Il Diritto di essere uomo: antologia mondiale della libertà

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Il Diritto di essere uomo: antologia mondiale della libertà
IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO
ANTOLOGIA MONDIALE DELLA LIBERTÀ
A CURA DI JEANNE HERSCH
MIMESIS
IL DIRITTO DI ESSERE
UN UOMO
Antologia mondiale della libertà
Raccolta di testi
preparata sotto la direzione di
Jeanne Hersch
MIMESIS
Titolo originale: Le droit d’être un homme
Prima edizione: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la
Cultura (UNESCO), 7, place de Fontenoy, 75352 Parigi 07 SP, Francia.
© UNESCO 1968
© MIMESIS / UNESCO 2015, per la presente edizione
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In copertina: tavola di Francesco Tullio Altan, Sono un essere umano
INDICE
PREFAZIONE
di René Maheu
11
PREMESSA
di Luigi Manconi
15
AVVERTENZA
17
RINGRAZIAMENTI
19
L’UOMO
Gli altri
Solidarietà
Valore di ogni vita. Rispetto e protezione
della persona umana
La donna e il fanciullo
Se stesso: l’individuo responsabile, la persona irriducibile
23
23
32
IL POTERE
Fonti del potere: delega o violenza
Virtù e doveri del sovrano
Il sovrano, i suoi intermediari e il diritto alla giustizia
75
75
79
92
43
53
61
LIMITI DEL POTERE
Contro l’arbitrio del principe o dello Stato
La legge al di sopra o al di sotto del potere
Sottomissione condizionale, coscienza irriducibile
Rivolta legittima, dovere d’insurrezione
99
99
106
109
119
LIBERTÀ CIVILE
Libertà individuale
Elogio del popolo
129
129
134
Libertà civile, repubblica e democrazia
Alcuni diritti particolari
Giustizia, imparzialità
Democrazia, principi e istituzioni
138
153
157
178
VERITÀ E LIBERTÀ
Pensiero ed espressione: diritto di pensare, di criticare,
di obiettare, di dubitare; diritto di dire, di scrivere,
di pubblicare, di creare
La tolleranza e la fede
197
DIRITTI SOCIALI
Uguaglianza sociale
Proprietà
Lavoro
Giustizia sociale
Abusi, ineguaglianze, sfruttamento
Le vittime, i loro lamenti
Sciopero, programmi, leggi sociali
245
245
257
266
277
291
308
327
LA LIBERTÀ CONCRETA
Uguaglianza e giustizia
Diritti politici e condizioni economiche
337
337
343
EDUCAZIONE, SCIENZA, CULTURA
Sapere e cultura
Istruzione per tutti; il maestro
II sapere e il nutrimento; il sapere e la medicina;
gioia, poesia, libertà
351
351
356
SCHIAVITÙ E VIOLENZA
La schiavitù contraria alla natura umana
Schiavitù e sfruttamento; padrone e schiavo
Oppressione e liberazione; sottomissione e rivolta
379
379
385
406
IL DIRITTO CONTRO LA FORZA
Il diritto contro la forza e l’arbitrio
Denunce, diffamazione, prigione, tortura, pena di morte,
violenza, vendetta
Contro la guerra; il diritto deve valere anche nella guerra
409
409
197
221
369
415
427
IDENTITÀ NAZIONALE E INDIPENDENZA
Uguaglianza tra le nazioni e i popoli, diritto di ciascuno
all’esistenza
Tradizioni minacciate o distrutte; diritto alla lingua,
schiavitù dei vinti, legittima difesa
Arbitrato e diritto delle genti
437
UNIVERSALITÀ
L’uomo, origini e condizioni comuni
Fraternità
461
461
472
ORIGINI E FINI
Assoluto morale, diritto naturale
Ricorso a Dio, alla natura
La giustizia nel passato: l’età d’oro
La giustizia promessa: in un altro mondo, in un’altra vita
La giustizia in questo mondo
483
483
489
495
500
504
POSTFAZIONE.
IL DOPPIO VOLTO DELLA LIBERTÀ
di Roberta De Monticelli
513
BIBLIOGRAFIA
521
437
442
453
Qualunque despota può costringere i suoi schiavi
a cantare inni alla libertà.
Mariano Moreno, 8 dicembre 1810
PREFAZIONE
Per ricordare il ventesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo la Conferenza generale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) ha deciso
la pubblicazione di una raccolta di testi provenienti da tradizioni e da epoche diverse che facendo risaltare, per la diversità stessa delle loro origini,
l’unità profonda dei loro signiÀcati, illustrasse l’universalità nel tempo e
nello spazio dell’affermazione e della rivendicazione del diritto di essere
un uomo.
La redazione di quest’opera rappresenta lo sforzo compiuto per realizzare tale disegno.
Per riunire il materiale necessario, il Segretariato si è rivolto alle
commissioni nazionali degli Stati membri per l’UNESCO, alle organizzazioni internazionali non governative regolarmente associate alle attività
dell’UNESCO, oltre che a un certo numero di specialisti, amici e collaboratori volontari.
Desideriamo qui ringraziarli cordialmente tutti per il lodevole lavoro
compiuto. La raccolta è davvero sorprendente per la quantità e la qualità
dei testi, per la varietà degli argomenti, delle idee e dei modi di espressione
che vi si manifestano. Ma è ancora più sorprendente per la straordinaria
impressione di similitudini armoniche persino nei contrasti più profondi, o,
per meglio dire, di parentela, in breve, di fraternità, che si sprigiona da questa doppia indagine degli uomini dei nostri tempi nella ricerca dei substrati
storici più profondi della propria coscienza e degli uomini di tutti i tempi
nella ricerca dell’ordine umano.
Abbiamo visto, così, schiudersi come da se stessa l’ampia rosa dei temi
che hanno ispirato la Dichiarazione universale; e, su ciascuno di essi –
come lungo un cammino seguito Àno ai più lontani orizzonti del mondo e
della memoria – si son venuti a deporre dinanzi a noi, quasi fossero delle
offerte, piamente conservate tra i veli delle parole di un tempo e di altri
luoghi, i pensieri e i gesti che sono stati – e rimangono – gli interrogativi
12
Il diritto di essere un uomo
e le risposte, le aspirazioni e le prove, gli annunci e i compimenti, oscuri o
luminosi, attraverso i quali l’uomo si è rivelato a se stesso.
In presenza di testimonianze così altamente signiÀcative la miglior decisione che potessero prendere coloro ai quali competeva la composizione
dell’opera era quella di intervenire e di interpretare il meno possibile. Sono
perciò loro grato di aver capito che ciò che occorreva essenzialmente preservare era l’immediatezza del messaggio e il contatto senza intermediari
tra il lettore e ciò che è autentico.
È stato certamente necessario operare delle scelte. Ogni scelta è stata,
tuttavia, determinata dalla cura di non escludere nessun tema fondamentale
e di riÁettere fedelmente, anche se sommariamente, la diversità complessiva del materiale ricevuto.
Occorreva anche disporre i testi in un certo ordine. Noi ci siamo limitati
a seguire un ordine senza pretese esplicative, che si limita a sottolineare i
punti di convergenza, oppure a tracciare le linee di accostamento più manifeste.
Nella raccolta Ànale non manca certo una parte governata da una certa
casualità, che riÁette le condizioni in cui i materiali sono stati ottenuti. Se i
materiali provenienti da un certo tipo di cultura sono stati molto abbondanti, mentre per un altro è stato impossibile colmare talune serie lacune, ciò
è dipeso spesso da circostanze fortuite. Si può, tuttavia, sperare che il gran
numero di testi raccolti, unitamente alla molteplicità dei canali attraverso
i quali essi sono giunti al Segretariato, abbiano permesso di correggere
in misura abbastanza ampia alcuni squilibri quantitativi, rispetto ai quali
avrebbe assolutamente torto chi volesse vedervi i segni di un qualsiasi partito preso.
Così il libro fu voluto e così è stato compilato. Benché sia il prodotto di
un lavoro collettivo, al quale ha partecipato un gran numero di collaboratori, tanto all’esterno che all’interno del Segretariato, lo si deve essenzialmente a Jeanne Hersch, direttrice della Divisione di ÀlosoÀa. È lei che ha
concepito l’idea e la composizione dell’opera senza mai cessare di animare
l’impresa con la sua fede, al tempo stesso esigente e comprensiva. Desidero esprimerle qui la mia viva gratitudine.
Ora debbo forse dire che cosa è il libro, come usano fare i professori che
deÀniscono nella lezione inaugurale l’oggetto e il signiÀcato del loro corso? Anche supponendo di poterlo fare, non mi sembra opportuno. Posso,
invece, informare i lettori su ciò che il libro non è: un’azione senza dubbio
più utile.
Prima di tutto questo volume non è un’opera scientiÀca. L’essenzialità
delle note e delle informazioni storiche lo dimostra a sufÀcienza. Si è cer-
R. Maheu - Prefazione
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tamente cercato di ottenere tutte le garanzie per quanto concerne l’autenticità dei testi citati, ma non è stato possibile dedicarsi alla critica rigorosa
di questi testi, né a uno scrupoloso controllo della loro traduzione a causa
della grande diversità delle fonti e delle lingue originarie. È possibile, quindi, che siano rimaste delle inesattezze. Ogni impresa che voglia mettere in
contatto uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi comporta necessariamente, diciamolo pure, una parte di approssimazione intellettuale, sulla quale
scivola, e talvolta si smarrisce, il fervore dei cuori. Ma non sono soltanto
gli uomini d’azione che hanno fretta di ottenere dei risultati a convenirne;
l’accettano anche i profondi pensatori, perché vi riconoscono le condizioni
atte a favorire il movimento dello spirito nella storia.
Questo libro non è affatto un trattato di morale, meno ancora un elenco
di premi alla virtù. Se alcuni paesi sono meglio o più abbondantemente
“rappresentati” di altri, questo non dimostra nulla per quanto, presso di
loro, attiene al rispetto dei diritti dell’uomo. Ciò può essere dovuto al fatto
che alcuni sono più portati, o abituati, di altri a mettere a nudo con una
severa autocritica il proprio passato; al fatto che qualcuno si accontenta più
facilmente di altri di ciò che è oggi, o, più semplicemente ancora, è dovuto
a circostanze accidentali che favoriscono o disturbano momentaneamente
il manifestarsi delle cose nazionali sul piano internazionale. Esistono nella
vita, sia dei popoli che degli individui, delle variazioni della coscienza di
sé che non corrispondono necessariamente a modi profondi della persona.
InÀne questo libro, che non contiene alcuna dottrina, non è neppure il
riÁesso veridico della storia. L’umanità vi appare essenzialmente al livello
dei suoi ideali nelle loro più nobili espressioni, non nella realtà, passata o
presente, della sua condizione e dei suoi comportamenti.
Si è dato, senza dubbio, posto alle lagnanze, all’indignazione, all’amarezza, alla rivolta, che, proprio come le dichiarazioni di principi e le serene
o trionfanti rivendicazioni, manifestano un’irreprimibile esigenza di dignità e di giustizia.
Tuttavia è ancora troppo poco per pretendere di tradurre l’autentica
odissea della coscienza umana. I gemiti o le grida che si percepiranno in
queste pagine non provengono dalle vittime più miserabili, rimaste mute
nel corso dei secoli. Là dove i diritti sono totalmente calpestati regnano il
silenzio e l’immobilità, che non lasciano alcuna traccia nella storia; perché
la storia registra soltanto le parole e i gesti di coloro che sono capaci, per
quanto poco, di impadronirsi della propria vita, o almeno di tentare di farlo.
Vi sono sempre state –- e vi sono ancora – delle moltitudini di uomini, di
donne, di bambini, ai quali si è arrivati a causa della miseria, del terrore o
della menzogna, a far dimenticare la loro originaria dignità, o che hanno
14
Il diritto di essere un uomo
rinunciato allo sforzo di far riconoscere da altri questa dignità. Costoro
tacciono. Le vittime che si lamentano e che noi ascoltiamo godono già di
una sorte migliore.
È importante, quindi, avvertire il lettore che, sul rovescio della luce nella
quale sta per entrare, egli dovrà proiettare – in spirito – questa massa di
tenebre. È l’ombra riÁessa dalla storia che nessun bagliore rischiara. È il
fardello trascinato dal progresso: nessuno slancio lo solleva. È il peso dei
crimini ai quali dobbiamo i nostri privilegi, e dai quali nessuna generosità
potrà completamente assolverci, fosse anche la nostra innocenza; perché,
essendone beneÀciari, noi ne siamo obbiettivamente complici.
Di questi privilegi, il più eccelso è quello di poter considerare, con una
certa obbiettività, la nozione stessa dei diritti universali dell’uomo.
Questo libro non è fatto per essere letto da cima a fondo in modo continuativo, né è stato composto in vista di uno studio metodico. Il lettore potrà
aprirlo a caso secondo la sua ispirazione; meditarne qualche riga o qualche
pagina e poi richiuderlo. Avrà percepito, spero in maniera indimenticabile,
qualcosa dal gusto agro-dolce, tenero e terribile, esaltante e sordido, della
storia degli uomini nei suoi signiÀcati più essenziali.
Egli avrà forse inizialmente l’impressione che tutto sia stato detto e
vissuto, in moltissimi luoghi, da secoli e da millenni. Senza dubbio tuttavia, riÁettendoci su, scoprirà che tutto resta ancora da fare e da inventare.
Per quanto grandi siano stati gli sforzi impiegati, i progressi compiuti, per
quanto eroici siano stati gli innumerevoli sacriÀci, il prezzo dell’uomo libero non è ancora stato pagato dall’uomo e non è neppure stato deÀnito
nel suo giusto valore. Il compito immemore rimane. In questo stesso momento...
In questo stesso momento, milioni di esseri umani, nostri simili, oppressi o in rivolta ci attendono, attendono te e attendono me.
Parigi, aprile 1968
René Maheu
PREMESSA
Dobbiamo essere grati all’associazione Bambinisenzasbarre per l’importante iniziativa della nuova pubblicazione di questa certosina e fondamentale opera. Il diritto di essere un uomo è stato realizzato dall’UNESCO in
occasione del ventesimo anniversario dell’adozione, da parte delle Nazioni
unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Si tratta, infatti, di un libro unico nel suo genere e difÀcilmente superabile. Come spiega René Maheu nella prefazione originaria alla sua prima
edizione, esso è il risultato di un impegno collettivo, voluto e coordinato
dall’UNESCO e realizzato con la collaborazione di molte persone di ogni
parte del mondo.
Al suo interno, secondo un indice tematico che ancora regge all’usura
del tempo, sono raccolti testi e documenti – dalle semplici frasi ai passi più
famosi di opere capitali – delle più diverse culture riguardanti la dignità
umana, i diritti della persona, i limiti ai poteri pubblici e le loro responsabilità.
Sono note le critiche alle teorie dei diritti, da quelle più risalenti nel
tempo, del liberalismo di tradizione anglosassone, a quelle della cultura socialista e comunista, Àno a quelle relativiste della seconda metà del Novecento. Il primo affermarsi dell’universalismo dei diritti, con la rivoluzione
francese, fu duramente criticato dall’altra parte della Manica: nella patria
dell’habeas corpus i diritti umani coincidevano con le antiche libertà dei
sudditi della Corona ed erano inimmaginabili fuori dal contesto e dalla tradizione, fuori dalla storia di una comunità nazionale. E così nella seconda
metà dell’Ottocento, il movimento operaio e socialista si affermò in parte
rivendicando, in parte contestando l’universalismo dei diritti, reo di occultare le disuguaglianze sociali e di mettere sullo stesso piano i borghesi e i
proletari, e quindi – sostanzialmente – di difendere i diritti (e gli interessi)
degli uni contro quelli degli altri. E ancora, nel secondo dopoguerra del
Novecento, anche la Dichiarazione universale dei diritti umani non andò
esente da critiche, questa volta sul versante culturalista: quelli scritti a fondamento della nuova Organizzazione delle Nazioni Unite altro non sareb-
16
Il diritto di essere un uomo
bero stati che i diritti di matrice e di cultura occidentale, mediati all’interno
delle sue tradizioni, quella liberale e quella socialista, uscite vincitrici dal
secondo conÁitto mondiale.
La storia del diritto internazionale dei diritti umani, la sua diffusione
e articolazione su base regionale, la sua inÁuenza nei processi di costituzionalizzazione contemporanei, sono viceversa il segno della fecondità
dell’intuizione che fu di Eleanor Roosevelt e dei suoi compagni di avventura. La ragione di questo successo è felicemente testimoniata da questa raccolta curata dall’UNESCO più di quarant’anni fa. In essa è possibile vedere
come le più diverse ispirazioni abbiano contribuito, e possano continuare
a farlo, a quell’universalismo di percorso di cui parlava un uomo come
Raimon Panikkar che il dialogo interculturale lo aveva Àn dentro la sua
esperienza di vita, nel suo essere Àglio di madre cattolica catalana e di
padre indiano induista, e nel suo sentirsi nello stesso tempo “totalmente
occidentale e totalmente orientale”.
Universalità e indivisibilità sono le condizioni perché i diritti possano
essere misura delle responsabilità, individuale e collettiva, nel governo della cosa pubblica. E qui non ci sono cattedre su cui ergersi a pronunciare
giudizi. Per un verso il riconoscimento dei diritti è sempre incompleto: la
vita e la storia umana fanno emergere sempre nuovi bisogni che attendono
di essere riconosciuti dalle istituzioni. Per altro verso, il riconoscimento
di un diritto non è garanzia della sua effettività, né della sua permanenza
nel tempo. La lotta per i diritti, quella sì, è per sempre: giorno dopo giorno, storia dopo storia. Chi crede che i diritti della persona siano ragione e
misura dell’impegno personale e delle istituzioni pubbliche non può che
tornare sui suoi passi e ricominciare daccapo, consapevole che seppure
quel che è stato fatto era ben fatto, ogni giorno resta altro da fare. Questo
libro è dedicato a questi Sisifo contemporanei, come una sorta di breviario
di lettura e meditazione da praticare tra un’azione e l’altra perseguita in
nome dei diritti umani.
Roma, dicembre 2014
Luigi Manconi
Presidente Commissione straordinaria
dei diritti umani del Senato
AVVERTENZA
Dalla presente raccolta è stato escluso ogni testo ancora parte integrante
di una qualunque costituzione attualmente in vigore, al Àne di evitare sia
noiose reiterazioni, da paese a paese, sia eliminazioni arbitrarie.
D’altro canto, poiché si è trattato di riunire testi ispirati ante litteram
dalla ÀlosoÀa implicita nella Dichiarazione universale del 1948, non è stato ammesso alcun testo posteriore a questa data.
La maggior parte dei testi è costituita da estratti e, pertanto, non si è voluto appesantire la presentazione mettendo dei puntini sospensivi all’inizio
e alla Àne di ciascuno di essi. Per contro sono indicati i tagli interni.
L’ortograÀa è stata modernizzata quando il carattere dei testi non ne
veniva alterato.
Hanno contribuito alla presente raccolta alcune commissioni nazionali
attive presso l’UNESCO, oltre a organizzazioni non governative e ai seguenti
esperti:
José Maria Arguedas, Abderrahmane Ben Abdenoi, Gustavo Beyhaut,
P. Naili Boratav, Génia Cannac, Henry Steele Commager, R. N. Dandekar,
Vadim Elisseeff, Stanislas Frybes, Francesco Gabrieli, Janheinz John, P.
Juvigny, Takev Kuwabara, Miguel León Portilla, Kia-Hway Liou, Guillermo Lohmann Villena, G. P. Malalasekera, Leo Moulin, Kostas Papaioannou, Pierre Pascal, Clémence Ramnoux, Pinhas Rosenbluth, Denis de Rougemont, Fryda Schutz de Mantovani, Marina Scriabine, Amadou Seydou,
Shaul Shaked, Fernando Silva Vargas, Jean Starobinski, Joseph Tubiana.
Agli editori e agli autori che hanno gentilmente autorizzato la riproduzione di testi non ancora divenuti di dominio pubblico, a tutti coloro che in
qualsiasi modo, da vicino o da lontano, hanno generosamente contribuito
alla realizzazione di questo pro getto, il Segretariato esprime la sua viva
gratitudine.
RINGRAZIAMENTI
Valentina Achilli, Frances Albernaz, Francesco Tullio Altan, Dominique
Arnouil, Elizabeth Ayre, Serena Baccaglini, Floriana Battevi, Giorgio Bertazzini, Odile Blondy, Maricla Boggio, Alain Bouregba, Corinne Branchat,
Marco Cabassi, Enrico Calamai, Alessandra Carnevale, Lorenzo Castoldi,
Francesco Catalucci, Sigrid Charrière, Paolo Cipelletti, Stéphane Cohen, Elvina Cohen Russo, Liamara Conti, Bruno Contini, Nina Contini Melis, Andrea Guido Costa, Pierre Dalla Vigna, Françoise Dalle, Marco De Bernardin,
Géraud Delavenay, Stefano De Matteis, Roberta De Monticelli, Ian Denison,
Serena Delesgues, Michel Devaux, Philippe Didillon, Doudou Diène, Vittorio Dini, Corinne Doria, Jean d’Ormesson, Ana Escandel, Vincenzo Fazzino,
Bruna Filippi, Edoardo Fleischner, Marcello Flores, Leda FoÀ, Laura Formenti, Frida Fruchart, Caterina Gabrielli, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacchè, Yvonne Haëberli, Roberte Hamayon, Reynaldo Harguinteguy, Carmen
Hernandez, Nicole Houssin, Maria Ingegno, Stefania Jahier, Nicole Janigro,
Dominique Jemelen-Rapp, Vincenzo Jacomuzzi, Franck Kausch, Kianouche
Kausch, Taraneh Khanlari, Julio Labastida Martin del Campo, Emo Lessi,
Joel Lopez Jacome, Maria Lorenzoni Stefani, Jacqueline Lacor, Jean-Pierre
Lacor, Sandrine Lacor, Giancarlo Lupo, Hannah Lynn, Romano Màdera,
Mirta Mantaras, Gérard Marchesseau, Mascia Marini, Jean Louis Martin,
Federico Mayor Zaragoza, Grazia Masi, Néguine Mathieux, Francisco Mele,
Chiara Mirabelli, Santina Mobiglia, Cinzia Morselli, Magda Moyano, Isabelle Nonain-Semelin, Annibale Osti, Annalisa Pauciullo, Elisabeth Petit,
Cristina Peraboni, Enrica Peraboni, Kate Philbrick, PHILO, Cesare Pianciola, Anna Piccinini Morabito, Marie Laure Plançon, Giacomo Pontremoli,
Vittorio Possenti, Frédéric Praud, Jean-Didier Prignol, Nicola Prinetti, Giovanni Puglisi, Romano Romani, Daniele Rossi Doria, Marco Rossi Doria,
Henri Roudier, Lia Sacerdote, Maddalena Sala, Arianna Sanesi, Anna Maria
Savarese, SCRIPTUM, Benedetta Sforza, Willy Spieler, Paolo Tanzi, Sylvie
Tierny, Simona Torrini, Anne Toth, Miguel Angel Valdivia, Benicia Veillet
Palacios, Luigi Vero Tarca.
Paola Costa per la determinazione con cui ha progettato e curato la ripubblicazione di questo volume in Italia.
IL DIRITTO DI ESSERE UN UOMO
L’UOMO
Gli altri
I “daïni” sono delle canzoni popolari lituane trasmesse oralmente di
generazione in generazione Àn da un’epoca anteriore all’introduzione del
cristianesimo.
IL LUPO (“daïno” lituano)
Il lupo, il lupo,
Che abita nei boschi,
Sbuca di tra gli alberi
E viene giù sul prato
A divorar l’agnello
E il giovane puledro:
Questo è il suo lavoro.
La volpe, la volpe
S’aggira per i boschi
Sbuca di tra gli alberi
E slanciasi nell’aia,
Agguanta e poi uccide
L’oca e la gallina:
Questo è il suo lavoro.
Il cane, il cane
Sorveglia la casa.
Abbaia e morde
I ladri nei talloni.
Spaventa le vecchiette
E anche i vagabondi:
Questo è il suo lavoro.
La pulce, la pulce
Ha la bocca golosa
E succhia il sangue fresco
Sul fare dell’aurora.
E sveglia la pastora
24
Il diritto di essere un uomo
Per far uscir le mucche:
Questo è il suo lavoro.
L’ape, l’ape
Che vive là nel bosco,
Ronza sulla brughiera;
Ci pizzica le dita
Il viso e poi le orecchie,
Eppur ci dona il miele:
Questo è il suo lavoro.
Uomo, o uomo!
Osserva l’ape,
Anche tu pungi il cuore, il cuore;
Offri tuttavia dolcezza
A chi ti è fratello:
Perché questo è il compito dell’uomo.
1
Regola di condotta
A Chong-kong, che lo interrogava sull’umanità, Confucio rispose:
“Quando esci di casa tua, comportati con tutti come lo faresti con un ospite
di riguardo. Comportati con la gente come se assistessi a un grande sacriÀcio. Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Allora nessuno si lagnerà contro di te nello Stato e nella famiglia”. Chong-kong disse: “Anche
se non sono intelligente, posso io mettere in pratica le tue parole?”
Confucio (551-479 a.C.), Colloqui, Cina.
2
Non vendicarti e non serbare rancore verso i Àgli del tuo popolo, ma
ama il prossimo tuo come te stesso. Io sono Jahve.
Bibbia ebraica, Levitico, 19.
3
Ciò che contraria te stesso, non farlo al tuo prossimo; ecco tutta la Legge, il resto sono solo commenti.
Talmud, Shabbat, 31.
4
Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare:
sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricorda che sei stato
schiavo in Egitto: perciò ti prescrivo di compiere tale cosa.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24.
5
Quando cade il tuo nemico non gioire, e quando egli inciampa non si
rallegri il tuo cuore.
Bibbia ebraica, Proverbi, 24.
6
L’uomo
25
Fratelli
Per i Greci l’uomo è collocato in uno schema che oppone l’uomo a Dio,
il mortale all’immortale. Castore e Polluce sono due gemelli, l’uno, Polluce, nato da seme divino, l’altro, Castore, da seme mortale. Ora il fratello
mortale è stato ferito nel combattimento. Il fratello immortale chiede di
condividere la sua sorte.
Strofe:
Frettolosamente il Tindaride ritornò presso l’eroe, suo fratello. Lo ritrovò ancora vivo, ma con il respiro affannato. Mescolando i singhiozzi con
calde lacrime, egli esclamò con voce acuta: “O Àglio di Cronos, o Padre,
quale rimedio può esservi per la mia sofferenza? Ordina anche per me la
morte con lui, o Sovrano! Non vi è più gloria per un uomo privato di coloro
che gli sono cari: vi sono pochi compagni fedeli, tra i mortali, nella prova...
Antistrofe:
... pochi che vogliano condividere le nostre fatiche”. Egli disse e Zeus
venne verso di lui, faccia a faccia e gli diede questa risposta: “Tu sei mio
Àglio! Castore fu generato dopo di te nel seno di tua madre, dall’eroe suo
sposo, con una goccia di seme mortale. Ebbene io ti propongo la scelta che
segue: se vuoi fuggire la morte e l’odiosa vecchiaia, abitando nell’Olimpo
presso di me, in compagnia di Athena e di Ares dall’oscura lancia...
Epodo:
... questa è la tua sorte. Ma se tu difendi tuo fratello, e se vuoi che egli
abbia una parte uguale con te in tutte le cose, passerai la metà della tua vita
sotto terra e l’altra metà nel palazzo d’oro del cielo”. Egli disse e Polluce
non esitò a scegliere tra le due offerte; riaperse l’occhio, poi rianimò la
voce di Castore dalla cintura di bronzo.
Pindaro (521-441 a.C.), Nemea X, vv. 73-91, Grecia.
7
Nessuno di voi è credente Ànché non preferisce per suo fratello ciò che
egli preferisce per se stesso.
Hadith (Detti del Profeta).
8
A un musulmano è proibito versare il proprio sangue se non per la difesa della giustizia e di versare sangue di altri se non è per la difesa della
giustizia.
Malik Ibn Anas, giureconsulto (VIII sec.), Siria
9
Che cosa non fareste per combattere per la causa di Dio e per la difesa
dei deboli tra gli uomini, delle donne e dei fanciulli?
Corano, An-Nissa’ (Le Donne), 75.
10
26
Il diritto di essere un uomo
Che nessuno tra di voi, per spirito di imitazione, dica: “Se si compie il
bene attorno a me, farò il bene e se attorno a me si compie il male, farò il
male”. Tutt’al contrario, assumetevi l’impegno di fare il bene come lo si fa
attorno a voi e di non partecipare al male che vedete commettere attorno
a voi.
Hadith (Detti del Profeta).
11
Se vedete che sono sulla retta via, assistetemi. Se vedete che sono sulla
falsa, rimettetemi sulla buona strada. Colui che è forte tra voi è debole ai
miei occhi Àno alla prova della giustizia e colui che è debole tra di voi è
forte ai miei occhi Àno a che gli sia resa giustizia.
Califfo Abu Bakr Al-Siddik (VII sec.)
12
Amore di Dio e amore del prossimo
Chi pretende d’essere nella luce e ha in odio il suo fratello, è tuttora nella
tenebra. Chi ama il suo fratello dimora nella luce né per lui c’è occasione
d’inciampo. Ma chi odia il proprio fratello è nella tenebra e nella tenebra
cammina e non sa dove va, perché la tenebra accecò gli occhi suoi [...].
Se qualcuno dice: “Io amo Dio” e ha in odio il proprio fratello, è mentitore: chi infatti non ama il fratello suo che vede, non può amare quel Dio
che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama
Dio, ami anche il proprio fratello.
Nuovo Testamento, Prima lettera di Giovanni.
13
Diritti e doveri
La vera sorgente dei diritti è il dovere. Se tutti compiremo i nostri doveri, ci sarà facile ottenere il rispetto dei nostri diritti. Se, trascurando i nostri
doveri, rivendichiamo i nostri diritti, essi ci sfuggiranno. Avviene così dei
fuochi fatui, più li perseguiamo, più essi si allontanano da noi.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
14
L’infelice è il tuo prossimo
Non beffarti di un cieco, non molestare un nano.
Non fare dei torti a uno zoppo.
………
Anche lo straniero ha diritto di avere l’olio della tua anfora.
Dio si augura che tu rispetti i poveri
piuttosto che trattare con i potenti.
Amenope (circa 1300-1100 a.C.), Egitto.
15
L’uomo
27
Assoluto morale
Anche se hanno tra le mani il nettare dei Devata, essi non lo conservano,
per quanto squisito sia, per berlo da soli (ma lo dividono con altri). Non
conoscono l’odio. Perseguono senza sosta (e senza timore) i grandi compiti
che altri hanno avuto paura d’intraprendere. Se si tratta di fare il bene, essi
sono pronti anche a rischiare la loro vita. Se si tratta di fare il male, per
nulla al mondo si decideranno a farlo. Essi non sono mai stanchi. Finché
esistono degli uomini di un tale valore, che lottano non per raggiungere dei
Àni egoistici, ma per il bene altrui, anche il mondo esisterà.
Purananooru (circa II sec. a.C. - II sec. d.C., epoca sangam), tradotto
dal tamil.
16
Legami indissolubili
O padrone delle distese saline, ove il vasto mare ha color di zafÀro, ove il
verbasco dal ricco polline ha delle spine aguzze come i denti dello scoiattolo,
anche quando avremo lasciato questa vita per rinascere in un’altra esistenza,
dovrai essere il mio sposo, dovrò essere la tua tenera sposa.
Kurunthokai (II sec. a.C - circa II sec. d.C., epoca sangam), tradotto
dal tamil.
17
Contro l’inimicizia
Rinuncia all’inimicizia – è sempre meglio; poiché non si può ridurre al
silenzio un nemico con l’inimicizia. Se nutri inimicizia nel tuo cuore, non
potrai guardarti completamente dal parlare o dall’agire di conseguenza. E
se vuoi combattere o distruggere il nemico, dovrai accettare di ammazzare
e di versare il sangue. In qualunque modo si considerino le cose, o Krishna,
l’inimicizia ci fa perdere il sentimento del bene e del male.
Mahâbârata, tradizione telugu, isole Mauritius.
18
Prodezze
O Signore Srinivasa! vi è forse oggi, per i potenti di questo mondo, la
possibilità di compiere altre prodezze all’infuori di queste: compatire la
sorte dei disgraziati e migliorarla o rialzare colui che sta per terra; andare
alla ricerca dei poveri per proteggerli, oppure premurarsi di soccorrere degli indigenti; raccogliere colui che chiede asilo oppure allevare un orfanello; strappare qualcuno dalle grinÀe della morte oppure curare colui che la
malattia inchioda nel letto? – In verità, quali azioni potrebbero essere più
nobili di queste, o Signore Venkatesa!
Peda Tirumalayya, Neeti Seesa, Satakamu (XVI sec.), tradizione telugu.
19
28
Il diritto di essere un uomo
Chi ha distrutto un cuore
Un uomo venerando dalla barba bianca, ecco che egli non sa a che punto
stanno le cose. Se ha distrutto un cuore, non gli servirà a nulla accanirsi ad
andare in pellegrinaggio (alla Santa Mecca).
Il cuore dell’uomo è il trono di Dio. Dio ha lo sguardo sempre rivolto
verso i cuori. Colui che ha distrutto un cuore non conoscerà la felicità né in
questo mondo, né nell’altro.
Quello che pensi per te, pensalo anche per gli altri; il signiÀcato nascosto
nelle Quattro Scritture, se ve n’è uno, si riassume in queste poche parole.
Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia.
20
Sole o pietra
Ascoltate, o compagni, l’amore è come un sole. Il cuore che non ne ha la
sua parte, è come una pietra. Che cosa può crescere in un cuore di pietra?
Colui che lo porta ha del veleno sulla lingua; tutte le parole dolci che tenta
di pronunciare suoneranno come il fragore di una battaglia.
I cuori colmi di amore sono riscaldati da un fuoco e diventano teneri come
la cera. I cuori di pietra sono come un crudo inverno, spietato e oscuro.
Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia.
21
Solo il corpo che è animato dall’amore contiene un’anima vivente: quello che è sprovvisto di amore non è che uno scheletro ricoperto di carne.
Se ami te stesso, non commettere alcun peccato, per piccolo che sia.
Per punire coloro che (vi) hanno fatto del male, copriteli di vergogna
mostrandovi buoni con loro e dimenticando in seguito tutto ciò che è stato
fatto – sia il male che il bene.
La più grande di tutte (le virtù) mai descritta è quella che consiste nel
condividere il proprio nutrimento con altri e nel preservare la vita sotto
tutti i suoi aspetti. Non uccidere, ecco il perfetto bene; non mentire viene
immediatamente dopo.
Sii umile nella prosperità e. dignitoso nell’avversità.
Tirukkural (I sec. d.C.), isole Mauritius, tradotto dal tamil.
22
L’ingratitudine è peggiore della violenza
Anche per i malvagi che hanno tagliato le mammelle delle mucche, per
coloro che hanno ucciso i bambini nel ventre delle donne adorne di ricchi
L’uomo
29
monili, per coloro che hanno commesso dei crimini contro i propri genitori vi è una speranza di salvezza. Ma, anche se il mondo fosse sconvolto
da cima a fondo, non vi sarebbe salvezza per gli ingrati che dimenticano
il bene che hanno ricevuto. Così sta scritto nel Sâstra, o sposo della bella
regina, adorna di gioielli.
Purananooru (circa III sec. a.C - II sec. d.C., epoca sangam), tradotto
dal tamil.
23
Solo coloro che accettano dei sacriÀci conoscono la gioia. Non sarai
avido.
Ishavasy-Upanishad, India.
24
Reciprocità
Tutto ciò che una persona non desidera che un’altra faccia nei suoi riguardi, essa deve astenersi di compierla nei riguardi degli altri, rimanendo
sempre cosciente di ciò che le è sgradevole.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 25
L’ospite
Colui che tu accogli, sia per te un Dio.
Taittirîga-Upanishad (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
26
Gli infelici
Le ricchezze dei migliori (tra gli uomini) fruttiÀcano nel lenire le sofferenze dei disgraziati.
Kâlidâsa; Maghadûta 53 (IV sec.), tradotto dal sanscrito.
27
Che cosa vi è di bene nella virilità di colui che non solleva gli afÁitti?
Quale bene vi è nella ricchezza che non serva per coloro che ne sono privati? Esiste veramente una sana attività che non sia in rapporto con ciò che
è il bene per gli altri? Si può veramente chiamare vita ciò che è contrario
agl’interessi del bene?
Subhâsita-Ratnabhândâgâra, tradotto dal sanscrito.
28
Io non desidero che il Signore mi accordi quello stato elevato che è
contrassegnato dagli otto poteri soprannaturali, né che mi conceda di essere liberato dalle reincarnazioni. Poiché vivo nel cuore di tutti gli uomini,
prendo su di me la loro miseria afÀnché essi in tal modo possano essere
liberati dalla sofferenza.
Bhâgavata-Purâna (IX-X sec.), tradotto dal sanscrito.
29
30
Il diritto di essere un uomo
Padronanza di sé
Colui che al tempo stesso si vede in tutti gli esseri e vede tutti gli esseri
in se stesso e che (in qualche modo) sacriÀca se stesso, giunge al dominio
di sé.
Manusmriti, XII (II sec. a.C, I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
30
Iscrizione che Àgura sulla tomba di Dario (521-486 a.C.) a NaqshiRoustem:
È un grande Dio questo Ahura-Mazdâ che ha compiuto quest’opera eccellente che vediamo, che ha creato la fortuna per l’uomo, che ha dotato il
re Dario di saggezza e di attività.
Il re Dario disse: “Per grazia di Ahura-Mazdâ io sono fatto in modo da
essere l’amico del bene e non del male. Io non auguro che il forte offenda
il debole, né che il debole offenda il forte.
Io desidero ciò che è giusto. Non sono l’amico di colui che vive nella
menzogna. Non sono collerico. Ciò che mi ispira collera, lo domino con la
potenza del mio pensiero. Io mi domino completamente.
Colui che coopera io lo ricompenso secondo ciò che ha fatto di utile.
Colui che agisce male, lo punisco secondo il torto che ha causato. Io non
auguro che l’uomo compia il male; se egli lo compie, non mi auguro che
rimanga impunito.
Ciò che un uomo dice contro un altro, mi convince solo se quest’uomo
rispetta le norme delle buone regole.
Ciò che un uomo fa o eseguisce (per me) secondo le sue possibilità (naturali), mi soddisfa e mi colma di grande gioia: io sono soddisfatto”.
Persia.
31
Uomo anche se sbaglia
Nessuno dovrebbe comportarsi da nemico nei confronti di un peccatore
o augurargli del male; bisogna quindi essere misericordiosi verso i peccatori e pensare: “È veramente doloroso vedere Ahreman imbrogliare e sviare
qualcuno in questo modo”.
Dênkart (IX sec.), Persia.
32
Umiltà
Colui che rinuncia alla cupidigia depone le armi e si astiene dal fare la
guerra. Colui che depone le armi e si astiene dal fare la guerra arriva all’umiltà. Quando un uomo pratica l’umiltà, si preoccupa moderatamente del
bene proprio e di più di quello degli altri.
Dênkart (IX sec.), Persia.
33
L’uomo
31
Riguardo
Il latino rimase la sola lingua scritta in Polonia durante molti secoli
dopo la conversione del paese al cristianesimo nel 966. Il testo polacco più
antico è una frase scoperta nell’inventario del monastero di Henrykóv, in
Slesia, composto in latino verso il 1266-1270. (La frase era stata inserita
a questo punto per spiegare il nome di un villaggio). Un contadino, guardando sua moglie far funzionare un mulino le dice: Da yat / is pobrusa / a
ti pociway, che signiÀca:
Dammi il tuo posto: macinerò io, tu riposati.
Inventario (XIII sec.), Polonia.
34
Relazione di uguaglianza
Un’inclinazione naturale dello stesso ordine ha condotto gli uomini a
comprendere che hanno il dovere di amare gli altri non meno di se stessi.
L’uguaglianza delle cose è visibile solo se tutte hanno “una misura comune:
se mi auguro di essere trattato altrettanto bene da tutti quanto ogni uomo se
lo augura per se stesso, come potrei aspettarmi di vedere questo desiderio
almeno parzialmente soddisfatto se non mi curo io stesso di soddisfare l’uguale desiderio che indubbiamente esiste negli altri, poiché abbiamo una
sola e uguale natura? Ogni trattamento contrario al loro desiderio deve
essere per loro altrettanto penoso quanto per me: dunque, se io faccio del
male, devo aspettarmi di dover soffrire, poiché non vi è alcuna ragione
che altri abbiano per me maggiore affetto di quanto io dimostro verso di
loro; quindi il mio desiderio di essere amato dai miei uguali in natura, per
quanto possibile, m’impone il dovere naturale di offrir loro, senza riserva,
il medesimo affetto; nessun uomo ignora le diverse leggi e le regole che la
ragione naturale ha tratto, per dirigere la nostra vita, da questa relazione di
uguaglianza tra noi e i nostri simili.
Richard Hooker (detto “il saggio Hooker”), Le leggi della politica ecclesiastica, 1594, Inghilterra.
35
Bisogno degli altri
Un giorno, giovinetto, partii solo;
Andando all’avventura, perdetti la mia strada;
Mi sentii ricco trovando un amico:
perché l’uomo a un altro uomo si riconforta.
Un giorno, per diletto, nei campi io disposi
I miei vestiti su un fantoccio strano:
Vestito, ei pareva un vero duca;
Un uomo nudo, invece, non è nulla.
32
Il diritto di essere un uomo
II pino muore nella valle sinistra:
Corteccia e legno non servono a nulla;
L’uomo senz’amore è come quella pianta:
Perché dev’egli vegetare ancora?
Il tizzone al tizzon s’inÀamma e brucia,
Il fuoco nasce ognor da un altro fuoco;
L’uomo si scalda all’uom con la parola:
Egli evita colui che è senza voce.
Stanze di Odino, poesia islandese (circa 800-1100).
36
Solidarietà
Nessun uomo è un’isola, un tutto, completo in sé; ogni uomo rappresenta
un frammento del continente, una parte dell’insieme; se il mare trascina via
una zolla di terra, l’Europa (intera) ne è diminuita, come se i Áutti avessero
trascinato via un promontorio, la dimora dei tuoi amici o la tua; la morte di
ogni uomo mi diminuisce, perché io appartengo al genere umano; pertanto
non domandare mai per chi suona il rintocco della campana: suona per te.
John Donne, 1624, Inghilterra.
37
Dignità altrui
Mi è sempre sembrato molto misterioso che un uomo possa sentirsi onorato dell’umiliazione dei suoi simili.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
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Intrepida umiltà
La non-violenza agisce nel modo più misterioso. Accade spesso che le
azioni di un uomo, considerate dal punto di vista della non-violenza, respingano ogni analisi; accade spesso anche che le sue azioni rivestano l’apparenza della violenza, mentre quest’uomo è assolutamente non violento,
in tutta l’estensione del termine, come ci si accorge ulteriormente... Non
posso continuare oltre il mio ragionamento. Il linguaggio potrebbe essere
solo un mediocre veicolo per la completa espressione del pensiero. Per
me, la non-violenza non rappresenta un semplice principio ÀlosoÀco: è la
regola e il sofÀo stesso della mia vita [...]. So di sbagliarmi spesso, persino
coscientemente, il più spesso inconsciamente. Si tratta di una questione,
non d’intelligenza, ma di cuore. Per essere guidato sulla retta via bisogna
costantemente servire Dio, con la più grande umiltà, con abnegazione di
se stessi, essendo continuamente pronti a sacriÀcarsi. La pratica della non-
L’uomo
33
violenza esige una intrepidità e un coraggio inÀniti. Ho dolorosamente coscienza dei miei insuccessi.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
39
Discorso sull’amore universale
Il santo il cui compito consiste nel governare il mondo deve sapere donde
viene il disordine per poterlo regolare. Non sapendo donde viene il disordine,
non può regolarlo. Pertanto, ad esempio, un medico che combatte la malattia
di un uomo deve sapere donde viene questa malattia per poterla combattere.
Colui che regola il disordine non dovrà allora fare la stessa cosa?
………
Esaminando donde viene ogni disordine, egli scopre che proviene dal
non-amore reciproco. Così, a esempio, il suddito e il Àglio non riveriscono
il principe e il padre. Ecco ciò che si chiama disordine. Poiché il Àglio ama
se stesso, ma non suo padre. Per questo egli porta pregiudizio a suo padre
per il proprio interesse. Il fratello più giovane ama se stesso ma non suo
fratello maggiore. Per questo egli porta pregiudizio al fratello maggiore
per il proprio interesse. Il suddito ama se stesso ma non il suo principe. Per
questo egli porta pregiudizio al suo principe per proprio interesse. Ecco ciò
che si chiama disordine.
Allo stesso modo, se il padre non è benevolo verso suo Àglio, il fratello
maggiore verso il minore, il principe verso il suddito, è ciò che si chiama disordine. Poiché il padre ama se stesso ma non suo Àglio. Per questo egli porta
pregiudizio a suo Àglio nel proprio interesse. Il fratello maggiore ama se stes-
34
Il diritto di essere un uomo
so, ma non suo fratello minore. Per questo egli porta pregiudizio al fratello
minore, per proprio interesse. Il principe ama se stesso ma non il suo suddito.
Per questo egli porta pregiudizio al suo suddito per interesse proprio. Perché
dunque tutto questo? Tutto ciò deriva dal non-amore reciproco.
Accade ugualmente per i ladri e per i banditi. Il ladro ama la sua casa ma
non la casa di un altro uomo. Per questo il ladro svaligia la casa di quest’altro uomo per il proprio interesse. Il bandito ama se stesso ma non un altro
uomo. Per questo egli attacca quest’altro uomo, per il proprio interesse.
Perché tutto questo? Tutto ciò deriva dal non-amore reciproco.
Accade la stessa cosa da parte di un alto ufÀciale che molesta la famiglia
di un altro alto ufÀciale, e del principe che invade lo Stato di un altro principe. Poiché l’alto ufÀciale ama la sua famiglia ma non quella di un altro
alto ufÀciale. Per questo egli infastidisce la famiglia di quest’altro ufÀciale
per l’interesse della propria famiglia. Il principe ama il suo Stato, ma non
un altro Stato. Per questo egli invade quest’altro Stato per l’interesse del
proprio Stato. Il disordine del mondo intero non è altro che tutto questo.
Esaminando donde viene tutto ciò, si scopre che è colpa del non-amore
reciproco.
Se tutti adottano l’amore universale e se ciascuno ama l’altro come se
stesso, potranno esservi ancora individui che non sono pii? Poiché considerando il padre e il fratello maggiore e il principe come se stesso chi sarà
empio verso di loro? Vi saranno persone non benevole? Poiché considerando il proprio fratello minore, suo Àglio e il suo suddito come se stesso,
chi sarà malevolo verso di essi? In tal modo empietà e malevolenza non
esisteranno più.
Vi saranno ancora dei ladri e dei banditi? Considerando la casa di un altro uomo come la propria casa, chi la saccheggerà? Considerando il corpo
di un altro uomo come il proprio corpo, chi mai attaccherà un altro uomo?
Così i ladri e i banditi non esisteranno più.
Ci sarà mai un alto ufÀciale che molesti la famiglia di un altro ufÀciale o
un principe lo Stato di un altro principe? Considerando la famiglia di un altro alto ufÀciale, come la propria, chi la molesterà? Considerando un altro
Stato come il proprio Stato, chi mai l’invaderà? In tal modo gli alti ufÀciali
perturbatori e i principi aggressori non esisteranno più.
Se il mondo intero adotta l’amore universale, uno Stato non vale più
un altro Stato, una famiglia non molesta più un’altra famiglia, i ladri e i
banditi non esistono più, i principi e i sudditi, il padre e il Àglio osservano
il loro dovere di pietà e di benevolenza. Questo stato di cose costituisce il
buon ordine nel mondo. Come pensare che il santo, il cui compito consiste
nel governare il mondo, non dovrebbe proibire l’odio e incoraggiare l’a-
L’uomo
35
more, poiché l’amore universale procura ordine e l’odio reciproco conduce
al disordine? Pertanto il Maestro Mo-Tzu conclude: “Non si saprebbe non
incoraggiare l’amore per gli altri”.
Mo-Tzu (V sec. a.C.), Cina.
40
Ideale dell’educazione azteca
Essi incominciarono a insegnar loro
Come dovevano vivere,
Rispettare gli altri,
Dedicarsi
A ciò che era buono e giusto;
Come dovevano evitare il male,
Fuggire l’ingiustizia e la sua forza,
Evitare la depravazione e la cupidigia.
Tradizione azteca (XV sec.), Messico.
41
Senza principio umano
Se si vive senza principio umano, si è solo immondizia e cenere.
Tradizione nahuatl, Messico.
42
SacriÀcio
Kaab ibn Marna era un Iyadita. Si racconta che egli – con una carovana,
nella quale si trovava un uomo dei Namir ibn Qasit – andò (nel deserto)
durante un mese caldissimo d’estate. Essi si smarrirono e fu necessario
razionare l’acqua di cui disponevano. Si gettava un sassolino nella coppa,
e vi si versava sopra dell’acqua Àno a coprire il sassolino: questo sassolino, lo si chiamava la maqla e ogni uomo beveva così la stessa quantità
d’acqua. Essi sedettero quindi per bere. Quando la coppa, spostandosi in
circolo, giunse a Kaab, egli vide il Namirita che la guardava avidamente;
gli cedette allora la sua razione d’acqua e disse a colui che versava: “Dai da
bere al tuo fratello il Namirito”. Questi bevette quindi la razione d’acqua di
Kaab. All’indomani, durante la tappa seguente, razionarono ancora l’acqua
rimasta. E d anche questa volta il Namirito guardò la coppa con lo stesso
sguardo della vigilia, e Kaab ripetè ancora lo stesso gesto. Quando la comitiva si mise in marcia, dissero: “Kaab, cammina!”, ma egli non aveva più
la forza di alzarsi. Siccome l’acqua non era più molto distante, gli dissero:
“Kaab va a cercare l’acqua, è una funzione che svolgi normalmente”; ma
egli non ebbe la forza di rispondere. Quando persero ogni speranza a suo
riguardo, lo ricopersero con un manto per allontanare da lui le bestie feroci
e impedire a esse di divorarlo; lo lasciarono lì, ove egli morì.
Al-Maidani, Madjma’ al-Amthal (inizio XII sec.), Persia.
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36
Il diritto di essere un uomo
I doveri categorici
Vi sono tre cose per le quali Dio non transige con nessuno: l’affetto verso i genitori, siano essi buoni o cattivi; il tener parola, verso i buoni e verso
i cattivi; restituire ciò che è stato afÀdato in custodia, al buono o al cattivo.
Colui che crede in Dio e nel giudizio Ànale, agisca bene nei riguardi del suo
vicino, onori il suo ospite, dica cose buone e sia riconoscente.
Hadith (Detti del Profeta).
44
Generosità nella sventura
Hâtim Ibn’Abdallah, della tribù dei Tayy, era un uomo generoso e valoroso, vinceva sempre. Quando combatteva usciva dal combattimento
vittorioso; quando ammassava del bottino lo regalava agli altri; quando
gli si chiedeva qualcosa egli la donava; quando tirava con l’arco vinceva;
quando correva in gara con gli altri, arrivava per primo; quando prendeva
un prigioniero, lo rilasciava; quando era ricco spendeva per gli altri tutta la
sua fortuna. Si racconta che, durante il mese sacro, egli andò alla ricerca di
qualcosa di cui aveva bisogno, e quando arrivò nella terra dei Banou Anza,
un prigioniero di costoro gli gridò: “O Abu Saffana (cioè: padre di Saffana; Saffana era il nome della Àglioletta di Hâtim), le catene e i pidocchi
mi divorano! – La va male per te, rispose Hâtim, non sono tra i miei e non
ho nulla con me! mi dai un bel fastidio interpellandomi in tal modo, e non
ti si può tuttavia lasciar lì”. Poi discusse del suo riscatto con gli Anaza, e
lo comperò da loro, lasciandolo subito libero e rimanendo egli stesso in
prigione al suo posto Àno a che non ritornarono col prezzo del suo riscatto,
che egli versò a coloro che lo avevano catturato.
Sua moglie Mâwiya racconta che un’annata di disdetta aveva colpito
la loro tribù, eliminandovi ogni specie di bestiame. “Passammo, essa
disse, una notte nella fame più dolorosa. Allora Hâtim prese (nostro
Àglio) Adi e io (la nostra Àgliola) Saffana, e procurammo di distrarli
Ànché si addormentarono. Poi incominciò a chiacchierare con me per
distrarmi e per addormentare anche me. Ebbi pietà di lui, vedendo i
suoi sforzi, e cessai di parlargli perché credesse che io dormivo e così
dormisse anche lui. “Dormi?”, egli mi domandò più volte. Io non rispondevo, ed egli tacque. Guardando dietro la tenda, vide che qualcuno
avanzava e alzò la testa. Era una donna, che gli disse: “O Abu Saffana, vengo da te da parte di alcuni bambini affamati. Conducimi i tuoi
bambini, rispose, e in nome di Dio li rifocillerò”. Allora, racconta sua
moglie, mi alzai rapidamente e gli domandai: “Con che cosa, Hâtim?
Ahimè, i tuoi stessi Àglioli affamati non si sono addormentati se non a
forza di parole!”. Egli andò verso il suo cavallo, lo scannò, poi accese
L’uomo
37
un fuoco e diede un coltello a questa donna, dicendole: “Fa’cuocere
questa carne, e mangia, e dà da mangiare ai tuoi Àgli”. Poi rivolgendosi
a me: “Risveglia i tuo iÀgli”. Li risvegliai, ma egli aggiunse: “Per Dio,
sarebbe una vergogna che voi mangiaste mentre gli altri membri del
clan, che si trovano nelle stesse condizioni vostre, non hanno nulla”.
Egli andò allora di tenda in tenda, annunciando alle persone del clan:
“Recatevi presso il fuoco”. Essi si radunarono e mangiarono, mentre
egli si coprì delle sue vestimenta e si sedette in disparte e ben presto
non restò per terra il più piccolo pezzo del cavallo.
Al-Maidani, Madjma’al-Amthal (inizio XII sec.), Persia.
45
Anche se dovessi perderti, salva il tuo compagno.
Proverbio russo.
46
Uno stupido
Pagnka s’ingaggiò come pastore presso alcuni Tartari della steppa: egli
conduceva al pascolo le loro mandrie di cavalli.
Errò così durante parecchi anni in qualche località al di là di Penza, ai
conÀni del deserto di Rynn-Peski, ove regnava da padrone un uomo molto
ricco, Khan-Djangar. Quando veniva a vendere i suoi cavalli a Sura, questo
Khan-Djangar si comportava modestamente, ma quando si trovava nelle
sue steppe, faceva assolutamente tutto ciò che voleva, mandando gli uni al
supplizio, ricompensando gli altri secondo quanto gli saltava per la testa.
Era impossibile controllare i suoi modi di fare in questo paese selvaggio
e lontano dai centri abitati. Tuttavia Khan-Djangar aveva dei nemici; uno
di questi, un certo Khabibula, attaccava continuamente le sue mandrie e
rubava i più bei cavalli. Le genti di Khan-Djangar non riuscivano a impadronirsi di lui. Un giorno tuttavia vi fu una grande battaglia fra i Tartari;
Khabibula, ferito, venne fatto prigioniero. Ora Khan-Djangar doveva andare a Penza e non aveva il tempo di giudicare Khabibula e di condannarlo
a qualche spaventoso supplizio perché servisse di esempio agli altri ladri
di cavalli.
Avendo fretta di recarsi alla Àera di Penza e temendo anche di farsi vedere con Khabibula in una regione ove le autorità russe si sarebbero immischiate dei suoi affari, Khan-Djangar decise di lasciare Khabibula ferito
e incatenato presso una magra sorgente, afÀdandolo alla guardia Pagnka.
Diede a costui della farina, un otre e gli disse in tono severo:
“Custodisci quest’uomo come la tua anima! Hai capito?”.
Pagnka rispose:
“Non è difÀcile. Capisco e farò esattamente come tu mi hai detto”.
38
Il diritto di essere un uomo
Khan-Djangar e il suo seguito partirono al galoppo. Allora Pagnka disse
a Khabibula:
“Ecco dove ti hanno condotto i tuoi furti! Sei forte e coraggioso, ma
hai impiegato la tua forza a fare del male e non del bene. Faresti meglio a
correggerti”.
E Khabibula rispose: “Se non mi sono corretto Àn qui, oggi è troppo
tardi, non ne ho il tempo.
– Non ne hai il tempo? Perché? La cosa principale è di voler sinceramente correggersi, il resto verrà da sé [...]. Hai in te un’anima come tutti
gli uomini; abbandona il male e Dio ti aiuterà subito a fare il bene, e allora
tutto andrà benissimo”.
Khabibula lo ascolta e sospira: “No, disse, non è il momento di pensare
a questo.
– Perché non è il momento?
– Perché sono incatenato e aspetto la morte.
– E io ti lascerò partire”. Khabibula non credette alle sue orecchie, ma
Pagnka gli sorrise dolcemente e gli disse:
“Non scherzo, ti dico la verità. Khan-Djangar mi ha raccomandato di
custodirti “come l’anima mia”; ora sai come si deve custodire la propria
anima? Non bisogna averne pietà, fratello! Bisogna che essa soffra per
altri. È appunto di questo che io ho bisogno, perché non posso sopportare
che si tormentino gli altri. Ti toglierò le tue catene e ti siederò sul cavallo.
Vattene, salvati ove vuoi; ma se ricominci a fare il male, non avrai mentito
a me, ma a Dio”.
Avendo parlato così, Pagnka spezzò le catene di Khabibula, lo fece salire in sella e gli disse: “Va in pace dove vuoi”. Egli stesso rimase lì ad
attendere Khan-Djangar. Attese a lungo. Quando l’altro arrivò con i suoi
Tartari la sorgente si era prosciugata e non vi era quasi più acqua nell’otre...
Khan-Djangar guardò a destra e a sinistra e domandò a Pagnka: “Dove è
dunque Khabibula?”. Pagnka rispose: “L’ho lasciato partire”. “Come mai?
Ma cosa mi dici dunque?” “Ti dico che ho agito secondo il tuo ordine e secondo la mia volontà. Tu mi hai ordinato di custodirlo come la mia anima;
ora amo a tal punto la mia anima che voglio soffra per altri... Tu pretendevi
far perire Khabibula nei supplizi, ma io non sopporto che si tormentino gli
altri... Prendi dunque me e tormenta me al suo posto, afÀnché la mia anima
sia felice e libera da ogni terrore, poiché non ti temo affatto, né te né altri”.
Khan-Djangar sgranò gli occhi, si grattò la testa, poi disse a coloro che
gli stavano d’attorno: “Avvicinatevi tutti e vi dirò ciò che penso”. I Tartari
circondarono Khan-Djangar ed egli disse loro a bassa voce: “Penso che non
si possa far morire Pagnka, poiché mi sembra che un angelo abiti in lui”. -
L’uomo
39
Sì, risposero a bassa voce i Tartari, non possiamo fargli del male: da molto
tempo egli è con noi, ma noi non lo comprendevamo: ora, tutto in un istante,
egli è diventato chiaro per noi. Può darsi benissimo ch’egli sia un giusto”.
Nikolaj Leskov (1831-1895), Lady Macbeth del distretto di Mcensk, tradotto dal russo.
47
Il lebbroso e la donna avara
Il lebbroso uscì un giorno dalla foresta con i suoi cani; ritornava dalla
caccia. Il calore lo sÀniva. Egli disse fra sé: “Andrò nel campo delle arachidi ove lavorano le donne; se esse non acconsentono a darmi delle arachidi,
potrò chiedere loro almeno dell’acqua: questa spero me la daranno”.
Varcò quindi il conÀne del bosco e arrivò al primo campo; domandò
a una donna: “Donna, dammi dell’acqua, perché io possa placare la mia
sete!”.
La donna rispose: “Eh!... Tu, un lebbroso... darti della mia acqua? No,
no, no!... dell’acqua? non ne ho. Cosa! io darti dell’acqua! Come! tu berresti nella mia zucca! Devi solo bere nelle tue mani!”.
“Non mi dai dell’acqua, buona mamma, riprese l’altro, versane allora
almeno un poco in una foglia!”.
La donna non si commuove: “Non ho acqua da darti!”.
Una donna che lavorava all’altra estremità del campo e aveva udito il
colloquio, chiamò il lebbroso e gli disse: “Vieni a bere dalla mia zucca!”.
Ma egli rispose: “No, non voglio far questo; versami dell’acqua nel cavo
della mia mano: berrò così”.
La donna insistette: “Bevi alla zucca, brav’uomo!”. Quando ebbe bevuto, ella aggiunse: “I tuoi cani hanno sete, fa bere anche loro!”. Quando
l’uomo si sentì dissetato, sospirò: “Basta, o donna, ti ringrazio”, e batté le
mani per salutarla. Essa gli diede ancora dell’acqua e un cesto di arachidi.
L’uomo allora tirò fuori un pezzo di selvaggina e gliela presentò.
Ma prendendo la selvaggina, ella fu presa da spavento. Il lebbroso allora
disse: “Non temere, o donna, va a mangiare questa carne nel villaggio; la
lebbra non potrà infettarti... Quanto a quella donna che mi ha riÀutato l’acqua, dimmi il nome del suo clan”.
La donna gli rispose: “Il suo nome: Ba Ki nti ndumbu nkasa mayala”.
Allora, grattandosi la testa, il lebbroso riprese a dire: “Ebbene, la gente
di questo clan abbia dei Àgli, e questi si moltiplichino, ma, poiché mi hanno
riÀutato un po’d’acqua, qualunque selvaggina screziata, antilope dal pelo
striato, avranno occasione di mangiare darà loro la lebbra. Si guardino i
Àanchi, la lebbra li avrà colpiti: essi, i loro Àgli e i nipoti dei loro nipoti.
Così avvenga, ho detto!”.
40
Il diritto di essere un uomo
Dopo aver detto queste parole partì. Nel villaggio di queste donne, il
tempo per dormire seguì quello per mangiare. Gli uomini uccisero un’antilope dal pelo striato; la spelarono e se la divisero. Un pezzo fu dato anche
alla donna dal cuore duro. Essa lo fece arrostire, lo mangiò e quindi se ne
andò a letto.
Al mattino, risvegliandosi, scorse che tutto il suo corpo era ricoperto con
le pustole della lebbra, che l’aveva ricoperta dalla testa ai piedi. Suo marito
le domandò: “Ebbene, che hai tu dunque?”. “Queste pustole, rispose essa,
non so cosa sono. Mi sono venute questa notte”.
Il marito soggiunse: “Non ne capisco nulla di questa storia. Ieri mia
moglie ritornò dai campi, entrò in casa ed era assolutamente sana. Questa
notte abbiamo dormito in casa nostra ed ecco che ora essa ha il corpo tutto
coperto di pustole! Voglio andare a consultare lo stregone per capire il signiÀcato di quest’affare”.
Mentre parlava così, una donna, che si trovava in un’altra capanna, gridò: “Vieni, te lo spiegherò io!”.
Il marito andò da lei. La donna gli disse: “Tu, brav’uomo, dici: vado a
consultare lo stregone, ma questa storia è molto chiara”. Il marito rispose:
“Ebbene, o donna, racconta! sei andata nei campi con lei, che cosa hai
dunque visto?”.
La donna parlò in questi termini:
“Sì, l’altro ieri, eravamo andati nei campi di arachidi. Giunti presso l’acqua, avevamo anzitutto riempite le nostre zucche: io la mia, lei la sua, e i
bambini le loro. Fatto ciò, ci siamo recati nei campi di arachidi e abbiamo
incominciato la raccolta. Mentre eravamo intenti a compiere questo lavoro – era mezzogiorno – abbiamo visto arrivare un uomo con il fucile e il
carniere, accompagnato dai suoi cani. Dapprima si fermò all’estremità del
campo della mia compagna e le domandò da bere: “Oh, brava donna!, le
disse, vieni qui, dammi un po’di acqua, brava mamma, perché io beva!”.
Ed ecco che la mia compagna le rispose: “Eh! A te con il tuo brutto corpo!
Sei completamente coperto di lebbra! E io dovrei darti la mia acqua! Non
ho affatto acqua da darti”. Allora l’uomo cominciò a supplicarla: “Ebbene, metti un po’d’acqua in questa foglia!”. La mia compagna allora gridò:
“Vattene di qui! È stata forse la gente del mio clan, i Ba Ki nti ndumbu
nkasa Mayala che ti hanno ordinato di venire qui?”.
Udendo ciò ho chiamato il lebbroso e gli ho detto: “Vieni qui, mio bravo
vecchietto; vieni a bere alla mia zucca, essa è lì!”. Egli arrivò e presentò il
cavo delle sue mani: “Versa qui dentro, perché io beva!”. Ma io non volevo: “Bevi alla mia zucca, mio bravo vecchietto! Forse che la lebbra si attaccherebbe per questo alla mia zucca? Ma no, vero?”. Dopo che egli ebbe
L’uomo
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bevuto, ho dato da bere anche ai suoi cani. Poi ho riempito completamente
un cesto di arachidi e gliel’ho dato. Allora egli ha avvicinato la mano al suo
carniere e ne ha tratto un grosso pezzo di carne che mi ha offerto dicendomi: “Prendilo e mangia questa carne; non aver paura, la lebbra non potrà
infettarti... Ma riguardo a quella donna che mi ha riÀutato l’acqua da bere,
dimmi il nome del suo clan! Dimmelo! Qual è?”. “Il nome del suo clan?,
gli ho risposto, sono i Ba Ki nti ndumbu nkasa Ma yala”. Udendo queste
parole, egli si è grattato la testa e l’ha stregata: “Ebbene, poiché la gente del
clan di Ba Ki nti ndumbu nkasa Mayala mi ha riÀutato dell’acqua, abbiano
Àgli, si moltiplichino; ogni selvaggina screziata, antilope dal pelo striato,
– se ne mangeranno – darà loro la lebbra, sia che si tratti di antilope nkai
o dell’antilope nsombi. Se ne mangeranno, si guardino i Àanchi, la lebbra
li avrà colpiti: essi, i loro Àgli e i nipoti dei loro nipoti. Avvenga ciò, ho
detto!”. Detto questo se ne partì. In seguito abbiamo raccolto le arachidi,
le abbiamo messe nei nostri cesti e siamo ritornati al villaggio. Era sul far
della sera. Giunto al villaggio, ho voluto raccontarti questa storia, ma l’avevo dimenticata. Ieri avete ucciso quest’antilope, e l’avete divisa con gli
altri; lei ne ha mangiato?”.
Il marito rispose: “Certo che ne ha mangiato! Dopo che ne ebbe mangiato, siamo andati a dormire. Al mattino, svegliandoci, ecco che d’improvviso vedo che ha tutto il corpo coperto delle pustole della lebbra”.
La donna replicò: “Poiché questa maledizione è stata lanciata dal lebbroso, vuoi andare a sprecare inutilmente il tuo denaro dallo stregone?
Questa storia è così chiara... che cosa vuoi di più?”.
Il marito rimase lì senza parole.
Quanto alla donna che aveva meritato questo castigo, ogni giorno, essa
si rivedeva coperta dalla lebbra! questa le infestava tutto il corpo. Avvenne
così che tutti coloro che nascevano da quel clan contraevano la lebbra ogni
volta che mangiavano della selvaggina screziata: sorci, antilopi dal pelo
striato.
È per questo che la spaventosa lebbra si accanisce contro quel clan: perché una volta hanno riÀutato dell’acqua al lebbroso.
Tradizione orale bakongo, Congo.
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Se allevi un serpente, è su di te che imparerà a mordere.
Proverbio sudanese, Africa.
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Gli uomini sono due mani sporche. L’una si lava solo con l’altra.
Proverbio peulh, Africa.
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Il diritto di essere un uomo
Quando la barba del tuo vicino prende fuoco, bagna la tua. (I mezzi con i
quali vuoi aumentare la disgrazia del tuo prossimo rischiano di inÁiggerti
la stessa disgrazia).
Proverbio sonraï, Africa.
51
Se un uomo ti offre del veleno, tu offrigli del burro.
Proverbio somalo.
52
Marito e moglie = La legge e il governo.
Proverbio amarico, Etiopia.
53
Se si parla male del tuo amico,
ascolta ciò che vien detto come se si trattasse di te.
Proverbio amarico, Etiopia.
54
L’uomo ripone la sua speranza nell’uomo.
Proverbio rumeno.
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Giusti rapporti umani
Epistola ai fedeli di Praga (10 giugno 1415)
Prego i padroni di trattare i loro dipendenti con benevolenza e di amministrarli con equità. Prego la gente della città di trattare i loro affari con
onestà. Prego gli artigiani di servire i loro padroni e le loro padrone con
fedeltà. Prego i padroni che già conducono una vita giusta, di educare i loro
apprendisti con rettitudine, insegnando loro prima di tutto ad amare Dio,
a istruirsi per la Sua gloria, per il bene della comunità e per la loro propria
salvezza; a non accumulare troppi beni terrestri, a non ricercare gli onori
del mondo. Prego gli studenti e gli apprendisti di ascoltare i loro maestri
e di seguirli nel bene e di accogliere con diligenza gli insegnamenti degli
altri per la gloria di Dio e per la propria salvezza.
Vi prego anche di amarvi gli uni gli altri, di non lasciar opprimere i buoni e di ricercare la giustizia per tutti.
Jan Hus (1369-1415).
56
Rivoluzione francese
Se gli uomini volessero vedere in sé solo dei mezzi reciproci di felicità,
potrebbero occupare in pace la terra, loro comune abitatrice, e avanzerebbero insieme con sicurezza verso il loro Àne comune.
Se essi si considerano ostacoli gli uni agli altri, ben presto non resterà loro che la scelta tra fuggire o combattere continuamente. La specie
L’uomo
43
umana viene pertanto considerata solo più come un grande errore della
natura.
Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789. 57
Se essi si considerano ostacoli gli uni agli altri, ben presto non
resterà loro che la scelta tra fuggire o combattere continuamente. La
specie umana viene pertanto considerata solo più come un grande errore della natura.
Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789. 58
Valore di ogni vita.
Rispetto e protezione della persona umana
Sospensione del giudizio morale
Ecco quello che io ti chiedo, o Signore, rispondimi bene:
Chi, di coloro ai quali mi rivolgo è giusto e chi è cattivo?
Quale dei due: sono io che sono cattivo,
Oppure il cattivo è colui che, malvagio, vuole allontanarmi dalla tua salvezza?
Come non pensare che il cattivo sia lui?
Ecco quel che io domando, o Signore, rispondimi bene:
(Come) ci libereremo dal male
Addossandolo a coloro che, pieni di indisciplina,
Non cercano di seguire la Giustizia
E non si preoccupano di consultare il Buon Consiglio?
Avesta, Gâthâ di Zarathustra (anteriore al IV sec. a.C.), Persia.
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Protezione
Il saggio domanda allo Spirito di saggezza: “Chi è che merita maggiormente riguardi e protezione?”.
Lo Spirito di saggezza gli risponde: “Un giovane servitore, una sposa,
una bestia da soma e un fuoco sono quelli che meritano maggiori riguardi
e protezione”.
Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec.), periodo sassanide, Persia. 60
Presenza nel mondo
Il trentaquattresimo quesito era questo: Il mondo materiale si trasformerà senza l’uomo, in modo che non sussisterà più nulla di corporeo
dopo di che avrà luogo la resurrezione, oppure come si svolgeranno le
cose?
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Il diritto di essere un uomo
Ecco la risposta: Dalla creazione Àno alla rinnovazione puriÀcatrice,
l’uomo non è mai stato e non sarà mai assente dal mondo. Il compimento
di questo cattivo desiderio sarà riÀutato allo spirito del male.
Dâdistân î Dînîg (IX sec.), trattato teologico, Persia.
61
Umanità virtuale
Non si può parlare dei diritti dell’uomo senza parlare dei doveri dell’uomo; gli uni si riferiscono agli altri e, per i due insieme, cerchiamo una
parola.
Succede lo stesso per la dignità umana e per l’amore degli uomini. Il genere umano, quale è oggi, e sarà senza dubbio per molto tempo ancora, non
possiede per la sua maggior parte alcuna dignità e merita più compassione
che venerazione, ma deve essere innalzato all’altezza della vera natura della specie, di ciò che costituisce il suo valore e la sua dignità [...].
È l’umanità che caratterizza la nostra specie: essa non è in noi che una
virtualità nativa e deve essere adeguatamente coltivata. Non la portiamo
bell’e fatta venendo al mondo; deve diventare lo scopo dei nostri sforzi
terrestri, la somma delle nostre attività, il nostro valore [...]. Anche ciò che
vi è di divino nella specie risulta dall’aver coltivato l’umanità in noi [...].
Questa cultura (dell’umano) è un’opera da perseguire senza Àne e senza
sosta, altrimenti affonderemo, grandi e piccoli, nella bestialità e nella brutalità primitive.
Johann Gottfried von Herder, Del progresso dell’umanità (lettera),
1796, Germania.
62
Voglio l’uomo completo, spontaneo, individuale, perché si sottometta
in qualità d’uomo all’interesse generale. Lo voglio padrone di se stesso
afÀnché sia meglio il servo di tutti.
Alexandre Vinet (1797-1847), Svizzera.
63
Prezzo della vita
Colui che ha ucciso un uomo che non ha commesso né crimine, né peccato grave di fronte alla terra, questi ha ucciso l’umanità intera. (Colui) che
ha salvato la vita di un uomo, questi ha salvato la vita dell’intera umanità.
Corano, Al-Maïda, 32.
64
Se due gruppi di fedeli si fanno la guerra, procurate di condurli alla
riconciliazione. Ma se avete visto quale dei due ha attaccato l’altro, allora
combattete Àno a che esso si pieghi alla legge di Dio.
Corano, Al-Hojorat, 9.
65
L’uomo
45
Se due musulmani si affrontano col ferro in mano, sia quello che avrà
ucciso, che quello che sarà stato ucciso, andranno tutti e due all’inferno
(letteralmente: nel fuoco). “O Inviato di Dio, fu chiesto al Profeta, la vittima avrà dunque la medesima sorte del suo assassino?”. Ed egli rispose:
“Non aveva essa deciso di uccidere il suo avversario?”
Hadith (Detti del Profeta).
66
Colui che si getta dall’alto di un monte e mette così Àne ai suoi giorni verrà precipitato nelle Àamme dell’inferno e vi dimorerà in eterno.
Colui che inghiotte il veleno e mette così Àne ai suoi giorni nel fuoco
dell’inferno avrà costantemente nella sua mano un veleno che dovrà bere
in eterno. Colui che a mezzo del ferro avrà messo Àne ai suoi giorni nel
fuoco dell’inferno affonderà in eterno con le proprie mani questo ferro
nel suo ventre.
Hadith (Detti del Profeta).
67
Tu, o Varuna, tu sei il re di tutti gli dei, o Asura, e di tutti i mortali. Accordaci cento autunni perché possiamo vedere il mondo nella sua diversità.
Che ci sia dato di raggiungere l’età avanzata, Àssata da molto tempo!
Rigveda, II (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
68
Prosperità per nostra madre e per nostro padre! Prosperità per il bestiame, per tutto quanto si muove e per tutte le genti (della casa)! Che tutto
sia ben disposto e proÀttevole per noi! Che ci sia dato di vedere per molto
tempo il sole!
Atharvaveda, I (2000-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
69
Noi preghiamo per la vita e preghiamo per la grazia;
Che la cecità ci sia risparmiata durante il giorno,
Che l’impotenza ci sia risparmiata durante la notte.
Ci sia dato di conoscere la fortuna di avere dei Àgli,
E possa ciò che piantiamo portare frutti.
Che la pace regni nel mondo,
E che la prosperità
Regni nel nostro paese.
Tradizione akan, Ghana.
70
Solo l’uomo conta
Solo l’uomo conta; mi rivolgo all’oro ed esso non risponde; mi rivolgo
alla stoffa ed essa non risponde; solo l’uomo conta.
46
Il diritto di essere un uomo
Egli non mira ad altro che a se stesso
L’uomo non è una noce di palma: egli non ha alcuna ragione di essere
incentrato su se stesso.
Limitazione
L’uomo è chiamato a interpretare solo un ruolo parziale nel dramma
della vita, e non tutti i ruoli.
Numero
Persino i morti cercano incessantemente di accrescere il loro numero. E
perché i vivi non dovrebbero fare di più?
Coscienza
Puoi non vederti crescere, ma sai certamente quando commetti il
peccato.
Difesa del debole
Statura o forza non devono servire per opprimere.
Proverbi akan, Ghana.
71
Generosità
Colui che ama i bambini del suo simile amerà certamente i propri Àgli.
La questione di sapere se la tribù deve trattare un’altra tribù con tolleranza può essere sollevata durante l’assemblea. Se i pareri sembrano dividersi, i partigiani della tolleranza possono citare il proverbio per sostenere
la causa dell’indulgenza.
Taluno potrà sollevare delle vivaci obiezioni se dei membri di un’altra
tribù vengono a cacciare nelle foreste che appartengono alla loro tribù. Se
qualcuno giudica che l’obiezione manca di generosità, citerà il proverbio.
Proverbio jabo, Liberia.
72
Parentela delle creature
Tutto questo sarebbe da dirsi, se vi è un certo rispetto che ci unisce e un
generale dovere di umanità, che ci lega non solo alle bestie, che hanno vita
e sentimento, ma anche agli alberi e alle erbe. Noi dobbiamo la giustizia
agli uomini, la grazia e la benignità alle altre creature che possono esserne
capaci. Esiste qualche relazione tra loro e noi, e qualche mutua obbligazione.
Michel de Montaigne, Essais.
73
L’uomo
47
Compassione
L’uomo di questo mondo, anche il più ambizioso, se è nato umano e
compassionevole, non vede senza dolore il male che gli dei gli risparmiano; anche se fosse poco soddisfatto della sua fortuna, non crede ancora
tuttavia di meritarla, quando vede delle miserie più commoventi della sua;
quasi fosse una colpa che vi siano altri uomini meno felici di lui, la sua
generosità lo accusa in segreto di tutte le calamità del genere umano, e il
sentimento dei suoi propri mali non fa che aumentare la pietà di cui i mali
altrui lo compenetrano.
Luc de Vauvenargues, RiÁessioni e massime, 1746. Francia.
74
Valore di tutto ciò che vive
Il malfattore distrugge tutto ciò che è giovane e Ànge di ignorare l’avvenire.
Tutti questi galli che cantano, solo ieri erano ancora delle uova.
Colei che ha messo al mondo un mostro è obbligata ad allattarlo.
Non è il caso di trattare questo come un bambino e quello come uno
scarto.
Lo storpio vale meglio di un morto.
InnafÀa tutte le piante, poiché non sai quale porterà dei frutti prima delle
altre.
AfÁitti
Bisogna consolare gli afÁitti prima di condividere le loro gioie.
Proverbi del Burundi.
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Ospite
Da noi in Russia, colui che viene a visitarci è il primo a essere servito.
Proverbio russo.
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Contro il disprezzo
Grossa-Mazza, uomo sincero
C’era un pover’uomo che sfortunatamente aveva avuto un Àglio deforme. Egli lo chiamò “Grossa-Mazza”, a causa delle sue gambe e delle sue
braccia incollate al ventre.
Quando questo Àglio crebbe, tutti ne ebbero orrore. Allora il giovane si
ritirò nella foresta e vi condusse una vita di solitario. Di che cosa viveva?
Solo di caccia. Era tuttavia di un’intelligenza superiore. Un giorno che
era andato a caccia, venne a trovarsi faccia a faccia con un bufalo che
minacciava di ucciderlo. Riuscì a deviarlo da questo disegno e gli propose
48
Il diritto di essere un uomo
di vivere con lui in pace: “Non uccidermi, gli disse, e viviamo piuttosto
insieme nella più grande amicizia. Portami un’antilope e ti salverò quando
sarai nella miseria”. Il bufalo accettò la proposta.
Poco tempo dopo nel paese venne a mancare l’acqua. Tutti i torrenti si
prosciugarono. Cercando dell’acqua nella foresta, la gente incontrò l’uomo deforme. “Uccidiamolo, dissero, è lui che impedisce alla pioggia di
cadere, è un mostro, è uno iettatore”. Egli li supplicò di lasciargli la vita
e promise loro di portare dell’acqua dal lago Tanganyika. Grossa-Mazza
manteneva sempre la parola. Gli lasciarono la vita per vedere se avrebbe
adempiuto la promessa ed egli si avviò nella direzione del lago Tanganyika. Non lungi di lì si trovò in faccia al suo amico bufalo che cercava da
bere. “Ricordati della tua promessa, disse il bufalo. Adesso io ho bisogno
di acqua”. “Lasciami la vita per una seconda volta, rispose Grossa-Mazza, e io ti porterò dell’acqua dal lago Tanganyika”. “Tu menti, replicò il
bufalo, farei meglio a divorarti e mi avresti almeno reso servizio prima
che io muoia di sete. Non ti credo capace di far arrivare dell’acqua Àn
qui, poiché incontrerai delle bestie feroci che ti divoreranno”. GrossaMazza giurò di mantenere la sua promessa se avesse avuto la vita salva.
Il bufalo lo lasciò partire. Qualche istante dopo, egli incontrò un leone:
“Dove vai dunque?, gli disse il re degli animali. Io sono il re di questa
foresta; ora ti divorerò, poiché sei tu che spontaneamente ti presenti a
me”. “Sire, disse Grossa-Mazza, lasciami partire per il lago Tanganyika e
al mio ritorno ti darò una grossa bestia da mangiare”. “Tu m’imbrogli, replicò il leone, come potresti tu acchiappare una grossa bestia? Non potrai
mai strappare l’acqua del Tanganyika al coccodrillo che ne è il padrone
incontestato. Egli ti divorerà. Ti mangerò quindi io prima di lui”. GrossaMazza dichiarò solennemente che avrebbe portato e l’acqua e la grossa
bestia. Il leone lo lasciò partire.
Il nostro avventuriero continuò la sua strada e, mentre camminava, intrecciava una grossa corda e procurava di non incontrare altre bestie feroci.
Raggiunse così il lago Tanganyika.
Appena cominciò a prendere dell’acqua, un coccodrillo saltò su di lui:
“Chi ti ha autorizzato, gli disse, a prendere quest’acqua di cui io sono il
padrone incontestato? Ora ti divorerò; hai fatto bene a presentarti a me,
avevo giusto fame”. Grossa-Mazza lo supplicò di risparmiargli la vita e di
lasciarlo attingere l’acqua del lago. In contraccambio gli avrebbe dato una
bestia grossa e grassa.
Fuori dell’acqua, Grossa-Mazza si rivolse al coccodrillo: “Ora sappi che
io sono Grossa-Mazza, uomo che dice la verità e che mantiene le sue promesse. Prendi adesso questa corda. Se senti che la tiro, ciò vorrà dire che
L’uomo
49
avrò già legato con la corda la bestia che ti ho promesso. Allora tu la tirerai
con tutte le tue forze Àno a che la bestia arrivi vicino a te”. Il coccodrillo lo
ringraziò vivamente e lo lasciò partire.
Il leone lo aspettava al luogo indicato. Grossa-Mazza si presentò e gli
disse: “Sono riuscito ad avere l’acqua”. “Me ne rallegro con te, rispose il
leone; e la mia bestia dov’è?”. “Non preoccuparti, rispose Grossa-Mazza:
prendi questa corda e tirala quanto più potrai, perché vi ho lasciato l’animale legato. Tira con forza, Àno a che l’animale arrivi presso di te”.
Il leone incominciò a tirare e si accorse che aveva a che fare con una
bestia molto grossa. Impiegò tutte le sue forze, sognando fra sé: “In verità,
Grossa-Mazza non mi ha imbrogliato”. E più tirava, più si sentiva tirato
a sua volta: era il coccodrillo (che dall’altro Capo) tirava la sua preda. Si
stabilì un duro combattimento tra i due animali. Non ci fu né vincitore né
vinto, perché i due animali si ammazzarono a vicenda.
Tuttavia Grossa-Mazza portava dell’acqua, prima al bufalo e poi alla
gente. Saziata la sete, la pioggia cominciò a cadere su tutto il paese. I torrenti rigurgitarono d’acqua, la gente e le bestie poterono avere l’acqua in
abbondanza.
Alla vista di questo beneÀcio, la gente rimpianse di aver disprezzato
Grossa-Mazza, di averlo cacciato nella foresta e, ciò che era stato peggio,
di aver voluto ucciderlo. lo accettarono nella loro società, gli costruirono
un bel palazzo, lo proclamarono re della loro nazione e gli diedero una
regina. Così Grossa-Mazza, uomo sincero e fedele alla sua promessa, poté
guadagnarsi la Àducia della gente, per quanto fosse un mostro.
Favola del Burundi.
77
Diritto alla vita
Una brocca diventata regina.
Vi era un uomo che aveva avuto dodici Àgli. Dopo solo qualche istante di vita, erano morti tutti. InÀne, venne al mondo un tredicesimo Àglio.
Invece di un bambino normale per consolare gli infelici genitori fu una
delusione straziante e quanto mai dolorosa. Pensate! Una brocca viva venuta al mondo invece di un meraviglioso bambino! Che orrore! I genitori
non sapevano più che cosa fare. Questa brocca non poteva essere che un
porta sfortuna. I genitori decisero di allontanarla per sfuggire così a questa
disgrazia.
L’intera famiglia, padre, madre, nonno, nonna, domestici, abbandonano
la casa in tutta fretta lasciandovi quel mostro così indesiderabile e nefasto.
Ma erano appena usciti che la brocca li seguì rotolando e gridando loro:
“Padre della brocca, aspetta la tua brocca”. A queste grida, essi si misero a
50
Il diritto di essere un uomo
correre in gran fretta e riuscirono ad allontanarsi da lei. Disgraziatamente
una pioggia torrenziale si abbatté sui fuggitivi. La povera brocca venne
travolta dalla corrente e scagliata nella vicina foresta, mentre la famiglia si
riparava in una casa non lontana. La pioggia cessò. La famiglia continuò
la sua strada e arrivò in un altro paese. Credendosi liberata per sempre da
quel mostro terriÀcante, domandò asilo al principe della regione. Questi le
offrì un eccellente terreno perché vi si stabilissero.
Dopo molti anni, il principe organizzò una partita di caccia. Si diresse
verso la foresta, ove la misteriosa brocca era stata trasportata dalle acque.
Alla ricerca di una selvaggina, scoprì d’un tratto la brocca abbandonata.
Trovandola bellissima, ordinò di prenderla per ornare il suo palazzo. La
brocca venne collocata sulla scansia degli utensili.
Accadde allora una sorpresa che nessuno si aspettava. Ogni volta che il
principe si alzava e usciva per sbrigare i suoi affari, una graziosa fanciulla
usciva dalla brocca, si metteva a spazzare e a pulire il palazzo, lavava gli utensili e curava decorazioni d’erba della scansia. Quando tutto era in ordine, essa
ritornava a rinchiudersi nella sua brocca. Quando le serve venivano per compiere il proprio lavoro, lo trovavano già terminato. Siccome ciò si ripeteva
tutti i giorni, esse raccontarono la notizia al principe, che la trovò misteriosa.
Un giorno il principe si nascose dietro al canneto e volle vedere che cosa
era all’origine di quel mistero. Vide allora una fanciulla uscire dalla brocca,
mettersi a scopare e a pulire il palazzo, lavare gli utensili e sistemare ogni
cosa al suo posto. ApproÀttando di un momento in cui essa si curvava per
raccogliere l’immondizia, l’afferrò e le disse. “Esci dal regno dei morti e vieni in quello dei vivi”. Da quel momento essa diventò la sua sposa. Un giorno
ebbe l’occasione di vedere alcuni membri della sua famiglia venire a corte
e pregò il principe di far venire questa gente nel palazzo. La principessa si
nascose di nuovo nella brocca e gridò: “Padre e madre della brocca, nonno e
nonna della brocca, aspettate la vostra brocca...”. Poi essa uscì dalla brocca
e rivolse loro queste parole: “Non abbandonate mai il vostro rampollo, è un
essere umano, che deve essere trattato e curato come tutti gli altri”.
Spaventati da queste parole, i genitori si ricordarono che era la brocca
che essi avevano generato.
Favola del Burundi.
78
L’aiuto ai deboli
All’epoca di Urwa ibn al-Ward (poeta e cavaliere della “Diahiliyya”,
periodo islamico) quando sopraggiungeva un’annata di disgrazie, si abbandonavano a casa gli ammalati, i vecchi e i deboli. Ora ‘Urwa, in quei
frangenti, radunava la gente che non apparteneva alla sua famiglia e si
L’uomo
51
industriava a scavare dei canaletti attorno alle loro tende, a costruire per
loro dei recinti e a vestirle. Coloro che ne avevano la forza, gli ammalati in
via di guarigione, i deboli già convalescenti, li conduceva con sé nelle sue
spedizioni, e divideva con essi il bottino che era rimasto indietro. Quando
il periodo di carestia era terminato, la gente aveva del latte in abbondanza
e la cattiva annata era passata, riconduceva ognuno (dei suoi protetti) alla
propria famiglia, dandogli la sua parte del bottino, se un bottino era stato
preso. Accadde così più volte che uno di questi uomini, ritornando nella
sua famiglia, era diventato ricco. È per questo che ‘Urwa venne chiamato
“‘Urwa della povera gente”.
Abu al-Faraj Al-Isfahani, Kitâb al-Aghâni (Racconti sull’epoca preislamica), X sec.
79
La vera pietà
La vera pietà non consiste nel volgere i vostri visi a Oriente e a Occidente. Veramente pio è colui che crede in Dio e nel Giorno del Giudizio,
agli Angeli, alla Scrittura e ai Profeti; colui che, per amor di Dio, dà ciò che
possiede al suo prossimo e agli orfani, ai poveri e ai viaggiatori, ai mendicanti e per la liberazione degli schiavi; colui che recita la preghiera e fa
l’elemosina; coloro che mantengono i loro impegni quando si impegnano
di fare qualcosa, che sono costanti nella disgrazia e al momento del pericolo: costoro sono quelli che hanno la fede e sono i pii.
Corano, Al-Baqara, 177.
80
E soprattutto non dimenticate i poveri, ma, Ànché siete in grado di farlo,
nutriteli e venite in aiuto all’orfano e giudicate personalmente la vedova;
non permettete ai potenti di far perire un uomo. Non mettete a morte né il
giusto né il colpevole di morte, non causate la perdita di un’anima.
Vladimir Monomaco (1053-1125), granduca di Kiev, Disposizioni per i
suoi Àgli.
81
Uguale dignità dei vecchi e dei giovani, dei ricchi e dei poveri
Al vecchio non è stata ritirata l’anima; al giovane non la si è messa sotto
sigillo.
Il giovane lavora con le sue mani, il vecchio con la testa.
Anche nell’Orda i vecchi sono rispettati. (cioè presso i Tartari-Mongoli:
ricordo del giogo mongolo).
Non offendete il pezzente, anch’egli ha un’anima.
Proverbi russi.
82
52
Il diritto di essere un uomo
Rispetto dovuto allo straniero
Ovunque andiate, ovunque soggiorniate, date da bere e da mangiare al
povero e al viaggiatore, e soprattutto onorate lo straniero di qualsiasi provenienza, sia che si tratti di un uomo semplice o di buona famiglia o ambasciatore.
Vladimir Monomaco (1053-1125), granduca di Kiev, Disposizioni per i
suoi Àgli.
83
L’esiliato
Un bel giorno la gente dice: “Uno straniero, solo, senza parenti prossimi,
è morto... Se ne è avuto notizia quando erano già trascorsi tre giorni dalla
sua morte...”. Poi lo si lava con acqua fredda. Questo è quanto accade a
ogni esiliato, come me.
La mia lingua parla, i miei occhi piangono... Il mio cuore brucia al pensiero degli uomini in esilio, senza vicini, senza parenti. La mia stella in
cielo è forse anch’essa sola, altrettanto abbandonata quanto lo sono io?
O mio Yunus, mio Emre, o tu, il disperato. Non hai rimedio al tuo male.
Va, erra attraverso il mondo, di città in città. Forse incontrerai un altro altrettanto disgraziato e solo quanto sei tu.
Yunus Emre (XIII sec.), poeta popolare, Turchia.
84
Un uccello trova rifugio in un cespuglio. Tu, non puoi neppure essere
come un cespuglio?
Proverbio turco, citato nel XV sec.
85
Quando nevica, il cammello di tre anni geme; chi piangerà quando morirà un povero (straniero, senza famiglia)?
Il povero (straniero, senza famiglia) ha il cuore lacerato, la parola senza
calore; l’orfanello ha il collo curvato, il viso pallido.
Si è detto: “Un povero (straniero, senza famiglia) è morto”. Lo si è saputo solo tre giorni dopo la sua morte.
La povertà non fa morire; ma neppure fa sorridere.
Proverbi turcomanni.
86
Creatore del mondo materiale, santo!
Qual è il quinto luogo ove la terra ha il maggior numero di crucci?
Ahura Mazda rispose:
“È là dove la donna e il fanciullo d’un fedele seguono il cammino della
cattività, il cammino polveroso e arido, emettendo una voce lamentevole”
Avesta, Vendidad (IX sec. a.C. - I sec. d.C.), Persia.
87
L’uomo
53
Che il fanciullo che crescerà non ti odi!
Che il vecchio che morrà non ti maledica!
(Non bisogna fare del male ad alcuno e soprattutto ai deboli).
Proverbio amarico, Etiopia.
88
La donna e il fanciullo
Sottomissione
O mio caro e benamato
dal berretto inÀocchettato,
prendi dunque me al tuo Àanco
nel percorrer tante terre.
E se di me ti stancherai
me in cintura muterai,
cinta fatta in Àlo d’oro
e di pietre tempestata.
Se la cinta pesa troppo
Cambiami in piuma per il tuo cappello.
Se perÀno della piuma ti stancherai,
fa di me un bianco cero
che si consumi accanto a te.
Da allora, quando pranzerai,
dolcemente ti rischiarerò
e i tuoi amici chiederanno
“Donde viene questa luce?”
“È la luce della mia candela,
è una bella del mio paese,
è il mio cero in pura cera,
la mia amata dell’altra estate”.
Canzone popolare rumena.
89
Rivolta
Tu, mio marito? Io, tua moglie?
Ma si tratta di un fardello che trasciniamo l’uno e l’altra;
Ognuno nella vita ha il suo debito da pagare;
Un tempo erano gli uomini a lagnarsi delle mogli,
Oggi sono le donne che ne hanno abbastanza degli uomini!
Proverbio del Vietnam.
90
Differenza tra l’uomo e la donna
Esiste una differenza tra l’uomo e la donna in più campi. Quando vedete
un uomo, lo riconoscete immediatamente. Nessuno ha bisogno di presen-
54
Il diritto di essere un uomo
tarvelo (di spiegarvelo). Il tratto essenziale, quello per cui l’uomo si differenzia principalmente dalla donna, è la parola, la conoscenza e molte altre
cose ancora.
Proverbio ewe, Togo.
91
Rispetto
La sposa è una compagna e non una serva.
Proverbio russo.
92
I luoghi ove le donne sono onorate sono abitati dagli dei. La donna è
degna di rispetto. Essa rappresenta la luce della casa.
Manusmriti, III. India, tradizione hindi, tradotto dal sanscrito.
93
Là dove le donne sono onorate, gli dei sono soddisfatti; là dove esse non
sono tenute in alcuna stima, nessun rito sacro porta frutti.
Manusmriti, III. India, tradotto dal sanscrito.
94
Contemplazione
Gli uomini che cosa valgono? Tre sapeck la decina?
Si chiudono in una gabbia come degli uccelli e si tengono nella mano,
Mentre una donna vale trecento lingotti:
La si colloca su di un tappeto Àorito e la si contempla!
Proverbio del Vietnam.
95
La canzone della mal-maritata
Ho disteso il materasso nella mia camera nunziale, che ha il sofÀtto decorato di rossi drappi.
Mi sono coricata la sera, ancora ragazza, e il mattino mi son risvegliata
vergine.
Mi hanno dato un ragazzo per marito, non sa né baciare né amare come
un marito.
Proprio me, la bella, a un monello han dato. E con questo hanno commesso un gran peccato.
………
Mi auguro che, quando sarò morta, scavino la mia tomba sul ciglio della
strada,
Perché i passanti dicano: “Povera bimba, che per sua disgrazia si è sposata”.
Auguro che, dopo di me almeno, si diano le Àglie a coloro ch’esse amano.
Proprio me, la bella...
Canzone popolare turca.
96
L’uomo
55
Destino della donna
Perché, mamma, senza curarti
di me, che son tua Àglia,
come un gattino mi hai buttata
nella famiglia di mio marito?
Canta, Àglia, col cuore in festa,
Sposalo, e la canzon s’arresta;
Non più canzoni; son vani i canti,
Tua sorte, Àglia, è il dolore.
Mia madre ha avuto il torto
Di maritarmi senza accordo;
Senz’amor nel focolare
Meglio andarmi ad annegare.
Mio marito mi colpiva,
Mio marito mi batteva,
Col piede il sen mi calpestava,
E io dico: “Non sento nulla”.
ÿastuški (poesia popolare russa).
97
Diritti della donna
Se una donna ha dell’avversione per suo marito e non vuole avere rapporti con lui, vi è “riÀuto del dovere coniugale”; essa dovrà versare a lui il
doppio del “prezzo della sposa” [...].
Se un marito abbandona sua moglie per andare a compiere un dovere
religioso oppure per farsi eremita, o per qualsiasi altra pia occupazione, sua
moglie deve attenderlo per otto anni. Se l’abbandona per andare a compiere degli studi e istruirsi, essa dovrà attenderlo per sei anni. Se l’abbandona
per guadagnare del denaro, facendo del commercio o navigando, essa dovrà aspettarlo per dieci anni. Se l’abbandona unicamente per trovare una
(nuova) sposa, essa dovrà attenderlo per tre anni. Ma se il marito non manda denaro a sua moglie, essa avrà il diritto di sposare un’altro uomo. Se un
marito abbandona sua moglie per viaggiare, per recarsi in un paese lontano,
essa dovrà aspettarlo per quattro anni; se non ritorna dopo quattro anni,
essa avrà il diritto di prendere un altro marito.
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
98
Il leone maschio è certo un leone; perché il leone femmina (la leonessa)
non dovrebbe esserlo?
È preferibile che io resti orfano di un padre con settecento pecore, che di
una madre col suo solo ditale da cucire.
Proverbio turco, citato in una raccolta del XV secolo.
