Il cinema russo contemporaneo Norris PDF
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Il cinema russo contemporaneo Norris PDF
008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 126 STEPHEN M. NORRIS LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO Nel maggio del 1985 Lev Anninskij, noto critico russo-sovietico, pubblicava su «Iskusstvo kino» il seminale articolo Tichie vzryvy: polemičeskie zametki (t.l.: Tranquille esplosioni: appunti polemici), nel quale sosteneva che i film sovietici ricreano della guerra «non cos’era, ma cosa viene ricordato [corsivo dell’autore]». Dal momento che il cinema ha incoraggiato questo lavoro della memoria, trasformando la Grande guerra patriottica in un mito che potesse essere sfruttato dallo stato sovietico, Anninskij invitava gli artisti a rompere con questa tradizione e «a cantare la propria canzone sulla guerra». Ciò che era necessario, per l’influente critico, era una serie di «tranquille esplosioni», appunto, che scuotessero le memorie prodotte dallo schermo1. Come nota lo stesso Anninskij, il film bellico ha ricoperto un ruolo significativo nel cinema sovietico. L’esperimento socialista comincia nel corso di una guerra (la Grande guerra), rinforza la propria identità durante un’altra (la Seconda guerra mondiale) e vede cominciare la propria dissoluzione a causa di una terza (la guerra in Afghanistan). I film bellici sovietici hanno fornito allo spettatore una fondamentale narrazione storica, per identificare eroi e nemici, divenendo anche fonte di notevoli discussioni politiche2. In breve, hanno contribuito a definire quale fosse stata la storia sovietica e come andasse ricordata, un aspetto che Anninskij sottolinea con forza. Non è per niente sorprendente, dunque, che dopo il collasso del comunismo i film di guerra siano tornati d’attualità. Nel 2000 l’allora 126 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 127 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO presidente Vladimir Putin ha sostenuto che la Russia necessitava di nuovi eroi e nuove forme di patriottismo. Considerato il posto occupato dalla Grande guerra patriottica nell’elaborazione della memoria sovietica e russa, è altrettanto poco sorprendente che proprio ad essa si richiamasse Putin come fonte dell’unità nazionale anche per il nuovo patriottismo. Allo stesso tempo, i film sul conflitto ceceno hanno assunto il consueto cliché riguardo alle guerre caucasiche. Il film di guerra e il suo specifico significato sono dunque tornati d’attualità. Il ritorno alla Grande guerra patriottica Per il popolo sovietico, nessun evento del XX secolo ha avuto maggior significato della Grande guerra patriottica (nome comunemente usato per indicare la guerra del 1941-45 contro la Germania nazista). La vittoria ha servito da potente mito per il governo sovietico e da solida fonte di memoria per il popolo. Come ha ben argomentato Stephen Lovell, il sentimento patriottico sovietico, inclusa la convinzione che l’URSS abbia salvato l’Europa dal nazismo, «ha senz’altro mantenuto in vita il socialismo sovietico come sistema, più a lungo di quanto altrimenti si sarebbe potuto garantire»3. Il culto della guerra – con i suoi riti annuali e il ricordo della vittoria e del sacrificio del popolo sovietico – ha funzionato da solido collante sociale4. I racconti cinematografici della Grande guerra patriottica sono stati tra i più significativi elementi di questo processo di costruzione della memoria. Classici come resta Letjat žuravli/The Cranes Are Flying (Quando volano le cicogne, 1957) di Michail Kalatozov, Ballada o soldate/Ballad of a Soldier (La ballata di un soldato, 1959) di Grigorij Cˇ uchraj, e Oni sražalis’ za rodinu/ They Fought for Their Motherland (t.l.: Combatterono per la loro Madrepatria, 1975) di Sergej Bondarčuk hanno provveduto a sottolineare il lato umano dell’esperienza bellica. Tra le conseguenze del terremoto socio-politico del 1991 va annoverato anche il collasso del culto della Grande guerra patriottica. Mentre vari sondaggi confermavano che la vittoria del secondo conflitto mondiale restava motivo d’orgoglio per la maggioranza dei russi, la realtà economica e sociale degli anni novanta dimostrava come nessuno avesse tempo ed energie da dedicare al significato della Grande guerra patriottica per la nuova Russia. Il cinquantesimo anniversario, infatti, passa sotto silenzio e nessun film sembra celebrarlo. Arriva poi la ripresa economica del 2000 e con essa l’era Putin, con la sua ossessione per l’orgoglio patriottico. Lo shock sismico degli 127 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 128 STEPHEN M. NORRIS anni novanta è passato e il terreno è pronto per un rinnovato impiego della vittoria come fondamento di un nuovo patriottismo. Nella prima ricorrenza della Vvittoria a cui partecipa come presidente della Russia, nel 2000, Putin dichiara che il ricordo del trionfo sul nazismo «sarà d’aiuto alla nostra generazione per costruire una nazione forte e prosperosa». Dal 2002 i cineasti russi s’avviano a seguire le indicazioni del governo. Di più, i film recenti hanno contribuito a ricostruire una cultura patriottica del culto della guerra destabilizzando, al tempo stesso, la versione mitica della Grande guerra patriottica. Di conseguenza, questi film hanno contribuito a riaffermare l’importanza della guerra come evento e insieme modificato la percezione della guerra nella