Alla Casa dello studente lascia una croce di legno

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Alla Casa dello studente lascia una croce di legno
Il primo gesto in via XX Settembre, l’incontro coi familiari delle vittime
«Questi ragazzi sono con noi, li conserviamo nel nostro cuore»
Alla Casa dello studente
lascia una croce di legno
di Enrico Nardecchia wL’AQUILA Un uomo vestito di viola si avvicina alle
inferriate della Casa dello studente e lega una croce pettorale di legno – di
quelle che piacerebbero tanto a Papa Francesco – a quel ferro che circonda il
Muro del Pianto degli aquilani. Poi quell’uomo si inginocchia, sull’asfalto
bagnato dalla nuvoletta di luglio. È qui, forse, che si strappa la cotta ricamata,
dove si apre un piccolo buco. Un segno anche questo. Ne dovrà mettere di
toppe, qua e là, nel suo nuovo incarico. Quindi stringe le mani di Antonietta
Centofanti, rappresentante del comitato dei familiari delle vittime della Casa
dello studente. Poche parole, semplici, di sostegno e di incoraggiamento.
Quell’uomo che porta il colore del lutto tra pochi minuti sarà rivestito di
bianco e passerà tra ali di folla che applaude. Ma prima di Pasqua c’è Venerdì
santo. E l’arcivescovo metropolita Giuseppe Petrocchi, arrivato nella sua
nuova città da meno di un’ora, prova a incamminarsi pure lui lungo il calvario
degli aquilani. In silenzio. Nelle orecchie le parole dell’apostolo Paolo:
«Fratelli, quanto a me, invece, non ci sia altro vanto che nella croce del
Signore nostro Gesù Cristo». E che croce. Prima di risalire sulla Bravo del
sindaco, segno di omaggio della comunità civile che lo accoglie, il nuovo
presule abbraccia Emidia Felicetti, arrivata qui da Venagrande di Ascoli
Piceno. «È stato mio professore per quattro anni, filosofia e pedagogia, sono
qui con tutta la famiglia per salutarlo. Anche mio figlio ha studiato
all’Aquila». Poi fa come per andare a piedi fino in piazza, ma il cerimoniere
Daniele Pinton lo avvisa che c’è la macchina. Visti i giornalisti che si
accalcano, trova il tempo per un’altra parola buona. «Vi ringrazio del servizio
che fate. Permettete alla gente di essere presente in questo momento. E anche
questi ragazzi sono con noi, adesso. Li conserviamo nel cuore. Io non li ho
conosciuti ma, attraverso voi, è come se li vedessi specchiati nei vostri volti e
in queste foto. Grazie». Petrocchi approda in piazza Duomo dopo aver
attraversato il Corso. Per lui non c’è una Cattedrale già impregnata d’incenso.
Se pure ci fosse stato, se ne sarebbe volato in cielo, visto che il tetto è crollato.
Dentro San Massimo sventrata il nuovo arcivescovo alza lo sguardo a tal
punto che gli cade lo zucchetto. Qui forse lo assale lo sgomento. Ma non lo dà
a vedere. Il canto dei giovani universitari evoca lo Spirito Santo. Meglio
pensare, allora, che qui si stia compiendo una nuova Pentecoste. E gli apostoli
di oggi sono Alessandra, che studia filosofia, Antonella di matematica, Giusy
che lavora nell’Esercito, è un’alpina, Lisa di ingegneria, Lara di medicina,
Laura di ingegneria. «Quanti di voi sono aquilani? Si è ripresa l’Università? Ci
sono iscrizioni?», il presule, tirato via il piede da una pozzanghera, rompe il
ghiaccio. «Si può fare di più», rispondono i ragazzi. Marco tiene stretto il
crocifisso. Petrocchi si piega ancora. E lo bacia ai piedi. È qui che abbraccia,
anzi riabbraccia la sua croce. «Siete la nostra speranza», dice ai giovani in
partenza per la Gmg di Rio. «Fate la vostra parte». «Il vescovo prima delle
strutture ha la sua gente. E io vorrei trovare gli aquilani. Sono loro la mia
casa. La prima Chiesa è quella di persone, poi quella di pietre. Con la mia
gente varrà la pena di vivere l’avventura di rifare L’Aquila più bella». Alle
Anime Sante il Coro della Portella di Vincenzo Vivio gli dedica il «Signore
delle Cime». Lui si commuove e li saluta uno a uno. Rose bianche per la
Madonna. Poi il corteo da Cristo Re. Silenzioso. È la croce di ciascuno. Che
oggi sembra un po’ meno pesante