99
56
Il diritto di essere un uomo
Disposizioni prese in favore delle donne
Per gli altri matrimoni, egli abolì le doti e decise che la moglie non
avrebbe portato con sé che tre vestiti, degli oggetti di poco valore e null’altro. Egli non voleva che si facesse del matrimonio un affare lucrativo e un
trafÀco, ma che fosse una unione di vita, conclusa tra l’uomo e la donna,
allo scopo di avere dei Àgli e di gustare la gioia di una tenerezza reciproca.
Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Solone.
100
Non far vedere che tua moglie (ti ha) offeso. Ripudiala decentemente e
lascia che porti con sé le cose sue.
Libro della sapienza, epoca tolemaica, Antico Egitto.
101
“Maledetto colui che viola il diritto del forestiero, dell’orfano e della
vedova”. E tutto il popolo dirà: “Così sia”.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 27.
102
Il matrimonio è un libero consenso reciproco
Can. 1081 – Il matrimonio nasce dal legittimo consenso manifestato,
che non si può supplire e che è atto della volontà per cui si dà e si ottiene
diritto perpetuo ed esclusivo al corpo del coniuge per gli atti propri della
generazione.
Diritto canonico.
103
Motivi di invalidità del matrimonio
Can. 1083 – L’errore della persona rende invalido il matrimonio. Se poi
è sulla qualità, sebbene causa del contratto, lo rende nullo se si rifonde
sulla persona o se questa è creduta libera mentre è schiava.
Diritto canonico.
104
Can. 1087 – È pure invalido il matrimonio contratto con violenza o timore grave inÁitto dall’esterno e ingiustamente, per cui non vi è altra scelta
che il matrimonio per liberarsene. Nessun altro timore lo invalida.
Diritto canonico.
105
Dignità delle donne
Uno dei promotori dell’“Era della riforma ungherese” si rivolge a loro:
Alle donne della nostra patria che hanno il cuore nobile:
Permettete, Àglie meritevoli della mia patria, che in segno di rispetto e
di affetto vi dedichi questo piccolo lavoro. Accordategli di buon grado la
vostra protezione, anche se sembra dedicato maggiormente agli uomini. Mi
L’uomo
57
propongo di parlare del credito (credito fondiario, innovazione rivoluzionaria in quel tempo) e di ciò che ne deriva: dell’onore, del carattere sacro
della parola data, della legittimità degli atti, argomenti che non possono
affatto essere più estranei che a noi, poiché tante cose belle e nobili, che
innalzano l’umanità, sono opera del vostro sesso. Siete voi che portate nelle vostre braccia i bambini e che ne farete dei buoni cittadini; è nel vostro
nobile sguardo che l’uomo attinge la fermezza del suo carattere e il suo
coraggio. E quando la sua vita, dedicata al servizio della patria, sta per
concludersi, siete ancora voi a cingergli la fronte con una corona. Voi siete
gli angeli custodi della virtù civica e del patriottismo, che, senza di voi,
credetelo, non saprebbero svilupparsi oppure non tarderebbero ad appassire, poiché siete voi che mettete ovunque il fascino e la vita. Siete voi che
innalzate la polvere Àno al cielo ovunque e il mortale Àno all’immortalità...
Siate salutate e vi sia reso grazie!...
Istvan Széchenyi (1791-1860), Ungheria.
106
Dopo aver consultato il tuo cuscino, domanda anche a tua moglie.
Proverbio russo.
107
Statuto delle donne in Ucraina
Là dunque, contro quanto normalmente accade in tutte le nazioni, si
vedono delle ragazze chiedere i giovani in matrimonio.
Guillaume de Beauplan, Descrizione dell’Ucraina (1660), Francia.
108
...e in Russia
E non arrivare a tal punto di follia da passare in rivista due o tre Àdanzate, poiché una ragazza è un essere umano come te e non già un cavallo.
Negli affari domestici, è opportuno che tu ti consulti soprattutto con tua
moglie, perché la donna è stata donata da Dio a suo marito per aiutarlo e
non per obbedirgli.
Ivan Posoškov, Testamento paterno, (inizio XVIII sec.), Russia. 109
Moglie e Àgli di condannati
Alle mogli e ai Àgli dei condannati ai lavori forzati a vita o alla deportazione e alla reclusione [...] si darà la libertà, se lo desiderano, di vivere nei
possedimenti della loro dote; se una di queste spose vuol rimaritarsi con
il permesso del Sinodo, glielo si concederà; e per il mantenimento suo e
dei Àgli le si darà la parte legale dei beni mobili e immobili di suo marito.
Decreto 25 maggio 1753. Russia.
110
58
Il diritto di essere un uomo
Si può giudicare del grado di civiltà di un popolo dalla situazione sociale
della donna.
Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888), Argentina.
111
Scoperta di sé
HELMER: Prima di tutto sei sposa e madre.
NORA: Non credo più a questo. Credo che innanzi tutto sono un essere
umano, con gli stessi tuoi diritti o che devo per lo meno tentare di diventarlo.
HELMER: Parli come un bambino. Non capisci nulla della società di cui
fai parte.
NORA: No, non ci capisco nulla. Ma voglio cercare di arrivarvi. Bisogna
che io decida chi dei due ha ragione: io o la società.
Henrik Ibsen, Casa di bambola (1879).
112
Dignità
Se fossi donna, mi ribellerei contro ogni pretesa che l’uomo si arrogasse
di fare della donna il suo giocattolo. Sono diventato mentalmente donna
per penetrare nel suo cuore. Non sono riuscito a insinuarmi nel cuore di
mia moglie che il giorno in cui mi sono deciso di trattarla diversamente da
quanto avevo fatto Àno ad allora: l’ho ristabilita in tutti i suoi diritti, rinunciando ai pretesi diritti che avevo su di lei in quanto marito.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
113
Compresi che la sposa non è la schiava del marito, ma la sua compagna
e collaboratrice, e un’associata che condivide ugualmente le sue gioie e le
sue pene, libera quanto il marito di scegliere la propria vita.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
114
Ci rallegriamo che un’entità spirituale si trovi in ogni cosa e che i principi maschili e femminili delle cose e degli esseri si congiungano in buon
accordo. Analogamente l’uomo e la donna sono, per loro natura, l’uno a
Àanco dell’altro, allo stesso livello, e non vi è fra loro alcuna distinzione
per considerarsi superiore, inferiore, padrone, schiavo. Si crede tuttavia che
la donna debba obbedire all’uomo come schiava: questo perché, assorbiti
nel confucianesimo, abbiamo perduto il cammino proprio del nostro paese.
Zankô Masuho (1655-1742), Il cammino di Dio, Giappone.
115
Il cammino da seguire per rendere felice la donna non è quello di darle il
piacere dello spettacolo, né di vestirla di broccati, di pizzi, di cinture ornate
L’uomo
59
di pietre preziose; né di circondarla di servitù per darle un aspetto nobile.
Il cammino da seguire per rendere felice la donna è che il marito stesso si
conduca bene per ricompensarla della sua fedeltà, che riduca le sue spese
personali e che risparmi alla famiglia la discordia e l’agitazione per evitare
a sua moglie le preoccupazioni domestiche. Se il marito ne è cosciente, la
moglie potrà considerare per sé una gioia il tollerare di essere povera e di
sopportare con lui di essere perseguitata per la giustizia. Il cammino da
seguire per rendere felice la moglie è di incoraggiare la sua anima generosa
e non già di lusingare la sua bassa e detestabile vanità.
Kanzô Uchimura (1861-1930), Propositi sull’indipendenza, Giappone.
116
I diritti delle donne
Non è possibile attirare le masse alla politica, senza farvi partecipare le donne [...]. L’operaia e la contadina sono non solo asservite dal
capitale, ma, in primo luogo, anche nelle più democratiche repubbliche
borghesi, esse non godono di diritti civili, poiché la legge non accorda
loro l’uguaglianza con gli uomini; in secondo luogo – questo è il più
importante – esse vivono costantemente “nella schiavitù domestica”, essendo schiacciate dal lavoro più meschino, più grossolano, più duro, più
degradante per un essere umano, il lavoro di cucina e del ménage familiare individuale.
La Rivoluzione bolscevico-sovietica ha tagliato – più profondamente
di quanto non abbia mai osato farlo alcun partito politico né alcuna rivoluzione al mondo – le radici dell’oppressione e della disuguaglianza tra
gli uomini e le donne. E, soprattutto, la disuguaglianza abietta, degradante, ipocrita, espressa nel diritto familiare [...] è stata completamente
soppressa dal potere sovietico.
Lenin (alla Giornata internazionale delle operaie), 1921.
117
Le donne nella società moderna
Una società che si accontenta di vedere uno solo dei sessi che la compongono adattarsi alle condizioni moderne, si condanna con ciò a restare
immersa, per più della metà, nella debolezza. Un popolo, se desidera il
progresso e la civiltà, deve comprendere questa verità e trarne le conseguenze. Il disprezzo in cui abbiamo mantenuto le donne rappresenta la
causa del fallimento del nostro tipo sociale. La vita ci è misurata in modo
diverso dal destino, ma vivere vuol dire essere attivi. E se una sola parte
dei membri di un corpo sociale è attivo, mentre l’altro rimane inerte,
l’intero corpo sociale ne risulta paralizzato. Si vuole che un corpo sociale
60
Il diritto di essere un uomo
lavori e riesca nella vita? Bisognerà che adempia le condizioni richieste
e metta tutte le probabilità dalla propria parte. Se quindi la nostra società
ha bisogno di scienza e di tecnica, bisogna che uomini e donne le acquistino nella stessa misura. Chi potrebbe dubitare che la divisione del lavoro domina la vita, così come regna in tutti i campi? In questa divisione
generale del lavoro le donne devono svolgere i compiti che loro spettano,
ma questi compiti comprendono la partecipazione all’attività generale
indispensabile per la prosperità e la felicità comuni. I lavori domestici
non costituiscono che la minima e la meno importante parte dei doveri
delle donne.
Kemal Atatürk, 1923.
118
Bambini
I bambini non appartengono a nessuno: non sono né proprietà dei loro
genitori, né proprietà della società. Appartengono solo alla loro futura libertà. Ma nei bambini questa libertà non è ancora reale, è solo virtuale. Ne
consegue che la società, il cui futuro dipende dall’educazione e dall’istruzione dei bambini e che di conseguenza ha non solo il diritto, ma anche il
dovere di conservarli, è la sola custode dei bambini dei due sessi [...]. La
custodia, l’educazione e l’istruzione dei bambini dovranno essere uguali
per tutti, a spese della società.
I vecchi, gli invalidi, i malati, circondati di cure, di rispetto e che godono
di tutti i diritti, sia politici che sociali, saranno trattati e mantenuti largamente a spese della società.
Michail Bakunin (1814-1876), Russia.
119
Considerazioni per la madre
Quando hai un Àglio non devi tollerare che egli soffra la fame poiché
egli è venuto per illuminare la tua vita. Non devi picchiarlo, ma renderlo
felice; non adirarti contro tuo Àglio, e non maltrattarlo. Allora solamente tu
desidererai di averne altri, e i tuoi Àgli prospereranno.
Tradizione guarani, area centrale dell’America del Sud.
120
Quando mangio del melone,
Io ricordo i miei bambini;
Quando mangio le castagne,
Li ricordo meglio ancora.
D’onde dunque sono venuti a me?
Ai miei occhi la lor vision persiste,
E dormir non posso in pace.
L’uomo
61
Che valgono per me
L’argento, l’oro e i gioielli?
Nessun tesoro val più dei propri Àgli.
Yamanue Okura (660-733), Giappone.
121
Diritti dei fanciulli
Un bambino di meno di dieci anni, che non sa distinguere il bene
dal male e che commette uno sbaglio, non deve essere punito dalle
autorità.
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
122
Se stesso: l’individuo responsabile,
la persona irriducibile
Negazione dell’esistenza indipendente
L’Uno è più sottile di un capello; è, si potrebbe dire, veramente invisibile. Perciò questa divinità, il cui ascendente è solido, mi è caro. Questo
è Uno benedetto, senza età, immortale, abita la dimora di un mortale.
Colui per cui essa è stata costruita giace; colui che l’ha costruita è diventato vecchio. Tu sei donna, uomo, ragazzo e anche ragazza. Tu vecchio,
cammina con passo mal sicuro, appoggiandoti a un bastone. Nato, prendi
tutte le forme. Inoltre egli è il loro padre, ed è anche il loroÀglio; egli è
il loro fratello maggiore e anche quello minore. In verità, il dio unico,
entrando nello spirito, è il primo nato nell’embrione.
Atharvaveda, X (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
123
L’universo non ha alcuna affezione umana,
tutte le cose del mondo sono per lui come cani da pagliaio.
Il santo non ha alcun affetto umano,
il popolo è per lui come cane da pagliaio.
L’universo è simile a un mantice da forgia;
vuoto, non è appiattito,
più lo si muove, più sofÀa,
62
Il diritto di essere un uomo
più se ne parla, meno lo si afferra,
vale meglio inserirsi in esso.
Lao-Tzu, Tao tô-king (V sec. a.C.), Cina.
124
Indipendenza - invenzione - responsabilità degli uomini
Il coro
Strofa I
Vi sono molte meraviglie in questo mondo, non ve ne è però nessuna
più grande dell’uomo. Egli è l’essere che sa attraversare i Áutti grigi nel
momento in cui sofÀa il vento del Sud, e anche i suoi uragani.
È colui che avanza nel cavo delle alte onde che gli aprono l’abisso. Egli
è l’essere che tormenta la più augusta di tutte le divinità, la Terra.
La Terra eterna e infaticabile, con i suoi aratri che avanzano senza tregua, solcandola ogni anno; egli è colui che la fa arare dai prodotti delle sue
giumente.
Antistrofe I
Uccelli storditi, animali selvaggi, pesci che popolano i mari, tutti egli li
stringe e li prende
Nelle maglie delle sue reti l’uomo dallo spirito ingegnoso. Con i suoi
arnesi, egli è il padrone
Delle bestie non domate, che corrono attraverso le montagne e, quando
giunge il momento, egli piegherà sotto il giogo che avvolge il loro collo,
sia il cavallo dalla densa criniera, che l’infaticabile toro delle montagne.
Strofa II
Parola, pensiero pronto come il vento, desiderio vivissimo da cui nascono le città, tutto questo egli se lo è insegnato da sé così bene come ha
saputo, costruendosi un nascondiglio,
Sfuggire ai morsi del gelo e della pioggia, crudeli per coloro che non
hanno altro tetto che il cielo. Ben armato contro tutto, egli non è disarmato
contro nulla
Di quanto può offrigli l’avvenire. Solo contro la morte, egli non avrà
mai incanto che gli permetta di sfuggire per quanto egli abbia saputo, contro le malattie più pertinaci, immaginare più di un rimedio.
Antistrofe II
Ma così, maestro d’un sapere, le cui ingegnose risorse oltrepassano ogni
speranza, egli può prendere in seguito sia la via del male che quella del
bene.
L’uomo
63
Con questo sapere diventi dunque una parte delle leggi della sua città e
della giustizia degli dei, cui egli ha giurato fede; salirà allora molto in alto
nella sua città; mentre si esclude da questa città, a partire dal giorno in cui
abbandona il crimine.
Contaminarlo per bravura. Ah! che egli non abbia allora più un posto
nel mio focolare, né tra i miei amici, se egli si comporta in questo modo.
Sofocle (V sec. a.C.), Antigone
125
Tutto proviene dall’uomo, ed è a lui che spetta ogni merito.
Proverbio russo.
126
Il bebè nato orfano se la sbrigherà per tagliarsi da sé il proprio cordone
ombelicale.
Proverbio turco (XVI sec.).
127
Condizione dell’uomo
Nessuno è per natura accusato d’infamia.
Nessuno stato, nessuna condizione può essere causa d’infamia per l’uomo; al contrario è l’opera degli uomini stessi ad abbassarne altri e a fare
in modo che alcuni divengano oggetto di derisione. Ciò che costituisce la
gloria dell’uomo è l’amore dell’uomo. Se onoraste qualcuno, fareste di
tutto per non umiliarlo.
Proverbio ewe, Togo.
128
Ogni uomo sceglie liberamente la sua vita: egli può a suo piacimento
prendere il cammino della virtù o quello dell’iniquità. Sta scritto nella Torah: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene
e del male.”
Maimonide (XII secolo), Hilchot Teshuvah, 5.
129
Irriducibilità personale
Il dialogo del tiranno e del saggio
Che cosa è dunque che turba e terrorizza la maggior parte degli uomini? Il tiranno e la sua guardia? E perché? Ben lungi da questo pensiero:
non è possibile che un essere, libero per natura, sia turbato o impedito
da un’altra persona che non sia lui stesso; sono le due opinioni personali che lo turbano. Quando un tiranno dice: “Incatenerò la tua gamba”,
colui che dà alla sua gamba un valore dice: “No per carità!”. Ma colui
per il quale la propria volontà è preziosa, replica: “Incatenala, se ritieni utile farlo”. “Non te ne preoccupi?”. “Non me ne preoccupo”. “Ti
64
Il diritto di essere un uomo
mostrerò che sono io il padrone!”. “E come farai? Zeus mi ha lasciato
libero. Credi tu che egli avrebbe lasciato ridurre suo Àglio in schiavitù?
Tu sei padrone di questo cadavere che è il mio corpo. Prendilo. Allora
quando tu vieni da me, non ti curi di me?”. “Non di te, ma di me stesso?
Se vuoi farmi dire che io mi curo di te, sia, come lo faccio io della mia
brocca”.
Epitteto (I sec. d.C.), Conversazioni.
130
Responsabilità personale
Il re Enrico. Se dunque un Àglio, che il padre ha inviato a commerciare, perisce sul mare in stato di peccato, l’imputazione della sua perversità, secondo la vostra regola, dovrà essere attribuita a suo padre che l’ha
inviato; oppure se un domestico, che trasporta per ordine del suo padrone
una certa somma di denaro, viene assalito dai ladri e muore carico di
iniquità non assolte, direte che la necessità di un padrone è stata la causa
della dannazione del servo. Ma in realtà non è così; il re non risponde dello stato in cui muoiono i suoi soldati, né il padre dello stato in cui muore
suo Àglio, né il padrone dello stato in cui muore il suo servo; essi non
reclamano la loro morte reclamando i loro servizi. Inoltre, non vi è re, per
quanto pura sia la sua causa, se bisognasse addivenire all’arbitrato della
spada, che possa deciderla solo con soldati senza macchia; gli uni sono
forse colpevoli di assassinio premeditato o perpetrato, gli altri di aver ingannato delle vergini, rompendo il loro giuramento; altri ancora cercando
un rifugio nella guerra dopo aver insanguinato con saccheggio e furto il
dolce seno della pace. Ora, se questi uomini hanno saputo eludere la legge e sottrarsi al meritato castigo, anche se potranno sfuggire agli uomini,
non avranno ali per nascondersi a Dio. La guerra è il sergente di Dio, la
guerra è la sua vendetta. Ecco dunque degli uomini che un tempo hanno
violato la legge del re e che ora ne sono puniti nel litigio del re; se temono
la morte essi hanno salva la vita; se si credono al sicuro, periscono. Se
dunque essi muoiono impenitenti, il re non è più colpevole della loro dannazione di quanto non sia stato un tempo colpevole dei peccati per i quali
essi sono ora castigati. L’obbedienza di ogni suddito appartiene al re, ma
l’anima di ogni individuo appartiene soltanto a lui stesso. Analogamente
ogni soldato in guerra dovrebbe fare ciò che fa ogni persona ammalata
nel suo letto, lavare tutte le macchie della sua coscienza; allora se muore
la morte è per lui un beneÀcio; se non muore sarebbe stato un tempo fortunatamente perduto quello in cui fu acquisita una simile preparazione; e
per colui che scampa non sarà certo un peccato pensare che, avendo fatto
a Dio una generosa offerta, Dio lo ha lasciato sopravvivere Àno a questo
L’uomo
65
giorno per riconoscere la Sua grandezza e per insegnare agli altri come
essi devono prepararsi a morire.
William Shakespeare, Enrico V, Atto IV, scena I, 1599.
131
Nel 1856 l’imperatore Teodoro, avendo conquistato lo Scioa, proibì di
passare per le armi i parenti dell’omicida, cosa che Àno ad allora era legale:
Egli fa una legge dicendo: gli assassini sono numerosi nello Scioa; siano
uccisi solo gli assassini, ma non i loro parenti, salvo se uno di loro è stato
l’istigatore del crimine, oppure ha preso parte al litigio; non si uccidano
sotto il pretesto che sono il padre, o il fratello dell’uccisore.
Avendo vinto il ribelle Agaw Negusé, egli fa grazia ai suoi soldati:
Egli graziò i soldati che erano con (Agaw Negusé) tutti poveri diavoli,
che egli aveva forzato a raggiungere la foresta.
Ma tutti i capi ribelli ebbero mani e piedi tagliati e morirono sul posto.
Cronache etiopiche.
132
Ogni uomo è libero delle sue azioni, poiché, tra tutti gli esseri, solo gli
animali devono stare sottomessi all’autorità di un padrone. È questo un
assioma fondamentale.
Yehuda Levi, Àglio di Bezalel (1512-1609), Praga.
133
Che cosa mai è l’uomo, mi dico, perché ti ricordi di lui?
E il Àglio dell’uomo perché ti interessi di lui?
Anzi, lo hai reso poco meno di Dio;
di gloria e splendore lo hai coronato.
Lo hai fatto signore delle opere delle tue mani.
Bibbia ebraica, Salmi, 8.
134
Contro la collera e l’impazienza, padronanza di sé
La testa dell’uomo è un ripostiglio
Il vecchio maestro canta:
Sì, l’uomo, sì tu l’uomo dallo scudo!
Sì, l’uomo, sì tu l’uomo dallo scudo!
La testa d’un uomo, sì, è un recipiente che conserva a lungo le cose.
Un nascondiglio per conservare le proprie riserve!
Se ti accorgi che questo piccolo novizio è chiacchierone, dissimula tutto
nella tua testa.
Ah sì, colei che veglia sul bambino, arriverà senza dubbio, anche lei a
schiamazzare. Ma la tua testa è il nascondiglio per immagazzinare. Ascolta
bene!
66
Il diritto di essere un uomo
Ah sì, senza dubbio, uno dei fanciulli verrà a dirti: “Tua madre ha detto
male di te”; oppure: “Costei, che è tra le novizie, ha detto male di te”.
La tua testa allora diventa il ricettacolo che custodisce per molto tempo
le cose, e immagazzina queste dicerie.
Diciamolo al fanciullo durante la sua lezione: la testa del Áautista è un
nascondiglio per conservare ciò che vien detto.
L’Assistente del Maestro spiega:
Ricordati bene, piccolo fratello, di ciò che si dice a proposito delle
chiacchere che circolano nel tuo ambiente.
Vedi, quando porti della carne suppongo che tagli un grosso pezzo per
un bambino. Quando l’avrà mangiato, sarà così contento che ti racconterà
ciò che accade in casa. E dirà: “Quella tal donna ha bestemmiato e ti ha
maledetto”.
Ma tu, tu hai una testa per immagazzinare le cose, quindi non fare una
scenata alla donna per questo. Il bambino ha potuto inventarlo (letteralmente: raccogliere la storia per terra) nella gioia provata per aver ricevuto
il cibo con cui tu gli hai testimoniato il tuo affetto. Vedi, egli ha forse udito
la donna dire un’altra cosa, oppure, anche se essa ti ha maledetto, conserva
ciò nella tua testa, e non rovinare te stesso nel tuo ambiente.
Oppure, un’altra volta, tu arrivi, e l’altro bambino – se ve ne sono due
– ti dice: “Papà, voglio dirti una cosa: quando eri partito, lei è andata con
la suocera e con lei ha parlato male di te! Esse hanno detto: “Questo fannullone esce di casa così presto e fa di noi degli schiavi. Noi siamo per
lui dei maiali, con la differenza che noi non dormiamo fuori tra i cespugli
della foresta”. Quando senti dire una cosa simile, ti vien voglia di bastonarla, lei la suocera. Ma se fai questo, tutto nella tua casa Ànirà per andare
male. Per questo il vecchio maestro ha detto: “La testa di un uomo è fatta
per conservare le cose, essa è il tuo granaio!”. Non ascoltare le chiacchere
dei bambini. Dato che sei un adulto e che ti sei dominato, devi conservare
nella tua testa tutto ciò che un altro dice e non arrabbiarti. Conservalo nella
tua testa, Àno a che, da te stesso, sii riuscito a sapere di che cosa si tratta.
Quando sarai a casa, su quanto hai constatato da te stesso, interrogala con
precauzione. Ma se, incollerito da dei chiacchieroni, tu bastonassi tua moglie e in seguito ti accorgessi che non era vero, e che stai diventando un tipo
che la bastona in quel modo, per cui in seguito essa se ne vada, che essa
parli e la vincesse su di te, allora essa sarà perduta per te e metterà al mondo dei bambini per un altro uomo e curerà la sua casa, mentre il vecchio
Maestro resta solo con la sua vana saggezza. Per questo il vecchio Maestro
ti dice: “Dominati! Ciò che senti dire da altri, conservalo nella tua testa e
L’uomo
67
aspetta che il padre e la madre ti interroghino”. Ed essi ti diranno: “Lascia
andare, è la Giovane Sposa di casa nostra quella che governa la casa, la
raddrizzeremo dolcemente”.
Tradizione orale chagga, Tanzania.
135
Decoro
Un antico servo, divenuto funzionario, impresario ed economista, sotto
Pietro il Grande, dà dei consigli a suo Àglio:
Saluta il nobile secondo la sua nobiltà, e il ricco secondo la sua ricchezza, poiché nobiltà e ricchezza sono doni di Dio; ma non disprezzare il
povero e non riÀutargli il tuo saluto [...]. E se anche un bambino ti saluta,
devi rendere il saluto anche a lui.
... Ma soprattutto non permetterti di ingiuriare chiunque, ricco o povero,
oppure di fargli un dispetto [...]. E se vedi un uomo che sia anche estremamente stupido, prenditi ben guardia di ingiuriarlo o di condannarlo, perché
l’ingiuria colpirebbe Dio stesso, che lo ha creato in quelle condizioni.
Ivan Posoškov (inizio XVIII sec.), Testamento paterno, Russia.
136
Libertà e aritmetica
Sembra che tutte le preoccupazioni dell’uomo consistano in questo: dimostrare a se stesso, a ogni istante che egli è un uomo e non un pezzo di
macchina. Egli ne ha sofferto, ma se lo è sempre dimostrato [...]. Voi mi
gridate che nessuno attenta alla mia libertà, che ci si affanna soltanto per
ottenere che la mia volontà, spontaneamente coincida con il mio normale
interesse, le leggi della natura e l’aritmetica.
Ah, Signori! che ne sarà della mia libertà [...] quando due per due non
faranno più quattro? Due per due faranno quattro anche senza la mia volontà. È forse questo la mia volontà?
Fëdor Dostoevskij, Le memorie dal sottosuolo, 1864.
137
Saluta, ma non prosternarti.
Per ogni uomo, come per ogni serratura, bisogna trovare la chiave giusta.
Non giudicare l’uomo dalla sua robustezza Àsica, ma dai suoi propositi.
Proverbi russi.
138
Ogni essere umano è unico
Se qualcuno potesse compilare un inventario psicoÀsiologico della propria persona, tanto dettagliato che questa apparisse come una somma di
attributi, e se in seguito gli fosse possibile di ricostruire la genesi di ognuno di questi attributi e di tutte le loro combinazioni, risalendo sino alla
68
Il diritto di essere un uomo
forma di vita più primitiva, supponendo che ne riesca un’analisi genetica
altrettanto completa di questo individuo, e che la sua storia e tutti i suoi
antecedenti siano così conosciuti, la persona – quest’Incomparabile, unico
nel tempo e nell’istante, questo volto che non ne ha mai avuto uno simile,
questa voce ancora mai udita, questi gesti mai visti, questo corpo dotato di
anima – sfuggirebbe all’analisi e a ogni derivazione, sarebbe tutto intero
presente e non sarebbe nulla fuori di questa presenza. Quest’uomo, alla
Àne dei suoi vani sforzi, raccoglierebbe le sue ultime forze per formulare
un’ultima interrogazione sulla sua origine e si ritroverebbe, in Àn dei conti,
creatura. Poiché ogni uomo è unico, ogni nascita è quella del primo uomo
venuto al mondo.
Martin Buber, Die Schrift und ihre Verdeutschung (La scrittura e la sua
interpretazione), 1946.
139
Gli uomini e la libertà
Ivan Karamazov parla al fratello Alëša:
Nel momento della Grande Inquisizione, sulla piazza di Siviglia, ove
ogni giorno vengono bruciati degli eretici, Cristo ritorna in mezzo alla folla. Il Grande Inquisitore passa e lo fa catturare. Venuta la notte, viene a
vederlo nella cella e, tenendo una torcia in mano, così gli parla:
“Hai tu il diritto di rivelarci uno solo dei segreti del mondo dal quale
vieni?”, domanda il vecchio, che risponde in sua vece: “No, non ne hai
diritto, perché questa rivelazione si aggiungerebbe a quella precedente,
e ciò signiÀcherebbe ritirare agli uomini la libertà che tu difendi tanto
sulla terra. Tutte le rivelazioni nuove nuocerebbero alla libertà della
fede, perché sembrerebbero miracolose; ora tu mettevi al di sopra di
tutto, quindici secoli fa, questa libertà della fede. Non hai tu forse detto
molto spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene li hai visti, gli uomini
“liberi”, aggiunge il vecchio con tono sarcastico. Sì, questo ci è costato caro, continua guardandolo severamente, ma abbiamo Ànalmente
compiuto quest’opera in tuo nome. Ci sono occorsi quindici secoli di
duro lavoro per instaurare la libertà; ma ora è fatta, e fatta bene. Non
lo credi? mi guardi con dolcezza, senza neppure farmi l’onore di indignarti? ma sappi che mai gli uomini si sono creduti tanto liberi come
adesso e tuttavia la loro libertà essi l’hanno umilmente deposta ai nostri
piedi. Questo, in verità, è l’opera nostra; è questa la libertà che tu sognavi?”[...].
“Lo Spirito terribile e profondo, lo Spirito della distruzione e del nulla – riprende a dire – ti ha parlato nel deserto, e le Scritture raccontano
che egli ti ha “tentato”. È vero ciò? E non era possibile dire nulla di più
L’uomo
69
penetrante di quanto ti è stato detto nelle tre domande, oppure, per parlare
come le Scritture, le “tentazioni” che hai respinte? Se mai vi fu sulla terra
un autentico e risonante miracolo, fu nel giorno di queste tre tentazioni. Il
solo fatto di aver formulato queste tre domande costituisce un miracolo.
Supponiamo che siano sparite dalle Scritture, che occorra ricostituirle,
immaginarle nuovamente per ricollocarvele, e che si riuniscano a tal Àne
tutti i saggi della terra, uomini di Stato, prelati, scienziati, ÀlosoÀ, poeti, dicendo loro: immaginate, redigete tre domande, che non solo corrispondano all’importanza dell’avvenimento, ma che esprimano anche, in
tre frasi, tutta la storia dell’umanità futura; credi tu che questo areopago
della sapienza umana potrebbe immaginare qualcosa di altrettanto forte e
profondo, più delle tre domande che ti propose allora il potente Spirito?
Queste tre domande dimostrano da sole che si ha a che fare con lo Spirito
eterno e assoluto e non con uno spirito umano passeggero. Perché esse
riassumono e predicono al tempo stesso tutta la storia ulteriore dell’umanità; sono le tre forze in cui si cristallizzano tutte le contraddizioni insolubili della natura umana. Non si poteva rendersene conto allora, perché
l’avvenire era velato, ma ora, dopo quindici secoli, vediamo che tutto
era stato previsto in queste tre domande e si è realizzato al punto che è
impossibile aggiungervi o togliervi una sola parola.
“Decidi quindi tu stesso chi aveva ragione; tu oppure colui che ti interrogava? Ricordati del senso se non del tenore della prima domanda: tu vuoi
andare verso il mondo con le mani vuote, predicando agli uomini una libertà che la loro stupidità e la loro ignominia naturale impediscono di capire,
una libertà che fa loro paura, poiché non vi è e non vi è stato mai nulla di
più intollerabile per l’uomo e per la società! Vedi queste pietre nell’arido
deserto? Cambiale in pane, e l’umanità seguirà i tuoi passi, come un gregge
docile e riconoscente, tremando tuttavia al pensiero che la tua mano si ritiri
e che essi non abbiano più pane.
“Ma tu non hai voluto privare l’uomo della libertà, e hai riÀutato, ritenendo che fosse incompatibile con l’ubbidienza comperata con dei pani. Tu
hai replicato che l’uomo non vive di solo pane, ma sai tu che, al nome di
questo pane terrestre, lo Spirito della terra insorgerà contro di te, lotterà e
ti vincerà e che tutti lo seguiranno gridando: “Chi è simile a quest’animale,
esso ci ha dato il fuoco del cielo?”. Passeranno i secoli e l’umanità proclamerà, per bocca dei suoi scienziati e dei sapienti, che non vi sono crimini e,
di conseguenza, non esiste il peccato: vi sono soltanto degli affamati” [...].
“Nessuna scienza darà loro del pane, Ànché resteranno liberi, ma Àniranno per deporla ai nostri piedi, questa libertà, dicendo: “Riduceteci
piuttosto in servitù, ma nutriteci”. Comprenderanno in Àne che la libertà
70
Il diritto di essere un uomo
è inconciliabile con il pane della terra a discrezione, perché non sapranno
mai ripartirlo tra di loro! Si convinceranno anche della propria impotenza
a rendersi liberi, essendo deboli, corrotti, nulli e ribelli. Tu promettevi
loro il pane del cielo; ancora una volta è esso paragonabile a quello della
terra agli occhi della debole razza umana, eternamente ingrata e depravata? Migliaia e decine di migliaia di anime ti seguiranno a causa di questo
pane, ma che cosa diventerebbero i milioni e i miliardi che non avessero
il coraggio di preferire il pane del cielo a quello della terra? Prediligerebbero i grandi e i forti, ai quali gli altri – la moltitudine innumerevole
che è debole ma che ti ama – servirebbe solo da materia di sfruttamento?
Anch’essi ci sono cari, gli esseri deboli. Sebbene depravati e ribelli, diventeranno Ànalmente docili” [...].
“Poiché non vi sono per l’uomo, rimasto libero, preoccupazioni più costanti, più cocenti di quelle di cercare un essere dinanzi al quale inchinarsi.
Ma l’uomo non vuole inchinarsi se non dinanzi a una forza incontestata,
che tutta l’umanità rispetta per consenso universale. Queste povere creatura si tormentano a cercare un culto che riunisca non solo alcuni fedeli, ma
nel quale tutti insieme comunichino, uniti dalla stessa fede. Questo bisogno
di comunità nell’adorazione è il principale tormento di ogni individuo e
dell’umanità intera, Àn dall’inizio dei secoli. Proprio per realizzare questo
sogno ci siamo sterminati con la spada. I popoli hanno foggiato degli dei e
si sono sÀdati gli uni gli altri: “Abbandonate i vostri dei, adorate i nostri; se
no, guai a voi e ai vostri dei!”. E sarà così Àno alla Àne del mondo, anche
quando gli dei saranno spariti; ci si prosternerà davanti agli idoli” [...].
“Ma che cosa è accaduto? Invece di impadronirti tu della libertà umana, l’hai ancora ampliata. Hai dunque dimenticato che l’uomo preferisce
la pace, e perÀno la morte alla libertà di sceverare il bene dal male? Non
vi è nulla di più seducente per l’uomo del libero arbitrio, ma anche nulla
di più doloroso. E invece dei principi solidi che avrebbero tranquillizzato
per sempre la coscienza umana, tu hai scelto delle nozioni vaghe, strane,
enigmatiche, tutto ciò che oltrepassa la forza degli uomini, e così hai agito
come se non li amassi; proprio tu che eri venuto a donare la tua vita per
loro! Hai accresciuto la libertà umana invece di conÀscarla e hai così imposto per sempre all’essere morale le angosce di questa libertà. Volevi essere
liberamente amato, volontariamente seguito dagli uomini incantati. Invece
della dura legge antica, l’uomo doveva d’ora innanzi, con cuore libero,
discernere il bene dal male, non avendo per guida che la tua immagine, ma
non prevedevi tu che egli avrebbe alla Àne respinto e contestato persino
la tua immagine e la tua verità, oppresso sotto questo terribile fardello: la
libertà di scegliere?” [...].
L’uomo
71
“Vi sono tre forze, le sole che possano soggiogare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli: il miracolo, il mistero e l’autorità! Le hai
respinte tutte e tre, dando in tal modo un esempio. Lo Spirito terribile e
profondo ti aveva trasportato sul pinnacolo del Tempio e ti aveva detto:
“Vuoi sapere se sei Àglio di Dio? Buttati giù, poiché sta scritto che gli
angeli lo sosterranno e lo porteranno, non si ferirà in alcun modo; saprai
allora se sei il Figlio di Dio e dimostrerai così la tua fede nel Padre tuo”.
Ma tu hai respinto questa proposta, non ti sei gettato giù. Mostrasti allora
una Àerezza sublime, divina, ma gli uomini, razza debole e ribelle, non
sono degli dei! Sapevi che facendo un passo, un gesto per precipitarti,
avresti tentato il Signore e avresti perso la fede in lui. Ti saresti fracassato
su questa terra che avevi appena salvata, con grande gioia del tentatore.
Ma ve ne sono però molti come te? Puoi ammettere per un istante che gli
uomini avrebbero la forza di sopportare una simile tentazione? Appartiene forse alla natura umana il respingere il miracolo, e, nei momenti gravi
della vita, dinanzi alle questioni capitali e dolorose, attenersi alla libera
decisione del cuore?” [...].
“Ti occorreva un libero amore, e non i servili trasporti di uno schiavo
terriÀcato. Anche qui tu ti facevi un concetto troppo elevato degli uomini,
perché sono degli schiavi, quantunque siano stati creati ribelli. Vedi e giudica! Dopo il trascorrere di quindici secoli, chi hai tu innalzato Àno a te?
Lo giuro, l’uomo è più debole e più vile di quanto tu pensassi [...]. L’anima
debole è forse colpevole di non poter contenere dei doni così terribili? Sei
tu veramente venuto solo per gli eletti? Allora è un mistero, incomprensibile per noi, e avremmo il diritto di predicarlo agli uomini, d’insegnare che
non è la libera decisione dei cuori né l’amore che sono importanti, ma il
mistero al quale essi devono sottomettersi ciecamente, anche malgrado la
loro coscienza. Questo è quello che abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua
opera fondamentale sul miracolo, il mistero, l’autorità. E gli uomini si sono
rallegrati di essere di nuovo guidati come un gregge e liberati da quel dono
funesto che causava loro simili tormenti” [...].
“Tu avresti tuttavia potuto prendere allora la spada di Cesare. Perché hai
respinto quest’ultimo dono? Seguendo questo terzo consiglio del possente
Spirito, tu avresti realizzato tutto ciò che gli uomini cercano sulla terra: un
padrone dinanzi al quale inchinarsi, un guardiano della loro coscienza e il
mezzo di unirsi Ànalmente nella concordia in un formicaio comune, poiché
il bisogno dell’unione universale è il terzo e ultimo tormento della razza
umana” [...].
“Accettando la porpora di Cesare, avresti fondato l’impero universale e
donato la pace al mondo. Infatti, chi è qualiÀcato per dominare gli uomini,
72
Il diritto di essere un uomo
se non coloro che dominano la loro coscienza e dispongono del loro pane?
Noi abbiamo preso la spada di Cesare e facendo ciò ti abbiamo abbandonato per seguirlo. Oh! Ne passeranno ancora dei secoli di licenza intellettuale,
di vane scienze e di antropofagia, poiché sarà lì che Àniranno dopo di aver
ediÀcato la loro torre di Babele senza di noi” [...].
“L’indipendenza, il libero pensiero, la scienza li avranno smarriti in un
tale labirinto, messi in presenza di tali prodigi, di tali enigmi, che gli uni,
ribelli furiosi, distruggeranno se stessi; gli altri, ribelli ma deboli, folla vile
e miserabile, si trascineranno ai nostri piedi gridando: ‘Sì, voi avevate ragione, voi soli possedevate il suo segreto e noi ritorniamo da voi; salvateci
da noi stessi!’” [...].
“Allora li colmeremo di una dolce e umile felicità, una felicità adatta a
delle deboli creature come loro. Li persuaderemo a non inorgoglirsi poiché
sei tu che li hai allevati, ad averlo insegnato a loro; proveremo loro che
sono deboli, che sono, dei pietosi bambini, ma che la felicità puerile è la
più piacevole” [...].
“Certamente li costringeremo al lavoro, ma nelle ore di riposo organizzeremo la loro vita come un giuoco di bambini, con canti, cori, danze
innocenti. Oh! permetteremo loro persino di peccare perché sono deboli, e
per questo ci ameranno come dei bambini. Diremo loro che ogni peccato
sarà riscattato, se viene commesso con il vostro consenso; è per amore che
permetteremo a essi di peccare e saremo noi a prenderne la pena. Ci ameranno come dei benefattori che si caricano dei loro peccati davanti a Dio.
Non avranno per noi alcun segreto. Secondo il loro grado di obbedienza,
permetteremo o proibiremo loro di vivere con le mogli o con le amanti, di
avere dei Àgli e di non averne, e ci ascolteranno con gioia. Ci sottoporranno
i segreti più dolorosi della loro coscienza, noi risolveremo loro la grave
preoccupazione di scegliere da se stessi liberamente. E tutti saranno felici,
milioni di creature, salvo un centinaio di migliaia, i loro direttori e salvo
noi, depositari del segreto. I fortunati si cinteranno a miliardi e vi saranno
centomila martiri oppressi dalla conoscenza maledetta del bene e del male.
Moriranno tranquillamente, si spegneranno dolcemente nel tuo nome, e
nell’aldilà essi non troveranno che la morte” [...].
“Quanto io ti dico si compirà e il nostro impero si ediÀcherà. Te lo ripeto, domani, a un mio cenno, vedrai questo gregge docile portare dei carboni
ardenti al rogo ove tu salirai, per essere venuto a intralciare l’opera nostra.
Poiché se qualcuno ha meritato più di tutti il rogo, sei tu. Domani ti brucerò. Dixi”.
L’inquisitore tace, aspetta un momento la risposta del Prigioniero. Il
suo silenzio gli pesa. Il Prigioniero l’ha ascoltato durante tutto il tempo,
L’uomo
73
Àssandolo col suo sguardo penetrante e calmo, visibilmente deciso a non
rispondergli. Il vecchio vorrebbe che egli dicesse qualcosa, dovessero anche essere parole amare e terribili. D’un tratto, il Prigioniero si avvicina
in silenzio al nonagenario e bacia le sue labbra esangui. Questa è tutta la
risposta. Il vecchio trasale e le sue labbra si muovono; va alla porta, l’apre
e dice: “Vattene e non tornare più... Mai più!”. E lo lascia andare nelle tenebre della città. Il Prigioniero se ne va.
Fëdor Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, 1880.
140
Libertà Àsica e libertà morale
La libertà si divide in libertà Àsica e morale. La libertà Àsica consiste
nel poter fare un’azione quando non si conosce e quando non si è ancora
in grado di conoscere la sua moralità. La libertà morale è quella di cui godiamo per agire o per non agire pur conoscendo, oppure essendo in grado
di conoscere, la moralità dell’azione che stiamo per commettere. Da ciò si
deduce che possono esservi delle azioni Àsicamente libere, che non lo sono
moralmente.
Tomás António Gonzaga, Trattato del diritto naturale, 1768, Brasile. 141
Quanto è spiacevole rendere le cose semplici!
L’uomo stesso trova difÀcile essere uomo.
Ghâlib (XIX sec.), tradotto dall’urdu, India.
142
Irriducibile libertà
La libertà che mi riconosci è la tua. La libertà di fare ciò che ti piace. La
libertà non è uno scambio, è la libertà.
André Malraux, La condition humaine, 1933.
143
Decisione
La vita è regolata da una moltitudine di forze. Tutto sarebbe molto semplice se si potesse decidere del corso delle proprie azioni in virtù di un
principio generale unico, la cui applicazione sarebbe in ogni momento così
evidente da non esigere neppure un istante di riÁessione. Ma non ricordo
alcun atto per il quale sia stato così facile prendere una decisione.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
144
L’uomo
So che la mia anima ha il potere di conoscere ogni cosa
E che resta tuttavia cieca e ignorante.
So che, pur essendo uno dei piccoli re della Natura,
74
Il diritto di essere un uomo
Non sono meno asservito alle cose più basse e più vili.
So che la mia vita è sofferenza e non avrà che un tempo;
So che sono continuamente in balìa d’illusioni;
E, per concludere, so che sono un uomo,
Quindi un essere nobile e tuttavia miserabile.
Sir John Davies (1569-1626), giurista e poeta, Inghilterra.
145
IL POTERE
Fonti del potere: delega o violenza
Potere e violenza
Il potere esiste solo attraverso la violenza. Se vi rinunzia, distrugge se
stesso, perché la gente cessa di temerlo a misura che si rende conto della sua clemenza e cessa di tremare davanti a esso. Il potere non è né il
Àco succulento, né la pastosa oliva, né la vigna, che costituiscono la gioia
dell’uomo. Il potere è la spina che fa soffrire; fa male, ferisce, scortica, imprigiona, uccide. In effetti, non è certo nutrendo gli affamati, né ricoprendo
di vestiti i poveri, né curando gli ammalati, né dimostrandosi clementi, senza mai ferire o far soffrire chicchessia, che il potere prospera e si perpetua.
Per questo, un abisso lo separa dalla clemenza. Per questa ragione ancora
bisogna cercare di cogliere la natura, di conoscere coloro che è opportuno
proteggere nel quadro di un certo ordine imposto, e di capire il senso di
quest’ordine mantenuto con la forza. Esiste, ben inteso, un ordine diverso,
quello che Dio ispira – servendosi di Suo Figlio quale intermediario – ad
alcuni uomini, e del quale è urgente ricercare il signiÀcato. Ora, se bisogna
far uso della forza per far regnare l’ordine, questo accade perché gli uomini
mancano di saggezza, ignorano Dio e non obbediscono ai Suoi comandamenti. Tuttavia il mondo intero ha bisogno di giustizia e di pace, senza di
che non vi sarebbe possibilità di sopravvivenza per l’umanità. E poiché
molti popoli non hanno alcun senso della virtù, non conoscono Dio e danno
prova di ingiustizia nei confronti dei vicini, Dio, nostro Padrone, che desidera assicurare una lunga vita a queste moltitudini, manda loro dei re e dei
principi, i quali – grazie al potere di cui Egli li ha investiti – mantengono la
pace, combattono l’ingiustizia, troncano in prima e ultima istanza i litigi e
impediscono alla gente – con la complicità delle autorità – di arrecar danno
ai loro simili, di impadronirsi con la forza dei beni che non appartengono loro, di commettere furti o di arrogarsi dei diritti sulla proprietà altrui.
Perciò ogni potere che si preoccupa di assicurare la pace e di permettere
al massimo numero di persone di vivere onoratamente e nella prosperità,
76
Il diritto di essere un uomo
è tenuto a reprimere tutte queste iniquità e a usare la forza per far trionfare
la pace e la giustizia. Più esso si preoccupa di mantenere la pace e più deve
dimostrarsi implacabile nella repressione, perché i cittadini lo temano e
perché così ciascuno si contenti di quello che ha. Quando il potere sarà
riuscito a sopprimere l’ingiustizia, l’ordine regnerà dappertutto; gli uomini
troveranno la pace e ciascuno potrà godere senza intralci dei beni che possiede. Un tale ordine è necessario all’esistenza di ogni nazione, perché in
sua assenza gli uni cercherebbero di distruggere gli altri, vi sarebbero lotte
di partiti, i forti opprimerebbero i deboli, li scaccerebbero dai loro focolari,
ne farebbero dei servi o dei domestici e prenderebbero a loro le loro donne.
Il potere serve dunque ad allontanare tutti questi Áagelli. E se si chiama secolare, questo accade precisamente perché è tenuto a occuparsi degli affari
del secolo per far trionfare in tal modo un ordine superiore.
Petr ChelĀiký (XV sec.), Dei tre stati (il clero, lo Stato, il popolo).
146
Oggetto del potere
Il potere politico è quel Potere che ciascun uomo possiede allo stato di natura, che si è riunito nelle mani di una società e che questa società ha afÀdato
ad alcuni leader che sono stati scelti, con l’assicurazione e la condizione,
espressa o tacita, che questo potere sarebbe stato usato per il bene del corpo
politico, e per la conservazione di quanto appartiene in proprio ai suoi membri. Ora, il potere che ciascuno ha allo stato di natura, e di cui si spoglia per
darlo nelle mani di una società, consiste nell’uso dei mezzi più appropriati
e che la natura permette, per conservare ciò che si possiede in proprio, e per
punire coloro che violano le leggi della natura; in modo che così si lavora
il più efÀcacemente e più ragionevolmente possibile alla propria conservazione e alla conservazione degli altri uomini. Il Àne quindi e l’oggetto principale di questo potere – quando è nelle mani di ogni singolo allo stato di
natura – non rappresentando altro che la conservazione di tutti i membri della
società, cioè di tutti gli uomini in generale, quando passano nelle mani dei
magistrati e dei principi, non deve avere altro Àne, né altro oggetto all’infuori
delle conservazioni dei membri della società alla quale essi sono preposti, la
conservazione delle loro vite, delle loro libertà, di ciò che loro appartiene:
e per una conseguenza, la cui forza ed evidenza non possono fare a meno
di farsi sentire, questo potere non potrebbe legittimamente essere un potere
assoluto e arbitrario nei confronti delle loro vite e dei loro beni, che devono
essere conservati il meglio possibile. Tutto ciò a cui il potere in oggetto deve
tendere, consiste nel fare delle leggi e aggiungervi delle pene e, in vista della
conservazione del corpo politico, nel tagliar via da esso solo quelle parti e
quei membri che si sono corrotti, perché mettono in grave pericolo ciò che è
Il potere
77
sano; se si inÁiggessero pene con altri scopi, la severità non sarebbe affatto
legittima. Del resto, il potere politico trae le proprie origini dall’accordo, dal
mutuo consenso di coloro che si sono uniti per comporre una società.
John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 147
Fonte di potere: l’elezione
Il popolo eleggerà, oltre ai dieci commissari già esistenti, venti altri,
scelti tra i cittadini che hanno più di 40 anni. Costoro, dopo aver giurato di
redigere le proposte che giudicheranno migliori per lo Stato, presenteranno
proposte per la salvezza dello Stato; ogni altro cittadino avrà anche il diritto di fare una proposta, afÀnché venga adottata la migliore di tutte.
Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene.
148
Elezioni nella Chiesa medievale
Colui che deve essere alla testa di tutti (i credenti) deve essere scelto da
tutti (i credenti).
San Leone, papa (V sec.).
149
Il principio dell’elezione papale
Con la testimonianza di quasi tutto il clero, coi suffragi della folla presente, dei sacerdoti più anziani e degli uomini qualiÀcati, egli fu eletto
dalla maggioranza dei nostri colleghi.
San Cornelio (IlI sec. d.C.).
150
Consenso indispensabile
Che nessun vescovo sia imposto ai fedeli contro la loro volontà.
Celestino I, papa (V sec.).
151
Il principio della maggioranza
Vinca la maggioranza.
Concilio di Nicea (325 d.C.).
152
Si presume che la maggioranza abbia sempre ragione.
Innocenzo IV, papa (1247).
153
Lo scrutinio segreto era già in uso nel 1159 nelle comunità monastiche:
... con gettoni bianchi e gialli, discretamente e segretamente, e non ad
alta voce o per seduta e alzata.
Guillaume de Mandagout, cardinale, Libellum super electionibus, (Àne
XIII sec.).
154
78
Il diritto di essere un uomo
Gli assenti non devono essere contati nel numero di coloro che devono
partecipare al capitolo (all’assemblea).
Panormitanus (verso il 1450).
155
Il mandato imperativo è proibito
Essi sono tenuti a eleggere colui che, in coscienza, credono il più capace, o che stimano esserlo verosimilmente di più.
Nova Collectio dell’ordine dei certosini (1582).
156
Ciò che riguarda tutti, deve essere discusso e approvato da tutti.
Innocenzo III, papa (1161-1216).
157
Diritti del popolo
Solo la comunità dei cittadini o la parte più eminente di essi può dare le
leggi umane.
Marsilio da Padova, Defensor pacis (1324).
158
Costituzione “Nihil novi”
Poiché la legge universale e le costituzioni pubbliche si applicano alla
nazione intera, e non a un individuo, noi stabiliamo che d’ora innanzi non
può essere deciso nulla di nuovo senza il consenso comune del consiglio
e dei deputati.
Polonia, 1505.
159
Elezione del generale
Ecco come essi fanno la scelta del loro generale. Dopo essersi radunati
in assemblea, tutti i vecchi Cosacchi che godono fra loro di credito, danno
ciascuno il proprio voto a colui che essi credono il più capace, ed egli viene
nominato con la pluralità dei voti.
Guillaume de Beauplan, Descrizione dell’Ucraina, 1660, Francia.
160
Diritto dei cittadini a essere rappresentati in Parlamento
In Inghilterra, i cittadini hanno – in virtù della “Common Law” – il diritto di non essere soggetti a leggi che siano state elaborate senza il loro
consenso; e siccome non è possibile ammettere ciascuno di loro a far valere
questo diritto – il che, a causa del loro numero Ànirebbe nel disordine – essi
eleggono dei rappresentanti, ai quali delegano a questo scopo i loro poteri
[...]; si tratta di un diritto eminentemente rispettabile, che permette a ogni
cittadino di partecipare al governo e alla legislazione.
Affare Ashby, Discorsi del Lord Chief Justice Holt, 1704, Inghilterra. 161
Il potere
79
Virtù e doveri del sovrano
La missione del padre sulla terra
Il padre, radice e origine del lignaggio umano. Il suo cuore è buono, egli
è buon amministratore delle cose, è compassionevole, dà prova di sollecitudine, è colui che prevede, sostiene, e le cui mani sono protettrici.
Egli alleva i suoi Àgli, li educa, li istruisce, li sgrida, insegna loro a
vivere.
Egli colloca dinanzi a loro un grande specchio, uno specchio forato dalle
due parti; è come una grande torcia che non fa fumo.
Tradizione azteca (XVI sec.), Messico.
162
Misure prese in occasione di una carestia nell’antico Egitto
Non ho fatto del male alla Àglia del povero. Non ho oppresso la vedova.
Non ho tormentato il contadino. Non ho maltrattato il pastore.
Non esiste un capo squadra di cui io abbia preso gli uomini per farli
lavorare. Non vi è stato un povero intorno a me. Non vi è stato un affamato
all’epoca mia.
Quando vennero gli anni della carestia, io mi sono alzato e ho lavorato
tutti i campi del distretto dell’Oryx, dalle frontiere del sud a quelle del nord.
Ho fatto in modo che i suoi abitanti facessero provviste per sopravvivere e
che nessuno soffrisse la fame. Ho dato sia alla vedova che a colei che aveva
un marito; non ho favorito l’adulto più dell’adolescente coi miei doni.
Poi, quando ritornarono le grandi inondazioni del Nilo e ritornarono in
abbondanza le messi e ogni cosa, non ho reclamato gli arretrati della fattoria.
Iscrizione sulla tomba di Amenemhat, capostipite degli Oryx (XII dinastia, inizio del II millennio a.C.).
163
Al di là di ogni costrizione, la ricerca da parte di ciascuno della propria
perfezione
Kien-wu andò a trovare il pazzo Tsie-Yu, che gli domandò:
“Che cosa ti ha detto Te-Tchong-che?
– Mi ha insegnato, – disse Kien-wu – che il principe pubblica gli editti
sui princìpi della vita sociale e della morale, le regole di condotta e la
valutazione delle cose. I suoi sudditi, poiché non osano disobbedirgli, si
trasformano sotto l’inÁuenza della sua politica.
– Si tratta, – disse il pazzo Tsie-Yu – di un modo di ingannare gli uomini. Voler governare così, è come voler scavare un canale nel mare e far
portare una montagna da una zanzara. Il santo governa forse gli uomini dal
di fuori? Egli corregge dapprima se stesso, e la sua inÁuenza si diffonde
80
Il diritto di essere un uomo
in seguito. Egli non afferma altro che la propria capacità. D’altronde, l’uccello vola molto alto per evitare l’attacco della rete e della freccia; il topo
campagnolo si nasconde profondamente sotto la collina per paura di essere
asÀssiato e disotterrato. Ignori tu forse la saggezza di queste bestiole?”
Ciuang-Tse (III sec. a.C.), Cina.
164
Doveri dei superiori di non abusare dei loro diritti
I superiori si guardino bene dall’incatenare le anime dei loro soggetti
con dei princìpi di ubbidienza, sotto pena di colpa grave, quando non vi
saranno costretti dalla necessità.
Costituzione dei Frati Minori Cappuccini (1536).
165
Doveri del re
Quando un principe afÀevolisce la sua autorità, tradendo il suo nome e
la sua gloria,
Se d’un tratto perde la sua ricchezza, si copre di vergogna.
Tu stesso, o grande re, dovrai istruire il tuo popolo nella via del bene,
Se non vuoi che il tuo regno e il tuo patrimonio diventino preda dei tuoi
servi disonesti.
Fa in modo, o re, di non nuocere mai al tuo popolo inducendolo in errore,
Se non vuoi vederli tutti, uomini e donne, tuffarsi in un oceano di disgrazie.
Quando un re è liberato da ogni timore, e si pone per scopo il piacere
dei sensi,
Se perderà le sue ricchezze e tutto ciò che gli appartiene, si copre di
vergogna.
Tra i grandi della terra, distinguiamo cinque poteri:
Quello delle armi è certo all’ultimo posto;
Viene poi, si dice, quello della ricchezza, o potente signore;
Al terzo posto io indicherei, o re, il potere del discernimento;
Nella valutazione il potere della casta è certamente al quarto posto;
L’uomo avveduto aspirerà, senza dubbio, a ciascuno di questi.
Di tutti questi poteri, il migliore è quello che si chiama sapere,
Poiché dà all’uomo la saggezza e il successo.
Jătaka (Le nascite), tradotto dal pali.
166
Responsabilità particolari del re
Il re deve assicurare il sostentamento dei minori, dei vecchi indigenti
quando sono abbandonati, e anche quella delle donne che non hanno avuto
Àgli (quando sono abbandonate)..
Kautiliya-Arthasâstra (II-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
167
Il potere
Il re deve incaricarsi del sostentamento dei deboli e dei pazzi.
Vasistha-Dharmasûtra, XIX (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
81
168
Il re deve vegliare sui beni dei vecchi e dei minori, dei ciechi e dei poveri.
………
Il regno del sovrano nei cui possedimenti una persona soffre la fame,
anche dopo aver compiuto i suoi studi subisce uno scacco [...].
Il re, nel cui regno delle donne in lacrime sono portate via violentemente, mentre i loro mariti e i loro Àgli si lamentano, è come morto. Egli non
vive.
Mahâbhârata, XIII (II sec. a.C. - I d.C.), tradotto dal sanscrito. 169
Nel suo regno, nessuno dovrebbe soffrire la fame, la malattia, il freddo e
il caldo, sia a causa della povertà che di un’azione deliberata da altri.
Apastamba-Dharmasûtra, II (450-350 a.C.), tradotto dal sanscrito. 170
Il “portavoce” (okyeame) è un personaggio importante che serve da
intermediario tra il capo e il popolo, oppure tra il capo e un altro capo; vigila sull’esattezza del linguaggio di rigore in ogni circostanza, e si rivolge
al nuovo capo eletto in questi termini:
Lascia in pace le donne,
Non lasciarti andare all’ubriachezza,
Quando ti diamo un consiglio, ascoltalo.
Non vogliamo che tu c’inganni,
Non vogliamo che tu sia spilorcio,
Non vogliamo gente che non ascolta i consigli,
Non vogliamo che tu ci prenda per degli schiocchi,
Non vogliamo degli autocrati,
Non vogliamo essere brutalizzati,
Non ci piace essere bastonati.
Prendi lo sgabello,
Benediciamo lo sgabello e te l’offriamo,
Gli anziani dicono che ti danno lo sgabello.
Tradizione ashanti, Ghana.
171
Il nuovo capo presta allora giuramento davanti agli Anziani. Si denuda
la spalla ma non sì toglie i sandali. Impugnando la sciabola da cerimonia
dichiara:
Pronuncio il nome proibito di Mercoledì (giorno sacro).
Pronuncio il grande nome proibito, perché se – con voi – io non governo
bene questo popolo, come i miei antenati e voi lo avete governato, e se
82
Il diritto di essere un uomo
non ascolto i vostri consigli, incorro nel castigo previsto contro colui che
pronuncia la grande parola proibita, io incorro nel castigo previsto contro
chi pronuncia il nome proibito di Mercoledì.
E il capo continua:
Quanto a me, oggi essi mi hanno collocato su questo seggio; vi supplico
di restare dietro a me dignitosamente: vi prego di concedermi una lunga
vita; vi prego di accordarmi l’onore; non permettete che il mio popolo si
stanchi di me; fate che questo popolo prosperi.
Tradizione ashanti, Ghana.
172
Giuramento del sacerdote
Se io, sacerdote di Kloweki,
non ho mai fatto cose simili;
se non ho mai ucciso alcuno,
mai provocato aborti,
mai insultato il nome di alcuno,
né portato falsa testimonianza,
contro chicchessia
e se, malgrado ciò, qualcuno mi accusa
di aver fatto simili cose,
imputandomi in tal modo crimini d’un altro,
sarebbe un grande delitto da parte sua.
Invocate la maledizione di Nânâ kodâ
sulla sua testa.
Tradizione krobo, Ghana.
173
Giusto oggi e ingiusto domani, non è questo un bel modo di governare.
Proverbio akan, Ghana.
174
Tolleranza e perdono
Spirito di vendetta – governo cattivo.
Proverbio akan, Ghana.
175
A Tse Kong, che gli domandava che cosa necessitava per governare, il
Maestro disse: “Alimenti e munizioni in quantità sufÀciente, e la Àducia del
popolo”. Tse Kong disse: “E se fosse assolutamente necessario fare a meno
di una di queste tre cose, a quale rinuncereste?”. “Alle munizioni”, rispose il
Maestro. Tse Kong gli domandò allora a quale delle altre due cose rinuncerebbe se fosse necessario fare a meno di una di esse. Il Maestro rispose: “Agli
alimenti perché Àn dall’origine dei tempi la morte colpisce tutti gli uomini;
ma i popoli che non hanno Àducia (nei loro dirigenti) vanno in rovina”.
Il potere
83
Il Maestro disse: “Se un dirigente ha il cuore eccellente, le cose si faranno senza che egli debba dare degli ordini. Se non ha il cuore eccellente, egli
potrà dare degli ordini, ma non sarà obbedito”.
Confucio (551-479 a.C.), Dialoghi, Cina.
176
Non fare ai tuoi inferiori ciò che non ti farebbe piacere che i tuoi superiori facessero a te.
Scuola di Confucio (V sec. a.C.), Il grande studio.
177
Se il Sovrano, che è il padre del popolo, non può fare a meno di compiere azioni che equivalgono a far divorare degli uomini da bestie feroci, come
potrebbe pretendere di essere (considerato) il padre del popolo?
Mencius (372-289 a.C.), Cina.
178
La vita del Sovrano
Se le leggi vengono fatte dopo essere state discusse [...] gli affari saranno condotti bene. Nei casi previsti dalla legge, la legge sarà applicata; nei
casi non previsti dalla legge, le difÀcoltà saranno risolte per analogia.
Suin Tzu (III sec. a.C.), Cina.
179
Il re sempre al servizio del popolo
Per molto tempo, gli affari dello Stato non sono stati trattati né i rapporti
ricevuti in qualsiasi momento. In seguito a ciò io ho preso ora le seguenti
misure: in ogni momento, sia che io mi trovi durante il pranzo, o nell’appartamento delle donne, o negli appartamenti interni, o nelle scuderie, o
ai corsi d’istruzione religiosa, o nel giardino, dappertutto gli ispettori dovranno presentarmi i loro rapporti sugli affari del popolo. Dappertutto mi
occuperò degli affari del popolo.
Editto di Ashoka, VI (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
180
Il re deve dominarsi
Il dominio dei sensi che conduce allo studio delle scienze e alla disciplina deve essere ottenuto con la rinuncia alla lussuria, alla collera, all’avidità, all’orgoglio, all’arroganza e all’esultanza eccessiva [...].
Di conseguenza, egli dovrà vincere i sensi sbarazzandosi del gruppo
dei suoi nemici (cioè la lussuria, la collera, l’avidità, ecc.), coltivare la
sua intelligenza frequentando i più anziani di lui [...], ottenere il progresso e la stabilità con lo sforzo, fare in modo che il popolo compia i
propri doveri compiendo lui stesso i suoi, sviluppare la disciplina con
l’insegnamento delle scienze, rendersi popolare assicurando il benes-
84
Il diritto di essere un uomo
sere materiale e adottare l’atteggiamento corretto, facendo ciò che è
vantaggioso.
Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
181
La regalità in quanto sacriÀcio
Lo sforzo ininterrotto costituisce il voto che il re deve osservare in quanto sacriÀcatore; l’adempimento dei suoi doveri costituisce la consumazione effettiva del sacriÀcio; l’atteggiamento imparziale nei riguardi di tutti
costituisce l’offerta sacriÀcale e il rito di iniziazione ne è il coronamento.
Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
182
Il contratto del sovrano col popolo
Vainya fu il primo uomo designato come re. In questa occasione, egli
concluse con gli dei e coi saggi, che rappresentavano il popolo, il seguente
contratto:
“Qualunque sia il compito riguardo agli obblighi politici che voi m’imponete di svolgere, in verità, io lo compirò. Non abbiate al riguardo alcun dubbio”. Allora gli dei e anche i grandi saggi gli dissero: Qualunque sia il dovere
il cui adempimento è stato chiaramente prescritto in determinate circostanze,
compilo senza esitazione, scartando ogni considerazione di ciò che è gradevole o sgradevole, rimanendo imparziale verso tutte le creature e rinunciando alla lussuria, alla collera, all’avidità e all’orgoglio. Se qualcuno sfugge
all’adempimento del proprio dovere, dovrai impedirglielo con la forza delle
(tue due) braccia e facendo sempre bene attenzione al tuo dovere personale.
Mahâbârata, XII (II sec. a.C, I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 183
Il Sovrano che regna veramente su tutti i suoi sudditi è colui di cui si sa
solo che esiste. Viene poi il Sovrano che è amato e lodato,
Poi quello che è temuto,
Poi quello che è disprezzato.
Se (il Sovrano) non ha sufÀciente Àducia (nel suo popolo), allora in verità il suo popolo non ha Àducia in lui.
Lao-Tzu (VI sec. a.C.) Tao tô-king, Cina.
184
Se l’autorità dei dirigenti è puramente esteriore, potrà sembrare che l’ordine regni per un certo tempo nello Stato, ma il cuore degli uomini non
sarà in pace. Se quest’autorità si esercita secondo il mio metodo, che è
quello della persuasione interiore, si stabiliranno delle relazioni personali
nel mondo intero e ogni governo diventerà inutile.
Lieh-Tzu, scuola taoista (IV-III sec. a.C.), Cina.
185
Il potere
85
L’imperatore, i suoi ministri e il popolo sono legati da un contratto.
Scuola di Mo-Tzu (V sec. a.C.).
186
Un re che governa secondo la legge deve prelevare un sesto dei beni (dei
suoi sudditi) come rimunerazione dei suoi servizi.
Vasistha-Dharmasûtra, I (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
187
Il primo dovere di un re è quello di proteggere i suoi sudditi
Un re che, senza proteggere i suoi sudditi, percepisce da essi il tributo,
l’imposta, i diritti di pedaggio, una frazione (delle loro rendite) e delle
multe va diritto all’inferno.
Manusmriti (VIII a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
188
Felicità dei sudditi, felicità del re
La felicità del re risiede nella felicità dei suoi sudditi e il suo bene consiste nel bene dei suoi sudditi. Non quello che gli è caro, ma quanto è caro
ai suoi sudditi, ecco ciò che è per lui il bene.
Kautiliya-Arthasâstra (I-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
189
La paternità del re
Tutti gli uomini sono miei Àgli. Allo stesso modo che io desidero vedere
i miei Àgli godere di tutto il bene e di tutta la felicità del mondo, lo auguro
anche a tutti gli uomini.
Editto di Ashoka, I (IlI sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
190
Il re deve proteggere i suoi sudditi che sono sfruttati dai funzionari, specialmente dai Kâyasthas (gli uscieri). Solamente se saranno in tal modo
liberati dal timore suscitato dai funzionari essi potranno essere considerati
veramente come i sudditi del re.
Agni-Purâna, 223, 12 (V sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
191
Il re che si augura che la sua prosperità sia durevole deve anzitutto ricercare con cura i colpevoli e poi punirli con moderazione. Anche se un
ministro vede sua madre morire di fame, non deve far nulla che i saggi
giudicherebbero disprezzabile.
Tirukkural (I sec. d.C.), tradotto dal tamil, isole Mauritius.
192
Virtù regali
Per quanto il possesso di una quadruplice armata – gli elefanti pieni di
feroce ardore che seminano la morte, i cavalli focosi dalla corsa rapida, i
86
Il diritto di essere un uomo
carri montati su alte ruote e completamente bardati di bandiere e i coraggiosi guerrieri che ardono del desiderio di correre al combattimento – possa
contribuire alla grandezza di un regno, sappi, o re, che la sua vera forza
viene dalla pratica della virtù. Evita quindi, rendendo giustizia, di favorire
i tuoi parenti e i tuoi amici; non disconoscere le qualità degli estranei; che
la tua bravura sul campo di battaglia e altrove sia altrettanto appariscente
quanto il sole; che la tua bontà verso i tuoi sudditi sia altrettanto soave
quanto i raggi della luna; riversa i tuoi beneÀci sul mondo come fa la pioggia e scaccia in tal modo la povertà dal tuo regno. O re molto grande e
glorioso! Possa tu vivere (felice) ancora per molti anni.
Purananooru (Il sec. a.C - II d.C., epoca sangam), tradotto dal tamil. 193
Roboamo si recò a Sichem e gli Israeliti vennero a trovarlo per chiedergli di alleggerire il giogo che era stato loro imposto. Il re Roboamo si
consultò con gli anziani che erano stati al servizio di Salomone suo padre
durante la sua vita. Disse loro: “Come mi consigliate di rispondere a questo popolo?”. Quelli gli risposero: “Se oggi ti sottometti a questo popolo,
servendolo e rispondendogli con buone parole, ti obbediranno per sempre”.
Bibbia ebraica, Libro dei Re, I, 12.
194
Giustizia clemente
Dirigere i subordinati con semplicità, governare il popolo con generosità. La punizione non raggiunga i discendenti, le ricompense si estendano
agli eredi. Perdonare gli errori, qualunque ne sia stata la gravità; punire i
crimini intenzionali, per leggeri che siano. Trattare come leggeri i crimini la cui gravità è dubbia e come grandi i meriti la cui importanza non è
evidente. Val meglio trascurare una irregolarità piuttosto che uccidere un
innocente.
Shu-Shing (attribuito a Confucio, 551-479 a.C.), Cina.
195
Qualità richieste per il Gran Sacerdote
Che fosse povero e umile,
Che suo padre e sua madre fossero i più poveri dei poveri
Poca importanza aveva la sua origine,
Contavano solo il suo modo di vivere
La purezza del suo cuore,
La sua bontà, la sua umanità...
Il coraggio del suo cuore...
Si diceva che egli possedeva Dio nel suo cuore,
Egli era profondo conoscitore di tutti gl’insegnamenti di Dio.
Tradizione azteca (XV sec.), Messico.
196
Il potere
87
Il regno della benevolenza
L’imperatore leggendario del Giappone è rivestito di tutti gli attributi
del re-Àlosofo cinese perché è il padre del suo popolo.
Sesto giorno del secondo mese della primavera del quarto anno. L’Imperatore si è rivolto ai suoi ministri in questi termini: “Siamo saliti su di
una alta torre e abbiamo spinto i nostri sguardi a perdita d’occhio, ma non
abbiamo visto alzarsi dalle nostre terre alcun Àlo di fumo. Ne deduciamo
che il popolo è miserabile e che nelle case nessuno cuoce il riso. Abbiamo
saputo che sotto il regno dei saggi sovrani dell’antichità tutti cantavano le
loro lodi e da ogni focolare si udiva questo ritornello: “Quanto è grande
la nostra fortuna”. Noi osserviamo il popolo da tre anni, ma oggi non si
sentono frasi d’elogio; il fumo dei fornelli diventa sempre più raro. Questo
ci fa comprendere che i cinque grani (canapa, miglio, riso, grano e orzo,
i cinque grani dell’antica Cina) non crescono più e che il popolo soffre di
una grande miseria. PerÀno nelle province dell’interno (il territorio che si
estende attorno alla capitale posto sotto l’autorità diretta dell’imperatore)
vi è gente che non ha il necessario; che cosa avverrà nelle province esterne
del nostro regno?”.
Ventunesimo giorno del terzo mese. Venne promulgato il seguente decreto: “D’ora innanzi e per tre anni, che il lavoro forzato sia completamente
abolito e che il popolo levi la testa dalla sua fatica”. A partire da quel giorno
gli abiti di gala e i calzari dell’imperatore non furono più usati e non se ne
fabbricarono più. I viveri caldi e i brodi bollenti cessarono di inacidire o
di alterarsi e non se ne prepararono più. L’imperatore regolò il suo cuore
e frenò i suoi impulsi benché continuasse a svolgere senza sforzo le sue
funzioni.
Da quel momento la cinta del Palazzo cadde in rovina e non fu più ricostruita; la paglia imputridì, ma non fu messa al riparo; il vento e la pioggia
entrarono dalle fessure e bagnarono le coperte; la luce delle stelle Àltrò
attraverso le screpolature e cadde sui tappeti. Dopo di che il vento e la
pioggia vennero a tempo opportuno e i cinque grani fruttiÀcarono in abbondanza. Per tre autunni il popolo ebbe largamente di che vivere e l’elogio delle virtù dell’imperatore si udiva da tutte le parti e il fumo saliva
spesso dai camini.
Primo giorno del quarto mese dell’estate del settimo anno. L’imperatore,
salito sulla sua torre, guardava a perdita d’occhio e vedeva abbondanti fumate. Quel giorno si rivolse all’imperatrice con queste parole: “Noi siamo ora
prosperi, di che cosa potremmo afÁiggerci?”. L’imperatrice rispose dicendo:
“Che cosa intendi tu per prosperità?”. L’imperatore disse: “Non vi è alcun
dubbio che vi sia quando il fumo s’innalza dalle terre e il popolo accede libe-
88
Il diritto di essere un uomo
ramente alla ricchezza”. L’imperatrice proseguì dicendo: “La cinta del palazzo sta crollando e non la si può riparare; le costruzioni sono talmente andate
in rovina che le coperte sono esposte alle intemperie. Si può forse dire che noi
viviamo nella prosperità?”. L’imperatore rispose: “Quando il Cielo insedia un
Principe, ciò è nell’interesse del popolo. Il Principe deve quindi costruire la
sua politica sul popolo. Per questo i saggi sovrani dell’antichità si assunsero la
responsabilità quando uno solo dei loro sudditi era intirizzito e affamato. Ora
la povertà del popolo non ha nulla di diverso dalla Nostra povertà e la prosperità del popolo non ha nulla di diverso dalla Nostra prosperità. Non è possibile
che il popolo sia prospero e che, al tempo stesso, il principe sia povero.
Nihongi (Cronache del Giappone, VIII sec.).
197
Ritratto di un buon re
Egli distribuiva a tutti,
ai giovani come ai vecchi,
tutto ciò che Dio gli dava,
salvo la terra della gente
e la vita degli uomini.
Beowulf, poema epico anglosassone (VIII sec.).
198
Avvertimento ai sovrani
Sappiate che le dinastie declinano perché i sudditi sono negletti e lasciati
senza un lavoro determinato o un compito preciso. Se la disoccupazione si
estende, la gente si mette a riÁettere, a pensare alle cose essenziali. Queste cose vengono allora esaminate sotto angolature differenti e si formano
diverse scuole, il che causa inimicizia e odio reciproco, mentre tutti sono
unanimi nel detestare il loro sovrano.
Attribuito al re sassanide Ardachêr I (III sec.), Persia.
199
Gli si domandò: “Che cosa i sudditi hanno diritto di aspettarsi dai re e
che cosa i re hanno diritto di attendere dai loro sudditi?”.
Egli rispose: “I sudditi hanno il diritto di aspettarsi dai re che essi li trattino con giustizia, diano loro ciò che è loro dovuto, veglino alla sicurezza
delle loro strade e sorveglino le loro frontiere. I sudditi devono ai loro re
buoni consigli e gratitudine”.
Attribuito al re Khosro I, Anoshirvan (VI sec.), Persia.
200
“Il peggio...”
Il saggio domandò allo Spirito della saggezza: “Chi è il peggiore dei sovrani, il peggiore dei capi, degli amici, dei parenti, degli sposi, dei bambini
e dei paesi?”
Il potere
89
Lo Spirito della saggezza rispose: “Il peggiore dei sovrani è colui che non
è capace di vegliare sulla tranquillità del paese e dei suoi abitanti. Il peggiore
dei capi è colui che è incompetente, ingrato verso coloro che lo servono, e
che non sostiene i suoi sottoposti e non intercede per loro. Il peggiore degli
amici è colui del quale non ci si può Àdare. Il peggiore dei parenti è colui
che non vi viene in aiuto nella sfortuna. La peggiore delle spose è colei con
cui non è possibile vivere con piacere. Il peggiore dei Àgli è colui che non
sostiene il buon nome della famiglia. Il peggiore dei paesi è quello dove non
è possibile vivere felici, senza timore, e in modo permanente.
Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 201
Il governo dei più saggi e il benessere del popolo
Siccome questi re, e ciò è veramente notevole, comandavano a province
tanto grandi e regnavano su terre tanto vaste e in una regione molto arida e
disseminata di montagne e di picchi nevosi o coperte di aride sabbie senza
alberi né acqua, occorreva molta saggezza per governare delle nazioni così
numerose, così differenti le une dalle altre per lingua, leggi e religione, per
mantenerle tutte nella tranquillità e permettere loro di godere pace e amicizia; e così benché la città di Cuzco fosse la capitale del loro impero, come
abbiamo già spesso ricordato, essi avevano piazzato a intervalli, come vedremo, i loro delegati e i loro governatori, che erano gli uomini più saggi,
più capaci e più zelanti che si potessero trovare e tra i quali nessuno era
tanto giovane da non aver raggiunto l’ultimo terzo della loro età.
... Su terre così vaste, i loro principi ispiravano tanto timore che ogni
popolo era così sorvegliato, e così ben governato, come se il signore in
persona vi si fosse trovato per castigare coloro che si sarebbero comportati
in altro modo. Questo timore si spiegava con la virtù e la giustizia stessa
dei loro signori; perché si sapeva che se fosse stato commesso un errore, il
castigo avrebbe colpito subito immancabilmente il colpevole, senza che le
suppliche o la corruzione potessero fermarlo. Gli Incas trattavano sempre
bene i loro vassalli e non ammettevano che li si molestasse o si colpissero con imposte troppo pesanti o si facesse loro del male in qualche altro
modo; al contrario, a tutti coloro – ed erano numerosi –- le cui province
erano improduttive e i cui antenati avevano vissuto nella miseria, essi ordinavano di render le loro terre fertili e prospere, fornendo loro il necessario;
e là dove c’era mancanza di abiti o di greggi, essi comandavano di farne
una generosa distribuzione. InÀne allo stesso modo in cui questi signori
seppero utilizzare le loro genti e ottenerne il tributo, così seppero conservare le terre, civilizzare le rozze popolazioni e trarle dalla loro miseria.
Pedro Cieza de León, cronista spagnolo del Perù (XVI sec.).
202
90
Il diritto di essere un uomo
Estratto di un lungo poema in persiano, indirizzato a un sultano ottomano, Solimano I il MagniÀco
Come potrebbe l’uomo che orna la sua tavola di abbondanti cibi, provenienti dalle fatiche del popolo, l’uomo che a tutti i pasti mangia di ogni
sorta di arrosti e di carne ai ferri, come potrebbe un tal uomo impietosirsi
su dei cuori straziati? Il cuore duro è forse capace di provare la minima
pietà per i cuori bruciati sul vivo? Il popolo non avrà alcuna tranquillità e
alcuna fortuna sotto il regno di un monarca ingiusto. Divenuto guardiano
del gregge, il lupo non sarà che una più grande calamità per le pecore. Sovrano senza cuore! Il contadino ha piantato e curato un albero perché tu ti
rallegri alla sua vista. Non andarlo a tagliare, a segarlo per fartene un trono.
Strappare con i denti le labbra che una bella, dal corpo di rosa, ha deposto
quale balsamo sul tuo cuore ferito, non è un atto virile. Quale gioia può
procurarti un trono che tu farai navigare nei Áutti delle lacrime cadute dagli
occhi degli infelici? Sì, tu hai la tua parte di rendita sui beni del contadino,
ma a condizione di recargli il tuo soccorso e la tua protezione ogni volta
che gli accade una disgrazia. Spetta a te il compito di risarcire il contadino
quando i suoi beni soffriranno delle perdite. Chi potrebbe proteggerlo se tu
stesso gli fai torto?
Fuzûlî, poeta curdo (XVI sec.), tradotto da una versione turca.
203
Ogni uomo, nobile e paria, è un’anima donata dal cielo. Lasciare affamare un uomo, anche il più povero, è come uccidere con un colpo diretto
l’anima del cielo [...]. Quando tutto il popolo muore di fame a che serve
l’esistenza del signore? Il signore esiste solo per il popolo.
Baigan Ishida (1685-1744), Sulla città e sulla campagna, Giappone. 204
(Si dice che) i potenti non commettono errori; ma una volta che essi ne
commettono, le loro conseguenze sono gravi.
Bisogna che i potenti abbiano il cuore tenero come cera.
Proverbi turchi, citati nel XV sec.
205
Il Padiscià non deve installarsi nel suo palazzo prima che la casa (degli
umili) sia costruita.
Proverbio turco.
206
Clemenza
Una grande battaglia si svolse tra lui e l’Imam Ahmad, e il Signore Altissimo (Benedetto sia il suo nome!) ornò della vittoria il re Claudio (la
Pace sia su di lui!). E l’Imam Ahmad morì per mano di uno dei servi del re.
Il potere
91
Ed essi uccisero numerosi soldati dell’armata dei Turcomanni e gente del
paese di Saad-ed-Din. E quanto ai superstiti, metà fuggì per la via del mare
con la moglie dell’Imam Ahmad e l’altra metà si impadronì di Muhammad,
Àglio dell’Imam Ahmad, e lo consegnò nelle mani del re onorato Claudio,
e anch’essi deposero la loro sottomissione ai suoi piedi.
Ma egli era clemente e misericordioso, e non rendeva male per il male di
cui erano colpevoli verso di lui, faceva invece il bene come un benefattore.
E quando, nel giorno indicato in testa a questo racconto, molta gente che
gli aveva nuociuto (a lui personalmente), o alla famiglia di suo padre o di
sua madre, o alle chiese che si trovavano nelle parti basse del suo reame, si
arresero nelle sue mani, essi furono lasciati sani e salvi dalla sua clemenza
e misericordia, e non vi fu persona che se la prendesse con loro: neppure
un cane per osare di leccarli con la sua lingua!
Accadde solo che un uomo della schiera Portoghese uccise a tradimento
uno tra coloro i cui misfatti si erano innalzati Àno alle nuvole; tuttavia questa non era la volontà del nostro re Mar Claudio (la Pace su di lui!).
Cronaca dell’imperatore Claudio (1540-1559), Etiopia.
207
Rispetto dell’autorità
Il nobile non si muove.
Bisogna sempre avere rispetto e riguardo verso i superiori, i genitori, i
capi, e tutte le autorità.
Un vecchio non chiede la (sua) parte.
Egli non domanda: “Quale è la mia parte? Dov’è?”. Gliela si dà spontaneamente. Si debbono prevenire i desideri di un uomo anziano e non lo si
deve mortiÀcare per il fatto che deve attirare l’attenzione su di sé.
Più uno è vecchio, più grande è la parte che gli deve essere riservata.
Proverbi mongo, Congo.
208
Durante tutto il suo regno l’Imperatore non si affrettava proprio a condannare a morte. Quando qualcuno aveva assassinato un altro e gli si applicava la legge, egli lo faceva con rettitudine e senza parzialità. Quando
il titolare del debito di sangue di quest’uomo reclamava la sua morte, egli
riscattava (la sua vita) con delle parole paciÀcatrici e pagando per lui il
prezzo convenuto del sangue. Quando un prigioniero di popoli pagani o di
tribù musulmane gli veniva presentato (quest’uomo) capiva che era sfuggito alla morte.
E d’altra parte non era uomo da scontare le colpe degli altri, non dava
retta alle chiacchiere che correvano sulla gente, non accoglieva volentieri
le accuse, non stava continuamente a castigare, non aveva l’abitudine di
92
Il diritto di essere un uomo
adirarsi. E i popoli temevano il suo silenzio senza che avesse bisogno di irritarsi e se gli capitava di arrabbiarsi, il sole non si coricava sulla sua collera. Non odiava la gente a causa dei loro peccati, non rimproverava il giusto.
Piangeva sui morti e si consolava con la speranza della loro risurrezione.
Aveva cura di vestire coloro che erano nudi e distribuiva del pane agli affamati. Attingeva alla sorgente per gli assetati e procurava la guarigione ai
feriti. Sollevava la fatica dei deboli, temeva il Signore Glorioso e altissimo
e rispettava gli uomini.
………
Non raccoglieva ciò che non aveva piantato, non mieteva quello che non
aveva seminato, e non raccoglieva ciò che non aveva sparso. Durante tutto
il suo regno, non usurpò alcun patrimonio del suo prossimo, ne si appropriò
del campo altrui. Non prese la mucca della vedova e non conÀscò l’asino
dell’orfano. Soccorse i Àgli del povero e umiliò gli orgogliosi. La giustizia
si diffuse durante il suo regno e la pace si estese ovunque.
Cronaca dell’imperatore Claudio (1540-1559), Etiopia.
209
Là ove un uomo rappresenta molto, il popolo è poca cosa.
Proverbio ceco.
210
Il sovrano, i suoi intermediari e il diritto alla giustizia
L’uomo assetato va al ruscello: l’uomo vittima di un’ingiustizia va dal re.
Proverbio amarico, Etiopia.
211
Un vero ministro
Le parole “principe” e “ministro” traggono il loro signiÀcato dal servizio reso agli uomini. Se non ho alcun senso del dovere nei riguardi dell’umanità, sono straniero al principe. Se vengo a servirlo senza alcuna considerazione del bene dell’umanità, sono solo il domestico del principe. Ma
se ho a cuore l’interesse del popolo sono il mentore e il collaboratore del
principe. Allora soltanto posso realmente essere chiamato ministro.
Huang Tsung-hsi, Ming-i tai-fang lu (XVII sec.), Cina.
212
Sanzioni per abusi di potere presso gli Inca
Il cacicco che uccideva un Indiano tra i suoi sudditi, senza autorizzazione dell’Inca, era castigato pubblicamente, a colpi di pietra, nella schiena
(ciò che era chiamato la pena della pietra, ed era molto infamante), a meno
che l’Indiano non avesse disubbidito gravemente al cacicco; e se dopo di
Il potere
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essere stato rimproverato e castigato questo cacicco diventava recidivo, ne
moriva; e quando, in seguito a petizioni e intercessioni, questa pena non
veniva eseguita, l’Inca lo privava della sua carica, dandola a un altro.
Bernabé Cobo, Historia del Nuevo Mundo, 1653.
213
Responsabilità delle autorità
Quando dei viaggiatori venivano derubati in un albergo, si puniva in primo luogo il cacicco dal quale dipendeva il servizio dell’albergo; a sua volta
il cacicco puniva gli altri suoi sudditi per la loro negligenza e la mancanza
di sorveglianza.
Bernabé Cobo, Historia del Nuevo Mundo, 1653.
214
(L’Inca Yupanqui) organizzò le province e i dipartimenti nel modo seguente: se un dipartimento non paga il suo tributo, oppure non costruisce
le strade che avrebbe dovuto costruire, oppure non compie tutti i suoi obblighi, il dipartimento cui è associato deve sostituirlo e adempiere – in sua
vece – ai suddetti obblighi e il signore di questo dipartimento dovrà castigare il signore del dipartimento manchevole [...].
Come chi serviva l’Inca godeva di tutti i favori menzionati e di molti altri,
allo stesso modo il capo o il cacicco che si dimostrava negligente o non curante e non agiva con piena giustizia per il bene di tutti gli Indiani che aveva
in carico, era, sull’istante, privato di questa carica, e lo si inviava a custodire
qualche gregge delle sue pecore o a occuparsi di lavori analoghi, ed egli non
poteva contestare questa decisione, perché l’Inca era signore assoluto.
Cronaca dell’origine e del governo degli Inca, verso il 1575.
215
Sanzioni inÁitte alle autorità negligenti
Chiunque ruba degli alimenti o dei vestiti, del denaro o dell’oro sarà
interrogato perché si sappia se ha rubato spinto dalla necessità e dalla povertà, e se si vede che è così, non sarà il ladro a essere castigato, ma colui
che ha l’incarico di fornirgli il necessario e questi sarà privato della sua
carica per non aver provveduto ai suoi bisogni e per non aver tenuto la lista
dei bisognosi, e si darà a detto ladro il nutrimento, i vestiti, le terre e la casa
di cui ha bisogno.
Leggi dei Peruviani, 1594.
216
Garanzie nei pesi e nelle misure
L’Inca aveva, per legge, istituito dei pesi e delle misure in tutti i suoi
regni perché nessuno fosse leso o truffato.
Bartolomé de las Casas (1474-1566), Antiguas gentes del Perú. 217
94
Il diritto di essere un uomo
Se un individuo ha fame
Se fra qualche decina di migliaia di uomini che hanno l’onore di trovarsi
sul territorio di Vostra Eccellenza, un contadino, anche il più umile, muore
di fame o lascia il paese quale vagabondo, questo è un grande delitto di
Vostra Eccellenza. Ma dato che non è facile per Vostra Eccellenza amministrare da sé, direttamente e che ne incarica dei funzionari, Vostra Eccellenza non può pensare che una cattiva amministrazione sia effettivamente
un suo crimine. Neanche i suoi sudditi pensano così: i ministri ne rigettano
la responsabilità sui podestà; questi ultimi fanno lo stesso sui piccoli funzionari; non si sa così chi sia veramente il colpevole... e ci si accontenta di
sistemare le apparenze. È stata la negligenza da parte dei ministri e dei siniscalchi senza dubbio, cui ci ha condotti la mancanza d’interesse politico
di Vostra Eccellenza.
Kazan Watanabe (1793-1841), Misure da prendere in caso di carestia,
Giappone.
218
Il diritto di appellarsi al re
Obbligo del re di rendere giustizia
Se un giavanese si ritiene vittima di un’ingiustizia, può, in ultima analisi, appellarsi direttamente al re; vi è in ciò una specie di diritto civico.
L’appellante e le persone del suo seguito si portano in un determinato
luogo del recinto del Palazzo reale ove si trovano due grandi alberi di Àco;
sono tutti vestiti di bianco, colore della morte. Questa cerimonia si chiama
“pepe”, cioè “stare al sole”, che signiÀca “essere privato di ombra, di
protezione”).
Il re ha allora il dovere di far venire l’appellante e di ascoltarlo. Sebbene questa usanza abbia dovuto esistere durante molti secoli, non la si trova
menzionata in nessun luogo della letteratura giavanese, salvo nel seguente
racconto:
Il principe di Sourabaya possedeva un gallo che era stato prima una gallina. Pensando che questo straordinario cambiamento di sesso interessasse
il re, il principe gli regalò il gallo con una grande cerimonia, spiegando che
il posto di un animale così straordinario doveva essere nel Palazzo reale. Il
re di Giava, che è un essere divino, ha il dono della seconda vista; il nostro
re sapeva dunque che il nipote del principe di Sourabaya sarebbe stato un
giorno il suo successore, e credette che, facendogli quel regalo, si volesse
insinuare che egli avrebbe dovuto ritirarsi e cedere il posto al “nuovo gallo”. Quando il principe di Sourabaya fu partito, il re si adirò contro di lui in
presenza di una numerosa corte.
Il potere
95
Non occorse molto tempo perché questa collera del re venisse conosciuta da tutti. Pangeran Pėkik ne fu tosto informato, e fu preso da stupore e
da paura. Egli si recò quindi al luogo situato a sud dei due alberi di Àco,
vestito di bianco e accompagnato dalla moglie e da tutti i parenti; erano
tutti vestiti.di bianco. In quel momento, il re lasciò i suoi appartamenti
privati per tenere udienza sul palco: egli aveva l’intenzione di conferire a
suo genero, il Àglio di sua moglie ratu Malang, il titolo di “pangeran Natabrata”. Avendo scorto tutta quella gente vestita di bianco, mandò qualcuno
a informarsi del motivo della loro presenza; gli si riferì che gli appellanti
erano il principe di Soubaraya, sua moglie e tutti i suoi parenti. Il re ordinò
di farli subito salire sul palco. Pangeran Pėkik salì, seguito dalla moglie,
che lo tratteneva per il fondo del vestito (che aveva cioè paura). Tutta la
corte era immersa nella tristezza.
Quando il re vide suo zio e sua zia, discese dal trono e li invitò a sedersi
più in basso (poiché erano di un rango meno elevato). Domandò loro perché erano rimasti al sole. Pangeran Pėkik spiegò umilmente che era a causa
del bėkisar che egli aveva offerto; lungi da lui l’idea di intravedere anche
solo la possibilità d’insinuare checchessia; di cercare di far comprendere
qualche cosa al re, di meditare una ribellione, e non avrebbe mai pensato
di cercare di affrettare il corso degli avvenimenti. Pangeran Pėkik e sua
moglie dichiararono umilmente che se il re non voleva avere la bontà di
perdonarli, lo supplicavano di farli immediatamente condannare a morte.
Queste furono le loro parole, mescolate a lacrime; poi si sedettero abbassando il capo.
Quando il re ebbe inteso le parole dello zio e della zia, scoppiò anche
lui in singhiozzi, perché si ricordò del suo defunto padre. Tutti coloro che
assistevano all’udienza e che si trovavano vicino al trono versarono abbondanti lacrime, grandemente impietositi alla vista di Pangeran Pėkik.
Asciugando le lacrime, il re disse allora: “Miei zio e zia, non pensateci
più. Non sono in collera, e ora in verità vi concedo il mio perdono”.
Babad Tanah Jawi, StoriograÀa giavanese, 1626.
219
Protezione dei piccoli da parte dei grandi
Siamo delle piccole lumache che cercano rifugio dietro le foglie di un
banano
Vedi, Àglio mio, io osservo la tua mano, che tu allunghi per acquistare
del bestiame e perché esso s’accresca. L’uomo del cielo ti aiuta a farlo aumentare afÀnché ti renda potente. E tu ti inorgoglisci e pensi: “Non vi è più
nulla che possa contendermelo”. Guardi dall’alto i grandi che circondano
il capo e pensi: “Sono grande quanto loro!”. Una volta che sei arrivato
96
Il diritto di essere un uomo
a questo punto, pensi dello stesso capo, quando lo vedi: “Peuh!”. Tanto
che, quando egli ti osserva, si accorge che tu disprezzi tutto il mondo. Ed
essi parlano di questo e dicono: “Un tale non conosce più nessuno che gli
sia superiore”. Un altro risponde: “Non conosce neppur più il capo!”. E il
capo parla: “Bisogna tendergli un tranello e spogliarlo di quanto possiede!”. Allora un altro dice: “È ora troppo grande perché si possa far ciò.
Se si allontana con i suoi Àgli e la sua parentela, tutto il paese vacillerà.
Purché egli non maledica il capo, lasciamolo fare, rimanga pure qui e noi
l’osserveremo”.
Viene poi il giorno in cui una malattia colpisce i tuoi possedimenti e il
tuo bestiame deperisce. Allora tu ti siedi e pensi fra te: “Vediamo un po’,
a che punto siamo ora?”. E tiri un gran sospiro. E mentre sogni così, sei
colto tu stesso da una malattia, muori e lasci dietro di te degli orfanelli.
Allora questo clan di cui tieni così poco conto, ti dice ora: “Era un uomo
violento, che non riconosceva più nessuno. Se ne vada!”. Quando ebbero
parlato così è che tu lasci degli orfani, ecco che sopraggiunge una carestia. Quando arriva una carestia, che divora la gente, allora noi, noi siamo
delle piccole lumache, e il luogo ove sopravviviamo è dietro un ventaglio
di foglie del banano, dove ci nascondiamo, e così continuiamo a vivere.
Se vuoi renderti conto che siamo come delle lumache, allora fa’bene attenzione, quando fa caldo, durante la “Luna della Siccità”, perché è essa
che porta la carestia alle lumache, di modo che spariscono e che non se
ne trovano più quando se ne cercano. Ma se stacchi una grande foglia
del fusto del banano, allora tu ne trovi molte che si erano nascoste lì dietro. Ma appena arriva la pioggia, che è loro favorevole, allora quelle che
son sopravvissute al calore, escono in pieno giorno. E noi uomini, siamo
come le lumache e sopravviviamo vicino ai grandi che sono dei capi. Se
lasci dietro di te un orfanello, il capo lo raccoglierà, come accade per la
lumaca che è rimasta in vita dietro la foglia del banano. Il capo è per gli
uomini la larga foglia del banano. Per questo io ti dico, Àglio mio, non ti
affaticare a spingere di gomiti per introdurli tra la gente e non riconoscere
più alcun padrone sopra di te. Moderati e umilia te stesso. Mantieni il tuo
spirito ben aperto perché sia informato. Se allora tu lasci un orfanello,
egli intravvede dove rifugiarsi, dietro la larga foglia, cioè dietro il capo.
Il capo diventa la fortuna dell’orfanello, ed egli arriva come te alla potenza. E l’uomo del cielo darà di nuovo del bestiame, perché il capo avrà
aiutato, perché tu ti sarai dimostrato saggio abbastanza perché egli non ti
volti la schiena.
Tradizione chagga, Tanzania.
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Il potere
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Rispetto reciproco e non rivalità
Sole e pioggia non si carpiscono la maestà (nessuno dei due è senza
prosperità).
Tanto il sole che la pioggia rendono dei grandi servizi agli uomini
colmandoli di beneÀci: il sole porta la stagione secca con la sua abbondanza di pesci, la pioggia fa crescere le piante. Inoltre, si succedono regolarmente, cedendosi vicendevolmente i giorni e le epoche dell’anno.