società russa. Karen Šachnazarov, direttore del Mosfilm, ha svolto un ruolo chiave nel rinnovato interesse riguardo la guerra, seguendo lo sviluppo, per circa quindici anni, del primo grande film sulla seconda guerra mondiale. Adattato da una novella del 1947 e prodotto dallo stesso Mosfilm, Zvezda/Star (t.l.: Stella) si è rivelato un evento sin dalla sua uscita nel 2002, aprendo la strada alla marea di film che sarebbero seguiti. Come più tardi avrebbe dichiarato Šachnazarov, «era ovvio che avessimo bisogno di un film simile» anche per contrastare «i film americani con la loro visione della guerra che sistematicamente si impone alla nostra»5. Ciò che ha spinto Šachnazarov a produrre un nuovo film di guerra è stata proprio la necessità di questo modo di raccontarla – come ha avuto modo di dire: la sua generazione «non aveva due opinioni sulla guerra» e «il fardello maggiore cadeva sul nostro popolo»6. In ogni caso, adattando una storia dell’epoca sovietica alla società post-sovietica, Star e i film che lo hanno seguito hanno infranto due punti cruciali del mito sovietico sulla guerra. In primo luogo, i nuovi film suggerirono che i cittadini sovietici non ebbero a soffrire solo per mano nazista. Al contrario, i film dell’era Putin spesso attribuivano ad ufficiali sovietici le sofferenze dei singoli cittadini. Inoltre, lo stile recitativo post-sovietico mette in scena i tedeschi, nei film sovietici dipinti esclusivamente sotto forma di bestie feroci, come esseri umani ai quali la guerra causava le stesse sofferenze degli altri7. Nikolaj Lebedev ha dato la stura a questa revisione del passato. Šachnazarov lo aveva scelto per girare la nuova versione di Star8 convinto che il giovane regista avrebbe immesso nuova linfa al genere. Una volta sullo schermo, il film è stato visto da critici e spettatori come la risposta russa a Saving Private Ryan (Salvate il soldato Ryan, 1998, Steven Spielberg) e agli altri film americani di guerra. Uscito il 6 mag128 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 129 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO gio, appena prima della ricorrenza della vittoria, il film segue le vicende di un gruppo di esploratori in missione per spiare le truppe tedesche. La pattuglia raccoglie una varietà significativa di patrioti russi impegnati a combattere per difendere la madrepatria. Indossano uniformi sovietiche, ma non invocano il nome di Stalin, piuttosto combattono l’uno per l’altro e per la Russia. Dopo una serie di fughe eroiche, scoprono i piani di una massiccia offensiva tedesca. La distruzione della radio li costringe a rubarne una ai tedeschi con la quale il protagonista, il Tenente Travkin, tenta disperatamente di trasmettere le informazioni. Ci riesce all’ultimo momento, prima dell’attacco tedesco che annienta l’intera pattuglia. Sebbene il racconto segua fedelmente il testo di Emmanuil Genrichovič Kazakevič, il finale si presenta come una revisione del racconto tradizionale sovietico, focalizzandosi sulla morte dei soldati e sugli effetti della guerra sulla popolazione. La morte dei soldati, poi, è ulteriormente affrontata nelle parole che chiudono il film: La pattuglia di Travkin è stata a lungo considerata dispersa e le domande dei familiari dei soldati hanno ricevuto tutte la stessa risposta – non si sa niente del loro destino. Solo nel 1964 tutti gli esploratori sono stati insigniti alla memoria dell’Ordine della Guerra Patriottica di Primo Grado. Mentre le parole vengono lette, la macchina da presa indugia sui volti dei giovani soldati. Piuttosto che finire in trionfo, il film sceglie di mettere a fuoco le loro sconcertanti morti in guerra. Più ancora, Star suggerisce che il governo sovietico, rifiutandosi di riconoscere il loro sacrificio, li abbia malamente bistrattati. Aleksandr Rogožkin va ancora più avanti nel rivedere il racconto sovietico della guerra: il suo Kukuška/The Cuckoo (Kukushka – Disertare non è reato) esce nel settembre del 2002 e deve il titolo dal termine che i soldati sovietici usavano per indicare i cecchini finlandesi. Dal canto suo, Rogožkin ha dichiarato di aver realizzato il film perché convinto che il mito della Grande guerra patriottica avesse oscurato il vero orrore della guerra. Ambientato nel nord della Finlandia, nelle settimane precedenti l’armistizio del 1944 che pose fine alla partecipazione nel conflitto dei finlandesi, Kukushka – Disertare non è reato si sviluppa intorno a tre personaggi, ciascuno dei quali rappresenta una differente cultura coinvolta nella guerra. Il primo eroe è un cecchino finlandese che è stato trascinato nell’esercito tedesco e viene incatenato a una roccia. Il secondo è un ufficiale sovietico condan129 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 130 STEPHEN M. NORRIS nato per attività anti sovietiche in attesa del processo e dell’esecuzione. Entrambi vorrebbero sfuggire al loro destino e finire nelle cure di Anni, una donna lappone il cui marito è stato arruolato a forza ed è morto in guerra, e che si batte per procacciarsi da vivere. Il film segue le interazioni tra i tre personaggi, nessuno dei quali parla la lingua dell’altro e hanno tutti forti pregiudizi reciproci. Alla fine, i due soldati stringono amicizia e riescono a partire sani e salvi per le loro rispettive patrie. Tanto il nemico esterno (il soldato finnico che combatte per i nazisti) quanto quello interno (il soldato russo