavorare e far lavorare. La giornata legnanese di Benito Mussolini si concluse con una visita al Cotonificio Bernocchi, con l'inaugurazione di una mostra di pannelli statistici e di un campionario della produzione aziendale. Mussolini da allora non tornò più a Legnano vivo. Poco dopo la fucilazione, lo scempio di Piazzale Loreto e la sepoltura nel cimitero milanese di Musocco, la salma del duce scomparve, trafugata da ignoti. Transitò invece lungo le vie della periferia di Legnano, per raggiungere il convento dei frati cappuccini di Cerro Maggiore, ai quali quel cadavere fu affidato temporaneamente in custodia e poi restituito a donna Rachele. 408 Legnano passò dagli anni operosi della ripresa, seguita al conflitto mondiale del 1915-18, caratterizzati peraltro da una espansione urbanistica e da una trasformazione radicale del centro cittadino, all'era fascista. Gli anni del dopoguerra videro anche la realizzazione di scuole primarie e di case operaie, costruite dagli stessi grossi complessi industriali. L'Amministrazione comunale preferì dedicarsi alla creazione e all'ampliamento dei servizi collettivi e alle infrastrutture. Fu effettuata negli anni Venti, infatti l'estensione della rete dell'acquedotto e del gas di città, realizzata con le disponibilità di bilancio. In quegli anni Legnano sacrificò edifici di un certo valore storico, oltre che architettonico (il palazzetto cinquecentesco dei Lampugnani di Legnanello, l'Ospizio S. Erasmo, alcuni conventi, due caratteristici ponti sull'Olona) per lasciare posto alle costruzioni industriali. Attraverso una appropriata propaganda, una organizzazione che si fondava sull'ordine, sulla disciplina e sull'orgoglio nazionalista, il regime, anche a Legnano, seppe trascinare larga parte del popolo verso un consenso sempre più vasto, dimostrato soprattutto nelle grandi adunanze e nelle manifestazioni sportive, ma anche in occasione di iniziative come la Fiera Gastronomica, organizzata nel 1934 lungo l'allora viale Brumana, (oggi viale Matteotti) e nelle parate premilitari. Mentre le industrie, specialmente le tessili, ottennero il massimo impulso sotto l'attenta vigilanza delle emanazioni politiche del regime, nel periodo che va dagli anni Venti ai Trenta furono realizzate alcune importanti opere pubbliche, destinate a far colpo sul popolo, anche come risposta ai moti di dissenso: Casa del Balilla in viale Milano, Casa del Littorio, l'attuale Palazzo Italia, il poligono di tiro, la sede Inam. Lo stesso Benito Mussolini, il 16 dicembre 1937, consegnò ad un gruppo di industriali e lavoratori legnanesi, ricevuti a Palazzo Venezia, circa tre milioni raccolti con una sottoscrizione tra operai e imprenditori per costruire una scuola all'aperto con colonia elioterapica, uno stadio e una piscina, che sarà poi intitolata a Costanzo Ciano. Venne anche organizzata, nel maggio 1935, la prima Festa del Carroccio per ricordare -- come fece scrivere il federale Rino Parenti -- agli uomini della Nuova Italia il valore e l'eroismo degIi antichi guerrreri. Legnano nel frattempo aveva ricevuto un riconoscimento conquistato col lavoro e con l'intraprendenza dei suoi abitanti: l'elevazione del Comune al rango di città. Il titolo venne conferito il 15 agosto 1924, con un decreto di Vittorio Emanuele III, ma fu consegnato da Benito Mussolini il 5 ottobre dello stesso anno, in occasione della sua seconda visita, per l'inaugurazione della scuola di avviamento industriale e commerciale 409 "Antonio Bernocchi". Quale era la fisionomia economica e sociale di Legnano nel 1924 e quali i principali avvenimenti di quell'anno? La città contava 29117 abitanti, segnando una ripresa demografica dopo un calo di popolazione registrato durante la prima guerra mondiale. Secondo il censimento del 1927 la popolazione era di circa 30 mila unità, con 677 esercizi industriali o artigianali e 17.612 addetti, con un quoziente di industrialità (occupati nell'industria rispetto alla popolazione) pari al 57,3 %. La forza lavorativa era così suddivisa: industria e artigianato: n. 15.563 addetti tessili: n. 9.926 addetti meccanici: n. 4.056 addetti; commerciali, credito e assicurazioni e servizi vari: n. 287 addetti. Anche gli avvenimenti con le date più memorabili, nell'anno in cui allo stemma di Legnano fu aggiunta la corona di città, offrono qualche spunto per tracciarne il volto di allora. Era sindaco, dal 1923, Fabio Vignati (che diventò podestà a partire dal 1 aprile 1927), segretario comunale il dott. Luigi Munari. Tra le opere pubbliche realizzate, oltre ai già citati edifici delle istituzioni del Partito Nazionale Fascista, ricordiamo l'ampliamento del cimitero e della via del Sempione col completamento della pavimentazione, in parte a cubetti di porfido; il rinnovo dell'Ospizio S. Erasmo, col finanziamento dello stesso sindaco Vignati, il recupero delle strutture del palazzetto rinascimentale dei cavalieri Lampugnani di Legnanello per servire alla costruzione, con le medesime caratteristiche, del Museo Civico, inaugurato due anni dopo. Inoltre l'Ospedale fu eretto ente morale e si costruì il padiglione chirurgia con la prima sala operatoria. Il 19 piugno fu inaugurato il sanatorio "Regina Elena" alla presenza della regina Margherita (oggi l'edificio è sede del Centro socio-educativo per handicappati gravi e di altre istituzioni assistenziali, tra cui la comunità-alloggio della Cooperativa Il Castoro, voluta dall'A.N.F.F.A.S.). Il 20 settembre fu inaugurato, presente re Vittorio Emanuele III, il tratto iniziale dell'autostrada Milano-Laghi fino a Gallarate, con casello anche a Legnano. Era la prima autostrada nel mondo, ideata dal varesino ing. Piero Puricelli, col patrocinio del Touring Club Italiano. Fu un'opera ardita, addirittura avveniristica per quei tempi, considerando che in Italia, nel 1924, il parco veicoli non superava le 40 mila unità, la meta delle quali concentrata proprio in Lombardia. Il mezzo di trasporto che dominava era la bicicletta e la Franco Tosi già fabbricava da oltre un decennio le biciclette Wolsit nello stabilimento di via 20 Settembre, dove all'inizio del secolo si costruirono le prime vetturette della Fial di Guglielmo Ghioldi. Nel 1927 la società Emilio Bozzi 410 rilevò l'attività rilanciando la bicicletta marca Legnano con la casa ciclistica verde oliva, nata nel 1918. La squadra calcistica lilla, fondata nel 1913 militava in quell'anno nel massimo campionato prima divisione), allenata dall'ungherese Schoffer . Già da tre anni era stata costituita la Federazione Industriali Legnanesi, che proprio nel 1924 ebbe il suo momento di massimo sviluppo (in precedenza gli imprenditori della città facevano capo alla Federazione Industriali Altomilanese), anche se fu abolita con la legge