Applicato a coloro che rispettano l’autorità degli altri: è così che ciò
deve farsi.
Proverbio mongo, Tanzania.
221
Dialogo tra un giudice marocchino (cadi) e il rappresentante del
Califfo
Mohamed Chemsedin, il giudice, andò come d’uso incontro al nuovo rappresentante del Califfo per augurargli il benvenuto. Quest’ultimo, oltre che dalla sua guardia d’onore, era accompagnato da un gruppo di contadini che aveva catturato durante il suo viaggio. Mohamed
Chemsedin s’informò della destinazione dei prigionieri. “Mi propongo
di impiccarli”, rispose il rappresentante del Califfo. Il giudice gli domandò con quale diritto simili atti sarebbero stati compiuti. “Sono dei
ladri e degli uccisori di persone umane”, replicò il rappresentante del
Califfo. “La prova della loro colpevolezza è stata stabilita in modo legale?”, fece osservare il giudice. “Non abbiamo bisogno di stabilirla”,
replicò il rappresentante del Califfo. “Ammazzare deliberatamente una
persona umana in modo illegale non sarà certo compiuto in mia presenza”. “Dovreste piuttosto, – continuò il giudice – entrare in città, esaminare ogni caso e veriÀcare se le colpe di cui sono imputati sono state
bene stabilite. Solo dopo che queste colpe saranno state materialmente
provate la loro condanna a morte sarà giustiÀcata e legale”. Allora il
rappresentante del Califfo si rassegnò e si arrese al parere del giudice,
che a quell’epoca godeva di una grande autorità morale.
Cadi Buliaman Munjidin Al-Hanbali (XIV sec.).
222
Se un capo che io ho designato commette un’ingiustizia nei confronti
di un essere umano e io vengo a saperlo, se non faccio nulla per rimediarvi, sono io che commetto questa ingiustizia.
Che la vittima di un governatore ingiusto se ne lagni con me!
Il Califfo ‘Omar Ibn Al-Khattab (VII sec.).
223
98
Il diritto di essere un uomo
Uguaglianza di accesso alle funzioni pubbliche
Colui che ha afÀdato alle mani di un uomo anche solo una minima parte
degli affari musulmani, pur sapendo che un altro ne era più degno, costui
ha offeso Dio, il suo Profeta e la comunità dei fedeli.
Hadith (Detti del Profeta).
224
Disposizioni che mirano a proteggere gli individui contro ciò che è arbitrario e a impedire alle autorità di oltrepassare i loro diritti
Codice legislativo nazionale di Magnus Erikson, redatto verso il 1350
(Il Re deve prestare giuramento) di difendere, amare e preservare la
giustizia e la verità e reprimere l’iniquità, la menzogna e l’ingiustizia, in
conformità alla legge e in virtù delle sue prerogative regali. (Egli deve
inoltre giurare) di mostrarsi leale e fedele verso tutti i suoi compatrioti e di
non attentare alla vita o all’integrità corporale di chiunque, ricco o povero
che sia, senza un’inchiesta giudiziaria, fatta nella buona e dovuta forma,
come lo prescrivono le leggi e la giustizia del paese, oppure di non privare
chiunque dei suoi beni, se non in applicazione alla legge e dopo regolare
processo.
Svezia.
225
Ordinanza del 1809
Il Re farà prevalere e servirà la giustizia e la verità; si opporrà all’iniquità e all’ingiustizia e le proibirà. Non priverà né lascerà privare chiunque
della vita, dell’onore, della libertà o del benessere, senza un giudizio e una
condanna in perfetta regola. Non priverà né lascerà privare chiunque dei
suoi beni mobili o immobili senza un giudizio in buona e dovuta forma,
conformemente alle disposizioni delle leggi e alle ordinanze svedesi. Egli
non disturberà né permetterà che altri disturbi la pace di chiunque nel suo
focolare. Egli non deporterà nessuno da un luogo a un altro; non eserciterà e non lascerà esercitare alcuna pressione sulla coscienza di chiunque;
veglierà invece afÀnché ognuno possa praticare liberamente la propria religione, a condizione di non turbare l’ordine pubblico o provocare qualunque scandalo. Il Re farà giudicare ogni accusato dal tribunale competente.
Svezia.
226
LIMITI DEL POTERE
Contro l’arbitrio del principe o dello Stato
Al sultano Mulay Ismael:
Vi scrivo questa lettera perché non mi è più possibile mantenere il silenzio. Da molto tempo vedo che il nostro Sovrano cerca le esortazioni e i
consigli e che desidera veder aprirsi le porte della prosperità e del successo.
Pertanto ho voluto scrivere al nostro Sovrano una lettera che, se egli vorrà
tenerne conto, mi permetterà di sperare per lui i beneÀci di questo mondo
e quelli dell’eternità e l’elevazione ai più alti gradi della gloria; se io non
sono degno di rivolgere delle esortazioni, spero che il nostro Sovrano sarà
degno di riceverle e che egli non ce ne vorrà.
Sappia quindi il Sovrano che la terra, con tutto quello che contiene, è il
regno di Dio, l’Altissimo che non ha soci (uguali), e che le creature sono le
schiave di Dio e i suoi servitori. Il nostro Padrone è uno di questi schiavi,
cui Dio ha dato il potere sui suoi schiavi per metterlo alla prova. Se egli
li tratta con giustizia, misericordia, equità e integrità, è il luogotenente di
Dio sulla terra e l’ombra di Dio sui suoi schiavi: e gode presso Dio di un
rango elevato. Ma se li governa da tiranno, da oppressore, con durezza,
con orgoglio, violando la giustizia, egli si pone in stato di rivolta contro il
suo Padrone; nel suo regno non è che un usurpatore insolente e si espone al
più terribile dei castighi da parte del suo Padrone e alla sua collera. Ora, il
nostro Sovrano sa quello che attende chiunque voglia tiranneggiare i suoi
sudditi senza il consenso del Padrone, e farne degli schiavi, la sorte che
sarà la sua il giorno in cui egli sarà nelle Sue mani [...].
Un saggio ha detto: “Un regno è un ediÀcio, l’esercito ne costituisce
le fondamenta. Se queste fondamenta sono deboli, la costruzione crolla.
Non vi è sultano senza esercito, non vi è esercito senza prosperità, non vi è
prosperità senza giustizia: dunque la giustizia è la base di tutto”. Il Àlosofo Aristotele disegnò per il re Alessandro una Àgura geometrica circolare,
sulla quale scrisse queste parole: “Il mondo è un giardino, in cui il governo
è la siepe; il governo è un sultano sostenuto dalla legge; la legge è una
100
Il diritto di essere un uomo
base amministrativa che il re manovra; il re è un pastore che è sostenuto
dall’esercito; l’esercito è un ausiliare che assicura l’abbondanza; là dove
vi è abbondanza, si raggruppano i sudditi; i sudditi sono degli schiavi che
la giustizia guida, la giustizia è una sintesi che regge il mondo, il mondo è
un giardino, ecc.”.
Il Profeta (che la benedizione di Dio lo accompagni!) ha detto: “Voi siete
tutti pastori e ogni pastore deve rendere conto del suo gregge”.
“Vi sono uomini che dilapidano ingiustamente il bene di Dio; essi conosceranno il fuoco il giorno del Giudizio; senza avere le mani legate, la
giustizia inÁiggerà loro (questo castigo); l’ingiustizia li farà perire”.
Il nostro maestro Ali Ben Abu Taleb (che Dio sia contento di lui!) ha detto:
“Ho visto, a Elabtah, il califfo Omar montato su di un cammello col basto, e
gli ho detto: “Dove vai, o Principe dei credenti?”. Uno dei cammelli destinati
alle elemosine, mi rispose: “È sparito: io lo cerco”. “Vuoi dunque screditare
tutti i tuoi successori?”, gli dissi. “Non rimproverarmi”, riprese egli. Da parte
di Colui che ha fatto portare la verità da Maometto (che Dio preghi per lui!),
se anche la più piccola capretta fosse perduta sulle rive dell’Eufrate, ne sarebbe chiesto conto a Omar nel giorno dell’ultimo giudizio. Non è degno di
maggior rispetto quel principe che causa un torto al musulmano di quanto lo
sia l’impero che getta lo scompiglio tra i credenti”.
Il califfo Ali vide anche un vecchio Giudeo che mendicava alle porte:
“Noi non abbiamo agito con giustizia nei tuoi riguardi – gli disse. – Ti abbiamo fatto pagare la Djezia (imposta speciale pagata dagli Ebrei), Ànché
eri giovane, e ora eccoti ridotto alla miseria per colpa nostra”. E gli fece
corrispondere dal Tesoro il necessario per nutrirlo [...].
Quando il Profeta morì (Dio gli conceda le sue benedizioni e la sua salvezza!), designò come suo successore il califfo Abu Bakr (Dio sia contento
di lui!). Questi Àno allora si era dedicato al commercio sul mercato per
mantenere la propria famiglia. Quando divenne califfo, prese il denaro che
serviva al suo negozio, e volle andare al mercato secondo la sua abitudine. Ma gli Ulema (i saggi), fra i compagni del Profeta glielo impedirono,
dicendogli che aveva abbastanza da fare con il potere senza andare al mercato, e gli assegnarono il denaro necessario per lui e per la sua famiglia
[...]. Venne stabilito per tutti la più perfetta uguaglianza: egli riteneva per
sé – come gli altri – solamente ciò che gli attribuiva la legge sacra. Questa
fu la regola alla quale si conformarono i califÀ suoi successori.
Il nostro Sovrano deve prendere esempio da questi santi personaggi, invece di imitare coloro che seguono le proprie passioni. Interroghi a questo
proposito i dotti di Àducia che ha presso di sé, come Sidi Mohamed Ben
Elhassan, Sidi Ahmed Ben Said e altri studiosi che temono Dio e non pa-
Limiti del potere
101
ventano i Suoi rimproveri. Nel novero delle cose che ho indicate e di quelle
di cui non ho parlato affatto, fate ciò che essi ordineranno e astenetevi dal
fare ciò che proibiranno. Questa è la via della Salvezza, a Dio piacendo!
Io chiedo all’Altissimo di voler proteggere il nostro Sovrano, di guidarlo
e di fortiÀcarlo, afÀnché, sotto la sua egida, la prosperità regni nel paese,
e (Gli chiedo anche) di sterminare con la sua spada i tiranni e gli ostinati.
Così sia.
Lode a Dio, Signore dei mondi.
Lettera dello sceicco Al-Yussi (XVII sec.), Africa del nord.
227
Il poeta contro il sovrano
Se tu sei Salomone, ascolta anche un po’ciò che dice la formica: riÁetti
alle sue parole e rispondile.
Se tu sei sovrano, scalda il popolo come il sole. Sii come l’acqua che
scorre, come il vento che sofÀa (beneÀco per gli uomini).
Conosco ora gli errori della nostra epoca. I cattivi si sono messi a sfuggire tutto ciò che è buono. Ecco che delle persone di bassa origine, soppiantando i nobili, senz’alcuna considerazione per loro, passano al posto
d’onore.
I sovrani non regnano più nell’equità. Il Muftì emette una sentenza per
un denaro. Sappilo: sono questi dei segni dell’avvicinarsi dell’Ultimo Giudizio. I tiranni senza rimorsi stanno superando tutti i limiti.
I poveri vengono maltrattati e il loro volto impallidisce. Ma coloro che
tributano un culto ai potenti assumono un colorito di rosa. I tiranni si mostrano pieni di orgoglio dinanzi agli umili e fanno sprizzare il sangue all’estremità della loro frusta [...].
Coloro che sono cadì (giudici) non restano fermi nel loro giudizio. Essi
non si affaticano più la notte a studiare i loro libri. Non camminano più
nella via diritta della Shari’a. Per concupiscenza stanno andando alla deriva, senza fede.
L’Iran e il Turan dipendono da te, o Fetdah. ApproÀtta della tua fortuna.
L’insieme dei turcomanni erra nelle steppe, o Fetdah. Sta attento a non
versare ingiustamente il sangue.
Oggi re, domani diventerai mendicante, allontanato dal tuo popolo e dal
tuo paese, non potrai più dire nulla. Un giorno, la vita ti abbandonerà, e tu
sarai sacriÀcato. Sei carico di molti peccati, o Fetdah [...].
Terribile è la vendetta del popolo: il tuo avvenire è oscuro. O perirai,
oppure sarai gettato in prigione, non dubitarne. Quando sarà distrutto il tuo
trono non credere che ti lasceranno salva la vita, poiché hai cambiato in
veleno il pane della gente, o Fetdah.
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Il diritto di essere un uomo
Ci hai separati dalle persone care, ed esse sono rimaste in lacrime. I
gemiti che abbiamo emessi hanno raggiunto la volta celeste. Da ogni parte
s’innalzano le forche, ove sono impiccati i nostri uomini. Sappilo, tu hai
superato tutti i macellai, o Fetdah.
Piragi (pseudonimo del poeta). È giunto il momento di dire le proprie
pene e di compatire quelle altrui. Bisogna che il crudele Fetdah si satolli
del sangue che ingoia. Per me, io vivo ancora, ma annoveratemi tra i morti:
se egli viene a sapere che io ho scritto questo poema, Fetdah mi ucciderà.
Magtimgulì (XVIII sec.), Turkmenistan.
228
Contro l’arbitrio del potere
I CAPI SONO COME LA PIOGGIA
Vedi, Àglio mio, i capi sono come la pioggia, imprevedibili nelle loro
inimicizie. Quando soffri per il molto calore e le piante che hai coltivato
si disseccano, allora, il giorno che piacerà all’Uomo del cielo, la pioggia
cadrà sulla terra e le tue piante se la caveranno. E allo stesso modo fanno i
capi. Oggi piace loro di diventare nemici e subito dopo li vedi contrattare
l’alleanza.
Capita che ti sei messo in animo di andare a visitare un qualche capo.
Nel frattempo, appena esci di casa tua, ecco che si sÀdano l’un l’altro. L’uno pensa: “Se un suo uomo cadesse nelle mie mani, lo ammazzerei, perché
(l’altro capo) venga e noi ci battiamo afÀnché sia chiaro chi di noi due è
l’uomo e chi la donna”.
Là ove tu vai, il capo ha conferito con i suoi uomini e ha detto: “Ostruiamo la strada afÀnché (l’altro capo) se ne accorga, vada in collera e così
noi possiamo batterci.”
Quando ha parlato in questo modo, un uomo se ne va e lo racconta
a sua moglie. Le dice: “Noi siamo incaricati di ostruire il cammino di
Mosci per domani”. Essa gli domanda: “Come farete?”. Egli le dice:
“Se vediamo un uomo che viene da Mosci, dobbiamo ucciderlo. Perché
essi sappiano che siamo nemici”.
La donna pensa: “Oh, potrebbe venire un uomo che ha concluso un
patto di sangue con mio padre, oppure con mio suocero, e sarà forse ucciso”. Essa decide: “Andrò a tagliare dell’erba ai bordi della strada. Se
vedo qualcuno, gli dirò di tornare indietro. Un uomo è un uomo, gli dirò
in ogni caso di tornarsene indietro perché rimanga in vita”. E la donna
prende i suoi legacci di vimini e se ne va a tagliare l’erba sul ciglio della
strada. Ma gli altri sono in un’imboscata con il loro capo. Tu, tu cammini tutto allegro, diritto dinanzi a te, come desideri. E arrivi e incontri
la donna mentre sta tagliando dell’erba. Vuoi passare senza fermarti,
Limiti del potere
103
e non sei nemmeno disposto a salutarla. Essa alza il capo, ti vede, e ti
domanda: “Dì un po’, Signore, tu che passi, donde vieni, che non saluti
nessuno? Donde vieni dunque, suocero mio?”. Tu hai premura e gli
rispondi con vivacità: “Vengo da Mosci!”. Ma essa domanda: “Conosci
tu il racconto del paese dell’Est? per andare così lungo la tua strada?”.
Quando senti una domanda di questo genere riÁetti bene e pensa a
quel che ti ho detto: torna indietro e fuggi. Non seguire la donna.
Se la segui, la poni in pericolo di essere smascherata. E se incontri
qualcun’altro, digli di tornarsene indietro anche lui.
E vedi, Àglio mio, essi, dopo, si gettano su di un altro e lo uccidono,
tu invece così sei salvo! Dopo, quando essi si sono battuti e l’uno dei
due (capi) è stato vinto e ha chiesto la pace, si riconciliano. E la gente
va e viene come per il passato e va a farsi visita. Ma tu pensi: “Ecco.
Senza la donna sarei stato certamente io a essere ucciso. E poi tutto
si sarebbe aggiustato come adesso, e tutti si sarebbero rallegrati allo
stesso modo”.
Ecco ciò che signiÀca quanto io ti dico: sono simili ai parapioggia.
Tu, tu saresti morto, ed essi, con questo, avrebbero concluso la pace; tu
però non esisteresti più.
Tradizione orale chagga, Tanzania.
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Le leggi vengono da te, e anche la guerra viene da te. (Invece della pace,
i superiori fanno la guerra ai propri subordinati. La loro parola è la pace
e l’ordine, ma lo spirito è uno spirito di violenza.
Nel concetto nknundò, l’autorità deve essere dolce, paciÀca e rispettosa
della libertà paterna).
Proverbio mongo, Tanzania.
230
Rispetto della persona umana
Là ove l’uomo viene negato, il diavolo stesso perde i suoi diritti.
(Rivolta contro le angherie del capo e messa in guardia nei suoi confronti. Per i Peulh, un capo che ha solo degli schiavi come sudditi non un
capo, perché nessuno osa dirgli la verità. Ora il potere è dialogo. “Halá”,
in peulh, signiÀca “diritto”, ma anche letteralmente: parola, verbo, logos).
O capo, come vuoi che avvenga l’impossibile?
(Grido di rivolta di una delegazione di contadini peulh all’indirizzo di
un prefetto dell’epoca coloniale, e diventato in seguito detto popolare, utilizzato per riÀutare da parte degli uomini corvée o animali requisiti).
Proverbi peulh, Africa.
231
104
Il diritto di essere un uomo
Cattiva obbedienza
Perché l’uomo accetti la mia legge senza condizioni, l’ho avvilito in
tutti i modi: l’ho persino costretto a dormire con la propria madre; ora egli
è diventato sempre più disobbediente. Capisco adesso che egli mi aveva
servito nel migliore dei modi quando l’ho trattato come un fratello.
Proverbio somalo.
232
Contro il timore
Il timore vi garantisce male una lunga vita, mentre la benevolenza vi
assicura una fedeltà che non Ànisce. Colui che tiene i suoi sudditi sotto la
propria autorità, grazie a un’oppressione violenta, deve senza dubbio impiegare dei metodi crudeli, come il padrone deve fare nei riguardi dei suoi
servi se non può dominarli diversamente; ma in una città libera, non vi è
nulla di più pazzesco che prendere delle misure severe per farsi temere; si
può certo rovinare le leggi modiÀcandole col denaro e intimidire la libertà dei giudizi muti, dei suffragi anonimi su di una carica da assegnare le
fanno tuttavia talvolta risorgere. La libertà, quando la si fa cessare, attacca
il potere con maggior asprezza che se la si mantiene. Abbracciamo quindi
il partito che è di facilissimo accesso e che non serve soltanto alla conservazione della nostra vita, ma a quella della nostra ricchezza e del nostro
potere: lungi dal farci temere, conserviamo l’amore di tutti e otterremo
così molto facilmente ciò che vorremo, nei nostri affari privati e nella nostra vita pubblica. Quando ci si vuol far temere, bisogna prima provare noi
stessi il timore di coloro che ci temono.
Cicerone (106-43 a.C.), Trattato dei doveri.
233
Contro l’odio e il timore
Val meglio perire che odiare e temere; val meglio perire due volte che
farsi odiare e temere; tale dovrà essere un giorno la massima suprema di
ogni società organizzata politicamente.
Friedrich Nietzsche, II viaggiatore e la sua ombra.
234
È pertanto incontestabile, ed è la massima fondamentale di tutto il diritto
politico, che i popoli si sono dati dei capi per difendere la loro libertà e non
per asservirli.
Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, 1755.
235
Il “Bill of rights” (Inghilterra, 1689), che condannava la condotta di
Giacomo II, comprendeva specialmente i seguenti articoli:
Limiti del potere
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1. Il preteso potere di sospendere delle leggi o di far eseguire delle leggi
per l’autorità regale, senza il consenso del Parlamento, è illegale.
2. Il preteso potere di dispensarsi dalle leggi, o dall’esecuzione delle leggi, in virtù dell’autorità regale, senza il consenso del Parlamento è illegale.
5. I sudditi hanno il diritto di presentare delle petizioni al re, e ogni denuncia e ogni procedimento giudiziario motivati da queste richieste sono
illegali.
9. La libertà di parola e le discussioni o le deliberazioni in seno al Parlamento non debbono essere attaccate né contestate da alcun tribunale o
luogo esterno al Parlamento.
10. Non bisogna esigere cauzioni eccessive, né imporre multe eccessive,
né inÁiggere pene crudeli e non comuni.
11. Ogni imposizione di multa o minaccia di conÀsca di cui fossero oggetto dei privati, prima del giudizio, è illegale e nulla.
Bill of rights, Inghilterra.
236
Contro lo Stato
L’apparato dello Stato centralizzato con i suoi organi militari, burocratici, clericali e giudiziari onnipresenti e complicati, stringe il corpo vivente
della società civile come un boa constrictor [...]. Tutti gli interessi, anche
piccoli, che risultano dalle relazioni tra i diversi gruppi sociali, furono separati dalla società stessa, resi indipendenti da essa e messi in opposizione
con essa, sotto la forma dell’interesse dello Stato, che gestivano i sacerdoti
della divinità dello Stato (Staatspriester): la gerarchia dei funzionari [...].
Tutte le rivoluzioni non hanno fatto che perfezionare questa macchina dello Stato invece di sbarazzarsi di questa sofferente oppressione.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871.
237
La vera democrazia: La Comune
La Comune di Parigi (1871) non fu una rivoluzione contro tale o tal’altra forma di potere dello Stato, legittimista, costituzionale, repubblicana o
imperiale. Fu una rivoluzione contro lo Stato stesso, questo aborto innaturale della società; fu la ripresa, da parte del popolo e per il popolo, della
sua propria vita sociale. Non fu una rivoluzione fatta per trasferire questo
potere da una frazione di classi dominanti a un’altra, ma una rivoluzione
per rompere quest’orribile apparato stesso del dominio di classe. Non fu
una di quelle meschine lotte tra la forza esecutiva e la forma parlamentare
della dominazione di classe, ma una rivolta contro queste due forme che
si confondono, la forma parlamentare non è che un’appendice ingannatrice dell’esecutivo. Il Secondo Impero fu la forma conclusiva dello Stato
106
Il diritto di essere un uomo
usurpatore. La Comune ne fu la negazione netta [...]. Essa è la ripresa del
potere di Stato da parte della Società, di cui diviene la forza vivente invece
di essere la forza che la domina e la soggioga. È la sua ripresa da parte
delle masse popolari stesse che sostituiscono la loro propria forza alla forza organizzata per opprimerle. La Comune è la forma politica della loro
emancipazione sociale.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871.
238
La legge al di sopra o al di sotto del potere
La legge al di sopra del potere
Bisogna che il popolo combatta sia per la sua legge che per le sue mura.
Eraclito di Efeso (VI sec. a.C.).
239
Contro coloro che vivono nel paese non pronuncerò un bando contrario
alle leggi stabilite e ai decreti del popolo ateniese e del Consiglio; non lo
farò io stesso e impedirò a chiunque altro di farlo.
... Non riceverò regali [...] né io né un altro, uomo o donna di mia conoscenza, senza simulazione o manovra qualsiasi. Ascolterò l’accusatore e
l’accusato con la stessa imparzialità e dirigerò il mio voto sull’oggetto preciso della mia causa. Lo giuro per Zeus, Poseidone, Demetra. Se divento
spergiuro, che io perisca, io e la mia casa; se sono fedele al mio giuramento, possa io prosperare.
Giuramento degli eliasti nel discorso contro Timocrate da parte di Demostene (circa 353 a.C.).
240
Non modiÀcate mai una legge per soddisfare i capricci d’un principe; la
legge è al di sopra del principe.
Kuan-tse (VII sec. a.C.), Cina.
241
Se vi fossero in quel tempo dei magistrati costituiti per la difesa del
popolo, per frenare la troppo grande cupidigia e la licenza dei Re, come
anticamente i Lacedemoni avevano coloro che essi chiamavano Efori, i
Romani i loro difensori popolari, gli ateniesi i loro avvocati e come sono,
oggigiorno, in ogni regno i tre stati quando sono radunati. A coloro che saranno costituiti in tale Stato non proibirò di opporsi e di resistere all’intemperanza o alla crudeltà dei Re, secondo il dovere del loro ufÀcio, a tal punto
che se essi dissimuleranno, vedendo che i Re disordinatamente vessano il
povero popolo, stimerò mio dovere accusare di spergiuro una tale dissimu-
Limiti del potere
107
lazione, con cui maliziosamente essi tradirebbero la libertà del popolo; della quale essi dovrebbero sapere di essere istituiti tutori per volontà di Dio.
Jean Calvin, Istituzione cristiana, 1541.
242
È quindi opportuno che la legge domini e sui re e su tutti i magistrati,
afÀnché essi se ne difendano contro le passioni dell’anima e se ne facciano
una regola per governare se stessi e per governare il loro popolo.
Andrzej F. Modrzewski, De Republica emendanda, 1551, Polonia. 243
Quando l’amministrazione si lascia fuorviare all’eccesso e si rende dispotica e tirannica, sacriÀcando il diritto e la libertà del popolo, la missione
delle leggi è precisamente quella di raddrizzarla e di ricondurla nel solco
della giustizia. L’istituzione della Magna Charta in Inghilterra e la promulgazione della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, al
tempo della Rivoluzione in Francia, ne sono validi e celebri esempi. Ciò
che spazia nell’aria al di sopra del popolo giapponese per servirgli di regola
e di modello, preservandolo dalla sconÀtta e dalla depravazione, è precisamente la virtù delle leggi.
Tsukasa Okamura (1866-1922).
244
La legge strumento di potere
L’uomo che ha il senso della giustizia è padrone della legge stessa
LO STRANIERO: Ora è ben chiaro che, in un certo modo, la legislazione
è funzione regale; e tuttavia, ciò che va meglio, non è di donare forza alle
leggi, ma all’uomo regale dotato di prudenza. Sai perché?
SOCRATE IL GIOVANE: Quale è dunque il tuo perché?
LO STRANIERO: Il fatto è che la legge non sarà mai capace di abbracciare
insieme quanto vi è di migliore e di più giusto per tutti, in modo da poter
pubblicare le prescrizioni più utili. Poiché la diversità che vi è tra gli uomini e gli atti, e il fatto che nessuna cosa umana è, per così dire, mai in riposo,
non lasciano posto, in nessuna arte e in nessuna materia, a un assoluto che
sia valido per tutti i casi e per tutti i tempi. Penso che su questo punto siamo
d’accordo.
SOCRATE IL GIOVANE: E come!
LO STRANIERO: Ora è proprio a questo assoluto che noi vediamo che la
legge si sforza di arrivare come un uomo sicuro di sé, ignaro, che non
permetterebbe a nessuno di fare nulla contro la consegna che egli ha proclamato, e non ammetterebbe alcuna discussione fosse anche in presenza
di una situazione nuova, migliore, in tal o tal altro caso, di quella che era
prevista nelle proprie prescrizioni.
108
Il diritto di essere un uomo
SOCRATE IL GIOVANE: È vero, la legge agisce nei confronti di ciascuno di
noi, esattamente come hai detto tu.
LO STRANIERO: Non è quindi impossibile che quello che rimane sempre
assoluto si adatti a ciò che non lo è mai?
SOCRATE IL GIOVANE: È certo da temersi.
Platone (429-347 a.C.), Politica.
245
La legge da sola non basta e l’ordine non si perpetua da se stesso. Quando arriva l’uomo che ha le qualità richieste, la Legge adempie il suo compito, ma non diversamente. Sotto il governo di un santo, le leggi generali si
applicheranno in tutti i casi, ma quando il Sovrano non è un santo, nessuna
legislazione potrebbe essere applicata in modo soddisfacente. Ora, quando
la legge è mal applicata, il disordine non è lontano.
Siun Tsu (III sec. a.C.), La voce dell’imperatore, Cina.
246
Le leggi e l’ordine non sono che lo strumento del governo, non sono la
sorgente della purezza o dell’impurità di questo governo.
Siun Tsu (III sec. a.C.), BibliograÀa di Tong Tchong Chu, Cina. 247
Il trono e la legge
LIBERTÀ (ode)
Fuggi, sparisci dalla mia vista,
Regina impotente di Citera!
Dove sei tu, dove sei tu, terrore dei re,
Fiera campione della libertà?
Vieni, strappa dalla mia fronte la corona,
Spezza questa insipida lira;
Voglio cantare la libertà,
Fustigare il vizio sui troni.
………
Ahimè, dovunque mi volto,
Dovunque fruste, dovunque ferri,
L’onta del diritto schernito,
Le lacrime vane dei servi;
E dovunque io vedo un potere iniquo,
Il genio malvagio della schiavitù,
Installato nelle spesse tenebre dei pregiudizi;
Assetato d’onori e di gloria.
Là soltanto il popolo non soffre
Sotto il dominio dei sovrani
Dove la santa libertà è strettamente associata
Al rispetto rigoroso della Legge,
Limiti del potere
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Il cui duro scudo protegge il mondo intero;
Là dove la spada della Legge, tenuta da ferma mano,
Passa senza abbattersi arbitrariamente,
Sulle teste uguali di tutti i cittadini,
E va a colpir dall’alto il crimine,
Con colpo sicuro e giusto;
Là dove la Legge non si lascia aggirare
Né dall’oro né dal Timore.
O voi, re, è la Legge e non la Natura
Che vi ha dato corona e trono;
Voi, re, dominate il popolo,
ma al di sopra di voi, sta la Legge.
Il poeta, dopo aver evocato in seguito l’esecuzione di Luigi XVI e l’assassinio dello zar Paolo I, termina- così:
O re, questo vi sia di lezione!
Né il castigo, né le ricompense,
Né il sangue delle carceri, né gli altari,
Possono servire a voi di salvaguardia.
Inchinatevi, siate i primi ad accettare
La protezione sicura della Legge;
La libertà e la pace dei popoli
Diverranno allora gli eterni custodi del trono.
Aleksandr Puškin (1799-1837).
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Sottomissione condizionale, coscienza irriducibile
Contro il potere regale, l’esigenza assoluta
Antigone disobbedì al sovrano Creonte che aveva proibito di dare sepoltura a suo fratello
CREONTE: Ora, rispondimi senza frasi, con una sola parola. Conoscevi la
proibizione che io avevo fatto proclamare?
ANTIGONE: Sì, la conoscevo: potevo io forse ignorarla? Era delle più
chiare.
CREONTE: E così tu hai osato passare oltre la mia legge?
ANTIGONE: Sì, perché non è Zeus che l’aveva proclamata! Non è la Giustizia seduta a Àanco degli dei infernali che ha mai Àssato simile legge agli
uomini, e non pensavo che le tue proibizioni fossero abbastanza potenti per
permettere ai mortali di passare oltre ad altre leggi, alle leggi non scritte,
indistruttibili, degli dei: quelle leggi non datano né da oggi né da ieri, e nes-
110
Il diritto di essere un uomo
suno conosce il giorno in cui sono apparse. Potevo io dunque, per timore di
chicchessia, espormi alla vendetta di quelle leggi presso gli dei? Non sapevo forse che dovevo morire? E questo quand’anche tu non avessi proibito
nulla. Ma morire prima dell’ora, lo dico ben forte, per me è tutto proÀtto:
quando si vive come me, in mezzo a disgrazie senza numero; come non
trovare vantaggio a morire? Subire la morte non è per me una sofferenza:
lo sarebbe stato invece se avessi tollerato che il corpo di un Àglio di mia
madre non avesse ottenuto una tomba dopo la sua morte. Di quello, certo,
avrei sofferto; di questo non soffro. Ti sembra senza dubbio che io agisca
come una pazza. Ma il pazzo potrebbe anche essere quello stesso che mi
considera pazza.
Sofocle (V sec. a.C.), Antigone.
249
Contro il diritto naturale, l’esigenza legale
La parola diritto, come anche la parola legge, ha due signiÀcati: un signiÀcato proprio e uno metaforico. Il diritto propriamente detto è la creatura della legge propriamente detta: le leggi reali fanno nascere i diritti reali.
Il diritto naturale è creatura della legge naturale: è una metafora che trae la
sua origine da un’altra metafora.
Ciò che vi è di naturale nell’uomo, sono dei mezzi, delle facoltà: ma
chiamare questi mezzi, queste facoltà dei diritti naturali, è ancora mettere il
linguaggio in opposizione con se stesso: perché questi diritti sono stabiliti
per assicurare l’esercizio dei mezzi e delle facoltà. Il diritto è la garanzia, la
facoltà è la cosa garantita. Come è mai possibile intendersi con un linguaggio che confonde in un medesimo termine due cose così distinte? Dove
andrebbe a Ànire la nomenclatura delle arti se si desse al mestiere che serve
a fare un lavoro lo stesso nome che all’opera stessa?
Il diritto reale è sempre impiegato in un signiÀcato legale, il diritto naturale è spesso impiegato in un signiÀcato antilegale. Quando si dice, a
esempio, che la legge non può andare contro il diritto naturale, si impiega
la parola diritto in un signiÀcato superiore alla legge: si riconosce un diritto
che attacca la legge, che la rovescia e l’annulla.
In questo signiÀcato antilegale, la parola diritto è il più grande nemico
della ragione e il più terribile distruttore dei governi.
Non si può più ragionare con dei fanatici armati di un diritto naturale,
che ognuno interpreta come più gli piace, applica come gli conviene, di
cui non può cedere nulla, nulla depennare; che è inÁessibile e al tempo
stesso inintelligibile, che è consacrato ai suoi occhi come un dogma, e da
cui non si può deviare senza commettere un crimine. Invece di esaminare
le leggi dai loro effetti, invece di giudicarle come buone o come cattive,
Limiti del potere
111
essi le considerano in rapporto al preteso diritto naturale: cioè essi sostituiscono al ragionamento dell’esperienza tutte le chimere della loro
immaginazione.
Non si tratta di un errore innocente, esso scivola dalla speculazione
nella pratica. “Bisogna obbedire alle leggi che sono d’accordo con la
natura, le altre sono nulle di fatto; invece di ubbidirvi, bisogna resistervi. Appena i diritti naturali sono attaccati, ogni cittadino virtuoso deve
ardentemente difenderli. Questi diritti, evidenti per se stessi, non hanno
bisogno di essere dimostrati, basta dichiararli. Come provare l’evidenza?
Il semplice dubbio implica un difetto di signiÀcato o un vizio dell’anima
[...].”
Ma perché non mi si accusi di attribuire gratuitamente delle massime
sediziose a questa specie di ispirati politici, citerò un passaggio positivo
di Blackstone, perché, fra tutti gli scrittori, egli è quello che ha dimostrato il più profondo rispetto per l’autorità dei governi (I Comm., p. 42).
Parlando delle pretese leggi della natura e delle leggi della Rivelazione:
“Non si deve accettare, – egli dice: – che le leggi umane contraddicano
quelle: se una legge umana ci ordina una cosa proibita dalle leggi naturali
o divine, siamo tenuti a trasgredire questa legge umana [...].”
Non è forse questo un mettere le armi nelle mani di tutti i fanatici contro tutti i governi? Nell’immensa varietà delle idee sulla legge naturale e
la legge divina, ognuno non troverà forse qualche ragione per resistere a
tutte le leggi umane? Vi è forse un solo Stato che potrebbe sopravvivere
un giorno se ognuno si credesse, in coscienza, tenuto a resistere alle leggi, a meno che esse non fossero conformi alle sue idee particolari sulla
legge naturale e la legge rivelata? Quale orribile strettoia tra tutti gli interpreti del codice della natura e tutte le sette religiose? [...].
L’utilità essendo stata spesso male applicata, intesa in un signiÀcato
stretto, avendo prestato il suo nome a dei crimini, era sembrata contraria
alla giustizia eterna; era degradata, aveva una reputazione mercenaria, e
bisognava avere del coraggio per rimetterla in onore e per ristabilire la
logica sulle sue vere basi.
Immagino un trattato di conciliazione con il partigiano del diritto naturale. Se la Natura ha fatto questa o quell’altra legge, coloro che la citano
con tanta Àducia, coloro che si sono assunti modestamente il compito
di esserne interpreti, devono pensare che essa ha avuto delle ragioni per
farlo. Non sarebbe più sicuro, più persuasivo e più breve di darci direttamente queste ragioni piuttosto che presentarci la volontà di questo Legislatore sconosciuto come quella che fa autorità da se stessa?
Jeremy Bentham, Principi di legislazione, 1789, Inghilterra.
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Il diritto di essere un uomo
Limiti dell’autorità
Consigli ai sovrani
Sappiate che la vostra autorità non si esercita che sul corpo dei vostri
sudditi, e che i re non hanno alcun potere sui cuori. Sappiate che se voi
dominate gli uomini in ciò che possiedono, non li dominerete mai nel loro
spirito.
Attribuito al re sassanide Ardachêr I (III sec.), Persia.
251
Poiché ho l’onore di essere nato nel vostro regno, trovo il mio corpo
obbediente a Vostra Eccellenza, ma la mia anima non lo sarà mai.
Nichiren Daishonin (1275), Senji Shô, Giappone.
252
Un uomo venne a rendere visita a Raba e gli disse: “Il governatore della
mia città mi ha ordinato di ammazzare un tale, altrimenti lui ucciderà me”.
Raba gli disse: “Lascia che egli ti uccida, ma tu non essere un omicida. Chi
ti dice che il tuo sangue è più rosso del suo? È forse il suo che è più rosso
del tuo”.
Talmud, Yoma, 23.
253
Disposizione del Superiore ecclesiastico
Presso i domenicani è previsto che il Superiore locale o provinciale –
alla metà del periodo del suo mandato – riunisca coloro che lo hanno
eletto.
In quel Consiglio si procederà a uno scrutinio segreto per determinare se
il Provinciale debba essere mantenuto nelle sue funzioni o essere deposto.
Regola dei Domenicani, art. 469, 1283.
254
Eletto a vita, il Superiore Generale può essere deposto
Se dovesse presentarsi il caso (voglia la bontà e la grazia divina evitarlo)
che il Generale si rendesse colpevole di gravi errori, nettamente provati, la
Compagnia, considerando l’onore divino e il bene di tutti, ha il dovere di
deporlo o di allontanarlo.
Epitome della Compagnia di Gesù, 1689.
255
L’obbedienza non è incondizionata
Quanto ai Fratelli che sono soggetti, si ricordino che, per amore di Dio,
essi hanno fatto abnegazione della loro volontà. Pertanto raccomando loro
formalmente di obbedire ai loro Ministri in tutto ciò che hanno promesso
al Signore di osservare e che non è contrario alla loro coscienza e alla nostra Regola. E, – e in qualunque luogo siano i Fratelli – se sono convinti e
Limiti del potere
113
riconoscono di non poter osservare la Regola secondo lo spirito, dovranno
e potranno ricorrere ai loro Ministri.
Regola di San Francesco d’Assisi, cap. X, 1223.
256
(Obbedire) in tutte le cose oneste e lecite, semplicemente e senza discutere, rapidamente e senza tardare, gioiosamente e non per triste necessità.
Costituzione dei Carmelitani scalzi, cap. XII, 1636-1637.
257
I nostri Fratelli devono ubbidire ai Superiori in tutto ciò che deriva dalla
Regola e dalla Costituzione... Non siamo tenuti a obbedire, meglio ancora,
non possiamo ubbidire quando si tratta di un atto che va contro a dei comandamenti di Dio e della Chiesa o della Regola.
Regole dei Domenicani, art. 544.
258
(L’obbedienza è dovuta solo) in tutte le cose in cui non si scorgerebbe
il peccato.
Costituzione della Compagnia di Gesù, 1556.
259
Limiti dell’obbedienza ai principi
Non vi è altra volontà se non quella di un solo Dio che possa essere perpetua e immutabile, regola di ogni giustizia. Perciò noi siamo tenuti a obbedire a Lui solo, senza alcuna eccezione. E per quanto riguarda l’obbedienza
dovuta ai principi, se essi rappresentassero sempre la bocca di Dio per comandare, bisognerebbe anche dire senza eccezione che si dovrebbe obbedire
loro proprio come a Dio; ma poiché, Àn troppo spesso, accade il contrario,
bisogna stabilire questa condizione purché essi: non ordinino cose irreligiose
o inique. Io chiamo ordini irreligiosi quelli con cui ci viene comandato di
fare ciò che la prima Tavola della legge di Dio proibisce, o viene proibito di
fare ciò che essa comanda. Chiamo comandamenti iniqui quelli ai quali non
si può obbedire senza fare od omettere ciò che ognuno deve al suo prossimo,
secondo la propria vocazione, sia pubblica che privata.
Théodore de Bèze, II diritto dei magistrati sui loro soggetti, 1581,
Francia.
260
La ricompensa del comandamento osservato è il comandamento osservato e quella della sua trasgressione è la trasgressione.
Talmud, Avot, 4.
261
Irriducibilità del giudizio individuale
Se fosse facile comandare agli spiriti come alle lingue, nessun governo
si troverebbe mai in pericolo, e nessuna autorità avrebbe bisogno di mez-
114
Il diritto di essere un uomo
zi violenti per essere esercitata. Perché i sudditi orienterebbero tutta la
loro vita secondo il beneplacito dei governanti e nessuno darebbe dei giudizi sul vero e sul falso, né sul giusto o l’ingiusto, se non in conformità al
volere di questi. Ma [...] le cose son ben lontane dallo svolgersi in questo
modo, perché lo spirito di un uomo non potrebbe mai cadere in assoluta
dipendenza di chicchessia. Nessuno saprebbe, di sua propria volontà e
non costretto, trasferire a chicchessia l’intero suo diritto naturale, né la
sua capacità di ragionare e di giudicare liberamente in ogni circostanza.
Di conseguenza, un’autorità politica che pretendesse di farsi valere anche
sugli spiriti, è qualiÀcata come violenta; una maestà sovrana, d’altra parte, commette una violazione di diritto e si rende colpevole di usurpazione
nei confronti dei propri sudditi quando tentasse di imporre loro le nozioni
che essi dovranno accettare per vere o respingere come false; come anche le credenze cui dovrà ispirarsi la loro venerazione verso Dio. Infatti,
ogni uomo gode di una completa indipendenza in materia di pensiero e
di credenza: mai, neppure se fosse fatto volentieri, egli potrebbe alienare questo diritto individuale. Io non nego affatto che, pur senza subire
direttamente l’autorità di un’altra persona, molti uomini hanno la mente
occupata da così numerosi e incredibili pregiudizi che il loro pensiero riproduce, senza tentar di comprenderla, le parole di quest’altra persona: al
punto che sembrerebbe assolutamente giusto dire che essi hanno alienato
la propria indipendenza interiore. Per quanto lontano tuttavia alcuni possano giungere, usando vari artiÀci, nel far valere un’inÁuenza di questo
genere, non si potrebbe impedire che gli uomini scoprano un giorno questo fatto, basato su di una banale esperienza: ognuno di noi preferisce il
proprio modo di vedere in confronto a quello degli altri; e i pensieri sono
soggetti a tante variazioni quanti sono i gusti [...].
Per quanto sia quindi considerevole il diritto di cui una Potenza sovrana
dispone in ogni campo, per quanto fermamente le sia riconosciuto il suo
ruolo di interprete e del diritto umano e del culto più fervente, non si potrà
tuttavia mai impedire ai sudditi di avere un proprio giudizio su ogni cosa,
nel modo che preferiscono, né di provare questo o quell’altro sentimento a
titolo individuale. Ben inteso che la Potenza sovrana ha il diritto di considerare come nemici gli uomini che non condividono assolutamente il suo
modo di vedere in ogni circostanza. Ma [...] quello che noi cerchiamo di
stabilire, non è il massimo del diritto della Potenza sovrana, è bensì che la
condotta che sarà per essa la più vantaggiosa. Non contestiamo che essa
possa legalmente esercitare il sistema di governo più violento e mettere
a morte dei cittadini per un futile motivo; ma una simile concezione del
proprio ruolo – secondo un parere unanime – urta il giudizio razionale [...].
Limiti del potere
115
Lo scopo Ànale dell’instaurazione di un regime politico non è il dominio,
né la repressione degli uomini, e neppure la loro sottomissione al giogo di
un’altro. Ciò cui si mira con un tale sistema, è di liberare l’individuo dal
timore, in modo che ciascuno viva, per quanto è possibile, nella sicurezza;
in altri termini conservi al massimo possibile il proprio diritto naturale di
vivere e di compiere un’azione (senza nuocere né a sé né ad altri). No, lo
ripeto, lo scopo perseguito, non potrebbe essere quello di trasformare degli
uomini ragionevoli in bestie o in automi! Ciò che si è voluto dar loro, è
piuttosto, la più ampia libertà di compiere in perfetta sicurezza le funzioni
dei loro corpi e del loro spirito. Dopo di che, essi saranno in grado di ragionare più liberamente, non si affronteranno più con le armi dell’odio, della
collera, della scaltrezza, e si tratteranno vicendevolmente senza ingiustizia.
In breve lo scopo dell’organizzazione in società, è la libertà!
... Accettiamo per un istante l’ipotesi che il giudizio possa essere represso, e gli uomini imbrigliati così strettamente da non osare pronunciare una
parola se non per ordine della Potenza sovrana. Non si otterrà mai, in cambio, che tutti i loro pensieri siano conformi alle volontà politiche ufÀciali.
Che cosa accadrà dunque? I sudditi agiterebbero quotidianamente pensieri
senza rapporto alcuno con le loro parole; la buona fede, così indispensabile
alla comunità pubblica, si corromperebbe, mentre, sulle tracce detestabili
dell’adulazione e della perÀdia, la furberia e il decadimento dei migliori
modi di vivere sarebbero incoraggiati. Inoltre, bisognerebbe conservare
strane illusioni, per ottenere dagli uomini una così perfetta docilità, fosse
anche solo nelle loro parole; più ci si sforza invece di privarli della loro
libertà d’espressione, e più la loro resistenza è accanita.
Baruch Spinoza, Trattato teologico-politico, 1670.
262
I diritti individuali, che possono anche essere designati come naturali,
primitivi, assoluti, primordiali o personali, sono delle facoltà, delle prerogative morali che la natura ha conferito all’uomo in quanto essere intelligente; sono quindi di sua proprietà, inerenti alla sua personalità, parti
integranti dell’entità umana.
Pimenta Bueno, Commenti alla Costituzione imperiale del 1824,
Brasile.
263
Diritti e garanzie costituzionali
Ora le garanzie costituzionali sono una cosa e i diritti, di cui queste garanzie traducono, in parte, la condizione di sicurezza politica o giudiziaria,
ne sono un’altra. I diritti sono degli aspetti, sono delle manifestazioni della
personalità umana nella sua esistenza soggettiva oppure nelle sue situazio-
116
Il diritto di essere un uomo
ni di relazione con la società o con gli individui che la compongono. Le
garanzie costituzionali sono stricto sensu le solennità tutelari di cui la legge
circonda alcuni di questi diritti per proteggerli contro gli abusi del potere.
Rui Barbosa, Commenti alla Costituzione repubblicana del 1891.
264
Contro le istituzioni di Sparta
Considerata in rapporto al proprio Àne, la legislazione di Licurgo è un
capolavoro della politica e della conoscenza degli uomini. Egli voleva uno
Stato potente, che riposasse sulla propria base, indistruttibile; la forza politica e la durata erano il Àne verso cui tendeva, e questo Àne lo ha raggiunto,
Ànché ciò era possibile nelle circostanze in cui si trovava. Ma, se si confronta il Àne che Licurgo si proponeva con quello dell’umanità, un severo
rimprovero segue l’ammirazione che ci ha ispirato un primo e rapido colpo
d’occhio. Tutto può essere sacriÀcato al bene dello Stato, eccetto ciò cui lo
Stato stesso non serve che come mezzo. Lo Stato stesso non rappresenta
mai il Àne; esso non ha importanza se non come condizione, come via per
raggiungere il Àne dell’umanità, e questo Àne dell’umanità non è altro che
lo sviluppo di tutte le forze dell’uomo, il progresso. Se una costituzione politica impedisce che tutte le forze che sono nell’uomo si sviluppino, se essa
impedisce il progresso dello spirito, è condannabile e nociva, per quanto
sia ben concepita e perfetta nel suo genere. Le qualità stesse che assicurano
la sua durata diventano in questo caso un soggetto di biasimo piuttosto che
di gloria: essa non è allora che un male prolungato; più essa si mantiene,
più è nociva.
Noi possiamo, in generale, nell’apprezzamento delle istituzioni politiche, stabilire questa regola: che sono buone e lodevoli se non in quanto
esse conducono al loro sviluppo tutte le forze che sono nell’uomo; Àn tanto
che esse favoriscono il progresso della cultura, o per lo meno non l’intralciano. Questo si applica sia alle leggi religiose che a quelle politiche: le
une e le altre sono biasimevoli se incatenano una delle forze dello spirito
umano; se, in qualsiasi modo, esse lo condannano a rimanere stazionario.
Una legge, a esempio, che obbligasse una nazione ad attenersi costantemente alla professione di quella fede che, a una data epoca gli è parsa la
migliore, una tale legge sarebbe un attentato contro l’umanità, e nessuna
buona intenzione, per quanto speciosa fosse, saprebbe giustiÀcarla. Essa
sarebbe direttamente opposta al più alto bene, al più alto Àne della società.
………
Il sentimento comune dell’umanità era soffocato a Sparta in un modo
ancora più rivoltante, e l’anima di tutti i doveri, il rispetto del genere umano, si perdevano irreparabilmente. Una legge dello Stato stabiliva come
Limiti del potere
117
un dovere per gli Spartani la disumanità verso i propri schiavi: in queste
miserevoli vittime, l’umanità era oltraggiata e maltrattata. Nello stesso codice di Lacedemone era predicato il pericoloso principio di considerare gli
uomini come mezzo e non come Àne: con ciò le basi del diritto naturale e
della morale erano legalmente capovolte. Tutta la moralità era sacriÀcata
per raggiungere un Àne che non può tuttavia avere valore se non come
mezzo di tendere a questa moralità.
………
Ogni industria era bandita da Sparta; tutte le scienze erano trascurate;
ogni commercio con i popoli stranieri proibito; tutto ciò che poteva venire
di fuori escluso. A Sparta erano chiusi tutti i canali attraverso i quali le
luci avrebbero potuto avere accesso in quella nazione; lo Stato spartano
doveva girare perpetuamente su se stesso in un’eterna uniformità e in un
triste egoismo.
………
Se riassumiamo tutto questo, vediamo sparire quel falso fasto con cui il
solo lato rilevante della costituzione lacedemone abbaglia un occhio non
sperimentato; troviamo solo più un’imperfetta prova da scolaro, il primo
tentativo di un mondo ancora giovane, che mancava di esperienza e di luce
per riconoscere i veri rapporti delle cose. Per quanto difettoso sia stato in
Àn dei conti questo primo esperimento, esso rimarrà sempre notevole per
chi studia da Àlosofo la storia dell’umanità. Era in deÀnitiva un passo da
gigante dello spirito umano il trattare come opera d’arte ciò che Àno ad
allora era stato abbandonato al caso e alla passione. Il primo esperimento
nella più difÀcile di tutte le arti doveva essere necessariamente imperfetto:
esso resta tuttavia sempre stimabile, perché è stato tentato nell’arte più
importante. Gli scultori hanno cominciato con degli Ermes prima di innalzarsi alla forma perfetta di un Antinoo o di un Apollo del Vaticano;
dopo Licurgo, i legislatori si esercitarono lungamente ancora in grossolani
tentativi, Àno a che il felice equilibrio delle forze sociali si presentò loro
spontaneamente.
La pietra cede pazientemente allo scalpello che la cesella, e le corde che
tocca il musicista gli rispondono senza resistere alle sue dita.
Solo il legislatore lavora una materia spontaneamente attiva e resistente:
la libertà umana.
Friedrich Schiller, La legislazione di Licurgo e Solone (1759-1805). 265
Libertà e onore
La libertà è il diritto di ogni uomo a essere onorato e a pensare e parlare
senza ipocrisia [...]. Vi sono degli uomini che vivono contenti anche se vi-
118
Il diritto di essere un uomo
vono senza onore. Ve ne sono altri che soffrono mille morti quando vedono
che gli uomini vivono senza onore attorno a loro. Occorre nel mondo una
certa quantità di luce come occorre una certa quantità di onore. Quando
vi sono molti uomini senza onore, ve ne sono sempre altri che assumono
l’onore del maggior numero di essi.
Sono questi che si rivoltano con una terribile forza contro coloro che
rubano al popolo la libertà, cioè il loro onore. Questi uomini rappresentano
migliaia di uomini, un popolo intero, la dignità umana. Essi sono sacri.
José Marti, L’età d’oro, 1889, Cuba.
266
Nessuna sottomissione incondizionata
Una fedeltà indefettibile dei partigiani al capo crea una relazione che
non è politica e che esiste solo in cerchio ristretto e in strutture sociali
primitive [...]. In uno Stato in cui regna la libertà, il controllo di tutti e i
cambiamenti di persone sono normali.
... Da ciò una doppia colpevolezza: anzitutto quella che deriva, in modo
generale, dalla sottomissione incondizionata a un capo; in seguito, quella
che proviene dal carattere stesso del capo al quale ci si sottomette. L’atmosfera di sottomissione comporta già una colpevolezza collettiva.
Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania.
267
La preoccupazione dell’educazione a venire è quella di creare un atteggiamento refrattario all’idea che lo Stato sia un essere supremo e assoluto
e che è nostro dovere di conformarci alla ragion di Stato.
Kiyoshi Kiyosawa, Giornale del 2 dicembre 1944, Giappone.
268
Se un padre commette un’ingiustizia, tocca ai suoi Àgli di lasciare la
casa paterna. Se il direttore di una scuola amministra il suo istituto in modo
immorale, gli alunni devono abbandonare la scuola. Se il presidente di una
società è corrotto, i membri di questa società devono lavarsi le mani della sua corruzione, ritirandosi dalla società; analogamente, se un governo
commette una grave ingiustizia, la vittima di quest’ingiustizia deve cessare
di cooperare interamente o parzialmente – quanto basta almeno perché i
dirigenti rinuncino alla propria iniquità. In ognuno dei casi che ho immaginato, entra un elemento di sofferenza morale o Àsica. Senza questa sofferenza, è impossibile raggiungere la libertà.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
269
Limiti del potere
119
Rivolta legittima, dovere d’insurrezione
Un re che, dopo aver proclamato “Vi proteggerò”, non protegge (i suoi
sudditi) può essere ucciso come un cane ammalato e colpito da follia, dai
suoi sudditi che si sono sollevati contro di lui.
Mahâbhârata, XIII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 270
Il re Hsüan di Tch’i domandò: “Non è forse vero che T’ang ha scacciato
Tchieh e che il re Wu ha bastonato Tchu?”. Mencius rispose: “Così sta
scritto negli annali”. Il re domandò: “È allora permesso a un suddito di
uccidere il suo sovrano?”. Mencius rispose: “Colui che oltraggia l’umanità
è uno scellerato; colui che oltraggia la virtù è un Áagello. Un Áagello o uno
scellerato è una creatura da condannarsi. ho inteso dire che una creatura
condannata, chiamata Tchu, fu messa a morte, ma non ho inteso dire nulla
riguardo all’uccisione di un sovrano.”
Mencius (372-289 a.C.), Cina.
271
Coloro che sono oppressi hanno il diritto di battersi e Dio può accordare
loro la vittoria.
Corano, Al-Hadj, 39.
272
Nessuna creatura deve ubbidienza nella disobbedienza al Creatore.
Hadith (Detti del Profeta).
273
La Russia ha conosciuto delle repubbliche governate da un’Assemblea
popolare, in cui il principe, eletto, non era che un semplice capo militare.
(Nel 1270) si mandò al principe, nel Palazzo, un messaggero portatore
di uno scritto che enumerava tutte le sue colpe [...] e ve ne era un gran
numero: “E ora, principe, noi non possiamo più sopportare le tue violenze.
Vattene da casa nostra, e ci cercheremo un altro principe”. Il principe spedì all’assemblea Svjatoslav e Andrej Vorotislavi con questa preghiera da
parte sua: “A tutto questo io rinunzio e presterò giuramento nel modo che
desiderate”. Ma i Novgorodiani risposero: “Principe, vattene, noi non vogliamo più saperne di te. Altrimenti noi, tutta Novgorod, ti scacceremo!”.
Il principe se ne andò dalla città, suo malgrado.
Cronaca Prima di Novgorod, Manoscritto della Àne del XIV sec.
274
Rivolta a teatro
La Mazza era un cilindro di legno nel quale s’intagliavano delle Àgure
umane deformate. Essa serviva come simbolo di rivolta contro le novità
120
Il diritto di essere un uomo
religiose e dello Stato. Durante molto tempo i padroni cercarono di sopprimere quest’arma di rivoluzione. Ecco lo svolgersi di una rivolta di Mazza
durante la guerra di Rarogne del 1414-1415:
La folla si era radunata sulla pubblica piazza ove la Mazza era stata innalzata e uno spettacolo teatrale si svolse sotto forma di dialogo tra la folla
e un portavoce della Mazza, che stava in piedi al suo Àanco.
LA FOLLA: O Mazza, che cosa stai facendo qui?
IL PORTAVOCE: Mazza, essi vogliono aiutarti. Nomina colui che tu temi.
È forse il Silenen?... l’Asperling?... l’Hengarten?... A ogni nuovo nome, il
portavoce diceva di quale genere di oppressione egli supponeva colpevole
il signore che lo portava.
Finalmente egli domandò: “Sono quelli di Rarogne?”. La Mazza s’inchinò. Il portavoce continuò: “Colui che vuol salvar la Mazza alzi la mano!”.
La maggioranza lo fece. Di villaggio in villaggio si annunciò che la
Mazza sarebbe andata dai Rarogne. Alla data convenuta, le case ostili furono saccheggiate.
Albert Carlen, Il teatro dell’Alto Vallese nel Medio Evo, 1945, Svizzera.
275
Contratto sociale e diritto di resistenza
Ora noi leggiamo (nella Bibbia) due specie di alleanze alla consacrazione dei Re: la prima, tra Dio, il Re e il popolo; la seconda tra il Re e
il popolo, cioè che il popolo obbedirebbe fedelmente al Re che avrebbe
comandato secondo giustizia...
... Nella prima Alleanza vi è obbligo alla Pietà: nella seconda alla Giustizia: con la prima il Re promette di obbedire religiosamente a Dio; con
la seconda di comandare al popolo: con l’una egli si obbliga di procurare
la gloria di Dio: con l’altra il proÀtto del popolo. Nella prima vi è questa
condizione, se tu osservi la mia Legge; quanto alla seconda, se conservi per
ciascuno il diritto che gli appartiene. Dio è veramente il protettore e il vendicatore della prima se essa non viene eseguita; quanto alla seconda, spetta
legittimamente a tutto il popolo o a tutti gli Stati che lo rappresentano e
devono mantenere quest’autorità, di punire il colpevole.
Philippe Duplessis-Mornay, Le rivendicazioni contro i tiranni, 1579,
Francia.
276
Non è permesso al Principe, se non ha potere assoluto, di spogliare chicchessia dei suoi beni, e sebbene ci sia dato di metterlo sotto accusa per
proteggere colui che è stato spogliato e fargli restituire i suoi beni, noi non
lo consideriamo per questo meno uno spogliatore.
Juan de Solórzano Pereira (1575-1654), Spagna.
277
Limiti del potere
121
Se considerassi solo la forza e l’effetto che ne deriva, direi: “Finché
un popolo è costretto a obbedire e obbedisce, fa bene; appena egli può
scuotere il giogo, e lo scuote, fa ancora meglio: poiché, ricuperando la sua
libertà con lo stesso diritto che gliel’aveva rubata, o è convinto di doverla
riprendere, oppure non si aveva il diritto di togliergliela”.
Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762.
278
La storia dice: da che il mondo esiste i regimi assoluti sì sono sempre
arrogati dei diritti incompatibili con uno stato sociale veramente buono
dell’umanità. Essi hanno così spinto sempre i popoli alla resistenza armata
contro le pretese all’assolutismo e contro l’attentato ai loro legittimi diritti.
Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), Svizzera.
279
IL GIOCO DI TELL
Il simbolo della libertà che è rappresentato da Guglielmo Tell in Svizzera è stato molto spesso utilizzato per il teatro popolare. Ecco alcuni estratti
di un’opera. I personaggi citati sono: Tell, Hedewig, sua moglie; Werner e
Arnold, gli amici di Tell; Gessler, il governatore straniero.
WERNER: Il numero dei congiurati cresce di giorno in giorno. E anche
la collera, la fedeltà e la Àducia infantile in colui che è il nostro liberatore.
ARNOLD: Come, il cappello, quest’antico segno di una bella libertà, sarebbe ora trasformato in un monumento di una vile servitù?
………
TELL: (al governatore) Colui che tutti temono teme tutti. L’orgoglio si
annienta da se stesso e contro di esso sono rivolti tutti i dardi. Mai preferirei la servitù alla mia vita. Una vita senza libertà mi è di peso [...]. Tell ha
preso la difesa dei diritti degli uomini, sollevandosi senza paura contro i
briganti sfrenati; sia ciò il mio onore e il mio salario.
GESSLER: La plebaglia non deve sapere che ha una volontà, che la natura
le ha dato dei diritti, una dignità umana; che lo Stato le ha dato la proprietà.
Queste conoscenze pericolose devono essere totalmente estirpate.
………
GESSLER: (a Hedewig) La natura ti colma di importanti doni: non sotterrarli. Collocati dinanzi agli altri e distinguiti da loro.
HEDEWÌG: (rispondendo al governatore) Il nostro paese non conosce distinzioni se non quella che accorda la virtù a una donna.
WERNER: (al governatore) Tu non piegherai il nostro coraggio con le minacce. Esso aumenterà con la resistenza Àno a quando la nostra coscienza
ci protegge. Io parlo da uomo libero [...] anche se avessi il re di fronte a me
[...] e tutte queste anime nate libere devono parerti odiose.
122
Il diritto di essere un uomo
………
TELL: Questa fortuna (d’aver scacciato il governatore), cari concittadini,
non è che il primo passo. Ricordatevi che la libertà deve essere consolidata.
Joseph Ignaz Zimmermann, Wilhelm Tell. 1777. Svizzera.
280
I diritti della donna
DICHIARAZIONE DI INTENTI E RISOLUZIONI DI SENECA FALLS (19 LUGLIO 1848)
Il testo cita dapprima la Dichiarazione d’Indipendenza delle colonie
americane, secondo la quale quando una lunga serie di abusi e di usurpazioni, perseguendo invariabilmente lo stesso Àne, tradisce il disegno di
ridurre (gli esseri umani) sotto un dispotismo assoluto, è loro dovere di
rigettare un simile governo e di circondarsi di garanzie nuove in vista della
loro futura sicurezza.
………
Tanta è stata la paziente sofferenza delle donne sotto questo governo,
quanto è ora la necessità che le obbliga a reclamare l’uguaglianza alla quale esse hanno diritto.
La storia dell’umanità è densa degli abusi e delle usurpazioni dell’uomo
nei riguardi della donna, commessi con lo scopo precipuo di sottometterla
a una tirannide assoluta. Per provarlo parlino da se stessi, a ogni spirito non
prevenuto, i fatti che seguono:
L’uomo non le ha mai permesso di esercitare il suo diritto inalienabile
di partecipare alle elezioni. Egli l’ha obbligata a sottomettersi a delle leggi
elaborate senza la sua partecipazione. Le ha riÀutato i diritti accordati agli
uomini più ignoranti e più degradati, siano essi cittadini di questo paese o
stranieri.
Avendola privata del suo primo diritto di cittadina, il diritto di voto,
e avendola lasciata senza rappresentanza negli organi legislativi, l’ha oppressa in tutti i modi.
Ne ha fatto, se è sposata, un essere civilmente morto riguardo al
diritto. Le ha tolto ogni diritto di proprietà, anche sul salario che ella
guadagna.
Ne ha fatto un essere moralmente irresponsabile poiché essa può
commettere numerosi delitti e crimini in completa immunità, purché
lo faccia in presenza di suo marito. Il contratto di matrimonio l’obbliga
a promettere obbedienza al suo sposo, che diventa sotto ogni punto di
vista il suo padrone, poiché la legge gli dà il potere di privarla di libertà
e di punirla.
Egli ha redatto le clausole delle leggi che deÀniscono i motivi validi per
il divorzio, e quelle, in caso di separazione, stabiliscono a chi è afÀdata la
Limiti del potere
123
custodia dei Àgli, senza tenere il minimo conto della felicità della donna,
poiché la legge in ogni caso è fondata sulla falsa ipotesi della supremazia
dell’uomo e dà a questi tutti i poteri.
Dopo di averla privata di tutti i suoi diritti, se si è sposata, egli la obbliga, se è nubile, e se ha dei beni, a pagare delle imposte per sostenere
un governo che non riconosce la sua esistenza se non quando può trarre
proÀtto dai suoi beni.
L’uomo ha monopolizzato quasi tutti gli impieghi vantaggiosi e, per
quelli che è autorizzata a esercitare, la donna non riceve che una magra rimunerazione. Egli le chiude tutte le vie che conducono alla ricchezza e alle
carriere, che egli giudica molto onorevole per se stesso. Non si deve sapere
che la donna insegna la teologia, la medicina o il diritto.
Egli le ha riÀutato la possibilità di fare degli studi completi, poiché tutte
le università le sono chiuse.
Nella Chiesa come nello Stato, egli le permette solo di occupare una
posizione di subalterna, invocando l’autorità apostolica per escluderla dal
sacerdozio e, salvo qualche eccezione, da ogni partecipazione pubblica agli
affari della Chiesa.
Egli ha divulgato delle idee false nel pubblico, dando al mondo dei codici di morale diversi per gli uomini e per le donne, per modo che dei delitti
morali che escludono le donne dalla società sono non solo tollerati ma
giudicati insigniÀcanti per gli uomini.
Egli ha usurpato le prerogative dello stesso Jehovah, arrogandosi il diritto di assegnare alla donna un campo di azione, mentre ciò dipende dalla
coscienza della donna e del suo Dio.
Egli ha tentato, con tutti i mezzi a sua disposizione, di distruggere la
Àducia che ella aveva in se stessa, di diminuire il rispetto della sua propria
persona e di indurla ad acconsentire a condurre una vita dipendente e servile.
Noi dichiariamo che, poiché l’uomo, arrogandosi per se stesso la superiorità intellettuale, riconosce effettivamente la superiorità morale della
donna, egli ha il dovere supremo di incoraggiare la donna a parlare e a
insegnare, se ne ha l’occasione, in tutte le assemblee religiose.
Noi dichiariamo che bisogna esigere dall’uomo lo stesso grado di virtù,
di delicatezza e rafÀnatezza nella condotta che questi esige dalla donna
nella società, e che le stesse deviazioni dovrebbero essere sanzionate con
uguale severità sia per l’uomo che per la donna.
Noi dichiariamo che gli uomini hanno cattivo garbo nel parlare di condotta contraria alla delicatezza e alla convenienza, come lo fanno così spesso quando una donna prende la parola in pubblico, nel mentre, frequentan-
124
Il diritto di essere un uomo
do gli spettacoli, essi incoraggiano la donna a presentarsi sulla scena, al
concerto o nei giuochi dei circhi.
Noi dichiariamo che la donna si è troppo a lungo accontentata dei limiti
ristretti che le sono stati assegnati dai costumi corrotti e da una applicazione pervertita delle Scritture, e che è ormai tempo che essa acceda al campo
più vasto che il suo grande Creatore le ha attribuito.
Stati Uniti d’America.
281
La maggioranza contro la coscienza
IL DOVERE DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE
La ragione concreta per la quale, una volta che il potere sia nelle mani
del popolo, è permesso a una maggioranza di regnare e di mantenere il
suo regno durante un lungo periodo, non è che essa ha più verosimilmente
ragione, né che ciò sembri la cosa più giusta alla minoranza, ma è che essa
è Àsicamente la più forte. un governo invece in cui la maggioranza regna in
tutti i casi non può basarsi sulla giustizia, anche come la comprendono gli
uomini. Può forse esservi un governo in cui non siano le maggioranze che
decidono virtualmente di ciò che è bene e di ciò che è male, ma la coscienza? Ove le maggioranze decidono solo di questioni alle quali è applicabile
la regola dell’opportunità? Deve forse il cittadino, fosse pure solo per un
momento oppure al più debole grado, consegnare la sua coscienza tra le
mani del legislatore? Perché tutti gli uomini hanno allora una coscienza?
Ritengo che dobbiamo, anzitutto, essere degli uomini e poi dei sudditi. Non
è tanto per la legge quanto per il diritto che è desiderabile di sviluppare il
rispetto. Il solo obbligo che io abbia il diritto di assumere è quello di fare
in ogni momento ciò che stimo giusto.
………
La maggior parte degli uomini – con il loro corpo – serve in questo
modo lo Stato, non come uomini, ma come macchine. Essa è rappresentata
dall’armata permanente, dalla forza pubblica, la polizia, ecc. Nella maggior parte dei casi non vi è alcun libero esercizio del giudizio o del senso
morale; questa gente si mette al livello della legna, della terra e delle pietre;
e si potrebbero forse fabbricare degli uomini di legno che renderebbero gli
stessi servizi. Simili esseri non meritano più rispetto dei fantocci di paglia
o di un blocco di fango. Essi valgono ciò che valgono cavalli e cani, non
di più. Tuttavia questi esseri sono ordinariamente stimati come buoni cittadini. Altri – quale la maggior parte dei legislatori, dei politici, dei giuristi,
dei ministri e dei funzionari – mettono soprattutto la loro testa al servizio
dello Stato; e siccome fanno raramente qualche distinzione morale, hanno
la massima probabilità, senza volerlo, di servire tanto il diavolo che Dio.
Limiti del potere
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Un piccolissimo numero, quali gli eroi, i patrioti, i martiri, gli informatori
nel signiÀcato elevato della parola, e gli uomini mettono al servizio dello
Stato anche la loro coscienza e quindi gli resistono: sono allora trattati ordinariamente da lui come nemici [...].
Quale atteggiamento conviene adottare da un uomo d’oggi verso questo
governo americano? Rispondo che egli non può, senza vergogna, associarsi con lui. Non posso riconoscere, per un solo istante, come mio governo
questa organizzazione politica che è anche il governo negriero.
Tutti gli uomini riconoscono il diritto di rivoluzione, cioè il diritto di
riÀutare obbedienza al governo e di resistergli quando la sua tirannide oppure la sua incapacità sono grandi e intollerabili. Ma quasi tutti dichiarano
che non è il caso di oggigiorno. Ma essi pensano che invece era proprio il
caso al momento della Rivoluzione del 1775. Se qualcuno venisse a dirmi
che era un cattivo governo, perché colpiva di tasse alcuni prodotti stranieri
al loro ingresso nei suoi porti, è molto probabile che non mi metterei a fare
questioni per questo, poiché non posso fare a meno di quegli articoli. Tutte
le macchine hanno la loro frizione [...].
Ma quando la frizione arriva a bloccare la macchina, quando l’oppressione e il furto sono organizzati, lo dichiaro, non sopportiamo questa macchina più a lungo. In altri termini, quando un sesto della popolazione di
una nazione che si è impegnata a essere il rifugio della libertà è schiava,
che un paese è completamente invaso, conquistato da un esercito straniero
e sottoposto alla legge militare, trovo che non è troppo presto per la gente
onesta di sollevarsi e di fare la rivoluzione. Ciò che rende questo dovere
altrettanto più urgente è che il paese così invaso non è il nostro, ma che
l’invasione è stata compiuta dal nostro esercito [...].
Esistono delle leggi ingiuste: consentiremo noi a obbedire oppure ci
sforzeremo di correggerle, obbedendo loro Àno a che non ci saremo riusciti
oppure le trasgrediremo all’istante? Gli uomini in generale, sotto un governo come questo, ritengono che si debba attendere di aver deciso in maggioranza per cambiarli. Credono che se vi resistessero il rimedio sarebbe
peggiore del male. Ma è colpa del governo stesso se il rimedio è in effetti
peggiore del male. È esso che lo rende peggiore. Perché non è più pronto
a prevedere e a prendere delle misure riformatrici? Perché non cura la sua
minoranza che è saggia? Perché grida, resiste prima che lo si tocchi? Perché non incoraggia lui i suoi cittadini a restare sul chi-vive per segnalargli
i suoi errori e a far meglio di quanto egli voleva essi facessero?
………
Sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto
di un giusto è anche la prigione. Il posto conveniente oggigiorno, il solo
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Il diritto di essere un uomo
posto che il Massachusetts abbia previsto per i suoi spiriti liberi e mai sconÀtti, è nelle sue prigioni, per metterli alla porta dello Stato, metterli fuori
con la sua stessa legge come ci si sono già messi in base ai loro principi. È
lì che lo schiavo fuggitivo, il prigioniero messicano in libertà sulla parola
e l’Indiano venuto per far presente i torti fatti alla sua razza, dovranno
trovarli. Su di un terreno a parte, ma libero e onesto, in cui lo Stato colloca
coloro che non sono con lui ma contro di lui. Sola abitazione, in uno Stato
schiavista, ove un uomo libero possa rimanere con onore. Se vi sono persone le quali ritengono che la loro inÁuenza vi si perderebbe, che la loro
voce non tormenterebbe più le orecchie dello Stato, che essi non sarebbero
come un nemico entro le sue mura; costoro non sanno quanto la verità è
più forte dell’errore, né quanto più eloquentemente, più efÀcacemente può
combattere l’ingiustizia colui che l’ha provata un poco nella sua persona.
Date la totalità del vostro voto, non semplicemente un pezzo di carta, ma
tutta la vostra inÁuenza. Una minoranza è impotente Ànché si conforma
alla maggioranza; allora non è neppure una minoranza; ma diventa irresistibile quando, con tutto il suo peso, ostruisce il passaggio. Se non vi è altra
alternativa che mantenere in prigione tutti i giusti oppure rinunciare alla
guerra e alla schiavitù, lo Stato non esiterà nella sua scelta; se un migliaio
d’uomini riÀutassero di pagare le imposte quest’anno, non sarebbe questa
una misura violenta e sanguinosa come accadrebbe pagandole, mettendo
così lo Stato nelle condizioni di dover agire con la violenza e di versare
il sangue innocente. Se simile cosa fosse mai possibile, sarebbe questa la
deÀnizione di una rivoluzione paciÀca. Se l’esattore o qualsiasi altro funzionario mi domanda, come uno di loro mi ha domandato: “ma cosa volete
che io faccia?”, la mia risposta sarà: “Se volete veramente fare qualcosa,
abbandonate il vostro impiego”. Quando il suddito ha riÀutato l’obbedienza e il funzionario ha abbandonato il suo posto, allora la rivoluzione è compiuta. Ma supponete anche che scorra il sangue. Non vi è forse una specie
di sangue versato quando la coscienza è ferita?
………
L’evoluzione dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale,
dalla monarchia costituzionale alla democrazia è un’evoluzione verso un
rispetto vero dell’individuo. Anche i ÀlosoÀ cinesi avevano sufÀciente saggezza per considerare l’individuo come la base dell’impero. Una democrazia, quale noi la conosciamo, è forse l’ultimo progresso possibile in fatto
di governo? Non è possibile fare un passo di più verso il riconoscimento
e l’attuazione dei diritti dell’uomo? Non vi sarà mai uno Stato veramente
libero e illuminato Ànché lo Stato non riconoscerà l’individuo come una
Limiti del potere
127
potenza superiore e indipendente da cui esso trae la sua potenza e la sua
autorità, e lo tratterà di conseguenza.
Godo nell’immaginare uno Stato, inÀne, che possa mostrarsi giusto verso tutti gli uomini e trattare l’individuo con rispetto, come un vicino; che
andrebbe Àno al punto di non giudicare incompatibile con la propria tranquillità, che taluno ne vivesse lontano, senza immischiarsi a esso né essere
costretto da esso, adempiendo tutti i suoi doveri di vicino o di simile. Uno
Stato che portasse questo genere di frutto e che gli permettesse di cadere
appena maturo, preparerebbe la via a uno Stato ancora più perfetto, addirittura splendido, quale io lo ho immaginato, ma che non ho ancora visto
in nessun luogo.
Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, 1849, Stati Uniti d’America.
282
LIBERTÀ CIVILE
Libertà individuale
Libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita riÀuta.
Dante (1265-1321), Divina Commedia. Purgatorio.
283
Ah! libertà, qual nobil cosa!
La Libertà è sorgente di gioia.
In tutti i suoi mali l’uom consola.
Vivere liberi, qual piacer!
Nobil cuore non può star a suo agio,
Felicità né conoscer giammai,
Senza libertà, perché lei sola
Desiderio è supremo dell’uomo.
Quei che sempre libero è vissuto,
Non può immaginar la condizione,
Il rancore e il penoso destino
Di coloro che sono asserviti.
Ma solo colui che è stato schiavo,
Molto ben sa che soffre chi è schiavo
E dà alla libertà maggior valore,
Che non ai tesor di tutto il mondo.
Perché l’aver provata la sfortuna,
Ci dà della fortuna il quadro vero.
John Barbour (XIV sec.), The Brus, Scozia.
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Nessuna forza lo doma, nessun tempo lo consuma, né alcun nome ha merito
uguale a quello di libertà.
Niccolò Machiavelli (1469-1527).
285
Legge e libertà
Lo scopo di una legge non è di abolire o di diminuire la libertà, ma di
conservarla e di aumentarla. Infatti in tutti gli Stati i cui membri sono delle
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Il diritto di essere un uomo
creature capaci di aver delle leggi, dove non vi è alcuna legge, non vi è
più libertà. Poiché la libertà consiste nell’essere esenti da molestia e da
violenza da parte di altri: ciò che non si troverebbe dove non vi è legge,
e dove, secondo quanto abbiamo detto più sopra, non vi è una libertà che
permetta a ognuno di fare ciò che più gli piace. Poiché chi può mai essere
libero quando il temperamento molesto di qualche altro individuo potrà dominarlo e soggiogarlo? Per contro si gode di una vera libertà quando si può
disporre liberamente, e come si vuole, della propria persona, delle, proprie
azioni, dei propri possedimenti, di tutto il proprio Bene, secondo le leggi
che regolano la nostra vita e che fanno sì che non si è punto soggetti alla
volontà arbitraria degli altri, ma che si può liberamente seguire la propria
volontà.
John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra.
286
UCCELLO IN GABBIA
Il giovane fringuello domanda al vecchio perché sospira: “Questa gabbia ove viviamo è tuttavia confortevole!”. “Tu sei nato qui e puoi anche
credere che sia come tu pensi. Ma ahimè, io mi ricordo della libertà... e
sospiro.”
Ignacy Krasicki, Favole, 1779, Polonia.
287
Non credere che il popolo offeso, dileggiato abbia perso il suo onore: la
pietra preziosa perde forse del suo valore perché è caduta per terra?
Se anche la corda micidiale del boia si cambiasse in dragone della morte, essa è mille volte preferibile alla catena della schiavitù.
È mai possibile annullare l’idea della libertà con degli atti ingiusti e crudeli? Prova, se lo puoi, a scacciare la ragione dall’intera umanità.
Namik Kemal (1840-1888), Ode alla libertà, Turchia.
288
Garanzia delle franchigie e della comprensione del Trattato da parte
dei cittadini
TRATTATO DI ZURIGO (1° MAGGIO 1351)
Si deve inoltre anche sapere che noi abbiamo espressamente determinato
e stipulato verso tutti coloro che sono in questa alleanza, che ogni città, ogni
cascina, ogni villaggio al quale appartiene colui che fa parte di questa alleanza, deve continuare a restare con i suoi tribunali, le sue libertà, le sue lettere
di franchigia, i suoi diritti e le sue buone abitudini, tali e quali li ha avuti
Ànora, per modo che nessuno deve portar loro pregiudizio o impedir loro di
agire, senza eccezione. È anche stipulato, afÀnché giovani e vecchi, e tutti
coloro cui ciò interessa, conoscano meglio quest’alleanza, che rinnoveranno
Libertà civile
131
e spiegheranno, con le parole, gli scritti e sotto giuramento, e con tutto il cerimoniale usuale, ogni dieci anni, prima o dopo l’inizio del mese di maggio.
Tutti gli uomini e i giovani che avranno più di sedici anni, in quel momento,
dovranno giurare di attenersi sempre a quest’alleanza.
289
Nel 1378 il vescovo di Ginevra, Adhémar Fabri, riunì in un codice le
franchigie e le libertà accordate ai cittadini
Art. 2. Della sicurezza. Ogni sacerdote o laico, tanto cittadino quanto
straniero, deve essere e rimanere salvo e con la piena sicurezza di tutti i
suoi beni nella città e nei dintorni. Se, entro detti limiti, fosse usata violenza a chicchessia, i cittadini qui domiciliati, abitanti e giurati, hanno il diritto di difendere l’offeso con tutto il loro potere, purché egli abbia consentito
a riconoscere la giurisdizione del nostro Delegato o del nostro Vicedomino,
ossia del suo Luogotenente.
Art. 23. Del diritto di essere governato da persone elette di sua scelta.
I detti cittadini, borghesi, abitanti e giurati della detta città, possono ogni
anno stabilire e nominare quattro di loro quali Procuratori e Sindaci della
detta città, e trasmettere a questi quattro eletti tutto il loro potere. Questi
quattro potranno gestire gli affari della detta città e dei cittadini, a fare tutto
ciò che potrà essere utile ai loro interessi.
Art. 55. Della protezione dei beni. Nessuno, né a nostro mezzo né
a mezzo di chiunque altro, deve essere spogliato della sua proprietà,
in qualunque modo ciò possa avvenire, senza che la sua causa sia stata ascoltata e difesa, per quanto egli vorrà riconoscere la giurisdizione
dei tribunali della detta città (ossia stare in giudizio secondo gli usi e le
consuetudini di detta città) sotto la riserva del diritto dei signori, il cui
oggetto contestato è trattenuto in feudo, enÀteusi o alloggio o potrebbe
esserlo in avvenire.
Art. 19. I beni di un condannato non debbono essere conÀscati.
Né per un delitto, qualunque esso sia, né per un altro qualsiasi motivo, i
beni di un cittadino, borghese, giurato o abitante, del clero o laico, saranno
conÀscati, sotto qualsiasi forma, sia che egli sia stato condannato per delitto o diversamente, se non nel caso permesso dal diritto secondo le decisioni
dei giureconsulti.
Art. 10. Delle condizioni di imprigionamento.
Nessun laico, se non per causa criminale, cioè furto pubblico, omicidio
manifesto, tradimento notorio, e altri delitti pubblici, per i quali non si deve
rinviare la persona sotto cauzione, deve essere preso nella città o nei dintorni Ànché egli sarà disposto a dare cauzione e garanzia; e se non sarà pronto
a dare garanzia e cauzione, nel caso sia preso o detenuto, non lo si conduca
132
Il diritto di essere un uomo
in prigione, ma sia trattenuto e custodito presso la Corte temporaneamente,
in modo che egli possa ricercare delle malleverie, se egli ha potere e mezzo
di averli e se allora egli non potrà averne e sarà condotto in prigione, non
appena egli sarà pronto a dare una garanzia, venga liberato dalle prigioni e
messo totalmente in libertà con i suoi effetti personali.
Franchigia di Ginevra, 1387.
290
Ogni uomo è libero negli Stati della Repubblica, tanto se vi è nato quanto se vi si è stabilito, oppure vi è appena giunto. Egli ha qui il diritto di usare le sue forze e la sua fortuna come meglio gli sembra, purché si conformi
alla legge di Dio e alle leggi del paese. Nessun uomo può impadronirsi di
un altro uomo, con la propria forza e con l’aiuto dei suoi simili; nessuno ha
il diritto di aiutarlo per fare questo, né di causare pregiudizio alla persona,
alla vita e alla fortuna del suo prossimo.
Hugo Kollataj, La legge politica della nazione polacca, 1790.
291
Qualunque sia l’epoca, qualunque siano le condizioni, non sarà mai permesso di violare i diritti dell’uomo né di riÀutare di restituirgli i suoi diritti.
Nessun paese è degno di essere chiamato libero se un uomo vi è infelice; nessun paese è libero se un uomo vi è ridotto in schiavitù. Nessuna legislazione
deve quindi passare sotto silenzio i diritti dell’uomo; nessuna società può
sacriÀcare un uomo per gli altri. un ragionamento che lo permettesse sarebbe
l’espressione sia della paura, sia dell’ingiustizia. Dire che il popolo, non essendo illuminato, non può godere dell’insieme dei suoi diritti, vuol dire parlare contro la saggezza e la verità, poiché non vi è nessun caso (a eccezione
della debolezza dovuta all’età e quella dei sensi) in cui l’uomo possa perdere
i suoi diritti. Lo stesso minore e il pazzo sono collocati sotto la protezione
della beneÀcenza umana; solo il.criminale può essere lo schiavo della società. Poiché il destino che l’opinione prepara all’uomo è frutto del caso, mentre
il sentimento del cuore è l’effetto dei diritti che gli sono naturali.
Hugo Kollataj, La legge politica della nazione polacca, 1790.
292
L’uso della libertà non deve diminuire quella degli altri
Quando la ragione approva che l’uomo faccia un certo uso delle sue
forze e della sua libertà, oppure, ciò che è poi la stessa cosa, quando essa
riconosce in lui un certo diritto, bisogna – per conseguenza naturale – che
per assicurare questo diritto a un uomo, essa riconosca allo stesso tempo
che gli altri uomini non devono assolutamente servirsi delle loro forze né
della loro libertà per opporsi a lui; ma, al contrario, essi devono rispettare
il suo diritto, e aiutarlo a servirsene.
Libertà civile
133
Del diritto di resistere
I diritti perfetti sono quelli di cui si può rigorosamente esigere l’effetto
[...]. È così che si può ragionevolmente opporre la forza a chiunque attenti
ingiustamente alla nostra vita, ai nostri beni o alla nostra libertà.
Non si può legittimamente rinunciare alla propria libertà
L’uomo non saprebbe rinunciare interamente, assolutamente e senza riserva alla sua libertà; poiché sarebbe manifestamente mettersi nella necessità di
fare male, se colui al quale ci si è sottomessi su questo piano lo comandasse.
Dobbiamo trattarci come naturalmente uguali
Siamo quindi obbligati a considerarci come naturalmente uguali, e a
trattarci come tali; sarebbe smentire la natura, il fatto di non riconoscere
questo principio di equità come uno dei primi fondamenti della Società.
Ben lungi dall’idea che il governo rovesci questo primo ordine (lo stato
naturale di libertà e di uguaglianza) è piuttosto per dare a esso un nuovo
grado di forza e di consistenza che è stato stabilito.
Jean-Jacques Burlamaqui, Principi del diritto naturale, 1747, Ginevra.
293
Estensione della libertà
È libero colui che ha la certezza di non essere punto ostacolato nell’esercizio della sua proprietà personale e nell’uso della sua proprietà reale.
Pertanto ogni cittadino ha il diritto di rimanere, di andarsene, di pensare, di
parlare, di scrivere, di stampare, di pubblicare, di lavorare, di produrre,.di
conservare, di trasportare, di scambiare e di consumare, ecc.
Suoi limiti
I limiti della libertà individuale sono collocati solo al punto ove essa comincerebbe a nuocere alla libertà altrui. Spetta alla legge di riconoscere questi
limiti e di segnarli. Fuori della legge, tutto è libero per tutti: poiché l’unione
sociale non ha per oggetto solo la libertà di uno o di più individui, ma la libertà
di tutti. Una società nella quale un uomo fosse più o meno libero di un altro,
sarebbe, a colpo sicuro, molto male ordinata: bisognerebbe ricostituirla.
Abbé Sieyès, Preliminare della Costituzione, 20 e 21 luglio 1789,
Francia.
294
Minacce alla libertà
Può la libertà essere concepita senza una perfetta armonia? Essa ha fatto
presto a trasformarsi in una schiavitù segreta. Io divento libero opprimendo
134
Il diritto di essere un uomo
qualcuno. Si può molto rapidamente imparare a evitare di essere schiacciati, ma occorrono dei secoli di oppressione d’un noviziato quale non se ne
sono ancora mai conosciuti per perdere la volontà di schiacciare gli altri
[...]. La libertà non esiste e non è mai esistita [...]. Attualmente l’umanità si
dirige non già verso il Paradiso, ma verso il più rude, il più nero, il più bruciante dei purgatori. Le tenebre assolute della libertà sono vicine. L’Assiria
e l’Egitto saranno superati da una nuova inaudita schiavitù. Ma le galere
non rappresentano che uno stadio preparatorio, un garante della libertà [...]
della libertà scientemente creata, perfettamente equilibrata, dell’armonia
suprema.
Il’ja Ehrenburg, Le avventure straordinarie di Julio Jurenito, 1921,
Unione Sovietica.
295
Elogio del popolo
Ama ciò che il popolo ama e detesta ciò che egli detesta.
Scuola confuciana (V sec. a.C.), Il grande studio, Cina.
296
Il popolo è quello che importa maggiormente, poi viene lo Stato;. l’Imperatore è quello che importa meno.
Mencius (372-289 a.C.), Il grande studio, Cina.
297
Cerca il popolo e troverai la verità.
Proverbio russo.
298
RiÀuto di ogni prestigio
Non desidero godere di alcun prestigio, qualunque esso sia. È questo un
attributo che si addice alle sorti regali. Io sono il servitore dei musulmani,
dei cristiani, dei parsi e degli ebrei, altrettanto quanto degli indù. Ora un
servitore ha bisogno di amore, non di prestigio. Questo amore mi è assicurato Ànché io rimango un servitore fedele.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
299
Contro il potere monarchico
Discorso di un Persiano ammirato da un Greco
Sono del parere che un solo uomo non abbia più su di noi autorità di monarca, perché ciò non è né gradevole, né buono. Avete visto infatti a qual
punto si è spinto l’insolente orgoglio di Cambise, e, dal canto vostro, avete
anche provato quello del Mago. Come potrebbe la monarchia essere cosa
Libertà civile
135
ben ordinata, quando le è permesso, senza dover rendere conto ad alcuno,
di fare ciò che vuole? Il miglior uomo del mondo, investito di quest’autorità sarebbe infatti messo da questa fuori dei suoi soliti pensieri. La prosperità di cui egli gode fa nascere in lui un’orgogliosa insolenza; e l’invidia
è innata presso l’uomo di tutti i tempi. Avendo questi due vizi, il monarca
ha in sé ogni cattiveria: l’orgoglio fa sì che, satollato, egli commette molti
atti follemente criminali, l’invidia agisce analogamente. In verità, il tiranno, meglio di altri, dovrebbe ignorare l’invidia, poiché egli possiede tutti
i beni; ma invece il suo atteggiamento verso i cittadini esprime tutto il
contrario: egli invidia i migliori Ànché vivono e sono di questo mondo; va
d’accordo con la parte peggiore della popolazione; è pronto ad accogliere
le calunnie. Nulla di più incoerente: se lo ammirate moderatamente, egli
se la prende con voi perché non lo corteggiate abbastanza; se lo corteggiate molto, si adirerà con voi come farebbe con un vile adulatore. E dirò
quel che vi è di più grave: egli sconvolge le abitudini degli antenati, usa
violenza alle donne, mette a morte senza un vero giudizio. Al contrario, il
governo del popolo porta anzitutto il più bello di tutti i nomi: isonomia,
uguaglianza della legge. Poi vi si fa nulla di ciò che fa il monarca: vi si
ottengono le magistrature elette con la sorte; si rende conto dell’autorità
che si esercita; tutte le deliberazioni sono sottomesse al pubblico. Propendo
quindi verso l’idea che noi rinunziamo alla monarchia e che eleviamo il
popolo al potere: poiché è nel numero che tutto risiede.
Erodoto (V sec. a.C.), Discorso d’Otane, Grecia.
300
Teseo parla:
Per un popolo non vi è nulla di peggio di un tiranno. Sotto questo regime, non esistono leggi che vadano bene per tutti: è un uomo solo che
governa, e la legge consiste in quello che vuole lui. Quindi, non vi è più
uguaglianza, mentre sotto il dominio delle leggi scritte, il povero e il ricco
hanno i medesimi diritti. Il debole può rispondere all’insulto del forte, e
il piccolo può, se ha ragione, vincere il grande. Quanto alla libertà, essa
sta in queste parole: “Chi vuole, chi può dare un consiglio saggio alla sua
patria?”. In questo caso, ognuno può, a suo piacimento, brillare o tacere. È
possibile immaginare una uguaglianza più bella?
Inoltre, nei paesi in cui è il popolo che governa, questo si compiace nel
vedere crescere un’ardente gioventù. Un tiranno odia questo: i cittadini
migliori, quelli che egli ritiene pensino, li atterra, temendo sempre per il
suo trono. Quanta forza può dunque restare alla patria, quando, come in un
campo Àorito dalla primavera, si viene a tagliarvi la spiga del coraggio?
Quale vantaggio nell’ammassare ricchezze per i nostri Àgli, se i nostri sfor-
136
Il diritto di essere un uomo
zi non fanno che arricchire il tiranno; a che pro allevare nei nostri focolari
delle caste vergini, se questo vuol dire provvedere ai piaceri di un despota,
se questo vuol dire preparare per noi delle lacrime? Che io muoia se devo
vedere deÁorare in tal modo le mie Àglie!
Euripide (V sec. a.C.), Le Supplici.
301
Responsabilità reciproca
Disposizioni legali prese da Solone di Atene in favore dei cittadini di
rango inferiore:
Egli credette di dover ancora sostenere la debolezza del popolo, e diede
a tutti i cittadini il diritto di intentare un’azione giudiziaria in favore di
coloro che erano stati maltrattati. Così, se un uomo era stato colpito, ferito
o violentato, era permesso a chi lo poteva e lo voleva di denunciare e perseguire il colpevole. Il legislatore aveva voluto, con ragione, abituare con
questo i cittadini a sperimentare e condividere – come se fossero parti di un
solo corpo – gli uni i mali degli altri. Si cita un suo motto in accordo con
questa legge: pare che quando gli si domandava quale fosse la città meglio
custodita (rispondesse): è quella in cui, senza essere danneggiato lui stesso,
ognuno mette tanto zelo a perseguire e punire un’ingiustizia quanto farebbero coloro che ne sono vittime.
Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Solone.
302
Nobiltà e plebe
Il signor d’Etanges riÀuta Saint-Preux per genero
Ho espresso il mio giudizio in seguito al discorso, che Edoardo aveva
osato proporre il tuo matrimonio col tuo amico, che egli chiamava spavaldamente il suo e al quale egli offriva di fare, in questa qualità, un accordo
conveniente. Tuo padre aveva respinto con disprezzo questa proposta, e su
tale punto le discussioni cominciavano a scaldarsi. Sappiate, gli diceva Milord, che, nonostante i vostri pregiudizi, è tra tutti gli uomini il più degno
di lei e forse il più adatto a renderla felice. Tutti i doni che non dipendono
dagli uomini, egli li ha ricevuti dalla natura e vi ha aggiuntò tutti i talenti
che hanno dipeso da lui. Egli è giovane, alto, ben fatto, robusto, abile; è
educato, ha buon senso, sani costumi e coraggio; ha la mente colta, l’anima sana, che cosa gli manca dunque per meritare il vostro consenso? La
fortuna? L’avrà. Un terzo dei miei beni sono sufÀcienti per fare di lui il più
ricco possidente del paese di Vaud, gliene darò, se occorrerà, Àno alla metà.
La nobiltà? Vana prerogativa in un paese in cui essa nuoce più di quanto
sia utile. Ma egli la possiede per di più, non dubitatene, se non è scritta a
inchiostro in vecchie pergamene, è però incisa al fondo del suo cuore in
Libertà civile
137
caratteri indelebili. In una parola, se voi preferite la ragione al pregiudizio
e se amate vostra Àglia più dei vostri titoli, la darete proprio a lui.
A questo punto tuo padre si irritò vivamente. Considerò la proposta assurda e ridicola. “Cosa! Milord, – egli disse – un uomo d’onore come voi
può anche solo pensare che l’ultimo rampollo di una famiglia illustre possa
estinguere o degradare il suo nome in quello di un qualsiasi individuo, senza
casa, e ridotto a vivere di elemosine!...”. “Fermatevi! – interruppe Edoardo.
– Voi state parlando del mio amico, ebbene dovete sapere che io considero
rivolti a me tutti gli oltraggi che gli vengono fatti in mia presenza e che gli
insulti a un uomo d’onore sono ancora più gravi per colui che li pronuncia.
Alcuni di questi sconosciuti sono più rispettabili di tutti gli Hobereaux d’Europa, e vi sÀdo, a trovare qualche mezzo più onorevole di far fortuna che gli
omaggi della stima e i doni dell’amicizia. Se il genero che vi propongo non
conta, come voi, una lunga serie di antenati sempre incerti, egli costituirà il
fondamento e l’onore della sua casa come il vostro primo antenato lo fu per
la vostra. Vi sareste dunque ritenuto disonorato dall’alleanza del capo della
vostra famiglia, e questo disprezzo non ricadrebbe forse su voi stesso? Quanti grandi nomi cadrebbero nell’oblio se si tenesse conto soltanto di quelli che
hanno cominciato con un uomo stimabile? Giudichiamo il passato per mezzo
del presente; su due o tre cittadini che si rendono illustri con mezzi onesti,
mille bricconi nobilitano ogni giorno la loro famiglia; e che cosa dimostrerà
questa nobiltà di cui i loro discendenti saranno tanto Àeri, se non i furti e l’infamia del loro antenato? Lo confesso, si vedono molti disonesti tra i plebei;
ma si può sempre scommettere venti a uno che un gentiluomo discende da un
ladro. Lasciamo, se volete, da parte l’origine e valutiamo il merito e i servizi.
Voi avete combattuto sotto un principe straniero, suo padre ha combattuto
gratuitamente per la patria. Se voi avete servito bene siete stato ben pagato,
e, per qualche onoriÀcenza che abbiate acquistato in guerra, cento plebei ne
hanno acquistato ancor più di voi.