colpevole di attività anti-sovietiche) finiscono per emergere nella loro qualità di esseri umani. Mentre Anni, il cui modo di vivere è stato spazzato via da una guerra che non riesce a comprendere, s’impone come la vera vittima del conflitto e come la fonte di redenzione. Due film del 2003 presentano ritratti favorevoli di soldati tedeschi. V sozvezdii byka/ Under the Sign of Taurus (t.l.: Sotto il segno del toro) di Petr Todorovskij e Poslednij Poezd/The Last Train (t.l. L’ultimo treno) di Aleksej German jr., riformulano radicalmente la narrazione della Grande guerra patriottica. Ambientato in un villaggio nei pressi di Stalingrado, il film di Todorovskij mette in scena una guerra che suscita sì azioni eroiche, ma che vede anche gli abitanti del villaggio combattersi l’un l’altro ben più duramente di quanto non combattano il nemico. Quando i nazisti occupano il villaggio, si salvano due giovani bloccati nella steppa dai rigori dell’inverno. In quella landa ghiacciata catturano un soldato tedesco e uno di essi, sebbene sia stato ferito dal soldato, si rifiuta di uccidere il prigioniero perché, afferma, «dopotutto è un essere umano anche lui». Il prigioniero tedesco si rivela essere un infermiere e si presta a curare il ragazzo ferito. Nella visione della guerra di Todorovskij, l’umanità trionfa sull’odio, e si riconoscono le sofferenze che anche i tedeschi hanno patito nella battaglia di Stalingrado. Il regista riconosce che quella raccontata dal film è una storia autobiografica, di fatto una storia che ha tenuto per sé per oltre vent’anni a causa del ritratto che ne emerge di «una tranquilla popolazione contadina oppressa». Dopo il 1991 gli è stato possibile girare un film che mostra dei cittadini sovietici oppressi dal proprio governo e dei soldati tedeschi che, in fin dei conti, si rivelano umani. Mentre in Under the Sign of Taurus i tedeschi sono personaggi di secondo piano, The Last Train ha fatto storia essendo il primo film russo a schierare come protagonista principale un tedesco9. Aleksej German jr. s’è avvalso di vicende familiari per raccontare un fatto che 130 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 131 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO non si sarebbe potuto raccontare ai tempi dell’Unione Sovietica – la storia alla base del film, infatti, è quella della sua nonna russa che venne presa su un treno mentre cercava di scappare dall’invasione, nello stesso momento in cui il nonno tedesco veniva ucciso al fronte. German jr., inoltre, ha inteso realizzare il film anche come parziale riscatto per il bando, da parte della censura sovietica, ai film che il padre aveva dedicato all’esplorazione di un tabù quale quello del collaborazionismo. Presentato in prima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2003, The Last Train racconta la storia di un medico militare di nome Fischbach impegnato in un ospedale di prima linea sul fronte sovietico. Con l’avanzare dell’Armata Rossa, Fischbach viene crudelmente abbandonato mentre l’esercito nazista arretra dal fronte. Il medico incontra il postino Kreutzer ed insieme vagano tra il caos e la carneficina che regnava sul fronte orientale. I due non indossano divise e questo gli consente di assistere alle uccisioni insensate e agli atti di crudeltà che accompagnano la guerra – in una sequenza, i partigiani sovietici che avevano risparmiato Fischbach e Kreutzer vengono colpiti da una pattuglia tedesca, a sua volta annientata da un vendicativo distaccamento dell’Armata Rossa. Sconvolti dagli avvenimenti, il dottore e il postino muoiono nell’implacabile inverno russo. Sull’onda delle attenzioni positive ricevute dall’opera precedente, Dmitrij Meschiev, nel 2004, intitola provocatoriamente con un ironico acronimo il suo film Svoi/Our Own[t.l.: I nostri]. Di “solito”, però, c’era ben poco nel racconto di Our Own, primo film russo interamente ambientato in una zona occupata, che ha ricevuto il Gran Premio e una sfilza di premi minori al Festival di Mosca del 2004. Our Own s’ingegna a confondere i modi con cui la cultura sovietica in generale, e quella del periodo di guerra in particolare, definiva l’appartenenza individuale ad una data comunità. Il film si apre con un attacco nazista ad una postazione in prima linea dell’Armata Rossa e prosegue seguendo le vicende di due sopravvissuti – un’ufficiale del 10 NKVD ed un commissario ebreo. Una volta catturati, i due nascondono le proprie identità ai nazisti e incontrano, in una colonia di prigionieri, un soldato dell’Armata Rossa che li convince a scappare per raggiungere il suo vicino paese natio. Una volta giunti al paese, il film rivela il suo vero oggetto – il padre del cecchino sovietico è il capo cosacco del villaggio e ha cercato di stabilire una tregua tra i partigiani che pattugliano la foresta e i soldati nazisti che occupano il suo villaggio. Inoltre, è solo da poco ritornato da un campo di prigionia 131 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 132 STEPHEN M. NORRIS siberiano dove era stato internato perché kulak11. A questo punto, deve decidere definitivamente chi sono “i suoi”: suo figlio, i suoi seguaci del villaggio, gli occupanti o le autorità sovietiche impersonate dai due fuggitivi? Il film di Meschiev non fornisce alcuna risposta, è però significativa l’inversione che subisce l’eroe tradizionale: come il soldato russo Ivan in Kukushka – Disertare non è