fascista del 3 aprile 1926, che eliminava le Unioni locali miste, per conformarle allo schema fisso della giurisdizione provinciale. La città aveva come organo di stampa locale il settimanale La voce di Legnano, diretto da Carlo Guidi. A questo giornale è legato uno degli episodi della lotta repressiva delle squadre fasciste contro gli oppositori del regime. Il1 novembre del 1926, in seguito ad una perquisizione della milizia nell'abitazione del Guidi, esponente del Partito Popolare, l'intera edizione fu bruciata in piazza S. Magno, perchè il giornale non si era allineato ai commenti voluti dalle gerarchie fasciste. Il quotidiano varesino Cronaca Prealpina dedicava già allora una pagina intera agli avvenimenti del Legnanese e della plaga, come il settimanale Luce, organo cattolico legato alla Curia. Anche a Legnano e in tutto l'Altomilanese il movimento fascista sorse seguendo le ispirazioni d d ella demagogia nazionalista e patriottarda e fece leva sulla delusione dei reduci, sul malcontento di tanti piccoli borghesi e di giovani, messi in difficoltà dalla crisi economica del dopoguerra. Le prime squadre, all'indomani della famosa marcia su Roma, alla quale anche Legnano inviò alcuni rappresentanti, si formarono con la tacita acquiescenza e gli aiuti concreti di una parte delle categorie più abbienti e dei grossi proprietari terrieri, che non si rassegnavano all'avanzata del movimento sindacale ed operaio. Il primo nucleo delle brigate nere si insediò in un circolo di via Cairoli presso la ferrovia e da li cominciarono a partire spedizioni contro circoli "non allineati", cooperative, sedi politiche e sindacali. Inermi cittadini furono aggrediti e bastonati con l'ingiunzione di non occuparsi più di politica e di organizzazione operaia. Difficile la difesa dei lavoratori antifascisti contro queste squadre, provenienti da paesi diversi, forti oltre che del loro armamento, della connivenza e complicità di molte autorità dello Stato, che davano loro impunità. Nacquero i manipoli "Numa Negrini" diventati poi tre per altrettanti rioni della città, intitolati rispettivamente "Renato Falzone", "Daniele Martinelli" e "Dino Piochi". I primi tentativi di opposizione furono repressi duramente dall'allora federale Nino Parenti e 411 una decina di legnanesi furono inviati al confino politico. In questo clima Legnano ebbe la prima vittima della violenza fascista, Giovanni Novara, un giovane operaio comunista, colpito a morte a rivoltellate da un sicario delle squadre punitive senza che l'assassino venisse arrestato. Con la violenza fu defenestrata nello stesso anno la giunta socialista diretta dal sindaco Ermenegildo Vignati e al suo posto fu designato, come commissario prefettizio, il dott. F. Spairani, che resterà in carica fino al 1 marzo 1923, all'elezione cioè del nuovo sindaco Fabio Vignati. I cattolici erano divisi tra la corrente conservatrice e la sinistra dello stesso movimento. Quest'ultima, a volte, faceva sentire la propria voce, ma lo stesso Achille Grandi, allora dirigente dei sindacati, pur dichiarando che il Partito Popolare doveva fiancheggiare con l'azione politica l'aspirazione delle classi lavoratrici sosteneva che le organizzazioni cattoliche costituivano l'argine più saldo contro il dilagare del sovversivismo, che attenta alla sicurezza dello Stato (Giornale Luce dell'11 marzo 1920), concludendo con l'invito ai lavoratori a non aderire agli scioperi proclamati dai sindacati rossi. Quali erano le posizioni di forza dei vari schieramenti politici di Legnano nei tre anni che precedettero la marcia su Roma? I risultati delle elezioni generali politiche del novembre 1919 offrirono un quadro abbastanza significativo. Nell'ex collegio di Gallarate, compreso allora nella circoscrizione Milano-Pavia e al quale apparteneva anche Legnano, i socialisti passarono da 5349 suffragi del 1913 a 10.289; i democratici, che si erano presentati nella lista come "combattenti" con un elmetto per contrassegno, scesero invece dai 7643 a 2835 suffragi; i Popolari ebbero 2212 voti. Risultarono eletti deputati i socialisti Buffoni e Campi. A Legnano in particolare la lista dello scudo crociato (Partito Popolare), che aveva come unico esponente locale Carlo Guidi (eletto, rinunciò a favore di un candidato pavese), riportò 989 voti; i socialisti (falce e martello) 3088 voti; i "combattenti" 658 voti; la lista dei monarchici e liberali (con una stella per simbolo) raccolse 208 voti; il fascio dei littori, cioè la lista fascista ebbe solo 7 voti. Benito Mussolini ottenne sette preferenze ed una soltanto Arturo Toscanini, che pure figurava nella stessa lista. Tra i "popolari" 846 voti di preferenza toccarono a Carlo Guidi, tra i socialisti 287 furono per Claudio Treves e 290 per Filippo Turati. Nelle successive elezioni politiche del 1924 le violenze e le intimidazioni fasciste non ebbero piu' freno in tutto il Paese e Giacomo Matteotti, per averle denunciate in Parlamento, fu rapito nel centro di Roma e barbaramente trucidato. 412 La protesta e la rivolta popolare seguite al delitto Matteotti costrinsero il fascismo a togliersi la maschera legalitaria ed a trasformare il suo regime in un'aperta dittatura. Dichiarati illegalmente decaduti i parlamentari antifascisti, furono sciolti i partiti e i sindacati operai, soppressa la stampa antifascista abolita ogni libertà politica ed eliminati i consigli comunali, sostituiti da gestioni podestarili, che per venti anni umiliarono le amministrazioni locali. Infine, nel novembre 1926, furono promulgate le leggi eccezionali, che ristabilivano la pena di morte, e fu costituito il tribunale fascista, per giudicare gli avversari del regime. Contro la dittatura fascista e la sua politica i lavoratori e gli antifascisti legnanesi si batterono valorosamente. Solo con la violenza e l'intimidazione agli operai e impiegati fu imposta la tessera dei sindacati fascisti e le relative trattenute sulla busta paga. Scioperi ed agitazioni si svolsero nel ventennio in molte fabbriche legnanesi. La stampa clandestina circolava tra gli operal anche nei momenti più bui della dittatura. Venti comunisti legnanesi furono denunciati al tribunale speciale fascista per la loro attività e alcuni di loro scontarono con anni di reclusione l'attiva partecipazione alla lotta per riconquistare agli Italiani la libertà. Gli antifascisti legnanesi diedero un importante contributo all'organizzazione provinciale e nazionale del movimento politico e sindacale. Un ex impiegato comunale e un ex ferroviere furono valorosi comandanti delle brigate internazionali e garibaldine, che difesero la Repubblica Spagnola dall'attacco fascista. Mussolini, che all'inizio dell'aggressione nazista alla Polonia nel settembre 1939 aveva dichiarato