La Commedia dell`Arte è nata in Italia nel XVI secolo ed

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La Commedia dell`Arte è nata in Italia nel XVI secolo ed
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La Commedia dell'Arte è nata in Italia nel XVI secolo ed rimasta popolare sino al XVIII secolo.
Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di
produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma su canovacci
detti anche scenari; i primi tempi erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti.
Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta
come "Commedia italiana".
La definizione di "arte", che significava "mestiere", veniva identificata anche con altri nomi:
commedia all'improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.
La recitazione assunse una nuova struttura e i testi da recitare si limitavano ad un canovaccio,
dove veniva data una narrazione di massima indicativa di ciò che sarebbe successo sul palco. Su
questo tratto dell'improvvisazione gli storici del teatro si sono spesso divisi: non per tutti
l'improvvisazione era il tratto distintivo delle commedie degli Zanni, ma su questo era stata creata
una mitologia dell'attore "puro" e completamente padrone dei suoi mezzi, tanto da non aver nessun
bisogno di parti scritte.
Attori per professione
La vita della compagnia è una vita fatta in comune, disciplinata secondo le regole che i componenti
si sono date, controllate dal capocomico. Tra un momento di vita quotidiana e l’altro, si provano le
nuove scene, si scrivono i canovacci, insomma si rinnova il repertorio. Una vita concentrata tra più
nuclei familiari, tra attori non coniugati, fatta a volte di stenti e di enormi sacrifici. Ma nonostante
questa precarietà si affaccia sul mercato l’immagine delle compagnie professioniste, cioè composte
da attori che vivono solo ed esclusivamente del loro lavoro di artisti. .
Lo sviluppo di queste compagnie provoca delle reazioni da parte del potere costituito: non
piacciono soprattutto ai tutori della chiesa, poiché nelle rappresentazioni si parla liberamente di
sesso, tradimenti, ruberie, prepotenze, cioè temi di denuncia, pericolosi per chi deve mantenere il
potere sul popolo. Anche se spesso i comici usano un linguaggio provocatorio, scurrile, carico di
sproloqui, di parole pesanti, suoni volgari, rutti, immagini allusive, di accoppiamenti sessuali, di
organi genitali, di culi, scorregge, escrementi e altre immagini volgari, consegnano comunque agli
ascoltatori elementi su cui riflettere. Per questo sono invisi ai potenti, agli aristocratici, al potere in
genere. Le condizioni di ospitalità si fanno sempre più restrittive di regione in regione, pertanto
comincia una sorta di transumanza (emigrazione) delle Compagnie in terra straniera, chiamate
anche da autorità più illuminate e aperte a conoscere questa nuova realtà che, nonostante tutto,
riesce
a
comunicare
anche
a
popoli
di
altra
lingua,
di
altri
Paesi.
I comici italiani emigrano, non per propria volontà, ma perché spinti dalla fame, dal rifiuto del
potere, perché indesiderati, e trovano così accoglienza soprattutto in Francia, dove si radicano fino a
formare un teatro degli italiani. Questa emigrazione ha portato con sé tutta l’arte
dell’improvvisazione, con un tasso di creatività tale da contagiare altri attori, altri autori e anche le
altre arti.
Le ragioni del successo di questo genere teatrale
Dove risiede la ragione del successo della Commedia dell’Arte che è riuscita ad attraversare i
secoli,
fino
ad
invadere
il
mondo,
lasciando
i
propri
segni
ovunque?
Il successo sta nel linguaggio, nelle modalità di comunicazione che gli attori utilizzano per svolgere
le loro performance, sta nella miscela e nell’uso di forme espressive diverse: basta prendere un
personaggio della Commedia dell’Arte in azione per rendersi conto di come usa il proprio corpo:
gestualità fantasiosa, ritmi sottratti alla quotidianità, invenzioni vocali, con suoni evocati dai
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meandri nascosti della propria vocalità, costumi colorati e ricchi di fantasia che alludono ad altri
contesti, azioni pantomimiche che sconfinano nella danza; ma soprattutto l’uso della maschera che
subito annuncia la tipologia del personaggio e del suo carattere. Sono tutti elementi leggibili a
qualsiasi latitudine e da qualsiasi persona, colta o non colta, anche se non conosce il valore
semantico
delle
parole
che
vengono
pronunciate.