reato, il capo del villaggio non rappresenta il classico protagonista dei racconti mitizzanti sovietici, piuttosto somiglia al tipico nemico interno dipinto dal cinema staliniano. In Our Own lo spettatore è costretto a prendere coscienza dell’universo concentrazionario prodotto da due stati totalitari mentre il regista suggerisce l’idea che l’ideologia conti davvero poco per i singoli e che il proprio nemico potrebbe essere altrettanto facilmente “dei nostri” o di un esercito invasore. All’apparire di Our Own, il rinato interesse per una riconsiderazione del periodo di guerra era approdato anche sul piccolo schermo. La più importante serie televisiva sulla guerra è stata Štrafbat/ The Penal Battalion (t.l.: Battaglione penale, 2004) di Nikolaj Dostal’, devastante ritratto della società sovietica in guerra con i nazisti e con se stessa. The Penal Battalion segue le vicende di Vasilij Tverdochlebov, ufficiale dell’Armata Rossa catturato dai nazisti: dopo essersi rifiutato di servire il nemico, fugge e si ricongiunge con l’esercito sovietico, ma viene arrestato come “nemico del popolo”. Per potersi “riabilitare”, è costretto a comandare un battaglione penale, composto per lo più da criminali a cui è concessa l’opportunità di riscattarsi delle proprie colpe. L’ufficiale li trasforma in una vera unità da combattimento, ma solo per vederli alla fine tutti massacrati. Nel corso della serie, Dostal’ mostra i suoi protagonisti combattere su due fronti – i nazisti e l’NKVD – ma chiarisce anche che questi uomini doppiamente angariati non erano certo degli eroi. Uccidono, violentano, rapinano, fanno le spie, bevono, il tutto messo in conto negativo dei valori stalinisti da cui sono stati condizionati. Unici barlumi di redenzione in tempo di guerra sono il patriottismo russo (non sovietico) di Tverdochlebov che emerge verso la fine e la fede del prete ortodosso, Padre Michail, che si era aggiunto al battaglione. Terminato il massacro, il sacerdote ha una visione della Vergine Maria e dichiara che i morti «hanno salvato la terra russa». La lista degli uomini che hanno servito nel battaglione penale 1049 e sono morti come carne da macello, chiude la serie. Subito dopo la conclusione di The Penal Battalion debutta, sul canale satellitare RTR, la serie in dieci episodi Kursanty/Cadets (t.l.: 132 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 133 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO Cadetti, 2004) diretta da Andrej Kavun. Basata sulle memorie di Petr Todorovskij (il regista di Under the Sign of Taurus), il serial è interamente ambientata a Saratov12 ed è incentrato su un gruppo di giovani cadetti pieni di spirito patriottico che approdano all’Accademia. Una volta giunti in loco, però, devono confrontarsi con le incrinature di una società totalitaria in guerra con il nemico e con se stessa – il mercato nero è fiorente, gli ufficiali del NKVD di stanza all’Accademia che con freddezza raggiungono le quote stabilite di arresti, cadetti e istruttori che preferiscono nascondere le proprie identità allo stato sovietico, altri istruttori che portano i segni della permanenza al fronte, mentre furti e frodi sono all’ordine del giorno. Lungo tutto il serial, un narratore riporta le parole di Todorovskij per commentare il tragico destino dei personaggi e porre domande inquietanti sulla natura della paura nell’Unione Sovietica staliniana. Todorovskij e Kavun utilizzano la serie per elaborare ulteriormente il nuovo “racconto veridico” di Under the Sign of Taurus e così correggere la versione sovietica della Grande guerra patriottica. Molti dei cadetti e degli abitanti di Saratov si stagliano dal racconto come eroi, ma l’eroismo che emerge dalla serie è piuttosto di tipo individuale che non quello collettivo sottolineato nei film sovietici. Svoloči/Bastards (t.l.:Bastardi, 2006) di Aleksandr Atanesjan spinge la revisione della narrazione sovietica della guerra al suo punto massimo. Seguendo il percorso tracciato da The Penal Battalion, il film focalizza il racconto su un gruppo di adolescenti orfani che sopravvivono grazie ad attività criminose. Catturati dal NKVD allo scoppio della guerra, vengono spediti in una prigione in Kazakistan dove dovranno addestrarsi a prepararsi a servire la patria per poter essere riabilitati. Bastards si concentra sul loro addestramento e su due ufficiali che si sforzano di farli uscire dal loro guscio indurito. Il film non risparmia niente nell’analisi dello stato sovietico e delle pratiche che ha generato – molti dei “bastardi” del film hanno assistito alla morte dei loro genitori nelle purghe e hanno perso definitivamente la loro umanità nella vita di strada. Uccidono senza alcun rimorso, rubano e resistono a qualsiasi tentativo di umanizzazione. Alla fine la “ricompensa” sarà una missione suicida che prevede la conquista di una base tedesca. Paracadutati in zona di guerra, in molti muoiono in fase di atterraggio, solo due sopravvivono alla missione. Gli adolescenti di Bastards hanno perso la propria innocenza per la violenza dell’apparato staliniano, erano già criminali incalliti allo scoppio della guerra e sono stati, poi, ulteriormente imbastarditi dagli 133 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 134 STEPHEN M. NORRIS ufficiali sovietici in guerra e dalle leggi staliniste che equiparavano la criminalità giovanile a quella adulta. Quando un ufficiale tedesco s’attarda ad