lo stato di non belligeranza dell'Italia, dopo la vittoria lampo dell'esercito tedesco in Francia che aveva travolto anche la linea Maginot, si convinse che la guerra stava per finire con la vittoria dei tedeschi e il 10 giugno 1940 dichiarò guerra alla Francia, ormai prostrata dalla sconfitta all'Ovest. Ma la guerra doveva durare ancora cinque anni, provocando morte e distruzione in molti paesi. All'ambizione di Hitler non bastò il dominio tedesco su gran parte dell'Europa Occidentale e nel 1941 egli attacciò l'Unione Sovietica con l'illusione di ripetere in Russia la guerra lampo che gli era riuscita in Francia. Mussolini chiese quindi l'onore di partecipare alla vittoria sulle "orde bolsceviche" e mandò, sul fronte russo un corpo di spedizione, privo perfino delle attrezzature necessarie per difendersi dall'inverno glaciale delle steppe. Sconfitti i tedeschi a Stalingrado, perdute tutte le colonie in Africa, la guerra investì direttamente il nostro Paese con lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia. Il regime fascista, già profondamente scosso dal malcontento popolare e dagli scioperi del marzo 1943, stava per 413 crollare sotto il peso delle sconfitte militari e i gerarchi fascisti del Gran Consiglio, il 25 luglio 1943, diedero una mano alla monarchia per far arrestare Mussolini. Il 25 luglio fu festeggiato dagli Italiani come la fine di un incubo. A Legnano, Carlo Venegoni, attivo patriota antifascista, liberato dall'internamento vigilato in sanatorio per malattia contratta in carcere, dopo una condanna per attività politiche, ricostituì, con Ezio Gasparini ed altri suoi compagni, la Camera del Lavoro. Anche nelle maggior fabbriche della città si formarono nuovamente le commissioni interne, soppresse dal fascismo. La dichiarazione di Badoglio: La guerra continua, restiamo fedeli all'alleanza con i tedeschi ebbe un senso preciso per i lavoratori delle fabbriche dell'Altomilanese, trasformate per la produzione bellica e per commesse militari. Le industrie del Nord da quel momento in poi avrebbero dovuto offrire al Terzo Reich i prodotti utili per proseguire una guerra che si sperava conclusa. E così in realta avvenne fino alla Liberazione. Fu sintomatico che all'indomani dell'8 settembre, data dell'armistizio tra governo italiano e Alleati, già circolavano minacciose per Legnano le autoblinde tedesche. Alla Franco Tosi, in una grande assemblea, i lavoratori vennero invitati a partecipare alla lotta contro i nazisti, ormai considerati invasori. Lo stesso avvenne negli stabilimenti Cantoni, dove era stato allestito un reparto per la produzione di capi confezionati ad uso militare. Nel cotonificio di Legnano fu tenuto vivo quasi clandestinamente, un piccolo settore della tagliatura di velluti, allo scopo di conservare maestranze specializzate, in vista del momento in cui si sarebbe potuta riprendere la lavorazione a guerra finita, un provvedimento questo che permise poi di rilanciare subito la produzione, vincendo la concorrenza giapponese negli scambi commerciali, nel quadro degli accordi di cooperazione con gli Stati Uniti. Nel mese di ottobre si costituirono a Legnano e nei paesi vicini le prime squadre armate composte da operai, da studenti e da soldati, sbandati dopo l'8 settembre. Iniziò, nelle fabbriche del Legnanese la resistenza passiva e il non collaborazionismo coi tedeschi, appunto per evitare che la produzione bellica venisse usata per proseguire una guerra non voluta. Si formarono le brigate partigiane "Carroccio" , d'ispirazione cattolica, e "Garibaldi" di estrazione socialcomunista, le brigate autonome, tra le quali la "Mazzini" di stampo repubblicano ed infine il "Fronte della Gioventù", ad opera di alcuni studenti universitari. Le "Carroccio" e "Garibaldi" agirono in appoggio alle formazioni partigiane dell'Alta Italia secondo le direttive del CLN, che nel Settentrione era affidato a Ferruccio 414 Parri. Si organizzarono in clandestinità le prime SAP (squadre di azione proletaria) alla Franco Tosi, alla Metalmeccanica, alla Società Industrie Elettriche, alla Mario Pensotti, alla Manifattura di Legnano e alla Cantoni. Le SAP rappresentarono il braccio armato dei lavoratori nella lotta partigiana e fecero da organizzatrici, con le commissioni interne, degli scioperi generali. Da Legnano partirono spedizioni di rifornimento alla divisione "Alfredo di Dio", localizzata sulle montagne dell'Ossola e alla ''Puecher", che aveva tra i comandanti il legnanese Pietro Sasinini operante nella zona del Mottarone, Lago d'Orta e Ornavasso. Nelle fabbriche ormai direttamente controllate dai nazisti, specie dove si produceva materiale bellico, si intensificò la resistenza passiva e la non collaborazione. Le commissioni interne, non potendo apertamente dichiarare che le agitazioni erano dovute alla volontà degli operai di non lavorare per la Germania, pena l'arresto o la deportazione, puntavano nelle rivendicazioni sulla riduzione delle ore lavorative e sulle condizioni disumane in cui i lavoratori erano costretti ad operare e sull'aumento della razione di pane e dei salari. Ai primi scioperi massicci alla Franco Tosi i tedeschi si sostituirono alla milizia fascista nel controllo della produzione. ln questo clima maturò uno dei più tragici episodi della resistenza legnanese. Il 5 gennaio 1944 le SS, al comando dello spietato generale Zimmerman, compirono un'azione dimostrativa di rappresaglia proprio nello stabilimento della Tosi. Furono dapprima arrestati sei operai tra i più facinorosi, facenti parte della commissione di fabbrica e noti antifascisti. Alla ribellione in massa di tutti gli altri operai, furono prelevati 63 tra coloro che manifestavano nel cortile. Dopo lunghi interrogatori i tedeschi rilasciarono gli arrestati, tranne sette, che furono deportati nei lager nazisti. Analoghe azioni furono compiute negli stabilimenti della Metalmeccanica, della Manifattura di Legnano e della Società Industrie Elettriche. Nei giorni precedenti era gia stato arrestato e subito avviato a Mathausen, sempre alla Tosi, l'antifascista legnanese Candido Poli. Di questi lavoratori persero la vita nei campi di sterminio Pericle Cima, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Antonio Vitali, Francesco Orsini Angelo Sant'Ambrogio. Ernesto Venegoni, Carlo Ciapparelli, Eugenio Verga, Giuseppe Ciampini e Giannino De Tommasi. Nell'inverno del 1944 si verificò, tra gli altri episodi della lotta clandestina, l'attentato al ristorante albergo Mantegazza. Nel locale, mentre la sera del 4 novembre erano riuniti fascisti e tedeschi per un banchetto, un nucleo di "garibaldini" fece esplodere su una delle finestre una bomba ad 415 orologeria molto potente, che causò, cinque morti e venticinque feriti tra