“Di che cosa si onora quindi, – continuò Milord Edoardo – questa nobiltà di cui siete tanto Àero? Che cosa conta essa per la gloria della patria
o la fortuna del genere umano? Nemica mortale delle leggi e della libertà,
che cosa ha essa mai prodotto, nella maggior parte dei paesi ove brilla,
se non la forza della tirannia e l’oppressione dei popoli? Osereste voi, in
una repubblica, onorarvi di uno Stato distruttore delle virtù e dell’umanità? di uno Stato in cui ci si vanta della schiavitù e si arrossisce di essere
uomo?” [...].
“Se conosceste la nobiltà dell’Inghilterra sapreste che è la più illustre, la
meglio istruita, la più saggia, la più valorosa d’Europa: con questo non ho
bisogno di cercare se è la più antica; perché quando si parla di ciò che essa
138
Il diritto di essere un uomo
è, non si tratta di ciò che essa fu. Noi non siamo affatto, è vero, gli schiavi
del principe, ma i suoi amici, e neppure i tiranni del popolo, ma i suoi capi.
Garanti della libertà, sostegno della patria e appoggio del trono, noi costituiamo un invincibile equilibrio tra il popolo e il Re. Il nostro primo dovere
è verso la nazione; il secondo verso colui che la governa; non consultiamo
la sua volontà, ma il suo diritto. Ministri supremi delle leggi alla camera
dei Pari, talvolta perÀno legislatori, noi rendiamo ugualmente giustizia al
popolo e al Re, e non tolleriamo affatto che qualcuno dica: “Dio e la mia
spada”, ma soltanto: “Dio e il mio diritto”“.
Jean-Jacques Rousseau, La nuova Eloisa, 1761.
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Lagnanza contro la disuguaglianza
Un plebeo che voglia legarsi in amicizia con un nobile non può mai stare
con lui su di un piede di uguaglianza.
Proverbio del Vietnam.
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A proposito del popolino
Sai che cosa è il popolino per gli Stati di una nazione? Esso è ciò che
il mare è per le sponde. Perché come ogni acqua trae la sua origine dal
mare, se ne nutre e Ànisce per ritornarvi, ugualmente ogni nobile lignaggio
è uscito dalla condizione contadina, vien mantenuto da coloro che in essa
si trovano e presto o tardi Ànisce per annullarsi. Vedi dunque la perfezione ammirevole delle cose di questo mondo, che vogliono che la persona
comune sia successivamente madre, nutrice e cimitero di ogni fortuna e
dignità.
György Bessenyei, 1804, Ungheria.
305
Libertà civile, repubblica e democrazia
DELLA LIBERTÀ DEL CITTADINO
La libertà ÀlosoÀca consiste nell’esercizio della propria volontà, o almeno (se bisogna parlare in tutti i sistemi) nell’opinione in cui ci si trova a
esercitare la propria volontà. La Libertà politica consiste nella sicurezza, o
almeno nell’opinione che ognuno ha della propria sicurezza.
Questa sicurezza non è mai tanto attaccata come nelle accuse pubbliche
e private. Dalla bontà delle leggi criminali dipende quindi principalmente
la libertà del cittadino.
Libertà civile
SI
139
VUOLE CHE LA LIBERTÀ SIA FAVORITA DALLA NATURA DELLE PENE E DALLA
LORO PROPORZIONE
La libertà trionfa quando le leggi criminali derivano ogni condanna dalla
natura particolare del delitto. Tutto ciò che è arbitrario cessa; la pena non
deriva affatto dal capriccio del legislatore, ma dalla natura della cosa; e non
è l’uomo che fa violenza all’uomo [...].
Nelle cose che turbano la tranquillità o la sicurezza dello Stato, le azioni
nascoste appartengono alla giustizia umana. Ma in quelle che feriscono la
divinità, là dove non vi è affatto azione pubblica, non vi è materia di delitto: tutto si svolge tra l’uomo e Dio, che conosce la misura e il momento
delle sue vendette. Se il magistrato, confondendo le cose, ricerca anche il
sacrilegio nascosto, egli conduce un’inchiesta su di un genere di azione in
cui essa non è affatto necessaria; distrugge la libertà dei cittadini, armando
contro di loro lo zelo delle coscienze timide e quello delle coscienze coraggiose.
Bisogna farsi un’idea chiara di che cosa è l’indipendenza e che cosa è la
libertà. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono; e se
un cittadino potesse fare ciò che esse proibiscono, non avrebbe più libertà,
perché anche gli altri avrebbero questo potere.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
306
Alla ricerca di una forma di associazione
Trovare una associazione che difenda e protegga con tutte le sue forze
comuni la persona e i beni di ogni associato, e con la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e rimanga altrettanto
libero come prima: questo il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione.
Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762.
307
Diritto di proprietà
Poiché il diritto di proprietà non è che una convenzione e una istituzione
umana, ogni uomo può, secondo il suo gradimento, disporre di ciò che possiede: ma non avviene la stessa cosa per i doni essenziali della natura, quali la
vita e la libertà, di cui è permesso a ciascuno di godere e di cui è per lo meno
dubbioso che si abbia il diritto di spogliarsi; togliendosi l’una si degrada il
proprio essere, togliendosi l’altra lo si annienta nel suo essere; e, siccome
nessun bene temporale può risarcire dell’una e dell’altra, sarebbe offendere
al tempo stesso la natura e la ragione il rinunciarvi, per qualunque prezzo.
Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, 1755.
308
140
Il diritto di essere un uomo
Giudizio riguardante la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.
Un simile fenomeno nella storia degli uomini non sarà mai più dimenticato, poiché esso ha messo in evidenza nella natura umana una disposizione al progresso e una capacità di realizzarlo tale che nessun uomo politico,
considerando il corso anteriore delle cose, avrebbe potuto concepirlo.
Immanuel Kant, Sämtliche kleine Schriften, 1790.
309
LA FESTA DELLA LIBERTÀ
Un tedesco racconta come il popolo francese, il suo re, la sua regina, il
clero giurarono obbedienza alla Costituzione (1790)
Sotto una pioggia scrosciante ci si diresse verso l’altare della Patria.
un arco di trionfo s’innalzava all’ingresso del Campo di Marte. Una moltitudine di gente, venuta senza carrozze né cavalli, senza una canna né
una spada, si accalcava nei dintorni. L’altare della Patria s’innalzava al
centro del Campo di Marte come un poggio sacro. Il trono del Re era
stato collocato su di una tribuna coperta; dietro, stava la Regina con il
DelÀno; a destra era seduto il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Dinanzi a lui, a destra e a sinistra, su una tribuna scoperta, si trovavano tutti
gli onorevoli rappresentanti del popolo, custodi della santa libertà. La più
inÀammata delle immaginazioni non potrebbe concepire scena più nobile
e più commovente. L’altare della Patria si innalzava di fronte al Re e la
Guardia Nazionale di Parigi formava una siepe ai due lati del viale che
vi adduceva. Seduti su dei sedili preparati per loro, innumerevoli gruppi
di musicisti suonavano arie militari o della musica dolce e contribuivano così a stabilire un’euforia generale. Migliaia di bandierine portavano delle iscrizioni e dei simboli che esprimevano l’ironia, lo spirito e
il patriottismo ardente di questi discendenti dei Franchi. Presso l’altare
erano raggruppati i deputati delle Guardie Nazionali e i diversi corpi di
volontari e i soldati i cui capelli si erano incanutiti al servizio della Patria. In secondo piano sorgevano i gradini ove avevano preso posto più
di 600.000 spettatori. Il vescovo di Autun ha celebrato la Messa. Sotto
un cielo coperto di pesanti nubi, la pioggia batteva continuamente. Ma i
cannoni si misero a tuonare e al di sopra di questa scena maestosa il cielo
ridiventò sereno. Dei sacerdoti, vestiti di bianco e cinti con una sciarpa
dai colori nazionali, stavano sui gradini dell’altare. Venne data lettura del
giuramento e “quali organi scatenati che accompagnano il frangersi delle
onde”, rimbombò il grido della moltitudine: “Lo giuro! lo giuro!”. Poi il
silenzio, tutti gli sguardi sono Àssati su di un unico punto: silenzio sulla
terra, silenzio nell’aria, ove gli spiriti sono certo attenti. Ma il rumore
Libertà civile
141
ritorna presto, la musica esplode, i cannoni tuonano, migliaia di persone restano silenziose, centinaia di migliaia piangono. Allora La Fayette,
salito su di un cavallo bianco, si avanzò quale messaggero di Dio, verso
l’altare. Messo il piede a terra, salì i gradini, seguito da due compagni
d’armi, tese solennemente la mano destra verso il cielo e pronunciò il
giuramento di fedeltà, di fraternità e di rispetto della Costituzione! Poi
scese dall’altare, saltò sul cavallo, e, brandendo il suo cappello sulla punta della spada, gridò: “Viva la Nazione!”. come un rombo di tuono che
scuota le montagne, il grido si ripercosse tra la folla: “Viva la Nazione!
Viva La Fayette!”. Nessuno, in quell’istante, era più felice di La Fayette.
Poi giurarono fedeltà gli arconti e inÀne il Re e la Regina. Milioni di
sguardi illuminati si concentrarono allora su di lui e, quale un clamore
che salutava la creazione del mondo, migliaia di voci s’innalzarono dal
Campo di Marte: “Viva il Re! Viva il nostro buon Re! Viva l’Assemblea
Nazionale! Viva la libertà!”. Con queste parole, il genio dei Franchi rompeva le catene, rovinava l’aristocrazia e le indirizzava questa profezia:
“Su di voi peserà d’ora innanzi una condanna a morte cui non potrete
sfuggire!”. La Regina sollevò allora il DelÀno e lo mostrò al popolo. Il
piccolo principe agitandosi ebbe come un gesto di slancio verso l’altare
e le acclamazioni del popolo risuonarono: “Viva la Regina! Viva il DelÀno!”. Quella notte tutta Parigi fu illuminata. Nell’atmosfera di festa e di
gioia generale, si udivano delle preghiere e delle lodi rivolte a Dio, che,
in questo mondo che invecchia, aveva liberato dalle sue catene un grande
popolo e l’aveva innalzato su una cima raggiante. Con quest’esempio
esso mostrava a tutti i popoli della terra che l’umanità non può ritrovare
la sua grandezza primitiva se non nella libertà.
Christian Schubart (1739-1791), Germania.
310
RIFLESSIONI SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE (1790)
Non sorprende, dopo questo, che con tali idee – quando ogni cosa
nella loro propria costituzione o nel loro governo, sia nella Chiesa che
nello Stato, pare loro illegittima e usurpata e ben più una vana presa in
giro – essi (gli ammiratori ed emuli inglesi della Rivoluzione francese al
suo inizio) Àssino su di voi i loro sguardi con tutto l’entusiasmo e tutto
l’amore della passione. Mentre i loro spiriti sono preoccupati di ciò, invano si parla loro di quello che è stato praticato dai loro antenati, delle leggi
fondamentali del loro paese, delle forze stabilite dalla Costituzione, i cui
vantaggi sono confermati dalla testimonianza irrevocabile di una lunga
esperienza, dal progresso della fortuna pubblica, e da quello della prosperità nazionale. Essi disprezzano l’esperienza, perché, secondo loro,
142
Il diritto di essere un uomo
questa è saggezza solo per gli ignoranti. Ma per terminare, essi hanno
preparato sotto terra una mina la cui esplosione farà saltare tutti in una
volta gli esempi dell’antichità, le usanze, le carte, gli atti del Parlamento,
tutto: questa mina è i diritti dell’uomo. Contro tali diritti non vi è prescrizione, le adesioni non sono degli impegni, non vi è né temperamento, né
modiÀca. Tutto ciò che è contrario a quanto essi racchiudono, non è che
frode e ingiustizia. Nessun governo consideri come punto di sicurezza
pubblica la lunghezza della sua durata, né la dolcezza e la giustizia della
sua amministrazione: ciò è contrario ai diritti dell’uomo. Se le forme non
quadrano con la loro teoria, le obbiezioni che fanno questi speculatori
contro un governo antico e che ha agito bene acquistano subito tutta la
validità di quelle che si farebbe contro la tirannia più violenta e contro
l’usurpazione più aspra. Essi sono sempre in contestazione, con i governi, non già a causa degli abusi che rimproverano loro, ma perché mettono
sempre in questione la loro competenza e il loro titolo. Non ho risposto
nulla alle numerose sottigliezze della loro metaÀsica politica; esse sono
buone come passatempi dei loro scolari: “Illa se jactet in aula Aeolus,
et clauso ventorum carcere regnet”. Noi tuttavia non tolleriamo che essi
sfascino la loro prigione, che sofÀno con una collera eolica, e che i loro
uragani vengano a spazzare in terra, e che facciano uscire dal suo seno
dei Áutti che ci inondino.
Si tratta forse dei veri diritti dell’uomo? Oh, allora io sono così lungi
dal negarne la teoria che il mio cuore è colmo di desiderio di conservarne
nella pratica tutti i vantaggi. Negando le false pretese dei diritti dell’uomo, non ho affatto l’intenzione di fare torto a quelle che sono reali, e che
sono tali al punto che i loro pretesi diritti sono a esse assolutamente contrari. Se la società civile è fatta per il vantaggio dell’uomo, ogni uomo ha
diritto a tutti i vantaggi per i quali essa è fatta. Si tratta di una istituzione
di beneÀcenza, e la legge stessa non è che la beneÀcenza, diretta da una
determinata regola. Tutti gli uomini hanno il diritto di vivere seguendo
questa regola. Essi hanno diritto alla giustizia e questo diritto appartiene
loro sia contro i più forti che contro i più deboli. Essi hanno diritto a tutti
i prodotti della loro industria e a tutti i mezzi di farla fruttiÀcare. Hanno
diritto di appartenere al loro padre e alla loro madre. Hanno diritto di
allevare e di perfezionare i loro Àgli. Hanno diritto all’istruzione durante
la vita e alle consolazioni al momento della loro morte. Qualunque cosa
un uomo possa intraprendere separatamente per il proprio bene, senza
ostacolare il bene di un altro, egli ha il diritto di farlo; ha in comune con
tutta la società un diritto incontestabile ad avere la propria parte in tutti
i vantaggi che derivano all’industria e dalla forza che essa procura. Ma,
Libertà civile
143
quanto al diritto di condividere il potere, l’autorità o la guida degli affari
dello Stato, negherò sempre formalmente che questo faccia parte dei diritti diretti e primitivi dell’uomo che vive in una società civile; perché io
mi occupo soltanto dell’uomo civile e sociale e non di altro; è una cosa
sulla quale è necessario mettersi d’accordo.
Se la società civile è un risultato di convenzioni, queste devono essere le
sue leggi; devono modiÀcare e limitare ogni specie di costituzione che si fa
in virtù di queste convenzioni; non esiste potere, né legislativo né giudiziario o esecutivo, che non derivi da essi; non possono infatti esistere in nessun altro stato di cose; e come potrebbe accadere che un uomo reclamasse,
in nome della società civile, dei diritti che non presuppongono neppure la
sua esistenza, dei diritti che gli ripugnano assolutamente? uno dei principali scopi della società civile e che diventa una delle sue regole fondamentali
è che nessuno sia giudice nella propria causa. Con ciò soltanto ogni individuo si è spogliato tutto d’un colpo del primo diritto fondamentale che
appartiene all’uomo non legato da nessun contratto, quello di giudicare da
sé e di sostenere il proprio diritto. Egli abdica al diritto di governarsi da
sé; abbandona perÀno, per quanto è possibile, il diritto di provvedere alla
propria difesa, questa prima legge della natura. Gli uomini non possono godere allo stesso tempo dei diritti di uno Stato civile e di uno Stato che non
lo è. Essi abbandonano, al Àne di ottenere giustizia, il diritto di decidere su
ogni cosa ciò che loro importa maggiormente; e, allo scopo di conservare
una certa libertà, essi l’afÀdano tutta intera a un comune deposito.
Il Governo non è fatto in virtù dei diritti naturali che possono esistere e
che infatti esistono indipendentemente da esso. Questi sono molto più chiari e molto più perfetti nella loro astrazione; ma questa perfezione astratta è
il loro difetto pratico. Avendo diritto a tutto, si manca di tutto. Il Governo
è un’invenzione della saggezza umana, per provvedere alle necessità degli
uomini. Gli uomini hanno diritto a che le loro necessità siano soddisfatte
da questa saggezza. Tra tutte queste necessità, si conviene che, al di fuori
della società civile, quella che si fa maggiormente sentire, è di limitare
sufÀcientemente le passioni. La società non esige soltanto che le passioni
degli individui vengano ridotte, ma perÀno che, collettivamente e in massa,
e anche separatamente, le inclinazioni degli uomini siano spesso contrastate, la loro volontà controllata e le loro passioni soggette a un freno. Questo
non può certamente essere compiuto se non da un potere che sia al di fuori
di loro e che non sia, nell’esercizio delle sue funzioni, soggetto a quella
medesima volontà e a quelle stesse passioni che è suo dovere domare e
sottomettere. In questo senso, la limitazione è, come la libertà, nel numero
dei diritti degli uomini. Ma siccome la libertà e le sue restrizioni variano
144
Il diritto di essere un uomo
coi tempi e le circostanze, siccome ammettono, l’una e le altre, delle modiÀche, Àno all’inÀnito, non si può assoggettarle ad alcuna regola Àssa, e
nulla è più insensato quanto il discuterla come se ciò potesse essere fatto.
Dal momento in cui voi alterate qualcosa in questi diritti fondamentali
dell’uomo, in quello di governarsi da sé, e ammettete che vi si stabiliscano
alcuni limiti positivi e artiÀciali, subito tutta l’organizzazione del Governo
diviene materia di convenzioni. Questo è ciò che rende la costituzione di
uno Stato, e la distribuzione equa dei suoi poteri, l’oggetto della scienza
più delicata e più complicata. Questo è ciò che esige una conoscenza tanto profonda della natura umana e delle sue necessità, di tutte le cose che
possono facilitare o impedire i diversi Àni che ci si propone col meccanismo delle istituzioni civili. Lo Stato ha bisogno di reclute per le sue forze
armate e di rimedi per i suoi mali. A che servirebbe, per alimentare o per
guarire, una discussione astratta sui diritti dell’uomo? Tutto consiste nel
saper procurare e amministrare l’uno o l’altro; in simili circostanze consiglierei sempre di ricorrere piuttosto al contadino e al medico anziché al
professore di metaÀsica.
Edmund Burke (1729-1797), Gran Bretagna.
311
LE VIRTÙ SOCIALI DELLA GIUSTIZIA
D. Che cosa è la società?
R. Ogni raggruppamento di uomini che vivono insieme sotto le clausole
di un contratto espresso o lecito, che ha per Àne la loro comune conservazione.
D. Le virtù sociali sono numerose?
R. Sì: se ne possono contare tante quante sono le specie di azioni utili
alla società; ma tutte si riducono a un solo principio.
D. Che cos’è questo principio fondamentale?
R. È la giustizia che da sola comprende tutte le virtù della società.
D. Perché dici che la giustizia è la virtù fondamentale e quasi unica della
società?
R. Perché essa sola abbraccia la pratica di tutte le azioni che le sono utili,
e tutte le altre virtù, sotto i nomi di carità e di umanità, di probità, d’amor
di patria, sincerità, generosità, semplicità di costumi e modestia, non sono
altro che forme variate di applicazioni diverse di quest’assioma: Non fare
a un altro quel che non vorresti egli facesse a te, che è la deÀnizione della
giustizia.
D. Come prescrive la giustizia la legge naturale?
R. Attraverso tre attributi Àsici, inerenti all’organizzazione dell’uomo.
D. Quali sono questi attributi?
Libertà civile
145
R. Sono l’uguaglianza, la libertà e la proprietà.
D. In che modo l’uguaglianza è un attributo Àsico dell’uomo?
R. Perché avendo tutti gli uomini ugualmente degli occhi, delle mani,
una bocca, delle orecchie e il bisogno di servirsene per vivere, essi hanno
con ciò un uguale diritto alla vita, all’uso degli elementi che la mantengono; sono tutti uguali dinanzi a Dio.
D. Pretendi che tutti gli uomini intendano ugualmente, vedano ugualmente, sentano ugualmente, abbiano uguali bisogni e uguali passioni?
R. No; è evidente infatti e si tratta di cose che possono constatarsi ogni
giorno, che l’uno ha la vita corta e l’altro l’ha lunga; che l’uno mangia
molto e l’altro poco; che l’uno ha delle passioni dolci e l’altro violente; in
una parola, che l’uno è debole di corpo e di spirito, mentre l’altro è forte.
D. Sono quindi realmente disuguali?
S. Sì, negli sviluppi dei loro mezzi, ma non nella natura e nell’essenza di
questi mezzi; è una medesima stoffa, ma le dimensioni non sono uguali; il
peso e il valore non sono gli stessi. La nostra lingua non ha la parola adatta
per designare al tempo stesso l’identità della natura e la diversità della
forma e dell’impiego. Si tratta di una uguaglianza proporzionale; ed ecco
perché ho detto, uguali davanti a Dio, e nell’ordine della natura.
D. In che modo la libertà è un attributo Àsico dell’uomo?
R. Perché tutti gli uomini, avendo dei sensi sufÀcienti per la loro conservazione, non avendo nessun bisogno dell’occhio di un altro per vedere, del suo
orecchio per sentire, della sua bocca per mangiare, del suo piede per camminare, sono tutti per ciò stesso costituiti naturalmente indipendenti, liberi; nessuno
è necessariamente sottomesso a un altro, né ha il diritto di dominarlo.
D. Ma se un uomo è nato forte, non ha egli il diritto naturale di dominare
l’uomo nato debole?
R. No, perché non è né una necessità per lui, né una convenzione tra
loro; è una estensione abusiva della sua forza; e si abusa qui della parola
diritto, che, nel suo vero signiÀcato non può indicare che giustizia oppure
facoltà reciproca.
D. In che modo la proprietà è un attributo Àsico dell’uomo?
R. Per il fatto che gli uomini sono uguali, liberi e non si devono nulla,
essi non hanno il diritto di chiedersi alcunché gli uni agli altri, se non per
restituirsi valori uguali; se non quando la bilancia del dare e avere è in equilibrio; ed è questa uguaglianza, quest’equilibrio che si chiama giustizia,
equità; cioè uguaglianza e giustizia sono una stessa parola, sono la stessa
legge naturale, di cui le virtù sociali non sono che delle applicazioni e dei
derivati.
Volney, La legge naturale, Francia, 1793.
312
146
Il diritto di essere un uomo
LA COSTITUZIONE CIVILE PERFETTA
II problema più importante che si pone alla specie umana e che la natura obbliga l’uomo a risolvere è di creare una società civile che applichi
il diritto in modo universale. Poiché solo nel seno della società, più precisamente di una società che, pur offrendo il massimo di libertà, ciò che
implica un antagonismo generale tra i suoi membri, avrà determinati – con
la massima precisione e garanzia – i limiti di questa libertà, afÀnché essa
sia compatibile con quella degli altri, poiché solo in una società di questo
genere la natura potrà realizzare all’interno dell’umanità la sua intenzione
suprema, che è lo sviluppo di tutte le sue capacità: la natura vuole anche
che l’umanità realizzi da sé questo disegno, come tutti quelli che s’iscrivono nel suo destino. Quindi il compito supremo imposto dalla natura alla
specie umana sarà d’instaurare una società in cui la libertà sottomessa a
leggi esterne, sarà legata il più possibile a una forza irresistibile, cioè una
costituzione civile perfettamente equa; poiché la natura non saprebbe realizzare gli altri progetti che essa nutre nei riguardi della nostra specie se
non dopo aver risolto e realizzato questo compito. E il pericolo che costringe l’essere umano, così innamorato in genere di una libertà senza freni, a
sottomettersi a questa costrizione, e questo pericolo è il più grande: quello
che gli uomini s’impongono, gli uni agli altri, perché, a causa delle loro
tendenze, essi non saprebbero vivere a lungo, Àanco a Àanco, in una libertà
anarchica. Ora, nel cerchio costituito da una tale associazione civile, queste
stesse tendenze avranno un eccellente effetto. Così, in una foresta, gli alberi, disputandosi l’aria e il sole, si obbligano ad andarli a cercare al di sopra
di se stessi, quindi, crescono belli e diritti, mentre quelli che, discosti dagli
altri, lasciano crescere i loro rami a capriccio, in completa libertà, crescono
gracili, storti e curvi. Tutta la civiltà e tutta l’arte, ornamento dell’umanità,
come anche il più bell’ordine sociale, sono frutti dell’insociabilità che essa
stessa si sforza di disciplinarsi e di svilupparsi così completamente, con
questo artiÀzio che s’impone, i germi della natura.
Immanuel Kant, Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht (Proposta per una storia generale in una visione mondiale),
1784.
313
I PRINCIPI DELLA CONDIZIONE CIVILE
Pertanto la condizione civile, considerata semplicemente come condizione giuridica, è fondata a priori sui seguenti principi:
1. La libertà di ogni membro della società, come uomo;
2. L’uguaglianza di costui con ogni altro, come soggetto;
3. L’indipendenza di ogni membro di una comunità, come cittadino.
Libertà civile
147
Questi principi appartengono meno alle leggi date dallo Stato già istituito, che non alle leggi secondo le quali solo l’istituzione di uno Stato è
possibile, conformemente ai puri principi nazionali del diritto umano generalmente esterno. Pertanto:
1. La libertà in quanto uomo; io ne esprimo il principio per la costituzione di una comunità con questa formula: nessuno può costringermi a
essere felice in un certo modo (quello con cui egli concepisce il benessere
degli altri uomini), ma è pur permesso a ognuno di cercare la felicità nel
modo che pare a lui essere quello buono, purché non nuoccia alla libertà
che può coesistere con la libertà di ognuno, secondo una legge universale
possibile (in altre parole, al diritto altrui). Un governo che fosse fondato sul
principio della benevolenza verso il popolo, quale quello di un padre verso
i suoi Àgli, cioè un governo paternalistico (imperium paternale), in cui per
conseguenza i sudditi, quali Àgli minori incapaci di decidere circa ciò che è
per loro veramente utile e nocivo, sono obbligati a comportarsi in modo solamente passivo, per aspettare unicamente dal giudizio del capo dello Stato
il modo con cui devono essere felici, e unicamente dalla sua bontà che egli
ugualmente lo voglia, – un tale governo, dico – è il più grande dispotismo
che si possa concepire (costituzione che sopprime ogni libertà dei sudditi
che, da quel momento, non possiedono alcun diritto). Non è un governo
paterno (väterlich), ma un governo patriottico (vaterländisch) – imperium
non paternale, sed patrioticum – che è l’unico concepibile per degli uomini
capaci di diritti e che, al tempo stesso, risponde alla benevolenza del sovrano. Infatti il modo di pensare (Denkungsart) è patriottico quando ogni
individuo nello Stato (senza escluderne il capo) considera il corpo comune
come il seno materno, oppure ancora il paese come il suolo paterno da cui
è uscito e dove è nato egli stesso, e che deve anche lasciare come pegno
prezioso al solo Àne di preservarne i diritti a mezzo delle leggi della volontà comune, senza ritenersi autorizzato a disporne secondo il suo capriccio
incontrollato. Questo diritto della libertà gli spetta in compartecipazione
quale membro del corpo comune in quanto uomo, cioè in quanto essere
che, in modo generale, è capace di diritti.
2. L’uguaglianza in quanto suddito, la si può formulare così: ogni membro del corpo comune possiede un diritto di costrizione su ogni altro, a
eccezione del solo capo dello Stato (perché egli non è membro di questo corpo, ma ne è il suo creatore, oppure il suo conservatore) che, solo,
ha il potere di costringere, senza esser lui stesso sottomesso a una legge
di costrizione. Chiunque in uno Stato si trovi sotto alle leggi è suddito,
quindi sottomesso al diritto di costringere come gli altri membri del corpo
comune; ne è esente soltanto (nella sua persona Àsica e morale) il capo
148
Il diritto di essere un uomo
dello Stato, che, solo, può esercitare ogni costrizione di diritto. Poiché se
anch’egli potesse essere costretto, non sarebbe il capo dello Stato, e la serie
ascendente di subordinazione andrebbe all’inÀnito. D’altra parte se essi
fossero due (persone affrancate da costrizione), né l’una né l’altra sarebbe
sottomessa a delle leggi di costrizione e l’una non potrebbe trattare l’altra
in modo contrario al diritto, ciò che è impossibile.
Questa uguaglianza universale degli uomini in uno Stato, come suoi
sudditi, è tuttavia perfettamente compatibile con la più grande ineguaglianza, in quantità o in gradi, della loro proprietà, sia che si tratti di superiorità
Àsica o intellettuale sugli altri, che di beni di fortuna che sono esterni a
essi, e di diritto in generale (possono esservene molti) nei loro rapporti con
gli altri, per modo che il benessere dell’uno dipende molto dalla volontà
dell’altro (quello del povero dipende da quello del ricco): che l’uno deve
mostrarsi obbediente (i Àgli ai genitori, la moglie al marito), mentre l’altro
retribuisce, ecc. Ma secondo il diritto (che, in quanto espressione della volontà generale può essere solamente unico, e che concerne la forma del diritto, non il modo o l’oggetto sul quale io ho un diritto) essi sono tuttavia, in
quanto sudditi, tutti uguali, poiché nessuno può costringere un altro se non
in virtù della legge pubblica (e attraverso il suo organo il capo dello Stato),
mentre in virtù della legge, ogni altro gli resiste nella stessa misura, poiché
nessuno può perdere questa facoltà di costrizione e perciò il suo diritto di
ricorso contro altri, se non per causa di un proprio crimine e neppure rinunciarvi da sé, cioè con un contratto: di conseguenza nessuno può con un atto
giuridico fare in modo da non avere dei diritti, ma unicamente dei doveri,
poiché egli priverebbe così anche se stesso del diritto di contrattare, e in
seguito il contratto si sopprimerebbe da sé.
Ora, da questa idea dell’uguaglianza degli uomini nel corpo comune
come sudditi deriva anche la formula seguente: Bisogna che ogni membro
di questo corpo possa in esso pervenire a ogni grado di condizione (adatto
a un suddito) a cui lo può portare il suo talento, la sua attività e le sue probabilità; e non bisogna che questi co-sudditi (Mitunterthanen) gli sbarrino
la strada in virtù di una prerogativa ereditaria (che gode del privilegio di
una certa determinata condizione) che permetta loro di mantenerlo eternamente, lui e i suoi discendenti, in un rango inferiore al loro.
Immanuel Kant, Sull’espressione corrente: può darsi che sia giusto in
teoria, ma non val niente nella pratica, 1793.
314
Dei cittadini per la libertà
La libertà politica e civica resta e sarà sempre il più sacro di tutti i beni, il
Àne più degno di tutti gli sforzi e il centro di ogni cultura: ma questo splen-
Libertà civile
149
dido ediÀcio non potrà mai essere innalzato se non su solide fondamenta
d’un carattere nobilitato. Bisogna quindi cominciare col creare dei cittadini
per una costituzione, prima di poter dare una costituzione ai cittadini.
Friedrich Schiller, Guerra dei trent’anni, 1790.
315
Vogliamo essere un sol popol di fratelli
Che, né periglio né miseria scinde;
Vogliam la libertà dei nostri padri,
Meglio morir che vivere da schiavi!
Vogliamo porre in Dio nostra Àducia
E non temere le potenze umane.
Friedrich Schiller, Guglielmo Tell, 1804
316
Democrazia e libertà
Nulla è tanto pericoloso quanto il lasciare a lungo il potere nelle mani
di uno stesso cittadino. Il popolo si abitua a obbedirgli ed egli si abitua a
comandare al popolo: è una specie di usurpazione e di tirannia [...]. I buoni
costumi sono i pilastri delle leggi, non la forza; l’esercizio della giustizia è
l’esercizio della libertà.
... Numerosi stati antichi e moderni hanno scrollato l’oppressione; ma
sono molto rari quelli che hanno saputo godere di qualche prezioso momento di libertà; molto presto sono ricaduti nelle loro cattive abitudini;
perché sono i popoli, più che i governi, a trascinare con sé la tirannia [...].
Soltanto la democrazia, a mio avviso, è compatibile con una libertà assoluta; ma quale governo democratico è riuscito a riunire nel medesimo
momento potere, prosperità e durata? [...]. I codici, i sistemi, le costituzioni, per quanto saggi possono essere, sono opere morte, che hanno scarsa
inÁuenza sulle società; sono gli uomini virtuosi, i patrioti, e gli uomini
illustri quelli che costituiscono le repubbliche! [...]. Io imploro la conferma
della libertà assoluta per gli schiavi così come implorerei per la mia vita e
per quella della Repubblica.
Simon Bolivar, Discorso al Congresso di Angostura, 14-15 febbraio
1819, Venezuela.
317
PROGRAMMA DELLA LEGIONE POLACCA (1848)
6. In Polonia, libertà per tutte le confessioni, libertà di ogni culto e di
ogni associazione religiosa.
7. Libertà di parola, liberamente espressa, giudicata dalla legge secondo
i suoi frutti.
8. Ogni membro della nazione è cittadino; tutti i cittadini sono uguali
davanti alla legge e alle magistrature.
150
Il diritto di essere un uomo
9. Tutte le cariche sono elettive, liberamente conferite, liberamente accettate.
10 A Israele, fratello maggiore, rispetto, fraternità e aiuto nella sua ricerca dei beni eterni e di quelli temporali. Diritti uguali in tutto.
11. Alla donna, nostra compagna, fraternità, cittadinanza, diritti uguali
in tutto.
12. A ogni Slavo che abita in Polonia, fraternità, cittadinanza, diritti
uguali in tutto.
13. A ogni famiglia – il suo pezzo di terra sotto la tutela della comunità.
A ogni villaggio – una terra comune sotto la tutela della nazione.
14. Ogni proprietà rispettata e salvaguardata dalla legge nazionale.
15. Aiuto politico, fraterno, della Polonia al fratello ceco e ai popoli cechi, al fratello russo e ai popoli russi. Aiuto cristiano a tutti i popoli, nostri
vicini, nostro prossimo.
Adam Mickiewicz (1798-1855).
318
Vantaggi dei piccoli Stati per quanto riguarda la libertà dei cittadini
Il piccolo Stato esiste perché vi sia nel mondo un angolo di terra in cui il
maggior numero di abitanti possa fruire della qualità di cittadino nel vero
senso della parola... Il piccolo Stato non possiede altro che la vera e reale
libertà, con la quale esso compensa pienamente – sul piano ideale – gli
enormi vantaggi e perÀno la potenza degli Stati più grandi.
Jakob Burckhardt (1818-1807), Svizzera.
319
Lettera del 1° giugno 1949
La monarchia deve essere necessariamente basata su di un’autorità sacra e inviolabile, autorità che scende verso il popolo, comunicando a ogni
gradino della gerarchia sociale una parte del potere supremo. Vedo sulla
fronte di ogni commissario di polizia la traccia dell’olio sacro di cui è unto
il suo re. La solennità e lo splendore sono indispensabili alla monarchia; la
maestosa presenza e la porpora sono necessarie al monarca come la casula
al prete. Il potere monarchico deve farsi vedere dappertutto, essere evidente; deve ricordare costantemente che l’individuo non è nulla di fronte a lui,
che è suddito e obbligato a sacriÀcargli la sua parte migliore e soprattutto a
sottomettersi in tutto e dappertutto.
L’abolizione dell’autorità è l’inizio della Repubblica. Questa riconosce
solo uomini liberi; l’autorità uccide la libertà dell’intelligenza.
La Repubblica non ha bisogno di nessun altro principio all’infuori di
quello che è inerente a ogni tipo di vita sociale: condizione universale e
senza la quale ogni società diventa impossibile. Vi sono cose obbligatorie,
Libertà civile
151
non perché gli uomini vivono sotto la Repubblica, ma perché vivono insieme.
La Repubblica che esiga qualcosa di più di queste condizioni indispensabili, cessa di essere Repubblica, oppure è ancora in formazione [...].
Il principio interiore della Repubblica è l’insieme armonioso e non il
dualismo; essa non ha né abiti talari, né laici, né uomini piazzati in alto né
piazzati in basso – non ha nulla al di sopra di se stessa – l’uomo è la sua
religione, è il suo Dio; essa non ne ha altri. Per questo, presuppone l’uomo
morale, cioè capace di socialità. L’uomo libero non riceve ordini da nessuno, è indipendente, come ogni autocrate. L’assenza di un ordine supremo
che pesa in virtù dell’autorità del forte è l’inizio della moralità dell’uomo,
della responsabilità dei suoi atti.
Qui la moralità diventa una forma naturale della volontà dell’uomo, essa
fonda i desideri dell’uomo con il mondo esteriore, la società. Essa non ha
bisogno dell’insolente dito indicatore che insegna la strada, che minaccia e
umilia. Sotto questo rapporto la Repubblica rassomiglia alla natura. Si cita
spesso la sottomissione della natura alle sue leggi, dimenticando che, nella
natura, la legge è insuperabile dai fatti e che essa stessa rappresenta una legge
realizzata; la legge come astrazione non esiste che nello spirito umano.
... Nella natura, come nella Repubblica, il governo è nascosto, non lo si
vede! Il governo è l’insieme, non esiste isolato, continuamente si agglomera e si disperde.
L’idea del governo separato dal popolo, che si tiene al di sopra di esso,
avendo per vocazione il compito di guidarlo è l’idea dello spirito che organizza la materia grossolana; è Jehovah, è il re, il simbolo della provvidenza
sulla terra, è precisamente ciò che la Repubblica respinge.
... Noi temiamo la libertà, perché temiamo gli uomini: li prendiamo per
molto più cattivi di quanto non sono; è la monarchia che ci ha abituati
a considerare così le cose. Noi dormiamo tranquillamente pensando che
esiste un governo forte, cioè un potere che, appoggiato sulle baionette, può
gettarci in prigione, fucilarci, deportarci; il pensiero di questo potere avrebbe dovuto al contrario privarci di riposo e di sonno.
Aleksandr Herzen (1812-1870), Lettere dalla Francia e dall’Italia.
320
Progetto di programma per il Partito social-democratico russo
Il Partito social-democratico russo rivendica in primo luogo:
1. La convocazione del Zemski Sobor (Assemblea costituente) che sarà
composto da rappresentanti di tutti i cittadini, per la elaborazione di una
Costituzione;
152
Il diritto di essere un uomo
2. Il suffragio universale e diretto per tutti i cittadini russi che hanno
raggiunto i ventun anni, senza distinzione di religione e di nazionalità;
3. La libertà di riunione, di associazione e di sciopero;
4. La libertà di stampa;
5. La soppressione delle classi e l’uguaglianza assoluta di tutti davanti
alla legge;
6. La libertà di culto e l’uguaglianza di tutte le nazionalità;
7. Il diritto di ogni cittadino di denunciare qualsiasi funzionario dinanzi
ai tribunali, senza passare attraverso la gerarchia;
8. La soppressione del passaporto, il diritto di circolare liberamente e di
cambiare domicilio;
9. Il diritto di fare del lavoro artigianale e di esercitare un mestiere; la
soppressione delle corporazioni.
Lenin (in prigione), 1895 o 1896.
321
Programma minimo del Partito operaio social-democratico russo, adottato al 2° congresso del partito nel 1903
Il partito operaio social-democratico russo considera come suo compito
più urgente l’abolizione del regime autocratico zarista e la sua sostituzione
con una repubblica democratica la cui costituzione garantirebbe:
il potere assoluto del popolo, cioè la concentrazione del potere supremo
tra le mani di un’Assemblea legislativa, composta di rappresentanti del
popolo e che formano un’unica Camera;
il suffragio universale, uguale e diretto, per le elezioni all’Assemblea
legislativa e per le elezioni alle amministrazioni autonome locali;
l’inviolabilità della persona e del domicilio
la totale libertà di coscienza, di parola, di stampa, di riunione, di sciopero e di associazione;
il diritto di circolare liberamente e di esercitare un mestiere
la soppressione delle classi e l’uguaglianza assoluta di tutti i cittadini,
senza distinzione alcuna, specialmente di sesso, di religione, di razza e di
nazionalità;
il diritto, di tutte le nazioni che fanno parte dello Stato di disporre di se
stesse;
l’elezione dei giudici da parte del popolo
la separazione della Chiesa dallo Stato; la separazione della Scuola e
della Chiesa;
l’insegnamento generale e professionale obbligatorio e gratuito, per tutti
i ragazzi dei due sessi, Àno all’età di dodici anni; vitto, vestiti e libri scolastici saranno forniti ai poveri a spese dello Stato.
Libertà civile
153
... Il Partito operaio social-democratico russo è fermamente convinto
che la realizzazione completa, continua e deÀnitiva delle riforme politiche
e sociali menzionate or ora sarà possibile solo a condizione che sia abolito
il regime autocratico e venga convocata un’Assemblea costituente, eletta
liberamente da tutto il popolo.
322
Ragion d’essere dello Stato
O lo Stato è fondato sulla personalità di ciascuno dei suoi Àgli, il lavoro manuale, la riÁessione personale, il perfezionamento di sé e il rispetto dell’onore familiare e del perfezionamento degli altri, inÀne l’amore
appassionato per la dignità dell’uomo; oppure lo Stato non vale una sola
lacrima versata da una sola delle nostre donne, né una sola goccia di sangue
dei nostri eroi.
José Marti (1853-1895), Cuba.
323
Libertà politica e responsabilità
La libertà politica incomincia quando, nella maggioranza del popolo,
l’individuo si sente responsabile della politica della collettività alla quale appartiene – quando egli non si accontenta di reclamare e protestare –
quando chiede soprattutto di vedere da se stesso la realtà quale è. Egli non
vuole agire ispirandosi, sul terreno politico ove essa non abbia nulla a che
vedere, a una fede in un Paradiso terrestre, che solo la cattiva volontà e la
stupidità degli altri impediscono di realizzare. Egli sa, al contrario, che la
politica cerca nel mondo concreto il cammino che, in tale o tal altro momento, è possibile seguire, ispirandosi all’ideale della condizione umana:
la libertà.
Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania.
324
Alcuni diritti particolari
Del diritto di circolare liberamente
Nessuna prigione mi ha accolto, fosse stato anche solo per passeggiarvi.
L’immaginazione me ne rende la vista spiacevole anche solo dall’esterno.
Sono così nauseato dopo la libertà, che se qualcuno mi proibisce l’accesso
a qualche angolo delle Indie, non vivrei per questo per nulla peggio a mio
agio. E Ànché troverò terra o aria aperti altrove, non imputridirò in un luogo ove io debba nascondermi. Mio Dio! come soffrirei male la condizione
in cui io vedo tanta gente, inchiodata a un quartiere di questo regno, privata dell’ingresso nelle principali città e nelle piazze e all’uso delle strade
154
Il diritto di essere un uomo
pubbliche, per aver discusso le nostre leggi! Se quelle che io servo mi minacciassero solamente la punta del dito, andrei immediatamente a cercarne
altre ovunque. Tutta la mia piccola prudenza, in queste guerre civili in cui
ci agitiamo, è diretta a impedire che esse interrompano la mia libertà di
movimento.
Michel de Montaigne, Saggi (1580-1588).
325
Libera circolazione dei commercianti presso gli Incas
Topa Inga Yupanqui fece pubblicare in tutto il suo impero che chiunque
desiderava essere commerciante poteva andare liberamente in ogni luogo
senza che nessuno potesse impedirglielo, sotto pena di gravi sanzioni, e
ordinò venissero istituiti in ogni provincia Àere e mercati.
Miguel Cabello Balboa (XVI sec.), Spagna.
326
Indiani chiusi (nelle riserve)
La terra è madre di tutti e tutti dovrebbero avere su di essa uguali diritti.
Sarebbe come sperare che i Àumi potessero scorrere contro corrente il credere che un uomo che è nato libero possa essere felice quando lo si rinchiude in un luogo e gli si toglie la libertà di andare dove vuole. Se si limita a un
Indiano il soggiorno su di un piccolo territorio e lo si obbliga a rimanervi,
egli non sarà felice e non potrà conoscere né sviluppo, né prosperità. Quando penso alle nostre condizioni di vita, mi sento il cuore pesante.
Giuseppe, capo indiano Naso Perforato (XIX sec.), America del
Nord.
327
Diritto di scambio delle idee
Bisogna essere in molti per potersi consultare.
Proverbio akan, Ghana.
328
Inviolabilità del domicilio
Oh voi che avete creduto, non entrate in una casa che non è la vostra senza
che vi siate accolti dai suoi abitanti, che allora saluterete: questo vi sarà riconosciuto, possiate ricordarvene. Se non vi trovate un’anima che vive, allora
non entrate prima che ve lo si permetta; e se vi si dice: “Ritornate!”, ritornatevi, questo vi sarà conteggiato, poiché Dio vede tutto quello che voi fate.
Corano, An-Nur, 27-28.
329
Contro le perquisizioni arbitrarie
I difensori sostengono che, in virtù dei precedenti veriÀcatisi, i rappresentanti dell’ordine hanno il diritto di entrare di forza presso la gente, di
Libertà civile
155
sconquassare i loro ufÀci, di impadronirsi delle loro carte, ecc., senza dover
fare l’inventario degli oggetti presi in tal modo, e che un semplice ordine
generico, che non porta alcun nome di delinquente, conferisca loro dei poteri discrezionali per perquisire la casa di ogni persona sulla quale possono
cadere i loro sospetti. Se veramente un segretario di Stato gode di tali poteri
e può delegarli ai suoi subordinati, ogni abitante di questo regno rischia di
doverne soffrire nella sua persona o nei suoi beni, e questo va totalmente
contro la libertà del cittadino.
Affare Wilkes, giudizio, 1763, Inghilterra.
330
Diritto uguale di tutti alla giustizia
Voi che credete, trovare la vostra forza nell’equità e testimoniate per
Dio anche quando ciò fosse contro voi stessi, contro vostro padre e vostra
madre e contro coloro che vi sono più vicini.
Corano, An-Nissa’, 135.
331
Coloro che vi hanno preceduto sono periti perché essi lasciavano impunito il potente che commetteva un furto e punivano il debole che commetteva un furto. Lo giuro in nome di Colui che tiene la mia anima nella sua
mano: Se Fatima, la Àglia di Maometto, commettesse un furto, le taglierei
la mano!
Hadith (Detti del Profeta).
332
Come potrebbe essere benedetta la nazione in cui contro il forte non vi
fosse giustizia per il debole?
Hadith (Detti del Profeta).
333
Diritto d’asilo
Si assicura che egli (l’Inca) desiderava agire bene e rinviava sempre ai
giudici gli affari di delitti, e si assicura che i delinquenti che entravano nel
tempio di Corichancha erano liberi, e che accadeva lo stesso per coloro che
si rifugiavano nel suo palazzo, salvo che per i ladri o gli adulteri; si afferma
che questo Inca Yabarvacac, per non vedere punire i colpevoli, fece costruire le prigioni fuori della città.
Juan de Santa Cruz Pachacuti, Relación de antigüedades deste reyno del
Perù, circa 1600.
334
Salvezza garantita a coloro che fuggono
Se qualche nuovo arrivato, che non appartiene ai nostri uomini si è rifugiato nella nostra città, e vi ha preso dimora per un anno e un giorno senza
156
Il diritto di essere un uomo
essere reclamato, se si è presentato al suo arrivo agli ufÀci amministrativi
della città oppure direttamente a noi, e ha aiutato nei lavori di pubblica utilità,
noi cittadini lo considereremo d’ora innanzi come concittadino ed egli godrà
della nostra garanzia nel bisogno. Se non ha punto aiutato, non lo si considererà concittadino e nessuna garanzia gli sarà accordata; non sopporteremo
tuttavia, per l’onore della città, che entro le sue stesse mura gli sia recato insulto; se però verrà preso o ucciso fuori della città, noi non lo vendicheremo.
Carta di Neuchâtel (Svizzera) data ai cittadini della città nel 1214.
335
Quando la Costituzione di uno Stato offre agli stranieri un asilo inviolabile, esso non accorda un favore e non compie un atto deliberato della sua
volontà. Esso riconosce un diritto che appartiene a tutti gli uomini, in tutti i
paesi, e la cui violazione sarebbe uno di quei numerosi atti di barbarie che
hanno disonorato la storia umana.
Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888), Argentina.
336
Lo straniero
La madre e il Àglio mangiano pesce, e danno a quest’imbecille d’Imono
dei legumi acidi; cercano di farmi così soffrire di emorroidi; dopo mi cureranno forse con dei bagni?
La liberalità tra parenti non si estende agli estranei, che ricevono solo il
vitto di cattiva qualità. Credono essi forse che io accetterei per diventare
ammalato? Pensano che io ignori che non saranno loro a curarmi durante
la malattia?
Uno straniero (un visitatore) è considerato come della cenere.
Non rimane che un certo tempo e poi scompare spesso per davvero.
Di conseguenza se egli è importuno o provoca dispiacere, sopportalo per
un po’, non durerà molto; inoltre non bisogna dimenticare che, lasciandoti,
egli racconterà come è stato ricevuto, ti farà una buona rinomanza, o, al
contrario, andrà in giro a dire che tu sei cattivo.
La sete di un bambino è come la fame di uno straniero.
Lo straniero ha fame, ma non osa chiedere del cibo, come il bambino
non sa chiedere nulla.
Non si deve aspettare che lo straniero chieda da mangiare, bisogna offrirgliene.
Proverbi mongo, Congo.
337
Esilio
Chi è allevato da sua madre
Vive sulla sua terra e nella sua casa.
Libertà civile
157
Io, solo, povero esiliato
Non ho né casa né terra.
Poesia popolare quechua, Perù.
338
Il forestiero che soggiorna con voi sarà per voi come un cittadino: lo
amerai come te stesso, poiché voi foste forestieri nella terra d’Egitto. Io
sono Jahve vostro Dio.
Bibbia ebraica, Levitico, 19.
339
Giustizia, imparzialità
Forza e giustizia
In tutto ciò che è sociale vi è la forza.
Solo l’equilibrio annienta la forza.
Se si sa dove la società è equilibrata bisogna fare ciò che è possibile per
aggiungere del peso nel piatto della bilancia troppo leggero. Benché il peso sia
il male, manovrandolo con questa intenzione, può darsi che esso non macchi.
Ma bisogna aver concepito l’equilibrio ed essere sempre pronti a cambiare di
lato, come la Giustizia, questa “fuggitiva dal campo dei vincitori”.
Simone Weil, Quaderni, 1942, Francia.
340
La forza non è una macchina per creare automaticamente la giustizia. È
un meccanismo cieco da cui escono per caso, indifferentemente, gli effetti
giusti o ingiusti, ma, per il gioco delle probabilità, quasi sempre ingiusti. Il
corso del tempo non vi fa nulla; non aumenta nel funzionamento di questo
meccanismo la proporzione inÀma degli effetti che sono per caso conformi
alla giustizia.
Se la forza è assolutamente sovrana, la giustizia è assolutamente irreale.
Ma essa non lo è: lo sappiamo per esperienza. Essa è reale nel fondo del
cuore degli uomini. La struttura di un cuore umano è una realtà tra le realtà
di quest’universo con lo stesso valore della traiettoria di un astro.
Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia.
341
Ammurabi è venuto per “fare risplendere la giustizia [...], per impedire
al potente di fare torto ai deboli”.
Codice di Ammurabi (1730-1685 a.C.), Babilonia.
342
Il bestiame detesta il precipizio; l’uomo detesta l’ingiustizia.
Proverbio amarico, Etiopia.
343
158
Il diritto di essere un uomo
Giustizia immanente
MACBETH: Se fatta la cosa, tutto fosse fatto, allora sarebbe bene che essa
fosse fatta in fretta. Se questo assassino potesse intralciare le sue conseguenze e raggiungere, col suo termine, il successo; se soltanto questo colpo
da darsi potesse esserne la sostanza e la Àne ultima quaggiù, non fosse altro
che quaggiù su questo banco di sabbia del tempo, noi rischieremmo la vita
futura. Ma in casi come questo, noi siamo sempre giudicati Àn da quaggiù;
noi non facciamo altro che dare delle lezioni di sangue che, una volta imparate, ritornano a colpire il precettore; l’imparziale giustizia presenta alle
nostre labbra il contenuto della coppa da noi avvelenata.
Shakespeare, Macbeth, Atto I, scena VII. 1606.
344
Imparzialità
Anno 16, terzo mese della stagione dell’inondazione, giorno 21. In
quel giorno, nella grande Corte di giustizia di Tebe, a Àanco delle due
steli dell’alto, a nord della Corte di Amon, alla porta di Dwarekhit. Notabili che sedevano nella grande Corte di Giustizia di Tebe, quel giorno:
il prefetto di Tebe e vizir Khaemwese; il gran sacerdote di Amenre, re
degli dei, Amenhotep; il profeta di Amenre, re degli dei, e sacerdote-sem,
Nesamun, del tempio dei Milioni di anni (tempio funerario) del re Neferkere Setepenre; il servo reale Nesamun, scriba del faraone; l’intendente
della casa della Divina Adoratrice d’Amenre, re degli dei; il servitore
reale Neferkere-enperamun, araldo del faraone; il luogotenente generale
Ori, delle truppe carreggiate; il portabandiera della Áotta Ori; il principe
di Tebe Pesiur.
Il prefetto di Tebe e visir Khaemvese fece comparire il fabbro ferraio
Peikharee, Àglio di Khari, il fabbro ferraio Thari, Àglio di Khaemope, e il
fabbro ferraio Peikamon, Àglio di Thari, del tempio di Usimare Miamon, al
servizio del gran-sacerdote di Amon.
Disse il visir ai grandi notabili della grande Corte di Giustizia di Tebe:
“Questo principe di Tebe ha elevato alcune accuse contro gli ispettori e gli
operai della Necropoli nell’anno 16, terzo mese dell’inondazione, 19° giorno, in presenza del servitore reale Nesamun, scriba del faraone, a proposito
delle grandi tombe che si trovano sulla Piazza della Bellezza.
Tuttavia quando andai laggiù io stesso, in qualità di visir del paese, in
compagnia del servo reale Nesamun, scriba del faraone, esaminammo le
tombe di cui il principe del Nom e aveva detto che erano state violate dai
fabbri del tempio di Usimare Miamon, nella casa di Amon: noi le abbiamo
trovate intatte, e tutto ciò che era stato detto si è rivelato falso. Ora ecco che
i fabbri sono davanti a voi; domandate loro tutto delle tombe della Piazza
Libertà civile
159
dei Faraoni a proposito delle quali questo principe aveva parlato, e si riconobbe che in quest’affare il principe aveva avuto torto.
I grandi notabili rilasciarono i fabbri del tempio di Usimare Miamon, ed
essi furono afÀdati quel giorno stesso al gran-sacerdote di Amenre, re degli
dei, Amenhotep.
Fu redatto un rapporto che venne depositato negli archivi del visir.
Cronaca di un processo (XX dinastia. II millennio a.C.), Antico
Egitto.
345
Procedura legale
Caso in cui un uomo denuncia un altro, dicendo: “Egli mi ha preso la
mia casa, essa è mia, è quella di mio padre”, e in cui colui che è accusato
in tal modo replica: “È mia, l’ho tirata fuori dal canale” (cioè l’ho costruita
con l’argilla del canale). Se la casa è vicina al canale, si dirà a colui che
è accusato: “Dimostra che essa è tua e che tu l’hai tratta dal canale”; altrimenti colui che ti accusa dovrà dimostrare che è sua e che ha appartenuto
a suo padre”. Se il canale non passa vicino alla casa, si dirà all’accusatore:
“Dimostra che è tua e che apparteneva a tuo padre”. L’altro dovrà consegnargli un atto scritto di rinuncia riguardante la casa in questione.
Codice di leggi di Hermopolis Epoca tolemaica, Antico Egitto.
346
Uniformità
Poiché è desiderabile che vi sia uniformità nella procedura e nelle pene,
ordino che d’ora innanzi sia così.
Editto di Ashoka, Pilastro IV (III sec. a.C.), India.
347
Gli arconti salgono sulla pietra e [...] “giurano di adempiere la loro carica con la massima giustizia e conformemente alle leggi, di non ricevere
regali a causa dell’esercizio delle loro funzioni, oppure, se ne ricevono, di
consacrare una statua d’oro”.
Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene.
348
Condizioni per ogni condanna a morte
... che non si poteva eseguire una condanna a morte di nessun cittadino
senza la decisione di un tribunale …
Aristotele (IV sec. a.C.), Costituzione di Atene.
349
Non si può condannare un cittadino a morte se non nei comizi riuniti.
... condanna a morte il giudice o l’arbitro che è convinto di aver emesso
la sua sentenza secondo il desiderio di colui che gli ha dato del denaro.
Legge delle XII tavole (prima legislazione romana), V sec. a.C. 350
160
Il diritto di essere un uomo
Un Greco che debba essere giudicato avrà, il giorno prima dell’inizio del processo, la possibilità di scegliere tra una giuria composta
interamente di Romani o composta per metà da Greci; se si pronuncia
per una metà di Greci, allora, dopo che le palle saranno state pesate e se
su queste saranno stati scritti i nomi, si estrarranno da un’urna i nomi
dei Romani e da un’altra quelli dei Greci Àno a che si sarà raggiunto, in
ciascun gruppo, il numero di 25. Da questo numero l’accusa riÀuterà,
se lo vuole, un giudice di ciascun gruppo e l’accusato tre in tutto, senza
che egli possa ricusare soltanto dei Romani o dei Greci. Tutti gli altri
saranno in seguito autorizzati a dare il loro voto, deponendoli separatamente, i Romani in una cassetta, i Greci in un’altra; poi, dopo aver
contato separatamente i voti emessi da una parte e dall’altra, il governatore annuncerà pubblicamente ciò che la maggioranza avrà giudicato.
Primo editto di Augusto, Anno 7-6 a.C.
351
Tertulliano contesta la legalità della condanna dei cristiani. Non vi è
stato processo regolare, non vi sono stati avvocati.
La verità non ha che un solo desiderio, quello di non essere condannata
senza essere conosciuta.
………
InÀne, se è certo che noi siamo dei grandi criminali, perché siamo trattati
diversamente dai nostri simili, cioè gli altri criminali?
Tertulliano (II sec.), Apologetica. Cartagine.
352
I giudici
Il re deve nominare alla funzione di giudice delle persone che abbiano
studiato a fondo le scritture, che conoscano il Dharma, che si mantengano
attaccati alla verità e che diano prova di imparzialità nei riguardi dell’attore
o del difensore.
I giudici che si discostano dal diritto quale è Àssato negli Smiritis o che
fanno cose analoghe, per affezione, avidità o timore, devono essere colpiti
da una pena doppia di quella che meriterebbe il colpevole nel caso considerato.
Yâjñavalkyasmriti, II (III-IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
353
Giustizia rapida e rigorosa
Quando ha preso posto sul suo seggio nell’assemblea, il re non deve
lasciar aspettare a lungo alla porta coloro che desiderano sottoporgli le loro
lagnanze. Poiché un re poco accessibile sarebbe incitato dal suo entourage
ad agire in senso contrario di quanto conviene fare o non fare. Allora dovrà
Libertà civile
161
forse affrontare una rivolta del popolo in cui rischierà di essere vinto dal
nemico.
Kautiliya, Arthasâstra, I (IV sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
354
Restituzione
Il re deve ricuperare i beni rubati dai ladri e restituirli integralmente
ai proprietari, qualunque sia il loro rango sociale. Se non può ricuperarli,
deve indennizzare le vittime, attingendo al suo tesoro personale.
Visnusmriti, III (IV-V sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
355
Rigore
Il principio della legge è che, nel caso in cui un semplice privato fosse
condannato alla multa di un karsâpana (una moneta), un re dovrebbe essere
condannato a una multa di mille (kârsapana).
Manusmriti, VIII (II sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
356
Amministrare la giustizia senza tener conto del Dharma coinvolge, per
il re, la perdita del cielo, della gloria e del mondo della beatitudine. Amministrare bene la giustizia, al contrario, conduce al cielo, alla gloria e al
successo. Il re non deve lasciare impunito neppure il proprio fratello o suo
Àglio, o una persona rispettata (quale un maestro) o il suocero o il padre di
sua madre, se si è allontanato dal Dharma. Il re che punisce le persone che
meritano un castigo e che condanna a morte coloro che meritano la morte,
può essere considerato come chi ha compiuto (numerosi) sacriÀci costituiti
da offerte perfette ed eccellenti. Poiché (egli è in diritto di trarre da questo
fatto) un frutto uguale a quello di un sacriÀcio, il re deve esaminare lui
stesso, una a una e giorno dopo giorno, con il concorso degli assessori, le
diverse cause di cui è investita la giustizia.
Yâjñavalkyasmriti, I (III-IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
357
Tuttavia, quando la persona danneggiata ha subito un danno e lo denuncia, bisogna amministrare la giustizia tenendo nel dovuto conto le circostanze particolari, quali il momento, il luogo e il diritto locale, e così pure
l’età, il grado di cultura e la posizione (degli interessati).
Vasistha-Dharmasûtra, XIX (I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 358
L’amministrazione della giustizia non può essere assoluta
Ciò che sembra contrario alla legge normale, o re, deve essere applicato
come legge (in certe circostanze). (Analogamente) ciò che è legge normale
deve essere considerato come contrario alla legge.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 359
162
Summum ius, summa injuria.
Citato da Cicerone, De ofÀciis, I secolo a C.
Il diritto di essere un uomo
360
Diritto di appello
Ordino che d’ora in poi si proceda così: agli uomini che sono già stati
colpiti da una pena, che sono in prigione o condannati a morte, ordino che
siano accordati tre giorni di dilazione legale, perché (durante questo tempo)
i loro congiunti possano sollecitarne la grazia, o, allo scopo di risparmiar
loro, alla Àne, delle sofferenze (spirituali), fare delle offerte e osservare dei
digiuni che siano loro vantaggiosi nell’altro mondo.
Editto di Ashoka, Pilastro, IV (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
361
Perché la giustizia sia bene applicata
Rinunciando alla voracità e abdicando agli avidi desideri, tratta con imparzialità le cause che ti sono sottoposte. Le denunce presentate dal popolo,
sono circa un migliaio al giorno. Se ve ne sono tante in un giorno, quante
ve ne saranno al termine di diversi anni? Se l’uomo che deve amministrare
la giustizia fa del guadagno il suo scopo di ogni giorno e ascolta i difensori allo scopo di ottenere otri di vino, allora i processi dei ricchi saranno
simili alla pietra lanciata nell’acqua (non incontreranno alcuna resistenza),
mentre le denunzie dei poveri saranno come l’acqua gettata sulla pietra. In
queste condizioni, i pezzenti non sapranno ove indirizzare i propri passi.
………
Che ognuno abbia il proprio incarico e che le attribuzioni restino ben
distinte.
Quando degli uomini saggi sono collocati nei posti di comando, le doti
si innalzano da ogni parte. Se si tratta di uomini senza principi che occupano questi posti, i disastri e il caos aumentano continuamente. In questo
mondo sono ben pochi coloro che ricevono un quid di saggezza Àn dalla
nascita: il sapere è frutto di un’ardente meditazione. Per ogni cosa, grande
o piccola, si tratta di sapere scegliere l’uomo che conviene e tutto andrà
certamente per il meglio; in tutte le occasioni, che vi sia o meno urgenza,
basta rivolgersi a un uomo saggio perché gli affari si regolino da sé. In tal
modo la perennità dello Stato sarà assicurata e i Templi della Terra e del
Grano saranno al riparo da ogni pericolo. Anche i saggi sovrani dell’antichità cercavano l’uomo che ricoprisse una determinata carica, e non la
carica da dare a un determinato uomo. Che i ministri e i funzionari vengano
alla Corte molto presto al mattino e si ritirino tardi la sera. Gli affari dello
Stato non tollerano la negligenza e la giornata tutt’intera basta appena a
disimpegnarli. Di conseguenza, se i funzionari arrivano tardi non possono
Libertà civile
163
decidere convenientemente sui casi urgenti e, se partono presto, il loro lavoro non può essere terminato.
………
Asteniamoci da ogni sdegno e guardiamoci dal gettare degli sguardi irritati. Non dobbiamo avere alcun risentimento se gli altri non la pensano
come noi, poiché tutti gli uomini hanno un cuore, e ogni cuore ha le sue
inclinazioni. Ciò che è bene per gli altri è male per noi, e ciò che è bene per
noi è male per gli altri. Noi non siamo necessariamente dei saggi e gli altri
non sono necessariamente degli stupidi. Siamo tutti soltanto degli uomini comuni. Come potrebbe qualcuno stabilire dei princìpi per distinguere
il bene dal male? poiché siamo al tempo stesso saggi e stupidi, come un
anello che non ha Àne. Dunque anche se gli altri si lasciano trascinare dalla
collera, siamo noi invece che dobbiamo temere di commettere degli errori,
e anche se siamo forse soli ad avere ragione, seguiamo la moltitudine e
agiamo come essa.
………
Le questioni importanti non devono essere deÀnite da un solo individuo.
Esse devono essere studiate da molti; ma le piccole cose hanno minori
conseguenze e quindi non è necessario consultare numerose persone. Solo
quando si tratta di affari gravi e vi è pericolo di errori bisogna deÀnirle in
unione con altri, al Àne di giungere a una conclusione giusta.
Costituzione del principe imperiale Shôtoku 604, Giappone.
362
Le caste e il diritto
“Si può dire, Signore, che si senta dappertutto una sola affermazione:
‘Solo i bramini formano la casta migliore, tutte le altre caste sono inferiori;
solo i bramini sono di tinta chiara, tutti quelli delle altre caste hanno un
colorito scuro; solo i bramini sono puri, gli altri non lo sono; i bramini
sono Àgli di Brahma, sono nati dalla sua bocca; nati da Brahma sono stati
formati da Brahma, sono gli eredi di Brahma!’. Che ne pensate di questo,
Signore? Se un nobile penetrasse con scasso in una casa, commettesse un
saccheggio o un furto, tendesse un’imboscata o si rendesse colpevole di
adulterio, e se gli uomini che lo hanno catturato lo conducessero dinanzi
a voi dicendo: “Ecco Maestà, il ladro che vi nuoce, diteci quale castigo
dobbiamo inÁiggergli”. Che cosa gli fareste?
– Mio buon Kaccana, noi dovremmo ucciderlo oppure rovinarlo o espellerlo o trattarlo a nostro piacimento. Perché? Perché il nome di ‘nobile’ che
egli aveva un tempo è ora scomparso ed egli è solo considerato un ‘ladro’.
– Che ne pensate di questo, Signore? Se un bramino, un mercante o un
lavoratore entrasse con scasso in una casa... che cosa gli fareste?
164
Il diritto di essere un uomo
Mio buon Kaccana, dovremmo ucciderlo... egli è considerato solo come
un ‘ladro’.
Che ne pensate, Signore? Se le cose stanno così, queste quattro caste
sono esse esattamente le stesse o no? Oppure... che ne pensate?
In verità, se le cose stanno così, queste quattro caste sono esattamente le
stesse, non vedo alcuna differenza tra di loro a questo riguardo”.
Majjhima Nikaya, II, testo pali.
363
Forza della legge, protezione dell’accusato
Can. 2226 – § 1. È soggetto alla pena relativa alla legge o al precetto chiunque è vincolato da questa legge o da questo precetto, a meno di
espressa esenzione.
§ 2. Se una legge penale modiÀca una legge anteriore, nel caso che il delitto sia stato commesso prima della promulgazione della legge più recente,
deve essere applicata la legge più favorevole all’imputato.
§ 4. Il colpevole è soggetto a pena ovunque, anche quando vien meno la
giurisdizione del superiore, a meno di un’espressa disposizione contraria.
Can. 2228 – Non si incorre nella pena stabilita dalla legge che quando il
delitto è stato interamente consumato nel suo genere, nel senso preciso dei
termini della legge.
Piena coscienza e responsabilità
Can. 2229 – § 1. L’ignoranza evidente della legge o della sola pena non
scusa da nessuna pena di “lata sentenza”; ma quando la legge dice “presunse, osò, scientemente, studiosamente, temerariamente, a bella posta fece”
o altro simile che comporti una vera diminuzione di imputabilità per l’intelletto o per la volontà, si resta esenti dalla pena di “lata sentenza”.
1. Se la legge non ha quelle espressioni, l’ignoranza crassa o supina non
scusa da alcuna pena di “lata sentenza”; se non è crassa o supina scusa
dalle pene medicinali, non dalle vendicative di “lata sentenza”.
2. L’ubriachezza, l’omissione della diligenza necessaria, la debolezza
della mente, l’impeto della passione, anche se diminuiscono l’imputabilità,
Ànché c’è la colpa grave, non scusano dalle pene di “lata sentenza”.
3. Nemmeno scusa il timore grave dalle pene di “lata sentenza” se il
delitto riguarda il disprezzo della fede, o dell’autorità ecclesiastica o il pubblico danno delle anime.
Imputabilità
Can. 2213 – I tentativi di delitto hanno tanto maggiore imputabilità
quanto più si avvicinano al delitto consumato, benché minore che per il
Libertà civile
165
delitto consumato. Il delitto frustrato è più colpevole del semplice tentativo.
Diritto canonico.
364
Uguaglianza e gerarchia
Ogni distinzione sia negli onori sia nelle ricchezze perché sia legittima suppone un’anteriore uguaglianza fondata sulle leggi, che considerano tutti i sudditi come ugualmente dipendenti da esse. Si deve
supporre che gli uomini che hanno rinunziato al naturale loro dispotismo abbiano detto: chi sarà più industrioso abbia maggiori onori, e la
fama di lui risplenda nei suoi successi; ma chi è più felice o più onorato
speri di più, ma non tema meno degli altri di violare quei patti coi quali
è sopra gli altri sollevato. Egli è vero che tali decreti non emanarono
in una dieta del genere umano, ma tali decreti esistono negli immobili
rapporti delle cose, non distruggono quei vantaggi che si suppongono
prodotti dalla nobiltà e ne impediscono gli inconvenienti; rendono formidabili le leggi chiudendo ogni strada all’impunità. A chi dicesse che
la medesima pena data al nobile e al plebeo non è realmente la stessa
per la diversità dell’educazione, per l’infamia che spandesi su di un’illustre famiglia, risponderei che la sensibilità del reo non è la misura
delle pene, ma il pubblico danno, tanto maggiore, quanto è fatto da chi
è più favorito.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
365
Garanzie giudiziarie
L’attentato alla sicurezza e alla libertà dei cittadini è uno dei delitti più
gravi.
Le sole leggi possono decretare le pene sui delitti. Ma una pena accresciuta al di là del limite Àssato dalle leggi è la pena giusta più un’altra pena; dunque non può un magistrato sotto qualunque pretesto di
zelo o di bene pubblico accrescere la pena stabilita a un delinquente
cittadino.
Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice...
La carcere è dunque la semplice custodia di un cittadino Ànché sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev’esser meno dura che si possa....
È evidente che il Àne delle pene non è di tormentare e afÁiggere un
essere sensibile... Il Àne dunque non è altro che d’impedire il reo dal far
nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuoverne altri dal farne uguali.
166
Il diritto di essere un uomo
L’educazione contro i delitti
È meglio prevenire i delitti che punirli. Questo, è il Àne principale di
ogni buona legislazione... Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà... Finalmente il più sicuro, ma il più difÀcile mezzo di
prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
366
Castighi senza arbitrio
È il trionfo della libertà, quando le leggi criminali applicano ogni pena
secondo la natura particolare del crimine. Ogni arbitrio cessa; la pena non
deriva punto dal capriccio del legislatore, ma dalla natura della cosa; e non
è più l’uomo che usa violenza all’uomo.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
367
Libertà a mezzo della legge
Avrei voluto vivere e morire libero, cioè talmente sottomesso alle leggi
che né io né alcun altro avremmo potuto scuoterne l’onorato giogo, questo
giogo salutare e dolce, che le teste più Àere portano tanto più docilmente
perché sono fatte per non portarne alcun’altro.
Avrei dunque voluto che nessuno nello Stato avesse potuto dirsi al disopra della legge, e che nessuno dal di fuori avesse potuto imporne altre che
lo Stato fosse poi obbligato di riconoscere. Giacché qualunque possa essere
la costituzione d’un governo, se vi si trova un solo uomo che non sia sottomesso alla legge, tutti gli altri sono necessariamente alla mercé di questa.
Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e sui fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, 1755.
368
Il fatto è che invece di distruggere l’uguaglianza naturale, il patto fondamentale sostituisce al contrario un’uguaglianza morale e legittima a ciò che
la natura aveva potuto mettere d’inuguaglianza Àsica tra gli uomini, e che,
potendo naturalmente essere inuguali per forza o per genio, essi diventano
tutti uguali per convenzione e di diritto.
Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, 1762.
369
Repressione della venalità presso i funzionari
Delle leggi e dei castighi con cui gli Inca governavano il loro regno
Non avendo alfabeto, gli Indiani non avevano leggi scritte, ma conservavano per tradizione quelle che avevano stabilito i loro re, con gli usi e le
norme che vi erano legati. Formulerò, come segue, le principali e quelle di
cui avevano un maggior ricordo.
Libertà civile
167
Se un governatore, per corruzione o per affezione, non osservava la giustizia o dissimulava qualcosa, l’Inca stesso lo castigava privandolo del suo
caciccato e della sua carica e rendendolo incapace di poterne assumere
altre; e se l’ingiustizia verteva su una materia grave, lo faceva uccidere.
Bernabé Cobo, Storia del Nuovo Mondo, 1653.
370
Né pena di ordine pecuniario, né conÀsca dei beni
Garcilaso de la Vega (l’Inca), Àglio d’un capitano spagnolo e di una
madre indigena di sangue regale, fu storico, prete, latinista e poligrafo; fu
soprannominato “l’Erodoto degli Inca”
Gli indiani non usavano condannare al pagamento di una multa, né conÀscavano i beni di nessuno. Essi adducevano come motivo il fatto che l’attaccarsi ai beni dei colpevoli e lasciare questi in vita non signiÀcava bandire il crimine da uno Stato, ma dare ai criminali la libertà di commettere
dei mali maggiori. Se un Cacicco si ribellava (cosa che essi castigavano
con estremo rigore) o se egli commetteva qualche altra offesa per la quale
meritava di essere messo a morte, anche se egli lo era effettivamente, colui
che doveva succedergli nella sua carica non ne veniva spogliato. Al contrario gliela davano, facendogli però notare la colpa e la pena di suo padre,
afÀnché facesse attenzione di non fare come lui. Pedro Cieza de León, parlando degli Inca a questo riguardo, al capitolo 21 del suo libro, dice che per
impedire che i loro sudditi volessero loro del male, essi usavano di non togliere mai la dignità di Cacicco a coloro che la detenevano ereditariamente
e che erano del paese. Se per caso qualcuno aveva commesso una colpa
così enorme da meritare per punizione di essere degradato di questo segno
di onore e di nobiltà, essi la davano a uno dei suoi Àgli o dei suoi fratelli,
comandando a tutti di obbedirgli e di riconoscerlo per Cacicco.
Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608 o 1609.
371
L’amministrazione della giustizia presso gli Inca
Con la sentenza pronunciata dal giudice, egli non doveva mai derogare alla punizione stabilita dalla Legge, invece eseguirla bene, punto per
punto, sotto pena di morte se fosse venuto meno alle ordinanze del Re.
Essi dicevano a questo riguardo che non si poteva permettere al Giudice di
aggiungervi o di togliervi qualcosa di suo, senza diminuire la maestà della
Legge; che per altro la si doveva tanto più rispettare perché era il Re stesso
che l’aveva fatta con il consenso di tutti i membri del suo Consiglio; che
dei Giudici particolari non avevano tanta esperienza quanto essi, e pertanto
che autorizzarli Àno a questo punto sarebbe stato rendere la giustizia venale e aprire un cammino alla corruzione o con preghiere o con doni. Essi
168
Il diritto di essere un uomo
aggiungevano che ciò non poteva essere tollerato senza attirare un grande
disordine nello Stato, tanto più che con questo sistema ogni Giudice avrebbe cominciato a fare a modo suo, e che, in una parola, non era ragionevole
che nessuno di loro si autocostituisse Legislatore, ma doveva essere un
semplice esecutore di ciò che la Legge comandava, per quanto rigorosa
potesse essere.
In qualunque processo di cui si fosse trattato, essi non ricorrevano mai
da una Corte all’altra. Perché il primo Giudice, non potendo contravvenire alla Legge, la faceva eseguire, punto per punto, con una sua sentenza, e
così l’affare era concluso. È vero che, visto il buon ordine che vi apportavano questi Re, e il modo onesto di vivere dei loro sudditi, vi erano molto
pochi processi tra di loro. Per esaurirli senza ritardo, essi stabilivano un
Giudice in ogni città, che, dopo l’udienza data alle parti, le obbligava a
mettere in esecuzione entro cinque giorni il contenuto della Legge. Se per
caso capitava qualche azione che fosse stata più importante o più seria
dell’ordinario, e avesse perciò avuto bisogno di essere rinviata per essere
discussa dal Giudice provinciale, si andava per questo direttamente da
lui, che la concludeva deÀnitivamente. Perché, per impedire che coloro i
quali erano sotto processo uscissero dalla loro Provincia, vi era nella città
capitale un Sovraintendente della Giustizia, per giudicare le parti [...]. I re
inca sapevano benissimo che i poveri non avevano i mezzi per difendersi
fuori del loro paese, né in altri tribunali, a causa delle spese che avrebbero dovuto incontrare, tanto che si vedevano costretti a lasciar perdere il
loro buon diritto per non poterlo difendere, principalmente se avevano a
che fare con delle parti che fossero più ricche di loro, poiché l’abitudine
di questa gente era di rendere cattiva, a causa della loro potenza, la causa
dei miserabili, per quanto buona potesse essere. Per rimediare a ciò, essi
ordinarono che vi fossero ben poche sedi presidiali, in cui coloro che
avrebbero avuto un processo potessero ricorrere senza uscire dalla provincia. Non venivano date sentenze da parte dei giudici ordinari, di cui
a ogni Luna essi non fossero obbligati di rendere conto ad altri giudici,
dei quali essi erano solo dei subalterni. Infatti alla Corte ve ne erano di
vari gradi, che si aveva l’abitudine di impiegare diversamente, secondo
l’importanza che la questione richiedeva; e anche per questo in tutte le
trattative dello Stato, vi era un ordine, dai più piccoli ai più grandi, Àno
ai giudici sovrani, che erano i viceré o i luogotenenti delle quattro parti
dell’Impero. Il rapporto da un giudice all’altro aveva luogo appositamente per controllare se essi avevano esercitato bene la loro carica, afÀnché
con questo metodo i giudici inferiori fossero diligenti nell’eseguire il loro
compito, oppure che per causa di questi si castigassero con estremo rigo-
Libertà civile
169
re; ciò che poteva essere chiamato una riforma segreta, che aveva luogo
ogni mese.
Commentario reale o Storia degli Inca, re del Perù, 1608 o 1609.
372
Diritto alla protezione giuridica
Dato che ho saputo che i detti Corregidores, nei predetti processi criminali, perseguivano gli accusati Indiani con eccessivo rigore, senza tener
conto delle regole del diritto, ed eseguivano le sentenze di morte alle quali
essi li condannavano senza dar diritto di appello, e poiché conviene rimediare a questo stato di cose afÀnché questo disordine non continui, decreto
e ordino che, ogni volta che un tale fatto avrà luogo, detti Corregidores
o altri giudici condanneranno degli Indiani alla pena di morte e che questi ultimi interporranno appello, si accettino le richieste che essi avranno
presentato dinanzi alle dette istanze regali del distretto in cui il fatto avrà
avuto luogo, e che nel caso in cui per l’ignoranza di qualcuno di loro non
interponesse appello, non vengano uccisi e si trasmettano senza ritardo le
sentenze pronunciate alle sopraddette istanze regali, perché i loro patrocinatori ricorrano in appello, se lo ritengono opportuno.
Ordinanza del viceré del Perù ai Corregidores, 1685.
373
Uguaglianza del castigo
Se le stesse leggi devono essere applicate a tutta la Repubblica, dobbiamo punire i criminali con punizioni uguali. Poiché nulla squaliÀca di più la
legge che la diversità nell’applicazione delle pene che colpiscono in modo
diverso i colpevoli. In verità, se la questione venisse trattata con scrupolo,
delle pene più pesanti colpirebbero i peccatori di più elevata condizione,
mentre la legge si mostrerebbe più benevola verso la gente di modeste
condizioni. Platone ordina di punire più severamente il cittadino della sua
repubblica che lo schiavo o lo straniero [...].
La legge ingiusta che punisce con dieci libbre l’assassino di un plebeo
e con cento o con la morte quello di un nobile, non ha potuto essere inventata che da un tiranno, non già da un legislatore saggio. Bisogna quindi
sbarazzarne la repubblica e cancellarne persino il ricordo dalla memoria
degli uomini.
Andrzej Frycz Modrzewski, De republica emendanda, 1551, Polonia. 374
La repressione degli abusi
El Mawardi dice che colui che ha l’incarico di svelare gli abusi deve
dar prova di una perfetta dignità, di un’alta autorità, di un grande prestigio, deve essere di costumi puri e scrupolosi. Infatti le sue funzioni
170
Il diritto di essere un uomo
esigono la potenza dell’ispettore e la serenità del giudice. Egli deve
possedere le qualità di queste due categorie di funzionari, in modo che
la forza dell’autorità amministrativa si mescoli all’equità del giudice.
Al-Wancharisi (XVI sec.), Il libro delle magistrature, Africa del
Nord.
375
La carica di cadì (giudice)
Gli autori del nostro rito, per la maggior parte, e altri ancora, si sono
adoperati a spaventare e a mettere in guardia contro l’accettazione della
carica di cadì. Essi hanno insistito per biasimare coloro che la ricercano e hanno consigliato di scansarla, di evitarla, di fuggirla, tanto che è
ancorato nella mente di molti giuristi e di gente onorevole che colui che
è investito della funzione di cadì indebolisce la sua fede, si avvia da sé
alla sua perdizione, e storna se stesso da ciò che è più meritorio.
La loro opinione sulla carica di cadì è molto cattiva. E questo un
errore detestabile, cui bisogna rinunciare e di cui conviene ricredersi.
Ciò che occorre è di onorare questa nobile carica e riconoscerne il
rango nella religione musulmana. Per la giustizia furono mandati i Profeti, per essa sono creati il cielo e la terra. Il Profeta ha posto il compito
di giudicare nel numero delle cose ben fatte, che è permesso di invidiare, dicendo, secondo Ibn Mess’ud: “Non si saprebbe invidiare che due
uomini: l’uno, colui al quale Dio ha dispensato la fortuna e il potere di
distribuirla per fare del bene, l’altro colui al quale egli ha dato la saggezza cui egli conforma i propri giudizi e i propri atti”.
Al-Wancharisi (XVI sec.), II libro delle magistrature, Africa del
Nord.
376
La giustizia d’Itakura Shighemune, grande magistrato del XVII secolo
in Giappone
Una volta nominato, Shighemune va ogni giorno in tribunale; si avvia nel corridoio dal lato dell’Ovest ed entra. Là egli depone un macinino da tè, poi si siede dietro una porta di carta e, mentre polverizza il tè
con le proprie mani, giudica le cause. Ci si stupiva della cosa; ma non
lo si poteva interrogare. Dopo molti anni, qualcuno avendogli domandato il perché, egli rispose: “Quando vado in tribunale se compio le mie
devozioni nel corridoio del lato Ovest, è per pregare gli dei dell’Atago.
Tra gli innumerevoli dei, quelli dell’Atago sono particolarmente rinomati per il loro potere divino; e io compio, rivolgendomi a loro, le mie
adorazioni per chiedere una cosa: “Giudicando le cause che gli sono
sottoposte, che il cuore di Shighemune non sia parziale in nulla; se è
Libertà civile
171
parziale in qualsiasi cosa, fate che egli non continui a vivere”. Li ho
pregati così ogni giorno. Pensavo anche, se non si è chiari nei giudizi, è
perché, toccando ogni cosa, il cuore è scosso. Gli uomini buoni possono cercare di non lasciarsi commuovere, ma Shighemune non saprebbe
riuscirvi. Allora, per provare se il mio cuore è scosso o meno, me ne
assicuro polverizzando del tè. Quando il mio cuore è calmo e fermo,
la mia mano vi corrisponde, il macinino lavora con tranquillità e il tè
macinato che ne cade è estremamente Àno: so così che il mio cuore non
si muove; allora emetto il mio giudizio. Se ascolto le cause attraverso
una porta di carta, è perché, quando si vedono le Àgure umane, se ne
trovano di orribili e di simpatiche, di sincere e di cattive, ogni sorta di
varietà tanto che non si saprebbe enumerarle. Ciò che dice l’uomo che
ha una Àsionomia sincera in apparenza ci dà l’impressione di essere
vero; ciò che fa colui che ha un volto cattivo ci sembra falso, anche se
può essere giusto. Dinanzi alla denuncia di un uomo dalla Àsionomia
simpatica, si crede che egli sia stato perseguitato; e quando discute un
uomo dal volto detestabile, si pensa che egli sia dalla parte del torto.
Tutto ciò proviene dal fatto che, il cuore essendo inÁuenzato da ciò
che vedono gli occhi, prima ancora che la gente abbia parlato, già nel
nostro cuore noi ci formiamo un giudizio che un tale sarà un criminale,
oppure un uomo buono, oppure un dritto; e quando udiamo le parole
della causa, abbiamo molte occasioni per capire le cose come noi le
avevamo pensate. Ma quando si pronuncia un giudizio, vi sono persone
che avevano l’aspetto detestabile, dei falsi tra i sinceri, dei dritti tra i
tortuosi: quanti casi di questo genere! Il cuore dell’uomo è difÀcile da
comprendere per cui non si può mai giudicare dalla Àsionomia. Un tempo, si pronunciavano delle sentenze seguendo il colore (l’apparenza)
delle persone; cosa che possono fare degli uomini che non si sono mai
sbagliati; ma gli uomini come Shighemune sono spesso ingannati da
ciò che vedono. Non solo tutti hanno paura di presentarsi dinanzi alla
Corte del tribunale, ma per di più, alla vista di colui che ha il potere di
uccidere o di lasciar vivere, la gente si sente naturalmente spaventata;
non può dire ciò che dovrebbe dire, ed eccola obbligata a subire una
condanna per crimine o per delitto. Val dunque meglio non lasciarci
vedere, mutuamente, i nostri volti. Fu questo il pensiero che m’indusse
a separare i posti”. Così, ogni giorno, pregando Dio, egli giura di non
essere punto parziale, raddrizza il suo cuore all’interno e all’esterno,
poi ascolta i processi e pronuncia le sentenze.
Arai Hakuseki, Hankampu, 1701.
377
172
Il diritto di essere un uomo
Giustizia ambigua
I TRE VIAGGIATORI E LA PUNTA D’AVORIO
Vi erano una volta tre uomini che viaggiavano insieme. Il primo si era
munito di un gambo di manioca; il secondo portava un pacco di arachidi
arrostite; il terzo non aveva con sé che il suo cane. Strada facendo, essi arrivarono a Àanco di un tronco d’albero, coricato sul bordo del sentiero, in un
bosco che separava due villaggi. Stanchi della lunga marcia che avevano
compiuto e avendo fame, si sedettero per mangiare. Ora il primo cercava
qualche cosa da mangiare con la manioca; il secondo, d’altro canto, si lagnava di non aver nulla da mangiare con le sue arachidi. Egli offrì quindi
un pugno di arachidi al primo e ricevette in ritorno un pezzo di manioca.
Poi si misero a mangiare tutti e due, senza curarsi del loro compagno che
non aveva portato nulla.
Quando ebbero terminato il loro pasto, gettarono le foglie, che avevano
avvolto la manioca e le arachidi, nella vicina foresta. Il cane si precipitò
su di esse. Ma, siccome tardava a ritornare, il suo padrone andò a vedere
che cosa facesse laggiù e lo trovò che rosicchiava una punta d’avorio. Egli
raccolse allora lestamente la punta e ritornò col cane verso i due compagni, tutto felice della sua scoperta. Ma il primo pretese di conÀscarla a suo
vantaggio: “Se io, – disse – non avessi gettato nella foresta le foglie, il tuo
cane non vi sarebbe andato. Quindi la punta è mia”. Il secondo non sentiva
le cose da quell’orecchio (non era d’accordo): “È vero che tu hai gettato le
foglie, – egli obiettò – ma se io non ti avessi dato le mie arachidi, tu non
avresti mangiato la tua manioca. La punta deve quindi essere mia”.
Mentre la discussione si prolungava su questo tono, sopraggiunse la notte ed essi decisero di rinviare la decisione all’indomani. Fattosi poi giorno,
la discussione riprese più animata e, in questo momento, la causa è ancora
da deÀnirsi.
Si domanda quindi il vostro parere: “A chi dei tre viaggiatori spettava la
punta d’avorio?”.
Racconto fang, Gabon.
378
Del diritto di giustizia
Ciò che ti spetta di diritto, non mendicarlo.
Non accettare il giudizio pronunciato in tua assenza.
È il piccolo torto compiuto senza pensarvi che ti strapperà l’occhio.
(L’occhio di qualcuno rappresenta tutto ciò che gli è più caro, anche a sua
insaputa, suo fratello, il suo prossimo).
Saltellare non è, per il dolce di miglio, un mezzo per abbandonare il
boccale di latte.
Libertà civile
173
(Contro il diritto, non vi è astuzia che valga).
Sappi che il diritto altrui è una brace; se tu te ne appropri, esso ti brucia
le mani.
Proverbi zerma-sonraï, Africa.
379
Piove anche nel campo dello stregone mangiatore di anime.
(Anche il respinto ha dei diritti. La giustizia è universale. Nessun uomo,
per quanto esecrabile, può essere privato dei diritti che essa gli concede).
Proverbio haussa, Africa.
380
La giustizia val meglio di tutto ciò che non rappresenta la giustizia verso
gli altri.
Proverbio zerma-sonraï, Africa.
381
Il principe e il sindaco non renderanno giustizia dinanzi all’assemblea
inÁuenzata dalle fazioni, ma presso il principe, nella sua anticamera, considerando il diritto secondo il loro giuramento [...]. Né il principe né il
sindaco dovranno prendere delle spezie.
Carta di giustizia di Pakov, 1397, Russia.
382
Nessuna detenzione arbitraria
Nelle piccole città molti nobili conducono i loro domestici e i loro contadini per farli mettere in prigione. Per questo, sia nelle città che nelle amministrazioni, bisogna tenere dei registri di detenuti e ordinare che, senza
“biglietto” trascritto nel registro, nessun detenuto sia trattenuto nell’amministrazione o in prigione. E se, al momento dell’ispezione si scopre un
individuo non iscritto nel registro colui che lo ha fatto arrestare “senza
biglietto” dovrà essere severamente punito perché in avvenire non si agisca
più in questo modo.
Ivan Posoškov, Trattato della povertà e della ricchezza, 1724, Russia.
383
Giustizia malgrado la gerarchia militare
Se un soldato disertore è stato arrestato e se dice di aver disertato per
sfuggire ai cattivi trattamenti del suo ufÀciale, converrà fare un’inchiesta.
E se i cattivi trattamenti sono provati, bisognerà punire l’ufÀciale ed esentare il soldato dal marchio col ferro rovente.
Ivan Posoškov, Trattato della povertà e della ricchezza, 1724, Russia.
384
174
Il diritto di essere un uomo
Fiducia nella giustizia
Nessuna nazione conserva tanta moderazione nelle liti quanto gli abitanti della Piccola Russia. Là le due parti si mettono tranquillamente sullo
stesso carro, bevono, mangiano e dormono insieme, anche se fosse necessario percorrere 300 verste per arrivare dal giudice. Un simile modo di
agire è certamente una delle grandi prove che essi possono dare del rispetto
che hanno per la legge e del disinteresse e dell’equità di coloro che devono
essere gli esecutori.
J.-B. Scherer, Annali della Piccola-Russia o Storia dei cosacchi zaporogi e dei cosacchi dell’Ucraina, 1788, Francia.
385
Parzialità del giudice
Quale onta e quale scandalo, per questo mondo e per l’altro, che un governatore di provincia opprima i suoi amministrati.
Un essere che si dice uomo, come può mai pronunciare una sentenza in
favore dell’ingiusto quando la verità è manifesta?
Si può forse chiamare giustizia il verdetto d’un tribunale in cui il giudice
è difensore e l’usciere testimonio?
Maledetta sia la fortuna la cui acquisizione è dovuta a speculazioni sulla
religione, l’onore o l’onestà.
L’uomo è colui che vuol il bene del suo prossimo: è questo il solo criterio del carattere umano.
Si chiama uomo colui il cui cuore sensibile si rattrista dinanzi ai dolori
dei suoi simili.
Non attaccarti col cuore alla fortuna (di cui godi) e non credere che la
sfortuna sarà durevole: la ruota celeste non gira sempre sulla medesima
orbita.
L’ingiusto troverà alla Àne la sorte lamentevole che merita. Colui che
distrugge il focolare degli altri vedrà un giorno sprofondarsi il suo.
Ziya Pasha (1829-1880), Turchia.
386
Garanzie
LE GARANZIE DELL’“HABEAS CORPUS” (1679) E LA SCHIAVITÙ
L’atto dell’Habeas Corpus fornisce il mezzo per veriÀcare la legalità
di una misura di detenzione. Chiunque si crede vittima di una detenzione
arbitraria può chiedere che sia emessa un’ordinanza d’Habeas Corpus ad
subjiciendum contro la persona che lo ha arrestato, la quale è allora tenuta a comparire davanti al tribunale, in un determinato giorno, per provare
che la detenzione è giustiÀcata. Se questa prova non viene data, il giudice
ordina la liberazione immediata. La legge e la tradizione sono così forti a
Libertà civile
175
questo riguardo che ogni richiesta concernente la libertà di una persona
viene accolta con priorità da qualsiasi tribunale.
Nell’affare Sommersett (1772) Lord Chief Justice MansÀeld si esprime come segue riguardo alla libertà individuale, considerata sotto il suo
aspetto più essenziale:
Per spiegare la nostra decisione, mi riferirò al rapporto fornito in risposta
all’ordinanza dell’Habeas Corpus senza tuttavia riprenderne letteralmente
i termini. Il capitano della nave a bordo della quale fu condotto il negro
espone le cose in questa risposta: che gli schiavi abbondano sempre in Africa; che il loro commercio è conforme alle leggi e alle idee che prevalgono
in Virginia e in Giamaica; che essi costituiscono una mercanzia e possono,
di conseguenza, essere venduti e comperati; che James Sommersett è un
negro dell’Africa, che, molto tempo prima della pubblicazione del decreto
reale, era stato condotto per essere venduto ed era stato venduto al Signor
Charles Steuart, residente allora in Giamaica; che questo negro non era poi
stato affrancato; e che, dovendo venire per suoi affari in questo paese, il
signor Steuart l’aveva condotto come servo con l’intenzione di ricondurlo
indietro quando avesse concluso i suoi affari; che questa intenzione non era
stata del resto mutata; che il negro aveva, dopo un certo tempo, lasciato il
servizio senza il consenso del suo padrone; che questi l’aveva allora, prima
della pubblicazione del decreto reale, fatto condurre, sotto buona scorta, a
bordo del “Ann and Mary” per esservi detenuto Àno a che il signor Steuart
potesse, con quella stessa nave, ritornare con lui in Giamaica, ove contava
di venderlo come schiavo; che è così che lui stesso, capitano Knowles,
comandante di detta nave attualmente ancorata nel Tamigi, era stato incaricato di custodire il negro che avrebbe poi rimesso al Tribunale [...]. Il solo
punto che noi dovremmo risolvere è dunque di sapere se i motivi invocati
nella risposta sono sufÀcienti. In caso affermativo, il negro deve essere
messo in prigione; in caso negativo, deve essere messo in libertà. È detto in
questo documento che, essendo lo schiavo partito e avendo egli riÀutato di
servire, lo si è fatto mettere ai ceppi per venderlo all’estero. Perché sia possibile un atto che dimostra un potere così assoluto, bisogna che sia autorizzato dalla legge del paese in cui è (stato) commesso. Il potere del padrone
sui suoi schiavi ha sempre variato in modo considerevole secondo i paesi.
Lo stato di schiavitù non potrebbe, per sua natura, trovare una giustiÀcazione in ragioni morali o politiche; non può appoggiarsi che su leggi in vigore,
leggi i cui effetti continuano a farsi sentire anche quando da molto tempo è
sparito Ànanco il ricordo delle circostanze che l’hanno suscitata. La schiavitù è così odiosa che non può trovare appoggio se non in queste leggi. Ora,
io non posso dire che i motivi (di detenzione) invocati in quest’affare siano
176
Il diritto di essere un uomo
validi nei riguardi della legge inglese, e qualunque inconveniente possa da
ciò derivare, dichiaro che il negro deve essere rilasciato.
Processo Sommersett, Gran Bretagna.
387
Condizioni legali
LA PRIGIONIA
La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza d’ogni
altra, precedere la prova del delitto, ma questo carattere distintivo non le
toglie l’altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi nei quali
un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gli indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano a un esame e a
una pena. La pubblica fama, la fuga, la stragiudiciale confessione, quella
d’un compagno del delitto, le minacce e la costante inimicizia con l’offeso, il corpo del delitto, e simili indizi, sono prove bastanti per catturare
un cittadino; ma queste prove devono stabilirsi dalla legge e non dai giudici, i decreti dei quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando
non siano proposizioni particolari di una massima generale esistente nel
pubblico codice.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
388
Controllo della giustizia
Ordinanza del 1809
II Riksdag (Parlamento) designerà due cittadini di sperimentata competenza giuridica e d’integrità irreprensibile, l’uno alla carica di ombudsman
per gli affari civili, e l’altro come ombudsman per quelli militari, afÀnché
essi assicurino il rispetto della legge e delle ordinanze in qualità di rappresentanti del Riksdag e in conformità alle istruzioni di questo [...]
In conformità alla divisione delle responsabilità citata più sopra, questi ombudsman promuoveranno azione (legale) dinanzi al tribunale competente contro tutti coloro che, nell’esercizio delle loro funzioni ufÀciali,
avessero – sotto l’inÁuenza della parzialità, per favoritismo o per qualsiasi
altro motivo – commesso un atto illecito o mancato ai doveri della loro
carica [...].
L’ombudsman per gli affari civili e l’ombudsman per gli affari militari
possono, ogni volta che lo giudicano necessario nell’esercizio delle loro
funzioni, assistere alle deliberazioni e alla proclamazione delle decisioni
della Corte suprema, della Corte amministrativa suprema, del segretariato
della Corte suprema, delle corti di appello, dei consigli amministrativi o
delle istituzioni che le sostituiscono, e di tutti i tribunali di prima istanza,
ma essi non hanno il diritto di esprimere un parere in tali occasioni.