osservare i corpi inanimati dei ragazzi che hanno fallito la missione, maledice quel sistema che usa dei bambini come carne da macello. Nel cinema sovietico i tedeschi erano dipinti come bestie, adesso si ergono a giudici delle inumane pratiche adottate dal governo sovietico a tali conclusioni sono giunti anche molti deputati della Duma (il che ha portato a una interrogazione parlamentare sul patriottismo del film). Anche My iz buduščego/ We are from the future (t.l.: Noi veniamo dal futuro, 2008) di Andrej Maljukov si occupa di giovani ed è diventato il più popolare dei film recenti sulla Grande guerra patriottica, incassando ben 8,2 miliardi di dollari al botteghino. Nel film un gruppo di cinici giovani della Pietroburgo d’oggi, tra cui uno skinhead, si trovano trasportati nella Leningrado del 1942. Prima del viaggio nel tempo, i quattro giovani russi si presentano come cacciatori di tesori, rincorrono cimeli della seconda guerra mondiale e li vendono al miglior offerente. Per loro la guerra non è che un evento lontano di un tempo ancor più remoto. Catapultati nel passato assistono all’orrore della guerra, e provano sulla propria pelle violenza, paura e le difficoltà morali che accompagnano le decisioni dei soldati sovietici. Non agiscono eroicamente, piuttosto il film, come dice il regista, «è una favola», un tentativo «di mostrare ciò che lega due epoche differenti, così che il pubblico possa farsi un’idea di ciò che oggi ha valore e di quanto abbiamo smarrito del passato». Questo nostro resoconto sulle opere russe contemporanee riguardanti la seconda guerra mondiale vorrebbe mostrare quanto i più recenti di questi film abbiano smantellato la narrazione sovietica della Grande guerra patriottica. I titoli qui esaminati non esauriscono certo la produzione di lungometraggi e di serie televisive dedicati alla guerra a partire dal 2002, ma tutti i film proiettati in questi anni sul grande e sul piccolo schermo hanno contribuito a modificare il canone cinematografico sovietico. Tutti ritraggono lo stato sovietico come un nemico o i tedeschi come esseri umani e non bestie, a volte le due cose assieme. Alcuni, come The Last Train, ribaltano l’idea che il popolo russo fosse il più eroico e quello che più di tutti abbia sofferto il conflitto mondiale. Persino un film come Star, che ha dato il via alla revisione del genere, amplia i parametri del racconto di guerra per includervi l’idea che lo stato sovietico abbia inferto ferite alla memoria dei suoi morti. Questi film offrono alla platea l’occasione di 134 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 135 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO ripensare la guerra con gli occhi dell’esperienza che della seconda guerra mondiale hanno fatto tedeschi “umani”, eroi kulaki, battaglioni di reclusi, bambini angariati. Per Putin e per gli apparati governativi, il racconto della guerra serve come un “passato da spendere” che possa contribuire alla costruzione di un nuovo patriottismo per la Russia. Per gli spettatori, ancora non poco legati al grande racconto sovietico della guerra, questi film ne sfidano la memoria e a volte provocano rigurgiti di cultura antipatriottica. Ma altri, specie tra coloro che sono troppo giovani per avere un ricordo dell’era sovietica, li interpretano in chiave patriottica, tanto sul piano della reazione emotiva scatenata dal messaggio che arriva dallo schermo, quanto per l’orgoglio di poter affermare che i “film russi” sono sullo stesso piano di quelli di Hollywood. Anche la critica ha offerto un’ampia gamma di reazioni a questi film, per alcuni servono a “risollevare il morale” in un periodo di difficoltà (specialmente nel contesto dello scontro in atto con la Cecenia) mentre altri vi vedono alle spalle l’influenza sinistra di Putin. In ogni caso, ben lontani da una semplice “putinizzazione” della cultura russa, i film sulla guerra consentono di formulare interpretazioni più articolate sul significato della guerra e l’uso che se ne compie oggi. Il segno più chiaro di come il mito della guerra fosse stato sottoposto a revisione si è avuto, forse, nel 2008 quando Gitler Kaput!/ Hitler’s Kaput! (t.l.: La fine di Hitler) di Marjus Vajsberg ha incassato 9,7 miliardi di dollari ai botteghini russi. Benché tutt’altro che buono, il film di Vajsberg è realizzato nello stile di una commedia slapstick americana (il regista ha dichiarato di essersi ispirato a Mel Brooks). Ancora più significativamente, Hitler’s Kaput! fa il verso all’intero genere dei film di guerra ed alla sua natura sacra. Come lo stesso regista ha dichiarato, egli voleva «combattere l’assurda nostalgia per la guerra», gettando nuova luce non sulla seconda guerra mondiale, piuttosto su «come la guerra sia spacciata, oggi, alle masse dai comunisti»13. Ammaliati dalla gente del Caucaso Quando, nel dicembre del 1994, la Russia scatena la guerra contro la Cecenia separatista, i cineasti russi dispongono di un mito culturale sviluppato da cui partire. I film recenti sulla Grande guerra patriottica ne hanno modificato il racconto canonizzato, di contro, quelli sulla guerra cecena non fanno che riattualizzarlo. C’è in essi una certa familiarità di sentimenti proprio perché i registi la raccontano con modalità analoghe. 