i militari. L'attentato scatenò la reazione della polizia fascista che operò diversi fermi e pestaggi. Il 4 novembre furono massacrati due noti antifascisti legnanesi, Giovanni Rovellini e Serafino Roveda. Un mese prima cadde nelle mani dei fascisti uno dei fondatori delle brigate "Garibaldi" di Legnano, Mauro Venegoni , già dirigente sindacale comunista, condannato nel 1927 a cinque anni di reclusione dal tribunale speciale. A Venegoni la milizia impose di rivelare i nomi dei partigiani del suo gruppo e, ad un rifiuto, fu torturato barbaramente, accecato e quindi ucciso a Cassano Magnago alcuni giorni dopo. Per questo tragico episodio, dopo la Liberazione, gli fu assegnata la medaglia d'oro al valore militare, alla memoria. Recenti studi storici hanno confermato quali funzioni precise avesse, nella strategia del Terzo Reich, quella grande linea di difesa, chiamata gotica, che si estendeva, attraverso gli Appennini, da Massa a Pesaro, per 320 chilometri, sfruttando sia le naturali asperità del terreno, sia le fortificazioni create dai tedeschi. A quella "linea" restarono legate le sorti di tutta l'Italia Settentrionale fino all'inizio del 1945. Gli alleati attaccarono la linea gotica alla fine dell'agosto del 1944 con oltre 900 mila soldati e migliaia di aerei, cannoni e carri armati, per dilagare verso la pianura padana, raggiungere Vienna e arrivare a Berlino prima dei Sovietici. Ma la "linea" si dimostrò più forte di quanto si ritenesse. Allora i comandi alleati decisero di tentare l'attacco risolutivo da Ovest, con lo sbarco in Normandia, sottraendo grandi forze alla quinta Armata americana e all'Ottava britannica, impegnate sulla gotica, sicchè i Tedeschi qui poterono arginare l'avanzata. Questi, appunto per la loro strategia, come ha ribadito G. Schreiber al convegno degli studi storici sulla linea gotica, tenutosi a Pesaro nel settembre del 1984, avevano l'ordine di tenere più a lungo possibile il fronte appenninico per tre motivi: 1) per impegnare il nemico e alleggerire il fronte francese impedendo l' apertura di un nuovo fronte nei Balcani; 2) per evitare che un cedimento potesse far sentire il popolo tedesco completamente circondato; 3) per tenere la pianura padana con le sue risorse agricole e con le grandi fabbriche del triangolo industriale lombardo e sfruttarla nella produzione, soprattutto bellica. Questo era l'ordine passato da Rudolf Rahn, plenipotenziario tedesco presso la Repubblica Sociale Italiana, che affidò alla Milizia e alle SS l'incarico di vigilare nelle fabbriche, perchè la produzione fosse intensificata. In risposta al proclama del 13 novembre 1944 del generale Alexander, comandante le truppe alleate in Italia, che invitò, i partigiani operanti oltre la linea gotica a smobilitare, provocando così delusione e accuse di 416 tradimento da parte delle stesse forze della Resistenza, a Legnano i gruppi partigiani decisero invece di intensificare la lotta armata, proprio per dimostrare di non aver raccolto l'invito di Alexander. Il 24 novembre furono attaccati in forze la caserma legnanese della Guardia Nazionale Repubblichina e contemporaneamente il carcere di S. Martino per liberare alcuni detenuti politici: dopo tre ore di conflitto arrivarono rinforzi fascisti e i partigiani dovettero ritirarsi. Alla ripresa dell'offensiva degli Alleati lungo la linea gotica si capì che l'ora della liberazione della pianura padana si avvicinava; le brigate "Garibaldi" e "Carroccio" predisposero allora con il CLN il piano per l'insurrezione nell ' Altomilanese . Il lO aprile 1945 alcuni esponenti del PCI, sorpresi a distribuire a Legnano volantini contenenti il preavviso per tale insurrezione armata, vennero arrestati dal dirigente l'ufficio della Polizia Politica locale, capitano della Milizia, Nucci. Anche nei paesi vicini furono compiuti rastrellamenti e arresti. Mussolini intanto si era stabilito a Milano, in Prefettura, e anche da Legnano si seguirono con ansia i tentativi di trattative con il CLN (mediatore il cardinale arcivescovo Schuster per ottenere dai Tedeschi che, in caso di ritirata, fossero almeno vietate le distruzioni alle città e il prelievo di ostaggi Il 24 aprile, mentre Mussolini organizzava coi suoi gerarchi plu fidati la fuga verso la Svizzera, conclusasi poi con la fucilazione a Dongo, le formazioni partigiane di Legnano decisero di agire con un giorno di anticipo rispetto alle altre città della Lombardia. Il primo obiettivo fu quello di neutralizzare una stazione-radio tedesca, situata a Cascinette di Canegrate, col compito di tenere i collegamenti con una grossa colonna corazzata tedesca, agli ordini del maggiore Stamm, che dal Piemonte puntava verso Busto Arsizio, ed era diretta in Valtellina. L'operazione fu compiuta dal distaccamento della 182' brigata "Garibaldi". La stessa notte la brigata "Carroccio" attaccò il presidio tedesco della caserma Cadorna. Alle nove del 25 aprile il piano dell'insurrezione armata fu completamente realizzato dal comando partigiano unificato. La caserma Cadorna, dopo alterne vicende e conflitti a fuoco, fu occupata; contemporaneamente furono conquistate anche la caserma carabinieri di via dei Mille (dove si insediò il CLN locale e il Comando Militare Volontari della Libertà), la Casa del fascio, la scuola Carducci e la piscina. Intanto formazioni garibaldine ingaggiarono combattimenti per bloccare ai due caselli dell'autostrada di Legnano e della Cascina Olmina autocolonne tedesche in ritirata. In queste azioni cinque partigiani furono feriti e altri cinque uccisi. Alle 10,30 un gruppo di partigiani tentò, la conquista del palazzo comunale, 417 dove aveva sede l'Ufficio di Pubblica Sicurezza, diretto dal commissario Santini (che finì poi fucilato in piazza Mercato insieme al capitano della Milizia, Nucci). Gli agenti di polizia contrattaccarono e si ebbe un lungo conflitto a fuoco. Tra gli assalitori del palazzo comunale vi era anche Anacleto Tenconi, che, secondo gli accordi a suo tempo presi, era destinato ad assumere le vesti di sindaco del CLN. Intanto il vicino Palazzo Littorio, sede del comando fascista, fu occupato e gli uomini impegnati in questa azione andarono a rinforzare i partigiani, i quali assediavano Palazzo Malinverni, che potè così essere conquistato. Sembrava che la liberazione della città fosse ormai completata, ed invece durante la notte tra il 25 e il 26 alcune formazioni tedesche rioccuparono la zona centrale di Legnano e dovettero essere attaccate e fatte sloggiare. Nella tarda mattinata un nuovo pericolo si profilò. Un'autocolonna corazzata tedesca, partita da Milano, ormai insorta e occupata dal CLN e dalle formazioni partigiane, giunse alla periferia di Legnano con l'intento di ricongiungersi all'altro reparto