La Commedia dell’Arte ha generato un linguaggio che appartiene all’Uomo e si nutre dei
sentimenti, di allusioni, di intenzioni ben individuabili, che sono patrimonio di tutti; un linguaggio
che affonda le sue radici nella allegoria, carico di segni emblematici riconoscibili, svolge temi ben
conosciuti e sentiti perché appartengono all’essere umano, la fame, l’amore, il sesso, il denaro, la
violenza,
il
potere…
I Comici dell’Arte hanno liberato l’attore dai vincoli del testo scritto, per spingerlo ad una nuova
scrittura scenica che nasce dall’improvvisazione sviluppata dalla fantasia dell’attore stesso, il quale
metteva in moto tutto il suo corpo, la sua voce, la sua energia, il suo volere. I Comici dell’Arte
hanno consegnato alla storia del teatro il loro fermento e un genere creativo che non trova riscontro
in altri generi dell’Arte: un genere trasgressivo, liberatorio, in cui la comicità, l’ilarità, il sarcasmo,
lo sberleffo, l’ironia sono il pane che alimenta lo spettatore. I Comici dell’Arte hanno arricchito la
presenza del pubblico perché si sono rivolti anche a tutte la fasce della società, facendo scoprire il
rapporto tra teatro e pubblico, tra esserci e partecipare. I Comici dell’Arte hanno scardinato i
condizionamenti determinati da uno spazio codificato (si pensi ai teatri tradizionali) perché la loro
arte teatrale poteva agire ovunque, in spazi liberi, in spazi sempre diversi. Sono innovativi perché
sfuggono ai condizionamenti della macchina teatrale, così vincolante con le sue scenografie,
l’illuminazione, l’oggettistica di scena. Invitano lo spettatore a immaginare, a partecipare con la
fantasia, lo responsabilizzano rendendolo conscio della propria creatività, coinvolgendolo.
Insomma, dopo cinque secoli la Commedia dell’Arte continua a far parlare di sé: la ritroviamo
riproposta in spettacoli di molti registi contemporanei, anche se restaurata o inserita in un orizzonte
estetico diverso, più raffinato. Ma per praticare questo genere di teatro occorrono attori totali che
sappiano fare tutto: cantare, suonare, danzare, recitare, improvvisare. E oggi attori di tal fatta non ci
sono o sono pochi. Pensiamo al nostro Dario Fo che oltre ad essere attore comico dei suoi testi è
anche autore che attinge dalla realtà per denunciare soprusi, personaggi del potere, angherie,
sopraffazione. Dario Fo è attore eclettico che oltre a soffermarsi su temi, contenuti di forte
connotazione politica, si inventa un suo linguaggio, una sua lingua, una sua drammaturgia, un suo
personale modo di far teatro che si rifà ai canoni della Commedia dell’Arte. Grazie a lui la
Commedia dell’Arte è stata ulteriormente promossa nel mondo poiché è uno degli autori/attori più
richiesto e i suoi testi sono molto rappresentati anche al’estero. Altro attore da inquadrarsi nel
genere della Commedia dell’Arte è Roberto Benigni, ma non possiamo dimenticare il grande Totò,
che ha portato la sua arte di comico nel teatro di avanspettacolo e nel cinema.
Ma la Commedia dell’Arte, come movimento artistico, ha inciso nella creatività di altri artisti che
hanno operato in altri settori dell’arte. Si pensi ai pittori, quali Picasso, Purificato, Guttuso, De
Chirico, a tutti i grandi pittori del Settecento che hanno dedicato una forte attenzione ai personaggi
della Commedia dell’Arte, consegnandoci una testimonianza visiva di quanto accadeva, ma
soprattutto dedicandosi al principe dei personaggi: Arlecchino. Anche nel cinema, nella danza, nella
lirica, la Commedia dell’Arte ha attecchito lasciando il suo segno. Insomma, ha condizionato le arti
visive, lo spettacolo in ogni forma.
La Commedia dell’Arte, insomma, non ha mai smesso di far parlare di sé, di guadagnarsi
l’attenzione del pubblico italiano e straniero. Se pensiamo che l’opera teatrale Arlecchino, servitore
di due padroni di Carlo Goldoni, messo in scena dal Piccolo Teatro di Milano, regia di Giorgio
Strehler, protagonista Marcello Moretti prima e Ferruccio Soleri poi, ha superato le 2500 recite
nell’arco di oltre cinquant’anni di repliche, ci viene spontaneo sostenere che questo genere di teatro
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è molto gradito e lo sarà sempre più, e soprattutto farà conoscere il teatro italiano nel mondo. Si
assiste oggi in Italia e in campo internazionale a un revival della Commedia dell’Arte che prende
forme celebrative e di ricerca varie e diverse. Stage, laboratori, spettacoli, performance,
pubblicazioni rilanciano la Commedia dell’Arte con grande partecipazione di pubblico e di critica,
segno di una vitalità ancora vivissima.