135 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 136 STEPHEN M. NORRIS Agli inizi del XIX secolo, quando le truppe della Russia imperiale avevano preso parte al tentativo di pacificare la regione caucasica, gli scrittori russi avevano dato vita a un’ampia serie di romanzi di prigionia. Il via lo ha dato Aleksandr Puškin con il poema del 1820-21 Kavkazskij plennik (Il prigioniero del Caucaso) in cui un aristocratico russo è fatto prigioniero dai ribelli ceceni. Durante la prigionia s’innamora di una esotica bellezza locale che, quando il russo fugge, si getta nel fiume Terk, linea di demarcazione tra la Russia e l’Asia. Il poema di Puškin, baciato da un successo sensazionale, spinge il lettore a chiedersi chi sia veramente prigioniero nel Caucaso: i montanari ceceni o la Russia stessa? Lev Tolstoj riprende la storia nel suo omonimo racconto del 1872. La sua versione, in cui i prigionieri sono due soldati russi, si segnala più per la critica al colonialismo russo che non come un esotico racconto etnografico. La storia divenne così popolare da richiedere 28 ristampe, per un totale di 2 milioni di copie vendute fino alla morte dell’autore (1910). Puškin e Tolstoj stabiliscono una chiave interpretativa attraverso cui guardare l’incontro della Russia con il Caucaso, trasformando la regione nell’oriente russo. Nel 1967 Leonid Gajdaj, popolare regista di commedie farsesche, ha potuto prendersi gioco di questo tropo letterario nel suo Kavkazskaja plennica, ili novye priključenija Šurika/Kidnapping Caucassian Style14 (t.l.: La prigioniera del Caucaso ovvero le nuove avventure di Šurik). Nel film un ingenuo uomo qualunque sovietico di nome Šurik (personaggio che tornerà in altre commedie di Gajdaj) viaggia nel Caucaso in cerca delle usanze locali, come il brindisi e il matrimonio con rapimento della sposa, che, naturalmente, non esistevano più in Unione Sovietica. Šurik, però, viene incastrato da uno scellerato capo locale nel rapimento di una bellissima ragazza. Nella rielaborazione di Gajdaj, l’uomo sovietico viene catturato dal mito dei caucasici, imbevuto com’è della mitologia culturale creata da Puškin e Tolstoj. Nel 1967 questo mito può essere fonte per una farsa, nel 1994, però, il racconto di prigionia fa da base a film e romanzi seri. Il primo a rimaneggiare la storia è lo scrittore Vladimir Makanin, che declina il racconto (sempre con lo stesso titolo) in chiave omosessuale, cambiando anche il prigioniero – che diventa un giovane soldato ceceno – ma lasciando immutata la trama e il senso dell’opera. Il racconto ready-made di prigionia è, da sempre e spesso, una tentazione anche per il cinema. Nel 1996 Sergej Bodrov aggiorna la storia di Tolstoj con il suo Kavkazskij plennik/ Prisoner of the Mountains (Il prigioniero del 136 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 137 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO Caucaso). Girata in Daghestan, la versione di Bodrov segue le vicende di Saša e Žilin, due soldati russi catturati dai ribelli ceceni. Saša (interpretato da Oleg Menšikov) è il più anziano, un tipo cinico, indifferente alla vita del paese montano e interessato solo a progettare la fuga, mentre Žilin (Sergej Bodrov jr.) è affascinato dalla cultura locale. Sarà però quest’ultimo a scappare, non Saša. Alla fine, comunque, arrivano gli elicotteri russi e distruggono il villaggio. Bodrov suggerisce così che la Russia è rimasta intrappolata nella sua storia. Evocando il racconto di prigionia di Tolstoj (e attraverso questi quello di Puškin) e ambientandolo al tempo della prima guerra cecena, il regista dipinge la guerra come una tragedia contemporanea. Blokpost/Checkpoint (t.l.: Posto di controllo,1998) di Aleksandr Rogožkin si svolge in una località non definita dove i soldati russi devono presidiare un posto di controllo di confine. Girato in Caucaso, il film è una indagine metaforica su come la guerra cecena abbia creato delle barriere mentali tra i soldati russi che non vorrebbero essere lì e la popolazione locale che vorrebbe vedere gli invasori imperialisti andare via. Aleksandr Rogožkin (che poi girerà Kukushka – Disertare non è reato) non si richiama esplicitamente a Puškin o Tolstoj, ma i suoi personaggi restano ugualmente intrappolati, questa volta nello spazio artificiale prodotto dalla guerra e dal confine. Altri due film del 2002 si richiamano alla narrativa di prigionia: Dom durakov/House of Fools (La casa dei matti) di Andrej Končalovskij, ambientato nella prima guerra cecena e basato su un fatto di cronaca, il coinvolgimento nel conflitto di un ospedale psichiatrico in Inguscezia, racconta la guerra dal punto di vista degli internati. Di fatto, Končalovskij mostra la follia della guerra e presenta i “pazzi” internati come più umani dei russi che l’hanno scatenata (i ceceni sono dipinti come amichevoli e più eroici). Il film spinge a nuove vette il racconto di prigionia: la Russia è intrappolata in un manicomio per la sua ossessione di conquistare il Caucaso. Al contrario, Vojna/War (t.l.: Guerra, 2002) di Aleksej Balabanov mette in scena la seconda guerra cecena, scatenata nel 1999 dal Presidente El’cin (Eltsin) e dal suo nuovo primo ministro Vladimir Putin, rendendola disgustosa e brutale. Il film si apre con la decapitazione di un soldato russo ad opera dei rapitori ceceni, che a loro volta riprendono l’esecuzione, e prosegue con una serie di rapimenti e detenzioni di ostaggi, tra cui un giovane soldato russo, due attori inglesi catturati in zona di guerra e un brizzolato veterano russo, cui spetta il compito