del maggiore Stamm, che si trovava nel Magentino (quest'ultimo fu poi bloccato a Lonate Pozzolo e il comandante, dopo essersi arreso agli "azzurri" del raggruppamento "Alfredo di Dio" di Busto , si suicidò. I partigiani, convinti che i Tedeschi volessero rioccupare la città, attaccarono l'autocolonna tra lo stabilimento Mocchetti e l'Officina Gianazza. Ai partigiani si unirono operai, giovani e numerosi cittadini. Alla fine i Tedeschi fecero dietro front e da Lainate si avviarono verso Como (A. Tenconi, Rapsodia in tono minore, Legnano 1966). Sul posto, al termine dei combattimenti, restarono 14 morti tra le formazioni partigiane. Il 27 aprile la città di Legnano fu completamente libera e in mano ai partigiani: per le strade in quel giorno cortei e tripudio per la riconquistata libertà. Purtroppo i giorni che seguirono furono teatro di qualche isolato episodio di inutile vendetta e di violenza, come hanno riferito i testimoni di quegli angosciosi eventi: "Errori tragici furono commessi in quei giorni, ma durante un movimento di grandi masse è quasi sempre difficile, se non impossibile, a qualunque capo, dominare le azioni dei singoli" (A. Tenconi, Op. cit.). Infatti, con giudizi più o meno sommari pronunciati da alcuni capi partigiani subito dopo la Liberazione, furono fucilati sedici ex appartenenti alla milizia fascista o cittadini che erano ritenuti implicati in azioni fasciste. Nonostante l'opera di mediazione dell'allora prevosto mons. Cappelletti le esecuzioni furono compiute ugualmente (e in mommenti diversi) in piazza S. Magno e del Mercato, alla cascina Mazzafame e al raccordo 418 dell'autostrada a Castellanza . Nella città libera, in poche settimane, ritornò, comunque la normalità, si riorganizzò il lavoro nelle fabbriche e si formò, la giunta comunale nel CLN col compito di intraprendere l'opera di ricostruzione, e cancellare, per quanto possibile, i tristi ricordi della guerra. La prima giunta era così costituita: sindaco, Anacleto Tenconi (DC); componenti: Neutralio Frascoli (DC), Giovanni Parolo (DC), Guido Cattaneo (PSI), Ernesto Macchi (PCI), Natale Barnabè (PRI), Enrico Riccardi (PRI). Essa fu poi completata con altri tre assessori all'atto delle attribuzioni: Ezio Gasparini (PCI), vicesindaco; Giuseppe Moro (PSI) e Giovanni Brandazzi (PCI). La prima seduta della giunta si ebbe il 2 maggio 1945, segretario comunale era il dottor Amedeo Rossi. Non fu facile normalizzare la vita della città. Mancavano gli alimenti primari, i mezzi di locomozione erano ridotti al minimo, le case popolari insufficienti, le aule scolastiche sovraffollate, le strade ridotte in uno stato pietoso e le classi lavoratrici, in condizioni disagiate, chiamavano continuamente l'amministrazione comunale a fare da interprete e mediatrice delle loro aspirazioni. L'avvio della democrazia e della ricostruzione fu lento e faticoso; le ferite di un passato torbido si cicatrizzarono lentamente, con tenacia, allorchè lo spirito di collaborazione riuscì a prevalere sulle lotte di parte. Normalizzatasi anche la politica nazionale, Legnano riprese il vigore economico che aveva caratterizzato il periodo pionieristico. Il 4 maggio 1945 si costituì un comitato industriale provvisorio presieduto dagli industriali Mario Pensotti e Aldo Palamidese, dal quale scaturì poi l'Associazione Legnanese dell'lndustria, il cui atto costitutivo reca la data del 13 luglio 1945, primo presidente Pier Luigi Ratti. La direzione fu affidata al dottor Manlio Bucci, che seppe creare le premesse per assicurare alla rinnovata associazione industriali un ruolo determinante nella vita organizzativa dell'importante settore economico di tutta la città e del Legnanese, tale da assicurare, tra il 1951 e il 1961 il più alto indice di industrialità in rapporto alla popolazione (65,2%) tra i Comuni lombardi, secondo dopo Sesto S. Giovanni. Si ricostituirono anche gli altri organismi economici, professionali e associativi, tra cui l'Unione Commercialisti, la Consociazione degli Artigiani e l'Unione Artigianti con giurisdizione su tutta la zona. Legnano nel dopoguerra dimostrò, la risoluta volontà concorde di ripresa e di continuità delle care tradizioni, e delle virtù antiche, più che mai da rinnovare, nella pace riconquistata. Se, l'8 settembre, l'annuncio della firma dell'armistizio con gli alleati e lo sbarco degli angloamericani a Salerno crearono disorientamenteo tra la 419 popolazione, che non aveva ancora compreso, nella sua realtà, l'effettiva portata dei fatti, tali avvenimenti colsero di sorpresa anche le Forze Armate. Gli ambigui ordini di Badoglio e la fuga del re dalla capitale furono nuovi motivi di perplessità. I Tedeschi erano ancora tra noi e la Resistenza stava uscendo dalla clandestinità, ma non aveva ancora assunto una sua salda struttura organizzativa. I soldati italiani, increduli, stanchi ed umiliati, non sapevano cosa fare. Se li coglievano in divisa e sbandati, i tedeschi, considerandoli disertori, potevano arrestarli e deportarli. La maggior parte di essi aveva solo raccolto l'ordine non ufficiale del tutti a casa. In questa situazione quasi tutti i reparti dell'esercito italiano si sbandarono. Solo gli uomini di alcune unità che si trovavano nel Meridione e nel Centro Italia afferrarono il significato del momento e, alla guida dei loro comandanti, passarono tra le fila della Resistenza. Non si sciolsero e, conservando divisa e stellette, cominciarono a dare il loro contributo alla lotta per la libertà. A questi contingenti, che diedero poi vita al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), si unirono anche molti militari sbandati che avevano le loro famiglie nell'Italia Settentrionale. Per loro costituiva un motivo in più, oltre a quello ideale della riconquista della libertà, ricacciare i tedeschi oltre le Alpi e tornare alle proprie case. Gli uomini di questi raggruppamenti militari, pur così eterogenei, seppero dar vita ad episodi di valore e ad azioni che diventarono vero eroismo, in alcuni casi, durante combattimenti di appoggio alle forze alleate. Un contributo essenziale e particolarmente significativo, tra i reparti che si opposero ai tedeschi, fu dato dalle unità che facevano parte della Divisione "Legnano": il 67' Reggimento Fanteria, l'11' Reggimento Artiglieria da campagna, il 68' Reggimento Fanteria e il 2' Battaglione Genio Pionieri. Alcune aliquote degli uomini dei reggimenti della "Legnano" andarono a costituire il 1' Raggruppamento Motorizzato Italiano, rafforzato da unità di varie provenienze. Da citare un battaglione di allievi ufficiali di complemento, che si trovarono in quel periodo nelle province di Brindisi e Lecce. Questo raggruppamento ebbe il battesimo del fuoco a Montelungo, una località a sud di