Libertà civile
177
... Nel caso in cui, contro ogni aspettativa, si venisse a notare che la
Corte suprema all’unanimità, oppure uno o più dei suoi membri, avrebbero
reso, per un interesse personale, una mancanza di equità o per negligenza,
un giudizio in contraddizione con la legge o coi fatti debitamente stabiliti,
facendo o rischiando di fare perdere con ciò a qualcuno la vita, la libertà,
l’onore o i suoi beni, oppure se apparisse che la suprema Corte amministrativa oppure uno o più dei suoi membri si sono resi colpevoli di una
simile condotta nel corso degli affari amministrativi loro sottoposti in appello, l’ombudsman degli affari civili (o l’ombudsman degli affari militari,
quando si tratta di delitti di natura militare come quelli che sono deÀniti
nell’art. 96) avrà il dovere, come sarà pure nelle attribuzioni del Procuratore generale del Re, d’intentare un’azione contro l’autore di questo delitto
al tribunale considerato qui appresso e di chiedergli conto dei suoi atti,
conformemente alla legge del paese.
Svezia.
389
Protezione delle persone da parte dell’ombudsman
Nel 1848 l’ombudsman per la giustizia si accorse, esaminando la lista
delle persone imprigionate a Gothenburg che una donna arrestata nel 1838
era rimasta incarcerata aspettando di essere identiÀcata. Egli domandò allora se si era cercato di ottenere delle informazioni su di lei e sulla sua situazione, e risultò che nulla era stato fatto a questo riguardo. Il governatore
e il suo segretario dal landsting furono messi sotto accusa, quali responsabili di questa omissione. Il governatore venne condannato a pagare una
multa e il segretario del landsting venne sospeso dalle sue funzioni senza
stipendio per due mesi. La donna, che era fuggita dalla prigione nel 1842,
rinunciò a reclamare un indennizzo per i torti subiti a causa di questa incarcerazione ingiustiÀcata dal 1838 al 1842; altrimenti essa avrebbe ricevuto
il pagamento dei danni e degli interessi [...].
Nel 1887, un cittadino segnalò che gli era stato proibito dalla municipalità di Linköping di fare una conferenza su “l’accrescimento demograÀco
in Svezia e i pericoli che esso presenta per la prosperità generale e la moralità”. Il richiedente riteneva che nel suo caso si era trattato di una violazione dei diritti dell’uomo. L’ombudsman per la giustizia concluse che
nessuna legge giustiÀcava l’interdizione pronunciata dalla municipalità e
iniziò un’azione in tribunale contro ì funzionari responsabili, che furono
condannati a una multa.
Rapporto dell’epoca, Svezia.
– 390
178
Il diritto di essere un uomo
Democrazia, principi e istituzioni
Preannuncio del principio della limitazione dei poteri
Amici miei, non vi è anima mortale la cui natura possa sopportare la
grande autorità umana, se essa è giovane e irresponsabile, evitando di contrarre la peggiore delle malattie, quella di non ragionare e di provocare
l’odio dei suoi amici anche più intimi. Per preservarsene e conservare la
giusta misura, occorrono dei grandi legislatori. Che il risultato sia allora
stato ottenuto ciò è da parte nostra una modesta congettura. Pare infatti che
vi sia stato...
– Che cosa?
– …un dio, che si curava di voi, e che, in previsione dell’avvenire, facendo nascere presso di voi due re gemelli, invece di uno solo, ha ricondotto
l’autorità entro limiti giusti. E dopo di ciò ancora, una natura umana unita
a una natura divina, vedendo il vostro regno sempre febbricitante, mescolò la potenza ragionevole della vecchiaia alla forza generosa della razza,
dando al consiglio dei ventotto anziani, negli affari importanti, uguale voto
di quello che aveva il potere regale. Poi il terzo salvatore, vedendo presso
di voi il potere ancora insuperbito e irritato, gli impose come un freno la
potenza degli Efori, che egli ravvicinava alla potenza attribuita dalla sorte.
E così, grazie a questo dosaggio, la regalità del vostro paese, mescolanza
proporzionata di elementi necessari, ha salvato se stessa e ha costituito la
salvezza degli altri.
Platone (429-347 a.C.), Le leggi.
391
Voterò secondo le leggi e i decreti del popolo ateniese e del Consiglio
dei Cinquecento, e, nei casi non previsti dalle leggi, secondo l’opinione più
giusta, senza favoritismi e senza odio. Non voterò né per un tiranno né per
una oligarchia e se si attacca il potere del popolo ateniese, se si parla o se
si fa votare contro non vi acconsentirò.
Giuramento degli eliasti, nei discorsi contro Timocrate di Demostene.
Verso il 353 a.C.
392
I partiti
Il vostro servitore sa che, Àn dall’antichità, si discute del valore dei partiti.
Bisogna sperare almeno che un monarca saprà distinguere tra i partiti degli
uomini di qualità e quelli degli uomini volgari. In generale, gli uomini di qualità formano tra loro dei partiti, perché essi hanno dei principi comuni, mentre
gli uomini volgari s’associano con i loro simili, perché ne traggono un reciproco proÀtto. Ciò è del tutto naturale. Ma il vostro servitore sosterrebbe che
Libertà civile
179
di fatto gli uomini volgari non hanno partito e che solo gli uomini di qualità
sono capaci di formarne. Perché ciò? Gli uomini volgari amano il proÀtto e
desiderano i beni materiali. Quando le circostanze permettono loro di sperare,
di trarre dei vantaggi comuni, essi si uniscono temporaneamente per formare un partito, che è tuttavia essenzialmente artiÀciale. Ma quando giunge il
momento in cui essi entrano effettivamente in concorrenza per ottenere un
vantaggio, o che i vantaggi che essi hanno ricercato non si materializzano
e sono perduti di vista, allora essi fanno volta faccia e si attaccano mutuamente, senza risparmiare né fratello né genitori. Per questo il vostro servitore
afferma che questi uomini non hanno un vero partito e che quelli che essi
formano temporaneamente sono essenzialmente artiÀciali. Ma non accade la
stessa cosa per gli uomini di qualità, che si conformano alla Via e alla Rettitudine, che praticano la lealtà e il rispetto della parola data e si preoccupano
soltanto di onore e di integrità. Quando danno prova di queste qualità nella
loro condotta personale, essi hanno un principio in comune e si migliorano
reciprocamente e quando le mettono al servizio dello Stato, essi si uniscono
in un ideale comune, e, nell’aiuto reciproco, e dal principio alla Àne agiscono
come un solo uomo. Questi sono i partiti degli uomini di qualità.
Ou-Yang Xiu (1007-1072), Cina.
393
Diritti dell’individuo
La Magna Charta concessa nel 1215 da Giovanni senza Terra
Nessun uomo libero sarà arrestato, né imprigionato, né spogliato, né
posto fuori legge, né esiliato, né molestato in alcun modo, e noi non metteremo né faremo mettere le mani su di lui, se non in virtù di un giudizio
legale dei suoi pari e secondo le leggi del paese.
Magna Charta, art. 39. 1215, Inghilterra.
394
Protezione dell’individuo, anche non libero, contro la conÀsca arbitraria dei suoi beni
Un uomo libero non potrà essere colpito da ammenda per un lieve delitto
se non proporzionalmente a questo delitto; e per un grande delitto, potrà
essere punito in proporzione alla gravità del suo delitto, ma senza che sia
costretto a perdere il suo feudo. Avverrà parimenti per i mercanti, ma senza
che la loro mercanzia possa essere conÀscata; i contadini saranno anch’essi
colpiti da ammenda, senza tuttavia perdere i loro strumenti di lavoro. E
nessuna di queste multe sarà imposta se non dietro il giuramento di uomini
probi e leali del vicinato.
Magna Charta, art. 20. 1215, Inghilterra.
395
180
Il diritto di essere un uomo
Le Disposizioni di Oxford, promulgate nel 1258, Àssano gli obblighi
degli amministratori nei riguardi del popolo e deÀniscono una procedura
che permetta di mettere sotto accusa gli amministratori corrotti:
È previsto che saranno eletti in ogni contea quattro saggi e leali cavalieri, i quali, ogni volta che (il tribunale della) contea terrà seduta, si riuniranno per raccogliere tutte le lagnanze che verteranno sui danni morali
e materiali che avranno potuto essere causati a chiunque dagli “scerifÀ”,
dai “balivi” o da altre persone, e per riunire (allo scopo di conservarli) i
documenti relativi a dette querele, in attesa che la regione venga di nuovo
visitata dal giudice reale [...].
A proposito degli “scerifÀ”: saranno designati come “scerifÀ” degli uomini probi e leali, scelti tra i proprietari; le funzioni di “sceriffo” saranno
così esercitate in ogni contea da un proprietario feudale della contea stessa,
il quale dovrà mostrarsi equo leale e giusto, nei riguardi della popolazione.
E (è stipulato): che egli non accetterà gratiÀche e che non resterà “sceriffo”
per più di un anno; che, durante l’anno, renderà conto della sua amministrazione allo Scacchiere e sarà responsabile della sua carica; che il re
gli assegnerà, traendola dagli introiti regali, una somma proporzionale ai
propri introiti, afÀnché egli possa amministrare come si conviene la contea;
che né lui né i suoi “balivi” accetteranno gratiÀche e che se venisse provato
che essi hanno infranto questa regola, ne seguirà il castigo.
Disposizioni di Oxford, Inghilterra.
396
Importanza crescente del Parlamento nella seconda metà del XIII secolo. Esso ricopre le funzioni di tribunale, decidendo in ultimo appello sulle
querele degli individui.
Poiché è stabilito che di fronte al tribunale del re il giudizio di una causa
si trova talvolta ritardato perché una delle parti allega l’impossibilità di
dar seguito, in assenza del re, alle rivendicazioni del querelante; e (stabilito) che molte persone si vedono accusare dai ministri del re di danni
immeritati per i quali non possono ottenere riparazione se non davanti al
parlamento, noi stabiliamo che il re dovrà, almeno una volta all’anno – e se
necessario due volte – riunire il parlamento in un luogo appropriato. E (stabiliamo) che in questi parlamenti si procederà all’esame e al regolamento
delle cause, il cui giudizio sarebbe stato differito come abbiamo detto, e
di quelle che avrebbero dato luogo a divergenze di opinioni tra i tribunali.
Analogamente, le questioni trattate davanti al parlamento continueranno,
come per il passato, a essere regolate in conformità ai principi del diritto e
della giustizia.
Ventinovesima Ordinanza, 1311, Inghilterra.
397
Libertà civile
181
Supremazia dell’Assemblea
Gli statuti emanati da un Capitolo generale possono essere autenticamente interpretati solo da un Capitolo generale.
Statuti dell’Ordine dei Premostratensi, 7, 1503.
398
Il Capitolo generale ha piena e completa autorità sul Ministro generale,
che a esso è inferiore e sottomesso.
Th. Montalvus, cappuccino, 1740.
399
L’assemblea generale possiede la pienezza del potere. Il Generale è sottomesso alla sua autorità. Egli deve convocarla per trattare gli affari importanti.
Epitome della Società di Gesù, art. 22, 1689.
400
Convocazione dell’Assemblea
Tutte le volte che vi sarà nel monastero qualche affare importante da
decidere, l’Abate convocherà tutta la comunità ed esporrà egli stesso di che
cosa si tratta. Dopo aver raccolto il parere dei fratelli, egli delibererà per
conto suo e farà in seguito ciò che avrà giudicato più utile.
Ciò che ci fa dire che bisogna consultare tutti i fratelli, è che spesso Dio
rivela a uno più giovane ciò che è meglio.
Elezione dell’Abate da parte della Comunità
Venga eletto (abate) colui che, sia tutta la Comunità – unanime nel timor
di Dio – sia la parte, per quanto ridotta, della Comunità che è la più avveduta, avrà eletto.
(Colui che sarà eletto abate) venga eletto a causa del suo modo di vivere
e della sapienza del suo insegnamento, anche se egli è l’ultimo della Comunità.
Regola di San Benedetto, 529.
401
IL PATTO DEL “MAYFLOWER”, 11 NOVEMBRE 1620
Questo patto che servì come costituzione ai primi coloni separatisti,
sbarcati nella nuova Inghilterra, estendeva al campo civile l’impegno abituale della comunità religiosa.
Nel nome dell’Altissimo, Amen. Noi sottoscritti, leali sudditi del nostro augusto Sovrano, Giacomo, per grazia di Dio re di Gran Bretagna, di
Francia e d’Irlanda, difensore della Fede, ecc., avendo intrapreso – per la
gloria di Dio e la propagazione della Fede cristiana e per l’onore del nostro Re e del nostro Paese – una traversata allo scopo di impiantare la pri-
182
Il diritto di essere un uomo
ma colonia nelle regioni al nord della Virginia, conveniamo e disponiamo
con la presente, solennemente e mutuamente, in presenza di Dio e gli uni
degli altri, di unirci in un corpo politico per favorire l’ordine e la nostra
comune salvezza e per raggiungere gli scopi menzionati più sopra; in virtù di che ci è dato di comporre, stabilire e istituire, nel volgere del tempo,
nella giustizia e nella uguaglianza, quelle leggi, ordinanze, costituzioni
e incarichi che saranno giudicati i più convenienti e adatti a favorire il
bene generale della colonia e alle quali noi promettiamo di sottometterci
e di obbedire come si deve. In fede di quanto sopra, noi abbiamo Àrmato
i presenti documenti e al Capo Cod, l’11 novembre dell’anno di grazia
1620, diciottesimo del regno del nostro sovrano e padrone, il re Giacomo
in Inghilterra, in Francia e il diciottesimo in Irlanda e il cinquantaquattresimo in Scozia.
402
Contro gli atti arbitrari del re
L’essenziale è insomma di sapere se [...] in questi casi particolari, le
imposte alle quali il re ha costretto i suoi sudditi, senza avere l’approvazione del parlamento, sono oppure no legali [...]. Nessuno immagina,
spero, che si possa prendere pretesto dal presente affare per domandarsi
se il re può, in qualsiasi momento e in qualsiasi occasione, imporre delle
tasse ai suoi sudditi in generale, senza il consenso del parlamento. Se
dovesse essere posta una simile questione, è evidente che bisognerebbe
rispondervi negativamente. Gli abitanti del regno sono dei sudditi e non
degli schiavi; sono degli uomini liberi e non dei villani che si possono
taglieggiare e opprimere a piacere. Benché il re d’Inghilterra detenga il
potere monarchico e jura summae majestatis, benché egli, per governare
i suoi sudditi, goda di una assoluta Àducia che è stata posta nella sua
corona e nella sua persona, egli deve non di meno governare secundum
leges regni [...]. Secondo queste leggi, i sudditi non sono dei semplici
proprietari soggetti alla volontà del re [...]. Essi hanno, per nascita, il
diritto di invocare le leggi del regno. Non si può imporre loro nuove
leggi; e nessuna delle loro leggi può essere modiÀcata o abrogata senza il
consenso del parlamento.
Affaire Hampden, Esposto di un giudice, 1638, Inghilterra.
403
DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA DELLE COLONIE AMERICANE REDATTA DA
THOMAS JEFFERSON (4 LUGLIO 1776)
Riteniamo evidenti per se stesse queste verità: che tutti gli uomini sono
stati creati uguali, che sono dotati da parte del loro creatore di alcuni
Libertà civile
183
diritti inalienabili; che tra questi sono la vita, la libertà e la ricerca della
felicità; che per assicurare questi diritti sono istituiti presso gli uomini
dei governi che traggono i loro giusti poteri dal consenso dei governati;
che ogni volta che una forma qualunque di governo giunge a essere distruttiva di questi scopi, è diritto del popolo di cambiarla o di abolirla e
di istituire un nuovo governo, ponendo le sue fondamenta su tali principi,
e organizzando i suoi poteri nella forma che gli sembrerà più adatta a
dargli la sicurezza e la felicità. La prudenza in verità impone, quando dei
governi sono stabili da lungo tempo, di non cambiarli, e, di conseguenza,
l’esperienza ha sempr mostrato che l’umanità è più disposta a soffrire
quando i mali siano sopportabili che a farsi giustizia abolendo le forme
alle quali è abituata. Ma quando un lungo seguito di abusi e di usurpazioni, perseguendo invariabilmente il medesimo scopo, denuncia il disegno di ridurla sotto un despotismo assoluto, è suo diritto, è suo dovere,
respingere un simile governo e premunirsi di nuove garanzie per la sua
sicurezza futura.
404
Condizioni di libertà
Lettera circolare di G. Washington agli Stati (1783)
Nulla può illustrare queste osservazioni in modo più evidente che il
ricordo del momento in cui, favorita da un felice concorso di avvenimenti e di circostanze, la nostra Repubblica prendeva il suo posto tra le
nazioni; la fondazione del nostro Impero non ha avuto luogo nell’epoca
tenebrosa dell’ignoranza e della superstizione, ma in un secolo in cui i
diritti dell’uomo sono meglio compresi e più chiaramente deÀniti che
in nessun altro della storia, in cui le ricerche dello spirito umano sul benessere sociale sono state spinte molto avanti, in cui i lavori, intrapresi
da lunghi anni dai ÀlosoÀ, dai saggi, e dagli organi legislativi, aprono
dinanzi a noi tesori di conoscenza e in cui la loro sapienza accumulata
può essere applicata con fortuna per stabilire le nostre forme di governo; la libera cultura delle lettere, lo sviluppo illimitato del commercio, il rafÀnamento progressivo dei costumi, la generosità crescente dei
sentimenti, e soprattutto la pura e dolce luce della Rivelazione, hanno
avuto un’inÁuenza favorevole sull’umanità e hanno accresciuto i beneÀci della Società. Sotto questi favorevoli auspici gli Stati Uniti hanno
incominciato a esistere come nazione e se i loro cittadini non dovessero
conoscere una libertà e una felicità complete ne sarebbero interamente
colpevoli.
405
184
Il diritto di essere un uomo
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO
Decretata dall’Assemblea Nazionale nelle sedute del mattino del 20, 21,
22, 23, 24 e 26 agosto 1789. Firmata dal Re, il 5 ottobre 1789.
PREAMBOLO
I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, la dimenticanza e il disprezzo dei Diritti
dell’Uomo sono le sole cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione
dei governi, hanno deciso di esporre in una dichiarazione solenne i diritti
naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, afÀnché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro sempre
i loro diritti e i loro doveri; afÀnché gli atti del Potere legislativo e quelli
del Potere esecutivo, potendo essere a ogni istante confrontati con il Àne di
ogni istituzione politica, ne siano più rispettati; afÀnché i reclami dei cittadini, fondati ormai su dei principi semplici e incontestabili, si rivolgano
sempre al mantenimento della Costituzione e alla felicità di tutti.
Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i Diritti seguenti dell’uomo
e del Cittadino:
ARTICOLO I
Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti; le distinzioni
sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
II
Il Àne di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali
e imprescindibili dell’uomo; questi diritti sono la libertà, la proprietà, la
sicurezza e la resistenza all’oppressione.
III
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione; nessun corpo, nessun individuo può svolgere il suo mandato d’autorità senza
esserne espressamente delegato.
Seduta del giovedì 20 agosto 1789.
IV
La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; pertanto l’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo ha per limite solo quello che
assicura agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti;
quei limiti non possono essere determinati che dalla legge.
Libertà civile
185
V
La legge ha il diritto di proibire solo le azioni nocive alla società. Tutto
ciò che non è proibito dalla legge non può essere impedito e nessuno può
essere costretto a fare ciò che essa non ordina.
VI
La legge è l’espressione della volontà generale; tutti i cittadini hanno il
diritto di concorrere personalmente, o a mezzo di loro rappresentanti, alla
sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che
punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici, secondo la loro capacità
e senza altre distinzioni se non quelle delle loro virtù e dei loro talenti.
Seduta del venerdì 21 agosto.
VII
Nessun uomo può essere accusato, arrestato, né detenuto se non nei casi
determinati dalla legge e secondo le forme che essa prescrive. Coloro che
sollecitano, sbrigano, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti, ma ogni cittadino chiamato o arrestato in virtù della
legge deve ubbidire immediatamente; si rende colpevole se reticente.
VIII
La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e
promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata.
IX
Poiché ogni uomo è presunto innocente Àno a che non sia stato dichiarato
colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non fosse
necessario per assicurarsi della sua persona, deve essere punito dalla legge.
Seduta del sabato 22 agosto.
X
Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge.
Seduta della domenica 23 agosto.
XI
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più
preziosi dell’uomo. Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare
186
Il diritto di essere un uomo
liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà, nei casi determinati dalla legge.
XII
La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino necessita di una forza
pubblica: questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per
l’utilità particolare di coloro ai quali essa è afÀdata.
XIII
Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di ammi nistrazione, un contributo è indispensabile; esso deve essere equamente ripartito
tra tutti i cittadini, in ragione delle loro disponibilità.
Seduta del lunedì 24 agosto.
XIV
I cittadini hanno il diritto di constatare direttamente o a mezzo dei loro
rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di consentirlo liberamente, di seguirne l’impiego, e di determinarne l’entità, la ripartizione, la
riscossione e la durata.
XV
La Società ha il diritto di chiedere conto a tutti gli agenti pubblici della
loro amministrazione.
XVI
Ogni Società in cui la garanzia dei diritti non viene assicurata e neppure
viene determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione.
XVII
La proprietà, essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne
privato, se non quando una necessità pubblica, legalmente constatata, lo
esiga evidentemente e sotto la condizione di una giusta e preventiva indennità.
Seduta del mercoledì 26 agosto.
406
Superiorità del regime rappresentativo
La pura democrazia era la società che si governava senza l’assistenza
di mezzi secondari; innestando la rappresentazione sulla democrazia, noi
arriviamo a un sistema di governo capace di accogliere e di riunire tutti
i diversi interessi, l’estensione del territorio e la popolazione, per quanto
Libertà civile
187
numerosa possa essere; e ciò con dei vantaggi tanto superiori al governo
ereditario quanto la repubblica delle lettere è superiore alla letteratura
ereditaria.
... Ciò che vien chiamato governo [...] non è altro che un centro comune
ove conÁuiscono tutte le parti della società. Ciò non potrebbe aver luogo
con alcun metodo più conforme ai differenti interessi della società, che con
il sistema rappresentativo. Esso invero concentra le conoscenze necessarie
all’interesse delle parti e del tutto; e pone il governo in uno stato di maturità
perfetta. Non è mai, come abbiamo osservato, né giovane né vecchio; non
è soggetto né all’infanzia né al rimbambimento. Non si trova mai in culla
né con le stampelle. Non ammette la separazione delle conoscenze e del
potere, e si trova a essere superiore – come il governo deve sempre essere
– a tutti gli accidenti dell’uomo individuale, e conseguentemente è molto
al di sopra di quella che si chiama monarchia.
Tom Paine, Diritti dell’uomo, 1791, Gran Bretagna.
407
Discorso di addio di G. Washington (17 settembre 1796)
Pertanto esse (le parti dell’Unione) sfuggiranno in ugual modo alla necessità di queste forze armate smisurate, che sono propizie alla libertà,
qualunque sia la forma del governo, ma che dobbiamo considerare come
particolarmente incompatibili con la libertà repubblicana [...].
I nostri sistemi politici hanno per base il diritto dei popoli a stabilire e a modiÀcare le costituzioni che li reggono. Ma Ànché essa non sia
stata modiÀcata con un atto esplicito e autentico dell’intero popolo, la
Costituzione che esiste in un dato momento impone a tutti un obbligo
sacro. L’idea stessa del potere e del diritto che ha il popolo di stabilire un
governo presuppone il dovere per ogni individuo di obbedire al governo
costituito...
Una certa opinione vuole che i partiti svolgano nei paesi liberi un compito utile perché essi permettono di esercitare un controllo sull’amministrazione del governo e mantengono vivace il genio della libertà. Ciò è probabilmente esatto, entro certi limiti, e sotto dei governi di forma monarchica
il patriottismo può considerare con indulgenza, se non con favore, lo spirito
di parte. Nel caso di governi popolari e puramente elettivi è viceversa uno
spirito da non incoraggiare. Quei governi infatti, poiché a ciò li porta la
loro tendenza naturale, hanno la sicurezza di poter disporre sempre di quel
tanto di spirito che è salutare; poiché il pericolo si trova in un rischio costante di eccesso, i loro sforzi dovranno tendere a temperare e moderare
questo spirito con la forza dell’opinione pubblica. Questo fuoco, che nulla
saprebbe estinguere, deve formare l’oggetto di una sorveglianza costante
188
Il diritto di essere un uomo
per timore che inÀammandosi bruscamente, esso non consumi invece di
riscaldare [...].
È profondamente vero che la virtù, oppure la moralità, è una molla essenziale del governo popolare; questa regola vale difatti, con maggior o
minor forza, per tutte le specie di governo libero. Come potrebbe quindi
un amico sincero di un simile governo tollerare nell’indifferenza che si
tenti di minare l’ediÀcio alla sua base? PreÀggetevi perciò, come uno dei
vostri obiettivi principali lo sviluppo di istituzioni incaricate di diffondere
il sapere. Finché la struttura di un goyerno trasforma l’opinione pubblica
in una forza, è essenziale che questa opinione pubblica sia illuminata [...].
Date prova di buona volontà e di giustizia verso tutte le nazioni. Coltivate con tutte la pace e l’armonia: lo prescrivono la religione e la moralità.
E non sarebbe forse anche una tale prescrizione una buona tattica politica? Sarà un compito degno di una nazione libera, illuminata e che in un
prossimo avvenire meriterà di essere chiamata grande il dare all’umanità
l’esempio magnanimo e nuovo, ahimè, di un popolo costantemente guidato
dai supremi imperativi della giustizia e della benevolenza [...].
La condizione prima e assolutamente essenziale per condurre a buon
Àne questo compito è di fare tacere anche ogni antipatia permanente e inveterata verso certe nazioni come ogni attaccamento appassionato per altre,
e di nutrire verso tutte gli stessi sentimenti di giustizia e di amicizia. Una
nazione che si lascia andare a coltivare un odio o un’affezione abituale per
un’altra si trova in una certa misura schiava, sia della sua animosità sia della sua affezione, l’una come l’altra sufÀcientemente possenti per stornarla
dal suo dovere e dal suo interesse [...].
Analogamente, l’attaccamento appassionato di una nazione per un’altra è sorgente di molteplici mali. La simpatia portata alla nazione favorita
facilita l’illusione di un interesse comune immaginario anche quando non
ne esiste alcuno, incita l’una a fare suoi i nemici dell’altra, e induce così
la prima a prendere atto e far causa comune nelle questioni e nelle guerre
della seconda, senza ragione e senza giustiÀcazione sufÀciente.
408
Problemi del federalismo
Risoluzioni prese dal Kentucky nel 1798
I. Dichiara: che i diversi Stati che compongono gli Stati Uniti d’America
non si sono uniti secondo il principio di una sottomissione illimitata al loro
governo generale; ma che, in virtù di un atto chiamato Costituzione degli
Stati Uniti coi relativi emendamenti, essi hanno stabilito un governo generale avente Àni speciali e gli hanno delegato certi poteri ben determinati,
ogni Stato riservandosi, quanto al resto, il diritto di governarsi da se stesso;
Libertà civile
189
che in tutti i casi nei quali il governo generale assume dei poteri che non gli
sono stati attribuiti, i suoi atti sono senza valore, nulli e di nessun effetto.
... che, come in ogni caso di contratto tra parti che non hanno un giudice
comune, tutte le parti sono ugualmente in diritto di giudicare da se stesse,
tanto di ciò che costituisce un abuso quanto della forma e della misura
della riparazione [...].
III. Dichiara: che è vero in regola generale, come anche è espressamente
deÀnito in uno degli emendamenti alla Costituzione, che “i poteri che non
sono delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione o che non sono riÀutati da
essa agli Stati sono conservati dagli Stati oppure dal popolo”; che nessun
potere, sulla libertà di religione, di espressione e di stampa essendo delegato agli Stati Uniti dalla Costituzione oppure riÀutato da essa agli Stati, ogni
potere legale in materia spetta, in via di diritto, agli Stati oppure al popolo,
e sono loro riservati;
... che di conseguenza, questo testo (Sedition Act) che limita precisamente la libertà di stampa, non è quindi una legge, ma è interamente nulla
e di nessun effetto [...].
VI. Dichiara: che l’imprigionamento di una persona, protetta dalle leggi
di questo Stato, per riÀuto di obbedienza a un semplice ordine del Presidente che gli ingiunge di lasciare gli Stati Uniti, imprigionamento previsto
dalla legge intitolata “Legge sugli stranieri”, è contraria alla Costituzione
di cui un emendamento stabilisce che “nessuno potrà essere privato della
sua libertà senza una procedura legale”, e mentre un altro emendamento dispone che “in tutte le cause criminali, l’accusato godrà del diritto di essere
giudicato [...] pubblicamente da un giurì imparziale, e di essere informato
della natura e della causa dell’accusa, di essere messo a confronto con i testimoni a carico, di far citare, con tutti i mezzi legali, dei testimoni a difesa
e di avere l’assistenza di un avvocato per la sua difesa”, la detta legge, che
autorizza il Presidente a espellere dagli Stati Uniti, basandosi sulle sole sue
supposizioni, una persona protetta dalla legge, senza accusa, senza giurì,
senza processo pubblico, senza confronto dei testimoni a difesa, senza testimoni a difesa, senza difesa e senza avvocato, è contrario anche a queste
ultime disposizioni della Costituzione, non è quindi una legge, è nulla e di
nessun effetto [...].
Limitazione vigilante del potere
Questo Stato è risoluto – come non dubita che lo siano anche gli altri
Stati – a non inchinarsi docilmente dinanzi a chiunque sulla terra – uomo
o gruppo di uomini – tenti di esercitare dei poteri non delegati e di conseguenza illimitati; che se le leggi summenzionate fossero mantenute, si
190
Il diritto di essere un uomo
potrebbe trarne queste conclusioni: che il governo federale può, quando
lo creda opportuno, far Àgurare qualsiasi atto sulla lista dei crimini, punirlo egli stesso, sia o no citato nella Costituzione come riguardante la sua
competenza; che egli può trasmettere il potere di giurisdizione riguardo a
quest’atto al Presidente oppure ad altra persona, che sarà al tempo stesso
accusatore, difensore, giudice e giurì [...] che lo straniero senza amici è
stato infatti scelto come l’oggetto più sicuro di una prima esperienza, ma
che questa esperienza non tarderà a essere – o piuttosto è già stata – estesa al cittadino, poiché questi è la vittima designata di una legge sugli atti
sediziosi; e se non si sbarra loro la strada per tempo, queste leggi e quelle
della stessa natura che le seguiranno, rischiano di condurre questi Stati alla
rivoluzione e allo spargimento di sangue, ed esse forniranno degli argomenti ai calunniatori dei governi repubblicani e nuovi pretesti a coloro che
vogliono far credere che l’uomo non può essere diretto se non con la forza;
che noi saremmo in una pericolosa illusione se la Àducia accordata agli
uomini scelti da noi facesse tacere le nostre apprensioni quanto al rispetto
dei nostri diritti; che la Àducia ingenera dappertutto il dispotismo: un governo libero riposa sulla vigilanza e non sulla Àducia ed è la vigilanza, non
la Àducia, che c’impone di racchiudere entro i limiti di una Costituzione
coloro ai quali noi siamo in obbligo di afÀdare il potere; che la nostra Costituzione ha dunque Àssato alla nostra Àducia dei limiti che essa non deve
oltrepassare; che lo spirito sincero che esalta la Àducia comprenda le leggi
sugli stranieri e sugli atti sediziosi, e dica se la Costituzione non ha agito
saggiamente assegnando dei limiti al governo che essa ha creato, e se noi
saremmo ben avveduti se sopprimessimo questi limiti.
409
Rispetto delle minoranze
Primo discorso inaugurale di Jefferson dopo la sua elezione alla Presidenza degli Stati Uniti (4 marzo 1801)
Tutti saranno per altro penetrati di questo sacro principio: la volontà
della maggioranza, sebbene sia chiamata a vincerla in tutte le circostanze,
deve, per essere legittima, essere ragionevole; la minoranza possiede uguali diritti e il violarli sarebbe agire da oppressori [...].
E sogniamo che, avendo liberato il nostro paese dall’intolleranza religiosa, sotto l’impero della quale l’umanità era così lungamente sanguinante e aveva sofferto, noi non abbiamo affatto progredito se lasciamo sussistere una intolleranza politica ugualmente dispotica e iniqua, e sorgente di
persecuzioni anche crudeli e sanguinose [...].
Noi siamo tutti repubblicani, siamo tutti federalisti. Se vi sono tra noi di
quelli che augurerebbero di sciogliere questa Unione, oppure di cambiare
Libertà civile
191
la sua forma repubblicana, stiamo in pace per testimoniare del poco rischio
che vi è nel tollerare un errore d’opinione, quando la ragione rimane libera
di combatterla.
Forza del governo repubblicano
So bene che alcuni spiriti sinceri temono che un governo repubblicano
non possa essere forte, e che il nostro non lo sia a sufÀcienza; ma l’onesto
patriota, nel momento cruciale di un’esperienza felice, arriverà forse Àno
ad abbandonare un governo che, in questo momento, ha salvaguardato
la nostra libertà e la nostra stabilità, sotto l’effetto della paura teorica
e chimerica che questo governo – la migliore speranza dell’universo –
potrebbe eventualmente rivelarsi troppo debole per sopravvivere? Sono
persuaso di no, credo invece, che il nostro governo è più forte di tutti, è
il solo che vedrebbe ogni cittadino, all’appello della legge, associarsi alla
bandiera della legalità e far fronte a ogni trasgressione dell’ordine pubblico come a un’offesa personale. Si dice talvolta che l’uomo è incapace
di governarsi da se stesso. Si potrà allora giudicarlo capace di governare
altri uomini? Oppure avremmo noi trovato, per governarlo, degli angeli
sotto forma di re? Lasciamo alla storia la cura di rispondere a questo
quesito.
Restiamo quindi, con coraggio e con Àducia, fedeli ai nostri principi
federali e repubblicani, attaccati all’unione e al governo rappresentativo. Isolati, per bontà della natura e di un vasto oceano, dalla tempesta
sterminatrice che decima una parte del globo; troppo Àeri per soffrire
le degradazioni degli altri, possessori di un paese scelto, abbastanza
vasto per accogliere i nostri discendenti Àno a migliaia di generazioni,
dovutamente compenetrato del nostro diritto uguale all’uso delle nostre
facoltà, ai prodotti della nostra industria, al rispetto e alla Àducia dei
nostri concittadini in ragione non della nostra nascita, ma dei nostri atti
e dell’opinione sotto forme diverse, ma che tutte predicano l’onestà, la
veracità, la temperanza, la gratitudine e l’amore del prossimo; riconoscendo e adorando una Provvidenza onnipotente di cui tutte le disposizioni provano che essa gode della felicità dell’uomo quaggiù e della sua
più grande felicità nell’aldilà – così colmati di benedizioni – che cosa
ci occorre di più per fare di noi un popolo felice e prospero? Una sola
cosa, concittadini: un governo avveduto ed economo, che impedisca
agli uomini di farsi dei torti gli uni agli altri, e per il resto li lasci liberi
di operare e migliorare la loro sorte, e che non prenda al lavoratore il
pane che egli ha guadagnato.
410
192
Il diritto di essere un uomo
Fine del potere assoluto presso i Cosacchi dell’Ucraina
Nel 1710, i capi dei Cosacchi elessero come atamano il segretario generale Filipp Orlyk. Nello stesso tempo venne votata una carta che istituiva le basi di un regime rappresentativo. Un’assemblea comprendente,
non solo i capi dell’esercito, ma anche dei deputati dei reggimenti e dei
Cosacchi Zaporogi si sarebbe riunita tre volte l’anno. Veniva posta Àne al
potere assoluto dell’atamano sugli altri capi e di questi capi sulla popolazione. Nessuna pena dovrebbe essere inÁitta senza giudizio. Le funzioni
sarebbero elettive.
Patti e consuetudini delle leggi e delle libertà dell’esercito degli zaporogi (testo riassunto), 1847.
411
Vox populi, vox Dei
Si è presa l’abitudine di dire: bisogna innalzare il popolo Àno a noi,
è così che noi diventeremo una nazione; tuttavia la nobiltà è in un precipizio, e raggiungerla equivale, non a una elevazione, ma al contrario
a una caduta. Quale illusione credere che il piccolo possa innalzare il
grande: quand’anche non fosse proprio in basso, ma su una riva alta e
sicura. Non sono i milioni di persone di cui si compone il popolo che
devono integrarsi in questo pugno di uomini che rappresentano la nobiltà, ma il contrario.
I miei fratelli contadini non chiedono affatto dei diritti a qualcuno,
oppure all’assemblea nazionale. Essi esigono che la classe privilegiata
dia prova di giustizia rinunciando ai privilegi di cui si è arbitrariamente appropriata: allora tutti i diritti del popolo avranno forza di legge,
producendo i loro effetti senza che la classe privilegiata si degni dire
con condiscendenza: popolo, ecco i diritti che ti ho concesso! Da chi
avrebbe la classe privilegiata ricevuto maggiori diritti? Non è Dio che
ha potuto darglieli, perché allora sarebbe lui a essere ingiusto.
Mihály Táncsics, Lajos Kossuth, 1847, Ungheria.
412
I Àgli (talvolta due o tre) servono nell’esercito, difendono la patria, compiono il santo e pesante dovere imposto dalla patria, e tuttavia i padri non
hanno ii diritto di votare. Non è giusto che una parte della nazione abbia
solo dei doveri, che sia essa a pagare le imposte e sacriÀchi i suoi Àgli,
senza avere dei diritti.
Lo ripeto, è la giustizia divina che si esprime attraverso la bocca degli
operai che rivendicano il diritto al voto.
Mihály Táncsics, 1869, Ungheria.
413
Libertà civile
193
Irriducibilità
Noi siamo una nazione ribelle. Tutta la nostra storia è tradimento; il
nostro sangue era impuro già prima della nostra nascita, le nostre credenze
consistono nell’infedeltà alla nostra Chiesa materna; la nostra costituzione,
il tradimento della nostra patria. Che importa? Se anche tutti coloro che
governano il mondo ci imponessero di tradire l’uomo, e ce ne dessero l’esempio, noi non dovremo cedere mai.
Teodoro Parker, detto «Il Grande Predicatore Americano» (18101860).
414
La prima condizione della libertà
La prima condizione della libertà è che ogni funzionario sia responsabile
di ogni atto che compie durante l’esercizio delle sue funzioni, di fronte a
ogni cittadino, ai tribunali ordinari, e secondo la legge comune.
Friedrich Engels, Lettera ad August Bebel, 18-28 marzo 1875.
415
Democrazia contro dispotismo
Dominazione e sfruttamento non sono che un solo e medesimo concetto
[...]. La sola idea del dispotismo è il disprezzo dell’uomo [...]. Il despota
non vede mai gli uomini diversamente che spogliati della loro dignità [...]
il principio essenziale della monarchia, è l’uomo disprezzato e disprezzabile, l’uomo disumanizzato. Montesquieu ha il grande torto di considerare
l’onore come principio della monarchia. Egli lo fa mantenendo la distinzione tra monarchia, dispotismo e tirannia. Ma questi sono nomi di una sola
e medesima idea, o tutt’al più delle varianti superÀciali di un medesimo
principio. Là ove predomina il principio monarchico, gli uomini sono considerati dei minorenni; là ove questo principio non è messo in dubbio, non
vi sono affatto degli uomini.
Karl Marx, Lettera a Ruge, 1844.
416
Data la natura dell’idea di Stato, la sovranità deve risiedere nel popolo.
Essa può risiedere tra le mani dell’imperatore, secondo i tempi e le circostanze, ma con il progresso della conoscenza del popolo e la prosperità del
paese, essa deve, Ànalmente, risiedere nel popolo [...]. In Giappone, essa
risiede senza dubbio nella persona dell’imperatore da più di duemilacinquecento anni, ma si dovrebbe restituirla al popolo dietro sua richiesta fra
qualche centinaia d’anni, quando la sorte del paese sarà cambiata e il popolo sarà unanime a voler trasformare la monarchia in democrazia.
Tatsui Baba (1850-1888), Autobiografia di Kentarô Kaneko, Giappone.
417
194
Il diritto di essere un uomo
Le due condizioni della democrazia
Il “principio di una larga democrazia” implica – e tutti probabilmente ne
converranno – due condizioni sine qua non: in primo luogo la totale pubblicità, in secondo l’elezione a tutte le funzioni. Sarebbe ridicolo parlare
di democratismo senza una pubblicità completa, non limitata ai membri
dell’organizzazione. Noi chiameremo il partito socialista tedesco un’organizzazione democratica, poiché tutto vi si fa apertamente, persino le sedute
del congresso del partito; ma nessuno qualiÀcherà d’organizzazione democratica un partito ricoperto del velo del segreto per tutti coloro che non ne
sono membri.
Il secondo indice del democratismo, il principio elettivo, è una condizione che va da sé nei paesi di libertà politica. “Sono membri del
partito tutti coloro che riconoscono i principi del suo programma e sostengono il partito nella misura delle loro possibilità”, dice il primo
paragrafo degli statuti del partito social-democratico tedesco, Ognuno
viene a sapere dai giornali e dalle assemblee pubbliche, se questa o
quella persona riconosce o no il partito, lo sostiene oppure gli fa opposizione. Si sa che un certo militante politico ha avuto tale o tal altro
inizio, che ha seguito tale o tal altra evoluzione, che in un determinato
difÀcile momento della sua vita egli si è comportato in un certo modo,
che si distingue per tale o tal altra qualità; pertanto tutti i membri del
partito possono, con conoscenza di causa, eleggere questo militante o
non eleggerlo ai vari posti del partito. Il controllo generale – nel senso
stretto della parola – di ogni passo fatto da un membro del partito nella
sua carriera politica crea un meccanismo che funziona automaticamente
e assicura ciò che si chiama in biologia la “persistenza del più adatto”.
Grazie a questa “selezione naturale”, risultato di una pubblicità assoluta, dell’elezione e del controllo generale, ogni militante si trova inÀn
dei conti “classiÀcato sulla sua tavoletta”; egli assume il compito più
appropriato alle sue colpe e dimostra davanti a tutti la sua attitudine a
comprendere le sue colpe e a evitarle.
Cercate un po’ di far tenere questa tavola nel quadro della nostra autocrazia!
Lenin, Che fare?, 1902
418
“Separati ma uguali”?
Nel 1896 il giudice John Marshall Harlan esprime ai suoi colleghi del
Tribunale il proprio disaccordo sul problema delle razze.
Per quanto concerne i diritti civili, comuni a tutti i cittadini, il mio parere
è che la Costituzione degli Stati Uniti d’America non permette a un’au-
Libertà civile
195
torità pubblica qualsiasi di fare distinzione di razza tra coloro che sono
ammessi a beneÀciare di una protezione per il godimento di questi diritti.
Ogni uomo che si rispetta è Àero della sua razza, e in circostanze appropriate, quando i diritti degli altri uomini, suoi uguali davanti alla legge, non
rischiano di essere colpiti, gli è lecito esprimere questa Àerezza e, sulla
base di questo sentimento, agire come più gli piace. Ma nego a ogni organo
legislativo e a ogni tribunale giudiziario il diritto di tener conto della razza
di un cittadino quando i diritti civili di quest’ultimo sono in causa. Infatti,
ogni legislazione come quella di cui si tratta qui è incompatibile non solo
con l’uguaglianza dei diritti propria della cittadinanza relativa alla nazione
o a uno Stato, ma anche con la libertà individuale, riconosciuta a ognuno
sul territorio degli Stati Uniti [...].
Sembra però che noi abbiamo ancora in certi Stati una razza dominante,
una classe superiore di cittadini che si arrogano il diritto di regolamentare,
basandosi sulla razza, il godimento dei diritti civili comuni a tutti i cittadini. Si può temere che questa decisione non solo favorisca le aggressioni,
più o meno brutali e vessatorie, contro i diritti riconosciuti dei cittadini di
colore, ma anche che essa incoraggi a pensare che è possibile, a mezzo di
decreti emanati dallo Stato, di andare contro le intenzioni beneÀche che il
popolo degli Stati Uniti aveva, quando ha adottato i recenti emendamenti
alla Costituzione, uno dei quali fa dei Negri di questo paese dei cittadini
degli Stati Uniti e dello Stato in cui essi risiedono, e proibisce agli Stati di
recare pregiudizio ai privilegi e alle immunità di cui essi godono in quanto cittadini. Sessanta milioni di Bianchi non hanno nulla da temere dalla
presenza di otto milioni di Negri. I destini delle due razze di questo paese
sono indissolubilmente legati ed è nell’interesse degli uni e degli altri che
il governo comune a tutti non permetta che i semi dell’odio razziale siano
seminati con la sanzione della legge.
………
La schiavitù in quanto istituzione tollerata dalla legge sarebbe, certamente, sparita dal nostro paese, ma i diversi Stati conserverebbero il potere
di ostacolare, con una legislazione iniqua, il pieno godimento dei beneÀci
della libertà, di regolamentare secondo la razza i diritti civili comuni a tutti
i cittadini, e di collocare in uno stato di inferiorità giuridica un vasto corpo
di cittadini americani che fanno attualmente parte della comunità politica,
chiamata il popolo degli Stati Uniti, per il quale e dal quale, a mezzo di
rappresentanti, il nostro governo è amministrato. un simile sistema è incompatibile con le garanzie accordate dalla Costituzione.
Affaire Plessy, Stati Uniti d’America
419
VERITÀ E LIBERTÀ
Pensiero ed espressione:
diritto di pensare, di criticare, di obiettare, di dubitare;
diritto di dire, di scrivere, di pubblicare, di creare
Verità
La verga della verità ha un bel assottigliarsi, non si rompe mai.
Proverbio amarico, Etiopia.
420
Dinanzi a una parola di verità, anche i torrenti si arrestano.
Proverbio turco.
421
In confronto a cento pozzi al fondo dei quali dorme l’acqua dolce, val
meglio un solo pozzo provvisto di gradini. A cento pozzi provvisti di gradini, un sacriÀcio yaga è preferibile. A un centinaio di tali sacriÀci è preferibile un buon Àglio, e a cento Àgli buoni, è preferibile una parola di verità.
Mahâbhârata, tradizione telugu, isole Mauritius.
422
Cercare la verità
Non ho nulla contro il fatto che si oppongano gli uni agli altri. È così che
il vero e il giusto si scoprono meglio [...]. Bisticciatevi Ànché vorrete, non
ve ne rimprovero. La sola condizione che vi pongo è che, con una coscienza pura e diritta, cerchiate la verità.
La vita dell’arciprete Avvakum, scritta da lui medesimo (XVII sec.),
Russia.
423
Il frutto più bello della libertà è il potere di essere vero. La libertà, il
vero, si trovano là ove regnano pace e giustizia.
198
Il diritto di essere un uomo
Jean de Muller (1752-1809), Russia.
424
Perché il sentimento religioso proceda dallo spirito di verità, bisogna
essere totalmente pronti ad abbandonare la propria religione, anche se si
dovesse perdere in tal modo ogni ragione di vivere, nel caso in cui essa
fosse cosa diversa dalla verità. Solo in questa disposizione di spirito si può
discernere se vi è in essa della verità o meno. Altrimenti non si osa neppure
porre il problema nel suo rigore.
Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia.
425
Dire la verità
Il mondo in cui vivo mi ripugna, ma mi sento solidale con gli uomini che
vi soffrono. Vi sono ambizioni che non sono le mie e non mi troverei a mio
agio se dovessi percorrere la mia strada appoggiandomi sui poveri privilegi
che vengono riservati a coloro che si aggiustano in questo mondo.
Ma mi sembra che vi è un’altra ambizione che dovrebbe essere quella
di tutti gli scrittori: testimoniare e gridare, ogni volta che è possibile,
nella misura del nostro talento, in favore di coloro che sono asserviti
come noi.
Albert Camus, in Combat, 1948, Francia.
426
Per servire la verità
LA LIBERTÀ
Sono nato libero e lo resto;
Voglio così si viva e anco si muoia;
E con mano libera io posso
Senza questuare prendere il mio pane.
Io vado ove mi piace andare
Ascolto ciò che mi è gradito,
Vo proclamando ciò che penso,
E posso amare, essere amato,
Fare il ben m’è ricompensa
Sì, mia legge, è sol mia volontà.
………
No! che i miei giorni trovino lor Àne
Su questa terra dove sono nato,
Che ‘1 cener mio soltanto s’orni
Della grandezza che ho cantato.
Venga l’infante cinto di gloria
Che sulla mia tomba abbandonata
Celebri così la mia memoria:
“Costui, nato in questi tempi neri,
Verità e libertà
199
Carco di ferri, fu il primo
Profeta della libertà”.
Aleksandr RadišĀev (1749-1802), Russia.
427
VUOI SAPERE CHI SONO?
Vuoi saper chi, che cosa sono? Dove vado?
Quel che fui, sarò tutta la vita:
Né albero, né bestia, né schiavo, soltanto un uomo, qui.
Tracciar la via all’intrepido, ove mai nulla è stato;
Al poeta, al pensator focoso aprir la via;
Per soffocar la verità, per gettar lo spavento nel cuore dei virtuosi,
D’Ilim al bagno io sto andando.
Aleksandr RadišĀev (1749-1802), Russia.
428
La forza non risiede nella forza, ma nella verità.
Proverbio russo.
429
Malintesi e complessità della verità
Parole messe in bocca a un personaggio immaginario, il “dottore”
La gente immagina che basti dimostrare la verità, come un teorema di
matematica, per farla accettare; che basti credervi noi stessi perché gli altri
vi credano. Ora, accade molto diversamente: gli uni dicono una cosa, gli
altri li ascoltano e ne comprendono un’altra, perché il loro grado di evoluzione non è lo stesso. Che cosa predicavano i primi cristiani e che cosa
capiva la folla? La folla ha compreso tutto l’incomprensibile, l’assurdo, il
mistico; tutto ciò che era chiaro e semplice le è stato inaccessibile; la folla
ha accettato tutto ciò che legava la coscienza, e nulla di ciò che affrancava l’uomo. Analogamente, più tardi, essa ha compreso la rivoluzione
unicamente come una esecuzione sanguinosa, una ghigliottina, una vendetta; un’amara necessità storica è diventata un grido di trionfo; alla parola
“fraternità” si è accoppiata quella di “morte”; “la fraternità o la morte” è
diventato una specie di “la borsa o la vita” dei terroristi. Abbiamo tanto vissuto noi stessi, abbiamo visto tante cose e, per di più, i nostri predecessori
hanno tanto vissuto per noi, che alla Àne è diventato per noi imperdonabile
di appassionarci, di credere che basta far conoscere il Vangelo al mondo
romano per farne una repubblica democratica e sociale, come credevano
gli apostoli rossi; oppure che basta stampare su due colonne una edizione
illustrata dei Diritti dell’uomo perché l’uomo diventi libero.
Aleksandr Herzen (1812-1870), Lettere.
430
200
Il diritto di essere un uomo
RACCONTO DEL CONTADINO ELOQUENTE
Un contadino spogliato da un ricco osa criticare con violenza tutti i
grandi personaggi. Gli viene resa giustizia.
C’era una volta un uomo che si chiamava Khunanup. Era un oasiano
dell’oasi del Sale. E aveva una moglie chiamata Méryé. E questo oasiano
disse a questa sua moglie: “Ehi, tu! voglio andare in Egitto per riportarne
il cibo per i miei Àgli. Va dunque a misurarmi l’orzo che c’è nel granaio, quello che rimane (dell’anno passato)”. Allora essa gli misurò (otto)
boccali di orzo.
E questo oasiano disse a questa sua donna: “Tieni (vi saranno) per te
[...] boccali d’orzo che serviranno per il nutrimento tuo e dei tuoi Àgli.
Con (gli altri) boccali d’orzo fammi dunque del pane e della birra per
ogni giorno in cui (sarò in viaggio)”.
Allora questo oasiano discese in Egitto dopo aver caricato i suoi asini
di canne, di piante-redemet, di natron, di sale, di legna (proveniente) da
bacchette di àount dell’oasi di Farafra, di pelli di pantere, di pellicce di
lupi, di piante-neca, di pietre-ânou, di piante khépérour, di pietre-sénet,
di pietre-âba, di pietre-isba, di piante inbi, di piccioni, di uccelli,... (in
breve) di una quantità di buoni prodotti di ogni specie che si trovavano
nell’oasi del Sale. Questo oasiano si avviò in direzione del sud, verso
Mennesou e arrivò sul territorio di PerféÀ, a nord di Médéni. Trovò un
uomo che stava su di una diga e il cui nome era Djéhoutinekht: era il
Àglio di un uomo chiamato Isri, un vassallo del grande intendente Rensi,
Àglio di Meru.
Allora questo Djehutynecht disse, quando vide gli asini di questo oasiano, che piacevano al suo cuore: “Ah! se avessi soltanto qualche potente idolo a mezzo del quale potermi impadronire dei beni di questo oasiano!”. Ora la casa di Djehutynecht si trovava sul terreno presso il torrente:
era piccola, non era più larga da oltrepassare la larghezza di una pezza
di stoffa. L’uno dei suoi lati era ricoperto d’acqua, l’altro era coltivato d
orzo. Allora Djehutynecht disse al suo servitore: “Va e portami un pezzo
di tela della mia casa”. Questi gliela portò subito.
Distese allora la tela sul terreno in modo che la sua frangia arrivava a
lambire l’acqua e il suo orlo l’orzo. Questo oasiano venne dunque sulla
strada pubblica. E questo Djehutynecht disse: “Fa attenzione, oasiano! Hai
intenzione di camminare sulle mie vesti?”. Questo oasiano rispose: “Farò
ciò che ti piace, ma la strada che io seguo è la buona”. Allora questo oasiano si avviò verso l’alto (della sponda), ma questo Djehutynecht disse:
“Il mio orzo ti servirà forse da strada, o oasiano?”. Questo oasiano rispose:
“La strada che io seguo è buona. La sponda è scoscesa, la strada è (in parte)
Verità e libertà
201
coltivata a orzo, e tu ingombri ancora il nostro cammino con le tue vesti.
Vuoi forse impedirci di passare sulla strada?”.
Appena ebbe Ànito di dire queste parole, uno degli asini riempì la sua
bocca con un ciuffo d’orzo. Allora questo Djehutynecht disse: “Ecco, ora
mi impadronirò del tuo asino, oasiano, perché mangia il mio orzo; e pesterà il grano a causa del male che ha fatto”. E questo oasiano rispose: “La
strada che io seguo è la buona. Siccome uno dei (lati) era impraticabile, ho
condotto il mio asino sul (lato) proibito. Tu te la prendi perché ha riempito
la sua bocca di un ciuffo d’orzo. Ma io conosco il proprietario di questo
campo: appartiene al grande intendente Rensi, Àglio di Meru. È proprio
lui che punisce tutti i ladri nell’intero paese: sarò io derubato proprio nella
sua proprietà?”. Allora questo Djehutynecht disse: “Non sarebbe proprio
questo il proverbio che la gente dice: il nome del povero è pronunciato
solo a causa del suo padrone?. Sono io che ti parlo ed è il grande intendente al quale tu pensi”. Allora afferrò una bacchetta di Tamarisco fresco per
colpirlo, e lo Áagellò su tutto il corpo; poi s’impadronì dei suoi asini che
furono introdotti nella sua proprietà. E questo oasiano si mise a piangere
molto forte a causa del cattivo trattamento che gli era stato usato; ma questo Djehutynecht gli disse: “Non alzare la voce, oasiano, perché tu sei (sul
cammino che conduce) alla dimora del Padrone del silenzio”. E l’oasiano
rispose: “Tu mi batti, tu rubi il mio bene e poi mi togli ancora il lamento
dalla bocca! Oh Padrone del silenzio rendimi ciò che mi appartiene e così
cesserò di disturbarti con le mie grida”.
E l’oasiano continuò per dieci giorni a supplicare Djehutynecht senza
che costui gli prestasse attenzione [...].
Allora l’oasiano venne a supplicare il grande intendente Rensi, Àglio
di Meru, dicendo: “Grande intendente, mio Signore [...] permetti che io
ti faccia in questo paese una rinomanza al di sopra perÀno di ogni buona
legge, o guida esente da rapacità, oh grande esente da bassezza! Annienta
la menzogna, dona l’esistenza alla verità. Vieni alla voce di colui che chiama, abbatti il male. Io parlo perché tu intenda. Fa’ giustizia, oh tu che sei
lodato da coloro che sono lodati. Distruggi la mia miseria, perché io sono
accasciato dal dolore, sono indebolito per causa sua; prendi cura di me,
perché io sono nella povertà”.
Ora, l’oasiano teneva questo discorso ai tempi della Maestà del re
Nebkaurè [...]. E il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, andò dinanzi
a sua Maestà a dire: “Mio Signore, he trovato uno di questi oasiani buon
parlatore in verità: egli è stato spogliato dei suoi beni da un uomo che è
al mio servizio, ed ecco che è venuto a supplicarmi a questo proposito”.
Sua Maestà rispose: “Come tu desideri vedermi in salute, trattienilo qui e
202
Il diritto di essere un uomo
trascina l’affare in lungo, senza rispondere a tutto ciò che egli potrà dire.
E per quanto egli continui a parlare, tu taci. E poi le sue parole ci siano
riferite per iscritto [...]. Assicura tuttavia il mantenimento di sua moglie e
dei suoi Àgli, perché questi oasiani (non) vengono (affatto in Egitto) prima
che la loro casa non sia vuota Àno al suolo. Assicura anche il mantenimento dello stesso asino. Tu veglierai afÀnché gli siano date provviste,
ma senza lasciargli sapere che sei stato tu a dargliele”. Così gli donarono
dieci pani e due boccali di birra ogni giorno. Il grande intendente Rensi,
Àglio di Meru li forniva, ma li passava a uno dei suoi amici ed era costui
a darglieli (all’oasiano). Poi il grande intendente Rensi, Àglio di Meru
inviò (un emissario) al governatore dell’oasi del Sale al Àne di assicurare
il nutrimento della moglie di questo oasiano, in ragione di tre misure
(d’orzo) al giorno.
Allora l’oasiano lo supplicò una seconda volta, dicendo: “Grande intendente, mio Signore [...] gli alti funzionari agiscono male. La rettitudine pende da un lato; i giudici rubano. E questo ancora: colui che deve
catturare un uomo che ha commesso qualche impostura si scarta anch’egli su questo punto dalla retta via [...]. Colui che deve dividere secondo
giustizia è un ladro. Colui che deve allontanare il bisogno è colui stesso
che l’accresce, (al punto che) la città ne è sommersa. Colui che deve reprimere il male commette (egli stesso) l’iniquità”.
Allora il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, disse: “Il tuo bene è
per il tuo cuore qualche cosa di più importante che (il rischio) di essere
arrestato da uno dei miei servitori?”. Ma questo oasiano proseguì: “Il
misuratore del grano compie frodi a suo beneÀcio. Colui che riempie (dei
granai) per un altro, ruba i beni di quest’ultimo. Colui che deve insegnare
l’applicazione delle leggi comanda il furto. Chi dunque si opporrà alla
perversità quando colui che deve respingere l’ingiustizia si permette (lui
stesso) delle manchevolezze? L’uno sembra essere dritto, pur andando
per vie tortuose: l’altro aderisce (apertamente) al partito del male. Trovi
tu in ciò (qualcosa) per te? [...]. Colui che possiede delle rendite (può
ben) essere compassionevole, ma un malfattore è (forzatamente) violento. Rubare è naturale per colui che non ha nulla, come pure appropriarsi
dei beni da parte di un malfattore. Ciò è un crimine (agli occhi di) colui
che non ha dei bisogni! (Ma) non si deve volergliene (al ladro): egli non
fa che cercare per se stesso (i mezzi di sussistenza). Tu, per contro, tu hai
di che saziarti con il tuo pane, di che ubriacarti con la tua birra”.
………
Allora questo oasiano venne a supplicarlo per una terza volta, dicendo:
“Grande intendente, mio Signore [...] respingi il ladro, proteggi il misera-
Verità e libertà
203
bile, non colpire chi ti supplica con la violenza dell’inondazione. Preoccupati dell’avvicinarsi dell’eternità! Desidera di vivere a lungo secondo
il proverbio ‘Praticare l’equità è vivere!’.
………
“Tu sei come un miserabile lavandaio dal cuore rapace, che fa torto a un
amico, che abbandona uno dei suoi intimi in favore di un suo cliente: colui
che è venuto a portargli (un’ordinazione) è suo fratello.
“Tu, tu sei come un passatore che (non) lascia attraversare (se non) colui
che ha di che pagare il prezzo del passaggio, un giusto di cui la giustizia è
ridotta al nulla [...].
“Tu, tu sei (come) un falco per gli uomini, che vive mangiando i più
deboli uccelli.
“Tu, tu sei come un cuoco, per il quale uccidere (degli animali) è una
gioia senza che la loro mutilazione possa essergli rimproverata.
………
“Tu che devi udire non odi affatto; perché dunque non senti? Oggigiorno
certamente io ho respinto un violento; il coccodrillo si ritira. Quale sarà
dunque per te il risultato di ciò? Si troverà bene il segreto della verità, e la
schiena della bugia sarà messa a terra. Non disporre del domani prima che
sia giunto; nessuno sa quali mali vi sono in lui”.
Ora questo oasiano teneva questo discorso al grande intendente Rensi,
Àglio di Meru, all’ingresso degli ufÀci. Allora questi fece andare contro di
lui due guardie armate di frusta che gli fustigarono tutte le membra. E questo oasiano disse: “In questo modo il Àglio di Meru percorre (ancora) una
strada sbagliata? Il suo volto è cieco di fronte a ciò che vede, sordo è quello
che ode, distratto riguardo a ciò che gli è stato ricordato”.
………
Allora questo oasiano venne a supplicarlo una quarta volta. Poiché l’aveva trovato mentre usciva dal portale del tempio di Arsafè, egli disse: “Oh
lodato, che ti lodi Arsafè, al cui tempio sei venuto! Il bene è perito; non vi
è (per contro) nessuno che possa vantarsi di aver gettato a terra la schiena
della bugia”.
………
Allora l’oasiano venne a supplicarlo una quinta volta, dicendo: “Grande
intendente, mio Signore [...]. Non derubare un povero di ciò che possiede,
un uomo debole che tu conosci. Per un miserabile i suoi beni sono un sofÀo (di vita); colui che glieli prende lo soffoca. Tu sei stato collocato per
ascoltare le questioni, per giudicare le parti, per punire il brigante. Ma non
fai altro che dar il tuo appoggio al ladro”.
………
204
Il diritto di essere un uomo
Allora questo oasiano venne a supplicarlo una sesta volta, dicendo:
“Grande intendente, mio Signore, ogni inchiesta fatta imparzialmente dal
giudice distrugge l’effetto della bugia, dona esistenza alla verità, crea ogni
bene e annienta il male, come quando giunge la sazietà viene a far cessare
la fame, come quando arrivano gli abiti e fanno cessare la nudità, come
quando il cielo si rasserena dopo un violento temporale e riscalda tutti coloro che hanno freddo, come il fuoco che cuoce gli alimenti, come l’acqua
che estingue la sete”.
………
Allora quest’oasiano venne a supplicarlo una settima volta dicendo:
“Grande intendente, mio Signore, tu sei il governatore dell’intero paese;
il paese naviga ai tuoi ordini. Tu sei un secondo esemplare di Tot, che giudica senza inchinarsi da un lato. Signore, sii benevolo quando un uom o si
rivolge a te per (giudicare) la sua giusta causa [...].
“Come una breccia in una diga, e l’acqua che essa contiene se ne fugge,
(così) la mia bocca si è aperta per parlare. Allora ho manovrato il mio sbaglio, ho vuotato la mia acqua, mi sono sbarazzato da ciò che era nel mio
corpo, ho lavato i miei vestiti sporchi. Il mio discorso è terminato; la mia
miseria si è distesa completamente dinanzi a te. Di che cosa tu dunque hai
ancora bisogno?”.
………
Allora questo oasiano venne a supplicarlo per l’ottava volta, dicendo:
“Grande intendente, mio Signore, si può cadere molto in basso a causa
dell’avidità. L’uomo avido (spesso) non raggiunge lo scopo; il (solo) scopo
che egli raggiunge è l’insuccesso. Tu sei avido, e questo non ti sazia; tu rubi,
e questo non ti porta vantaggio; tu che dovresti permettere a un uomo di
alzarsi per (difendere) il suo buon diritto. Poiché ciò che ti occorre per il tuo
mantenimento è nella tua casa; tu hai lo stomaco ben ripieno; la misura per
il grano straripa e se vacilla, quanto ne sfugge sarà perduto per il paese [...].
La giustizia è per l’eternità; essa discende nella necropoli con colui che
la pratica [...].
Sia che venga io, sia che venga un altro, fa(gli) buona accoglienza. Non
rispondere (a ciò che dirà) come qualcuno che si rivolge a un uomo che non
ha il diritto di parlare; non attacca un uomo che non attacca.”
………
Allora questo oasiano venne a supplicarlo per la nona volta, dicendo:
“Grande intendente; mio Signore, la lingua degli uomini è la loro bilancia;
è la bilancia che scopre le manchevolezze.
“... Non essere parziale e non ascoltare il tuo cuore. Non coprire il tuo
volto di fronte a colui che tu conosci. Non essere cieco di fronte a colui
Verità e libertà
205
che (una volta) hai guardato. Non respingere colui che viene a te supplicando [...].
“Colui che denuncia diventa un povero miserabile e il miserabile è destinato a essere un supplicante: (il suo) avversario diventa (il suo) uccisore.
Vedi, ti rivolgo una supplica e tu non l’ascolti. Andrò quindi a rivolgere una
supplica nei tuoi riguardi ad Anubis.”
Allora il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, inviò due guardie per
farlo ritornare sui suoi passi. E questo oasiano ebbe paura, perché s’immaginava che faceva ciò per punirlo di questi discorsi che egli aveva tenuto [...].
Ma il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, disse: “Non temere, oasiano; poiché se si è fatto questo contro di te (era solamente) per obbligarti
a restare con me”. E questo oasiano rispose: “Per il mio volto: dovrò allora
mangiare del tuo pane, bere la tua birra Àno all’eternità?”. Il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, riprese: “Aspetta almeno un poco qui perché
tu possa ascoltare le tue suppliche”. Ed egli le fece leggere svolgendo un
nuovo rotolo di papiro, ogni supplica secondo il suo contenuto. Poi il grande intendente Rensi, Àglio di Meru, fece avere (questo rotolo) alla Maestà
del re Nebkaurè [...] e ciò fu gradito al cuore (di sua Maestà) più di ogni
cosa che si trova nell’intero paese. E (sua Maestà) disse: “Decidi tu stesso,
Àglio di Meru”.
Allora il (grande intendente) Rensi, Àglio di Meru, mandò due guardie perché (conducessero Djehutynecht). Egli fu quindi condotto e venne
redatto un inventario dei (suoi beni e della) sua (gente, cioè): sei persone
senza contare [...].
La Àne del manoscritto è molto sciupata. Si capisce tuttavia che tutti i
beni di Djehutynecht furono donati all’oasiano, mentre Djehutynecht stesso e anche tutti i suoi ne diventarono i servitori.
Antico Egitto (Àne del III millennio a.C.).
431
Diritto di presentare delle obiezioni
Se accade che si ingiunga a un fratello di fare cose difÀcili o impossibili, egli accetterà con molta mansuetudine e obbedienza il comando che
gli è stato fatto. Tuttavia, se giudica che il peso del fardello oltrepassi interamente la misura delle sue forze, egli farà presente al superiore le ragioni della sua impotenza, ma lo farà con pazienza e a proposito, senza
dimostrare né orgoglio, né resistenza, né contraddizione. E se, dopo questa
obiezione, il superiore mantenesse il suo ordine, l’inferiore si persuaderà
che la cosa è per il suo vantaggio, e obbedirà con amore, mettendo la sua
Àducia nell’aiuto di Dio.
Regola di San Benedetto.
432
206
Il diritto di essere un uomo
Obiezioni e obbedienza
Non è tuttavia mancare alla perfezione dell’(obbedienza) l’esporre (dopo
di aver ardentemente pregato Dio) in che cosa la vostra opinione differisce dalla sua (quella del Superiore). A condizione tuttavia che i dipendenti
non si sforzino d’imporre la loro volontà a quella del Superiore e che essi
siano pronti, con cuore e anima non solo ad accettare ogni decisione che il
Superiore, così informato, giudicherà opportuno di prendere, ma ancora ad
approvarla e a considerarla migliore.
Epitome della Società di Gesù, 1689.
433
Signor Presidente, trovo in un piccolo volume alcune righe di cui ecco
qui circa il tenore:
Dolce è il nome della libertà, ma essa stessa è un tesoro inestimabile.
Pertanto noi dobbiamo vegliare in modo speciale per non perdere, cullandoci nella dolcezza della parola, il bene più prezioso di cui possa inorgoglirsi questo nobile regno. È cosa senza prezzo il poter in questa casa usare
effettivamente di questo bene.
... Accade talvolta in questo recinto che, per illuminare il dibattito, un
uomo dabbene si faccia avvocato di una cattiva causa, nella speranza di fare
così sorgere una verità nascosta ed evitare il male; ne concludo che in questa casa, che viene considerata quella della libertà di parola, nulla è tanto
necessario quanto la libertà di parola per la protezione del principe e dello
Stato; se essa non esistesse, sarebbe burlarsi del mondo il dare alla nostra
assemblea il nome di Parlamento; perché questa casa sarebbe allora solo più
una scuola di adulazione e di dissimulazione, in cui si troverebbe tutto ciò
che occorre per servire il diavolo e il suo seguito, ma non per gloriÀcare
Dio e fare il bene dello Stato [...]. Vi sono specialmente, Signor Presidente,
due cose che fanno molto male a questa casa e di cui voglio ora parlarvi. La
prima, sono le dicerie che in essa corrono dicendo questo: “Fate attenzione
a ciò che fate; Sua Maestà la Regina non condivide questa o quell’opinione,
e chiunque difenderà questa opinione incorrerà nella sua collera”; oppure
ancora: “Attenzione. Sua Maestà la Regina è di tale o tal altra opinione, e
chiunque esprimerà un parere contrario incorrerà nella sua collera”. La seconda, sono le bugie che ci pervengono talvolta qui e che, contenendo degli
ordini o delle interdizioni, portano grave pregiudizio alla libertà di parola e
di consultazione. Vorrei, Signor Presidente, vedere, a Dio piacendo, questi
rumori e messaggi all’inferno; è infatti certo che sono cose cattive: perché
il loro primo autore è il diavolo, dal quale nulla procede che non sia cattivo.
Dichiarazione di Peter Wentworth alla Camera dei Comuni, 1576, Inghilterra.
434
Verità e libertà
207
Per la difesa dei libri
Non nego che sia del massimo interesse per la Chiesa e per la Repubblica sorvegliare con sguardo vigilante la condotta dei libri come si fa per
quella degli uomini, e in seguito trattenerli, imprigionarli e punirli col più
grande rigore, come dei malfattori. Perché i libri non sono cose assolutamente morte; essi hanno in sé un principio di vita altrettanto attivo quanto
l’anima da cui sono usciti; ed essi conservano anche, come in una boccetta,
l’efÀcacia e l’essenza più dura del cervello vivente da cui sono usciti. So
che sono anche pieni di vita e anche vigorosamente fecondi quanto i denti
del dragone della favola: vengono seminati qua e là, ne usciranno forse degli uomini armati. D’altro canto tuttavia – a meno di dar prova di prudenza
– distruggere un buon libro è quasi uccidere un uomo; chiunque uccide un
uomo, uccide una creatura dotata di ragione, l’immagine di Dio; ma chiunque distrugge un buon libro, uccide la ragione stessa, uccide l’immagine di
Dio come se gli avesse inferto un colpo in un occhio. La vita al di là della
vita. A dire il vero, nessun secolo può restaurare una vita, la cui sparizione
non costituisce forse una grande perdita; e, con l’andar degli anni, è raro
che sia riparata la perdita di una verità che è stata respinta, la cui assenza
è dannosa per intere nazioni. Dovremmo quindi mostrarci prudenti nelle
nostre critiche riguardo ai lavori viventi degli uomini pubblici, nel nostro
modo di sciupare questo succo vitale dell’esperienza umana, che è conservato e immagazzinato nei libri, perché vediamo che si può commettere
anche una specie di omicidio, esporre al martirio e, se si tratta della totalità
degli esemplari stampati, arrivare a una specie di massacro, che non ha per
effetto di distruggere una vita elementare, ma che colpisce questa quintessenza eterea, il sofÀo della ragione stessa, e che annienta una immortalità
piuttosto che un’esistenza.
John Milton, Areopagitica, 1644, Inghilterra.
435
La libertà e il diritto di dubitare
Si è fatto molto rumore riguardo alla libertà di pensiero e nel corso delle
discussioni; degli uomini hanno dato prova di uno spirito che non risiede
né nel carattere dei membri del clero, né in quello dei buoni cittadini, uno
spirito arbitrario e tirannico sotto la maschera di uno zelo religioso e uno
spirito presuntuoso e fazioso sotto quello della libertà. Se i primi potevano
vincere, imporrebbero una fede implicita e una obbedienza cieca e istituirebbero una inquisizione per mantenere questa abietta servitù. Affermare
l’esistenza degli antipodi potrebbe ridiventare altrettanto eretico quanto
l’arianesimo o il pelagianesimo; e degli uomini potrebbero, come Galileo,
essere gettati nelle prigioni di qualche Sant’UfÀzio per aver detto di aver
208
Il diritto di essere un uomo
veduto ciò che in realtà hanno veduto e che qualsiasi altra persona potrebbe
vedere se lo desiderasse. Se i secondi potessero vincere, distruggerebbero
immediatamente l’inÁuenza della religione, sconvolgendone le sue fondamenta, gettate dall’educazione. Ecco degli estremi molto lontani l’uno
dall’altro. Non vi è una via di mezzo che potrebbe essere seguita da un
uomo ragionevole e buon cittadino? Io penso che questa via esista.
Ognuno ha il diritto incontestato di pensare liberamente; ma vi è di più:
ognuno ha il diritto di farlo, nella misura in cui ne ha il mezzo e la possibilità. Questo dovere, inoltre, non è mai tanto imperioso per lui come nei
casi che concernano quella che io chiamo la ÀlosoÀa primaria. Coloro che
non hanno né mezzi né occasioni di questo genere, devono sottomettere le
loro opinioni all’autorità; e a quale autorità possono sottomettersi più giustamente e con maggior sicurezza se non quella delle leggi e della costituzione del loro paese? In generale, nulla può essere più assurdo che adottare
Àduciosamente delle opinioni della massima importanza, che ci riguardano
nel modo più intimo. Ma in numerosi casi particolari è impossibile sfuggirvi. Le cose più assurde dal punto di vista speculativo diventano necessarie
nella pratica. Gli uomini sono fatti così, e la ragione li scusa a causa di questa necessità. La ragione fa perÀno un po’di più, ed è tutto ciò che può fare.
Essa dà il migliore orientamento possibile all’assurdità: in tal modo incita
coloro che devono credere perché non possono sapere, a credere alle leggi
del loro paese e a confermare le loro opinioni e la loro condotta a quelle
dei loro antenati, a quelle di Corunciano, di Scipione, di Scevola, e non a
quelle di Zenone, di Cleante, di Crisippo.
Ma la ragione che conferisce simile saggezza a tali uomini, darà un
orientamento del tutto opposto a coloro che hanno i mezzi e le occasioni
che mancano agli altri. Lungi dal consigliare loro di assoggettarsi a questa
servitù intellettuale, darà loro il consiglio di impiegare tutta la loro attività, di manifestare la massima libertà di pensiero, e di non appoggiarsi ad
alcuna autorità se non alla propria, cioè la loro. Parlerà a essi il linguaggio
dei SuÀ, setta di ÀlosoÀ persiani di cui alcuni viaggiatori hanno parlato.
“Il dubbio – dicono questi saggi e onesti liberi pensatori – è la chiave del
sapere. Chi non dubita mai, non esamina mai: chi non esamina mai, non
scopre nulla; chi non scopre nulla è cieco e lo rimarrà. Se tu non vedi alcuna ragione di dubitare delle opinioni dei tuoi padri, attieniti a loro, che
ti basteranno. Se vedi una ragione qualunque per dubitarne, cerca tranquillamente la verità, ma sta attento a non turbare lo spirito di altri uomini”.
Conformiamoci nel nostro agire a queste massime. Cerchiamo la verità, ma facciamolo tranquillamente e liberamente. Non lasciamoci andare a
immaginare, come taluni chiamati liberi pensatori, che ogni uomo in grado
Verità e libertà
209
di pensare e giudicare da sé, come è suo diritto, abbia anche per ciò stesso
il diritto di parlare e di agire secondo la completa libertà del suo pensiero.
La libertà gli appartiene, in quanto è creatura dotata di ragione; in quanto
membro della società, egli è tenuto alla riservatezza.
Henry St.-John Bolingbroke, Lettera ad Alexander Pope, 1730, Inghilterra.
436
Primato della verità
Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza
sono vecchie come le montagne. Tutto ciò che ho fatto è stato di tentare di
realizzare delle esperienze, in questi due campi, sulla più vasta scala possibile. Così facendo, talvolta ho sbagliato, e i miei errori mi hanno insegnato
molte cose. La vita e i suoi problemi sono così diventati per me altrettante esperienze nella pratica della verità e della non-violenza. Se il gusto
della verità è istintivo in me, non accade lo stesso per la non-violenza.
come diceva un giorno molto giustamente un muni giainista, io ero meno
portato all’ahimsa che alla verità, e facevo passare la verità davanti alla
non-violenza. Perché, come diceva questo muni, io sono capace di sacriÀcare la non-violenza alla verità. Infatti, è proprio cercando la verità che ho
scoperto la non-violenza.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
437
Censura morale
Bisognerebbe anche sopprimere tutte le occasioni e tutti gli strumenti di
corruzione dell’anima umana, cioè:
1. i dipinti e i disegni indecenti che si trovano nei libri o altrove; bisogna
assicurarsi che essi non possano cadere sotto gli occhi di nessuno;
2. le canzoni profane, sensuali, lascive;
3. i racconti fantasiosi (come la storia di Amadigi o quella di Melusina)
e tutte le opere immorali, perché sono quelle che diffondono l’ateismo;
4. gli spacci di bevande, taverne e cabarets, che non dovrebbero essere
tollerati sotto nessun pretesto;
5. bisognerebbe anche sbarazzare la società di tutti gli usurai, speculatori, e altri parassiti e vampiri dello stesso genere; e conviene dimostrare
ancora minore indulgenza nei confronti dei giuocatori, astrologi, giullari,
commedianti, danzatori sulla corda e altri ciarlatani e imbroglioni, che vivono a spese degli altri.
Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio
catholica, XVII sec.
438
210
Il diritto di essere un uomo
Censura politica
In verità la sola spiegazione che possiamo dare di questa legge provvisoria sulla stampa è che essa è stata promulgata al Àne di insegnare – provvisoriamente – agli scrittori a mantenere il silenzio e, quando vi saranno
completamente riusciti, alla Àne di questo periodo di prova, a tacere per
davvero.
Se durante il periodo di applicazione di questa legge gli scrittori cechi pretendessero ancora di presentarsi, sotto ogni punto di vista, quali
campioni della verità, sarà loro necessario per questo di essere come Jan
Žižka, poiché la legge minaccia di inviarli per un nonnulla sul banco
degli accusati.
La saggezza consiglia al redattore capo di pregare il governo di autorizzarlo benevolmente a recarsi direttamente in prigione coi suoi mobili
e di istallarvi i suoi ufÀci. Altrimenti per un giornale politico di media
importanza occorreranno circa quattro redattori: due per scontare le pene,
un terzo per sedersi sul banco degli accusati e un quarto per dirigere effettivamente la redazione. Ma quest’ultimo dovrebbe guardarsi bene dal bere
il più piccolo bicchiere di champagne per paura che questa bibita faccia
zampillare in lui una scintilla di spirito francese; perché allora anche una
équipe due volte più numerosa non sarebbe sufÀciente a far andare avanti
il giornale. Inoltre l’editore dovrebbe aver molte miniere d’oro per pagare
le multe sul reddito che ne trarrebbe. Il redattore che non fosse un uomo
di paglia e il cui cuore bruciasse d’amore per l’umanità, non sarebbe quasi
mai nel suo ufÀcio; al contrario lo si troverebbe spesso in prigione, dove,
supponendo che sia stato abbronzato al sole della libertà, avrebbe ogni possibilità di schiarirsi il colorito.
………
Se volesse evitare di udire il cigolio delle porte della prigione, lo scrittore non potrebbe esprimere la minima critica all’oppressione esercitata dai
lacchè del potere. Gli articoli politici che egli scrivesse non sarebbero che
castelli di carte che il più semplice scrittore straniero, che viva in un paese
libero, potrebbe far crollare d’un sofÀo. Beninteso, questo non sarebbe affatto conforme all’interesse del popolo e la nazione rischierebbe di ricadere
nelle tenebre. Ma, come ognuno sa, il nostro popolo si è inÀammato per la
politica e ha la passione della verità; così non potrebbe affatto accontentarsi di un tale stato di cose.
Emanuel Arnold, scrittore ceco, Legge provvisoria sulla stampa,
1849.
439
Verità e libertà
211
Non è certamente facile determinare ciò che è falso o nocivo in materia di stampa. È accaduto che degli ignoranti si beffassero di scritti molto
sapienti, mentre altri li maledivano e altri ancora volevano gettare i loro
autori in prigione. Finalmente poi ci si è accorti che la verità non era dal
lato del potere.
………
Vi sono delle idee e delle opinioni che non si ha il diritto di considerare
con difÀdenza perché questo passerebbe per un peccato. Vi sono delle idee
e delle opinioni che una canaglia egoista, ma abile, una raccolta di briganti
che si mescolano ai veri difensori della verità, sostengono con tutte le loro
forze e con tutti i mezzi, e impongono al popolo credulone. Drappeggiati
nella loro magniÀcenza, convinti della propria eminenza e infallibilità essi
fanno prosperare la menzogna e il dispotismo.
Karel Sabina (1813-1877), scrittore ceco.
440
Servilismo
Il tiranno e i ÀlosoÀ:
Io agirò e voi giudicherete i miei atti.
Karel ÿapek (1890-1938), scrittore ceco.
441
Dichiarazione regale del 10 maggio 1728
Art. 2. – Vogliamo che tutti gli stampatori che saranno giudicati rei d’aver stampato, a qualsiasi titolo, opere o scritti privi di privilegi e di permessi, a proposito di dispute nate o da nascere, in materia di religione, e specialmente coloro che fossero contrari alle bolle ricevute nel Nostro Regno,
al rispetto dovuto al Nostro Santo Padre il Papa, ai Vescovi e alla Nostra
Autorità, siano condannati, per la prima volta a essere messi alla berlina e
perÀno a una pena maggiore, se è il caso, senza che la suddetta pena possa
essere moderata per qualsiasi pretesto. In caso di recidiva, ordiniamo che i
suddetti stampatori siano inoltre condannati alle galere per cinque anni, e
questa pena non potrà ugualmente essere condonata né moderata.
………
Art. 4. – Vogliamo che coloro che saranno giudicati rei di aver composto e fatto stampare quelle opere o scritti indicati negli articoli precedenti,
quali perturbatori della pace pubblica, siano condannati, per la prima volta
a essere banditi per un determinato periodo fuori della competenza del Parlamento dove saranno giudicati; e in caso di recidiva, a essere banditi in
perpetuo dal Nostro Regno.
Francia.
442
212
Il diritto di essere un uomo
Libertà della stampa?
Tutto il decreto sulla stampa può essere riassunto in una riga: io permetto che tu parli, ma esigo che tu taccia. I tre quarti dei giornalisti repubblicani deportati o esiliati, i rimanenti braccati dalle commissioni miste,
dispersi, erranti, nascosti qua e là, in quattro o cinque giornali che sopravvivono indipendenti, ma spiati, sulla testa dei quali pende il randello di
Maupas, quindici o venti scrittori coraggiosi, seri, puri, onesti, generosi,
che scrivono con la catena al collo e la palla al piede; il talento tra due
fazioni, l’indipendenza imbavagliata, l’onestà guardata a vista, e Veuillot
che grida: “Sono libero!”.
Dettaglio prezioso: il Signor Bonaparte voleva che Arago giurasse! Sappiatelo: l’Astronomia deve prestar giuramento. In uno Stato ben regolato
come la Francia o la Cina, tutto è funzione, perÀno la scienza. Il mandarino
dell’Istituto dipende dal mandarino della Polizia. La grande lente a piede
parallassico deve rendere omaggio al Signor Bonaparte. Un astronomo è
una specie di guardia civica del cielo. L’Osservatorio è una garitta come
un’altra. Bisogna sorvegliare il buon Dio che è lassù e che sembra talvolta non sottomettersi completamente alla Costituzione del 14 gennaio. Il
cielo è pieno di allusioni sgradevoli e ha bisogno di essere tenuto sotto
sorveglianza. La scoperta di una nuova macchia del sole costituisce evidentemente un caso da censura. La predizione di un’alta marea può essere
sediziosa. L’annuncio di un’eclisse di luna può essere un tradimento. Noi
siamo un po’ come la luna all’Eliseo. L’astronomia libera è almeno tanto
pericolosa quanto la stampa libera. Sappiamo forse che cosa accade in quei
“tête à tête” notturni tra Arago e Giove? [...].
E poi, l’abbiamo detto, si è fatalisti quando si è Bonaparte; il grande
Napoleone aveva una stella, il piccolo deve pur avere una nebulosa! Gli
astronomi sono certamente un poco astrologi. Prestate giuramento, Signori! È ovvio che Arago ha riÀutato.
Victor Hugo, Napoleone il piccolo, 1850.
443
Siccome, per godere della libertà, bisogna che ognuno possa dire ciò che
pensa, e che, per conservarla bisogna anche che ciascuno possa dire ciò che
pensa, un cittadino in questo Stato dirà e scriverà tutto ciò che le leggi non
gli avranno espressamente proibito di dire o di scrivere.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
444
In che cosa consiste lo stampare?
Ogni ostacolo posto al progresso delle informazioni è un male. La stampa
sia quindi libera. Anzitutto non si può limitare questa libertà senza ostacolare
Verità e libertà
213
l’esercizio dei diritti naturali. Che cosa signiÀca infatti stampare? SigniÀca
sottoporre agli occhi degli altri uomini le proprie opinioni, le proprie idee.
Ora che cosa vi è in quest’azione di contrario ai diritti degli altri? D’altronde
l’esame delle opinioni, dei pensieri di un altro non è forse una delle strade
che possono condurre alla verità? Essa è un bene reale, e perciò la società
non può avere il diritto di privare nessun individuo di un mezzo di conoscerla. Il pericolo dell’abuso della stampa è nullo. Se si tratta di opinioni generali,
ogni verità è utile, e un errore stampato non può essere pericoloso a meno che
non si sia liberi di attaccarlo. Si tratta di discutere dei diritti particolari, delle
azioni che hanno qualche inÁuenza sull’ordine pubblico? Sarebbe questo il
momento in cui le restrizioni alla libertà di stampa diverrebbero ancora più
tiranniche, poiché, al diritto generale di esporre le proprie idee, si unisce qui
il diritto, non meno sacro, di discutere i propri interessi.
Si esamini quindi, secondo i princìpi del diritto naturale, in quale caso
uno stampato può essere un crimine; si Àssi allora, come per gli altri delitti,
in che cosa consiste; si determinino i mezzi per constatarlo, o lo si assoggetti a una pena. Ma ogni cittadino possa conservare il diritto di stampare
come quello di usare a proprio vantaggio uno strumento utile, di cui potrebbe abusare per commettere un delitto.
Nicolas de Condorcet, Vita di Turgot, 1786.
445
Pericolo delle proibizioni
Discorso per la difesa di A. H. Rowan, incolpato per aver pubblicato un
libello sedizioso
Da quali calamità il popolo è preservato quando gli è assicurato il libero
accesso all’informazione? Vi dirò, signori, da che cosa egli è preservato e
da che cosa è preservato il governo; vi dirò anche a che cosa l’uno e l’altro
sono esposti se questo libero accesso è proibito [...]. Se dubitate delle terribili conseguenze che implica la proibizione di esprimere anche solo una
scontentezza individuale, volgete i vostri sguardi verso i paesi asserviti
dove simili limitazioni si suppone assicurino la protezione del dispotismo.
La persona stessa del despota non è mai al sicuro. Né i timori del despota,
né le macchinazioni dello schiavo conoscono riposo, poiché l’uno anticipa il momento del pericolo, l’altro spia l’occasione per attaccare. La crisi
fatale è ugualmente una sorpresa per tutti e due: l’istante decisivo arriva
bruscamente, senza avvertire, affrettato dalla follia dell’uno o dalla frenesia dell’altro, e nulla annuncia il tradimento Àno al momento in cui il
traditore agisce.
... La stampa soffocata, il popolo asservito e il principe perduto! Per
questo, in qualità di difensore della società, della pace, della libertà inte-
214
Il diritto di essere un uomo
riore e dell’unione duratura dei due paesi, vi scongiuro di salvaguardare la
libertà della stampa, questa potente sentinella dello Stato, questa grande
scopritrice dell’impostura pubblica; preservatela, perché, se essa scompare, scompariranno con lei in una medesima tomba la libertà del suddito e la
sicurezza della Corona.
John Philpot Curran, 29 gennaio 1794, Irlanda.
446
Uomo o soggetto
MARCHESE DI POSA
Io non posso essere
il servo del principe.
(Il re lo guarda stupito).
Sire, io non voglio ingannare il compratore. Se voi vi degnate di impiegarmi, voi vorrete solo azioni già determinate. Voi vorrete sul campo il
mio braccio e il mio coraggio, nel ministero il mio consiglio. Non le mie
azioni in sé, ma il plauso del re dovrebbe essere di tali azioni la mèta. Per
me, invece, la virtù ha un suo intrinseco valore... Io amo l’umanità, e sotto
le monarchie non dovrei amare che me stesso.
RE: Lodevole è questo fuoco. Volete fare del bene. Al patriota e al saggio
è indifferente come lo farete. Cercatevi nel mio regno il posto che vi consenta di soddisfare al nobile impulso.
MARCHESE: Lo troverò.
RE: Perché?
MARCHESE: Il bene che la Maestà vostra distribuirebbe per mano mia è
forse il vero bene degli uomini? Quel bene che il mio puro amore per gli uomini invoca? Davanti a un tal bene tremerebbe il trono: ben diverso è quello
creato dalla corona, che la corona è in grado di distribuire, e che è capace di
soddisfare gli appetiti della corona suscitati nei cuori. Nelle sue monete esso
conia la verità; la verità che essa può tollerare; e tutti gli stampi che non son
come il suo, essa li respinge. Ma forse a me basta ciò che appaga la corona?
Può il mio amore fraterno prestarsi a defraudare il mio fratello? Posso credere che egli sia felice prima che gli sia concesso di pensare? No, sire, non me
scegliete a distribuire il bene da voi coniato. Devo riÀutarmi di spacciare tale
moneta. Io non posso essere il servo del principe.
Peccato però che, mentre trasformavate l’uomo da creatura di Dio in
creazione vostra, e a questo individuo di nuova formazione davate voi stesso come Iddio, in una cosa vi siete sbagliato: voi siete rimasto un uomo,
un uomo creato da Dio. Come un mortale, quindi, proseguiste a soffrire e
a desiderare. Voi avete bisogno di simpatia, sire; ora a un Dio si sacriÀca,
davanti a un re si trema, lo si prega. O deplorevole scambio! Disgraziato
Verità e libertà
215
stravolgimento della natura! Avendo abbassato l’uomo a istrumento accompagnatore del canto, chi risponderà al vostro canto?
RE: (a parte). Per Dio! Costui mi prende l’anima.
MARCHESE: Ma per voi nulla conta questo olocausto. Perciò siete unico,
creazione di voi stesso, e a questo prezzo siete un Dio. Ma non sarebbe terribile se questo non si avverasse, se in cambio di un tal prezzo, in cambio
della calpestata felicità di milioni di uomini, voi non aveste guadagnato
nulla? Se la libertà che avete distrutta fosse la sola cosa che potrebbe appagare i vostri desideri? Sire, vi prego di congedarmi.
Friedrich Schiller, Don Carlos, Atto III, scena X, 1787.
447
Siamo, per una volta tanto, meno schiavi delle nostre opinioni inveterate, abbiamo meno amor proprio; diamo libero accesso alla verità e lasciamo penetrare la luce e la conoscenza: non reprimiamo l’innocente libertà
di pensare alle questioni di interesse universale; non crediamo che questa
libertà permetterà mai di attaccare impunemente il merito e la virtù, perché
– dal momento che queste due qualità parlano da se stesse in loro favore
e hanno sempre per arbitro imparziale il popolo –, gli scritti di coloro che
osassero indegnamente attaccarli si ridurrebbero in polvere. La verità e la
virtù contengono in se stesse la loro migliore apologia; a forza di parlarne
e di discuterne, esse appariranno in tutto il loro splendore e la loro magniÀcenza. Se si impongono delle limitazioni alla libera discussione, sia lo
spirito che la materia vegeteranno, e l’errore, la menzogna, i pregiudizi, il
fanatismo e l’abbruttimento saranno appannaggio del popolo e causeranno
per sempre il suo decadimento, la sua rovina e la sua miseria.
Mariano Moreno, Sulla libertà di scrivere, “Gaceta de Buenos Aires”,
1810.
448
Tre princìpi solidali
Facciamo attenzione – non dimentichiamolo mai, noi legislatori, che
questi tre princìpi, popolo sovrano, suffragio universale, stampa libera, vivono di una vita comune. Così vedete come essi si difendono reciprocamente! Se la libertà di stampa è in pericolo, il suffragio universale si solleva e la protegge. Se il suffragio è minacciato, la stampa corre e lo difende.
Signori, ogni attentato alla libertà della stampa, ogni attentato al suffragio
universale è un attentato contro la sovranità nazionale. Libertà mutilata, signiÀca sovranità paralizzata. La sovranità del popolo non esiste, se non può
agire e non può parlare. Ora, intralciare il suffragio universale signiÀca togliergli l’azione; intralciare la libertà di stampa signiÀca toglierle la parola.
Victor Hugo, Discorso all’Assemblea legislativa, 3 luglio 1850.
449
216
Il diritto di essere un uomo
Finché l’ingiusto e l’immorale si esercitano di nascosto nella società, la
nostra patria è ancora in pace. Quando esse si eserciteranno apertamente al
sole come nella società odierna, quando coloro che li praticano non se ne
vergognano e quando coloro che ne sono i testimoni non se ne stupiscono,
considerandoli come normali, non si saprà come imbrogliare gli storici fra
un centinaio d’anni, anche se si intralcerà la penna degli scrittori. Sarebbe
facile proibire il lavoro di uno scrittore; sarebbe anche facile tenere a freno
la penna di tutti gli scrittori. Non sarebbe difÀcile neppure di bruciare i libri
e di sotterrare vivi gli scrittori imitando un tiranno cinese, Che Huang-ti,
fondatore della dinastia Ts’in. Ma come è mai possibile rendere sordo e
cieco tutto un popolo per privarlo della vista e dell’udito?
Roan Uchida (1868-1929), Lo steccato demolito, Giappone.
450
Il criticare le idee inveterate ci espone inevitabilmente a qualche pericolo. Ma uno spirito perspicace non deve cercare di soffocare la critica
per paura di questo pericolo più o meno grande. Una volta che lo spirito
critico germoglia, come è mai possibile impedirgli di crescere, qualunque
precauzione venga presa per cercare di estirparlo? Il potere è senza dubbio
inviolabile, i costumi sono stabili, ma come possono sfuggire all’assalto dello spirito critico? Una volta che si manifesta chi saprà resistergli?
[...]. La grande riorganizzazione del nostro paese deve fondarsi sulla critica
fondamentale. Abbiamo ancora molte critiche da rivolgere ai costumi, alle
abitudini e al potere. Non posso esimermi dal deplorare che questi sedicenti patrioti ci tengano a soffocare la critica volendo affrettare una falsa
riorganizzazione. Deploro soprattutto la loro concezione della morale.
Hajime Onischi (1864-1900), Dello spirito critico, Giappone.
451
Materializzare lo spirito
La libertà di stampare è una materializzazione dello spirito, essa è un
diritto costituzionale derivante dalla sua libertà naturale. L’interdizione di
stampare equivale a non potersi esprimere con la parola e persino a non
avere più il diritto di pensare a certi argomenti. Non si dovrebbe fare allo
spirito questa suprema violenza, perché è fuori dei limiti del potere umano
sullo spirito, che non può essere né incatenato né imprigionato. Solo la parola e lo scritto possono essere l’oggetto di un castigo. Il pensiero non può
diventare l’oggetto di delitto e d’interdizione se non è divulgato. Se questa
facoltà dello spirito a materializzarsi con la parola e con lo scritto è un’aspirazione e un diritto naturale dell’uomo, di cui questi può abusare come
di ogni altro suo diritto, non si può però privarlo di essa solo per il timore
dell’abuso. Conviene allora, qui come altrove, lasciare allo spirito indivi-
Verità e libertà
217
duale la sua libertà di azione e istituire delle punizioni per le infrazioni. Ciò
dimostra la necessità assoluta di una legislazione in materia di stampa, che
garantisca a ognuno la libertà di far conoscere il proprio pensiero a mezzo
della stampa, pur proteggendo la società dagli abusi. Dei giurati dovrebbero valutare le infrazioni e il giudice deciderebbe.
Questo punto di vista è ugualmente confermato da considerazioni puramente giuridiche. Proprio come un’invenzione, un pensiero originale, è
proprietà del suo autore e nessuno ha il diritto di privarglielo o di alterarlo.
Ma spetta solo al tribunale e al suo giudizio di decidere se questa proprietà
dell’autore può diventare nociva per la società.
La censura agisce contro questo principio permettendo al censore di giudicare arbitrariamente, a spese di questo diritto, il più sacro dell’autore, alla
libertà dello spirito. I tre principi essenziali di ogni censura, secondo cui
lo scrittore non dovrebbe essere diretto né contro il regime, né contro la
religione, né contro la morale, si rivelano infatti molto difÀcili da applicarsi
in ogni caso particolare. Il censore timoroso sceglie la sicurezza preferendo
attirarsi l’inimicizia dell’autore piuttosto che quella dei pubblici poteri, ed
elimina senza pietà le idee più sacre, che non ha né abbastanza approfondito, né esattamente apprezzate. La debolezza di una tale versatilità individuale deriva d’altronde chiaramente dal regolamento che riserva alla polizia il diritto di conÀscare o di scartare libri e giornali, anche approvati dalla
censura, ciò che costituisce un nuovo atto arbitrario dell’alto potere della
polizia. In queste condizioni, nessuna sicurezza può proteggere la proprietà
del libraio e dell’autore, i contratti, gli accordi o associazioni, gli aggiustamenti letterari, perché nessuna legge, nessun tribunale possono garantirli.