di trasmettere una desolante, nichilistica filosofia 137 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 138 STEPHEN M. NORRIS della guerra (ed è interpretato da Sergej Bodrov jr., nel suo ultimo ruolo prima di morire sotto una frana nel Caucaso). Balabanov rielabora la rappresentazione della guerra fornita nei film prima analizzati, rendendo War un inferno governato da un popolo brutale. Come ha sostenuto Andrew Horton, «i ceceni sono tutti barbari, e la ragione fondamentale della guerra è individuata nella barbarie radicata nel loro carattere»15. Pur rifiutando le interpretazioni che caratterizzano i racconti di prigionia che lo hanno preceduto, il regista ne impiega ugualmente la struttura narrativa. Il capitano Medvedev (Sergej Bodrov jr.) giace ferito sul fondo di una cava sin dalla sua prima apparizione. In un certo senso, Balabanov aggiorna Il prigioniero del Caucaso di Bodrov: Medvedev può facilmente essere visto come Žilin ormai cresciuto, di nuovo intrappolato ma, questa volta, definitivamente disilluso dal conflitto infinito. Un ulteriore affinamento del racconto di prigionia si può trovare in Živoj/Alive (t.l.: Vivo, 2006) di Aleksandr Veledinskij, che racconta i tentativi di un soldato russo di tornare alla vita civile dopo aver perso in guerra le gambe e tutti i suoi compagni. Kir, il soldato, è prigioniero dei ricordi e dei fantasmi dei compagni che lo accompagnano nel suo penoso aggirarsi in una società indifferente al dolore di quanto ha perso. Alla fine l’uomo, in una società che non vuol prendersi cura di lui, trova un prete russo ortodosso che gli offre un briciolo di comprensione. Il critico russo Andrej Archangel’skij ha scritto che Alive rappresenta «il tentativo del regista di parlare ai giovani (a cui il film è rivolto) di temi seri ed inimmaginabili da cui sono distanti: il patriottismo, la riconoscenza, gli eccessi della guerra e il loro costo»16. Nell’estendere il racconto di prigionia all’intera società, il film mette in luce come i russi siano intrappolati dall’indifferenza verso la guerra. Aleksandra (Alexandra, 2007) di Aleksandr Sokurov, evita la maggior parte della topica riguardo la prigionia, raccontando direttamente la storia di una nonna russa (interpretata da Galina Višnevskaja) che va a trovare il nipote sul fronte ceceno. In «KinoKultura» Nancy Condee ha sostenuto che «abbiamo un ritratto sommesso della Cecenia, una terra senza spargimenti di sangue, un luogo dove il massimo della violenza è rappresentato da miti rimproveri». E aggiunge: «Sokurov suggerisce che proprio il passare del tempo che ha creato questi legami culturali, è lo stesso che li scioglierà. Il ricambio generazionale eliminerà la vecchia donna che aveva tanto in comune, e farà maturare le nuove generazioni le quali, nella loro lotta per separare e (così) uccidere l’un l’altra, hanno altrettanto molto in comune»17. 138 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 139 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO Sokurov, dunque, rifiuta il racconto di prigionia per perseguire il suo proposito. In una intervista rilasciata ad un quotidiano russo, ha affermato: «conosco l’orribile prezzo con cui abbiamo pagato, oggi, la pace in Cecenia. Sono consapevole dei molti crimini e delle brutalità compiute durante la guerra, ma la guerra è finita e dobbiamo venirne fuori riconciliandoci, rispettando le perdite subite da entrambi. Il nostro è un film d’invenzione artistica, non un pezzo di giornalismo politico»18. Infine, Plennyj/The Captive (t.l.: Il prigioniero, 2008) di Aleksej Učitel’ riadatta l’adattamento di Makanin da Tolstoj, che a sua volta riadattava Puškin. I due personaggi principali, Rubachin e Vovka, catturano un giovane combattente ceceno per farsi aiutare a rientrare nella loro compagnia intrappolata. I due soldati russi s’imbattono in due gruppi di combattenti ceceni che si stanno ricongiungendo. Quando si nascondono dai nemici, il giovane prigioniero ceceno richiama i suoi compagni e Rubachin gli spara. Il film finisce come era cominciato, i due soldati russi vengono condotti non si sa dove da un mezzo di trasporto. Contrariamente al racconto di Sokurov, Učitel’ suggerisce che la Russia resta prigioniera del Caucaso e della continua violenza che affligge la regione. I cineasti russi, proprio come i loro predecessori letterati del XIX secolo, restano affascinati e catturati dal Caucaso, e così facendo contribuiscono a «creare un linguaggio popolare del ruolo imperiale spesso autoreferenziale» offrendo ai russi «la possibilità di vedere in se stessi il Bene attraverso il sacrificio della prigionia e persino della morte»19. Molto è cambiato nella regione e nel tipo di guerra che è stata condotta in Cecenia ma, pur aggiornando questi cambiamenti sullo schermo, i film russi di guerra sono comunque tornati al vecchio tema di sempre. Conclusione: la guerra afghana, di nuovo Forse il modo migliore per concludere questa carrellata sui film bellici russi è quello di ricordarne due dedicati alla guerra in Afghanistan, entrambi accolti dai media con grandissima attenzione. 