Cassino, l'8 dicembre 1943. I fanti, gli artiglieri e i genieri della Legnano ebbero il privilegio di combattere in un'azione offensiva contro reparti nazisti. Con il loro coraggio e il loro eroismo lasciarono attoniti gli alleati, facendo così rilevare che l'esercito italiano si considerava sconfitto, ma non vinto e manteneva sempre integro il proprio prestigio. Le operazioni dell'II' Reggimento Artiglieria, in appoggio ai fanti del 67' furono oltremodo dure, protraendosi per dieci ore sugli impervi pendii di Montelungo. Ben dodicimila colpi sparati, cinque morti e quattordici feriti 420 furono le cifre, in sintesi, dell'epopea di questi militari. Per la battaglia di Montelungo, la bandiera del 67' fu decorata di medaglia d'oro. Una medaglia d'argento al valor militare fu assegnata rispettivamente all'11' Artiglieria, al 2' Battaglione Genio Pionieri e al 68' Fanteria Legnano per i fatti d'arme avvenuti tra il febbraio 1944 e il 1945. Il raggruppamento militare, rinforzato da altre unità provenienti dal sud, assunse ufficialmente la denominazione di Corpo Italiano di Liberazione. Il suo stemma era una croce bianca in campo azzurro con l'effigie del guerriero di Legnano. Alla caduta della linea difensiva tedesca a Cassino, la Gustav, il CIL venne trasferito sul fronte orientale della penisola alle dipendenze dell'8' Armata inglese e impiegato nei combattimenti, fino alla liberazione di Ancona. Al termine di questi cruenti e vittoriosi combattimenti, il CIL fu ritirato nella zona di Piedimonte d'Aife, a nord di Caserta dove, riarmato ed equipaggiato con materiali inglesi, assunse la denominazione di "Gruppo di Combattimento Legnano". Trasferito successivamente sulla linea gotica, partecipò alla liberazione di Bologna (21 aprile 1945). Nell'autunno dello stesso anno, cessate le operazioni belliche, il gruppo di combattimento diventò Divisione di Fanteria Legnano. Il glorioso 67' Fanteria tornò nella sede della caserma "Raffaele Cadorna" di Legnano, restandovi fino al 1958. In quell'anno, ed esattamente il 1' maggio, si costituì in Legnano il 4' Reggimento Fanteria Corazzato, inquadrato nella Divisione Legnano. In seguito alla ristrutturazione dell'esercito, in tempi più recenti, (1975) alla Caserma Cadorna, oltre al Comando di Presidio, resteranno di stanza il 20' Battaglione Carri M.O. Pentimalli e il 2' Battaglione Bersaglieri Governolo, appartenenti entrambi alla Brigata "Legnano". nizio Indice. 1924 - Titolo di citta' 2 Contributo della divisione Legnano alla lotta della liberazione 5 Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La resistenza 1 L'insurrezione Armata 4 L-28.doc 1 La resistenza 3 Le lotte politiche 3 Le lotte sindacali 1 Mussolini a Legnano 2 .Fine Indice. 421 Legnano, l'ingegnere archeologo (1) Quanto deve l'Italia dei musei alla passione antiquaria dei privati? Difficile fare dei conti precisi, certo moltissimo, e gli esempi importanti si chiamano, per restare in ambito lombardo: Poldi Pezzoli a Milano, Carrara a Bergamo, Palazzo d'Arco a Mantova, l'ala Ponzone a Cremona, Museo delle Armi a Brescia. E per i Legnanesi, appena dietro l'angolo, la Fondazione Pagani di castellanza. Fatto questo rapido giro di orizzonte, si puo' tornare a casa per trovare un' altra dimostrazione di mecenatismo tutto particolare, non cioe' di tipo sponsorio o ereditario ma interpretato in termini di iniziativa filantropica personale, diretta. Accadeva infatti negli anni 20 di questo secolo che un severo ingegnere meccanico, Guido Sutermeister, arrivato a Legnano da Intra per lavorare alla Franco Tosi, dovesse spostarsi di frequente in Puglia e nelle zone dell'Antica Magna Grecia per collaudare le pompe costruite dallo stabilimento di piazza Monumento. l'anima tecnologica dell'ingegnere coabitava pero' con l'anima umanistica, nel senso che Sutermeister trovava la sua via di Damasco in direzione della ricerca archeologica alla quale finiva per dedicare molto del suo tempo libero. Una snella pubblicazione comunale del maggio 1984 precisa che "le raccolte archeologiche del Museo Civico di Legnano sono il risultato di una assidua ricerca condotta dall'ingegner Guido Sutermeister negli anni 1925 - 1964, nel territorio della citta' e delle zone limitrofe. Grazie all'appassionato studioso, attorno al quale si si uni' ben presto un gruppo di sostenitori che diede vita alla società' Arte e Storia, si rese possibile nel 1928 la costruzione, con l'utilizzo dei resti originali, di un edificio che riprendeva la pianta della dimora quattrecentesca della famiglia dei Lampugnani, che divenne la sede del Museo cittadino". Sutermeister, dopo ogni viaggio nel Sud, portava a Legnano pezzi archeologici ed in seguito ispettore onorario della Soprintendenza alle antichità' della Lombardia, si impegnava in intense campagne di scavo nel territorio, delle quali rimane testimonianza significativa nei materiali che hanno 1 Da Provincia di Milano. Elenco SIP 1992 422 dato vita al museo legnanese. L'edificio al numero 2 di via Mazzini, che ospita le raccolte di Sutermeister, e' il frutto di un exploit di tipica intraprendenza e concretezza legnanese. L'antico maniero dei Lampugnani (risalente al XV° secolo) era entrato nell'area del cotonificio Cantoni, dovendo cedere alle esigenze di sviluppo dello stabilimento (si trattava comunque di mensa). Era il 1928: non tutto andava perduto di quel che rimaneva e infatti si utilizzavano alcune parti murarie per costruire la sede museale, riproponendone le linee quattrocentesche, trasferendole da via Cantoni in via Mazzini. Le "talpe" Legnanesi, guidate da Sutermeister, scavavano un po' dappertutto nel circondario, approfittando anche delle occasioni offerte dagli scavi altri, come nel caso dei lavori per la provinciale che unisce Castellanza con Busto Arsizio con Saranno: tra il 1926 e il 1928, a La Montagnola, località' Paradiso, Sutermeister trova il reliquato di una lunga scodella a forma di campana, riferibile alla cultura di Remedello, cioe' all'eneolitico finale (2000 - 1800 a.c.). Ancor prima pero', nel 1925, l'ingegnere poteva esplorare un terreno ai margini di via Novara, tra le vie Giusti e Firenze, riportando alla luce un sepolcreto con 200 tombe ad incenerazione, databili I° secolo d.c. Tra il 1925 e il 1926, altri ritrovamenti di eta' augustea nel fondo Vignanti a San Giorgio su Legnano (1925), nel fondo Della Vedova a San Lorenzo di Parabiago (via Marco Polo 3, 1934), a Canegrate, nel 1946, fino ai sepolcri di eta' tardoromana ( IV° d.c.), trovati alla costa di San Giorgio (1925 - 1926), in via Leoncavallo, a Legnano e poi a Bienate. Mettendo in ordine quel che aveva trovato o portato a Legnano, l'ingegner Sutermeister aveva privilegiato nella collocazione le località' di provenienza