Dal punto di vista della scienza, la censura rappresenta un ostacolo allo
sviluppo dello spirito ÀlosoÀco e critico se questo, lasciando le sfere della
pura astrazione, s’interessa al mondo e alle sue manifestazioni concrete.
Si urta inevitabilmente ai princìpi politici, religiosi e morali, e non può
considerare queste forze spirituali come immutabili, ma come destinate a
progredire. Sono queste leggi fondamentali della vita sociale dei popoli, e
poiché i popoli si evolvono grazie alla scienza, che è indispensabile al loro
sviluppo, ogni immobilismo di idee e di nozioni è interdetto.
Karol Libelt, Del coraggio civico, 1843, Polonia.
452
LA LORO FORZA
Immense armate e Àeri generali,
Polizie: pubblica, segreta, bisessuale.
Contro chi dunque così s’associano?
Contro qualche idea... e non delle più nuove.
G. K. Norwid (dalla trad. francese di C. Jelenski), 1851, Polonia. 453
218
Il diritto di essere un uomo
CONTRO LA CENSURA
La libertà è l’essenza dell’uomo, a tal punto che anche i suoi avversari
la realizzano anche se ne combattono la realtà; essi vogliono appropriarsi
di ciò che hanno respinto come se si trattasse dell’ornamento più prezioso
della natura umana. Nessuno combatte la libertà; si combatte tutt’al più la
libertà degli altri. La libertà è sempre esistita, ma talvolta come privilegio
di qualcuno, talaltra come diritto di tutti.
... Non si tratta di sapere se la libertà della stampa deve esistere, poiché
essa esiste sempre. Si tratta di sapere se la libertà della stampa è il privilegio di qualche individuo o il privilegio dello spirito umano.
Si tratta di sapere se ciò che è un torto per gli uni può essere un diritto
per gli altri.
………
La vera censura – quella che è fondata sull’essenza della libertà di stampa – è la critica; essa è il tribunale che la libertà di stampa si dà da se stessa.
………
La censura stessa riconosce che essa non ha una ragion d’essere in se
stessa, che non è nulla di buono in sé, che è fondata sul principio: il Àne
giustiÀca i mezzi. Ma un Àne che ha bisogno di mezzi ingiusti non è un
Àne giusto.
………
Lo scrittore non considera affatto i suoi lavori come dei mezzi. Essi sono
degli scopi a sé, sono così poco un mezzo per lui e per gli altri che, se è
necessario, egli sacriÀca la sua alla loro esistenza, ed erige come norma,
quasi come il predicatore fa della religione: “Meglio obbedire a Dio che
agli uomini”, a questi uomini tra i quali tuttavia lo collocano le sue necessità e i suoi desideri umani [...].
La prima libertà per la stampa consiste nel non essere un’industria.
Lo scrittore che abbassa la stampa Àno a farne un mezzo materiale, merita quale castigo di questa mancanza di libertà interiore la mancanza di
libertà esteriore, la censura. Meglio ancora: la sua esistenza rappresenta
già la sua punizione.
Karl Marx, Discussione sulla libertà della stampa, “Rheinische Zeitung”, 1842.
454
Secondo la legge (del 24 dicembre 1841), la censura non deve impedire
alcuna “ricerca seria e modesta della verità” [...]. Queste due qualiÀche
“serio” e “modesto” rinviano la ricerca della verità non già alla sua essenza, ma a qualcosa di esteriore a quest’essenza. Ora il primo dovere di
chiunque ricerchi la verità non è forse di avanzare diritto sulla verità, senza
Verità e libertà
219
guardare né a destra né a sinistra? Non dimentico forse di dire la verità
quando dovrei soprattutto non dimenticare di dirla nelle forme volute?
La verità è tanto poco discreta quanto la luce. Verso chi dovrebbe esserlo? Verso se stessa: Verum est index sui et falsi. Dovrebbe allora essere
discreta nei riguardi dell’errore?
Se la discrezione costituisce il carattere della ricerca, essa è l’indice
della paura che si ha della verità piuttosto che l’indice della paura che si
dovrebbe avere dell’errore.
... Voi ammirate l’affascinante verità, la ricchezza inestinguibile della
natura. Non pretendete che la rosa abbia il profumo di violetta, ma, secondo voi, lo Spirito – ciò che vi ha di più ricco nel mondo – non deve esistere
che in un solo modo. Sono umorista, ma la legge mi ordina di scrivere
seriamente; sono audace, ma la legge ordina che il mio stile deve essere
modesto. Il chiaroscuro! ecco il solo colore che si ha la libertà di usare. La
minima goccia di rugiada se cade un raggio di sole scintilla in un inÀnito
giuoco di colori; ma il sole dello spirito, qualunque sia il numero e la natura
degli oggetti ove si riÁette, non potrebbe dare che un solo colore, il colore
ufÀciale.
... Si esige che i redattori della stampa quotidiana, cioè tutti i giornalisti,
siano degli uomini assolutamente irreprensibili. come prima garanzia di
questa integrità, si cita “il sapere, la competenza”. Ma non si manifesta il
minimo dubbio sul sapere e la competenza del censore, che l’autorizzano
a emettere un giudizio sul sapere e la competenza in ogni cosa. Se vive in
Prussia una simile coorte di genii universali, conosciuti dal governo, perché queste persone enciclopediche non fanno della letteratura? Invece di ricorrere alla censura per porre Àne alle deviazioni della stampa, questi funzionari, onnipotenti per numero, più potenti ancora per sapienza e genio,
non dovrebbero fare altro che sollevarsi con uno slancio solo per schiacciare col loro peso quei miserabili scrittori che praticano un solo genere e lo
fanno anche senza che la loro capacità sia stata ufÀcialmente riconosciuta.
Perché mantengono il silenzio quei furbacchioni che sull’esempio delle
oche romane, potrebbero col loro schiamazzare salvare il Campidoglio?
Essi sono di una discrezione, esagerata. Il pubblico letterario li ignora, ma
il governo li conosce.
Karl Marx, Osservazioni sulla regolamentazione della censura prussiana, 1842.
455
La stampa libera
La stampa libera è l’occhio sempre e dappertutto aperto dello spirito
popolare; la Àducia radicata che un popolo ha in se stesso, il legame par-
220
Il diritto di essere un uomo
lante che riunisce l’individuo allo Stato e al mondo, la cultura personiÀcata
che trasÀgura le lotte materiali in lotte spirituali e ne idealizza la forma
grossolana e concreta. È la confessione senza riserve di un popolo davanti
a se stesso e si sa che la forza della confessione è liberatrice. È lo specchio
spirituale in cui un popolo osserva se stesso, e la conoscenza di sé è la prima condizione della saggezza. Si tratta dello spirito pubblico che si lascia
trasportare al fondo di ogni capanna, a un prezzo inferiore a quello del gas
materiale. È universale, presente dappertutto e sa tutto. È il mondo ideale
che sorge costantemente dal mondo reale e vi riÁuisce, spirito sempre più
ricco, per viviÀcarlo nuovamente.
Karl Marx, Discussione sulla libertà di stampa. “Rheinische Zeitung”.
1842.
456
Il partito (comunista) deve pronunciarsi per una libera emulazione dei
diversi gruppi e delle diverse correnti letterarie. Ogni altra soluzione di
questo problema sarebbe una soluzione burocratica. Per la stessa ragione
è inammissibile stabilire con un decreto e legalizzare il monopolio letterario di un solo gruppo o di una sola organizzazione [...]. Il partito non può
conferire il monopolio letterario a nessun gruppo, foss’anche il più proletario per ideologia: questo riuscirebbe soltanto a uccidere la letteratura
proletaria.
Risoluzione del Partito bolscevico nel campo delle lettere, 1924. 457
MAJAKOVSKIJ COMINCIA
Eh, vi sia una nuova
Epoca gioiosa
D’un grano umano
RigonÀato,
Senza cardi, senza ortiche,
Diserbata,
Dissodata,
Zappata.
Che non siano in essa
Condizioni
Né posti
Per i valletti tutto miele,
Gli ingannatori, i bigotti,
Né la parola che piaggia,
Né la fuga vigliacca.
Che solo al vederlo
L’uomo conosca l’uomo.
Nikolaj Aseev, 1940.
458
Verità e libertà
221
La tolleranza e la fede
Unanimità
Andate insieme, parlate con una sola voce, possano le vostre menti avere i medesimi pensieri, come gli dei di un tempo condividevano la loro
porzione di sacriÀcio in piena concordia! Che la concordia contrassegni le
loro deliberazioni, le loro decisioni, le loro menti, i loro pensieri! Io assicuro l’armonia della vostra deliberazione col mio incantesimo; offro per voi
un’oblazione comune. Che le vostre intenzioni si accordino, che i vostri
cuori si accordino! Che le vostre menti si accordino afÀnché ci sia tra voi
un’armonia perfetta!
Rigveda, X (tradotto dal sanscrito).
459
Diversità
Non si può esigere che tutto il mondo agisca in modo uniforme.
Proverbio burundi.
460
Verità e diversità
La verità è una; i sapienti ne danno deÀnizioni diverse.
Rigveda (tradotto dal sanscrito).
461
Non pensare e non dire mai che la tua religione personale (Dharma) è
superiore alle altre. Non denigrare mai la religione altrui.
Editto di Ashoka (IlI sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
462
Ognuno in nome del suo Dio
“Ora avverrà alla Àne degli anni: il monte della casa di Jahve sarà fondato sulla cima dei monti e si eleverà oltre i colli: a esso afÁuiranno i popoli,
verranno genti numerose e diranno: “Orsù, saliamo al monte di Jahve e alla
casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegni le sue vie e noi camminiamo per
i suoi sentieri. Poiché da Sion esce l’ammaestramento e la parola di Jahve
da Gerusalemme. Sarà arbitro tra molti popoli e pronuncerà sentenze a
nazioni potenti, anche lontano. Allora martelleranno le spade in vomeri
e le lance in falcetti; nessuna nazione leverà la spada contro un’altra né
impareranno più la guerra. Ma staranno al sicuro, ciascuno sotto la sua vite
e sotto il suo Àco; senza che nessuno li disturbi. Poiché la bocca di Jahve
degli eserciti ha parlato. Sì, tutti i popoli camminano ciascuno nel nome
del suo dio: noi pure camminiamo nel nome di Jahve, nostro Dio per tutta
l’eternità”.
Bibbia ebraica, Michea, 4.
463
222
Il diritto di essere un uomo
L’unità oltrepassa i riti
Una è dunque la religione e la venerazione (per Dio) presso tutti gli
uomini dotati di spirito ed essa è il fondamento comune di tutta la diversità
dei riti.
Nicola Da Cusa, De pace seu concordantia Àdei, 1454, Germania. 464
L’unità oltrepassa i nomi dati a Dio
La prima strofa tratta del Budda trascendente, la cui manifestazione
sulla terra è il Budda-Re di Giava. La seconda indica che i membri delle
comunità non buddiste danno nomi differenti allo stesso Budda trascendente
Amen. Gloria a te, Signore. Il servitore (il sacerdote) canta senza tregua
le lodi del Signore,
Che è nascosto nel punto di annullamento della concentrazione mentale,
che è l’essenza della materia e dello spirito, Siva-Budda,
Il Signore di Sailendra, il Protettore di coloro che hanno bisogno di essere protetti,
Il sovrano dei re di questo mondo,
Preminente tra le Manifestazioni, preminente tra gli Esseri inconcepibili, la cui apparenza terrestre è l’Essere come il non-Essere. Per coloro che
venerano Visnu, Egli è “Colui che impregna tutto
l’Universo, l’Anima di tutto ciò che esiste,
Colui che non può essere qualiÀcato”.
Per i ÀlosoÀ dello Yoga, Egli è Isvara; per i ÀlosoÀ del Sangkhya, Egli è
Rapila. Egli è Kubera materializzato, che è il Dio della ricchezza e Wrhaspati che è il Dio del sapere; Egli è Kâma nei riguardi del Kâma-Sûtra
(dottrina delle relazioni sessuali).
Egli è Yama quando si tratta di eliminare gli ostacoli. Il frutto della Sua
azione, è la felicità e la prosperità dell’umanità.
Nâgarakrtâgama (panegirico composto nel regno di Madjapahit), 1365,
Giava.
465
Concordia tra tutte le religioni.
Il re Priyadarsin, il prediletto degli dei, onora gli uomini di ogni
setta, gli asceti e i “padroni di casa” con doni e diversi segni di considerazione. Ma il prediletto degli dei non accorda tanto valore ai doni
o agli onori quanto a – che cosa? – allo sviluppo della forza spirituale
tra gli uomini di ogni setta. Lo sviluppo della forza spirituale si presenta, a dire il vero, sotto molteplici aspetti. Tuttavia, la sua radice è la
seguente: misurare le proprie parole – come? – per evitare di esaltare
Verità e libertà
223
la propria religione e di criticare quella degli altri, oppure disprezzare di onorare, come si conviene in diverse circostanze, le persone
che appartengono ad altre sette religiose. Chi si comporta così esalta
certamente i suoi correligionari nel medesimo tempo in cui aiuta gli
adepti di altre religioni. Chi agisce diversamente fa un torto alla propria religione e ferisce coloro che ne professano altre. Perché chi loda
i propri correligionari e denigra i fedeli di altre religioni – tutto questo
per devozione alla propria religione – perché? – per poter glorificare
così la propria religione – a dire il vero, così facendo, nuoce senza
alcun dubbio alla propria religione. La concordia tra tutte le religioni
è certamente augurabile – come? – perché delle persone che pensano
diversamente possano capire e servire la religione gli uni degli altri.
Perché tale è il desiderio del prediletto degli dei – e che cosa? – che
gli adepti di tutte le religioni divengano tolleranti e incoraggino un
atteggiamento sano in materia di religione. Che (i miei inviati) nei loro
diversi luoghi di lavoro proclamino quanto segue: “Il prediletto degli
dei non accorda tanto valore ai doni o agli onori quanto – che cosa?
– allo sviluppo della forza spirituale tra gli uomini di ogni religione”.
A questo scopo sono impiegati numerosi agenti incaricati della carità,
sovraintendenti preposti al benessere delle donne, ispettori di recinti
per mucche e altre categorie di funzionari. E questo sarà il frutto di
tutte queste misure, cioè la religione di ciascuno viene incoraggiata e
il Dharma è glorificato.
Editto di Ashoka, XII (II sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
466
Il re, avendo assimilato le più alte verità di tutte le religioni, ha detto agli
adepti delle diverse religioni: “Andate ora e compite i vostri diversi riti e i
vostri diversi doveri secondo le vostre rispettive religioni”.
Uddyotanasûri Kuwalayamâlâ (779 d.C.), tradotto dal pracrito. 467
I discepoli di Hillel di Dhamoi discussero tra loro per ben tre anni’.
I primi dicevano: “Noi abbiamo la verità”, gli ultimi dicevano: “Noi
abbiamo la verità”. InÀne, una voce dal cielo troncò la loro discussione: gli uni e gli altri pronunciano le vere parole di Dio, ma il giudizio
sarà in favore dei discepoli di Hillel. E se qualcuno domanda perché, la
risposta è che i loro modi di fare sono modesti e tolleranti; perché essi
insegnano non soltanto i propri concetti ma anche quelli di Shamoï e
perché citano perÀno sempre le parole di Shamoï prima delle loro.
Talmud, Babli.
468
224
Il diritto di essere un uomo
Stranieri e infedeli
La sessantaduesima domanda era questa: È legittimo o no appropriarsi
dei beni appartenenti a stranieri o infedeli?
Ecco la risposta: Quando degli stranieri detengono dei beni o degli oggetti che hanno preso con la violenza a fedeli della Buona Religione, e non
li restituiscono, conviene, se possibile, riprenderli a loro. Anche quando
questi stranieri sono debitamente autorizzati dai dirigenti [...] e sono abilitati a conservare i beni in questione, in virtù di una decisione giudiziaria in
buona e dovuta forma e in modo legittimo, è giusto esigere che essi versino
un interesse su questi beni all’antico proprietario legittimo.
Riguardo a coloro che rispettano la legge bisogna agire allo stesso modo
e non violare i contratti stabiliti con loro.
La morte di un infedele che non sia uno straniero è causa di pena e di
dolore. Quando quest’uomo viene presso i suoi, conviene dargli del cibo,
dei vestiti e dei medicinali al Àne di proteggerlo dalla fame e dalla sete, dal
freddo e dal caldo. Ma è stato detto che non si ha il diritto di donare delle
ricchezze, dei cavalli, delle armi, degli strumenti, del vino o delle terre agli
stranieri o agl’infedeli.
Dâdistân î Dînîg (IX sec.), trattato teologico, Persia.
469
Non si dovrebbero riÀutare agli infedeli o a chiunque meriti di essere
considerato eretico i beni terreni destinati a essere consumati o posseduti.
Dênkart (IX sec.), Persia.
470
Permeabilità alla fede altrui
Quando i membri della prima comunità musulmana cercarono asilo in
Abissinia, presso il Negus (cristiano), i Qurai si sforzarono di ottenere da
lui che egli glieli rimandasse loro. Egli interrogò i musulmani sulla loro
fede e Dja’far Ibn Abi-Taleb rispose:
“O re, noi eravamo un popolo barbaro, che adorava gli idoli, mangiava
della carne impura, commetteva ogni sorta di turpitudini; noi spezzavamo i
legami del sangue, noi agivamo male verso i nostri vicini e il forte divorava
il debole. Così siamo stati, Àno a quando Dio ci ebbe inviato un Profeta,
che era uno di noi, di cui conoscevamo la famiglia e la lealtà, l’onestà e la
virtù, e costui ci ha chiamati a Dio, perché noi riconoscessimo la sua unità
e lo adorassimo, respingendo le pietre e gli idoli che noi e i nostri antenati
abbiamo adorato al di fuori di Lui. Egli ci ha ordinato di essere veritieri nei
nostri discorsi e fedeli nel restituire ciò che ci era stato afÀdato, di rispettare i legami del sangue, di trattare bene il nostro vicino, di astenerci dalle
cose proibite, e così pure dal versare il sangue; ci ha proibito le turpitudini
Verità e libertà
225
e la menzogna, ci ha proibito di dilapidare i beni dell’orfano, di calunniare
le donne virtuose; ci ha ordinato di venerare Dio solo, e di non associare
nulla a Lui nel culto; ci ha prescritto la preghiera, l’elemosina legale, il
digiuno; e noi l’abbiamo creduto e abbiamo adorato Dio solo, senza associargli nulla, abbiamo dichiarato proibito ciò che egli ci proibiva, e lecito
ciò che ci ha detto essere lecito. Ma il nostro popolo ci è stato ostile, ci ha
perseguitati, ha cercato di allontanarci dalla nostra fede per ricondurci dal
culto del Dio Altissimo a quello degli idoli, e a considerare di nuovo lecite
le turpitudini che ci sembravano permesse prima. Quando ci hanno oppressi e perseguitati, cercando di proibirci la nostra religione, siamo venuti nel
tuo paese e ti abbiamo eletto come nostro protettore preferendoti a tutti gli
altri, nella speranza della tua protezione ospitale, e nella speranza, o Re,
di non essere nel tuo Paese degli oppressi”. Il Negus allora gli domandò:
“Puoi tu dirmi qualcosa di ciò che egli vi ha portato da parte di Dio?”..
Dja’far rispose: “Sì”. “Raccontamelo”, disse il Negus; ed egli gli recitò un
pezzo iniziale della sura Kahay’as. Allora il Negus pianse Àno a bagnarsi
la barba, e così fecero i vescovi che lo circondavano, bagnando di lacrime
i loro libri sacri, quando ascoltarono ciò che egli leggeva loro. InÀne il
Negus disse: “Questo e il messaggio di Gesù provengono dalla medesima
sorgente”. E ai due emissari di Qurasish: “Andatevene, non ve li consegnerò mai, ed essi non saranno sottoposti qui ad alcuna vessazione”.
Ibn Hisham (IX sec.), Africa del Nord, Sira.
471
Libertà religiosa
Non vi è costrizione in materia di religione: vi si distingue il vero dal falso.
Corano, Al-Baqara, 256.
472
Se il tuo Signore lo volesse, tutti gli uomini della terra avrebbero la fede,
ma vorresti tu forzare la gente a credere?
Corano, Younes, 99.
473
Gregorio Magno (papa, VI sec.) ricorda al vescovo di Napoli, che vuole
riÀutare agli ebrei la libertà di culto, che gli uomini i quali, in simili circostanze, fanno uso della forza,
si dimostrano più attaccati alla propria causa che a quella di Dio,
e quindi ordina che gli ebrei
abbiano la più ampia libertà di osservare e di celebrare tutte le loro feste
e cerimonie, come l’hanno sempre fatto Àno al momento presente, essi
stessi e le loro famiglie.
Registrum epistularum.
474
226
Il diritto di essere un uomo
Bisogna far battezzare i Àgli degli ebrei e di altri infedeli, contro la
volontà dei genitori?
È usanza della Chiesa, che ha in questo campo la massima autorità; bisogna seguirla in tutti i casi [...]. Ora, l’usanza della Chiesa non è stata mai
quella di battezzare i Àgli degli ebrei contro la volontà dei genitori [...].
Vi sono due ragioni per questo. La prima è il pericolo della fede; infatti,
i bambini che avessero ricevuto il battesimo prima dell’uso della ragione,
rischierebbero in seguito, giunti all’età adulta, di essere condotti dai loro
genitori all’abbandono di ciò che essi hanno ricevuto nell’ignoranza; e ciò
tornerebbe a danno della fede.
La seconda è che questo è contrario alla giustizia naturale. Il Àglio è infatti per natura un qualcosa che appartiene al padre. In un primo tempo, il
bambino non è distinto dai suoi genitori secondo il corpo, Ànché è rinchiuso
nel grembo materno. In seguito, quando il bambino è nato, ma prima che sia
giunto all’età della ragione, egli rimane sotto la sorveglianza dei genitori,
come in un grembo spirituale. Quindi, Ànché il Àglio non ha l’uso della ragione, non differisce da un animale privo di ragione. Di conseguenza, come
un bue o un cavallo sono di proprietà di un uomo a tal punto che egli può,
secondo il diritto civile, servirsene a suo piacere, come di uno strumento
che sia di sua proprietà, così fa parte del diritto naturale che un Àglio, prima
di avere l’uso della ragione, sia sotto la sorveglianza dei genitori. Sarebbe
quindi contrario alla giustizia naturale che un Àglio, prima di avere l’uso
della ragione, venisse sottratto alla sorveglianza dei suoi genitori, o che si
disponesse di lui contro la volontà dei genitori. Ma quando egli comincia ad
avere l’uso del libero arbitrio, allora diventa padrone di sé e può provvedere
alle proprie necessità per quanto riguarda il diritto divino e il diritto naturale.
E allora, bisogna invitarlo alla fede, non con la costrizione, ma con la persuasione; egli può aderire alla fede ed essere battezzato, anche contro la volontà
dei suoi genitori; tuttavia non prima ch’egli abbia l’uso della ragione.
San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica.
475
Difendere la religione con la forza?
Fa parte del diritto umano e del diritto naturale -– humani juris et naturalis potestatis est – che ciascuno possa adorare quel che vuole; la religione
di un individuo né nuoce, né serve ad altri. Non è nella natura della religione il forzare la religione; questa deve essere adottata spontaneamente,
non con la forza, perché i sacriÀci sono richiesti solo se di buon grado. Per
questo, se voi ci forzate a sacriÀcare, non darete nulla di effettivo ai vostri
dei; costoro non hanno bisogno di sacriÀci offerti di mala voglia.
Tertulliano (apologista cristiano del II sec.), Ad scapulam, Cartagine. 476
Verità e libertà
227
Si deve difendere la religione, non uccidendo, ma morendo; non con la
crudeltà, ma con la sofferenza; non col delitto, ma con la fede [...]. Perché
se tu vuoi difendere la religione col sangue, le torture, il male, essa non
viene difesa, ma macchiata, ma violata. Non vi è nulla di così volontario
come la religione; essa scompare, diventa nulla, se il sacriÀcio è offerto di
mala voglia.
Lattanzio (apologista cristiano, 250-317?), Numidia e Gallia
477
Bisogna costringere gli infedeli alla fede?
Tra gli infedeli, alcuni [...] come i gentili e gli ebrei, non hanno mai aderito alla fede. Costoro non devono in alcun modo essere costretti a credere:
[...] il credere infatti deriva dalla volontà. I fedeli possono tuttavia costringerli, se ne hanno il potere, a non ostacolare la fede sia con le bestemmie,
che con i cattivi consigli e le persecuzioni aperte. Per questo i fedeli del
Cristo dichiarano spesso guerra agli infedeli: non per costringerli a credere
(perché, se anche li vincessero e li facessero prigionieri, li lascerebbero
liberi di credere secondo la loro volontà), ma soltanto per costringerli a non
ostacolare la fede. Altri infedeli, al contrario, hanno aderito un tempo alla
fede e la professano: così gli eretici e tutti gli apostati, e costoro possono
essere costretti, anche corporalmente, afÀnché adempiscano le loro promesse e conservino ciò cui hanno aderito.
San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica.
478
Perorazione in favore dei pagani
Consiglio a ogni principe sovrano
Dello Santissimo Impero Romano:
Accrescete l’onore dei cristiani...
E se sconÀtti poi sono i pagani,
Che giustizia da voi sia garantita.
Ascoltate ciò che ve ne ditta
Un’umil donna che non ha studiato
Risparmiate ciò che Dio ha creato.
Il primo uomo invero era pagano
Che Dio ha fatto di sua propria mano.
Elia, Enoch, sappiate, o voi, cristiani,
Son conosciuti ancora come pagani.
E Pagano era pur, s’è constatato,
Noè, che nell’Arca risparmiato.
Sì, Giobbe era pagano veramente,
E Iddio, tuttavia, non l’ha escluso.
A questi tre re poi fate attenzione:
un di costoro nome avea Gasparre,
228
Il diritto di essere un uomo
L’altro Melchiorre e l’altro Baldassarre:
E se pagani ancor sono chiamati,
All’inferno non sono destinati.
Lo stesso Iddio, con la propria mano,
Quando sua madre a lui porgeva il seno,
Ricevette da loro i primi omaggi.
E dunque non si dèe tutti i pagani
Ritenere all’inferno destinati.
Noi lo sappiamo, questo, in verità:
Che ogni madre, Àn dai tempi d’Eva,
Quando un Àgliolo partorisce,
Ciò che mette al mondo, carne è pagana,
Che il battesimo talvolta, forse, avrà.
Ogni donna, quand’anche è battezzata,
Sempre si porta in sen bimbo pagano:
Così suo Àglio ha sempre gran bisogno
Che il battesimo gli venga.
Hanno i giudei un mezzo singolare:
un pezzetto di carne fan tagliare.
Pagani fummo tutti noi un tempo;
Ed è dolore per ogni giusta mente
Che un Àglio possa essere destinato
Dal padre suo a essere dannato:
Bisogna ch’abbia pietà di loro,
Lui, il sempre misericordioso.
Wolfram von Eschenbach, Willehalm, XIII sec.
479
Contro le crociate
In verità: ultimamente, ai tempi del nostro imperatore, durante il Concilio
di Basilea, un cavaliere cristiano discuteva con il conestabile dei Turchi, e il
cavaliere diceva al conestabile: “Signore, voi siete un uomo saggio, bisogna
che vi facciate battezzare e diventiate cristiano. La nostra dottrina è pura, e
così ben studiata in ogni punto che nessuno vi può scoprire cosa alcuna che
sia malvagia”. Il conestabile rispose: “Capisco bene che è vero quello che tu
dici, citando la Scrittura. Che Cristo vi abbia redenti con la sua morte e liberati
per la vita eterna, lo so dalle vostre Scritture. Ma vedo anche che voi non avete
di essa alcun desiderio e non vivete affatto secondo i suoi insegnamenti. Voi
siete per lui dei rinnegati: l’uno ruba all’altro l’onore e i beni; l’uno indica
l’altro come sua proprietà. Questo non è affatto ciò che ha voluto il vostro Dio
e Signore. Adesso voi vi accingete ad attraversare il mare, marciare su di noi e
combatterci, e pensate di fare così un viaggio pio. Se poteste ucciderci pensereste di acquistare la vita eterna. Così vi ingannate da voi stessi. Se rimaneste
a casa vostra, combattendo i falsi cristiani, e riconducendoli sulla retta via,
Verità e libertà
229
questo sì che sarebbe un viaggio pio!”. Vedete che cosa ci tocca udire dalla
bocca di un infedele! e aggiunse ancora: “Se vi convertiste e osservaste la
vostra legge, di colpo ci conquistereste, certamente; il mondo intero verrebbe
a voi e non vi sarebbe più che un solo pastore e un solo ovile”.
Riforma dell’imperatore Sigismondo, XV sec.
480
È sempre lo stesso Dio, per noi e per loro.
Proverbio russo.
481
Un mercante di Tver’, cristiano ortodosso, si trova isolato in mezzo ad
altri credenti:
E io m’informai da loro a proposito della loro religione, ed essi mi dissero che credevano in Adamo e in Budda, e che Budda fosse Adamo. Vi sono
nell’India 84 religioni.
………
Quanto alla vera fede, Dio solo la conosce, e la vera fede sta nel riconoscere un solo Dio, nell’invocare il Suo nome dappertutto e in assoluta
purezza.
………
Uscii da Beder un mese prima del Grande Bairam musulmano, e, quanto
alla Pasqua cristiana, la Risurrezione del Cristo, non ne conoscevo la data;
ma praticai il digiuno con i Musulmani e lo terminai con loro per il grande
giorno.
Atanasij Nikitin, Viaggio al di là di tre mari, 1466-1472, Russia. 482
Supplizi e fede
L’ARCIPRETE AVVAKUM PROTESTA CONTRO I NIKONIANI CHE BRUCIAVANO I VECCHI CREDENTI (1672)
Fa meraviglia come essi riÀutino di intender ragione: col fuoco, la frusta
e con la potenza, essi vogliono affermare la fede! Quali apostoli hanno
dunque insegnato in tal modo? Non ne conosco affatto. Il mio Cristo personale non ha comandato ai nostri apostoli d’insegnare che col fuoco, la
frusta e la potenza si debba attrarre alla fede [...]. Tu vedi, mio ascoltatore,
è per mezzo della libertà che Cristo chiama a sé [...]. Quei dottori si rivelano essere dei fautori dell’Anticristo, quelli che, per condurre alla fede,
uccidono e mettono a morte: tale la fede, tali le opere.
Potere temporale
Egli si lamenta che lo zar si faccia chiamare nella liturgia “cristianissimo”, “clementissimo”, “potentissimo”, e riceva così più lodi di tutti i santi,
230
Il diritto di essere un uomo
proprio come Nabucodonosor che diceva: “Io sono Dio! Chi è uguale a
me? Dio regna sul cielo, e io sono il suo uguale sulla terra!”.
In quale canone è scritto che lo zar debba spadroneggiare nella Chiesa e
cambiare i dogmi, e incensare l’altare? A lui spetta soltanto di vegliare su
di Lei, e di proteggerla contro i lupi che vorrebbero distruggerla, e non di
insegnare come credere e come farsi il segno della Croce.
La vita dell’arciprete Avvakum, scritta da lui medesimo, XVII sec., Russia.
483
Professione religiosa senza costrizione
Can. 572. § 1 – Per la validità di qualsiasi professione religiosa si richiede:
………
l’assenza di violenza, di timore grave o di dolo.
Can. 214 § 1 – Il religioso che ha ricevuto un ordine sacro perché costretto da grave timore e che essendo stato in seguito liberato da questo
timore non ha dimostrato, almeno tacitamente per mezzo dell’esercizio
dell’ordine, di ratiÀcare la ricevuta ordinazione sottomettendosi volontariamente con tale atto agli obblighi clericali, sia ridotto con una sentenza
del giudice allo stato laicale, dopo che sia stata legittimamente provata la
costrizione e la mancanza di ratiÀcazione, senza più alcun obbligo di celibato e dell’osservanza delle ore canoniche.
Diritto canonico.
484
“Dio solo sa”
O tu, che mi rimproveri dicendo che io non compio le mie orazioni rituali, io le compio. Ma che io le compia o no, questo riguarda Dio solo, egli
solo ne sa qualcosa.
Nessun altro che Dio sa chi è miscredente e chi è credente. Le mie preghiere serviranno a qualcosa, se Egli mi concede la sua indulgenza.
1 fondamenti della religione, della fede, sono la dirittura (morale) e la
verità; se tu non le possiedi, con quali materiali pretendi di costruire la tua
fede?
Yunus Emre (XIII sec.), Turchia.
485
ConÁitti
Le cause principali di divisione fra gli uomini sono tre: 1. Le differenze
di opinioni: noi non siamo capaci di pensare allo stesso modo sulle medesime cose; 2. gli odii: non siamo disposti ad ammettere opinioni diverse
Verità e libertà
231
sulle stesse cose senza che l’amicizia ne soffra; così le nostre divergenze
di opinioni provocano in noi un sentimento appassionato di mutua prevenzione; 3. le ingiustizie e le persecuzioni aperte: che sono i risultati dei
nostri odii, per la nostra comune disgrazia. Il primo conÁitto proviene dallo
spirito, il secondo dalla volontà e dai sentimenti, il terzo dalle forze che si
oppongono segretamente o apertamente, per una mutua distruzione. Oh, se
fosse permesso di scoprire gli intrighi ostili della ÀlosoÀa, della religione,
della politica e degli affari privati, noi non vedremmo altro che tentativi
e sforzi crudeli delle onde del mare contro le foreste, come è scritto nel
quarto libro di Esdra [...].
Io qualiÀco come inumani i conÁitti di questa categoria; perché l’uomo, che è stato creato a immagine di Dio, deve essere buono, amabile, e
generalmente paciÀco. Ma quando l’uomo è separato dall’uomo, quando
è incapace di sopportare il suo prossimo, quando un uomo si adira contro
un altro, assistiamo a una vera decadenza dell’umanità. Si tratta di un comportamento che non si può osservare in nessuna specie di creature mute,
eccetto i cani selvatici, la cui natura è di irritarsi gli uni contro gli altri, di
abbaiare, di mordersi scambievolmente e di battersi per un osso da rosicchiare.
Di conseguenza, se vogliamo che la inumanità ceda il posto all’umanità, non dobbiamo stancarci di ricercare i mezzi per raggiungere questo
Àne. Questi mezzi sono tre: in primo luogo, gli uomini devono smetterla di
Àdarsi troppo del loro buon senso, e, tenendo conto della comune fragilità
umana, (devono) riconoscere che è indegno di loro darsi addosso gli uni
contro gli altri per futili motivi; essi dovranno, in linea generale, perdonarsi
litigi, torti e bronci passati. Chiameremo questo: cancellare il passato. In
secondo luogo, nessuno deve imporre i propri princìpi (ÀlosoÀci, teologici
e politici) a chicchessia; al contrario, ciascuno deve permettere a tutti gli
altri di far valere le proprie opinioni e di godere in pace quanto possiedono. Chiameremo questo: mutua tolleranza. In terzo luogo, tutti gli uomini
dovranno cercare, in uno sforzo comune, di trovare che cosa vi è di meglio
da fare e, per giungervi, unire le loro riÁessioni, le loro aspirazioni e le loro
azioni. È quello che noi chiameremo la conciliazione.
Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio
catholica, XVII sec.
486
CONDIZIONI DI PACE DI ISTAVAN BOCSKAY, PRINCIPE DI TRANSILVANIA (1605)
Noi richiediamo, in primissimo luogo, per il maggior riposo della nostra
anima e della nostra coscienza, che Sua Maestà ci rispetti e faccia rispettare
la libera professione della nostra fede; che sia autorizzato per tutti il libero
232
Il diritto di essere un uomo
culto della confessione svizzera e di quella di Lutero, proprio come quello
della religione cattolica, in questo paese, senza badare allo stato di ognuno
e che sia permesso di perseverare in essa [...]. E, perché la libertà tanto
desiderata dell’esercizio del culto, rimanga irrevocabile [...] (chiediamo)
che Sua Maestà [...] abolisca l’ignobile articolo del “ut lutherani comburantur”.
487
LEGGE DEL MAARYLAND SULLA TOLLERANZA (21 APRILE 1649)
Atteso che, in uno Stato cristiano ben governato, gli affari che riguardano la religione e l’onore dovuto a Dio dovrebbero essere esaminati per
primi e con grande attenzione, e ci si dovrebbe sforzare di metterli in regola, viene [...] ordinato [...] che d’ora innanzi, in questa provincia, chiunque
bestemmierà contro Dio, o negherà che Nostro Signore Gesù Cristo è il
Figlio di Dio, o negherà la Santissima Trinità, formata dal Padre, dal Figlio
e dallo Spirito Santo, o negherà la divinità di una delle tre persone della
Trinità o l’unità della Divinità [...] sia punito con la morte e la perdita o la
conÀsca di tutte le sue terre.
... Atteso anche che, in materia di religione, il forzare le coscienze si è
spesso rivelato pericoloso negli Stati in cui questa pratica è stata adottata, al Àne di assicurare un governo più tranquillo e più paciÀco di questa
provincia e per meglio preservare l’amicizia e l’affetto reciproco fra i suoi
abitanti, viene [...] ordinato (sotto la riserva di ciò che è stato dichiarato ed enunciato più sopra nella presente legge) che in questa provincia o
nelle isole, porti, baie, nelle rade che da essa dipendono, nessuna persona,
qualunque sia, che dichiari di credere in Gesù Cristo, potrà d’ora innanzi
essere disturbata, molestata o respinta in alcun modo a causa o a proposito
della sua religione, né nella libera osservanza di questa sul territorio della
provincia, o delle isole che da questa dipendono, né forzata in alcun modo
a credere in un’altra religione o a praticarla contro la sua volontà, purché
questa persona non sia sleale verso il Lord proprietario, né si abbandoni a
violenze o cospiri contro il governo stabilito, ora o in avvenire, sotto la sua
autorità o sotto quella dei suoi eredi; viene inoltre ordinato che chiunque,
contrariamente alla presente legge e al suo spirito veritiero, oserà fare torto
a una persona, qualunque sia, che professi la propria fede in Gesù Cristo,
o oserà disturbarla o molestarla volontariamente, nella sua persona o nei
suoi beni, direttamente o indirettamente, a causa o a proposito della sua
religione, o della libera osservanza della sua religione in questa provincia,
salvo quanto è detto nella presente legge, dovrà versare alla sua o alle sue
vittime tre volte l’ammontare dei danni-interessi e per ogni infrazione di
questo genere pagherà una multa di 20 scellini di sterlina o l’equivalente
Verità e libertà
233
in natura [...]. Chiunque si sia reso colpevole degli atti qui sopra descritti o
riÀuti o non possa indennizzare la vittima o le vittime, o soddisfare la sua
pena della multa o di conÀsca, sarà severamente fustigato in pubblico e
imprigionato per il tempo che piacerà al Lord proprietario o al suo Luogotenente, e col Governatore generale di questa provincia, senza possibilità
di essere messo in libertà dietro cauzione o di essere provvisoriamente rilasciato nelle mani di un terzo responsabile.
488
SULLA TOLLERANZA
Si perdonerebbero forse gli uni gli altri, non dico i diversi costumi, ma
anche solo le massime opposte, se non si sapesse tollerare ciò che ci ferisce? E chi può mai arrogarsi il diritto di sottomettere gli altri uomini al
proprio tribunale? Chi può essere tanto impudente da credere che non ha
bisogno dell’indulgenza che egli riÀuta agli altri? Oserei dire che si soffre
meno dei vizi dei cattivi che non dell’austerità accanita dei riformatori, e
ho notato che non vi era affatto severità che non avesse avuto la sua origine
nell’ignoranza della natura, in un amore eccessivo, in una gelosia dissimulata, e inÀne, in una piccolezza del cuore.
Vauvenargues, RiÁessioni e massime, 1746.
489
ARTICOLO “PERSEGUITARE”
Se è vero che la persecuzione è contraria alla dolcezza evangelica e alle
leggi dell’umanità, non è meno opposta alla ragione e alla sana politica.
Sono solo i nemici più crudeli del benessere di uno Stato ad aver potuto
suggerire ai sovrani che quelli tra i loro sudditi che non la pensavano per
niente come loro erano diventati delle vittime votate alla morte e indegni
di condividere i vantaggi della società. L’inutilità della violenza basta per
disingannare nei riguardi di queste odiose massime. Quando gli uomini,
sia a causa dei pregiudizi dell’educazione, sia in seguito allo studio e alla
riÁessione, hanno abbracciato opinioni cui credono sia legata la loro eterna
felicità, i più gravi tormenti non fanno che renderli più ostinati; l’anima invincibile in mezzo ai supplizi si rallegra di godere della libertà che si vuole
rapirle; essa sÀda i vani sforzi del tiranno e dei suoi boia. I popoli sono
sempre colpiti da una costanza che pare loro meravigliosa e soprannaturale; essi sono tentati di considerare, come martiri della verità, gli sfortunati
verso i quali sono interessati a causa della pietà; la religione del persecutore diventa per essi odiosa; la persecuzione crea degli ipocriti e mai dei
proseliti.
Enciclopedia, articolo di Diderot (1751-1772).
490
234
Il diritto di essere un uomo
MOLTO UMILE RIMOSTRANZA AGLI INQUISITORI DI SPAGNA E PORTOGALLO
Una ebrea di diciott’anni, bruciata a Lisbona durante l’ultimo auto-dafé, diede l’occasione alla compilazione di questo piccolo lavoro; credo
che sia il più inutile che sia mai stato scritto. Quando si tratta di provare
delle cose così chiare, si è sicuri di non convincere.
L’autore dichiara che, sebbene egli sia ebreo, rispetta la religione cristiana, e l’ama abbastanza per togliere ai principi che non saranno cristiani un pretesto plausibile per perseguitarla. Vi lagnate, disse agli inquisitori, per il fatto che l’imperatore del Giappone fa bruciare a lento
fuoco tutti i cristiani che si trovano nei suoi Stati; ma egli vi risponderà:
Vi trattiamo – voi che non credete come noi – come voi stessi trattate
coloro che non credono come voi; non potete lagnarvi d’altro che della
vostra debolezza, che vi impedisce di sterminarci, e che fa sì che siamo
noi a sterminare voi.
Ma bisogna ammettere che voi siete ben più crudeli di quest’imperatore. Fate morire noi che crediamo solo ciò che voi credete, perché non
crediamo tutto ciò che voi credete. Noi seguiamo una religione che voi
sapete benissimo fu un tempo cara a Dio: pensiamo che Dio l’ami ancora,
e voi pensate che egli non l’ama più; e siccome stimate che le cose stiano
così, fate passare a ferro e fuoco coloro che sono in quest’errore tanto
scusabile, di credere che Dio ama ancora ciò che ha amato.
Se voi siete crudeli nei nostri riguardi, lo siete molto di più nei riguardi
dei nostri Àgli; li fate bruciare, perché seguono le ispirazioni che a essi
diedero coloro che la legge naturale e le leggi di tutti i popoli insegnano
a rispettare come degli dei.
Vi private del vantaggio che vi ha dato sui maomettani il modo in cui
la loro religione si è stabilita. Quando si vantano del numero dei propri
fedeli, dite a essi che la forza li ha acquisiti a loro, e che essi hanno esteso
la loro religione col fuoco: perché dunque (anche voi) affermate la vostra
col fuoco?
Quando volete farci venire con voi, vi obiettiamo una sorgente dalla
quale voi vi gloriate di discendere. Voi ci rispondete che la vostra religione è nuova, ma che essa è divina; e lo provate col fatto che essa è
cresciuta con la persecuzione dei pagani e col sangue dei vostri martiri;
ma oggi assumete il ruolo dei Diocleziani, e fate prendere a noi il vostro.
Vi scongiuriamo, non per il Dio possente che serviamo, voi e noi, ma
per il Cristo che voi ci dite aver preso la condizione umana per proporvi
degli esempi che possiate seguire; vi scongiuriamo di agire con noi come
agirebbe egli stesso se fosse ancora su questa terra. Voi volete che siamo
cristiani, e non volete esserlo voi stessi.
Verità e libertà
235
Ma se non volete essere cristiani, siate almeno uomini: trattateci come
fareste se, avendo soltanto quei deboli lumi di giustizia che la natura ci
dà, voi non aveste affatto una religione per guidarvi, e una rivelazione per
illuminarvi.
Se il cielo vi ha amato tanto da farvi vedere la verità, vi ha dato una grande grazia; ma spetta forse ai Àgli che hanno avuto l’eredità del loro padre,
di odiare quelli che non l’hanno avuta?
Perché se voi avete questa verità, non nascondetecela nel modo con cui
ce la proponete. Il carattere della verità, è il suo trionfo sui cuori e sulle
menti, e non questa impotenza che voi confessate quando volete farla accettare inÁiggendo dei supplizi.
………
Bisogna che vi avvertiamo di una cosa: cioè che se qualcuno nella posterità oserà dire che nel secolo in cui noi viviamo, i popoli d’Europa erano
guardati a vista dalla polizia, voi sarete citati per dimostrare che questi
popoli erano barbari; e l’idea che si avrà di voi sarà tale che coprirà d’ignominia il vostro secolo, e porterà l’odio su tutti i vostri contemporanei.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
491
DELLA TOLLERANZA UNIVERSALE
Non occorre una grande arte, un’eloquenza molto ricercata, per dimostrare
che i cristiani debbono tollerarsi gli uni gli altri. E vado più lontano: vi dico
che bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli. E che! mio fratello il Turco? mio fratello il Cinese? l’Ebreo? il Siamese? Sì, senza dubbio;
non siamo forse tutti Àgli del medesimo padre e creature del medesimo Dio?
Ma questi popoli ci disprezzano; ma essi ci trattano come degli idolatri?
Ebbene! dirò loro che hanno molto torto. Mi pare che potrei stupire almeno
l’orgogliosa testardaggine di un Imam se parlassi loro press’a poco così:
Questo piccolo globo, che è soltanto un puntino, ruota nello spazio, come
tanti altri globi; noi siamo sperduti in questa immensità. L’uomo, alto circa
un metro e mezzo, è certamente ben poco nella creazione. Uno di questi esseri impercettibili dice a qualcuno dei suoi vicini, in Arabia o nella terra dei
Cafri: “Ascoltatemi poiché il Dio di tutti questi mondi mi ha illuminato; vi
sono novecento milioni di piccole formiche come noi sulla terra, ma soltanto
il mio formicaio è caro a Dio; tutti gli altri, Egli li aborrisce dall’eternità; esso
sarà il solo felice e tutti gli altri saranno eternamente sfortunati”.
Essi mi arresterebbero allora, e mi domanderebbero chi è quel pazzo che
dice questa sciocchezza. Sarei obbligato a rispondere loro: siete voi stessi.
E cercherei in seguito di addolcirli; ma sarebbe ben difÀcile.
Voltaire, Trattato sulla tolleranza, 1763.
492
236
Il diritto di essere un uomo
SE L’INTOLLERANZA DEL DIRITTO NATURALE E DEL DIRITTO UMANO
Il diritto naturale è quello che la natura indica a tutti gli uomini. Voi avete
allevato vostro Àglio, egli vi deve rispetto quale suo padre, riconoscenza come
suo benefattore. Voi avete diritto ai prodotti della terra che avete coltivata con
le vostre mani. Avete dato e ricevuto una promessa: deve essere mantenuta.
Il diritto umano non può essere fondato in alcun caso se non su questo
diritto di natura; e il grande principio, il principio universale dell’uno e
dell’altro, è in tutta la terra: “Non fare quello che non vorresti facessero a
te”. Ora, non si vede come, seguendo questo principio un uomo potrebbe
dire a un altro: “Credi quello che io credo e anche quello che tu non puoi
credere oppure perirai”. È quello che si dice in Portogallo, in Spagna, a
Goa. Ci si accontenta ora, in qualche altro paese di dire: “Credi, oppure io
ti odio; credi, o ti farò tutto il male che potrò; mostro, tu non hai la mia religione, non hai quindi religione; bisogna che tu sia detestato dai tuoi vicini,
dalla tua città, dalla tua provincia”.
Se facesse quindi parte del diritto umano comportarsi così, bisognerebbe
che il giapponese detestasse il cinese, che questi esecrasse il siamese; costui perseguitasse gli abitanti della provincia del Gange, che cadrebbero (a
loro volta) sugli abitanti dell’Indo; un Mogol strapperebbe il cuore al primo
Malabar che incontrasse; il malabarese potrebbe sgozzare il persiano, che
massacrerebbe il turco; e tutti insieme si getterebbero sui cristiani, che si
sono per lungo tempo divorati gli uni gli altri.
Il diritto dell’intolleranza è dunque assurdo e barbaro; è il diritto delle
tigri; ed è ben più orribile, perché le tigri si sbranano solo per mangiare, e
noi ci siamo sterminati per dei paragraÀ.
Voltaire, Trattato sulla tolleranza.
493
EDITTO DI TOLLERANZA DI GIUSEPPE II (OTTOBRE 1781)
In particolare, Noi vogliamo che i punti seguenti siano rispettati:
I sudditi acattolici possono costruire la propria casa di preghiera o di
scuola nelle località ove vivono cento famiglie, anche se non abitano nella
località della casa di preghiera o di resistenza del pastore, a condizione che
coloro che non abitano là risiedano a qualche ora di distanza. Coloro che
abitano a una distanza maggiore potranno recarsi tutte le volte che lo vorranno alla casa di preghiera più vicina, situata nei domini ereditari dell’Imperatore e Re, visitare i loro Ministri a condizione che siano cittadini dei
nostri Domini. I Ministri potranno portare i conforti dell’anima ai malati,
quando sarà necessario, ma non potranno mai opporsi, senza assumersi
delle gravi responsabilità, a che tal o tal altro ammalato faccia venire un
sacerdote cattolico.
Verità e libertà
237
Per le case di preghiera, Noi ordiniamo che là dove le cose non siano
disposte in modo diverso, gli ediÀci non abbiano alcuna apparenza esteriore di chiesa, che non vi sia campanello, né campane, né campanile, né
entrata troppo visibile sulla strada; per contro esse possono essere costruite
liberamente con il materiale preferito. L’amministrazione dei sacramenti,
la frequenza del culto, come pure la visita agli ammalati nelle Àliali, le
sepolture pubbliche con accompagnamento del pastore, devono essere interamente permessi.
………
Ci si scosti dal modo usuale di fare, in materia di matrimoni degli acattolici per l’educazione dei Àgli nella religione cattolica romana, e che resti
inteso che se il padre appartiene alla religione cattolica, tutti i Àgli, maschi
e femmine, saranno educati nella religione cattolica, cosa che deve essere
considerata una prerogativa della religione dominante; ma quando il padre
sarà protestante e la madre cattolica, i Àgli seguiranno la religione del padre, le Àglie quella della madre.
Austria.
494
Intolleranza
ARTICOLO “RIFUGIATI”
Luigi XIV, perseguitando i protestanti, ha privato il suo regno di circa un
milione di uomini industriosi che egli ha sacriÀcato agli scopi interessati e
ambiziosi di alcuni cattivi cittadini che sono i nemici di ogni libertà di pensiero, perché essi non possono governare se non all’ombra dell’ignoranza.
Lo spirito persecutore dovrebbe essere represso da ogni governo illuminato: se si punissero i perturbatori che vogliono continuamente turbare la
coscienza dei loro concittadini quando hanno opinioni diverse dalle loro,
si vedrebbero tutte le sette vivere in perfetta armonia e a fornire a gara dei
cittadini utili alla patria e fedeli al loro principe.
Che idea dobbiamo farci dell’umanità e della religione dei partigiani
dell’intolleranza? Coloro che credono che la violenza può far sgretolare la
fede degli altri danno un’opinione molto riprovevole dei loro sentimenti e
della propria costanza.
Enciclopedia, articolo di Diderot (1751-1772).
495
Se restringiamo la libertà religiosa, nessun rimprovero sarà mai troppo
severo per la nostra follia
Noi, sottoscritti, cittadini del detto Stato (Virginia), avendo attentamente
esaminato un progetto di legge, stampato per ordine dell’Assemblea generale nella sua ultima sessione e intitolato “Progetto di legge contenente le
238
Il diritto di essere un uomo
disposizioni per coloro che insegnano la religione cristiana”, ritenendo che
questo testo, se avrà un deÀnitivo valore di legge, costituirà un pericoloso
abuso di potere, siamo tenuti, in quanto membr i fedeli di uno stato libero,
a protestare nei suoi riguardi e a esporre i motivi della nostra decisione. Noi
protestiamo contro questo progetto di legge.
Perché consideriamo come una verità fondamentale e innegabile che “la
religione, o i doveri che noi abbiamo verso il nostro Creatore, e il modo
di sdebitarcene non possono essere regolati se non dalla ragione e dalla
convinzione; e non con la forza o la violenza” (Dichiarazione dei diritti,
articolo 16). La religione di ogni uomo dipende dunque dalla sua convinzione e dalla sua coscienza e ognuno ha il diritto di praticarla secondo ciò
che essa gli comanda. Questo diritto è per natura un diritto inalienabile. È
inalienabile perché le opinioni che, in ognuno di noi, si appoggiano unicamente sulle prove esaminate dal nostro spirito non possono obbedire ai
comandamenti di altri uomini; è inalienabile anche perché ciò che qui è diritto verso gli uomini è un dovere riguardo al Creatore. Ogni uomo è tenuto
a rendere al Creatore l’omaggio che ritiene gli sia gradito, e solo quello.
Sia nell’ordine del tempo che per la forza dell’obbligo, questo dovere passa
prima delle esigenze del corpo sociale. Prima che un uomo possa essere
considerato come membro di questo corpo, egli deve esserlo come suddito
del Padrone dell’universo; e se, quando egli aderisce a un’Associazione
subordinata qualunque, un membro del corpo sociale deve sempre farlo
sotto riserva dei suoi obblighi verso l’autorità generale, a più forte ragione
colui che diventa membro di un corpo sociale determinato, qualunque esso
sia, deve fare le riserve che gli impone la sua sottomissione al Sovrano universale. Noi affermiamo dunque che, in materia di religione, nessuno può
vedere diminuiti i suoi diritti dall’istituzione di un corpo sociale, e che la
religione sfugge interamente alla competenza di questo. Non esiste certamente altra norma che la volontà della maggioranza per regolare in ultima
analisi le questioni che possono dividere un corpo sociale; ma è anche vero
che la maggioranza può usurpare i diritti della minoranza.
………
Conviene infatti allarmarsi Àn dal primo tentativo fatto contro le nostre
libertà. Consideriamo questa gelosa prudenza come primo dovere dei cittadini e come una delle più nobili caratteristiche della recente rivoluzione.
Gli uomini liberi d’America non hanno atteso che l’autorità usurpata si
fosse rafforzata con l’esercizio del potere e avesse imbrogliato la questione
con dei precedenti. Essi intravvidero tutte le conseguenze nel principio e le
evitarono negando il principio. Noi consideriamo troppo importante questa
lezione per perderne ben presto il ricordo. Chi non vede come l’autorità
Verità e libertà
239
che può erigere il cristianesimo a religione di Stato, con l’esclusione di
ogni altra religione, potrebbe con altrettanta facilità accordare lo stesso
trattamento a qualsiasi setta cristiana, a esclusione di tutte le altre sette?
Forse che l’autorità che può costringere un cittadino a prelevare anche solo
tre pence sui suoi beni per sostenere una Chiesa ufÀciale unica, potrà costringerlo a fare atto di sottomissione a qualsiasi altra Chiesa ufÀciale in
qualsiasi caso?
Perché il progetto di legge viola l’uguaglianza che deve essere il fondamento di ogni nazione e di ogni religione, e promette di illustrare il nostro
paese e di dare una più grande prosperità a un numero considerevole dei
suoi cittadini. Questo progetto di legge è certo il triste segno di un improvviso decadimento. Invece di aprire un asilo ai perseguitati, esso è di per sé
un segnale di persecuzione. Priva del rango di cittadino tutti coloro la cui
opinione in materia religiosa non si conformi a quella dell’autorità legislativa. Per quanto distante sia – nella sua forma attuale – dall’inquisizione, la
differenza è solo di grado: l’uno è il primo passo, l’altro l’ultimo sulla via
dell’intolleranza. Per l’uomo dal cuore magnanimo che, in terra straniera,
soffre di questo crudele Áagello, il progetto in questione apparirà come un
segnale eretto al nostro Àanco per avvertirci che val meglio cercare qualche
altro asilo ove la libertà e la Àlantropia, avendo il posto che loro compete,
gli permettono, dopo le sue disgrazie, di godere più sicuramente un po’ di
riposo.
………
Perché distruggerà questa moderazione e quest’armonia che le nostre
leggi, astenendosi dal riferirsi alla religione, hanno prodotto tra le diverse sette. Dei torrenti di sangue sono colati nel Vecchio mondo perché il
braccio secolare si sforzava invano di sopprimere le discordie religiose
proibendo ogni divergenza di punti di vista in materia di religione. Il tempo
ha Ànalmente messo in evidenza il vero rimedio: ogni volta che si è tentato
di temperare questa politica stretta e rigorosa, si è constatato dovunque un
miglioramento della salute dell’ammalata. Ciò che è successo in America
prova che una libertà completa e uguale per tutti, se non sopprime completamente il male, distrugge almeno sufÀcientemente la sua inÁuenza perniciosa sulla salute e la prosperità dello Stato. Se, avendo sotto gli occhi gli
effetti salutari di questo sistema, noi cominciamo tuttavia a restringere la
libertà religiosa, nessun rimprovero sarà troppo severo per la nostra follia.
Che almeno il primo frutto di questa innovazione, da cui siamo minacciati,
sia per noi un avvertimento: la semplice apparizione del progetto di legge
ha trasformato le virtù cristiane della pazienza, dell’amore e della carità
(articolo 16) di un tempo in animosità e gelosia che non si calmeranno
240
Il diritto di essere un uomo
forse per molto tempo. Quali sventure non sarebbero da temersi nel caso in
cui questo nemico della pace pubblica fosse armato dei poteri della legge?
Perché le misure previste sono contrarie alla diffusione della luce del
cristianesimo. Il primo augurio di quelli che godono di questo dono prezioso dovrebbero essere che esso venga accordato a tutta l’umanità. Confrontate il numero di coloro che hanno ricevuto questo dono col numero di
quelli che restano ancora sotto l’impero delle false religioni e vedrete quanto debole sia il primo! Il progetto di legge tende forse a diminuire questa
sproporzione? No! Anzitutto esso scoraggia quelli che sono estranei (alla
rivelazione) dal venire nelle regioni in cui essa diffonde la sua luce e allo
stesso tempo il suo esempio incoraggia le genti che restano nelle tenebre a
tenere lontani coloro che potrebbero illuminarle. Invece di appianare, per
quanto possibile, tutti gli ostacoli che si oppongono al vittorioso progresso
della verità, il progetto di legge lo circonderebbe di muraglie, per una timidezza indegna e molto poco cristiana, al Àne di proteggerla dall’invadenza
dell’errore.
Perché, sforzandosi di imporre con sanzioni legali delle disposizioni che
urtano una così alta percentuale di cittadini, si tende a indebolire le leggi in
generale e a rilassare i legami della società. Se è difÀcile far eseguire una
legge, che non è giudicata necessaria o salutare dalla maggioranza, quanto
maggiore sarà la difÀcoltà se la legge è considerata ingiustiÀcata e pericolosa! E quale può essere l’effetto di un esempio così evidente di impotenza
sull’autorità generale del governo? [...].
InÀne, possediamo, esattamente come tutti gli altri nostri diritti, il diritto
che ogni cittadino ha di praticare liberamente la propria religione, secondo
le esigenze della coscienza. Perciò se consideriamo la sua origine, anche
questo diritto è un dono della natura; se ne misuriamo l’importanza, non ci
può essere meno caro; se consultiamo la dichiarazione dei diritti che spettano al buon popolo della Virginia e formano “la base e il fondamento del
Governo” (Dichiarazione dei diritti, titolo), questo diritto è enunciato con
la stessa solennità o piuttosto con la stessa voluta insistenza. Dobbiamo
dunque dire o che l’autorità del corpo legislativo non conosce altri limiti
all’infuori della propria volontà, e che, nell’esercizio di questa completa
autorità, può sopprimere tutti i nostri diritti fondamentali, oppure esso l’obbliga di lasciare intatto questo diritto e di considerarlo come sacro.
James Madison, Memorial and Remonstrance, 1784.
496
IL MIO CREDO POLITICO
Gli ebrei siano cittadini che godono i nostri stessi diritti, cioè coloro
tra i nostri compatrioti che osservano la religione di Mosè: le leggi non
Verità e libertà
241
possono ragionevolmente prendere in considerazione il modo col quale taluno adora il suo Dio, ma soltanto esigere che ogni cittadino che vive in
questo paese, qualunque sia la sua religione, soddisÀ ai suoi doveri verso
la società e osservi le leggi. Qualunque sia la sua confessione, un cittadino
può essere punito soltanto se è colpevole e se merita una punizione. Ora gli
ebrei sarebbero anche puniti globalmente, siano essi buoni o colpevoli: il
che è in contraddizione tanto con la ragione quanto con il senso di umanità
e con la giustizia pura e semplice.
Mihály Táncsics, socialista agrario ungherese, 1848.
497
Naturalmente uno stato senza religione non vuol dire che i cittadini siano senza religione; signiÀca soltanto che lo Stato, custode della libertà di
coscienza, non osserva alcun culto e non accorda situazioni di privilegio a
nessun clero.
Enrique José Varona (1849-1933), Cuba.
498
Opzione rivoluzionaria
Chi non è con noi è contro di noi. Quelli che credono di stare al di fuori
della storia s’ingannano. Anche ammettendo che un tempo ciò sia stato
possibile, oggi simili persone non possono più esistere. Nessuno ha bisogno di loro. Tutti, senza eccezione, sono trascinati nel turbine [...]. Dite
che io sempliÀco troppo la vita? E che questa sempliÀcazione minaccia la
cultura [...]. Ma bisogna far vedere alle masse russe delle cose molto semplici che siano per loro accessibili. I Soviets, il comunismo, ecco ciò che è
semplice [...]. L’unione degli intellettuali con gli operai? Sarebbe una buona cosa. Dite loro dunque di venire a noi. Secondo voi, essi servono molto
sinceramente l’ideale della giustizia? perché non vengono allora a unirsi a
noi? Siamo noi quelli che abbiamo assunto il compito immenso di mettere
in piedi il popolo, di dire al mondo tutta la verità sulla vita; noi mostriamo
ai popoli la via che conduce diritto verso la dignità umana, che permette di
uscire dalla schiavitù, dalla miseria e dall’umiliazione.
Lenin, citato da Maksim Gorkij, 1920.
499
Libertà d’opinione
Il Consiglio dell’istruzione pubblica (Board of Education) dello Stato
della Virginia occidentale aveva imposto nel 1943 la cerimonia del saluto
alla bandiera in tutte le scuole pubbliche. I ragazzi che avessero infranto
questa regola sarebbero stati respinti e in caso di assenza, i genitori avrebbero potuto essere perseguiti. Questa decisione venne contestata e il caso
fu sottoposto alla Corte Suprema.
242
Il diritto di essere un uomo
Il giudice Jackson dà il suo parere durante il processo:
In questo caso, tuttavia, noi abbiamo a che fare con l’obbligo imposto
agli alunni di dichiarare un credo. Non ci si accontenta di far loro conoscere il saluto alla bandiera, afÀnché essi sappiano che cosa è, e anche cosa
signiÀca. Si tratta di sapere se è possibile, dal punto di vista costituzionale,
abbreviare questa iniziazione al lealismo – lenta e facilmente negletta – sostituendola con un saluto e la recita di una formula obbligatoria [...].
Bisogna notare anche che il saluto obbligatorio alla bandiera e la dichiarazione corrispondente, esigono l’affermazione di un credo e l’adozione di
un certo atteggiamento mentale. Non si sa se il regolamento prevede che
l’alunno debba rinunciare eventualmente a ogni convinzione contraria e
allinearsi, suo malgrado, a questa cerimonia obbligatoria, oppure se è ammesso che egli simuli il suo assenso pronunciando delle parole alle quali
non crede e compiendo un gesto vuoto di signiÀcato [...].
Per sostenere che il saluto alla bandiera ha un carattere obbligatorio,
bisogna che noi affermiamo che il “Bill of Rights” (Dichiarazione dei diritti), che salvaguarda il diritto di ogni individuo di dire ciò che pensa, ha
lasciato alle autorità pubbliche la possibilità di obbligarlo a dire ciò che
non pensa [...].
Senza l’assicurazione che verrà ulteriormente adottato un “Bill of rights”
di carattere limitato, è poco probabile che la nostra Costituzione avrebbe
raccolto suffragi sufÀcienti per essere ratiÀcata. Vegliare oggi al rispetto di
questi diritti, non vuol dire preferire un governo debole a un governo forte.
SigniÀca solamente cercare la forza nella libertà individuale, piuttosto che
in una uniformità ufÀcialmente disciplinata, che la storia ha dimostrato
raggiungere il più spesso una Àne disilludente e disastrosa.
La causa di cui siamo ora investiti illustra questo principio. L’insegnamento pubblico gratuito, se è fedele all’ideale della istruzione laica e della
neutralità politica, non sarà né favorevole né sfavorevole a nessuna classe,
a nessun credo, a nessun partito o fazione. Al contrario, se esso dovesse
imporre una disciplina ideologica qualunque, ciascun partito o confessione
si sforzerebbe inevitabilmente di indebolire o, in mancanza, (almeno) di
ridurre l’inÁuenza del sistema d’insegnamento. Il rispetto dei limiti imposti
dalla Costituzione non indebolirà il Governo nel campo in cui la sua autorità si esercita legittimamente [...].
Il quattordicesimo emendamento, come è attualmente applicato nei confronti degli Stati, protegge il cittadino contro lo Stato medesimo e contro
tutte le istituzioni che da esso emanano: ivi compresi i Consigli dell’Istruzione pubblica. Questi hanno evidentemente delle funzioni importanti,
delicate e altamente discrezionali, ma non ne hanno alcuna che essi non
Verità e libertà
243
possano esercitare nei limiti del “Bill of rights”. Il fatto stesso che presiedano all’istruzione civica dei giovani conferisce loro il dovere di proteggere
scrupolosamente le libertà costituzionali dell’individuo se si vuole evitare
che la libertà di spirito sia soffocata alla radice e che i giovani non imparino a considerare come puramente teorici dei principi importanti del nostro
sistema di governo [...].
E il dovere che ci incombe di applicare le disposizioni del “Bill of rights”
nei confronti degli atti dell’autorità ufÀciale non è condizionato dal possesso di competenze elevate nel campo in cui i diritti vengono trasgrediti.
Certamente, il compito che consiste nel tradurre le maestose generalità del
“Bill of rights” – concepite come un elemento del sistema di governo liberale del XVIII secolo – in limitazioni concrete imposte a funzionari che
trattano problemi del XX secolo, è tale da far esitare i più sicuri. Questi
principi sono usciti da un terreno che ha anche fatto nascere una ÀlosoÀa la
quale ritiene che l’individuo è il centro della società, che la sua libertà può
essere ottenuta con la semplice assenza di obblighi statali, che il governo
deve ricevere soltanto un piccolo numero di poteri ed esercitare solo una
leggerissima sorveglianza sugli affari umani. Occorre che noi trapiantiamo
questi diritti in un terreno in cui il concetto del lasciar fare – il principio
del non-intervento – si è atroÀzzato almeno per quanto concerne gli affari
economici e in cui ci si sforza sempre più di realizzare il progresso sociale
mediante una integrazione più stretta della società e un’azione più profonda e più estesa dei poteri pubblici. In queste circostanze nuove, il ricorso
ai precedenti è spesso azzardato e noi siamo obbligati a rimetterci, più di
quanto ce lo augureremmo, al nostro giudizio personale. Ma noi agiamo
in questo caso non con l’autorità delle nostre conoscenze, ma in forza del
nostro mandato. Un’idea modesta delle nostre qualiÀche in campi specializzati come l’istruzione pubblica, non ci autorizza a eludere l’obbligo che
la Storia assegna a questo Tribunale di dare un giudizio quando la libertà
è trasgredita [...].
Coloro che cominciano a eliminare con la forza la dissidenza arrivano
ben presto a sterminare i dissidenti. L’uniÀcazione obbligatoria delle opinioni si conclude solamente nell’unanimità dei cimiteri [...].
Ma la libertà d’opinione non si limita alle cose di poca importanza. Sarebbe soltanto l’ombra della libertà. La pietra di paragone della sua realtà è
il diritto di essere in disaccordo su quanto sta al centro dell’ordine esistente.
Giudice Jackson, Virginia occidentale, 1943.
500
DIRITTI SOCIALI
Uguaglianza sociale
Quando Adamo zappava, mentre Eva Àlava,
Chi era allora il gran Signore?
Canto popolare del sec. XIV (anonimo), Inghilterra.
501
Il mandarino ha fretta, ma il popolo non ne ha.
Se il mandarino ha fretta, attraversi il Àume a nuoto!
Proverbio del Vietnam.
502
Abuso
Perché vendono per denaro il giusto
e il povero per un paio di sandali:
essi che gettano la polvere della terra
sulla testa dei poveri e violano il diritto dei miseri [...].
E su vesti prese a pegno si stendono presso ogni altare,
e bevono il vino del loro strozzinaggio nel tempio del loro Dio.
Bibbia ebraica, Amos, 2.
503
Non siamo forse dei ladri, in un certo senso? Se prendo qualcosa di cui
non ho bisogno immediato e lo conservo, lo rubo a qualcun altro.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
504
Il cielo non crea l’uomo né al di sopra né al di sotto degli uomini.
Yukichi Fukuzawa (1834-1901), Iniziazione al sapere, Giappone.
505
Nessuna distinzione d’ordine sociale alla nascita
In questo mondo si osserva la differenza tra le impronte di una vacca, di
un elefante, di un cavallo, d’un daino, d’un leone, di una tigre, ecc., dicendo: “Questa è l’impronta di una vacca”, “questa è l’impronta di un elefante”, “questa è l’impronta di un cavallo”, “questa è l’impronta di un daino”,
246
Il diritto di essere un uomo
“questa è l’impronta di un leone”, “questa è l’impronta di una tigre”, ecc.
Ma non accade lo stesso per un bramino e per gli altri uomini di cui non
si dice: “questa è l’impronta di un bramino”, “questa è l’impronta di un
ksatriya”, “questa è l’impronta di un vaisya”, “questa è l’impronta di un
sûdra”, ecc. Di conseguenza, data l’assenza di ogni differenza d’impronta,
vediamo che non esiste che una sola classe, quella degli esseri umani, e che
non vi è distinzione tra le quattro classi della società.
In questo mondo si osserva una differenza tra gli organi maschili e quelli
femminili, il colore, l’aspetto Àsico, gli escrementi, l’orina, l’odore e il
grido della mucca, del bufalo, del cavallo, dell’elefante, dell’asino, della
scimmia, della pecora, della capra, ecc. Ma non accade la stessa cosa nel
caso del bramino, dello ksatriya, e degli altri uomini. Di conseguenza, anche lì, data l’assenza di ogni differenza, dobbiamo supporre che esista una
sola classe, quella degli esseri umani.
………
Analogamente, o Bramino, poiché vi è identità (tra gli esseri umani) dinanzi al piacere, al dolore, alla vita, all’intelligenza, all’azione, al comportamento, alla morte, alla nascita, alla paura, all’unione dei sessi, ai costumi,
non si può certamente supporre una distinzione (tra di loro secondo che
sono) bramini (ksatriya, ecc.).
Si deve tener conto anche di questo, proprio come non v’è distinzione
di classe tra i frutti prodotti da uno stesso albero [...] e come non si può
dire “questo è un solo e medesimo albero”, “questo è un frutto bramino”,
“questo è un frutto ksatriya”, ecc., perché sono tutti prodotti di un solo e
medesimo albero, non vi è alcuna distinzione (di classe) tra gli uomini,
perché essi sono tutti creati da un solo Essere supremo.
Attribuito a Asvaghosa (I sec. a.C. - I sec. d.C.), Vajrasûci, tradotto dal
sanscrito.
506
La parola, l’unione dei sessi, la nascita e la morte sono simili per tutti
gli umani.
Mahâbhârata, III (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 507
Il desiderio, la collera, la paura, l’avidità, il cruccio, l’angoscia, la fame,
la stanchezza, ci dominano tutti. Come, in queste condizioni, una classe
sociale differisce dall’altra? Il sudore, l’orina, gli escrementi, la bile e il
sangue (caratterizzano) il corpo di tutti (gli uomini), che perisce (a poco a
poco); come può dunque una classe essere distinta (da un’altra)?
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 508
Diritti sociali
247
I bramini (cioè gli uomini appartenenti alla classe detta la più nobile)
sono nati dalle viscere della donna, proprio come i Candâlas (cioè gli uomini che appartengono alla classe detta inferiore) sono nati dalle viscere
della donna. Quale giustiÀcazione vedete per assegnare il rango più elevato
(ai primi) e la posizione inferiore (ai secondi)?
Non esiste differenza o distinzione tra gli esseri umani né per quanto
riguarda i capelli, né le due orecchie, o la testa o gli occhi.
Sârdûlakarnâvadàna, 18 (II-IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 509
Dio giustiziere
Se ho disprezzato il diritto del mio schiavo e della mia schiava
nelle loro querele con me,
che farò quando Dio si leverà?
Quando esigerà i conti, che gli risponderò?
Bibbia ebraica, Giobbe, 31.
510
Ingiustizia…
Che la foglia del banano cada su una spina, o che una spina cada sulla
foglia del banano, è sempre la foglia che ne patisce.
… ma
Se tutti vogliono viaggiare in portantina, dove si troveranno i portatori?
Proverbi telugu, isole Mauritius.
511
Uguaglianza
L’uomo che ha il coraggio di rinunciare alle caste e all’orgoglio sarà un
santo.
Kabir, poeta Hindi (1089-1172).
512
La voce del popolo è il tamburo di Dio.
Proverbio pendjabi.
513
Grande o piccola, la pietruzza conserva la sua natura (Importante o no,
un uomo è sempre un uomo).
Imana (l’Essere supremo) crea gli uomini e non li differenzia.
Proverbi del Burundi.
514
Inchinati dinanzi a colui che ti offre il segno del suo rispetto: non è uno
schiavo che hai ereditato da tuo padre; rimani Àero dinanzi a colui che fa
l’orgoglioso: egli non è affatto il Àglio del Profeta.
Proverbio kazako.
515
248
Il diritto di essere un uomo
Unità delle caste
Che ne pensi tu di questo, Assalâyana? Supponiamo che un re raduni
cento uomini di origine diversa e dica loro: “Avvicinatevi! Che coloro che
provengono da una famiglia di nobili, di sacerdoti o di re, portino del legno di teck, di sal o di un albero odorifero, di sandalo o di loto, accendano
un fuoco e gli facciano produrre del calore! Avvicinatevi, anche voi; che
coloro che provengono da una famiglia disprezzata, da una famiglia di cacciatori con trappole, di cestai, di carradori o di spazzini, portino un pezzo
di legno di una mangiatoia per i cani, di un trogolo per i maiali o di una
tinozza per tintore, o ancora delle schegge secche di un cespuglio di ricino,
accendano un fuoco e gli facciano produrre del calore”.
Che ne pensi, Assalâyana? Se qualcuno – sia egli di una famiglia di nobili o di sacerdoti, o di re, e che il legno sia di teck o di sal, oppure di un albero odorifero o di santal o di loto – accende un fuoco e gli fa produrre del
calore, forse che questo fuoco non avrà Àamme, colore e splendore? Forse
che per questo non potrà essere utilizzato come un fuoco? E se qualcuno –
che provenga da una famiglia disprezzata, da una famiglia di cacciatori con
le trappole, o di cestai, di carradori o di spazzini – porta un pezzo di legno
di una mangiatoia per il cane o di trogolo per i maiali o di una tinozza per
tintore, o ancora delle schegge secche di un cespuglio di ricino, accende un
fuoco e gli fa produrre del calore, non avrà questo fuoco delle Àamme, un
colore, uno splendore? Di conseguenza non potrà essere utilizzato come
un fuoco?
– Ma sì, mio buon Gotama. Se qualcuno di una famiglia di nobili, di
sacerdoti o di re porta del legno di teck, o di sal o di un albero odoriÀco o
di sandalo o di loto, accende un fuoco e gli fa produrre del calore, questo
fuoco ha delle Àamme, un colore e uno splendore, e può essere utilizzato
come fuoco. Analogamente, se qualcuno di una famiglia disprezzata, di
una famiglia di cacciatori con trappola o di cestai, o di carradori o di spazzini porta un pezzo di legno di una mangiatoia per il cane o di trogolo per
il maiale o di una tinozza per tintore o ancora delle schegge secche di un
cespuglio di ricino, accende un fuoco e gli fa produrre del calore, questo
fuoco avrà anch’esso delle Àamme, colore e uno splendore e potrà essere
utilizzato come fuoco. Così, mio buon Gotama, tutti questi fuochi hanno
delle Àamme, un colore e uno splendore e possono essere utilizzati come
dei fuochi.
Majjhima Nikaya, II, tradotto dal pali.
516
Ajari Eijitsu era uno dei sacerdoti dell’Enrayaku-ji, il più grande tempio
buddista di Kyoto. Secondo la volontà dell’imperatore, egli venne chia-
Diritti sociali
249
mato in particolare al palazzo per curare l’imperatore Enyü gravemente
ammalato [...]. A mezza via dal palazzo imperiale si incontrò con un ammalato che invocava la morte. Eijitsu discese dalla carrozza e lo curò. Il
messaggero imperiale glielo rimproverò. Eijitsu rispose: “Non ho nulla da
cercare se non Budda e non avendo io alcun attaccamento al mondo, non
vi è per me né imperatore né signore [...]. Un ammalato abbandonato, ecco
ciò che mi rattrista di più”. Egli si fermò lì e non si presentò al palazzo.
Storia dei Santi, episodio della Àne del X sec., Giappone.
517
L’uguaglianza è un bisogno vitale dell’anima umana: essa consiste nel
riconoscimento pubblico, generale, effettivo, espresso realmente dalle istituzioni e dai costumi, dal fatto che la stessa quantità di rispetto e di riguardo è dovuta a ogni essere umano, perché il rispetto è dovuto all’essere
umano come tale e non già secondo gradi.
Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia.
518
Misfatti dell’inuguaglianza
Se l’alto non esiste, non vi è voluttà a sfruttare il basso. Se il basso non
esiste, non vi è né adulazione né intrigo per piacere all’alto, né odio, né
conÁitti di conseguenza. Non vi è alcuno che in alto, appropriandosi della
via del Cielo, pianti di straforo la radice del furto e neppure nessuno che,
in basso, rubi degli scudi e dei bèni, e così l’alto non farà delle leggi per
punire il basso [...]. Nessuno, in alto, che, non coltivando la terra con le
sue stesse mani, sfrutti il risultato del lavoro degli altri; nessuno che, deliziandosi si delizi di feste fastose e di musica e si lasci andare agli intrighi
amorosi; nessuno che, in basso, invidioso e geloso, correndo per banchetti
e abbandonandosi alle ragazze, faccia delle sciocchezze senza pudore [...].
Senza circolazione d’oro e d’argento, nessuno che desideri salire per raggiungere la ricchezza e la prosperità, e neppure alcuno che, caduto in basso,
si tormenti, umile, povero e ammalato.
Shoeki Ando, La vera condotta naturale, 1703-1762, Giappone. 519
Dopo tutto, non vi è alcuna ragione fondamentale che possa imporci una
distinzione di rango tra gli uomini.
Joken Nishikawa (1648-1724), Memorie di un cittadino, Giappone. 520
Se presti denaro ad alcuno del mio popolo, al povero che sta con te, non
ti comporterai con lui come un creditore: non gli imporrai alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo restituirai al tramonto del sole. Esso infatti è la sola sua coperta, è il mantello per la sua
250
Il diritto di essere un uomo
pelle; su che cosa giacerebbe? Se egli alza a me grida di aiuto io lo ascolterò, poiché io sono compassionevole.
Bibbia ebraica, Esodo, 22.
521
Ciò che deve essere il sacerdote
Amare tutti i propri fratelli ugualmente, e non solo quelli che saranno
stati giudicati migliori nell’opera di bene e nel professare l’obbedienza.
Non mettere colui che è nato libero al disopra di colui che era schiavo
prima del suo ingresso nella religione, a meno che vi sia un motivo ragionevole; se tuttavia il sacerdote crede di doverlo fare in virtù di un’esigenza
di giustizia, faccia pure ciò che gli sembra meglio; altrimenti, che ognuno
resti dove è, poiché, schiavi o liberi, tutti noi non siamo che uno in Cristo,
e, sotto un solo Signore, portiamo il giogo di un solo servizio. Poiché,
presso Dio, nessuno può raccomandarsi, ma Egli ci distingue solo se Gli
sembriamo migliori di altri nel bene e pieni di umiltà. Si usi dunque verso
tutti uguale carità nel suo servizio e, secondo i loro meriti, tutti siano sottomessi a una medesima regola.
Regola di San Benedetto, 529
522
Colui che grida come un pappagallo è un pappagallo.
Tutti gli uccelli che gridano così sono dei pappagalli; nessun altro uccello grida così. Non preferire quindi l’uno o l’altro, essi gridano tutti allo
stesso modo, sono tutti uguali.
Il lato sinistro e il lato destro sono tutte e due dei diritti di caccia.
Uomo o donna, ricco o povero, ecc. non sono sostanzialmente diversi;
sono tutti degli uomini nati da una donna e destinati a morire.
Proverbi mongo, Congo.
523
Gli uomini non sono dei covoni di miglio tra i quali si avrebbe interesse
a scegliere il più grosso.
(Necessità di trattare tutti gli uomini secondo uguaglianza. In opposizione ai capi che hanno delle preferenze personali).
Proverbio sonraï, Africa.
524
Dall’imperatore Àno al popolo, non vi sono altre specie se non l’uomo e
la donna tra gli esseri umani. Sono tuttavia stati divisi in superiori e inferiori, si sono stabiliti dei gradi e si è Àssata una distinzione di quattro ranghi;
samurai, agricoltore, artigiano e negoziante, che non per questo, tutti, sono
meno uomini, meno esseri umani.
Genpaku Sugita (1733-1817), Veglia dell’anatomia, Giappone. 525
Diritti sociali
251
Sotto il regime zarista
Il servaggio era abolito. Ma due secoli e mezzo di schiavitù avevano generato tutto un mondo di abitudini e di usi [...]. Si osservava dappertutto il
disprezzo dell’individuo, il dispotismo dei padri, la sottomissione ipocrita
delle spose, delle Àgliole e dei Àgli. All’inizio del XIX secolo, il dispotismo regnava nei costumi di tutta l’Europa occidentale [...] ma in nessun
luogo si sviluppava come in Russia. La vita russa tutt’intera ne era penetrata; i rapporti famigliari, i rapporti tra superiori e subordinati, ufÀciali e
soldati, padroni e servi ne offrivano degli esempi. Era un mondo composto
di abitudini e di usanze, di modi di pensare, di pregiudizi e di bassezza morale, che era sviluppato in un terreno nutrito di ozio. Anche i migliori tra gli
uomini di quest’epoca pagavano un largo tributo a questi costumi ereditati
dal servaggio, contro cui la legge si era rivelata impotente.
Solo un grande movimento sociale che tagliasse il male alla sua radice poteva riformare le abitudini e le usanze della vita quotidiana. Questo
movimento, questa lotta per i diritti dell’individuo prese in Russia un carattere molto più potente, più implacabile nella sua negazione (dell’ordine
stabilito) che in ogni altro paese. Nel suo notevole romanzo “Padri e Àgli”,
Turgheniev diede a questo movimento il nome di “nichilismo”.
Pëtr Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario, 1899 (tradotto dall’inglese), Russia.
526
L’altra nobiltà
Oreste parla
Ah! Non vi è alcun segno sicuro della virtù e il disordine regna nelle nature che hanno in comune gli esseri umani. Ho già visto il Àglio di un padre
generoso mostrarsi uomo da nulla e dei Àgli nobili nascere da genitori vili.
Ho visto presso l’uomo ricco la penuria di spirito e la grandezza d’animo
nel corpo di un povero e allora quale segno scegliere per un sano giudizio?
La ricchezza? Si prenderebbe un ben cattivo giudice. L’indigenza? Ma vi
è una tara nella povertà e il bisogno è per l’uomo la scuola del male. Devo
riferirmi all’armatura? Chi, vedendo una lancia, oserebbe testimoniare che
colui che la porta è valoroso? La cosa migliore in mezzo a questa confusione è quella di lasciare che regni il caos.
Vedete quest’uomo: non è un grande in Argo, non si inorgoglisce dello
splendore di un bel nome, e, sebbene uomo del popolo, egli ha rivelato
la sua virtù. Ascoltate la ragione, voi che vi lasciate traviare da una folla
di vani pregiudizi, ed è osservando la loro condotta e il loro carattere che
giudicherete della nobiltà dei mortali.
Euripide (V sec. a.C.), Elettra.
527
252
Il diritto di essere un uomo
Gerarchia corretta
Il saggio domandò allo Spirito di saggezza: “Come è possibile preoccuparsi del mantenimento e della prosperità del corpo senza danno per l’anima, e della preservazione dell’anima, senza danno per il corpo?”.
Lo Spirito di saggezza rispose: “Colui che è meno di te, consideralo
come tuo uguale; colui che è tuo uguale, come tuo superiore; colui che è
più grande di te, come un capo; e un capo come un sovrano.
“Con i sovrani bisogna essere docili, obbedienti e sinceri. Coi colleghi,
sii sottomesso, dolce e buono”.
Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia. 528
I veri criteri
Non è la nascita che fa il bramino o il non-bramino:
Lo si diventa con la vita e la condotta.
È la loro vita che fa i contadini, i negozianti e i servi;
È essa che fa i ladri, i soldati, i sacerdoti e i re.
Così, il saggio scopre la causa che spiega l’origine dell’esistenza,
Così egli discerne ciò che ha preceduto, e ciò che seguirà.
Ogni uomo ha la sorte che chiama il suo passato,
Come il carro segue il cammino tracciato dalla strada.
Sono la rinuncia, la vita santa e padronanza di sé
Che fanno il vero bramino.
Sutta Nîpâta (Le formule), India del sud e Ceylon, tradotto dal
pali.
529
Sentimento dell’uguaglianza umana
Vedo Àno a quali limiti va la necessità naturale; e, considerando il povero
mendicante che si trova alla mia porta, spesso più allegro e più sano di me,
mi pongo al suo posto, cerco di adattare la mia anima alla sua condizione. E,
considerando in tal modo gli altri esempi, checché io pensi della morte, della
povertà, del disprezzo e della malattia, mi decido facilmente a non spaventarmi di ciò che una persona minore di me accetta con tale pazienza. E non
posso credere che la povertà dell’intelletto possa più del vigore.
Montaigne (1580-1588), Essais.
530
Le anime degli Imperatori e dei ciabattini sono gettate nella stessa macina. Considerando l’importanza delle azioni dei principi e il peso che hanno,
ci persuadiamo che esse sono prodotte da qualche causa tanto potente e
importante. Ci sbagliamo: esse sono condotte avanti e indietro nei loro
movimenti dalle stesse molle che fanno muovere noi. La stessa ragione
Diritti sociali
253
che ci fa bastonare un servo, se ha luogo in casa di un Re, gli fa rovinare la
sua provincia. Essi hanno una volontà debole come la nostra, ma sono più
potenti. Uguali stimoli agitano un animaletto e un elefante.
Montaigne (1580-1588), Essais.
531
Ogni uomo, nel fondo del suo cuore, ha il diritto di credersi completamente uguale agli altri uomini; non ne consegue da ciò che il cuoco di
un cardinale debba ordinare al suo padrone di preparargli il pranzo; ma il
cuoco può dire: “Sono un uomo come il mio padrone; sono nato come lui
piangendo; egli morirà come me nelle stesse angoscie e le stesse cerimonie. Siamo soggetti tutti e due alle stesse funzioni animalesche. Se i Turchi
s’impadroniscono di Roma, e se allora io sono cardinale e il mio padrone
cuoco, lo prenderò al mio servizio”. Tutto questo discorso è ragionevole
e giusto; ma aspettando che il Grande Turco s’impadronisca di Roma, il
cuoco deve fare il suo dovere, oppure tutta la società umana è pervertita.
Voltaire, Dizionario ÀlosoÀco, riveduto nel 1771.
532
Testo scritto in prigione, in Germania, dopo la lettura di un passo delle
“Leggi” di Platone
Durante gli intervalli di un interminabile allarme del 23 febbraio 1945.
“Ci sono due specie di eguaglianze che si rassomigliano in quanto al
nome, ma che nella realtà sono molto diverse. L’una consiste nel peso,
nel numero e nella misura: non vi è alcun Stato, alcun legislatore al quale
non sia facile farla passare nella distribuzione degli onori, lasciandoli alla
disposizione della sorte. Ma non accade così della vera e perfetta uguaglianza, che non è facile a essere conosciuta da tutti. Il suo discernimento
appartiene a Giove e di esso si trova ben poco tra gli uomini. E per di
più quel poco che se ne trova, sia nell’amministrazione pubblica che nella
vita privata, produce tutto ciò che vi si fa di bene. Essa dona di più a chi
è grande, meno a colui che è più piccolo, all’uno e all’altro nella misura
della sua natura. Proporzionando in tal modo gli onori al merito, essa dona
i maggiori a coloro che hanno virtù e i minori a coloro che hanno minor
virtù ed educazione. Ecco in che cosa consiste la politica giusta, alla quale
dobbiamo tutti tendere, mio caro Clinias, avendo sempre gli occhi rivolti a
questa uguaglianza nella costituzione della nostra nuova colonia. Chiunque
penserà a fondare uno Stato deve proporsi lo stesso scopo nel suo piano di
legislazione e non già l’interesse di uno o di più tiranni oppure l’autorità
della moltitudine, ma sempre la giustizia, che, come abbiamo detto or ora,
non è altro che l’uguaglianza stabilita tra le cose inuguali conformemente
alla loro natura [...]”.
254
Il diritto di essere un uomo
Questo passo di Platone [...] non è oscuro, né contraddittorio [...]. Più
che un’oscurità, vedo in esso una specie di luccichio (di cui credo saper
discernere la causa, che noterò). Platone distingue due nozioni molto differenti nell’uguaglianza. Da una parte l’uguaglianza-equivalenza, l’uguaglianza che si traduce con una identità aritmetica e che consiste “nel peso,
nel numero e nella misura”. In questa accezione, l’uguaglianza non conosce, nega o tende ad annullare la diversità, la varietà degli individui, cioè le
ineguaglianze naturali; essa le sottomette tutte, volenti o nolenti, alle stesse
regole di misura, di numero e di peso. Dall’altra parte l’uguaglianza-equità,
che accetta il “materiale” umano quale è, che riconosce come fatto principale la diversità, la varietà, e di conseguenza l’inuguaglianza intrinseca dei
dati umani e che si manifesta, non con l’uniformità numerica, ma con la
giusta proporzione mantenuta tra i dati umani inuguali. “Essa dona di più a
colui che è grande, di meno a colui che è piccolo”.
“La Giustizia, conclude Platone, non è altro che l’uguaglianza stabilita
tra le cose inuguali, conformemente alla loro natura”. E questa deÀnizione
mi sembra ammirevole. La giustizia, l’uguaglianza consistono nel mantenere la proporzione tra la natura e la società e, di conseguenza, a non
tollerare nella società altre ineguaglianze all’infuori di quelle che sono l’espressione delle ineguaglianze naturali.
Nulla è più chiaro, volete forse che io non conosca questo testo? [...].
Ho sempre ritenuto che l’uguaglianza fosse il rispetto esatto della varietà
e, di conseguenza, dell’inuguaglianza naturale. Le formule dell’uguaglianza sono, non già “Tutto alla tesa” (antica misura di lunghezza italiana e
francese)”, “‘Tutto nel medesimo sacco”, ma “Ognuno al suo posto” e “A
ognuno quel che gli è dovuto”.
Questo concetto di uguaglianza è completamente rivoluzionario. Perché la società fosse equa, cioè rispettosa della prima distribuzione ritenuta
giusta, bisognerebbe che dopo una iniziale divisione tra le cose inuguali, le
ineguaglianze individuali fossero integralmente e indeÀnitamente trasmissibili di generazione in generazione. La società sarebbe allora “uguale”,
sebbene ripartita in caste. Ma le diversità individuali non sono ereditarie,
mentre le preferenze o i vantaggi sociali, annessi alle superiorità personali, continuano a trasmettersi sotto forme multiple. Eliminare dalla società
tutte le ineguaglianze che non esprimono le ineguaglianze individuali, rappresenta esattamente la rivoluzione. Ho spesso ripetuto, in questo senso,
che la rivoluzione poteva contenersi in due leggi: una la legge sull’eredità
e l’altra sull’educazione. Una legge sull’eredità, per far “partire” da una
uguaglianza ognuno degli individui che compongono una generazione.
Una legge sull’educazione, o piuttosto sull’ostentazione sociale, per setac-
Diritti sociali
255
ciare, classiÀcare, coltivare l’inÀnita varietà dei temperamenti “inuguali”,
e per ristabilire l’uguaglianza designando ogni individuo al compito sociale che la sua vocazione naturale gli destina.
………
La fratellanza, comunque la si intenda, non viene prima dell’uguaglianza. Deriva da essa. Non vi è fraternità possibile se non tra uomini liberi e
uguali. Libertà e uguaglianza (cioè Giustizia) anzitutto. La fraternità viene
in seguito, come una conseguenza.
Donde viene la Ànta oscurità, cioè il luccichio? Dalla stessa confusione
tra il Sociale e il Politico, che ho segnalato con tanta insistenza a proposito
del concetto di rivoluzione. Bisogna distinguere tra uguaglianza sociale e
uguaglianza politica come pure tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale [...]. Per Platone, l’uguaglianza sociale è la vera e l’uguaglianza politica
è la falsa. Per questo può essere al tempo stesso aristocratica o antidemocratica e comunista.
È giusto che in un certo senso l’uguaglianza politica, principio della
democrazia, disconosca il dato di fatto delle ineguaglianze naturali. Il
popolo è sovrano. Per riconoscere la volontà del sovrano, la regola della maggioranza è la sola ammissibile, o anche la sola concepibile e, per
la composizione della maggioranza, tutte le unità civiche sono necessariamente considerate come equivalenti. È questa la falsa uguaglianza di
Platone, quella che si traduce con il numero, il peso e la misura, quella che
postula un’identità aritmetica tra gli individui. Da ciò l’eterna obiezione
[...]: “la democrazia, regime dell’incompetenza”, il parere elettorale dello
straccivendolo d’Aubervilliers, valutato proprio come quello di Renan, o
di Pasteur, ecc. [...].
È vero che in materia politica l’uguaglianza è la “falsa uguaglianza”, l’uguaglianza inadeguata, ma è necessariamente così, a differenza di quanto
accade (o può o deve accadere) in materia sociale. Perché? Perché, mentre
il regime sociale può tener conto e trarre proÀtto dalla varietà dei temperamenti individuali, in ragione della sua stessa complessità, uguale a quella della natura, ogni regime politico, qualunque sia, ha per caratteristica
predominante l’uniformità, l’universalità, la generalità. Non vi può essere,
in ogni materia, se non una medesima legge per tutti, e, di conseguenza,
ogni legge e ogni sistema politico implicano la subordinazione di una certa
quantità di volontà individuali alla volontà collettiva. L’uguaglianza vera
resta irrealizzabile. Ogni uguaglianza resta inadeguata (come del resto la
stessa libertà). La questione è di sapere: 1) se questa uguaglianza inadeguata non è preferibile all’anarchia pura, poiché non vi è altra scelta [...];
2) se, per realizzare questa uguaglianza inadeguata, cioè per determinare
256
Il diritto di essere un uomo
la volontà sovrana, esista un procedimento migliore e più equo della legge
del numero, del postulato dell’identità aritmetica tra le unità civiche. E, in
verità, per parte mia non ne vedo.
Ma è essenziale notare che i vizi e gli effetti nocivi di questa mancanza
di adeguamento dell’uguaglianza politica sarebbero attenuati al punto da
diventare trascurabili se si supponesse risolta l’uguaglianza vera in materia
sociale, cioè in regime socialista, poiché:
1. questo regime determina l’elevazione progressiva e costante del livello generale;
2. la selezione sociale, come ho già detto, è il mezzo migliore per formare le élite politiche;
3. la gestione propriamente politica dello Stato perde progressivamente
della sua importanza. Essa si confonde sempre più con l’amministrazione.
Una democrazia sociale che riposa sulla vera uguaglianza andrà dunque
d’accordo senza fatica con una democrazia politica, fondata su quella “falsa”, e non potrà accordarsi con alcun altro regime politico.
Ecco, io credo, quello che è più giusto, o che completa oppure che spiega.
Se distinguiamo ben chiaramente tra uguaglianza politica e uguaglianza sociale, ci renderemo conto che la prima non può essere altro che
l’uguaglianza-equivalenza, perché è l’espressione o la sensazione di diritti che sono realmente equivalenti oppure identici per tutti gli individui.
Alla base, come infrastruttura di ogni collettività, si collocano un certo
numero di diritti elementari, essenziali, i diritti dell’uomo, e del cittadino
se si vuole, che tutti gli individui possiedono al medesimo titolo e allo
stesso grado e secondo i quali la nozione del più e del meno non ha alcun
signiÀcato, perché il loro esercizio non varia secondo il più o il meno di
merito personale, il più o il meno di utilità sociale. A questo riguardo,
tutti rappresentano realmente delle unità civiche equivalenti e identiche
in peso, in misura... È pertanto perfettamente legittimo che il sistema
politico riposi sulla “falsa uguaglianza” di Platone, che riferita a esso
diventa vera. Riposando su questa base, s’innalza, si distende allora il
sistema sociale, che non è altro che l’organizzazione collettiva del lavoro
e della produzione. Da questo punto di vista, non si tratta più di assicurare a tutte le unità sociali l’esercizio di identici diritti, ma d’impiegare
nel miglior modo possibile, per la complessità dei compiti sociali, dei
bisogni sociali, la diversità inuguale dei temperamenti individuali; e, di
conseguenza, la “vera uguaglianza” di Platone riprende il suo posto... È
d’altronde perché la “vera uguaglianza” riposa sulla “falsa”, perché la
diversità dei compiti (e di conseguenza dei vantaggi materiali e mora-
Diritti sociali
257
li, delle condizioni) riposa sull’identità assoluta dei diritti elementari, le
élite sorte dalla selezione per la direzione, l’organizzazione, il comando,
non rischieranno di diventare delle aristocrazie, e lo spirito ugualitario
sarà preservato nelle gerarchie della vera uguaglianza.