9 rota/The 9th Company (t.l.: La nona compagnia) di Fedor Bondarčuk – un blockbuster che ha sbancato ogni record di incassi nel 2005 – racconta la storia della difesa sovietica della collina 3234, una delle ultime battaglie della guerra afghana sostenuta nel 1988. I soldati di Bondarčuk sembrano evocare il plotone di Star: anch’essi, infatti, si battono per un patriottismo senza tempo e non per convinzione nelle 139 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 140 STEPHEN M. NORRIS ragioni sovietiche della guerra; anche loro, svolto il lavoro, vengono abbandonati dal governo, interessato solo a proclamare la propria “vittoria”. The 9th Company, dunque, riformula il racconto del Vietnam russo infondendogli una forte dose di spirito sovietico da Grande Guerra Patriottica. Di contro, Gruz 200 (Cargo 200, 2007), che prende il nome dalle bare di ritorno dall’ Afghanistan, non è in sé un film sulla guerra, piuttosto, la sua ambientazione nel 1984 intende sottolineare il deterioramento avviatosi nella società sovietica nell’era tardo-socialista, una decadenza che la guerra ha solo consolidato. Balabanov – con un film che ha scatenato accesi dibattiti sull’uso della storia e per la sua critica estremamente forte verso la società sovietica – contrasta deliberatamente ogni nostalgia per qualsiasi cosa di sovietico, che sia l’era Brežnev in particolare o la fede nell’eroismo dei soldati. Al tempo stesso, il 1984 ritratto da Balabanov non si discosta molto dalle ricostruzioni d’epoca realizzate dai registi post-sovietici che hanno riformulato la memoria cinematografica della Grande guerra patriottica: il suo film suggerisce che i soldati sovietici in Afghanistan siano stati doppiamente vittime dello stato che si supponeva servissero20. Presentando in questo modo la vita dell’URSS, Balabanov ha dimostrato che il cinema bellico potrà continuare nella sua intrapresa, esporre vecchi miti e creare nuove memorie filmiche. Il cinema di guerra, dunque, prosegue con le sue silenziose esplosioni. (Traduzione dall’inglese di Dario Minutolo) 1 Lev Anninskij, Tichie vzryvy: polemičeskie zametki (Tranquille esplosioni: appunti polemici), «Iskusstvo kino», n. 5, maggio 1985, pp. 56-69. 2 Denise Youngblood, Russian War Films: on the Cinema Front, 1914-2005, University of Kansas Press, Lawrence 2007. 3 Stephen Lovell, Destination in Doubt: Russia since 1989, London, Zed Books, 2006, p. 12. 4 Cfr. Nina Tumarkin, The Living and the Dead: The Rise and Fall of the Cult of World War II in Russia, New York, Basic Books, 1995, e Amir Weiner, Making Sense of War: The Second World War and the Fate of the Bolshevik Revolution, Princeton, Princeton University Press, 2000. 5 Karen Šachnazarov, Interv’ju s K. Šachnazarovym, intervista inclusa come extra nell’edizione in DVD del film edito dal Ruscico (Russian Cinema Council). 6 Ivi. 7 Per ulteriori riflessioni e notizie sull’argomento e sui film usciti tra il 2002 e il 2006, rimando al mio saggio Guiding Stars: The Comet-Like Rise of the War Film in Putin’s Russia: Recent World War II Films and Historical Memories, in «Studies in Russian and Soviet Cinema» 2/1, febbraio 2007, pp. 163-189. 140 008NORRIS126-141Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:50 Pagina 141 LA GUERRA NEL CINEMA RUSSO CONTEMPORANEO 8 La precedente versione, del 1949, era stata diretta da Aleksandr Ivanov (ndt). Lo segue, tre anni dopo, Franz+ Polina (2006) di Michail Segal dove un soldato tedesco ha il ruolo di protagonista del titolo: Franz è un soldato delle SS che diserta dopo essersi innamorato di Polina, una giovane bielorussa del villaggio occupato dai nazisti. 10 Il Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (NKVD) era l’organo responsabile della sicurezza nazionale, comprendente anche funzioni di polizia ordinaria e carceraria, costituito nel corso della rivoluzione. Nella Seconda guerra mondiale aveva assorbito anche i compiti di spionaggio e controspionaggio militare della disciolta Eka, per restituirli negli anni cinquanta al neonato KGB (ndt). 11 Nella Russia imperiale, i kulaki erano i contadini benestanti e/o proprietari di piccoli appezzamenti, che potevano sfruttare dando lavoro ai contadini poveri. La loro attività venne contrastata da Lenin negli anni della rivoluzione e poi recuperata negli anni della NEP (Nuova Politica Economica). Con l’avvento di Stalin furono nuovamente perseguiti con eccidi e deportazioni (ndt). 12 Situata sul fiume Volga nella Russia meridionale, Saratov è un’importate snodo di comunicazione. Nella seconda guerra mondiale vi passava la ferrovia che assicurava i rifornimenti militari e alimentari diretti a Stalingrado. 13 La frase è riportata nella recensione di Elena Prochorova nella rivista on line «KinoKultura», n. 24, 2009: http://www.kinokultura.com/2009/24r-gitlerkput.shtml. 14 È il titolo con cui il film è stato editato in DVD nel 2002 (ndr). 15 Cfr. Andrew Horton, War, What is It Good For? http://www.kinoeye.org/02/18/horton18_no3.php. 16 Aleksandr Archangel’skij, Tipa vojna, «Ogonek», 1-7 May 2006: http://www.ogoniok.com/4943/29/. 17 Cfr. http://www.kinokultura.com/2007/18r-alexandra.shtml. 18 Marina Murzina, Aleksandr Sokurov: ‘U tiranov net ‘režisserov’. Krome naroda (Aleksandr Sokurov: i tiranni non hanno registi. Eccetto il popolo), in «Argumenty i fakty», 21 November 2007: http://gazeta.aif.ru/online/aif/1412/03_01. 19 Bruce Grant, The Captive and the Gift: Cultural Histories of Sovereignty in Russia and the Caucasus, Ithaca, Cornell University Press, 2010, p. 158. 20 Gregory Carleton si è soffermato su questo punto nel suo A Tale of Two Wars: Sex and Death in Ninth Company and Cargo 200, in «Studies in Russian and Soviet Cinema», n. 3/2, 2009, p. 224. 9 141