dei reperti. Diventato civico nel 1970, il museo veniva riordinato secondo criteri cronologici, indifferentemente dalla localizzazione del ritrovamento.Fra l'altro il patrimonio della raccolta legnanese si era arricchito, nello stesso 1970, delle scoperte dovute alle esplorazioni del gruppo subacquei di Legnano, guidato da Luraschi e Pontiggia, nel lago di Monate (Varese). Fin dal 1864 erano stati individuati a Cadrezzate insediamento palafitticoli dell'eta' del bronzo con tre stazioni importanti: le ricerche, poco piu' di un secolo dopo, conducevano alla definizione di un abitato "molto rappresentativo e ricco di informazioni". Al visitatore di presentano materiali selezionati e studiati. La collocazione e' avvenuta nella sala della loggetta e i reperti esposti cronologicamente in base ai contesti tombali ed alla provenienza: nella sala della Torre per i reperti di eta' romana, proposti seguendo la tipologia e l'uso. 423 Il museo racconta insomma la prima storia di Legnano e delle civiltà' contermini, della cultura di Remedello e quella di Canegrate, della Golasecca e La Tene' (celtica), del periodo romano agli stanziamenti longobardi. Nel patrimonio museale c'e' anche una raccolta numismatica, esposta im mostra permanente: Del tutto fuori epoca, pero' sempre interessante, la presenza di un pittore come Gaetano Previati (1852 - 1920), ferrarese di nascita, vissuto a Milano e ispirato da soggetti epici trovati nella storia, come la Battaglia di Legnano del 1176. Tre sue tele si possono ammirare in una sala. Il museo offe spazi anche per mostre tematiche 424 La sagra del carroccio Nei secoli passati la battaglia combattuta nel 1176 presso la nostra città era sempre stata indicata ai posteri come segno di una importante tappa nella evoluzione della nostra antica società. Infatti, nel 1176, per la prima volta, dopo anni di terrore barbarico, i nuovi Italiani dei comuni lombardi avevano osato contrastare ed addirittura sconfiggere un oppressore straniero. Purtroppo nel XII secolo quella scintilla di libertà si era subito spenta a causa delle numerose discordie esistenti tra i comuni lombardi e delle continue lotte tra frazioni popolari, nobili e clero. L'antico spirito di italianità si era risvegliato nel 1800 grazie al Risorgimento ed alla creazione dell'unità d'Italia. In Legnano questo sentimento aveva portato, grazie alla spinta delle forze culturali locali, alla costruzione, nel 1876, di un primo monumento dedicato alla battaglia ricordata anche nell'inno nazionale. Le feste popolari, gli articoli di storia sui giornali, la voglia di essere cittadini, spinsero i Legnanesi a rinverdire ogni anno le glorie di questo loro fatto d'armi. Nel giugno del 1900 in occasione dell'inaugurazione del monumento alla battaglia, reso definitivo con l'opera del Butti il concorso di folla fu enorme e le ricorrenti celebrazioni del fatto d'arme divennero quasi irrinunciabili per i Legnanesi. Nel 1935 l'Italia era amministrata dal regime fascista. Tra i tanti errori, di cui possono essere accusate le gerarchie fasciste, almeno un merito deve essere loro riconosciuto, quello di avere propagandato più di tutti l'italianità agli Italiani. Lo spirito del Risorgimento, cui anelava l'uniàa di popoli vissuti fianco a fianco nemici e divisi dagli eserciti stranieri, riemerse dalla politica mussoliniana con determinazione talvolta soffocante. Le celebrazioni spontanee e popolari in ricordo della battaglia assunsero perciò un carattere di ufficialità. Naturalmente i Legnanesi obbedirono in questo caso al regime, in quanto ciò che si chiedeva loro, in nome di una politica, era quanto avevano sempre cercato di fare in proprio, ma senza troppi mezzi per finanziare le manifestazioni. Fu cos' che il Carosello Storico con la corsa del palio acquistò, ufficialità il giorno 26 maggio 1935, sostituendo ed integrando quelle manifestazioni popolari e religiose che fino ad allora si erano tenute anche in Milano presso la basilica di S. Simpliciano, ove già dal XIV secolo l'ultima domenica di maggio si svolgeva una commemorazione con processione e feste (S. Simpliciano era stata ampliata ed arrichita dopo la battaglia, 425 per celebrare proprio la vittoria sul Barbarossa). Le celebrazioni della Sagra proseguirono dal 1935 al 1939. La guerra fermò, necessariamente, con le sue restrizioni, anche la nostra manifestazione. Nel 1952 risanata l'economia cittadina, grazie anche allo sforzo culturale ed aggregante compiuto dalla Famiglia Legnanese e dal Comune di Legnano, si ripresero le manifestazioni senza le etichettature politiche che prima della guerra erano state imposte. Lo spirito degli antichi comuni lombardi viene rivissuto in Legnano con gioia profonda, è la consapevolezza di cittadini che additano alle generazioni future il valore inestimabile di possedere la propria vita, le proprie idee, la propria casa senza che altri ne dispongano. E' questa una lezione politica che nessuno deve dimenticare, è lo stesso sentimento che accomuna nel suo 40° anniversario lo spirito partigiano del 1944 a quello dei difensori del carroccio. Questo non deve però essere inteso come atavico odio per il popolo tedesco anche se esso in entrambe le occasioni si è trovato dall'altra parte del campo di battaglia. L'amore per la libertà deve essere bene prezioso all'interno di noi e guidarci oggi come allora nelle scelte politiche di giustizia e di rispetto per il più debole. Dimostrazione di questa civile determinazione espressa dalla nostra Sagra è il viaggio a Costanza compiuto nel 1984 da una rappresentanza delle contrade esponenti della città di Legnano. Viaggio che vuole non sottolineare l'antica sconfitta imposta, ma ricordare la mano tesa nel gesto di pace, artefici uomini liberi di entrambe le parti, ciascuno fiero della sua terra e del suo lavoro. I figuranti legnanesi sono stati accolti prima con incredulità poi con calore dalla popolazione di Costanza. Si erano anch'essi resi conto del valore universale di quella visita e forse, anche solo per qualche ora, si è dissipata la inconfessata diffidenza con la quale troppo spesso in tutto il mondo, dal Nord si guarda a chi viene dal Sud, dimenticando la antica lezione di 808 anni fa. A parte questi aspetti che investono dal punto di vista politico e morale l'atteggiamento di ognuno di noi, la Sagra del carroccio è anche un fatto sociale e socializzante per Legnano. La nostra popolazione ha da molti anni accolto ed integrato emigranti veneti e meridionali. Orbene, nella convivenza civile, tutte queste genti, ritrovatesi a fianco si identificano in una sola comunità e lavorano per la Sagra come se da sempre l'orgoglio e l'impegno dei Legnaaesi antichi li abbia pervasi. Nei manieri, dall'ultimo arrivato dei