Léon Blum, 1945, Francia.
533
Proprietà
Cose
Le cose sono o di diritto divino o di diritto umano; tale la loro principale
divisione. Nella classe delle prime stanno le cose sacre e quelle religiose;
vi si comprendono ancora delle cose sante, come i muri; le porte della città
appartengono così in qualche modo al diritto divino. Le cose di diritto divino non appartengono a nessuno: le cose di diritto umano ordinariamente
hanno un padrone. Esse possono tuttavia non averne alcuno, ad esempio le
cose che dipendono da una successione non appartengono a nessuno Àno a
che non esista un erede. Le cose di diritto umano sono o pubbliche o private. Non si suppone affatto che le cose pubbliche abbiano un padrone; esse
appartengono a tutti. Le cose private appartengono ai privati.
Istituzioni di diritto di Gaio, 150 d.C., Roma.
534
Proprietà collettiva
La divisione dei beni e i modi di appropriazione
Ed ecco le cose che sono comuni a tutti per diritto naturale: l’aria, l’acqua che scorre, il mare, e di conseguenza le rive del mare.
… Le cose che appartengono a un corpo sono quelle che non appartengono a ciascun membro in particolare; e queste sono le città, i teatri, le
strade e le altre cose comuni.
Codice di Giustiniano, imperatore d’Oriente, 533 d.C.
535
A proposito delle “spese di manutenzione” fatte da un proprietario in
mala fede
Il governatore della provincia ordinerà che la casa che tu dimostri appartenerti, in virtù della successione di tua madre, e che è stata ingiustamente occupata dalla parte avversa, ti sia restituita con gli afÀtti che sono
stati percepiti o che potrebbero esserlo, e con la riparazione di ogni danno
causato.
Codice Gordiano, 239 d.C., Roma.
536
258
Il diritto di essere un uomo
Proprietà
Se gli si danno i beni di suo padre, è la vita.
Se gli si tolgono i beni di suo padre, è la morte.
(La più grossa ingiustizia che si possa commettere è quella di privare
qualcuno della terra patrimoniale).
Giudizio iniquo, povero spogliato.
Proverbi amarici, Etiopia.
537
Distribuzione delle terre
Gli adulti maschi riceveranno 20 meu di terra per sempre e 80 meu a
titolo di lotto personale. Gli adolescenti maschi, di diciott’anni o più, riceveranno terre alle stesse condizioni degli adulti. I vecchi, gli infermi e
gli invalidi riceveranno 40 meu a titolo di lotto personale; le mogli e le
concubine vedove avranno 30 meu di assegnazione personale. Se i loro
antenati hanno posseduto terre per l’eternità, queste saranno calcolate nei
lotti personali. Quando dei neonati, dei bambini, dei vecchi, degli infermi
o degli invalidi dell’uno o dell’altro sesso, oppure delle vedove, sono capifamiglia, riceveranno in ogni caso 20 meu di terra per l’eternità e 20 meu a
titolo di assegnazione personale [...].
In tutti i casi di contestazione, quando è stato concluso un accordo, colui che ha già lavorato e piantato avrà il prodotto del raccolto, anche se la
decisione è in seguito annullata. Quando la terra è stata lavorata, ma non
vi si è ancora piantato nulla, il nuovo proprietario rimborserà il prezzo
dell’aratura.
Leggi fondiarie (dinastia T’ang, 618-907), Cina.
538
Contro coloro che opprimono il popolo
Voi avete devastato la vigna;
le spoglie del povero sono nelle vostre case.
Perché mai opprimete il mio popolo,
stritolate la faccia dei poveri?
Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
Ànché non vi resti più spazio
e voi restiate soli ad abitare nel mezzo del paese.
Bibbia ebraica, Isaia, 3 e 5.
539
L’uomo non godrà che i frutti del suo sforzo.
Corano, An-Nadjm, 39.
540
Diritti sociali
259
Colui che si è impadronito ingiustamente di una terra – anche se questa
misurasse soltanto la larghezza di una mano – costui si piegherà, il giorno
del giudizio, sotto il giogo di sette terre.
Chi ha reso viva una terra, che recava in sé la propria morte, questa terra
spetta a lui e nessun altro ne ha diritto.
Hadith (Detti del Profeta).
541
Colui che fa delle differenze tra i suoi Àgli
Non vivrà un anno (Dio lo punirà).
Proverbio amarico, Etiopia.
542
Uguaglianza all’inizio della vita
Limitare il numero dei propri Àgli o uccidere uno di quelli che nascono
dopo gli eredi, passa per un delitto vergognoso, e laggiù i buoni costumi
hanno maggior valore che altrove le buone leggi [...]. In ogni famiglia essi
crescono, nudi e sporchi, Àno a raggiungere quella ossatura, quei corpi che
ci meravigliano. La madre nutre ella stessa i suoi Àgli al seno ed essi non
vengono afÀdati a serve o a nutrici. Nessuna rafÀnatezza distingue l’educazione del padrone da quella dello schiavo: essi vivono mescolati agli stessi
animali, dormendo sul medesimo terreno, Àno a che l’età separi quelli che
sono liberi, e la virtù li riconosca per suoi.
Tacito, Germania, 98 d.C., Roma.
543
Gli abitanti di Cuba
Essi ritengono per certo che la Terra, come il sole e l’acqua, appartengono a tutti, e che non deve esistere né “il mio” né “il tuo”, nozioni che
generano tutti i mali; essi si accontentano dunque di poco [...]. Per essi è
l’età d’oro. Non circondano le loro proprietà né con fossati, né muri, né
siepi; vivono in giardini aperti, senza leggi, senza libri e senza giudici:
venerano per natura ciò che è giusto; ritengono cattivo e perverso colui che
si compiace di arrecare ingiuria ad altri.
Racconti di esploratori, raccolti da Pedro Martire d’Anghiera, storico
italiano, precettore alla Corte di Spagna, 1511.
544
Preghiera
Possa io mettere, o mio Dio, una sentinella sulla soglia della mia coscienza, afÀnché la mia terra non gridi mai contro di me e i suoi appezzamenti non si mettano mai a piangere a causa della mia ingiustizia verso i
miei servi; a causa della fatica troppo pesante, a mala pena sopportabile,
che io avrei loro imposto, al di là di quanto mi è dovuto; o perché io avrei
260
Il diritto di essere un uomo
riÀutato a essi ciò che è loro dovuto; o perché avrei mancato di dare ai miei
giornalieri la giusta mercede [...].
In che cosa sono io più degno di chi mi è sottomesso? Non sei forse tu il
medesimo che hai creato ognuno di loro e che hai creato me? Non sei forse
tu che li hai formati nelle viscere materne, come me? Allora ricordandomi
di questo, possa io non estendere indebitamente il mio potere su di loro e
non trascinarli ad atti biasimevoli; possa io al contrario accontentarmi di
quanto mi devono, cedere piuttosto qualcosa dei miei diritti e, ogni volta
che sarà possibile, alleggerire la loro sorte, invece di essere lieto – nell’esercizio del mio potere e della mia forza – della loro povertà senza via
d’uscita e di caricarli di fardelli insopportabili. Possa io non trattarli come
bestie, ma ricordarmi che sono uomini, creati a Tua immagine, e nati come
me. Che essi non debbano, per causa mia, sospirare verso di Te, per il
timore che Tu non li ascolti e che Tu non vendichi su di me il torto che io
avrei fatto loro [...].
Possa io non inÀerire mai sui loro diritti; e possa io non togliere loro
giammai le libertà che essi hanno avuto da me e dai miei antenati, ma al
contrario accrescerle quando occorre. Perché, allo stesso modo che io sono
inebriato della mia più grande libertà quale nobile, ugualmente essi lo sono
della loro cara piccola libertà, per quanto ristretta essa sia. E ciò che mi
dispiace, non lo debbo fare ad altri.
Jan Stoinski (1590-1654), nobile polacco.
545
Limitazione della proprietà
Quest’uomo, nella sua grande saggezza, ha facilmente previsto senza
dubbio, che il solo e unico mezzo per assicurare il benessere generale consiste nell’osservare l’uguaglianza in ogni cosa, ma io dubito che questa
uguaglianza possa mai essere mantenuta là dove esiste la proprietà privata.
Quando ognuno cerca di assicurarsi la proprietà assoluta di tutti i beni che
può acquisire, per quanto grande sia la massa delle ricchezze, queste sono
suddivise soltanto fra un piccolo numero di persone, mentre le altre restano
nella povertà. Accade, in generale, che questi ultimi siano altamente degni
della sorte dei primi, perché i ricchi sono avidi, privi di scrupoli e inutili,
mentre i poveri sono modesti, semplici, e, col loro lavoro quotidiano, fanno di più per il bene pubblico che per se stessi... Benché io riconosca che
questa situazione può essere migliorata in una certa misura, sostengo che
non può sparire completamente. Si potrebbe decretare che nessuno debba
possedere più di una certa quantità di terre, né una fortuna superiore a una
somma Àssata per legge. Leggi speciali potrebbero essere promulgate per
impedire che il sovrano sia troppo potente e il popolo troppo arrogante, che
Diritti sociali
261
le cariche dei magistrati siano commerciabili, che possano essere vendute
e che comportino spese personali eccessive.
Thomas More, Utopia, 1516, Inghilterra.
546
Proprietà della terra
Quinto: (gli indiani) abbiano le loro proprie case e terre, come giudicheranno giusto coloro che governano e governeranno in seguito le Indie,
e che si dia loro il tempo di lavorare, di valorizzare e di coltivare queste
terre a modo loro.
Rapporto all’Assemblea dei teologi e dei giuristi, riunita a Burgos (Spagna) nel 1512.
547
I beni degli Indiani
La Regina al nostro governatore e capitano generale della provincia di
Santa Maria, agli altri capitani e alle persone che sono considerate nel seguente testo del presente decreto, e a ciascuno di voi: “Ho saputo che accade sovente, quando gli Spagnoli s’inoltrano all’interno delle terre di questa
provincia, (che) gli Indiani fuggano dai loro villaggi, nel timore di essere
maltrattati dai detti Spagnoli, e che lascino deserte le loro case, e i loro
beni nascosti sotto terra, e sono stata supplicata e implorata di ordinarvi per
pietà di non tollerare né permettere che gli Spagnoli prendano ciò ch’essi
hanno così nascosto, distruggendo e asportando dalle loro case stoffe, completi di piume, ornamenti e altri oggetti che per questi Spagnoli non hanno
alcun valore, ma ai quali essi (gli indigeni) tengono molto, in modo che
restano scandalizzati e nutrono un grande odio contro i detti Spagnoli [...].
Per questo, io vi ordino di non tollerare né permettere che alcuno derubi
i predetti Indiani, prenda loro gli oggetti citati, attenti alle loro persone o
ai loro beni, oppure riceva da loro più di quanto essi sono pronti a dare
spontaneamente”.
Decreto reale del 5 aprile 1530, Spagna.
548
Riparazione
Atteso che il capitano Diego de Agüero, mio padre, (che Dio accolga la
sua anima) è stato uno di coloro che hanno un tempo assicurato la conquista, il popolamento e la salvaguardia di questi regni, che ha contribuito a
porre e a mantenere al servizio di Dio e sotto l’autorità della Maestà Vostra
e della Corona reale di Spagna, a titolo personale e adempiendo agli incarichi che gli sono stati afÀdati dal marchese Francisco Pizarro, che fu governatore di queste province; benché egli abbia sempre agito in buona fede,
credendo che la citata conquista fosse legittima e che i proÀtti che essa gli
262
Il diritto di essere un uomo
aveva procurato fossero leciti, io ritengo che mio padre ha contratto una
responsabilità e un obbligo, sia per non aver rispettato in questo l’ordine e
tutto quanto era necessario a giustiÀcare i suoi atti, sia per aver commesso
qualche eccesso, maltrattando gli indigeni e spogliandoli illecitamente di
alcuni beni, oppure in altri modi e con altri mezzi; e io, che sono suo Àglio
e sono obbligato a scaricarmi la coscienza, volendo riparare, cancellare e
compensare tutti questi torti per il bene della sua anima, mi sono sforzato di
sapere in modo certo e preciso quant’era l’ammontare della somma di cui
egli poteva essere debitore per le ragioni che ho detto. Da quanto mi è stato
riferito, da coloro che un tempo avevano preso parte alla detta conquista
con mio padre risulta (... che i beni ch’egli ha lasciato...) possono e devono
essere dedicati al pagamento della detta somma Àno alla concorrenza della
detta somma di [...] quattromila pesos, ho quindi deciso, per la ragione su
esposta, che i beni che mio padre ha lasciato e che io ho ereditato [...] debbono essere restituiti (agli indigeni).
Restituzione fatta dal capitano Diego de Agüero, Lima il 23 marzo
1560.
549
Norme che regolano l’agricoltura presso gli Inca
Poiché le loro terre erano aumentate, essi misuravano tutte quelle che
possedeva la provincia; ogni villaggio misurava le sue e ne facevano tre
parti: una per il sole, un’altra per il re, e la terza per il popolo. Questa ripartizione era sempre fatta in modo che la gente del popolo avesse un pezzo
di terra sufÀciente per poter seminare: piuttosto troppo grande che troppo
piccolo. E quando la popolazione del villaggio o della provincia aumentava, essi prendevano un pezzo della parte del sole e della parte dell’inca
(dei re) per darlo ai vassalli, in modo che il re non prendeva per sé e per il
sole se non le terre che dovevano restare deserte e senza proprietario [...].
Per lavorare e coltivare le terre, esistevano ugualmente regole precise. Essi lavoravano innanzi tutto le terre del sole, poi quelle delle
vedove e degli orfani, come pure quelle dei vecchi e degli invalidi; tutti
costoro erano considerati poveri e, di conseguenza, l’Inca comandava
che si lavorassero le loro terre. Esistevano in ogni villaggio, o in ogni
quartiere, se il villaggio era grande, uomini incaricati soltanto di far
coltivare le terre di quelli che noi chiamiamo poveri; questi uomini
erano designati col nome di Ilactamayu, cioè scabino del villaggio. Essi
avevano cura, al momento dell’aratura, della semina e del raccolto dei
frutti, di salire di notte su torri costruite a questo scopo; là suonavano
la tromba o il corno per attirare l’attenzione, e gridavano ad alta voce:
“Il tal giorno si arano i campi degli invalidi; ciascuno si rechi nel luogo
Diritti sociali
263
che gli è stato assegnato”. Gli abitanti di ogni circoscrizione sapevano
già, grazie al censimento che era stato fatto, su quale terreno dovevano
recarsi; erano generalmente quelli dei loro parenti o dei loro vicini più
prossimi. Ciascuno doveva portarsi da mangiare da casa sua, perché gli
invalidi non dovessero preoccuparsi di servire loro un pasto. Si diceva
che i vecchi, i malati, le vedove e gli orfani ne avevano abbastanza della
loro disgrazia, senza doversi curare di quelle altrui. Se gli invalidi non
avevano sementi, se ne prelevava per loro dai grani pubblici [...]. Il
consiglio municipale si incaricava anche di far coltivare, durante la loro
assenza, le terre dei soldati partiti per la guerra, come pure quelle delle
vedove. Questo servizio veniva reso loro come a persone bisognose. Si
dedicava molta cura all’educazione dei Àgli di coloro che morivano in
guerra, Àno a quando essi fossero sposati.
Una volta lavorate le terre dei poveri, ognuno lavorava la propria, aiutandosi gli uni gli altri, a turno. In seguito lavoravano quelle del cacicco,
che dovevano essere lavorate per ultime in ogni villaggio.
Ultimissime fra tutte venivano lavorate le terre del re: venivano coltivate in comune, come quelle del sole. Gli indiani vi andavano generalmente tutti insieme, in grande allegria e festosamente, vestiti dei loro
paramenti più belli, con ornamenti incrostati d’oro e d’argento, che riservavano per le grandi feste, e col capo ornato di grandi piume. Al momento dell’aratura (lavoro che essi allora preferivano), cantavano numerosi
canti che essi componevano in lode dei loro re; il lavoro si trasformava
per essi in festa e in allegria, perché lo compivano al servizio del loro Dio
e dei loro re. Sulle terre in cui l’acqua per innafÀare era scarsa, la distribuivano per ordine e secondo razioni (come tutte le altre cose che erano
divise fra loro), afÀnché non vi fossero litigi fra gli Indios al momento di
prelevarla. Essi misuravano l’acqua, e siccome sapevano per esperienza
il tempo che era necessario per innafÀare una determinata parte di terra,
assegnavano a ogni Indio un certo numero di ore, calcolato largamente
secondo la superÀcie delle loro terre. Non vi era nessuna preferenza per
il ricco o il nobile, né per i familiari né per i parenti del cacicco, né per
il cacicco stesso, né per il ministro governatore del re. Chi, per negligenza, non Àniva di innafÀare la sua terra nel lasso di tempo che gli era
stato assegnato, veniva castigato con l’oltraggio seguente: lo colpivano
in pubblico con tre o quattro colpi di pietra nella schiena, o gli frustavano
le braccia e le gambe con grossi rami di vimini, per punirlo della sua pigrizia e della sua indolenza, difetti molto biasimevoli ai loro occhi.
Garcilaso de la Vega (l’Inca), Commentario reale o Storia degli Inca, re
del Perù, 1608-1609.
550
264
Il diritto di essere un uomo
Salvaguardare la vita, la libertà e i beni
Riguardo allo stato di natura. Per comprendere bene in che cosa consiste il potere politico e risalire alla sua origine, bisogna considerare lo stato
nel quale tutti gli uomini naturalmente si trovano, cioè uno stato in cui
essi hanno completa libertà di ordinare le loro azioni e di disporre dei loro
beni e delle loro persone nel modo da loro preferito, nei limiti della legge
naturale, senza chiedere permessi a nessuno, né dipendere dalla volontà di
alcuno.
È anche uno stato di uguaglianza, nel quale tutti i poteri e le attribuzioni
sono reciproci, e nessuno ne ha più di un altro; infatti, nulla di più naturale
che gli individui della stessa specie e dello stesso rango, nati per godere
degli stessi vantaggi naturali, e usare le stesse facoltà, senza distinzione,
siano anche uguali fra loro, senza subordinazione né soggezione.
John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra.
551
Ragion d’essere dei governi
Se l’uomo allo stato di natura è libero come abbiamo detto, se egli è il
padrone assoluto della sua persona e dei suoi beni, se è uguale ai più grandi
e non è sottomesso a nessuno, perché dovrebbe egli rinunciare a questa
libertà, abbandonare quest’impero e sottomettersi al dominio e all’autorità
di un altro potere? La risposta è evidente: perché l’uomo abbia un simile
diritto allo stato di natura, il godimento di questo diritto è molto incerto e
sempre esposto alle usurpazioni di altri uomini; perché, se tutti sono ugualmente sovrani come lui, se ogni uomo è suo uguale, e se la maggior parte
degli uomini non rispetta strettamente l’equità e la giustizia, il godimento
dei beni ch’essi possiedono (in questo stato di cose) è ben poco sicuro e
mal garantito. Per questo, egli è disposto a lasciare una condizione la quale,
benché libera, è piena di timori e di pericoli continui, e non senza ragione
egli cerca di associarsi ad altri, che si sono già riuniti, o che hanno l’intenzione di unirsi, per la salvaguardia reciproca della loro vita, della loro
libertà e dei loro beni – ciò che io indico col termine generale di proprietà
– ed è prontissimo a farlo.
Di conseguenza, il Àne principale cui gli uomini mirano, quando si uniscono in repubblica e si sottomettono a un governo, è quello di salvaguardare le loro proprietà; questa protezione è ben lungi dall’essere assicurata,
allo stato di natura.
... Il potere supremo non può togliere a nessun uomo una parte della
sua proprietà senza il suo consenso; dato che, infatti, la salvaguardia della
proprietà è il Àne del governo e che proprio a questo scopo gli uomini si
raggruppano in società, questo presuppone ed esige necessariamente che
Diritti sociali
265
gli uomini possiedano dei beni; altrimenti bisognerebbe pensare che essi,
raggruppandosi in società, perdono ciò che li incita a unirsi, assurdità troppo grossolana per poter essere sostenuta da chicchessia.
,.. Ogni uomo nasce con un duplice diritto: in primo luogo, il diritto alla
libertà della sua persona, sulla quale nessun altro uomo ha potere e la cui
libera disponibilità gli appartiene; in secondo luogo, il diritto di ereditare
con i suoi fratelli i beni di suo padre, prima di ogni altro.
John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra. 552
Specie della proprietà
La proprietà della propria persona è il primo dei diritti. Da questo diritto primitivo deriva la proprietà delle azioni e quella del lavoro; perché il
lavoro rappresenta solamente l’utilizzazione delle facoltà di ognuno; esso
emana evidentemente dalla proprietà della persona e delle azioni.
La proprietà degli oggetti esterni, o la proprietà reale, non è, analogamente, che un seguito e come un’estensione della proprietà personale. L’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il frutto che mangiamo, si trasformano nella nostra propria sostanza, per effetto di un lavoro involontario o
volontario del nostro corpo.
Con operazioni analoghe, benché maggiormente dipendenti dalla volontà, io mi approprio di un oggetto che non appartiene a nessuno e di cui ho
bisogno, con un lavoro che lo modiÀca, che lo prepara all’utilizzazione da
parte mia. Il mio lavoro era mio; e lo è ancora: l’oggetto sul quale io l’ho
Àssato era mio come di tutti; era tuttavia più mio che degli altri, poiché io
avevo su di esso, più degli altri, il diritto di primo occupante.
Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789,
Francia.
553
Dio e la proprietà privata della terra
La terra non è stata creata dallo zar, ma da Dio. Dio l’ha data al primo
uomo, cioè a tutto il genere umano, perché la utilizzasse in comune. Per
la cattiveria degli uomini l’ordine stabilito da Dio è stato mutato, e oggi la
terra appartiene ai signori, e tutti gli altri la vedono solo attraverso loro [...].
È proibito tagliare un ramo secco! Il Signore dirà: “E mio! [...]”. Forse che
Dio ha fatto solo per i signori la terra, i prati, i boschi e i Àumi? Se tutto
questo è stato creato per tutti gli uomini, quando dunque Dio ne ha fatto
dono ai signori?
Discorsi di contadini molokani (setta religiosa in Russia) risalenti a circa
la Àne del XIX sec.
554
266
Il diritto di essere un uomo
Lavoro
Lavoro rimunerato per contratto
Ho costruito questa tomba per “pane-birra” (termine con cui viene indicata ogni ricompensa in natura) che ho consegnato a tutti gli artigiani
che vi hanno lavorato; quando ebbi dato, in oggetti diversi, la larghissima
ricompensa che avevano chiesto, essi me ne ringraziarono.
Iscrizione Antico Egitto, V dinastia, IlI millennio a.C.
555
Il cavapietre Pepi è stato soddisfatto del contratto che io avevo stipulato
con lui.
Iscrizione Antico Egitto, VI dinastia.
556
Iscrizione su di un blocco di pietra la quale indica che operai e artigiani
avevano il diritto di stare in giudizio quando avveniva un litigio
Dichiarazione del richiedente. Egli ha detto:
“Ho comperato questa casa, a titolo oneroso, dallo scriba Tchenti. ho pagato per essa 10 “shât” (oggetto in rame che serve da monetatipo), (cioè):
una stoffa (del valore) di 3 “shât”, un letto (del valore di 4 “shât”, una stoffa
(del valore) di 3 “shât”.
Esso fu Àrmato dinanzi (ai membri del) Consiglio della piramide di Cheope e a nume rosi testimoni: il macellaio Tchenti; i costruttori Ini e Râhotep; i membri del phylé Nemut e K(a)emipu; l’operaio carraio Mekhà; il
prete funerario Ini; il prete funerario Sabni; il prete funerario Niânkhor.”
I termini dell’accusa propriamente detta non sono stati riprodotti.
Iscrizione Antico Egitto, V dinastia, IlI millennio a.C.
557
Discorso di Ramses II agli operai che lavoravano nelle cave di pietra,
alle statue reali che dovevano essere innalzate a Eliopoli, nel tempio di
Ptah, a MenÀ e a Pi Ramses:
Ouser-Maât, setep-en-Rê, Ramses Meriamon stesso disse agli operai che
lavoravano nella cava: “O lavoratori scelti, valorosi e abili, che tagliate per
me monumenti in quantità; o voi, che onorate il lavoro della dura e nobile
pietra, che penetrate nel granito rosso e che siete abituati alla pietra-Bia, bravi
e forti costruttori, grazie ai quali, Ànché sarete in vita, io posso riempire tutti
i templi che costruisco; o uomini dabbene, infaticabili, che sorvegliate senza
posa i lavori, portando a buon Àne con cura l’opera vostra; voi che, dopo aver
riÁettuto, dite “Lo faremo”, recandovi a questo scopo nella montagna sacra;
abbiamo inteso bene ciò che stavate mormorando tra voi [...]. Io, Ramses
Meriamon, sono colui che fa prosperare le generazioni facendole vivere. Vi
Diritti sociali
267
sono dinanzi a voi provviste in abbondanza, sufÀcienti per soddisfare i vostri
desideri..Vi è attorno a voi cibo in quantità. ho soddisfatto le vostre necessità
in ogni modo, cosicché voi ora potete lavorare per me con affetto. Io sono
sempre il protettore dei vostri interessi. Le provviste che avete sono più pesanti del frutto del vostro lavoro, afÀnché, ben nutriti, voi diveniate (buoni
lavoratori); io conosco a fondo il vostro lavoro, e colui che lavora si rallegra
sempre se il suo ventre è ben riempito. I granai sono pieni di grano per voi
afÀnché non passiate neppure un solo giorno senza nutrimento. Ognuno di
voi è impegnato per un mese. Ho riempito per voi i magazzini di ogni sorta di
cose; pane, carne, dolci, per sostentarvi; sandali, abiti, unguenti vari perché
le vostre teste siano unte ogni dieci giorni, perché voi siate rivestiti a nuovo
ogni anno e abbiate sempre buoni sandali ai piedi. Non vi è nessuno tra voi
che passi la notte a sospirare perché è povero. Ho assunto molta gente afÀnché voi siate al riparo dal bisogno: dei pescatori per portarvi il pesce, dei
giardinieri per far crescere la vigna. Ho fatto fabbricare grandi vasi sul tornio
dei vasai per rinfrescare la vostra acqua durante la stagione calda. L’Alto
Egitto trasporta per voi verso il Basso Egitto, e il Basso Egitto trasporta per
voi verso l’Alto Egitto, farro, orzo, grano, sale e fave in grandissima quantità. Tutto questo l’ho fatto afÀnché voi siate prosperi mentre lavorate per me
come se aveste un solo cuore.”
Antico Egitto, XVIII dinastia, II millennio a.C.
558
Dignità del lavoro
ESORTAZIONE AI GIOVANI
Lavora! Taglia il legno, lavora la terra,
Pianta i cactus, semina il maguey;
E avrai di che bere, mangiare e vestirti.
Così potrai portare la testa alta.
Così potrai vivere.
Così sarai stimato e lodato;
Così ti presenterai ai tuoi parenti e al tuo prossimo.
Un giorno legherai la tua sorte a quella d’una donna,
Che cosa berrà? Che cosa mangerà?
Vivrà forse dell’aria del tempo?
Tu sei il sostegno, tu il conforto;
Tu sei l’aquila, tu sei la tigre.
Tradizione azteca (XV sec.), Messico.
559
Dignità per mezzo del lavoro
Colui che, avendo del riso sotto gli occhi, vuole procurarsene subito è simile al ladro e alla bestia. Bisogna procurarsene per rendersi degni d’essere
268
Il diritto di essere un uomo
uomini, dopo averne seminato i grani. Colui che, avendo beni e ricchezza
sotto gli occhi, vuole averli subito è simile al ladro e alla bestia. Bisogna
procurarseli, per rendersi degni d’essere uomini, dopo aver lavorato.
Sontoku Ninomiya (1787-1856), Lezioni della natura, Giappone. 560
Diritto al salario
Non defrauderai la mercede del povero e dell’indigente né tra i tuoi fratelli né tra i forestieri che si trovano nella tua terra, dentro le tue città. Ogni
giorno gli darai la sua mercede: su di essa non tramonterà il sole, poiché
egli è povero e a essa rivolge il desiderio.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24.
561
O Creatore del mondo dei corpi, o santo!
Qual è, in quinto luogo, l’uomo che rallegra la terra con la gioia più
grande?
Ahura Mazda rispose:
O Spitama Zarathustra, colui che, in completa pietà e bontà non paga
il fedele che lavora la terra quanto gli è dovuto, costui, Spenta-Armaiti (il
Genio della terra, offeso) sarà precipitato nelle tenebre, nel mondo ove è
dolore, nel mondo infernale; e lo farà cadere Àno al più profondo dell’abisso.
Avesta Vendidad (I sec. a.C - I sec. d.C.), Persia.
562
Condizioni di lavoro
Trattamento degli Indiani nell’America coloniale
In terzo luogo, Vostra Altezza può obbligarli a lavorare, ma questo lavoro deve essere tale da non impedire di istruirli sulle cose della fede ed
essere beneÀco per loro e per lo Stato.
………
Settimo, per il lavoro, essi devono ricevere un salario conveniente, non
in denaro, ma sotto forma di abiti e altri beni d’uso domestico.
Rapporto dell’Assemblea dei teologi e di giuristi riunita a Burgos (Spagna) nel 1512.
563
Parimenti, voi non dovete permettere che i religiosi, i sacerdoti o altre
persone obblighino degli Indiani a sorvegliare i loro greggi o a lavorare i
loro campi, le loro terre o le loro vigne, o a portare delle lettere da un luogo
a un altro, o a svolgere qualsiasi altro compito, senza pagare loro un salario
equo, e questo salario deve essere consegnato dinanzi a voi (il Corregidor)
agli stessi Indiani e non ai loro cacicchi.
Ordinanze del governatore del Perù ai corregidores, 1565.
564
Diritti sociali
269
Frutto del lavoro
Si dice che il campo appartiene a colui che, per primo, lo sgombera dagli
alberi, ecc. per coltivarlo; e il cervo appartiene a colui la cui freccia l’ha
toccato per primo.
Manusmriti (II sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
565
Benché la Terra e tutte le Creature inferiori siano comuni e appartengano
in generale a tutti gli uomini, tuttavia ognuno ha un diritto particolare sulla
propria persona, sulla quale nessun altro può avere pretesa alcuna. Il lavoro
del suo corpo e l’opera delle sue mani, possiamo dirlo, sono assolutamente
personali. Tutto ciò che egli ha tratto dallo stato di Natura con la sua fatica
e la sua attività appartiene a lui solo: perché, essendo questa fatica e questa
attività solamente e unicamente personali, nessuno potrebbe aver diritto
su ciò che è stato acquisito per mezzo di questa fatica e di quest’attività
se rimangono a sufÀcienza per gli altri cose analoghe e anche buone cose
comuni.
John Locke, Secondo saggio sul governo civile, 1690, Inghilterra.
566
Imposte
I buoni re, come le nuvole, non ricevono che per donare.
Kâlidâsa, IV (IV sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
567
Bhisma dice al re Yudhisthira:
Spero che i contadini, che in realtà hanno a carico il re (cioè il peso) e
assicurano anche il sostentamento degli altri uomini, non abbandonino il
tuo regno, perché eccessivamente oppressi.
Mahâbhàrata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 568
Nârada dice al re Yudhisthira:
Spero che i mercanti che vengono da lontano Àn nel tuo regno, attratti
dal guadagno, non siano costretti dai funzionari, la cui sussistenza dipende
dalle imposte, a pagare altre imposte, oltre quelle dovute.
Mahâbhârata, II (II sec. a.C - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
569
Esenzione dalle imposte
Una persona che conosce bene le scritture dovrebbe essere esentato dalle imposte, dovrebbero esserlo ugualmente le donne di ogni rango sociale; i ragazzi che non prestano ancora i segni dell’adolescenza, coloro che
vivono presso il loro maestro per studiare, coloro che fanno penitenza per
devozione al Dharma; una persona della classe più umile che ha per com-
270
Il diritto di essere un uomo
pito di lavare i piedi del suo padrone; i ciechi, i muti, i sordi e i malati; gli
asceti ai quali le scritture proibiscono di accettare denaro.
Apastamba Dharmasûtra, II (450-350 a.C.), tradotto dal sanscrito. 570
Imposte moderate
Il re deve trarre imposte dal suo regno come si estrae il miele da un favo
di miele, ma non deve disturbare le api. Egli deve (in qualche modo) mungere la mucca tenendo conto dei bisogni del vitello e non spremere troppo
le mammelle.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 571
Uguaglianza di fronte alle imposte
Per quanto riguarda l’ordine che veniva osservato nella ripartizione,
nell’esazione e nel pagamento delle imposte, poiché esisteva la suddetta divisione che l’Inca aveva fatto del suo popolo e l’ordine che aveva stabilito
per il suo governo, era molto facile applicarli alla divisione e all’esazione
delle suddette imposte, perché ciò che toccava a ognuno era chiaro e certo,
senza che vi fosse disuguaglianza né frode [...] e tutti erano uguali [...] e la
ripartizione era uguale in modo che nessuno ne fosse leso.
Hemando de Santillán, Relación... del gobierno de los Incas, 1563. 572
Lavoro spossante
Proibisco inoltre espressamente che gli Indiani o Indiane portino il minimo carico, anche se la necessità se ne fa sentire e i carichi sono leggeri, e
anche se gli Indiani lo accettano volontariamente e vi si prestano, soprattutto se si tratta di legno o di altri materiali che bisogna portare per costruire
le capanne nei ripartimenti, nei possedimenti e nelle fattorie, anche dietro presentazione di un’autorizzazione e di un ordine del corregidor della
presente provincia di Merida, corregidor degli indigeni, protettore, ecc., e
ordino che gli encomenderos, maggiordomi e altre persone abbiano cavalli
e muli per svolgere i servizi di cui essi potranno aver bisogno [...].
Inoltre, poiché si è visto, nel corso del presente viaggio, che i lavori ai
quali gli Indiani sono stati e sono assoggettati nelle fabbriche di miele e di
zucchero sono molto pesanti, faticosi e nocivi alla loro salute, e che, per
conseguenza, molti tra loro hanno perduto le forze e sono deperiti, dichiaro
in modo espresso, in conformità del decreto reale, applicabile in questo
caso, che a partire da oggi, nella presente provincia di Merida, gli Indiani
non possono né debbono lavorare nelle fabbriche di stoffe degli Spagnoli, nelle imprese che producono miele e zucchero, oppure lino, lana, seta
o cotone, o in nessun’altra impresa analoga, ma che gli encomenderos e
Diritti sociali
271
altri spagnoli cui queste aziende appartengono devono, a loro piacimento,
impiegare dei Neri o qualsiasi altra categoria di servitori, senza ricorrere
alla forza o alla costrizione materiale o morale; sia che gli Indiani ricevano
o meno un salario, e anche con consenso dei loro cacicchi, in base a una
decisione della giustizia o in qualunque altro modo. Ordino che tutto questo sia fedelmente eseguito, nonostante tutte le ordinanze che stabilissero
il contrario.
Ordinanze riguardanti gli Indiani, 1605.
573
Lavoro pericoloso
DUBINUSCA
La parola “dubina” – diminutivo: dubinuška, viene impiegata qui in un
doppio signiÀcato: all’inizio signiÀcava uno speciale pezzo di legno che
serviva come strumento per far leva; e nell’ultimo signiÀca il randello.
Ho ascoltato molti canti nel mio paese natale;
Essi traducevano la gioia o il dolore;
Ma ve n’è uno che si è inciso nella mia memoria –
È il canto della squadra al lavoro.
Ritornello:
Oh! dubinuška, a-han!
Oh! mia bella, va da sé, va da sé,
Andiamo, andiamo!
A-han!
Dall’età più antica, di padre in Àglio,
Ci è stato trasmesso questo canto,
E appena il lavoro oltrepassa le nostre forze,
Noi cerchiamo in esso soccorso.
Ritornello:
Un giorno io ascoltavo questo canto intonato da una squadra
che innalzava una putrella su di un ponteggio;
D’improvviso la putrella scivolò e fu il silenzio:
Due robusti giovanotti erano stati schiacciati.
Ritornello:
Sia che noi tiriamo la chiatta, che battiamo il ferro,
che fatichiamo nella miniera di Siberia,
Noi cantiamo sempre, il cuore pieno, questa canzone
Che evoca la dubinuška familiare.
Ritornello:
E sui bordi del Volga, nella sabbia estenuante,
272
Il diritto di essere un uomo
Le gambe rotte, la schiena e il petto infuocati,
Noi cantiamo, perché l’alaggio ci appaia meno duro,
La nostra dubinuška familiare.
Ritornello:
Ma verrà il momento, il popolo si risveglierà,
Si drizzerà in tutta la sua prestanza,
E per combattere padroni, popi e gli zar,
Saprà trovare una dura e solida dubina!
Ritornello:
Oh! dubinuška, a-han!
Oh! mia bella, va da sé, va da sé,
Andiamo, andiamo!
A-han!
Russia, metà del XIX sec.
574
Lavoro dei fanciulli nelle miniere
La miniera vomita i suoi forzati e i pozzi i suoi schiavi: squadre di giovani dei due sessi, ahimè! sebbene né i loro vestiti né il loro linguaggio
indichino la differenza; le ragazze sono vestite come gli uomini; e bestemmie, che farebbero fremere degli uomini, sporcano le loro labbra, che dovrebbero invece pronunciare sempre solo parole di dolcezza e d’amore. E
saranno tuttavia – alcune lo sono già – delle madri d’Inghilterra. Ma come
stupirsi della schifosa grossolanità del loro linguaggio quando si pensa alla
selvaggia rudezza della loro vita? Nude Àno alla cintura, le gambe sempre
coperte da un paio di pantaloni di tela trattenuti alla vita da una catenella
di ferro agganciata a una cintura di cuoio, queste ragazze inglesi sono condannate a passare dodici, e talvolta sedici ore al giorno a spingere, trascinare, dirigere dei grossi pesi attraverso cammini sotterranei, oscuri, melmosi,
scavati in ripidi pendii. Queste circostanze sembrano essere sfuggite all’attenzione della società formatasi per l’abolizione della schiavitù dei negri;
i cui degni membri sembrano aver anche ignorato le crudeli sofferenze dei
piccoli chiuditori (incaricati di aprire e di chiudere i chiusini). E ciò che è
tanto più strano è che molti di loro utilizzano essi stessi questi disgraziati
bambini.
Guardateli uscire anche loro la sera dalle viscere della terra. Sono dei
bambini dai quattro ai cinque anni; molti sono delle ragazzine ancora belle, delicate e timide; vengono loro afÀdati compiti della più alta importanza e li si obbliga a entrare per primi nella miniera, per uscirne solo gli
Diritti sociali
273
ultimi. È vero che questo lavoro non è per essi troppo pesante – del resto
per loro sarebbe una cosa impossibile – ma viene compiuto in mezzo alle
tenebre, al silenzio e in solitudine. Subiscono la punizione che i Àlantropi
hanno inventato per la maggior parte dei colpevoli e che costoro temono
ancor più della stessa morte. Le ore si succedono alle ore e nulla ricorda
al fanciullo il mondo che vive sopra la sua testa, o quello che si agita ai
suoi piedi, se non il passaggio dei vagoni ripieni di carbone, per i quali
egli apre le gallerie; egli deve rinchiuderle all’istante, perché da tale precauzione dipende la sicurezza della miniera e la vita dei lavoratori che
essa racchiude.
Disraeli, Sybil ovvero Le due nazioni, 1845, Regno Unito.
575
Cassa comune
Conviene mettere da parte tutti i beni della comunità indiana di ogni villaggio in una cassa comune e in seguito spendere quanto occorre nell’interesse di tutti, e vigilare alla conservazione, all’accrescimento, ecc. di questi
beni, distribuendone i fondi dietro presentazione di ordini di pagamento
scritti, conformemente alle regole della buona contabilità e in modo ragionevole.
Carlo V, Leggi dei regni delle Indie, XVI sec.
576
Diritto alle cure
Inoltre, procurerete che in ogni reparto venga creato un ospedale ove
saranno prestate le cure a tutti gli indiani sprovvisti di risorse, che abitano
laggiù o vi sono di passaggio, e che il funzionamento di quest’ospedale e
le cure agli indiani vi siano assicurate nelle condizioni più soddisfacenti
possibili.
Ordinanze del governatore del Perù ai corregidores, 1565.
577
Niente oziosi
Lungi dall’autorizzare chiunque (presso gli Inca) a starsene ozioso e
ad andare a rubare il prodotto del lavoro altrui, essi comandavano a tutti
di lavorare. E così ogni padrone andava a trascorrere qualche giorno alla
sua fattoria, prendeva con le sue mani l’aratro e rivoltava la terra pur
occupandosi di altre cose. Gli Inca stessi lo facevano, dando così il buon
esempio, perché bisognava ritenere per inteso che nessuno doveva essere
tanto ricco da volersene valere per offendere e oltraggiare i poveri; e in
base all’ordine degli Inca nessuno lo era in tutta la sua provincia: infatti,
tutti coloro che erano in buona salute lavoravano e non mancavano di
nulla, mentre per tutti quelli che non lo erano, si prelevava dalle riserve di
274
Il diritto di essere un uomo
che provvedere ai loro bisogni. E nessun ricco poteva portare più parure
e ornamenti dei poveri, né differenziarsi con la sua foggia del vestire, col
suo costume, a eccezione dei signori e dei cacicchi, che, in virtù del loro
rango, godevano di grandi franchigie e di libertà, come pure l’alta nobiltà, che era esente in tutte le nazioni.
Pedro Cieza de León, cronista spagnolo del Perù. XVI sec.
578
Non si tollererà nello Stato alcun ozioso, cioè nessuna persona che riÀuterà di guadagnare onestamente la sua vita e quella della sua famiglia e
di servire la comunità, sia coltivando la terra, sia eseguendo dei lavori di
artigianato o facendo del commercio o dando dei consigli.
………
1. I ricchi dovrebbero consacrare il loro tempo allo studio e contribuire,
coll’acquisire sapienza, al bene di tutti.
2. I poveri dovrebbero guadagnarsi di che vivere lavorando con le proprie mani. Chiunque agisse diversamente si aspetti di essere punito. Se
queste regole potessero essere applicate, basterebbero per far sparire la
metà dei disordini e degli orrori che travagliano il mondo: non vi sarebbe
più sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, né furti, né giuochi di denaro, né truffe di nessun genere.
………
Inoltre i monopoli e gli oligopoli dovrebbero essere soppressi nel mondo intero. Un’epoca illuminata non dovrebbe conoscere ciò che disonora
il nostro secolo: la possibilità data a un pugno di individui di stabilire dei
monopoli nelle città e negli imperi, impedendo così agli altri di abbracciare tale o tal altra professione e impegnandosi a togliere loro il pane
di bocca. È impossibile tollerare più a lungo il bizzarro stato di cose che
permette ad alcune persone di immischiarsi di tutto. Si deve invece instaurare un ordine che stabilisca chiaramente ciò che ognuno deve fare,
e non si dovrebbe neppure ammettere che un compito – che potrebbe
essere condotto a buon Àne in un modo più adeguato da un certo numero
di persone, che siano rivali in ardore e in zelo – possa essere afÀdato a
un solo individuo che sarà certo di poterne trarre proÀtto, mentre senza
alcun dubbio lo Stato vi perderà.
Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio
catholica, XVII sec.
579
Senza lavoro non si ha pane da mangiare.
Proverbio amarico, Etiopia.
580
Diritti sociali
275
Diritto agli strumenti di lavoro
Non si prenderanno in pegno le due mole né la mola superiore: sarebbe
un prendere in pegno la vita stessa.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 24.
581
Diritto al lavoro
DEGLI OSPEDALI
Un uomo non è povero perché non ha nulla, ma perché non lavora. Colui
che non possiede nulla e che lavora è a suo agio quanto colui che ha cento
scudi di rendita senza lavorare. Colui che non ha nulla e ha un mestiere non
è più povero di colui che ha di suo dieci arpenti di terra e che deve lavorarli
per vivere. L’operaio che ha dato ai suoi Àgli in eredità il suo mestiere ha
lasciato loro un bene che si è moltiplicato in proporzione del loro numero.
Non accade la stessa cosa per colui che ha dieci arpenti di fondo per vivere
e che li divide tra i suoi Àgli.
Nei paesi commerciali, dove molta gente ha solo il suo mestiere, lo Stato
è spesso obbligato a provvedere ai bisogni dei vecchi, degli ammalati e
degli orfani. Una nazione civile ricava questi mezzi di sussistenza dai fondi
stessi delle arti; esso dà agli uni i lavori di cui sono capaci; insegna agli altri
a lavorare, ciò che rappresenta già un lavoro.
Qualunque siano le elemosine che si facciano a un uomo nudo nelle strade non adempiono punto gli obblighi dello Stato, che deve a ogni cittadino
una sussistenza assicurata, il vitto, un vestito conveniente e un genere di
vita che non sia in nulla contrario alla salute.
Aureng-Zeb, al quale veniva chiesto perché non costruiva degli ospedali
(nel signiÀcato antico di ospizio per gli indigenti), disse: “Renderò il mio
impero così ricco che non avrà più bisogno di ospedali”. Avrebbe invece
dovuto dire: “Comincerò col rendere ricco il mio impero, e poi costruirò
degli ospedali”.
Le ricchezze di uno Stato presuppongono molte industrie. Non è possibile che, in un così grande numero di commerci vari non ve ne sia sempre
qualcuno in difÀcoltà e i cui operai per conseguenza non si trovino in una
momentanea necessità.
Per questo lo Stato ha bisogno di apportare un tempestivo soccorso, sia
per impedire al popolo di soffrire, sia per evitare che si rivolti: in questo
caso occorrono degli ospedali, oppure delle disposizioni equivalenti, che
possono prevenire questa miseria.
Ma quando la nazione è povera, la povertà individuale deriva dalla miseria generale; ed essa è, per così dire, la miseria generale. Tutti gli ospedali
del mondo non saprebbero guarire questa povertà speciale, individuale; al
276
Il diritto di essere un uomo
contrario, lo spirito di pigrizia che essi ispirano, aumenta la povertà generale, e di conseguenza quella individuale [...].
Ho detto che le nazioni ricche avevano bisogno di ospedali, perché la
fortuna vi era soggetta a mille incidenti; ma si ha la sensazione che degli
aiuti momentanei varrebbero molto meglio di stabilimenti perpetui. Il male
è transitorio: occorrono quindi degli aiuti della stessa natura, che siano
applicabili al caso individuale.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
582
Mi limiterò a indicare il soggetto da trattare, il diritto al lavoro. Non
mi curo di iniziare alcuna discussione su questi sogni rinnovati dei Greci,
questi diritti dell’uomo divenuti tanto ridicoli. Dopo le rivoluzioni che ci
ha causato il loro regno, si crede forse che noi ci avviamo verso nuove
tribolazioni per aver dimenticato il primo e il solo utile di questi diritti, il
diritto al lavoro, di cui i nostri uomini politici non hanno fatto menzione,
secondo la loro abitudine di omettere, in ogni ramo di studi, le questioni
principali?
Tra le altre infrazioni al diritto di cui si tratta, citerò le compagnie privilegiate che, sfruttando un ramo del lavoro, ostacolano il concorso ai pretendenti e riÀutano l’ammissione condizionale.
L’inÁuenza di queste compagnie può diventare pericolosa e causare rivoluzione solo in quanto i loro regolamenti si estendessero all’intero campo commerciale.
Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti, 1808, Francia.
583
Diritto al riposo
Osserva il giorno del sabato per santiÀcarlo, come ti ha ordinato Jahve
tuo Dio. Faticherai per sei giorni e farai tutti i tuoi lavori, ma il settimo
giorno è il sabato per Jahve tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo
Àglio né tua Àglia né il tuo schiavo né la tua schiava né il tuo bue né il tuo
asino né alcuna delle tue bestie né il forestiero che si trova dentro le tue
porte, afÀnché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricorda
che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che di là Jahve tuo Dio, con
mano forte e braccio teso, ti ha fatto uscire; perciò Jahve tuo Dio ti ha ordinato di celebrare il giorno del sabato.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 5.
584
Al termine di ogni sette anni farai il condono.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 15.
585
Diritti sociali
277
Peggio per lui se il popolo non ha tempo che per guadagnarsi il pane;
gliene occorre anche di più per mangiarlo con gioia, altrimenti non lo guadagnerà a lungo. Questo Dio giusto e benevolo che vuole che egli si occupi, vuole anche che egli si distenda: la natura gli impone ugualmente
l’esercizio e il riposo, il piacere e la sofferenza. Il disgusto del lavoro Àacca
più i disgraziati del lavoro stesso.
Jean-Jacques Rousseau, Lettre à d’Alembert, 1758.
586
Giustizia sociale
Chi ha sete, crede che neppure un’anfora intera basterebbe a dissetarlo,
ed ecco che invece gli è sufÀciente una coppa. Comincia allora la vera sfortuna del genere umano; poiché crede che un’anfora non basti a spegnere la
sua sete, l’assetato sottrae a tutti gli assetati l’anfora intera, di cui berrà solo
una coppa. Anzi egli spezzerà l’anfora perché nessuno ne beva, se egli non
può bere. Meglio ancora: dopo aver bevuto, verserà per terra tutto il liquido
(rimasto) afÀnché negli altri crescano la sete e l’odio. E sempre meglio: si
uccideranno tra loro questi assetati, perché nessuno beva. Ah! sciocchi che
siete, che ciascuno beva un poco, e poi fate riempire queste anfore per chi
verrà dopo di voi.
Giovanni Pascoli (1855-1912), Italia.
587
Severità verso coloro che opprimono il popolino
Se le due squadre di soldati che sono nella campagna, l’una nella regione meridionale, l’altra nella regione settentrionale, requisiscono le
pelli di animali in tutto il paese senza dar tregua un solo anno, senza dar
requie ai contadini [...] e scelgono quelle che sono marchiate (col ferro
rosso), mentre passano di casa in casa bastonando (la gente) ed esercitando sevizie, senza lasciare alcuna pelle ai contadini [...] e se qualche
[...] di Faraone viene per esigere la tassa del suo bestiame e li interpella,
e non si trovano in casa loro le pelli (per modo che) si viene a sapere che
essi sono indebitati; e se essi si guadagnano la Àducia di costoro (cioè la
Àducia del direttore del bestiame e dei suoi subordinati) dicendo: “Ce li
hanno presi: dato che anche questo è un caso grave, si agirà in conformità
(con la gravità dei fatti)”.
Se il direttore del bestiame di Faraone va a esigere le tasse sul bestiame
in tutto il paese (perché) è lui che va a raccogliere le pelli delle (bestie)
morte che [...], la mia Maestà ha ordinato che il contadino sia lasciato libero a causa delle sue rette intenzioni.
278
Il diritto di essere un uomo
Ma per quanto riguarda ogni militare, se si sentirà dire che va requisendo le pelli, a partire da oggi gli si applicherà la legge, colpendolo con cento
colpi (che gli causino) cinque ferite aperte, e togliendogli la pelle rubata,
considerata un bene male acquisito.
Decreto di Horemheb, Antico Egitto, XVIII dinastia, II millennio
a.C.
588
Protezione dei deboli, giustizia, riÀuto della pena di morte
Fa regnare la Giustizia-verità (la maât) Àno a quando tu abiti sulla terra.
Calma chi piange; non spogliare la vedova; non privare nessuno dei beni
di suo padre; non destituire gli altri funzionari dai loro posti. Astienti dal
punire ingiustamente. Non uccidere; è inutile (e dannoso) per te; castiga
con punizioni corporali e con la prigione. E in tal modo questo paese sarà
ben sistemato.
………
Non fare distinzione tra il Àglio di un uomo ragguardevole e quello di
origini modeste, prendi per te (al tuo servizio) un uomo per quel che sa
fare.
………
Ben governati sono gli uomini, gregge di Dio: Egli ha creato il cielo e la
terra per il loro piacere, ha contenuto la furia delle acque e ha creato l’aria
per dare vita alle loro narici. Gli uomini sono fatti secondo la sua immagine
e sono nati da lui. Egli si alza nel cielo per loro. Creò per loro i vegetali, gli
animali, gli uccelli, i pesci per nutrirli.
Insegnamenti per Merikare, Antico Egitto, X dinastia. Fine del III millennio a.C.
589
Fede contro privilegi
Un uomo che ama il suo prossimo come se stesso non può permettersi
di possedere una qualsiasi cosa più di lui, per modo che se ha dei beni
e non li distribuisce senza provare rincrescimento, Àno a diventare lui
stesso come i suoi vicini, non obbedisce esattamente ai comandamenti
del Signore.
San Simeone, il nuovo teologo (949-1022), Bisanzio.
590
Non bisogna mai spogliare il povero di quanto possiede.
Tu riÀuti un pollo al tuo vicino, e all’indomani lo sparviero te lo porta via.
Proverbi del Burundi.
591
Diritti sociali
279
Classi sociali e doveri di assistenza
Gli abitanti della città si dividono in tre categorie: gli uomini, le donne e
i bambini. Da un altro punto di vista, gli abitanti della Città si dividono ancora in tre categorie, che sono: a) gli uomini della casa del capo (gli uomini
che hanno autorità); b) i notabili; e) i semplici cittadini.
... (I notabili):
Se qualcuno è considerato un ricco dignitario, è bene che egli possieda
molto bestiame, che compri dei fucili per i membri della sua famiglia e per
i suoi schiavi, che molti pacchi, molto argento riempiano i suoi orci, che
possieda immensi campi, che la sua casa sia ampia, che egli possieda perle
e gioielli di gran pregio come adzagba, gblotti, dzete, wodze, che possieda
stoffe di grande valore, grandi gioielli in oro, grandi collane d’oro, abiti di
seta, e bevande di pregio nella sua casa. Egli deve possedere barili di polvere,
afÀnché, il giorno della sua morte, possano essere sparate grandi salve in suo
onore, oppure se la Città venisse a essere attaccata, si possa trovare soccorso
presso di lui. I notabili godono rispetto sia da parte della gente della famiglia
del capo che di quella del popolo, poiché questi notabili vivono anch’essi
come dei capi nella loro casa, e hanno innumerevoli persone (al loro servizio), membri della famiglia, servitori, schiavi e persone tenute in ostaggio
nella loro casa. Si porta loro molto rispetto perché nel giorno della disgrazia
sono loro che accordano soccorso e assistenza. Essi portano abiti di valore,
mettono grandi calzari, portano grosse collane d’oro, anelli d’oro, mutande
di seta. Quando s’incontrano hanno un seguito come fossero dei capi. Se
il capo e i suoi consiglieri vogliono applicare una legge che al popolo non
sembra giusta, i semplici cittadini vanno a trovare questi notabili, che li difendono dinanzi ai capi e interrompono l’applicazione delle leggi ingiuste.
Ciò che rinforza la potenza dei dignitari, è il fatto che, quando il popolo si
indebita e il capo è incapace di pagare il debito, sono questi dignitari a dare
assistenza al popolo. Essi non possono trasmettere questa posizione ai loro
Àgli o discendenti, perché non possiedono il seggio di capo.
Tradizione ewe, Togo.
592
Giusta riparazione
Per quanto concerne le rendite della città, tanto quelle che voi percepite
da voi stessi e che si perdono in spese inutili, quanto i versamenti dei vostri
alleati, dichiaro che debbono essere amministrate in modo che ciascuno di
voi ne abbia una parte uguale: i cittadini in età di servizio militare, a titolo
di soldo; coloro che hanno superato l’età, come indennità di sorveglianza o
a qualunque altro titolo si voglia.
Demostene, Arringa sull’organizzazione Ànanziaria. Attorno al 349
a.C.
593
280
Il diritto di essere un uomo
Mutuo aiuto
Se gli individui non si aiutano tra loro, vivono nella povertà; se la società non riconosce i diritti dell’individuo, scoppiano dei conÁitti. La povertà
crea l’angoscia e i conÁitti generano la sventura. Per calmare l’angoscia
ed eliminare i conÁitti, la cosa migliore è quella di istituire una società che
riconosca chiaramente i diritti dell’individuo.
Siun Tsu (IlI sec. a.C.), Cina.
594
Obblighi reciproci
L’Illuminato si trovava un giorno vicino a Râjagaha, nella foresta dei
bambù, presso alla radura degli scoiattoli.
In quel momento, il giovane Sigâla, Àglio di proprietario, essendosi alzato di buon mattino, uscì da Râjagaha e, coi capelli e gli abiti bagnati, alzò
le mani giunte e venerò le diverse parti della terra e del cielo: l’est, il sud,
l’ovest, il nord, il nadir e lo zenit.
Molto presto quel mattino, l’Illuminato si vestì, prese la sua bisaccia e il
suo mantello ed entrò in Râjagaha per chiedere l’elemosina. Vide il giovane Sigâla in preghiera e gli disse:
“Perché dunque, giovanotto, che ti sei alzato di buon mattino e sei uscito
dalla città con i capelli e gli abiti bagnati, sei venuto a venerare le diverse
parti della terra e del cielo?
Maestro, mio padre, morendo, mi ha detto: mio caro Àglio, tu dovrai venerare tutte le parti della terra e del cielo. Per questo, Maestro, obbedendo a mio
padre, pieno di riverenza e di devozione, compio il mio dovere sacro, mi alzo
di buon mattino e, uscendo da Râjagaha, vengo qui a fare atto di venerazione.
Ma, nella religione degli Ariani, non è così, giovanotto, che bisogna
venerare le sei parti.
Come è dunque, Maestro, che nella religione degli Ariani si debbono
venerare le sei parti? Sarebbe cosa eccellente, Maestro, se l’Illuminato
volesse insegnarmi la dottrina e dirmi come, nella religione degli Ariani,
bisogna venerare le sei parti.
Ascolta dunque, giovanotto, presta orecchio a quanto sto per dirti”.
… …. …
“E come, giovanotto, il discepolo ariano protegge le sei parti? Ecco quali sono le sei parti:
“I genitori sono l’est, i maestri sono il sud, le donne e i fanciulli sono
l’ovest, gli amici e i compagni il nord, i servitori e i lavoratori il nadir, gli
insegnanti di religione e i bramini lo zenit.
“Il Àglio deve servire i suoi genitori, che sono l’est, in cinque modi:
nutrito un tempo da loro, provvederò ai loro bisogni; compirò i doveri che
Diritti sociali
281
spettano a loro; manterrò il lignaggio e la tradizione della mia famiglia; mi
renderò degno della mia eredità.
“Così serviti dal loro Àglio, i genitori, che sono l’est, dimostrano in cinque modi il loro amore per lui: lo allontanano dal vizio, l’esortano alla virtù, gli danno una professione, gli fanno fare un buon matrimonio, e, venuto
il momento, gli trasmettono l’eredità.
“Così egli protegge l’est e veglia sulla sua sicurezza.
“Gli alunni devono servire i loro maestri, che sono il sud, in cinque
modi: si alzano (per salutarli), si pongono ai loro ordini, imparano con
zelo, rendono loro servizio e ascoltano i loro insegnamenti con attenzione.
“Così serviti dai loro discepoli, i maestri, che sono il sud, li amano in
cinque modi: insegnano loro ciò che essi devono sapere, insegnano loro a
ricordare ciò che deve restare, fanno loro conoscere i segreti di tutte le arti,
ne dicono bene ai loro amici e compagni e garantiscono dappertutto la loro
sicurezza.
“Così l’allievo protegge il sud e veglia sulla sua sicurezza.
“Lo sposo deve servire la sua sposa, che è l’ovest, in cinque modi: dimostrarle rispetto, cortesia e fedeltà, darle dell’autorità e offrirle di che
ornarsi.
“Così servita dal suo sposo, la sposa, che è l’ovest ama lui in cinque
modi: compie bene i suoi doveri, dà ospitalità alle persone delle due famiglie, rimane fedele a lui, veglia sui beni che egli porta e dà prova in tutto di
competenza e di zelo.
“Così, egli protegge l’ovest e veglia sulla sua sicurezza.
“Un membro di una tribù deve servire i suoi amici e i suoi familiari,
che sono il nord, in cinque modi: dimostrare loro generosità, cortesia e
benevolenza, trattarli come tratta se stesso, ed essere fedele alla parola
data.
“Serviti in tal modo da lui, i suoi amici e i suoi familiari, che sono il
nord, lo amano in cinque modi: lo proteggono quando allenta la propria
vigilanza, e in questo caso vegliano sui suoi beni; gli offrono rifugio in
caso di pericolo, non lo abbandonano nelle prove e sono pieni di attenzione verso la sua famiglia.
“Così egli protegge il nord e veglia sulla sua sicurezza.
“Il padrone ariano deve servire i propri servitori e i suoi impiegati, che
sono il nadir, in cinque modi: assegna loro dei compiti in rapporto alle loro
forze, dà loro nutrimento e salario, veglia su di loro quando sono malati,
condivide con loro le leccornie insolite, e concede loro una vacanza ogni
tanto.
282
Il diritto di essere un uomo
“Così serviti dal loro padrone, i servitori e gli impiegati lo amano in cinque modi: si alzano prima di lui, si coricano dopo di lui, si accontentano di
ciò che ricevono, fanno bene il loro lavoro, e vanno cantando dappertutto
le sue lodi e la sua rinomanza.
“Così egli protegge il nadir e veglia sulla sua sicurezza.
“Chi fa parte di un clan deve servire gli anacoreti e i bramini, che sono
lo zenit, in cinque modi: dimostrare l’affetto verso di loro nei fatti, nelle
parole e nello spirito, aprire loro la propria casa e soddisfare i loro bisogni
temporali.
“Così serviti, anacoreti e bramini, che sono lo zenit, dimostrano il loro
amore per lui in sei modi: lo allontanano dal male, lo esortano al bene, lo
circondano di pensieri affettuosi, gli insegnano quello che non aveva capito, correggono e puriÀcano quello che aveva capito, e gli rivelano la via
del paradiso.
“Così egli protegge lo zenit e veglia sulla sua sicurezza.”
Così parlò l’Illuminato.
Sigâlovâda Suttanta, testo pali.
595
Solidarietà sociale
Allora Sua Maestà il Re del Madjapahit chiese il permesso di parlare e
disse con voce dolce:
Ecco ciò che si chiama l’uguaglianza, il modo con cui si manifesta, sia
che il risultato sia buono o cattivo.
Se un compito deve essere effettuato alla porta del palazzo e se qualcuno
che ne è incaricato si trova vestito in modo negletto,
O se voi date una festa e vedete un uomo adottare un atteggiamento
ripugnante, allora bisogna rispettare il samayalaksana (le caratteristiche
dell’uguaglianza) [...].
Se avete un ospite, offritegli i cibi cui è abituato, in qualità e in quantità,
anche se deve lasciare la vostra casa all’alba.
Uno dei vostri ospiti potrebbe essere insolente, dimostrarsi violento o
ferirvi;
Allora, qualunque siano le parole che vi grida questa persona grossolana, qualunque possa essere la sua posizione sociale, accondiscendete ai
suoi desideri, e se volete presentare una lagnanza rivolgetevi a me.
Perché il Palazzo e i villaggi che ne dipendono sono solidali tra loro
come il leone e la foresta.
Se la campagna è abbandonata alle devastazioni, se è saccheggiata, la
Resistenza reale non avrà più alimenti.
“Non più servi” signiÀca “non più Re”; lo straniero verrà a seminare
rovine.
Diritti sociali
283
Per questo bisogna proteggere e il Palazzo e i villaggi, afÀnché essi sopravvivano grazie alla reciproca comprensione.
Nâgarakrtâgama, panegirico composto nel reame di Madjapahit, 1365,
Giava.
596
Non si pretende certo che vi riduciate in strettezze per alleviare gli altri,
ma che, per principio di uguaglianza, ciò che nel momento attuale avete in
soprappiù serva a soccorrere l’indigenza degli altri, afÀnché a sua volta il
soprappiù degli altri torni a vantaggio della vostra indigenza, e così si abbia
l’uguaglianza. Così sta scritto: “Chi molto raccolse non ne ebbe di più, e
chi poco non ne ebbe di meno”.
Nuovo Testamento, San Paolo, seconda lettera ai Corinzi, 8.
597
La stabilità sociale poggia sulla prosperità del popolo
Quanto a credere che la miseria del popolo sia una garanzia di sicurezza
e di pace, l’esperienza dimostra a sufÀcienza che questo è il massimo degli
errori. Dove ci sono più litigi che tra i mendicanti? Chi si affretta di più a
rovesciare lo stato di cose esistenti, se non colui che è scontento di quanto
è toccato a lui? Chi si slancia più temerariamente sulla via della rivoluzióne
di chi non ha nulla da perdere e spera di guadagnarci nel cambiamento? Un
re, che fosse disprezzato e odiato dal suo popolo al punto da non poter più
dominare i suoi sudditi se non col rigore, con le esortazioni, le conÀsche,
un re che li riducesse a mendicare, farebbe meglio ad abdicare subito che
usare procedimenti che gli conserveranno forse la corona, ma gli tolgono la
grandezza, perché la dignità regale consiste nel regnare su gente prospera e
felice, non su dei mendicanti.
Thomas More, Utopia, 1516, Inghilterra.
598
Bisogna coltivare l’amicizia dei vicini
Vedi, Àglio mio, un vicino, bisogna coltivare la sua amicizia. Se tu hai
poco da mangiare, danne al tuo vicino; se ne hai molto, dagliene anche!
Per esempio: tu sei a casa tua ed esci per lavorare. Durante la tua assenza, i
bambini accendono un fuoco nella casa, e vluf! ecco la tua casa in Àamme!
Ma se tu hai coltivato l’amicizia del tuo vicino, appena i bambini si mettono a gridare, egli accorre rapidamente, e se il fuoco non è ancora troppo
grosso, attinge acqua e la versa sulla casa. Se essa è già completamente in
Àamme, egli si avvolge con una pelle (di animale), stacca il bestiame e lo
spinge fuori. E se trova aiuto, salverà anche molte altre cose.
Tradizione chagga, Tanzania.
599
284
Il diritto di essere un uomo
Suddivisione tra fratelli
MANGIARE DA EGOISTI PORTA SFORTUNA
Vedete, Àgli miei! Voi siete nati Àgli di una donna e state crescendo in
quattro. Tu sei uno dei quattro. E pensi: “Ebbene, voglio essere più furbo
degli altri!”. E decidi: “Mangerò tutto da solo”.
Ma quello che tu mangi (da solo) nel tuo cantuccio fa sì che ne privi le
persone della tua famiglia. Essi non ne sanno nulla; continuano a comportarsi bene con te. Uno di essi mette in serbo una capra e poi ti invita quando
la mangeranno. Quando ammazza la capra, che è un prodotto del suo allevamento, vi chiama tutti e quattro. Vi invita, perché i suoi fratelli si sazino
e voi portate ancora a casa qualcosa per mangiare la sera.
Tra loro, tu sei il più spavaldo, e cammini dinanzi agli altri. E colui che
ha messo da parte la capra si augura che tu sia suo padre, poiché tra loro
tu sei il maggiore (dei fratelli). Se Dio vi ha tolto vostro padre e questi non
c’è più, tu diventi il loro padre, ed egli (il fratello di cui si tratta) ti offre il
petto, che era la porzione del padre. Tu prendi dunque il petto e i fratelli
più giovani, dopo di te, si dividono la carne delle prime tre costole. Ma il
quarto prende la costata (il pezzo che viene dopo le prime tre costole). È per
i suoi bambini (letteralmente: è l’aiuto che date alla sua casa).
E se hai ancora un altro fratello, che non è Àglio di vostro padre, egli
prende un cosciotto (d’agnello) e lo divide col suo vicino che lo aiuta a sorvegliare la casa. E il fratello che ha allevato la capra ti dirà: “Vedi, fratello
maggiore, poiché ho avuto questa capra, vi ho invitati, e sono divenuto ora
il sostegno della vostra famiglia, allo stesso modo che voi mi avete lasciata
questa bistecca. Ma se rimane qualcuno che si mette in testa di farci un torto, questo è affar vostro e ciò non mi riguarda più” (cioè: io ho fatto il mio
dovere e dopo la morte di nostro padre ho messo in ordine, per quanto mi
concerneva, le nostre reciproche relazioni). Ma tu, tu te ne vai, essi hanno
fatto di te il loro idolo e tu rientri a casa tua e cerchi egoisticamente il tuo
piacere egoista (letteralmente: prendi del ventre).
Ad esempio, tu hai depositato una capra presso qualcuno. La uccidi a
casa sua e porti a casa tua la carne. Qualcuno ti vede per strada, si ferma
per veriÀcare, ti riconosce e lo dice ai tuoi fratelli. Quando essi lo vengono
a sapere, si dicono l’un l’altro: “Nostro fratello ha ucciso una capra”. Ma
nascondono ciò nella loro testa e non ne dicono nulla.
Tu fabbrichi birra, li inviti a berla, ed essi vengono. Tu disponi lì vicino
di un recipiente di infuso di banane e te ne servi per allungare la loro birra.
Ed essi ti dicono: “Questa birra è molto leggera”. Tu rispondi loro: “Sì, non
avevo grano abbastanza (per renderla più densa)”. Essi rientrano a casa loro
pieni di cattivo umore. La loro testa non è allegra come lo è di solito quan-
Diritti sociali
285
do uno rientra da casa di suo fratello: ora è come se rientrasse da casa di
qualcun’altro.
Vedi, Àglio mio, quando avete qualcosa da mangiare, voi chiedete a un
anziano che ha la precedenza su di voi: “Prega per noi l’Uomo del cielo
e il nostro primo Antenato”. Digli: “Antenato, noi te lo chiediamo, mettiti
d’accordo con l’Uomo del cielo, afÀnché vegli su di noi. Se noi ci riÀutiamo l’un l’altro la parte di cibo, allora, o Uomo del cielo, o Grande Capo,
tieni l’occhio su di noi e frantumaci. Ma se noi ci trattiamo reciprocamente
con riguardo, allora facci salire come il fumo quando si fabbrica la birra,
afÀnché noi prosperiamo. Uomo del cielo, facci ingrassare!
Dopo questo, se tu mangi senza dare agli altri la loro parte, l’Uomo
del cielo Àsserà il suo sguardo su di te e non permetterà che tu continui a
prosperare.
Al contrario, il fatto di mangiar di nascosto, ricusando ai tuoi fratelli
la loro parte, questo sarà per te la causa di essere privato dei tuoi Àgli. In
seguito morrai tu stesso ben presto, e sparirai dal seno della tua parentela
perché sei stato egoista, pervertito dal tuo ventre.
Per questo te lo dico, Àglio mio: se i tuoi fratelli ti trattano come si conviene, non abbandonarli dopo e non andare a mangiare in disparte. L’isolamento egoistico comporta gravi danni e una rapida morte.
Questo, te lo proibisco, e ti dico: “Non fare questo. Al contrario, condividi lealmente con i tuoi fratelli. Non nascondere loro nulla, come essi non
nascondono nulla a te”.
Tradizione chagga, Tanzania.
600
Condividere e non avere tutto
Non si mangia il bruco “elima” a quattro ganasce. Non si deve voler
avere tutto, voler cumulare i beneÀci, voler ereditare tutti i beni; bisogna
lasciar qualcosa agli altri.
Proverbio mongo, Congo.
601
Chi mangia da solo il suo miele fa soffrire il suo stomaco.
Proverbio akan, Ghana.
602
Una grande dama
Ai suoi servi e alle sue serve ella assicurava vitto e vestiario a sufÀcienza; distribuiva il lavoro secondo le loro forze; non chiamava nessuno con
soprannomi ingiuriosi; non si faceva portare l’acqua per lavarsi le mani, né
si faceva allacciare le scarpe, ma si serviva sempre da sola.
Vita di Juliana Lazarevskaja, narrata da suo Àglio (1604), Russia. 603
286
Il diritto di essere un uomo
Origine sociale
Tu non hai forse la testa allo stesso posto del povero? Non sarai giudicato per la tua vita su questa terra, come il povero? [...]. Noi abbiamo ricevuto
il battesimo della fede alla medesima fonte, e tutti vi siamo rinati da una
medesima madre, la grazia.
Ivan Višenskij (XVIII sec.), Ucraina.
604
I Àgli di un mandarino diventeranno mandarini,
Quelli dei poveri passeranno la loro giornata ad accendere carbone.
Proverbio del Vietnam.
605
“A ciascuno secondo le sue necessità”
Uno dei princìpi più essenziali del comunismo consiste nell’idea empirica basata sulla natura umana, che le differenze della testa e delle facoltà
intellettuali in generale non comportino nessuna differenza di stomaco e
di necessità Àsiche; che, in conseguenza, la massima falsa, fondata sulle condizioni attuali: “A ciascuno secondo le sue capacità”, debba essere
trasformata, nella misura in cui si riferisce al godimento nel senso stretto
della parola, in quest’altra: “A ciascuno secondo le sue necessità”; che, in
altri termini, la differenza nell’attività, nei lavori, non crea nessuna inuguaglianza, nessun privilegio per quanto riguarda il possesso e il godimento.
K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, 1845-1846.
606
Come fu risolta da allora in poi l’importante questione della retribuzione più elevata del lavoro qualiÀcato? Nella società dei produttori
privati sono le persone private e le loro famiglie a sopportare le spese
della formazione dell’operaio qualiÀcato; sono quindi le persone private quelle cui tocca il prezzo più elevato della forza del lavoro qualiÀcato: lo schiavo abile si vende più caro, il salariato abile si paga più caro.
Nella città a organizzazione socialista, è la società a sopportare questa
spesa. Quindi, una volta prodotti, appartengono a essa i frutti, cioè i
valori maggiori del lavoro qualiÀcato, mentre l’operaio stesso non ha
diritti supplementari.
Friedrich Engels, Anti-Dühring, 1878.
607
La libertà di tutti attraverso l’uguaglianza
(Bisogna) organizzare la società in modo tale che ogni individuo” uomo
o donna, venendo al mondo, trovi dei mezzi press’a poco uguali per lo sviluppo delle sue diverse facoltà e per la loro utilizzazione per mezzo del suo
lavoro. La soluzione completa di questo problema sarà senza dubbio lavoro
Diritti sociali
287
di secoli, ma la storia l’ha posto e noi non sapremo ormai farne astrazione
senza condannarci da noi stessi a una completa.impotenza.
Per essere libero, io ho bisogno di vedermi circondato e riconosciuto
come tale da uomini liberi. La libertà di tutti – lungi dal porre limiti alla mia,
come pretendono gli individualisti – ne è, al contrario, la conferma, la realizzazione, e l’estensione all’inÀnito. Volere la libertà e la dignità umana di
tutti gli uomini, vedere e sentire la mia libertà confermata, sanzionata, estesa
all’inÀnito per l’assenso di tutti, ecco la felicità, il paradiso umano sulla terra.
Fate che tutte le necessità divengano realmente solidali, che gli interessi materiali e sociali di ciascuno divengano conformi ai doveri umani di
ciascuno. E, per questo, vi è un solo mezzo: distruggere tutte le istituzioni
dell’inuguaglianza; fondare l’uguaglianza economica e sociale di tutti e,
su questa base, si eleveranno la libertà, la moralità, l’umanità solidale del
mondo.
Michail Bakunin (1814-1876).
608
La libertà è lo scopo della vita del popolo, il frutto del suo sacriÀcio. La
libertà esiste solamente là dove la proprietà è abolita; il popolo deve sacriÀcare ogni sua proprietà per la propria libertà, quindi per la propria vita e
la sua fortuna. SacriÀcarsi, in quanto materia, per se stessi in quanto spirito,
ecco l’interesse del popolo perché da questo sacriÀcio nasca la libertà. Se
qualcuno ci chiedesse di dimostrare che la libertà è la perfezione assoluta
della vita dell’umanità, noi gli risponderemmo che la sua intelligenza è in
difetto perché egli non è per nulla al corrente del processo.
La libertà assoluta del popolo (quindi anche dei popoli e dell’umanità intera) presuppone che esso sia libero da ogni oppressione. Ora l’oppressione
è multipla: prima di tutto quella Àsica – rapporto fra il forte e il debole; poi
l’oppressione per mezzo della proprietà – rapporti tra il ricco e il povero,
che può essere deÀnitiva come una (relazione di) dipendenza, mentre la
precedente poteva essere descritta come una schiavitù; inÀne l’oppressione
per mezzo dello spirito, quella dell’incolto da parte dell’intelligente, del
debole intellettuale da parte del causidico brillante.
Edward Dembowski, La libertà assoluta del popolo, 1843, Polonia.
609
Esproprio rivoluzionario
Messaggio al congresso nazionale dei contadini durante la rivoluzione
russa
Con mio grande rincrescimento, il mio stato di salute non mi permette di
prendere la parola a un convegno grande come il vostro.
288
Il diritto di essere un uomo
Ma questa non è la sola ragione. Giudicando mio dovere parlarvi con
totale franchezza, vi dirò che – se anche non fossi ammalato – forse non mi
sarei azzardato a dirvi il mio parere su alcuni aspetti del nostro problema
agrario, come l’ha posto recentemente la rivoluzione [...].
Veniamo al fatto. Innanzi tutto permettetemi di congratularmi con voi
perché il vostro congresso si tiene in un clima di libertà politica.
Da parecchi secoli, a causa delle sfavorevoli condizioni del suo sviluppo
storico, il popolo russo soffriva sotto il giogo dello zarismo. Molto spesso persino dei funzionari subalterni hanno scritto al governo di Mosca:
“Siamo rovinati, più che sotto l’occupazione dei Turchi e dei Tartari, dalle
insopportabili lentezze della burocrazia moscovita”. Ma sono ancora i nostri contadini russi che hanno maggiormente sofferto delle lentezze burocratiche di Mosca, poi di Pietroburgo, e in linea generale, di tutto l’antico
regime [...].
... Terra natia!
Citami un rifugio,
un angolo – io non ne vidi mai –
Dove tuo Àglio, il tuo custode,
Il mugik russo non debba gemere!
Egli geme nei campi e sulle strade,
Egli geme nelle prigioni e nelle segrete,
Ai ferri, nelle miniere,
Egli geme nei pagliai e alle macine,
Sotto la telega dove passa la notte nella steppa;
Egli geme nella sua povera isba
Senza osar rallegrarsi della luce di Dio;
Egli geme nelle città,
Nei tribunali e nelle corti di giustizia.
(Citazione del poeta Nikolaj Nekrasov)
Checché ne sia, voi tutti sapete che l’antico regime ha lasciato molto oscurantismo nel popolo. Questo oscurantismo spiega i disordini che
scoppiano qua e là e che comportano gravi turbamenti nella vita del nostro
paese. Solo gli stessi lavoratori possono por Àne a questi disordini. E i lavoratori si impegneranno volentieri in questa lotta quando avranno acquisito la convinzione che simili turbamenti, moltiplicandosi, rischiano di scalzare e di distruggere il nostro nuovo regime di libertà. Voi, rappresentanti
coscienti dei contadini, voi potete contribuire grandemente a diffondere
questa convinzione [...].
La maggior parte delle terre private appartiene beninteso ai grossi proprietari terrieri. Ma un numero abbastanza grande di contadini possiede
Diritti sociali
289
ugualmente qualche pezzo di terra. Nella maggior parte dei casi, la superÀcie di questi è molto ridotta. È forse possibile che anche a questi proprietari
voi togliate la loro terra senza compenso? Secondo me, sarebbe al tempo
stesso ingiusto e inopportuno. Ingiusto, perché i piccoli proprietari contadini hanno nella maggior parte dei casi acquisito questa terra col sudore della
loro fronte. Inopportuno, perché, privandoli del loro bene, voi rischiate di
renderli ostili al nostro nuovo regime. Essi si diranno: “Nel passato nessuno toccava la nostra terra, nel passato le cose andavano meglio”, e daranno
il loro appoggio a coloro che sognano di ristabilire l’antico regime. Persone
simili esistono, credetemi, benché Ànora non si siano messe molto in vista,
in attesa di vedere la piega che prenderanno gli avvenimenti.
Secondo me, la migliore cosa da decidere sarebbe questa: le terre private
che non superino un certo numero di ettari resteranno intangibili [...].
E perÀno l’idea di togliere le loro terre, senza compenso, ai grossi proprietari terrieri suscita delle obiezioni.
Immaginiamo uno di questi grossi proprietari. Egli possiede molta terra, quindi è un uomo ricco; ma è ricco solo al momento in cui la terra
gli vien tolta. Dal momento in cui essa gli vien tolta senza compenso,
diventa miserabile. È vero che può avere denaro in banca. In questo caso,
non è da compiangere se ha abbastanza denaro; ma se non ne ha molto, la
miseria lo aspetta inevitabilmente. E così accadrà della maggior parte dei
proprietari terrieri. Allora, ditemi un po’: è nel vostro interesse di creare
la miseria in Russia? Non lo credo. E contrario ai vostri interessi, proprio
come è contrario agli interessi dello Stato. Conclusione: conviene dare ai
proprietari terrieri una certa contropartita. Modesta, certamente: la Russia è troppo povera per versare milioni ai proprietari di immensi domini
che i loro padri hanno ricevuto per fatti e gesta che non hanno alcun
rapporto col bene del popolo (basta pensare agli innumerevoli amanti di
Caterina II); ma un compenso modesto, che permetta agli antichi proprietari terrieri di evitare la miseria, è indispensabile [...].
Voi avete vinto. Ora, il vincitore, se ha un cuore da leone e non da lupo
si dimostri magnanimo.
Georgij Plechanov, in “Edinstvo” (L’Unità), Maggio 1917.
610
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL POPOLO DEI LAVORATORI E DEGLI SFRUTTATI
Qualche giorno prima dell’apertura dell’Assemblea costituente – il 5
gennaio 1918 – Lenin redasse questo preambolo che intendeva porre in
testa alla futura Costituzione dello Stato socialista russo.
La Russia viene dichiarata Repubblica di operai, soldati e contadini.
Tutto il potere al centro come alla periferia appartiene ai Soviet.
290
Il diritto di essere un uomo
La Repubblica sovietica si costituisce sulla base di una libera unione di
nazioni libere, che formano una federazione delle repubbliche sovietiche
nazionali.
Addossandosi come compito la soppressione di ogni sfruttamento
dell’uomo da parte dell’uomo, l’abolizione totale della divisione della società in classi, la repressione spietata della resistenza degli sfruttatori, l’instaurazione di una organizzazione socialista della società, e la vittoria del
socialismo in tutti i paesi.
L’Assemblea costituente dichiara:
La proprietà della terra è abolita. Tutta la terra appartiene al popolo lavoratore.
È confermata la legge sovietica sul controllo operaio delle imprese e
sulla costituzione di un Consiglio superiore dell’economia nazionale, che
viene considerata come un primo passo versò la consegna totale delle ofÀcine, delle miniere, dei trasporti e degli altri mezzi di produzione nelle
mani dello Stato operaio e contadino.
È confermata la legge sulla consegna delle banche nelle mani dello Stato
operaio e contadino, considerata come una delle condizioni della liberazione delle masse lavoratrici dal giogo del capitale [...].
È istituito, al Àne di sopprimere gli elementi parassiti della società, l’obbligo del lavoro per tutti.
Al Àne di assicurare alle masse lavoratrici la pienezza del loro potere e.
di impedire ogni tentativo di restaurazione del potere degli sfruttatori, sono
decretati: l’armamento dei lavoratori, la formazione dell’Armata rossa socialista degli operai e contadini, e il disarmo totale delle classi possidenti
[...].
L’Assemblea costituente si congratula con i Consigli dei commissari
del popolo per aver proclamata l’indipendenza della Finlandia, ordinato
il ritiro delle truppe russe dalla Persia e concesso all’Armenia il diritto di
disporre liberamente della sua sorte [...].
L’Assemblea costituente ritiene che, al momento in cui continua la lotta
Ànale del popolo contro i suoi sfruttatori, costoro non debbono partecipare a nessun organo del potere. Il potere deve appartenere interamente ed
esclusivamente alle masse lavoratrici e ai loro rappresentanti plenipotenziari, i soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini.
Pur assicurando al potere sovietico e alle leggi promulgate dal Consiglio
dei commissari del popolo il proprio appoggio, l’Assemblea costituente
giudica che il suo compito si limita a porre le basi per l’ediÀcazione socialista della società.
611
Diritti sociali
291
Abusi, ineguaglianze, sfruttamento
L’ultimo giudizio
Quando verrà il Figlio dell’uomo nella sua gloria, accompagnato da tutti
gli angeli, siederà sul suo trono di gloria. Davanti a lui si raduneranno tutte
le genti ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore
dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri a sinistra. Allora il re dirà
a coloro che sono alla sua destra: “Venite, o benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi Àn dalla fondazione del mondo.
Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete
dato da bere, sono stato forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete ricoperto, sono stato malato e mi avete visitato, sono stato in carcere e siete
venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti
abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti
abbiamo dato da bere? E quando ti abbiamo veduto forestiero e ti abbiamo
accolto, o nudo e ti abbiamo ricoperto? E quando ti abbiamo veduto malato o in carcere e siamo venuti a trovarti?”. E il re risponderà: “In verità
vi dico: ogni volta che l’avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete
fatto a me”. Allora dirà anche a quelli di sinistra: “Andatevene lontano
da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato al diavolo e agli angeli suoi.
Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non
mi avete dato da bere, sono stato forestiero e non mi avete accolto, nudo e
non mi avete ricoperto, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Allora
anch’essi risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo veduto aver fame o
sete, o forestiero, o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?”.
Allora risponderà loro: “In verità vi dico: ogni volta che non lo avete fatto
a uno di questi, i più piccoli, neppure a me lo avete fatto”. E se ne andranno
costoro al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna.
Nuovo Testamento, Vangelo secondo Matteo, XXV.
612
Dio ha imposto come un dovere ai musulmani ricchi di dare una parte
di quanto posseggono ai poveri. Se i poveri hanno fame e sono nudi, la
colpa di questo è dei ricchi. Dio ne chiederà loro rigorosamente conto e li
castigherà duramente.
Hadith (Detti del Profeta).
613
Ascoltate, o voi potenti, il giorno del giudizio Ànale è vicino. I veri musulmani sono divenuti rari, e coloro che sono creduti tali sono molto dubbiosi.
Gli studenti in teologia studiano le scienze, ma agiscono in contraddizione con quanto viene loro insegnato. I dervisci (monaci musulmani) non
292
Il diritto di essere un uomo
seguono più la retta via. Il popolo fa il sordo ai saggi consigli. Quali tempi
duri stiamo vivendo!
I signori non hanno più generosità né carità: essi fanno le parate montati
sui loro destrieri. Ma ciò che essi mangiano è la carne dei poveri; ciò che
bevono è sangue.
Gli uomini si considerano nemici gli uni degli altri. Pensano che non vi
sarà affatto castigo per il male che commettono. Non pensano che domani
ci sarà il Giudizio Ànale e che i fatti loro saranno in quel momento messi
in chiaro.
Yunus Emre, XIII sec., Turchia
614
Vittime
Io mangerò, Tu no (ciò è iniquo).
Rialza chi è caduto, non dimenticare chi è morto.
Proverbi amarici, Etiopia.
615
Fraternità e mobilità
Che un piatto comune venga collocato dinanzi a tutti coloro che vivono
su questa terra ed essi si nutrano Àanco a Àanco. Possano essi cambiare
casta e fede. Giura, con la mano sulla testa, di fare aderire tutti a questo
principio.
Vemana Satakamu (XV sec.), tradizione telugu.
616
Ritorno delle cose
I pesci mangiano le formiche quando le acque salgono; le formiche
mangiano i pesci quando queste si abbassano.
Proverbio khmer, Cambogia.
617
Poveri
Colui che si sazia mentre il suo vicino ha fame non è un buon musulmano.
Hadith (Detti del Profeta).
618
Diritti sociali
293
Ricchi, aiutate i poveri, come essi vi aiutano,
come pezzi di stoffa attorno a un corpo nudo.
Sapienti, proteggete gli ignoranti, come essi vi proteggono, come
dei sampan al soccorso di una nave naufragata.
O voi Potenti, vegliate anche sui deboli,
0 voi sazi, date da mangiare agli affamati,
Voi che siete colmi di beni, pensate ai diseredati.
Poema popolare khmer. Cambogia.
619
Colui che umilia pubblicamente il suo vicino è come se ne versasse il
sangue.
Talmud, Bava Metzia.
620
Per noi è facile parlare di Dio dopo una buona colazione e in attesa di un
pranzo ancora migliore; ma come parlerò di Dio ai milioni di uomini che
devono fare a meno di due pasti al giorno? Dio, per loro, non può avere
altro aspetto se non quello del pane e del burro.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
621
Guardando la messe
Per i contadini pochi mesi senza lavoro.
Ma, al quinto mese, essi hanno doppia fatica.
Durante la notte, il vento del sud si leva.
Il grano copre le colline del suo oro.
Spose e ragazze, col paniere sulla spalla,
Ragazzi con i bicchieri della bevanda in mano,
in Àla, vanno ai campi per portare il pranzo.
Gli uomini validi sulle colline del sud,
i piedi cotti dal vapore della terra infuocata,
la schiena bruciata dai raggi del sole di fuoco,
sono tanto sÀniti che dimenticano il caldo.
Ma trovano ancora troppo corto questo giorno d’estate.
Ecco ancora delle donne miserabili dietro i mietitori,
con un bimbo in braccio.
La loro mano destra raccoglie le spighe cadute,
un paniere strappato pende dalla spalla sinistra.
Ho udito ciò che dicono tra di loro:
chi non soffrirebbe nell’ascoltarle?
“I nostri campi di famiglia sono stati venduti per pagare l’imposta;
il fascio di spighe dovrà bastare ai ventri scavati”.
294
Il diritto di essere un uomo
E io, oggi, per quali meriti non ho mai penato nei campi né nei gelseti?
Il mio salario ufÀciale è di tremila moggi.
E alla Àne dell’anno ho del grano in avanzo.
A questo pensiero l’onta mi sale alla fronte.
Per tutto il giorno non posso dimenticarla.
Po Kiu-Yi (772-846), Cina.
622
Un mercante russo è colpito dall’ineguaglianza del tenore di vita nelle
Indie.
Il paese è estremamente popolato, ma i contadini sono estremamente
nudi, mentre i signorotti sono molto potenti ed estremamente fastosi.
Atanasij Nikitin (1466-1472), Viaggio al di là di tre mari, Russia.
623
Il raddrizzatore di torti e la gerarchia sociale
Don Chisciotte non era andato molto innanzi, quando gli parve che alla
sua destra, dal folto di un bosco, uscissero delle grida soffocate, come di
chi si lamentasse; e appena le udì disse: “Rendo grazie al cielo per il favore
che mi fa, poiché mi offre così presto l’occasione di poter compiere quello
che devo alla mia professione e di raccogliere il frutto dei miei buoni desideri. Senza dubbio queste grida sono di qualche bisognoso, o bisognosa,
che necessita del mio favore e del mio aiuto.” E volgendo le briglie incamminò Ronzinante verso il luogo da cui gli pareva che uscissero quelle
grida. Fatti pochi passi nel bosco vide una cavalla legata a una quercia e un
ragazzo legato a un’altra quercia, spogliato dalla cintura in su, dell’età di
circa quindici anni; era lui che gridava, e non senza motivo, perché un contadino grande e grosso lo stava picchiando di santa ragione con la frusta,
e accompagnava ogni frustata con un rimprovero e un consiglio, dicendo:
“La lingua a casa e gli occhi all’erta”.
E il ragazzo gli rispondeva: “Non lo farò più, signore, per la passione di
Dio, non lo farò più! d’ora innanzi prometto di accudire meglio il gregge”.
Don Chisciotte vedendo quel che avveniva disse con voce adirata: “Scortese cavaliere, è sconveniente prendervela con chi non può difendersi. Montate sul vostro cavallo e prendete la vostra lancia (poiché aveva anche una
lancia appoggiata alla quercia dove era legata la cavalla); vi farò veder io
che è da codardi quel che state facendo”.
Il contadino, che si vide venir addosso quella Àgura armata di tutto punto, afferrando la lancia e tenendola contro il viso, si vide già morto, e con
buone parole rispose: “Signor cavaliere, questo ragazzo che sto castigando
è un servo mio, che mi serve per custodire un gregge di pecore che pos-
Diritti sociali
295
siedo da queste parti, ed è tanto sbadato che ogni giorno me ne manca
una; e siccome castigo la sua negligenza o vigliaccheria, dice che lo faccio
per avarizia, per non pagargli la mesata che gli devo; e, affé di Dio e per
l’anima mia, mente”. “Menti, davanti a me, villanzone! – disse Don Chisciotte. “Per il sole che ci illumina, sono lì lì per passarvi da parte a parte
con questa lancia. Pagatelo subito senza Àatare; altrimenti, per il Dio che ci
governa, vi Ànisco e vi anniento in questo stesso istante. Slegatelo subito”.
Il contadino chinò la testa e senza dir motto slegò il suo servo, al quale Don
Chisciotte domandò quanto gli dovesse il padrone.
Quello disse che gli doveva nove mesi, a sette reali al mese. Don Chisciotte fece il conto, trovò che ammontava a sessantatré reali, e disse al
contadino che li sborsasse sull’atto, se non voleva morire. Il villano impaurito rispose che, per il frangente in cui si trovava e il giuramento che
aveva fatto (e non aveva ancora giurato nulla!) non erano tanti; perché gli
si dovevano detrarre e tener conto di tre paia di scarpe che gli aveva dato, e
un reale per due salassi che gli avevano fatto quand’era ammalato. Sta bene
tutto questo – disse Don Chisciotte – ma le scarpe e i salassi vadano per le
sferzate che gli avete dato senza sua colpa; che se egli ha rotto il cuoio delle
scarpe che voi avete pagato, voi gli avete rotto la pelle del corpo; e se il
barbiere gli ha cavato il sangue quand’era ammalato, voi gliel’avete cavato
mentre era sano: cosicché da questo lato, non vi deve nulla.
“Il guaio è, signor cavaliere, che qui non ho denari; venga con me a casa
mia, e io glieli pagherò, un reale sull’altro.”
“Andarmene con lui! – disse il ragazzo. – Ma, mi colga il malanno! Nossignore, nemmeno per sogno; appena mi vedrà solo, mi scorticherà come
un San Bartolomeo.”
“Non lo farà – replicò Don Chisciotte – basta che io glielo ordini, perché
mi obbedisca; e purché me lo giuri per la legge della cavalleria che ha ricevuto, io lo lascerò andare libero e garantisco la paga.”
“Badi vossignoria a quel che dice” – disse il ragazzo – che questo mio
padrone non è cavaliere, né ha ricevuto l’ordine di nessuna cavalleria; è
Giovanni Haldudo, il Ricco, del paese di Quintanar.
“Poco importa – disse Don Chisciotte – ci possono ben essere degli Haldudi cavalieri, tanto più che ognuno è Àglio delle sue opere.”
“È vero – disse Andrea – ma questo mio padrone di che opere è Àglio,
poiché mi nega il mio stipendio e il mio sudore e lavoro?”
“Non lo nego fratello Andrea – rispose il contadino – fatemi il piacere
di venire con me; io giuro per tutti gli ordini di cavalleria che ci sono
nel mondo, di pagarvi, come ho detto, un reale sull’altro, e per giunta
profumati.”
296
Il diritto di essere un uomo
“Del profumo vi faccio grazia” – disse Don Chisciotte. “Dateglieli in
reali, che mi contento di questo, e badate di adempiere il vostro giuramento; se no, per lo stesso giuramento, vi giuro di ritornare a cercarvi e a
castigarvi, e vi devo trovare anche se vi nascondiate più di una lucertola. E
se volete sapere chi vi comanda questo, per essere più seriamente obbligato
a compierlo, sappiate che io sono il valoroso Don Chisciotte della Mancia,
il riparatore di oltraggi e ingiustizie; state con Dio, e non vi passi di mente
quel che avete promesso e giurato, sotto la pena che vi ho detto.” E dicendo
questo spronò Ronzinante e in breve tempo s’allontanò.
Il contadino lo seguì con gli occhi, e quando vide che aveva passato il
bosco e che non lo si vedeva più, si volse al suo garzone Andrea e gli disse:
“Venite qui, Àglio mio; voglio pagarvi quel che vi debbo, come mi ordinò di fare quel riparatore di oltraggi.”
“Questo lo giuro – disse Andrea – e come farà bene Vossignoria a ubbidire agli ordini di quel buon cavaliere! Possa vivere mille anni! Come è
stato valoroso, e come ha giudicato bene! Perbacco, e se lei non mi paga,
ritorni e faccia quello che ha detto!”
“Anch’io lo giuro – disse il contadino – ma siccome vi voglio molto
bene voglio aumentare il debito per aumentare la paga.” E afferrandolo
per il braccio, tornò a legarlo alla quercia, dove gli diede tanti colpi che lo
lasciò mezzo morto.
“Chiamate adesso, signor Andrea – diceva il contadino – quel riparatore di oltraggi; vedrete come non disfà questo; sebbene credo che non sia
Ànito di fare, perché mi vien voglia di scorticarvi vivo, come temevate.”
Ma Ànalmente lo slegò, e gli diede licenza di andar a cercare il suo giudice
perché eseguisse la sentenza che aveva pronunciato. Andrea se ne andò
un po’ avvilito, giurando di andare a cercare il valoroso Don Chisciotte
della Mancia, e raccontargli per Àlo e per segno quel ch’era avvenuto, e
che doveva pagargliela cara e salata; ma con tutto questo, egli se ne andò
piangendo, e il suo padrone se la rideva. Così fu raddrizzato il torto dal
valoroso Don Chisciotte.
Miguel de Cervantes (1615-624), Don Chisciotte.