ragazzi al capitano, ogni concittadino offre la propria opera in un volontariato assolutamente gratuito e 426 disinteressato. L'unica paga è la soddisfazione di concorrere alla formazione di uno spettacolo fuori dal comune. Si organizzano raccolte per pagare i costumi nuovi e affrontare le spese per i cavalli. Ci si allena per cavalcare, suonare corni trombe e tamburi. I più agili inventano giochi con le bandiere. Decine di contradaiole si dedicano al restauro, al rifacimento o alla confezione di abiti, mantelli, borsette. Artigiani con i capelli bianchi fondono else di spade e lame; costruiscono archi, lance e scudi. Vengono con cura ricercati e scelti coloro che sanno tagliare il cuoio, confezionare scarpe, sellerie, divise militari. Un fervore di lavoro che fa rivivere l'antica alacrità degli artigiani che ancora è dentro tutti noi, perchè l'epoca industriale non ha ancora cancellato le tracce della nostra antica società. Basta solo tornare indietro di due generazioni ed il cavallo è ancora in fondo al cortile nella sua stalla ed il fabbro fa risuonare l'incudine. Un mondo misurato e più umano freme ancora nelle mani di chi costruisce per la Sagra del carroccio . E' gioia di stare insieme, di lavorare senza l'assillo del cartellino, per produrre qualche cosa che piace e farsene un vanto intimo e segreto, il giorno della sfilata. Esistono si, è vero, le rivalità di contrada, ma mai si trascende alle offese o alla vera inimicizia, anche quando il carattere focoso di certi capitani suscita polemiche o altisonanti dichiarazioni di guerra contradaiola. Anzi spesso le contrade si aiutano, scambiandosi materiali o personaggi, perchè il risultato finale sia più bello per tutti e nessuno venga umiliato. La molla che aziona tutto questo darsi da fare è il desiderio di aprirsi alle città vicine, mostrando con orgoglio di essere città antica e comunità vivace, unita e alacre; di portare un messaggio di cultura del proprio paese, di additare un messaggio di civile convivenza in quella libertà che in antico è ha richiesto tanti sacrifici. Ed è forse proprio questo aspetto del sacrificio della libertà che meglio inquadra il simbolo del carroccio, la croce di Ariberto d'Intimiano . La ricompensa per la vittoria comunale è solo il vanto di custodire nella propria ,chiesa questo simbolo per un anno, mentre il capitano di contrada riceve una croce pettorale e lo stendardo della vittoria. La croce che abbiamo in Legnano è solo una riproduzione di quella vera tutt'ora esistente in Milano Il crocefisso originale è ricavato con una lavorazione a sbalzo da una lastra di rame dorata nelle parti figurate. La sua esecuzione avvenne attorno alla metà del secolo XI. Essa era stata commissionata dall'arcivescovo di Milano Ariberto come ornamento per il proprio monumento funebre posto nel monastero di S. Dionigi. Venne poi 427 usata dai Milanesi a ricordo del valore del loro arcivescovo, come simbolo di fede e di forza posto sul pennone del carroccio. Il supporto ligneo attuale è stato sostituito a quello originale, che legava le lastre di rame nel secolo XIV. Una composizione molto drammatica ed espressiva con il Cristo dolente attorniato dalle figure della Vergine, di S. Giovanni, e sotto, con i piedi posti su un basamento a scacchiera, l'immagine di Ariberto. La croce che ora i Legnanesi pongono sul carroccio fu eseguita sotto la direzione del pittore legnanese Gersam Turri nel 1935. Essa consiste in una scultura in gesso riproducente quasi alla perfezione la croce originale, ma non con la medesima grandezza. Infatti la Sovrinteadenza di allora impose che venisse: realizzata in scala più piccola per evitare; un "pericoloso" duplicato. Sopra le formelle in gesso venne riportato uno strato di rame spruzzato a caldo mediante un procedimento inventato a Legnano. Venne quindi dorata e patinata nelle parti di rame scoperte, assumendo un aspetto quasi identico a quello dell'originale. 1935 SAN DOMENICO 1936 LEGNARELLO 1937 SANT'ERASMO 1938 LA FLORA 1939 SANT'ERASMO 1940 1951 sospeso per eventi bellici 1952 LEGNARELLO 1953 LEGNARELLO 1454 LEGNARELLO 1955 non aggiudicato 1956 SAN BERNARDINO 1957 SANMARTINO 1958 SANT'ERASMO 1959 SAN BERNARDINO 1960 LA FLORA 1961 SAN BERNARDIN'O 1962 SANT'AMBROGIO 1963 SANMAGNO 1964 SANT'ERASMO 1965 LEGNARELLO 1966 LEGNARELLO 1967 SAN MARTINO 428 1968 SANT'AMBROGIO 1969 SANT'ERASMO 1970 SANT'ERASMO 1971 SAN MAGNO 1972 SAN DOMENICO 1973 SAN MAGNO 1974 SANT'ERASMO 1975 SANT'ERASMO 1976 SANT'ERASlLlO 1977 non aggiudicato 1978 SAN BERNARDINO 1979 SAN MAGNO 1990 SAN BERNARDINO 1981 SAN DOMENICO 1982 SAN BERNARDINO 1983 LEGNARELLO 1984 SAN DOMENICO La cerimonia rievocante la vittoria delle città della Lega Lombarda su Federico I, detto il Barbarossa, il 29 maggio del 1176, si tiene generalmente alla domenica di fine maggio, ogni anno. Le manifestazioni iniziano al mattino con un raduno in Palazzo Malinverni (Municipio) di tutti i Gran Priori, dei Capitani e delle Castellane; li accoglie il Sindaco, Supremo Magistrato della Sagra, con le autorità comunali. Essi rendono gli onori a tutte le autorità presenti ed alle rappresentanze delle municipalità appartenenti all'antica Lega Lombarda che ogni anno vengono a Legnano. Poi si forma un corteo preceduto da scorte armate in costume e dai gonfaloni. Le autorità e i rappresentanti delle contrade escono dal portone di Palazzo Malinverni e si dirigono verso il carroccio sul quale sta la croce di Ariberto, oggetto della disputa sportiva tra le contrade; Inoltre è preparata la mensa per la celebrazione della santa Messa. Come in antico, prima della battaglia, si ripete il giuramento di untià e fedeltà, in nome della libertà, davanti all'unico simbolo che il popolo allora riconosceva come espressione di unità nella fede e speranza per il futuro: la croce di Ariberto. L'officiante sul carroccio, celebrando la s. Messa, si rivolge ai convenuti sulla piazza, ricordando il valore bellissimo e terribile di chi andava a morte per allontanare l'oppressore dalla propria terra casa - famiglia, di chi, a costo della propria vita si ribellava ad una situazione di barbara malversazlone, per tentare di rivedere la luce della libertà. Al termine si dà il via ad un volo di colombi che ricordano quelli 429 descritti da Galvano Fiamma (storico antico molto fantasioso del 1320). Essi, partiti dalle tombe dei Santi Sisinio, Martirio ed Alessandro, il 29 maggio 1176, si diressero a Legnano, per posarsi sull'antenna del carroccio, prima che iniziasse la battaglia; erano le anime dei santi arcivescovi che fino ad allora avevano difeso queste sventurate terre. Oggi, dalla direzione che prenderanno i colombi i Legnanesi, con un sorilso sulle labbra ed un tremito nel cuore, cercheranno di capire verso