624
Lavoro mal pagato
Questi repartimientos (dove gli indiani erano al servizio degli Spagnoli)
o guatequil o inferno, perché così li chiamano gli Indiani, sono stati creati e organizzati, come lo sono oggigiorno, senza ordine e senza mandato
espresso dei re cattolici che regnano in Spagna, contrariamente alla legge
che l’imperatore Carlo V, di gloriosa memoria, aveva emanata e che ordinava che gli Indiani non fossero ridotti in schiavitù e che non servissero gli
Diritti sociali
297
Spagnoli come schiavi. Contrariamente a questa legge tanto giusta, i viceré, senza chiedere l’autorizzazione dei re di Spagna, cedendo agli Spagnoli
importuni, hanno preso misure e dato ordini tali che gli Indiani sono liberi
di nome, ma non lo sono di fatto e lavorano come schiavi; essi li hanno
sottomessi con la costrizione e la forza, non li hanno lasciati godere della
loro libertà, hanno assegnato un prezzo al loro lavoro perché essi avessero
così il nome di giornalieri, hanno apprezzato il loro lavoro e i loro sforzi
secondo questo prezzo, d’altronde Àssato molto basso, a un livello che corrisponde in Spagna a quattro o sei maravedis, poiché, per più di vent’anni,
esso non ha superato un quartillo (quarto di reale) per il lavoro di un giorno
intero, senza che essi ricevano viveri o alcun altro pagamento in natura; ed
ancora essi non prendevano il loro salario Àno alla Àne degli otto giorni,
quando terminavano il servizio [...]. In seguito, è stato dato l’ordine di pagare un mezzo reale al giorno, e un mezzo reale nella Nuova Spagna non
vale neppure quanto un quarto di reale in Spagna; è dunque a un prezzo
così vile e senza aver ricevuto il minimo nutrimento che essi hanno lavorato per più di trent’anni. E siccome il lavoro di un indiano costava così poco,
grande era la cupidigia degli Spagnoli; uno spagnolo afÀttava venti o trenta
indiani, faceva far loro tutto quello che voleva e riteneva di dar loro più
di quanto meritavano, versando a ciascuno, ogni otto giorni, un quarto di
reale o un mezzo reale per giornata di lavoro; talvolta non dava loro nulla e
teneva tutto per sé. Tale è stata, infatti, la disumanità di numerosi spagnoli:
essi non hanno valutato per nulla il lavoro e i servizi degli Indiani e non
hanno avuto alcuno scrupolo a non versare loro la giusta retribuzione.
Juan Ramirez, Osservazioni sul servizio personale al quale gli Indiani
della Nuova Spagna sono costretti e forzati dai viceré che la governano in
nome di Sua Maestà. 1595.
625
Gli amministratori nelle miniere facevano ugualmente torto agli Indiani non lasciandoli scendere dalla montagna per andarsi a riposare a casa
loro la domenica, perché al lunedì essi dovevano cominciare a lavorare di
buon’ora, e avevano un compito da svolgere (una quantità Àssa da estrarre) ogni giorno e di conseguenza venivano pagati secondo il loro lavoro;
dovevano, ad esempio, estrarre sei costalillos al giorno, e alla Àne della
settimana, chi ne aveva estratti soltanto trenta riceveva la paga di cinque
giorni e non di sei. È giusto fare la massima attenzione a porre rimedio a
questa cosa, e per questo, nel suo decreto reale, Sua Maestà ordina che si
misurino e siano diminuite le ore di lavoro degli Indiani.
Alfonso Mesía Venegas, Sul regolamento del servizio personale degli
Indiani in Perù. 1603.
626
298
Il diritto di essere un uomo
Poesia popolare dei cantori “gauchos” che si accompagnano con la
chitarra:
Chi divide la nostra vita
Deve aver due qualità:
Amarezza e voglia matta
Di cavalcar puledro non dòmo.
Canto il cielo e la mimosa,
il cielo ancora e il cielito,
E ho la mano pronta
A usare il mio pugnale.
Meglio andarsene scarniÀcati
Con l’aquila senza crucci
Che gemer sotto il basto.
Cielito qui, Cielito là,
Puoi tenerti il cioccolato.
Noi siamo Indiani bennati,
Non beviamo che maté.
Piange il Re perché non vede
D’or miniere, oppur d’argento.
Per fargli passare la sua disperazione
Consoliamolo con questa canzone:
Cielito, dico no, Cielito, dico sì,
Manda dunque a Ferdinando i complimenti di Potosì.
È Ànito il tempo in cui degli esseri umani
In fondo alla montagna
Crepavano come cani.
Nel nome del cielo, i re di Spagna
Ci battezzavano cristianamente,
e ci rubavano tutto il nostro denaro...
Bartolomé Hidalgo, soldato e poeta gaucho (1788-1823), Cielito de Casa-Flores (attribuito a) Uruguay.
627
Canto popolare ungherese
Nessuno più sfortunato del contadino
Perché la sua miseria è immensa più del mare
È in piedi notte e giorno, non ha tregua o riposo.
Per tutta la giornata invano lavora e pena
Paga le tasse ma in cambio manco un grazie.
Se giudicato colpevole, va in cella senza pane né acqua.
In casa sua, impunemente fan bisboccia i soldatacci.
Presto, senza maledirli, bisogna servir loro da mangiare
Altrimenti quei vanesi ti prendono a calci.
Diritti sociali
299
Il giudice e le sue tasse, il padrone e le pellicce, il mercante e il suo vino,
Sulla tua casa e sui tuoi beni, si fan pagare in contanti:
Tutto per loro è preda, anche la tua camicia.
Verso la metà del XVIII sec.
Miseria dei contadini
TIBORG
I Àeri Meranesi montano a bell’agio
focosi destrieri: ieri un balzano,
oggi un grigio, domani un milleÀori;
noi, se vogliamo che cresca il grano
dobbiamo porre il basto su moglie e Àglioli.
Per loro le scorpacciate non hanno mai Àne.
Che forse i loro corpi Àn nelle minute pieghe
siano provvisti di stomaco? Ci sarebbe quasi da crederlo.
Dai nostri camini fuggirono le cicogne
visto che noi mangiamo perÀno i riÀuti.
Dei nostri poderi fanno senza vergogna
lor terra di caccia e a noi riÀutano
per sempre l’accesso. Ah! sfortuna a noi
se per rallegrare una donna ammalata
o un povero colpito dal vaiolo
qualche piccione cade sotto i nostri colpi.
Presto alla berlina noi siamo inchiodati.
II ladro di mille e mille persone
giudica chi per bisogno è ladro
di un modesto soldo.
BÁNK
È vero tutto questo!
TIBORG
Non esiste luogo santo, monastero o chiesa,
da cui non salga briosa aria di Áauto.
La musica s’en va sin lungi e tanto forte
che i pellegrini danzano di fuori.
Ah! Se solo da un mantello decente
Noi fossimo coperti per pregare
dinanzi alla statua del nostro amabile
e santissimo patrono!
BÁNK
Il sangue tuo ribolle!
628
300
Il diritto di essere un uomo
TIBORG
Ci vien talvolta voglia d’un lamento?
Dobbiamo prima di tutto apprender la scrittura
poiché noi contadini, più diritto non abbiamo
dinanzi a lui, signor, di presentarci:
lo zoccolo del povero avrebbe presto il torto
di guastargli il bel pavimento di legno!
Jozsef Katona, Bánk Bán (Il paladino Bánk). Atto III, 1791-1830
629
Disuguaglianza davanti alla coscrizione
Da noi, poveri coscritti, son legati:
Dietro la schiena hanno le mani avvinte,
Fino a Kassa sotto scorta d’armati
I nostri poveri Àgli son menati.
Torna a casa tua, buffone,
Alleva d’altri Àgli
Per far dei bei soldati.
Pazienza, castigherà il Signore
Chi con la forza strappa
Al povero il Àglio suo solo.
Canzone popolare ungherese, inizio del XIX sec.
630
Lo straniero
Uno straniero non può neppure pelare una faraona.
Lo straniero non ha diritti politici. È soltanto un ospite,
non deve interferire negli affari dei clan e delle famiglie.
Proverbio mongo, Congo
Esilio e povertà
Verso quale paese fuggire? Dove fuggire, dove andare?
Io vengo allontanato dalla mia famiglia e dalla mia tribù;
Né il villaggio, né i cattivi capi del paese mi sono favorevoli:
Come posso, Signore, assicurarmi il tuo favore?
Io lo so, o saggio, perché sono impotente:
Perché il mio gregge è piccolo e perché ho pochi uomini.
Ti rivolgo il mio lamento: prendilo in considerazione, Signore,
Concedendomi l’appoggio che l’amico darebbe all’amico.
Insegna, Tu che sei Giustizia, il possesso del Buon Pensiero,
Quando, o Saggio, verranno avanti i voleri dei salvatori futuri,
Albe del giorno in cui, per sentenze efÀcaci,
Il mondo manterrà la Giustizia?
631
Diritti sociali
301
A chi si verrà in aiuto, essendo il Buon Pensiero?
– A me, perché io sono stato eletto da te, o Signore, per la rivelazione.
Avesta, Gâthâs di Zarathustra, anteriori al VI sec. a.C., Persia.
632
L’EMIGRATO
Mio Dio onnipotente, grande è il tuo nome!
Dà una patria all’esiliato, ma non la malattia!
Perché quando si è malati occorre un letto, e dei cuscini,
occorrono madri e sorelle, fratelli e cugini. [...]
Che io non abbia per quaderno il cielo e per inchiostro il mare
per scriver le mie pene e i miei lamenti
che han visto mai i miei occhi, che han visto mai, disgraziati!
Come vien sepolto lo straniero, com’è posto in terra,
senza incenso, né cero, senza prete e senza canti!
Canzone popolare greca.
633
LA MORTE DELL’EMIGRATO
Insultami, madre, e scacciami, perché me ne voglio andare.
Andar con le galere, andar con le pesanti navi;
starai degli anni senza vedermi, dei mesi ad aspettarmi;
verrà il giorno di San Giorgio, prima festa dell’anno,
tu andrai, o madre, in chiesa a far il segno della Croce,
vedrai i giovanotti, le ragazze e i bimbi,
vedrai il mio posto vuoto e il mio stallo vuoto
quando usciranno di chiesa, tu andrai all’incrocio...
C’erano là dei viaggiatori, ci son dei viaggiatori.
“Buongiorno, viaggiatori!” – Buongiorno, o madre in lutto!
– Avete visto mio Àglio, il mio Àgliolo amato?
– Dacci qualche segno, forse l’abbiam visto.
– Aveva un neo sulla guancia, un altro neo sotto
l’ascella, e in mezzo al petto il ritratto d’una fanciulla.
– L’altra sera l’abbiamo visto su un’ara marmorea,
neri uccelli lo divoravano e bianchi lo attorniavano,
e un uccello, un uccello d’oro, a piangere s’è messo.”
“Mangia anche tu, bell’uccello, le valenti spalle,
per aver ali lunghe un braccio, le piume d’una spanna,
e scriviti sull’ala tre parole amare.
Portane una a mia madre, un’altra a mia sorella, la terza, la più amara, alla
mia amata.”
Mia madre legga e pianga mia sorella,
legga mia sorella e pianga la mia bella,
legga la bella e pianga il mondo intero!”.
Canzone popolare greca.
634
302
Il diritto di essere un uomo
IL SIGNORE E IL POVERO
Un tempo, vicino alla casa di un grande signore, abitava un pover’uomo, dotato di una grande perseveranza, che lavorava duro e cercava di condurre i suoi
affari seguendo l’esempio del suo illustre vicino. Egli non tardò ad accumulare
una considerevole fortuna.
Venuto a sapere questo, il signore lo fece chiamare e gli disse: “Amico mio,
tu devi darmi tutta la tua ricchezza, che mi appartiene di diritto, poiché tu l’hai
acquistata prendendo esempio da me”.
Il nostro amico, indignato per questa pretesa, protestò energicamente, perché non voleva assolutamente cedere il frutto del suo duro lavoro.
La discussione divenne avvelenata, e ben presto il caso fu sottoposto al giudizio del Re, che fece chiamare i due antagonisti. Il signore prese per primo la
parola:
– Maestà! La fortuna di quest’uomo mi spetterebbe, perché, abitando egli
presso di me, ha preso esempio da tutte le mie azioni e da tutti i miei gesti e ha
così ricalcato, senza vergogna, i suoi affari sui miei.
– Io ho lavorato da solo, a prezzo di molti sacriÀci – rispose l’uomo. – Nessuno mi ha mai aiutato nei miei affari. Perché vuole egli ora ingiustamente
appropriarsi della mia fortuna?
Il Re, volendo tagliar corto alla discussione, domandò ai due uomini se avevano dei Àgli. L’uno rispose che aveva una Àglia e l’altro un Àglio.
– Sta bene così – proseguì il Re –, sposate i vostri Àgli e in questo modo
non avrete più necessità di dividere le vostre fortune. Vi chiedo anche che, per
l’avvenire, non facciate più alcuna distinzione tra ricco e povero. Un uomo
vale l’altro”.
Racconto khmer, Cambogia.
635
IL NEGRO
La legge è fatta per tutti,
ma domina il povero, solo.
La legge è una tela di ragno
– nella mia ignoranza la vedo.
– Il ricco non la teme,
i capi mai la temono,
i grossi animali la spezzano,
solo i piccoli vi restano presi.
La legge è come una pioggia,
non cade, ahimè, mai uguale.
Si lamenta chi l’ha sulla schiena.
Ma, è semplice e chiaro,
la legge è come il coltello,
non ferisce colui che l’adopera.
José Hernández, La vuelta de Martín Fierro, 1879, Argentina.
636
Diritti sociali
303
– Vengo a supplicarti, signore, di non strapparmi le mie terre. Sono mie.
Io le ho seminate [...].
– Tu, Pedro Quispe, non sei proprietario di queste terre. Dove sono i tuoi
titoli di proprietà? In altre parole, dove sono i tuoi documenti?
Ricardo Jaime Freyre (1868-1933), Bolivia.
637
Intellettuali
Si credono intellettuali ma danno del tu ai loro domestici, trattano i contadini come bestie [...]. E tutti quanti che aspetto grave, che espressione severa! Non trattano che questioni importanti [...], mentre, sotto il loro naso,
gli operai sono nutriti in modo abominevole e vanno a letto senza cuscino,
trenta, quaranta in una stanza; dappertutto è pieno di pulci, c’è fetore, umidità, e quale sporcizia morale! È chiaro che tutte quelle belle frasi servono
solo a ingannare tutti.
Anton ÿechov, Il giardino dei ciliegi, 1904.
638
Tirannia domestica
Hanno tracciato un ampio corso alberato e non vi passeggiano [...]. I
poveri, signore, non hanno il tempo di passeggiare: il loro lavoro li assilla
giorno e notte; essi dormono solo tre ore su ventiquattro. Ma i ricchi, loro,
che cosa fanno? [...]. Già da molto tempo hanno messo il catenaccio alle
loro porte e sguinzagliano i cani. Credete che si occupino dei loro affari, e
che recitino le loro preghiere? No, signore! Non è per timore dei ladri che si
chiudono dentro, è perché non si veda come torturano la loro famiglia, come
la tiranneggiano. E quante lacrime che nessuno vede colano dietro quei catenacci! [...]. Dietro quei catenacci, signore, quale scura corruzione, quale
ubriachezza! ma tutto è ben nascosto: nessuno vede e sa nulla, eccetto Dio
[...]. La famiglia, vi dicono, è cosa segreta e sacra. Come se non conoscessimo i loro segreti! Questi segreti, signore, non divertono che il capo famiglia;
quanto agli altri, possono versare tutte le lacrime del loro corpo!
Voi parlate di un segreto! E chi non lo conosce? Spogliare gli orfani, i
parenti lontani, i nipoti, e torturare la famiglia, senza pietà, perché nessuno
osi aprir bocca su ciò che accade in casa.
Aleksandr Ostrovskij, La tempesta, 1860, Russia.
639
Proletariato
Man mano che si ingrandisce la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche
il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo a condizione di
trovare del lavoro e che ne trovano solo se il loro lavoro accresce il capitale.
Questi operai, costretti a vendersi, giorno per giorno, sono una mercanzia, un
304
Il diritto di essere un uomo
articolo di commercio come un altro; essi sono esposti, di conseguenza, a tutte
le vicissitudini della concorrenza, a tutte le Áuttuazioni del mercato.
Lo sviluppo della meccanizzazione e la divisione del lavoro, facendo
perdere al lavoro dell’operaio ogni carattere di autonomia, gli hanno fatto
perdere ogni attrattiva. Il produttore diventa un semplice accessorio della
macchina e si esige da lui solo l’operazione più semplice, la più monotona,
quella che s’impara più in fretta. Di conseguenza, il costo dell’operaio si
riduce, pressappoco, a ciò che gli occorre per mantenersi e per perpetuare
la sua discendenza. Ora, il prezzo del lavoro, come quello di ogni merce, è
eguale al suo costo di produzione. Dunque, più il lavoro diventa ripugnante, più i salari si abbassano. E per di più, la somma di fatica aumenta con
lo sviluppo dell’impiego delle macchine e della divisione del lavoro, sia
per l’aumento del lavoro richiesto in un dato tempo, l’accelerazione del
movimento delle macchine, ecc.
L’industria moderna ha fatto del piccolo laboratorio del maestro artigiano patriarcale la grande fabbrica del capitalismo industriale. Masse di
operai, stipate nella fabbrica, sono organizzate militarmente. Semplici soldati dell’industria, essi vengono posti sotto la sorveglianza di una gerarchia
completa di sottufÀciali o di ufÀciali. Essi non sono soltanto gli schiavi
della classe borghese, dello Stato borghese, ma anche, ogni giorno, a tutte
le ore, gli schiavi della macchina, del capo reparto e soprattutto del borghese che è lui stesso padrone-lavoratore. Più questo dispotismo proclama apertamente che il proÀtto è il suo unico scopo, più diventa meschino,
odioso, esasperante.
Meno il lavoro esige abilità e forza, cioè più l’industria moderna progredisce, più il lavoro degli uomini è soppiantato da quello di donne e ragazzi.
La distinzione di età e di sesso non ha più importanza sociale per la classe
operaia. Vi sono solo più strumenti di lavoro, il cui costo varia secondo l’età e il sesso. Una volta che l’operaio ha subito lo sfruttamento del padrone
e che gli si è stabilito il suo salario, egli diventa preda di altri membri della
borghesia: il padrone di casa, il negoziante al minuto, coloro che imprestano denaro su pegno, ecc.
Piccoli industriali, negozianti, persone che vivono di reddito, artigiani e
contadini, tutto il blocco inferiore delle classi medie di un tempo, cadono
nel proletariato; da un lato perché gli scarsi capitali di cui dispongono non
permettendo loro di usare i procedimenti della grande industria, essi soccombono nella concorrenza coi grandi capitalisti; dall’altra perché la loro
abilità tecnica è trascurata. Per questo il proletariato viene reclutato in tutte
le classi della popolazione.
K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, 1848.
640
Diritti sociali
305
La fabbrica
La schiavitù in cui la borghesia ha incatenato il proletariato non viene
alla luce in nessun posto più chiaramente che nel sistema della fabbrica.
Qui ogni libertà cessa, di diritto come di fatto. L’operaio deve essere in
fabbrica alle cinque e mezza; se arriva un minuto o due in ritardo, è punito;
con dieci minuti di ritardo, non è neppure più ammesso Àno dopo la colazione e perde un quarto della sua paga giornaliera (benché abbia perduto
solo due ore e mezza su dodici). Deve mangiare, bere e dormire a comando.
Non dispone per il soddisfacimento delle sue necessità più urgenti che del
tempo strettamente necessario. Che la sua abitazione sia a mezz’ora o ad
un’ora intera di distanza dalla fabbrica, questo non riguarda il padrone. La
campana dispotica lo fa balzare dal letto, gli tronca la colazione e il pranzo.
E quale tipo di esistenza conduce, una volta in fabbrica! Qui il padrone
è legislatore assoluto: emana dei regolamenti di fabbrica a suo piacimento;
cambia o aggiunge al proprio codice ciò che gli piace [...].
Qualcuno mi dirà che tali regole sono necessarie per garantire in una grande fabbrica ben ordinata i collegamenti necessari tra le diverse operazioni;
mi dirà che una disciplina così stretta non è meno necessaria in fabbrica che
nell’esercito. Sta bene, è possibile; ma che cosa avviene di un ordine sociale
che non può sussistere senza questa ignominiosa tirannia? Una della due: o il
Àne giustiÀca i mezzi, oppure l’ingiustizia dei mezzi rivela l’ingiustizia dello
scopo. Chiunque è stato soldato sa che cosa vuol dire vivere, anche per poco
tempo, sotto una disciplina militare; ebbene, ecco degli operai condannati,
dall’età di nove anni Àno alla morte, a vivere nel terrore morale e Àsico;
schiavi più miserabili dei Negri d’America, perché sono sorvegliati più da
vicino: e si chiede ancora che vivano, pensino e sentano da uomini!
Friedrich Engels, La situazione delle classi lavoratrici in Inghilterra,
1845.
641
Gettando alle ortiche la divisione dei poteri, così esaltata dalla borghesia e
il sistema rappresentativo di cui essa va matta, il capitalismo – nel suo codice
di fabbrica – manifesta, quale legislatore privato e come gli pare e piace, il
suo potere autocratico sugli operai. Ma questo codice è solo la caricatura della
regolamentazione sociale com’è richiesta dalla cooperazione su vasta scala e
dall’uso di mezzi comuni di lavoro, soprattutto delle macchine. Qui, la frusta
del guardiano di schiavi è sostituita dal libro delle punizioni del capo reparto.
Tutte queste punizioni si traducono naturalmente in multe e trattenute sul salario, e la mente scaltra dei Licurghi di fabbrica fa in modo che essi traggano
ancor maggior proÀtto dalla violazione che dall’osservanza delle loro leggi.
Karl Marx, II capitale, 1867.
642
306
Il diritto di essere un uomo
IL MINATORE
Io scavo, sotto terra io scavo.
Frugo tra le pietre che scintillano come pelle di serpente.
Io scavo la terra – sotto Polska Ostrava.
La mia lampada si spegne, i capelli molli,
bagnati di sudore, mi cadono sulla fronte,
l’occhio mi s’inietta di bile,
il mio cranio e le mie vene fumano,
da sotto le mie unghie il sangue rosso stilla,
io scavo, sotto terra io scavo.
Nella galleria batto col mio grosso martello
a Salmovec, io scavo,
a Rychwald io scavo, a Petrvald io scavo.
Vicino a Gudula, mia moglie gela e singhiozza,
sulle sue ginocchia i miei Àgli affamati piangono,
io scavo, sotto terra io scavo.
Un fascio di scintille esce dai miei occhi,
a Dombrowa, io scavo, a Orlova io scavo,
a Poremba io scavo, al di sotto di Lazy io scavo.
Sulla mia testa risuonano colpi di zoccoli,
il conte attraversa il villaggio, la contessa con le sue piccole mani
guida i cavalli e ride col suo roseo viso!
Io scavo, alzo la picozza,
mia moglie, livida, va al castello
a chiedere del pane perché il latte si è prosciugato nel suo seno.
………
Perché è andata al castello a pregare e mendicare?
Forse che il grano cresce nei campi del padrone per la moglie del minatore?
Io scavo a Hrušov e a Michalkowice.
Che cosa diverranno i miei Àgli, che cosa diverranno le mie Àglie
quando un giorno mi trarranno – morto – dal pozzo?
Mio Àglio continuerà a scavare, a scavare sempre,
scavare a Karvina;
e le Àglie: che diventeranno le Àglie dei minatori?
Se un giorno gettassi nel pozzo la mia lampada maledetta,
se levassi la nuca incurvata,
se serrassi il pugno,
se, in un ampio gesto dalla terra Àno al cielo,
io levassi il mio mantello,
Diritti sociali
307
se aprissi i miei occhi scintillanti
sotto il sole di Dio?
Petr BezruĀ, Slezské písnė (“Canti della Slesia”), 1920.
643
La madre
Ella parlò loro ancora di ciò che era nuovo per lei e le sembrava di
inestimabile importanza. Raccontò loro la sua povera esistenza piena di
umiliazioni e di rassegnata sofferenza [...]. Nicola e SoÀa l’ascoltavano, in silenzio, attentamente; erano schiacciati dal signiÀcato profondo
di questa storia di un essere umano che era stato trattato come una bestia e che, per lungo tempo, non aveva compreso l’ingiustizia della sua
situazione, non aveva mormorato. Sembrava loro che migliaia di vite
parlassero per bocca della madre; tutto era banale e oscuro in questa
esistenza, ma vi era sulla terra una quantità innumerevole di persone
che conducevano questo genere di vita [...]. Così, ingrandendosi senza
posa sotto i loro occhi, la storia della madre assumeva l’importanza di
un simbolo.
Maksim Gorkij, La madre, 1906, Russia.
644
Il rispetto contro la fame
Il fatto che un essere umano possegga un destino eterno, impone un
solo obbligo: il rispetto. L’obbligo non è adempiuto se il rispetto non è
effettivamente espresso, in modo reale e non Àttizio; e può esserlo solo
con l’intermediario delle necessità terrene dell’uomo.
La coscienza umana non ha mai cambiato su questo punto. Migliaia di
anni fa, gli Egiziani ritenevano che un’anima non può essere giustiÀcata
dopo la morte, se non può dire: “Non ho permesso che nessuno soffrisse
la fame”. Tutti i cristiani sanno di essere esposti a sentirsi dire un giorno
da Cristo in persona: “Ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare”.
Tutti si rafÀgurano il progresso innanzi tutto come il passaggio a uno
stato della società umana in cui la gente non soffrirà per la fame. Se
si pone la questione in termini generali a chiunque, nessuno pensa che
un uomo sia innocente se, avendo nutrimento in abbondanza e trovando
sulla propria soglia qualcuno per tre quarti morto di fame, passa senza
dargli nulla.
È dunque un obbligo verso l’essere umano quello di non lasciargli
soffrire la fame quando si ha l’occasione di soccorrerlo. Poiché quest’obbligo è il più evidente, deve servire di modello per redigere l’elenco dei
doveri eterni verso ogni essere umano.
Simone Weil, La prima radice, 1942-1943, Francia.
645
308
Il diritto di essere un uomo
Le vittime, i loro lamenti
IL VINO E L’ACQUA
Disse un giorno il vino all’acqua con disprezzo:
– Io disseto i principi e tu gli sciocchi!
– Se i principi ti bevono, diss’ella dolcemente,
– è perché gli sciocchi han dato loro il denaro!
Ignacy Krasicki, Favole, 1779, Polonia.
646
IL DOMESTICO JERNEJ E IL SUO DIRITTO
“La legge degli uomini e anche il comandamento di Dio insegnano al
servo l’obbedienza verso il padrone. Ma esiste anche una legge, che non è
scritta in nessun posto, ma che è dovunque rispettata; esiste un comandamento del Cristo che ingiunge al padrone di non cacciare il proprio servo
quando questi è giunto al termine del suo servizio ed è diventato vecchio
e debole. Per questo, Jernej, vallo a trovare e spiegagli questo: egli avrà
pietà di te!”.
Ma Jernej si adirò e gridò:
“Io non busso alla porta della carità, bensì a quella della giustizia, perché
essa si apra in tutta la sua ampiezza! Non è né un mendicante né un viaggiatore, colui che è stato padrone del focolare per quarant’anni! Non resta
senza casa chi l’ha costruita con le sue mani! Non deve mendicare il pane
colui che ha coltivato vasti campi. Se sei stato tu a lavorare, allora è opera
tua: ecco la legge! Io chiederò giustizia ed essa mi sarà resa. Se non me la
renderete voi stessi, o giudici ottusi ed iniqui, ebbene, il mondo è grande
e vi sono molti giudici al di sopra di voi e, al di sopra di tutti, vi è Dio”.
Ivan Cankar (1876-1918), poeta sloveno.
647
Condizione operaia
Dopo la rivoluzione del 1905
Ah, i giorni, i giorni sono passati,
I diseredati avuta han la loro festa,
Si sono sollevati, sis ono gloriÀcati,
E sono partiti per la Siberia.
Addio, ufÀcio principale,
Addio fabbrica di Zlatooust,
Ci mandano ai lavori forzati,
Noi che eravamo per la libertà,
Noi che eravamo per il popolo.
ÿastuški. Poesia popolare russa.
648
Diritti sociali
309
Condizione della donna
La fanciulla piangeva amaramente,
La bella aveva proprio un gran dolore;
Forse piangea sua libertà perduta?
Piangea la bionda treccia, ahimè, caduta?
Cerca il padre di calmarla,
E la madre ragionarla…
In prigione non ti mandiamo,
Solo, noi ti maritiamo!
Il fratello la consiglia:
Vedi, cara sorellina,
Porta l’oro e non usarlo,
Sopporta il tuo dolore e non parlarne.
Caro fratello mio, mio bel sole,
Quando si porta l’oro, al Àne lo si usa,
Quando si ha un dolore, se ne parla.
ÿastuški. Poesia popolare russa.
La sposa ripudiata
Senza ragione noi fummo uniti,
Senza ragione or ci separiamo.
Un tempo, due anitre mandarine,
Oggi due nuvle, spinte all’ovest e all’est.
Fluttuano le nubi con il vento,
Ma il mio cuore non somiglia loro per nulla.
Il tuo, incostante,
M’abbandona com’erba appassita.
Saluto ancora una volta i suoi genitori,
Voltandomi indietro senza posa.
M’addolorano le tracce dei miei passi
Sul sentiero per quale ero venuta.
Lascio due perle del color di luna,
La nuova sposa farà degli orecchini.
Non l’odio se 1’amor tuo m’ha rubato,
E voglio che le perle vi restino vicino.
Il mio specchio starà sempre nel forziere
Con la polvere della vostra casa.
649
310
Il diritto di essere un uomo
Non avrò mai il coraggio di levarle
Per suo mezzo sarò sempre vicina ai ricordi di un tempo.
Nulla è ormai più la mia vita.
Come dire tutto quel che ho nel cuore?
Potessi darti l’erba dai riÁessi d’oro
Perché i tuoi giorni non Àniscano mai!
Chao Chih-hsin, XVII sec., Cina.
650
I poveri vicini al principe
Finché il tempo lo permette, mettiamo in pratica questo consiglio
di San Paolo: Alter alterius onera portate (Portate reciprocamente i
vostri pesi). Oh ricchi, portate il fardello del povero, soccorrete le sue
necessità, aiutatelo a sopportare le afÁizioni, sotto il cui peso geme: ma
sappiate che, scaricando lui, voi lavorate a scaricare voi stessi: quando
date a lui, voi diminuite il suo fardello, ed egli diminuisce il vostro:
voi portate il bisogno che l’opprime: egli porta l’abbondanza che vi sovraccarica. Comunicatevi mutuamente i vostri pesi “afÀnché divengano
uguali”: ut Àat aequalitas, dice San Paolo. Perché, quale ingiustizia,
fratelli miei, che i poveri portino tutto il peso e che tutto il peso della
miseria vada a cadere sulle loro spalle! Se essi se ne lamentano, e se
mormorano contro la Provvidenza divina, Signore, permettetemi di dirlo, (lo fanno) con una certa parvenza di giustizia: poiché, essendo tutti
impastati in una stessa massa, e (non potendo esservi) gran differenza
tra fango e fango, perché dovremmo vedere da un lato la gioia, il favore, l’abbondanza e dall’altro la tristezza, la disperazione e l’estrema
povertà, e per di più il disprezzo e la schiavitù? [...]. In tutti i regni, in
tutti gli imperi, vi sono dei privilegiati, cioè delle persone eminenti che
hanno diritti straordinari; e la fonte di questi privilegi è il fatto che essi
– per nascita o per ragioni di lavoro – hanno a che fare più da vicino
con la persona del principe. Fa parte della maestà, dello stato e della
grandezza del sovrano, il fatto che lo splendore che irradia dalla sua
corona si riÁetta in qualche modo su coloro che lo avvicinano. Poiché
noi sappiamo dalle sacre Letture che la Chiesa è un regno così ben
ordinato – non dubitatene fratelli miei – che ha anch’essa i suoi privilegiati. E donde prenderanno questi privilegi se non dalla dimestichezza
col suo sovrano, cioè con Gesù Cristo? Perché, se bisogna essere uniti
col Salvatore, o Cristiani, non cerchiamo tra i ricchi i privilegi della
santa Chiesa. La corona del nostro Monarca è una corona di spine: lo
splendore che ne irradia sono le afÁizioni e le sofferenze. È nei poveri,
Diritti sociali
311
in coloro che soffrono, che risiede la maestà di questo regno spirituale.
Gesù, essendo povero e indigente egli stesso, faceva amicizia con i suoi
simili e diffondeva i suoi favori tra i compagni di sventura.
Non si disprezzi più la povertà, e non la si consideri più come plebea. È
vero che era della stirpe del popolo; ma, avendola il Re della gloria sposata, l’ha resa nobile con quest’alleanza, e in seguito (a ciò) Egli accorda ai
poveri tutti i privilegi del suo impero. Egli promette il regno ai poveri, la
consolazione a coloro che piangono, il nutrimento a quelli che hanno fame,
la gioia eterna a coloro che soffrono. Se tutti i diritti, se tutte le grazie, se
tutti i privilegi del Vangelo sono per i poveri di Gesù Cristo, o ricchi, che
cosa rimane per voi e quale parte avrete nel regno?
Jacques Bénigne Bossuet, Discorso sull’eminente dignità dei poveri
nella Chiesa, 1659.
651
Potenza del denaro
La ricchezza fa aprire anche le porte dell’Inferno.
Come il vento disperde le nubi nere, così col denaro si arriva a conquistare il popolo.
Proverbio turco, XI sec., Turkestan orientale.
652
Ingiustizia sociale
Il popolo è una coda di montone ben grassa, non hai che da deliziartene.
Come potrebbe l’asino afÀancarsi al cavallo lungo il cammino? Come il
povero potrebbe essere trattato da fratello da un ricco?
Non disturbare chi è sazio; non far lavorare l’affamato.
Gli ordini dei Signori fanno piangere sangue ai poveri.
Proverbi turchi, XV sec.
653
L’uomo è (felice) non già (nel luogo) dove è nato, ma (nel paese) dove
trova da mangiare.
Proverbio turco.
654
Non bisogna permettere a un essere vivente di trarre i suoi mezzi di sussistenza da un altro essere vivente.
Editto di Ashoka, Pilastro V, III sec. a.C., tradotto dal pracrito, India. 655
In verità, gli dei non hanno ordinato che la fame sia una specie di pena
capitale. Chi mangia da solo deve subire da solo le conseguenze del peccato.
Rigveda, X, tradotto dal sanscrito.
656
312
Il diritto di essere un uomo
Bisogni elementari
Devi fare attenzione a ciò che è necessario al corpo, specialmente al
vitto, che è la prima condizione della vita.
Non esiste persona al mondo che non debba mangiare e bere.
Tradizione nahuatl, Messico.
657
Mancanza di sicurezza
Chi tenta di conquistarci? Forse la morte è presente qui? Come si abbatterà su di noi questa potenza dominatrice? Forse che regnano qui le
malattie, la dissenteria, la tosse, la febbre, la tubercolosi?
………
Perché bisogna che il popolo sparisca e sia disperso?
Tradizione nahuatl, Messico.
658
L’affamato non intende ragione, proprio come chi è sazio non conosce
preoccupazioni.
Quando il ricco lavora si dice che è attivo; quando non lavora, lo si
chiama modesto; quando parla lo si deÀnisce eloquente; quando non parla
è beneducato. Quando il povero lavora lo si chiama incapace; quando non
lavora lo si deÀnisce pigro; quando parla si dice che è un chiacchierone;
quando non parla lo si chiama muto.
A colui che taglia la legna, una parte; a chi non fa che parlarne, due parti. Il
contadino riposa durante la stagione della neve; il pastore, solo nella tomba.
Proverbi del Turkmenistan.
659
In previsione dei periodi di carestia
In ogni provincia principale vi era un gran numero di depositi pieni di
viveri e di altre cose necessarie e utili per l’approvvigionamento degli uomini; in tempo di guerra, ovunque essi inviassero le truppe reali, attingevano da questi depositi senza toccare quello che possedevano gli alleati, né
prelevare alcunché da quanto essi avevano nei loro villaggi; se non erano
in guerra, dividevano fra i poveri e le vedove tutti i viveri di cui disponevano. Questi poveri dovevano essere scelti tra coloro che erano troppo
vecchi, storpi, zoppi, paralizzati o malati; le persone in buona salute non
ricevevano nulla. In seguito, i granai si riempivano di nuovo coi tributi che
tutti erano obbligati a dare, e se per caso si veriÀcava un anno di grande
carestia, essi facevano ugualmente aprire i depositi e prestavano alle province i viveri necessari; poi, l’anno in cui vi era abbondanza, ognuna di
esse restituiva l’equivalente esatto di quanto aveva ricevuto.
Pedro Cieza de Léon, cronista spagnolo del Perù. XVI sec.
660
Diritti sociali
313
Pover’uomo.
Io sono un uomo vecchio.
E cerco di far giustizia a ciascuno.
L’ho fatto per molto tempo,
Perciò son diventato un pover’uomo.
Canto popolare del Vallese (Svizzera), 1514.
CANZONE GAIA DELLA POVERA GENTE
Ecco l’inverno,
Venite, poveretti.
A lungo voi dormiste.
Non avete un mantello.
In primavera sonnecchiate,
E non vi cruccia affatto
Che l’inverno porti affanno.
Miserabile è il vostro vestire.
Sta per nevicare,
Sarete tristi.
Senza camicia
Né stivaloni.
Avete solo un povero mantello.
Il vento sofÀa duro.
Non c’è più speranza.
Ecco la tempesta.
Un’altra segue.
E ci afÁigge.
Fuor de’ nostri cappucci di stracci,
Nulla abbiamo per vestirci.
Nulla è seminato.
I campi sono spogli.
II cuore è triste.
Dove sono i covoni?
Che cosa faremo
Se non cantare?
Alla grazia di Dio.
Dio onnipotente,
Che solo sa bene
A chi donare.
Non lamentatevi.
Egli colma d’oro
E di pane bianco
Colui che ama,
661
314
Il diritto di essere un uomo
E della sua grazia
Per supplemento.
[...]
In questa osteria
Nulla da bere
Per noi poveretti.
Come cantare
Se il bicchiere è vuoto
E il cuore è grosso?
Che cosa faremo
Se non cantare?
Alla grazia di Dio.
Dateci un po’ di lavoro
E potremo bere e mangiare
Tutto ciò che costa tanto,
Comprar del pane,
Ordinar della birra,
Che cosa non avremo
Lavorando!
Ma noi siam poveri.
Arriva il venerdì,
Giorno di festini.
Misero pranzo l’acqua fredda
E una gru in salsa acida!
Mangeremo del pesce,
L’anguilla del Danubio.
Oh, che delizia! Oh, che festino!
All’indomani,
Riprendiamo il lavoro.
Domenica, no:
Niente lavoro e niente fatica.
Sediamoci,
Noi miserabili.
Il vento cuocerà
Il pranzo
E la cena.
La bianca nebbia,
Ci orna la scodella,
La notte poi ci porta
Tanta carne in sogno.
Ognuno mangerà.
Ma se i piatti
Diritti sociali
315
Non son buoni,
I cuochi
Raccoglieranno quel che si meritano!
Canzone popolare ceca, XIV sec.
662
LA CANZONE DI BALADIZ
Quest’estate dell’anno 1946:
Stavamo trebbiando i grani, a Baladiz.
Sulle terre di Demiralay, tra nuvole di polvere,
La morte era là: planava, volteggiando nell’aria, come fanno gli uccelli rapaci.
Là c’è la conÀsca, che rovina i focolari.
Arrivano gli uscieri: gli uni per le tasse, gli altri per i processi verbali.
Le anime non ne possono più, gli uomini son stanchi di vivere.
Se le cose van così, aguzzeremo i ferri.
I contadini han proposto un’intesa amichevole,
Il padrone non ha voluto intender nulla.
Il Signore non ha più pietà, i suoi contadini non hanno più pazienza.
Siamo andati a chiamare i gendarmi, hanno tardato molto a venire:
La terra sarà nera, così, intrisa del sangue del padrone.
Demiralay era un signore, potente fra tutti.
I suoi cammelli vanno e vengono in multiple carovane.
Le sue terre s’estendono vaste e piane, da Sparta Àno a Baladiz.
E il Àume d’Aksu le Àancheggia da un lato.
La ragione non riesce più a capire le cose del destino.
Vi son momenti in cui non serve a nulla esser Bey o Pasha.
Una pietra arriva a rompere la (superba) testa,
E un Àglio d’uomo non è immortale: crolla per un nonnulla.
Canzone popolare turca.
663
Canzone di pastori raccolta da maestri di scuola in Perù (originale in
lingua quechua)
I
Il Recinto ove si conta il bestiame,
dimmi se ti manca un montone,
se ti manca un porcellino.
Miserabile maggiordomo,
miserabile padrona,
quando t’ho chiesto la mia paga,
m’hai detto: “T’ho comprato gli stivali”,
316
Il diritto di essere un uomo
ma io son senza scarpe!
A un anno solamente,
la damigella dal mantello di lana
e il giovane merino
coi loro occhi di cristallo,
coi loro occhi di perla,
vanno a cercar Àori.
Volpe, mia piccola volpe,
dagli orecchi come spine,
mi derubi e io m’indebito!
Condor, mio piccolo condor,
dove sono i tuoi sandali di cristallo?
Miserabile padrone,
io, povera pastorella.
La neve mi fa da berretto,
La nebbia è il mio mantello,
l’“anchu” è il mio nutrimento,
io bevo succo dalle spine.
È tutto lì quel che tu sai donarmi,
miserabile padrone?
È tutto lì quel che hai da offrirmi,
miserabile padrona?
II
Io soffro qui con le tue bestie,
calmando la mia fame con il frutto delle spine,
della paglia o del chicarhuay;
io mi prendo cura delle tue pecore!
Tu non vieni mai e non ti curi di me.
Oggi come ieri io guardo la strada;
“È lui quel che vedo, mi dico, è lui certamente” – non sei tu.
Solo l’huarahuay (uccello degli altipiani delle Ande) si avvicina.
“È lui, è certamente lui”,
e non vedo che ombre allungate;
al mio Àanco non v’è che la mia ombra.
Miserabile padrone,
soltanto adesso ti ricordi di me,
con la tua cancha (granoturco arrostito) bruciata,
col tuo pane secco.
E il tuo compare, la volpe, mi ruba le tue pecore,
Diritti sociali
mentre tutto incappucciato di neve
e avviluppato in un poncho di nebbia,
io veglio sulle tue bestie, miserabile padrone.
317
664
Le vittime
L’umorismo nero di Jonathan Swift fa apparire “in negativo” la nozione
di “diritto dell’uomo”.
È un triste spettacolo, per coloro che passeggiano per questa grande città, o viaggiano nella campagna, il vedere le strade piccole e grandi e la
soglia delle capanne ingombre di donne che mendicano, ognuna seguita
da tre, quattro o sei bambini, tutti vestiti di cenci, che importunano i passanti chiedendo l’elemosina. Queste madri di famiglia, invece di potersi
guadagnare onestamente la vita lavorando, sono costrette a passare tutto il
loro tempo a passeggiare e mendicare qualcosa per sostentare i loro Àgli. E
questi, quando crescono, diventano ladri per mancanza di occupazione, o
lasciano la loro benamata patria e vanno a combattere per il Pretendente di
Spagna o a vendersi chi sa dove.
Tutti gli interessati sono d’accordo, penso, che questo numero prodigioso di bambini tra le braccia, sulla schiena o sui tacchi delle loro madri
e spesso perÀno dei loro padri, aggrava ancora in modo considerevole la
situazione attuale del regno; così, chiunque potesse trovare un modo equo,
facile e poco costoso per rendere questi bambini utili alla comunità, meriterebbe, per questo servizio reso al pubblico, che gli venisse eretta una statua
come a colui che ha salvato la nazione.
Ma il mio progetto è ben lungi dal limitarsi ai casi dei Àgli di mendicanti
dichiarati: è di portata ben più ampia e vuole abbracciare tutti i bambini di
una certa età, i cui genitori sono effettivamente altrettanto poco capaci di
provvedere alle necessità della loro progenie quanto coloro che chiedono
insistentemente la nostra carità nelle strade.
………
Ora vi esporrò dunque le mie idee, e spero che esse non solleveranno la
minima obiezione.
Un americano molto illuminato, che conosco a Londra, mi ha assicurato
che un bambino di buona costituzione, se è ben nutrito, all’età di un anno
fornisce la carne più delicata, più nutriente e più sana che esista, sia che la
si arrostisca alla Àamma o al forno, sia che la si faccia bollire o cuocere a
lento fuoco; e non dubito affatto che la possa anche far friggere o mettere
in un ragù.
Propongo dunque umilmente al pubblico che, di questi bambini che abbiamo in precedenza valutato in numero di 120.000, se ne mettano 20.000
318
Il diritto di essere un uomo
in disparte come riproduttori, e di essi solamente un quarto di maschi (è
più di quanto conserviamo in fatto di montoni, torelli o porci, e io ritengo
per parte mia che, siccome questi bambini sono raramente frutto di un matrimonio, di cui i nostri selvaggi si preoccupano ben poco) sarà sufÀciente
un maschio per servire quattro femmine. I 100.000 che restano, potrebbero,
all’età di un anno, essere venduti in tutto il regno, alle persone facoltose e
qualiÀcate. Non si dovrà mancare di consigliare alle madri di permettere
che il loro piccolo succhi dal suo seno abbondante latte durante l’ultimo
mese, allo scopo di renderlo grasso e tondo, degno di una buona tavola.
Un bambino potrà fare dieci porzioni, se si ricevono amici a pranzo; e se
non si avranno invitati, un quarto anteriore o posteriore costituirà un piatto
conveniente; condito con un po’ di pepe o di sale, sarà un eccellente lesso,
il quarto giorno, soprattutto d’inverno.
………
Dopo tutto, non sono tanto ostinato sul mio progetto da respingere ogni
proposta che degli scienziati formulassero e che si rivelasse egualmente
innocente, economica, facile ed efÀcace [...]. Vorrei che i politici cui la
mia idea dispiace e che avranno forse la pretesa di riÀutarla, cominciassero
col domandare ai genitori di questi giovani mortali se non considererebbero oggi una grande fortuna l’essere stati venduti come carne all’età di un
anno, nel modo da me preconizzato, evitando così l’interminabile serie di
disgrazie che hanno subito da quel momento in poi, schiacciati come sono
stati dai proprietari terrieri, incapaci di pagare il loro afÀtto per mancanza di denaro o di lavoro, perÀno senza mezzi di sussistenza, senza casa
né vestiti per proteggersi dalle intemperie, con l’ineluttabile prospettiva
di trasmettere ai loro discendenti, per l’eternità, delle miserie analoghe o
maggiori.
Jonathan Swift, Una modesta proposta per impedire che i Àgli dei poveri
in Irlanda siano a carico dei loro genitori e per renderli utili al pubblico,
1729, Irlanda.
665
Non si compiange un disgraziato se non in quanto si crede ch’egli debba essere compianto. Il sentimento Àsico dei nostri mali è più limitato di
quanto sembri; ma a causa della memoria che ce ne fa sentire la continuità,
a causa dell’immaginazione che li estende sull’avvenire, essi ci inducono
veramente a compiangerli. Ecco, io penso che sia questa una delle cause che ci induriscono maggiormente di fronte ai mali degli animali, e a
quelli degli uomini, benché la sensibilità comune dovrebbe identiÀcarsi
ugualmente con essi. Non si compiange affatto un cavallo da carrettiere
nella sua scuderia, perché non si ritiene che, mangiando il suo Àeno,
Diritti sociali
319
pensi ai colpi che ha ricevuti e alle fatiche che lo aspettano. E neppure si compiange un montone che si vede pascolare, benché si sappia
che sarà ben presto sgozzato, perché si ritiene che esso non preveda la
propria sorte. Per esteso, ci si indurisce così sulla sorte degli uomini; e
i ricchi si consolano del male che fanno ai poveri, supponendoli abbastanza stupidi da non sentire nulla. In generale, io giudico il prezzo che
ciascuno assegna alla felicità dei suoi simili, secondo che egli sembra
preoccuparsi di loro. È naturale che si valutino poco le persone che si
disprezzano: non stupisce quindi più se i politici parlano del popolo
con tanto disdegno, e neppure se la maggior parte dei ÀlosoÀ affetta di
ritenere l’uomo così cattivo.
È il popolo che compone il genere umano; chi non è popolo è una
cosa così piccola che non val la pena di contarlo. L’uomo è lo stesso
in tutti gli stati: se è così, gli stati più numerosi meritano il massimo
rispetto. Dinanzi a colui che pensa, tutte le distinzioni della civiltà spariscono: egli vede le stesse passioni, gli stessi sentimenti nel servo e
nell’uomo illustre; essi si distinguono solo per il loro linguaggio, un colore più o meno intenso; e se qualche differenza essenziale li distingue,
essa è a scapito dei Àni più nascosti. Il popolo si mostra come è, e non
è gentile: ma bisogna pure che le persone del mondo si mascherino: se
si facessero vedere come sono, farebbero orrore.
In tutti gli stati vi è, dicono ancora i nostri saggi, la stessa dose di
felicità e di dolore. Massima tanto funesta quanto insostenibile: perché
se tutti sono ugualmente felici, che bisogno ho di scomodarmi per chicchessia? Che ciascuno resti come è: che lo schiavo sia maltrattato, che
l’infermo soffra, che lo straccione perisca; non vi è nulla da guadagnare
per loro a cambiar condizione. Essi enumerano le pene dei ricchi e mostrano l’inanità dei piaceri vani: che soÀsma grossolano! Le pene del
ricco non gli derivano affatto dal suo stato, ma solo da lui stesso, che ne
abusa. Foss’anche più sfortunato dello stesso povero, non è affatto da
compiangere, perché i suoi mali sono tutti opera sua, e non dipende che
da lui di essere felice. Ma la pena del miserabile gli proviene dalle cose,
dalla durezza della sorte che si accanisce contro di lui. Nessuna abitudine gli può togliere la sensazione Àsica della fatica, dello sÀnimento,
della fame: né l’umorismo, né la saggezza servono a nulla per toglierlo
dai guai del suo stato. Che cosa guadagna Epitteto nel prevedere che
il suo padrone gli romperà la gamba? Forse che per questo gliela romperà meno? Egli ha, oltre alla sua sfortuna, il male della preveggenza.
Quand’anche il popolo fosse tanto sensato quanto noi lo supponiamo
stupido, che cosa potrebbe fare di diverso da ciò che fa? Studiate le
320
Il diritto di essere un uomo
persone di questo genere, e vedrete che, con un altro linguaggio, essi
hanno altrettanto spirito e maggior buon senso di voi. Rispettate quindi
la vostra specie; pensate che essa è composta essenzialmente dalla collezione dei popoli; che, se ne fossero tolti i re e tutti i ÀlosoÀ, nessuno
se ne accorgerebbe, e le cose non andrebbero peggio. In una parola,
insegnate al vostro alunno ad amare tutti gli uomini, ed anche quelli
che li disprezzano; fate in modo che egli non si Àssi a voler stare in una
determinata classe, ma che si trovi bene in tutte; parlate davanti a lui del
genere umano con tenerezza, perÀno con pietà, ma mai con disprezzo.
Uomo non disonorare per nulla l’uomo.
Jean-Jacques Rousseau, Emilio, 1762.
666
IL SOGNO DI PONGO (domestico indiano)
Un ometto si mise in cammino verso la casa del padrone. Poiché era
servo, andava ad iniziare il suo turno di corvée e a servire nella grande
residenza (padronale). Era piccolo, sparuto, miserabile; i suoi abiti erano vecchi. Il grande signore, proprietario della hacienda, si mise a ridere
quando l’ometto lo salutò nella veranda della hacienda.
“Sei un essere umano o qualcos’altro?”, gli domandò davanti a tutti i
servitori presenti, uomini e donne. Pieno di umiltà, l’indiano non rispose.
Terrorizzato, con lo sguardo Àsso, se ne stava lì in piedi.
“Vediamo, – disse il padrone – saprai almeno lavare i piatti. E anche
arriverai bene a tenere una scopa con quelle manine trasparenti. Conduci
via quest’aborto”, ordinò al suo intendente.
Inginocchiandosi, l’indiano baciò le mani del padrone e, tutto curvo,
seguì l’intendente in cucina.
Nonostante la sua piccolezza, l’ometto era forte come un uomo normale.
Tutto quello che gli veniva ordinato di fare lo faceva bene. Ma si leggeva
sul suo viso una specie di spavento e il suo aspetto faceva ridere alcuni dei
servi e ne impietosiva altri. “Orfano di orfani”, aveva detto nel vederlo la
cuoca meticcia, “Àglio del vento lunare, deve essere il freddo dei suoi occhi; il suo cuore, pura tristezza”.
L’ometto non parlava con nessuno; taceva lavorando e mangiava in silenzio. Tutto quel che gli veniva comandato, lo faceva. “Sì, papacito, sì
mamacita” e non diceva altro.
Forse a causa della sua aria spaventata, o dei suoi abiti stracciati, forse
anche perché non parlava volentieri, l’ometto era particolarmente disprezzato dal padrone. La sera, quando i servi erario riuniti nella veranda per
recitare l’Ave Maria, il padrone lo martirizzava davanti a tutta la servitù e
lo scrollava come uno straccio.
Diritti sociali
321
Gli premeva il cranio e l’obbligava ad inginocchiarsi; poi, gli schiaffeggiava le guance. “Mi sembri un cane. Su abbaia!”, gli diceva. Ma
l’ometto non poteva abbaiare. “Mettiti a quattro zampe”, gli ordinava
allora. L’indiano obbediva e camminava un po’ a quattro zampe. “Trotta di Àanco, come un cane”, comandava il padrone. L’ometto sapeva
correre come corrono i cagnolini degli altipiani delle Ande. Il padrone
rideva di cuore; tremava a forza di ridere. “Ritorna!”, gridava al suo
servo quando costui aveva trottato Àno alla Àne della lunga veranda.
L’indiano faceva un mezzo giro e continuava a correre di Àanco. Alla
Àne, era stanco. Alcuni tra gli altri servitori recitavano durante quel
tempo l’Ave Maria; pregavano lentamente, come se il vento sofÀasse
nei loro cuori.
“Ora drizza le orecchie”, comandava il padrone all’ometto già stanco. “Sei una viscaccia (piccolo roditore dell’Argentina). Fa’ il bello.
Metti le mani giunte”.
Come se, nel ventre di sua madre, egli fosse stato segnato dall’inÁusso di una viscaccia, l’indiano imitava esattamente l’atteggiamento che
assumono questi piccoli animali quando restano immobili sulle rocce,
come in preghiera. Ma non era capace di drizzare le orecchie. Alcuni
domestici si mettevano a ridere.
Con un leggero colpo di stivale, il padrone faceva allora cadere l’ometto sull’ammattonato della veranda. “Recitiamo il Padre Nostro”, diceva il padrone ai suoi Indiani che attendevano ordini in Àla.
L’ometto si rialzava con fatica, e non poteva pregare perché non era
al suo posto, e là ove si trovava, non avrebbe dovuto esserci nessuno.
Al cadere della notte, i servitori scendevano dalla veranda nel patio
e si dirigevano verso i loro dormitori. “Vattene, nanerottolo”, diceva
allora il padrone all’ometto. E così, ogni giorno, il padrone obbligava il
suo nuovo domestico a umiliarsi di fronte a tutti gli altri; lo obbligava
a far Ànta di ridere o di piangere; lo abbandonava alle canzonature dei
suoi eguali, gli Indiani addetti all’hacienda.
Ma... una sera, all’ora dell’Ave Maria, mentre tutti erano riuniti nella
veranda, e il padrone cominciava a gettare nere occhiate all’ometto,
costui si mise a parlare ben chiaramente. La sua espressione appariva
un po’ timorosa.
– Grande signore, padre mio e padron mio, perdonami, ma vorrei
parlarti – disse. Il padrone non credeva alle sue orecchie.
– Che? Sei tu che parli o è un altro? – domandò.
– Permettimi, padrone, di parlarti. È proprio a te che voglio parlare,
– riprese l’indiano.
A
322
Il diritto di essere un uomo
– Parla dunque... se puoi – replicò il padrone.
– Padre mio, mio signore, cuor mio, – cominciò l’ometto – ho sognato
stanotte che eravamo morti tutti e due; insieme, eravamo morti.
– Con me? Tu? Racconta tutto, indiano, – disse il padrone.
– Ebbene! Che cosa dici? – interrogò ancora.
– Siccome eravamo morti, eravamo nudi tutti e due insieme; nudi dinanzi al nostro grande patrono San Francesco.
– E poi? Parla! – ordinò il padrone, mezzo seccato e mezzo curioso.
– Vedendoci nudi, insieme, il nostro grande patrono San Francesco ci
esaminò coi suoi occhi che vedono e misurano Àno a non si sa quale distanza. Te e me egli esaminava, pesando, io credo, il cuore di ciascheduno, e
che cosa eravamo e che cosa siamo. Tu, affrontavi quello sguardo da uomo
ricco e potente.
– E tu?
– Non posso sapere com’ero, venerato signore. Io non posso sapere
quanto valgo.
– Bene. Continua.
– Allora, in seguito, il nostro grande patrono San Francesco ha parlato
e ha detto: “Tra tutti gli angeli, il più bello, venga qui. E che quest’angelo
incomparabile sia accompagnato da un altro angelo, un piccolino, che sia
anch’egli il più bello. E che il piccolo porti una coppa d’oro piena del miele
più trasparente”.
– Allora? – interrogò il padrone.
I servitori indiani ascoltavano; ascoltavano l’ometto con tutta l’attenzione, ma erano inquieti. – Padrone, appena il nostro grande patrono San
Francesco ebbe dato quest’ordine, apparve un angelo, brillante come il
sole. S’avvicinò al nostro grande patrono, camminando lentamente. Dietro
a lui veniva un altro angelo, uno piccolo, bello, che emanava una dolce
luce, come quella che emanano i Àori: egli teneva fra le mani una coppa
d’oro.
– E allora? – domandò ancora una volta il padrone. “Grande angelo
– ordinò San Francesco – ricopri questo gentiluomo col miele che sta nella
coppa d’oro, che le tue mani divengano leggere come piume passando sul
suo corpo”. Allora l’angelo più alto, prendendo il miele nelle sue mani, ne
ha ricoperto tutto il tuo corpo, dalla testa ai piedi; e tu ti sei drizzato, tutto
solo; contro lo splendore del cielo, il tuo corpo, raggiante di luce, spiccava
come se tu fossi stato d’oro, trasparente.
– È così che dovrebbe essere – disse il padrone, poi aggiunse:
– E tu?
– Mentre tu brillavi nel cielo, il nostro grande patrono San Francesco
ordinò: “Venga ora il più sfortunato tra tutti gli angeli del cielo, il più
Diritti sociali
323
comune. E quest’angelo porti un bidone da benzina pieno di escrementi
umani”.
– E allora?
– Allora si presentò dinanzi al nostro santo patrono un vecchio angelo
decrepito, dai piedi pieni di calli, che non aveva neppure la forza di tenere a posto le ali: arrivò stanco con le ali penzoloni, e un grosso bidone
tra le mani: “Andiamo, vecchio – ordinò il nostro santo patrono a quel
disgraziato – insudicia il corpo di questo ometto con gli escrementi che
hai nel tuo bidone; coprilo tutto, non importa come, come potrai. Alla
svelta”. Allora, con le sue mani nodose, il vecchio angelo, prendendo gli
escrementi dal bidone, me ne impiastricciò tutto il corpo, come si impiastra di argilla il muro di una casa; e io apparvi, vergognoso e puzzolente,
nella luce del cielo...
– Esattamente come dovrebbe accadere – affermò il padrone. – Continua. Oppure la tua storia Ànisce qui?
– No, padre mio, no, mio padrone. Quando, in questa nuova situazione,
noi ci ritrovammo entrambi dinanzi al nostro grande San Francesco, egli
ricominciò a esaminarci a lungo, tanto te quanto me. Coi suoi occhi che
riempivano il cielo, non so Àno a quale profondità, egli ci sondò unendo
la notte al giorno e l’oblio alla memoria. Poi disse: “Gli angeli hanno fatto
tutto ciò che dovevano fare. E ora, leccatevi l’un l’altro! Lentamente, a lungo!” Il vecchio angelo ringiovanì nello stesso momento; le sue ali ripresero
il loro colore nero e tutto il loro vigore. Il nostro santo patrono gli ordinò di
vegliare afÀnché si adempisse la sua volontà.
Racconto popolare della provincia di Cuzco, tradotto dal quechua,
Perù.
667
LAMENTO DEL MINATORE
Scalino dopo scalino,
Àno a uno “stop”
dove rumore e polvere
a poco a poco mi uccidono.
Piccola lampada a carburo,
Testimone del mio destino
Tu sola conosci
La vita che conduco.
Polvere Àna di piombo
Che a poco a poco mi uccidi
Ed anche il solfato
Che distrugge la mia camicia:
324
Il diritto di essere un uomo
Triste sorte la mia
D’esser nato minatore!
E molto meglio, è preferibile
Essere un povero contadino.
FUGA
Ricordi, tu, Àglia del Cerro,
Il nostro paese tanto amato?
Prima, tutto era verdeggiante;
Oggi, I neri buchi delle gallerie.
Due mulizas della regione delle Ande, cantata in spagnolo, Perù.
668
Lamento della gente del “Cerro de Pasco”
Ahimè! Ingresso della miniera di Lourdes,
Quante vite tu tieni celate,
Quanti cuori donati alle tue rovine!
Yanacancha (piccolo villaggio) tutto in rovina
Per le detonazioni di Tacna-Arica (nome di una miniera)
E tutti, al suono del mambo,
Se ne vanno al cimitero.
Perù.
SULLA MISERIA
Le notti in cui la pioggia scroscia
Sotto le rafÀche del vento,
Le notti in cui i Àocchi di neve
Si mescolano alla pioggia glaciale,
Ho disperatamente freddo.
Mordicchio un pezzetto di sale,
Inghiotto le ultime sorsate di saké,
Che bruciano, pur spesso diluite;
Tossendo, ansimando
E lisciandomi con la mano la barba grigia,
Mi dico, pieno d’orgoglio:
“Null’altri che me è degno di stima!”
Ma tremo ancora dal freddo.
Mi tiro su le coperte di canapa,
InÀlo i miei pochi abiti senza maniche;
Ma com’è aspra e gelata la notte!
Quanto a quelli più poveri di me,
Devono avere genitori gelati e affamati,
E mogli e Àgli che piangono e gemono.
Sì, come si riesce a vivere?
669
Diritti sociali
325
Si pretende che il cielo e la terra siano vasti,
Ma per me son divenuti così esigui!
Si pretende che il sole e la luna risplendano,
Ma non brillano mai per me.
Accade lo stesso per tutti,
Oppure avviene per me solo?
Per miracolo sono nato uomo,
E non più miserabile d’un altro;
Ma porto vestiti senza maniche e senza imbottitura,
Dei brandelli simili a alghe ondeggianti nel mare.
Che ballano sulle mie spalle,
E rannicchiato sotto il tetto,
Tra muri pericolanti,
Io giaccio sulla paglia
Sparsa sul nudo terreno,
I miei genitori alla testa,
La moglie e i Àgli ai miei piedi,
Tutti ammassati gli uni sugli altri
Tra il dolore e le lacrime.
Nessun fuoco fuma nel focolare,
E nel paiolo
Un ragno tesse la sua tela.
Senza un grano da cuocere,
Noi gemiamo come il tordo notturno.
Poi, in soprappiù,
Ecco venire il capo del villaggio,
Che ci trae dal nostro sonno, col bastone in mano,
E reclama il suo credito, brontolando.
La vita in questo basso mondo
Deve dunque essere così vuota di speranza?
Questo mondo degli uomini apporta solo dolore e onta;
Ma io non posso fuggirmene lontano:
Mi mancano delle ali d’uccello.
Yamanue Okura (660-733), Giappone.
Condizione contadina
I kulaki si dividono la terra,
secondo il numero delle bocche.
La buona terra sarà dunque per loro,
quella cattiva andrà ai poveracci.
Dov’è quel manifesto
mandato dallo zar
670
326
Il diritto di essere un uomo
che dava la terra al popolo,
le fabbriche agli operai?
I signori hanno fortuna,
gratis posseggono la terra,
il contadino il suo lembo di terra
lo trova al cimitero.
ÿastuški, poesia popolare russa,
671
Il silenzio delle vittime
Noi non vediamo e non udiamo quelli che soffrono e tutto ciò che è spaventoso nella vita si svolge da qualche parte, nei corridoi. Tutto è calmo,
paciÀco, e solo le mute statistiche protestano: tanti uomini diventati pazzi,
tanti secchi di vodka bevuti, tanti bambini morti di fame... E quest’ordine di
cose è apparentemente necessario; apparentemente l’uomo fortunato si sente
bene solo perché i disgraziati portano il loro fardello in silenzio; senza questo
silenzio, la felicità sarebbe impossibile. È una forma di ipnosi generale.
Bisognerebbe che, dietro la porta di ogni uomo soddisfatto e felice, stesse qualcuno armato di un piccolo martello, i cui colpi gli ricorderebbero
continuamente che gli infelici esistono e che, per felice che sia, la vita gli
mostrerà presto o tardi i suoi artigli, la sfortuna si abbatterà su di lui, conoscerà la malattia, la povertà, il lutto, e nessuno lo vedrà, nessuno l’udrà,
proprio come ora egli non vede e non ode nessuno.
Anton ÿechov, Uva spina, 1898.
672
Parlare per coloro che non parlano
Nella religione, le cinque cose migliori sono la felicità, la generosità, la
virtù, la diligenza e l’intercessione.
Il più fedele è colui che fa alle creature di Ohrmazd ciò che è più vantaggioso per loro.
Il più generoso è colui che fa un regalo a qualcuno dal quale non si
aspetta nulla in cambio in questo mondo: neppure la sua gratitudine o il
suo favore.
Il più virtuoso è colui che lotta contro i domini spirituali, qualunque
siano, e che, in modo particolare, rimane chiuso a cinque demoni: la cupidigia, l’invidia, la lussuria, la collera e l’infamia.
Il più diligente è colui che esegue ciò che ha intrapreso, per modo che
ha sempre l’intima certezza che, anche se dovesse morire all’istante, non
avrebbe bisogno di cambiare nulla a ciò che sta facendo.
Il migliore intercessore è colui che parla in nome di una persona incapace di parlare e di esprimere le sue lagnanze personali. Egli non parla
Diritti sociali
327
che in nome della sua anima, dei poveri e degli afÁitti e dei sei elementi
terrestri.
Dênkart, IX sec., Persia.
673
Sciopero, programmi, leggi sociali
Uno sciopero tra gli operai di una necropoli dell’antico Egitto
Anno 29. II mese della stagione Péret, giorno 10. Quel giorno, superando la cinta della Necropoli, gli operai della squadra dissero: “Abbiamo
fame, sono già trascorsi diciotto giorni di questo mese”. E si sedettero dietro il tempio di Menkhepere. Passarono di là lo scriba della Tomba segreta(?), i due capi degli operai, i due delegati e i due funzionari di polizia: li
apostrofarono dicendo: “Rientrate!”. Ma essi, tra vive imprecazioni, dissero: “Venite qui! Noi abbiamo una questione con il Faraone”. Trascorsero il
giorno in quel luogo e la notte nella Necropoli.
Lo scriba della stuoia Hednakht e i padri divini di quel tempio vennero
a sentire che cosa avevano da dire. Essi dissero: “Siamo venuti qui perché
abbiamo fame e sete. Non abbiamo né vestiti, né unguenti, né pesci, né
verdure. Avvertite di questo il Faraone, nostro buon signore, e informate
il visir nostro padrone, afÀnché la nostra sussistenza sia assicurata.” Le
razioni del mese precedente furono loro consegnate quello stesso giorno.
Documento degli archivi della XX dinastia, II millennio a.C.
674
Diritti del povero
Quando entrerai nella vigna del tuo prossimo, potrai mangiare uva secondo il tuo appetito a sazietà [...]. Quando entrerai tra il frumento del tuo
prossimo, potrai cogliere spighe con la tua mano.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 23.
675
Non cooperazione
Tutti gli uomini hanno ugualmente diritto alle necessità della vita, come
lo hanno gli uccelli e gli animali. E poiché ogni diritto si compone al tempo
stesso di un dovere e di un mezzo per resistere agli attacchi diretti contro
questo diritto, basta trovare quali sono i doveri che ci incombono e i mezzi
di cui disponiamo per assicurare l’elementare uguaglianza fondamentale.
Il nostro dovere è di lavorare con le nostre mani e il mezzo che abbiamo
per resistere a colui che ci priva del frutto della nostra fatica è quello di non
cooperare con lui. E se io riconosco, com’è mio dovere, l’uguaglianza fondamentale del capitalista e del lavoratore, non devo cercare di distruggere
328
Il diritto di essere un uomo
il capitalista, devo cercare di convertirlo. Il mio riÀuto di cooperare con lui
lo illuminerà sul male che compie.
Mahâtma Gandhi (1868-1948).
676
Se tuttavia, nonostante il massimo sforzo, i ricchi non diventano, nella
vera accezione del termine, i protettori dei poveri, e che cosa bisogna
fare se questi ultimi sono sempre più oppressi e muoiono di fame? Sforzandomi di risolvere quest’enigma, ho trovato nella non-cooperazione
non violenta e nella disobbedienza civile il mezzo giusto e infallibile per
giungervi. I ricchi non possono arricchirsi senza il concorso dei poveri.
Se quest’idea penetrasse in mezzo ai poveri e si diffondesse fra loro, essi
diventerebbero forti e imparerebbero a liberarsi, servendosi della nonviolenza, delle disuguaglianze schiaccianti che li hanno condotti alle soglie della carestia.
Mahâtma Gandhi (1848-1948).
677
Giustizia sociale a mezzo della legge
Poiché la legge è fedele testimonianza di Dio, quando ha lo scopo di
aiutare e di difendere i semplici e la gente povera.
Statuti rurali. Comunità degli uomini, Castel del Piano, 1571. Italia.
678
Le origini della repubblica a Roma: misure politiche prese in favore del
popolo di Publicola dopo la caduta dei Tarquini.
Egli permise, a chi lo voleva, di aspirare al consolato e di darsi da fare
per ottenere questa carica; ma prima di procurarsi un collega, siccome
non sapeva che cosa sarebbe accaduto e temeva che gli avrebbero fatto
opposizione per gelosia o per ignoranza, approÀttò del fatto d’essere solo
al potere per prendere le più belle e più importanti misure politiche. Cominciò col completare il senato, che era stato ridotto a un piccolo numero, innanzi tutto dalle crudeltà di Tarquinio, e poi dalla battaglia appena
scatenata. Si dice che iscrivesse in tal modo 164 nuovi senatori. In seguito, promulgò diverse leggi, di cui una, in particolare, aumentò di molto
il potere popolare: è quella che dava a un accusato il diritto di appellarsi
al popolo contro i consoli. Un’altra legge comminava la pena di morte
contro coloro che si fossero impadroniti di una carica senza esservi chiamati dal popolo. Egli ne fece una terza che fu un conforto per i poveri,
liberando i plebei dal pagamento di ogni imposta, il che li rese tutti più
disposti a esercitare i mestieri.
Plutarco (45 circa - 125 d.C.), Vita di Publicola.
679
Diritti sociali
329
Giustizia e violenza, rivoluzione
G. Babeuf (1760-1797) commenta in una lettera a sua moglie i massacri
che seguirono la presa della Bastiglia (luglio 1789) e l’esplosione di gioia
popolare che li accompagnò.
“Oh, come quella gioia mi faceva male! Ero al tempo stesso soddisfatto
e scontento; dicevo: tanto meglio e tanto peggio”. Capisco che il popolo si
faccia giustizia, approvo questa giustizia quand’è soddisfatta dall’annientamento dei colpevoli, ma potrebbe essa oggigiorno non essere crudele?
[...]. I padroni [...] raccolgono e raccoglieranno ciò che hanno seminato.
Francia.
680
Saint-Just (1767-1794), Istituzioni repubblicane:
Bisogna che non ci siano né ricchi né poveri [...]. L’opulenza è un’infamia [...]. Bisogna distruggere la mendicità distribuendo i beni nazionali ai
poveri [...]. Bisogna che tutti lavorino e si rispettino.
Francia.
681
Analisi (di S. Maréchal, 1750-1803) della “Dottrina di Babeuf (17601797), proscritto dall’esecutivo del Direttivo del Direttorio per aver detto
la verità”:
1. La natura ha dato a ciascun uomo un diritto uguale al godimento di
tutti i beni.
2. Lo scopo della società è (quello) di difendere questa uguaglianza
spesso combattuta da chi è forte e da chi è cattivo allo stato di natura, e di
aumentare, col concorso di tutti, le gioie comuni.
3. La natura ha imposto a tutti l’obbligo di lavorare. Nessuno mai ha
potuto sottrarsi al lavoro senza commettere un crimine.
4. I lavori e i godimenti devono essere comuni a tutti.
5. Vi è oppressione quando l’uno si sÀnisce per il lavoro e manca di
tutto, mentre l’altro nuota nell’abbondanza senza far nulla.
6. Nessuno ha mai potuto, senza delitto, impadronirsi dei beni della terra
o dell’industria.
7. In una vera società non debbono esservi né ricchi né poveri.
8. I ricchi che non vogliono rinunciare al superÁuo in favore degli indigenti sono i nemici del popolo.
9. Nessuno può, accumulandone tutti i mezzi, privare un altro dell’istruzione necessaria alla sua fortuna; l’istruzione deve essere comune.
10. Lo scopo della Rivoluzione è quello di distruggere l’ineguaglianza e
di ristabilire la felicità di tutti.
330
Il diritto di essere un uomo
11. La Rivoluzione non è Ànita perché i ricchi assorbono tutti i beni e
comandano in modo esclusivo, mentre i poveri lavorano come veri schiavi,
languono nella miseria, e non contano nulla nello Stato.
Francia.
682
S. de Sismondi (gennaio 1835):
Ai tempi della massima oppressione feudale, ai tempi della schiavitù, si
sono visti senza dubbio da parte dei padroni degli atti di ferocia che fanno
fremere l’umanità; ma almeno qualche motivo aveva eccitato la loro collera e la loro crudeltà; e qualche speranza restava all’oppresso di evitare di
provocare il suo oppressore [...]. Nella fredda e astratta oppressione della
ricchezza non vi è affatto ingiuria, non vi è collera, nessun ministro conosciuto, e nessun rapporto da uomo a uomo.
Francia.
683
A. Blanqui, Processo dei quindici, 12 gennaio 1832
Sono accusato di aver detto a trenta milioni di francesi, proletari come
me, che essi avevano il diritto di vivere.
Francia.
684
Al contrario, L. de Bonald (1754-1840):
Nella società non vi sono diritti, vi sono solo doveri. I diritti dell’uomo
[...] sono segnali di desolazione e di morte, come i colpi di cannone che
partono a lunghi intervalli da una nave che sta affondando.
Bonald ha richiesto una “Dichiarazione dei diritti di Dio”
Francia.
685
Dupont de Nemours, Quaderni del Balivato di Nemours
Articolo I: Ognuno ha diritto di fare liberamente quello che non nuoce
agli altri.
Articolo II: Ognuno ha diritto all’aiuto degli altri.
Articolo III: Tutti gli uomini hanno diritto di esigere la reciprocità da chi
reclama il loro aiuto se si trova nello stato di potere, di forza e di salute, ed
essi sono allora giudici delle condizioni di tale reciprocità.
Articolo IV: Chiunque si trovi in stato di infanzia, impotenza, caducità,
infermità, ha diritto ad aiuti gratuiti da parte degli altri uomini, poiché non
vi è uno di costoro che non debba pagare, sotto questo aspetto, un debito
che dura quanto la sua vita, poiché non esiste nessuno che non debba la
vita a una quantità di soccorsi gratuiti che ha ricevuto almeno durante la
sua infanzia.
Diritti sociali
331
Articolo V: Nessuno dev’essere in alcun modo interrotto o disturbato nel
suo lavoro da nessun altro uomo, né da nessuna autorità.
Articolo VI: Nessuna autorità può obbligare un uomo a lavorare senza
compenso, né per un compenso che gli sembrasse insufÀciente.
Articolo VII: Ognuno deve conservare ciò che possiede e che ha legittimamente acquisito col suo lavoro, mediante donazione o per eredità.
Articolo VIII: Ognuno è padrone di stipulare i contratti che ritiene convenienti e ogni contratto libero è obbligatorio per le due parti se non è
contrario ai buoni costumi [...].
Articolo IX: Nessuno deve essere sottoposto ad alcuna violenza, né nel
corpo né nei beni.
Francia.
686
Al contrario, Boissy d’Anglas (1795)
Se date senza riserva i diritti politici a uomini che non posseggono proprietà e se essi si troveranno sul banco dei legislatori, ecciteranno o permetteranno di esercitare gli eccitamenti senza temerne le conseguenze.
Francia.
687
Louis Blanc, Catechismo dei socialisti, 1849
Il socialismo ha lo scopo di realizzare tra gli uomini le quattro massime
fondamentali del Vangelo:
1. Amatevi gli uni gli altri.
2. Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi.
3. Il primo tra voi deve essere il servo di tutti gli altri.
4. Pace agli uomini di buona volontà.
Francia.
688
A. Blanqui a Maillard, 6 giugno 1852: Che cosa deve essere la rivoluzione?
L’annientamento dell’ordine attuale, fondato sull’uguaglianza e lo sfruttamento, la rovina degli oppressori, la liberazione dal giogo dei ricchi.
Sono stati dei borghesi ad innalzare per primi la bandiera del proletariato, a formulare le dottrine egualitarie, a diffonderle.
Francia.
689
Enunciazione del programma dei democratici cechi (1848)
Noi saremo apertamente ostili a ogni privilegio, qualunque sia. Saremo
a Àanco del povero contro il ricco, impediremo a quest’ultimo di arricchirsi
a prezzo delle sofferenze dei milioni di uomini che conducono ancora in
332
Il diritto di essere un uomo
questo mondo una vita da bestie. Noi esalteremo il diritto al lavoro, perché
la libertà non deve essere derisione della miseria, ma deve, al contrario,
diventare la salvezza del miserabile.
Contribuiremo a diffondere l’istruzione tra le classi popolari. Ma non
abbiamo l’ingenuità di credere che l’insegnamento basti a rendere felice
il popolo; noi vogliamo che esso possa esercitare il diritto imprescindibile
che ha di vivere. E se voi proclamate che la povertà è un male necessario,
vi grideremo in faccia, egoisti che siete: non è vero! Esistono dei mezzi sia
per sopprimerla, sia almeno per attenuarla considerevolmente.
Proclama ceco.
690
I nostri princìpi
Per la riforma della Patria!
Brasov, 12/24 maggio 1848
1. Soppressione di ogni servizio gratuito e di ogni altra prestazione di
lavoro dovuta dai contadini ai loro padroni.
2. Soppressione di ogni servizio gratuito a vantaggio del principe, delle
prestazioni di lavoro per la costruzione delle strade, e di ogni prestazione
non retribuita a vantaggio del potere.
3. Concessione ai contadini del diritto alla proprietà terriera, senza alcuna contropartita.
4. Abolizione di tutti i privilegi, e, di conseguenza, suddivisione equa
delle cariche dello Stato tra tutto il popolo; accesso equo del popolo a tutti
i diritti politici e civili.
5. Riconoscimento dei princìpi di libertà, di eguaglianza e di fraternità,
in tutto il loro signiÀcato, come fondamento delle istituzioni del paese.
6. Unione della Moldavia e della Valacchia in un solo Stato rumeno
indipendente.
Programma rivoluzionario del 1848 in Moldavia, redatto da Costache
Negri e Aleco Russo.
691
LA DOTTRINA SOCIALE DELLE CHIESE
Dichiarazione adottata dalla conferenza generale della chiesa episcopale metodista
La Chiesa episcopale metodista è favorevole a quanto segue:
L’uguaglianza dei diritti e la pienezza della giustizia per tutti gli uomini,
qualunque sia la loro condizione sociale.
Il principio della conciliazione e dell’arbitrato nei conÁitti del lavoro.
La protezione dei lavoratori contro le macchine pericolose, le malattie
professionali, le ferite e la mortalità.
Diritti sociali
333
L’abolizione del lavoro dei bambini.
Una regolamentazione delle condizioni di lavoro delle donne che permetta di salvaguardare la salute Àsica e morale della comunità.
La soppressione dello sfruttamento dei lavoratori.
La riduzione progressiva e ragionevole delle ore di lavoro Àno al livello
più basso che le condizioni pratiche rendano possibile, con lavoro per tutti.
La quantità di svago per tutti senza il quale la vita umana non può raggiungere la sua pienezza.
Un giorno di vacanza su sette.
Il salario vitale in tutte le industrie.
Il salario più alto che ogni industria possa accordare, e una suddivisione
dei prodotti dell’industria più equa possibile.
Il riconoscimento della Regola d’Oro e l’accettazione dello spirito di
Cristo come legge suprema della società e rimedio sicuro contro tutti i mali
d’ordine sociale.
Stati Uniti d’America, Maggio 1908.
692
Giustizia sociale
PRIMO DISCORSO INAUGURALE DI WILSON, DOPO LA SUA ELEZIONE ALLA PRESIDENZA DEGLI STATI UNITI (4 MARZO 1913)
Alcune cose antiche che ci erano divenute familiari e avevano cominciato a penetrare nelle abitudini del nostro pensiero e della nostra vita hanno
cambiato aspetto quando le abbiamo recentemente considerate con occhio
critico, più vivace e più aperto; esse hanno gettato la maschera e si sono
rivelate estranee e funeste. Alcune cose nuove, quando le guardiamo francamente in faccia, pronti a capirne la vera natura, sono giunte a rivestire
l’apparenza di idee alle quali si crede da lungo tempo e che ci sono familiari, la sostanza stessa delle nostre convinzioni (personali). Noi ci sentiamo
rinnovati da una percezione nuova della nostra vita.
………
Ma col bene è venuto il male, e molto oro Àno è stato corroso. Con la
ricchezza è venuto uno sciupìo imperdonabile. Abbiamo dilapidato una
gran parte di quanto avremmo potuto utilizzare e non ci siamo presi la
briga di assicurare la conservazione dei beneÀci sovrabbondanti della natura senza i quali il nostro spirito d’intraprendenza sarebbe stato impotente e senza valore. Disprezzando la prudenza, vergognosamente prodighi allo stesso tempo che ammirevolmente efÀcienti, ci siamo inorgogliti
delle nostre realizzazioni industriali, ma non ci siamo presi la pena, Àno
ad ora, di considerare abbastanza da vicino quanto è costato sul piano
umano [...].
334
Il diritto di essere un uomo
E neppure abbiamo studiato e perfezionato i mezzi coi quali un governo può essere posto al servizio dell’umanità, salvaguardando la salute della nazione, la salute dei suoi uomini e dei suoi bambini, proprio
come i loro diritti nella lotta per la vita. E questo non è un dovere
sentimentale. Per essere solido, un governo deve appoggiarsi sulla giustizia, e non sulla pietà. E si tratta proprio di giustizia. Non può esservi
uguaglianza né possibilità di miglioramento – elementi essenziali della
giustizia nel corpo politico – se gli uomini e le donne e i bambini non
sono protetti nella loro vita, nella loro stessa vitalità, dalle conseguenze
di questi grandi processi industriali e sociali ch’essi non possono né
dominare né piegare, e ai quali essi non possono far fronte con i loro
propri mezzi. La società deve far attenzione a non schiacciare, indebolire o danneggiare essa stessa i suoi elementi costituenti. Il primo dovere
della legge è di preservare l’integrità della società che essa serve. Le
leggi sulla salubrità pubblica, quelle che prescrivono la purezza degli
alimenti e quelle che determinano le condizioni di lavoro che i privati
non sono capaci di Àssare da se stessi, fanno parte integrante della giustizia e dell’efÀcacia giuridica.
693
Riforma agraria
Si devono anche far sparire tutte le grandi proprietà che hanno più di
due leghe di terra coltivabile perché l’agricoltura può svilupparsi solo se
numerose persone si adoperano separatamente a far fruttiÀcare una piccola porzione che possono mandare avanti con il loro lavoro solamente;
questo non è possibile quando un proprietario solo possiede un’immensa
terra incolta, tenendo alle sue dipendenze migliaia di uomini, manovali a
giornata o schiavi, che fa lavorare per forza, quando essi potrebbero farlo
come proprietari di un piccolo terreno, liberamente, a vantaggio proprio e
a quello del popolo.
José Maria Morelos (1765-1815), Messico.
694
Limitazione del diritto di proprietà
Noi siamo individualisti, nel senso che poniamo il diritto umano al di
sopra di ogni atto dello Stato e non perché crediamo che tutto ciò che si
chiama diritto individuale sia assoluto; al contrario noi pensiamo che,
siccome la società non è una Ànzione ma un organismo reale, sottoposto
a leggi più complesse che non l’individuo, la sua azione può, in casi ben
determinati, servire come limite a certi diritti umani, per esempio a quello
della proprietà; noi crediamo che si possa, sulla base di una maggiore
giustizia, regolare parzialmente il problema sociale per mezzo di una le-
Diritti sociali
335
gislazione che tenda in modo fermo e prudente allo spezzettamento della
proprietà fondiaria.
Justo Sierra, XIX sec., Messico.
695
Riforma dello statuto dei funzionari da parte della “Comune”
Particolarmente notevole, a questo riguardo, è una delle misure prese
dalla “Comune” e che Marx mette in evidenza: soppressione di tutte le
spese di rappresentanza, di tutti i privilegi pecuniari riservati ai funzionari, riduzione degli stipendi di tutti i funzionari a livello di “salario di
operaio”. È proprio qui che compare col suo maggior rilievo la svolta
che si attua dalla democrazia borghese alla democrazia proletaria, dalla
democrazia degli oppressori alla democrazia delle classi oppresse, dallo
Stato come “forza speciale” destinata a reprimere una determinata classe,
alla repressione degli oppressori da parte della forza generale della maggioranza del popolo, degli operai e dei contadini. Ed è proprio su questo
punto, particolarmente evidente, – sulla questione dello Stato che è forse
la più importante fra tutte – che gli insegnamenti di Marx vengono al
massimo dimenticati! I commenti di volgarizzazione – e sono innumerevoli – non ne fanno neppur cenno. Si dà per ammesso il tacere questo
(particolare) come “una cosa puerile”, che ha fatto il suo tempo, proprio
come quei cristiani che, divenuto il loro culto religione di Stato, “hanno
dimenticato” la “puerilità” del cristianesimo primitivo col suo spirito democratico rivoluzionario.
Lenin, Lo Stato e la rivoluzione, 1917.
696
Legge VI sull’abolizione delle grandi proprietà e la ripartizione delle
terre tra coloro che le coltivano.
Articolo primo [...] conformemente ai princìpi formulati nel suo manifesto e nella dichiarazione del Governo nazionale provvisorio, come pure per
assolvere al suo mandato, l’Assemblea nazionale vuole, con l’abolizione
delle grandi proprietà terriere, realizzare il sogno secolare dei contadini
ungheresi, perché questi dovranno essere immessi nel possesso delle terre
che spettano loro da sempre.
L’abolizione del regime delle grandi proprietà feudali assicurerà la trasformazione democratica del paese e la sua evoluzione futura; il possesso
da parte dei contadini delle antiche proprietà padronali aprirà la via del
progresso politico, sociale, economico e culturale ai contadini ungheresi
che da secoli hanno vissuto sotto l’oppressione.
Ungheria, 1945.
697
LA LIBERTÀ CONCRETA
Uguaglianza e giustizia
L’uguaglianza reale dei diritti dipende dal condono dei debiti
Elogio raffrontato di Solone e Publicola
L’odio verso i tiranni fu più forte in Publicola che in Solone. Perché, se qualcuno tentava di usurpare la tirannia, Solone faceva tradurre
dinanzi alla giustizia il colpevole colto sul fatto, mentre Publicola permetteva di ucciderlo senza ch’egli fosse sottoposto a giudizio. Se Solone si gloriava a buon diritto di aver riÀutato il potere assoluto quando la situazione gli avrebbe permesso di impadronirsene e i cittadini
l’avrebbero accettato senza ripugnanza, non è meno bello da parte di
Publicola, rivestito di un’autorità tirannica, di averla democratizzata, e
di non aver neppure fatto uso dei poteri che deteneva. È ciò che Solone
sembra aver visto per primo quando diceva del popolo:
”Non bisogna, se si vuole ch’esso segua i suoi capi nel modo migliore, né opprimerlo, né lasciarlo troppo libero” [...].
Una cosa è propria di Solone: il condono dei debiti; con questo soprattutto egli affermò la libertà dei cittadini. Effettivamente, non serve
a nulla stabilire con delle leggi l’uguaglianza dei diritti, se dei debiti ne
privano i poveri: accade che proprio quando sembrano godere maggiormente la loro libertà, sia giudicando, sia esercitando una magistratura,
sia parlando, essi siano in realtà più soggetti agli ordini dei ricchi. Ma
ecco ciò che è più importante ancora: mentre l’abolizione dei debiti
comporta sempre una sedizione, quella di Solone fu la sola eccezione
alla regola. Usandola come un rimedio audace ma efÀcace, egli pose
felicemente Àne al dissenso che divideva allora i cittadini e, con le sue
virtù e col suo prestigio, trionfò sulle calunnie che gli attirava questa
misura.
Plutarco (45 circa - 125 d.C), Vita di Publicola, Sull’impopolarità. 698
338
Il diritto di essere un uomo
Diritti legali e diritti reali
Scorrendo la storia delle società, avremo l’occasione di far notare
che spesso esiste un largo spazio tra i diritti che la legge riconosce spettare ai cittadini e quelli di cui essi godono realmente; tra l’eguaglianza
stabilita dalle istituzioni pubbliche e quella che esiste tra gli individui: avremo fatto notare che questa differenza è stata una delle cause
principali della distruzione della libertà nelle antiche repubbliche, delle
tempeste che le hanno turbate, delle debolezze che le ha consegnate ai
tiranni stranieri.
Queste differenze hanno tre cause principali: l’ineguaglianza della
ricchezza; l’ineguaglianza di condizioni tra colui i cui mezzi di sussistenza, che egli stesso si è assicurati, si trasmettono alla sua famiglia, e
colui per il quale questi mezzi dipendono dalla durata della sua vita, o
piuttosto di quella parte della sua vita in cui egli è in grado di lavorare;
inÀne, la diversità di istruzione.
Sicurezza sociale e assicurazioni
Esiste una causa necessaria di ineguaglianza, di dipendenza e perÀno
di miseria, che minaccia senza posa la classe più numerosa e più attiva
delle nostre società.
Dimostreremo che la si può in gran parte distruggere, opponendo il
caso a se stesso, assicurando a colui che raggiunge la vecchiaia un aiuto
prodotto dai suoi risparmi, ma aumentato di quelli degli individui che,
facendo gli stessi sacriÀci, muoiono prima del momento di aver bisogno
di raccoglierne i frutti; procurando, per effetto di una simile compensazione, alle mogli, ai Àgli, per il momento in cui perdono il loro marito o
il loro padre, una risorsa uguale e acquisita al medesimo prezzo, sia per
le famiglie afÁitte da una morte prematura, sia per quelle che conservano il loro capo più a lungo; inÀne, preparando ai Àgli che raggiungono
l’età di lavorare per conto proprio e di fondare una nuova famiglia, il
vantaggio di un capitale necessario allo sviluppo della loro industria,
che cresce a spese di coloro che una morte troppo rapida impedisce di
giungere a questa meta. Si deve all’applicazione del calcolo alle probabilità della vita e agli investimenti di danaro l’idea di questi mezzi già
impiegati con successo, benché non siano mai stati usati su così vasta
scala, con questa varietà di forme che li renderebbero veramente utili,
non solamente ad alcuni individui, ma all’intera massa della società che
essi libereranno da questa rovina periodica di un gran numero di famiglie, sorgente sempre rinascente di corruzione e di miseria.
La libertà concreta
339
Diritto a una vita migliore e più lunga
La perfettibilità o la degenerazione organica delle razze tra i vegetali e tra
gli animali può essere considerata come una delle leggi generali della natura.
Questa legge si estende alla specie umana e nessuno, senza dubbio, potrà dubitare che i progressi nella medicina conservatrice, l’uso di alimenti o
di abitazioni più sane, un modo di vivere che sviluppasse le forze mediante
l’esercizio, senza distruggerle con eccessi; che inÀne la distruzione delle
due cause più attive di degradazione, la miseria e l’eccessiva ricchezza,
non debbano prolungare, per gli uomini, la durata media della vita, assicurare loro una salute più costante, una costituzione più robusta. Si capisce
che i progressi della medicina preventiva, divenuti più efÀcaci grazie a
quelli della ragione e dell’ordine sociale, devono alla lunga far sparire le
malattie trasmissibili o contagiose, e quelle malattie generali, che devono
la loro origine al clima, agli alimenti, al genere di lavoro. Non sarebbe difÀcile dimostrare che questa speranza deve estendersi a quasi tutte le altre
malattie, di cui è verosimile che si sapranno sempre riconoscere le cause
remote [...]. Senza dubbio l’uomo non diventerà immortale, ma la distanza
tra il momento in cui comincia a vivere e l’epoca comune in cui, naturalmente, senza malattia, senza incidente, egli provi difÀcoltà ad esistere, non
potrà aumentare senza posa?
Nicolas de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico del progresso dello
spirito umano, 1798.
699
Giustizia e libertà
La libertà non fondata sulla giustizia non è altro che una parola vuota
che ricopre solo illusioni. Sono proprio i maggiori tiranni del genere umano quelli che hanno emesso le più alte grida a gloria della libertà.
Stanislaw Staszìc (1755-1826), Il genere umano, Polonia.
700
L’eguaglianza condizione di giustizia e di libertà
DECRETO SULLA SOPPRESSIONE DEGLI ONORI RESI AL PRESIDENTE
Estratto dalla Premessa
La giunta pubblicherebbe invano i princìpi liberali destinati a far apprezzare ai popoli il dono inestimabile della libertà, se continuasse a tollerare i
procedimenti che, procurando la sventura dell’umanità, i tiranni hanno inventato per soffocare i sentimenti naturali [...]. Come paragonare tutto un
popolo di schiavi, che conquista col suo sangue delle vittorie da cui i suoi
padroni traggono proÀtto per accrescere il proprio lusso, moltiplicare le loro
carrozze e aumentare il loro seguito, con una città di uomini liberi in cui i
magistrati non si distinguono dagli altri se non perché fanno rispettare le
340
Il diritto di essere un uomo
leggi e arbitrano le divergenze fra i loro concittadini? Tutte le classi dello
Stato si rivolgono con Àducia ai depositari dell’autorità, perché nella vita
sociale essi si sono frequentati con la massima franchezza; il povero spiega
i suoi atti senza timidezza perché ha molte volte conversato familiarmente
col giudice che l’ascolta; il magistrato non assume in tribunale un aspetto
minaccioso nei confronti di uomini che potrebbero poi diffamarlo al club, e
tuttavia alla magistratura non manca il rispetto, perché le sue decisioni sono
dettate dalla legge, sostenute dalla Costituzione ed eseguite con fermezza
indistruttibile da uomini giusti e incorruttibili [...]. La libertà dei popoli non
consiste in parole, e neppure deve esistere solo sulla carta. Qualsiasi despota
può obbligare i suoi schiavi a cantare inni alla libertà; e questi canti, cantati
macchinalmente, sono perfettamente compatibili con le catene e l’oppressione di coloro che li intonano. Se ci auguriamo che gli uomini siano liberi,
osserviamo religiosamente il dogma sacro dell’uguaglianza [...].
Estratti dal Regolamento
I brindisi, gli evviva o le acclamazioni pubbliche in favore di individui
membri della Giunta sono proibiti. Se costoro sono uomini giusti, vivranno
nel cuore dei loro concittadini: questi non apprezzano le bocche che sono
state profanate dall’elogio dei tiranni.
... Si potrà far un brindisi solo alla patria, ai suoi diritti, alla gloria delle
nostre armi e a quanto si riferisce in generale al bene pubblico.... Chiunque
pronuncerà un brindisi alla salute di un membro della Giunta sarà esiliato
per sei anni.
... A far data da oggi è abolito tutto il cerimoniale che associa la Chiesa
alle autorità civili: queste ultime non si recheranno più al tempio per farsi
incensare, ma per rendervi il culto all’Essere supremo.
Mariano Moreno, “Gaceta de Buenos Aires”, 1810.
701
Libertà, uguaglianza, associazione, educazione
Associazione, progresso, libertà, uguaglianza, fraternità, termini correlativi della grande sintesi sociale e umanitaria; simboli divini del felice
divenire dei popoli e dell’umanità. La libertà è irrealizzabile senza uguaglianza, e l’uguaglianza (lo è del pari) senza l’associazione o il concorso
di tutte le forze individuali orientate verso uno scopo unico, indeÀnito, il
progresso continuo: formula fondamentale della ÀlosoÀa del XIX secolo.
Per emancipare le masse ignoranti e aprir loro l’accesso alla sovranità,
bisogna educarle. Le masse hanno solo degli istinti; sono più emotive che
razionali; vogliono il bene e non sanno dove trovarlo; aspirano alla libertà
ma ignorano la via che a essa le condurrebbe [...]. Tuttavia le masse igno-
La libertà concreta
341
ranti, quantunque private temporaneamente dell’esercizio dei diritti relativi
alla sovranità o alla libertà politica, sono nel pieno possesso della loro libertà individuale: i loro diritti naturali sono inviolabili come quelli di tutti
i membri dell’associazione: esse godono, come chiunque, delle garanzie
della libertà civile: la stessa legge civile, penale e costituzionale, emanata
dal sovrano, protegge la loro vita, i loro beni, la loro coscienza e la loro libertà; in virtù di questa legge, esse vengono giudicate quando commettono
un delitto, e condannate o assolte.
Esteban Echeverría (argentino rifugiato in Uruguay), Dottrina socialista
dell’associazione di maggio, 1838.
702
Critica dei diritti dell’uomo separato dalla comunità
Prima di tutto, constatiamo il fatto che i diritti dell’uomo – i diritti
dell’uomo distinti dai diritti del cittadino – non sono nient’altro che i diritti del membro della società borghese, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo
diviso dall’uomo e dalla comunità. La costituzione più radicale, quella del
1793, dichiara: “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Art. 2.
Questi diritti, ecc. (i diritti naturali e imprescrittibili) sono: l’uguaglianza,
la libertà, la sicurezza, la proprietà”.
In che cosa consiste la libertà? Art. 6. “La libertà è il potere che appartiene all’uomo di fare tutto ciò che non lede i diritti altrui”, oppure, secondo la
dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1791, “La libertà consiste nel poter
fare tutto ciò che non nuoce ad altri”.
La libertà è dunque il diritto di fare tutto ciò che non nuoce a nessuno. I
limiti tra i quali ognuno può muoversi senza nuocere ad altri sono deÀniti
dalla legge come il limite tra due campi è deÀnito da una palizzata. Si tratta
della libertà dell’uomo considerata come una monade isolata e ripiegata
su se stessa [...], il diritto dell’uomo non basa affatto la libertà sull’unione
dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sulla separazione dell’uomo dall’uomo. Rappresenta il diritto a questa separazione, il diritto dell’individuo
limitato, limitato a se stesso.
L’applicazione pratica del diritto di libertà è il diritto di proprietà privata.
In che cosa consiste il diritto di proprietà privata?
Art. 16 (Costituzione del 1793). “Il diritto alla proprietà è il diritto che appartiene a tutti i cittadini di godere e di disporre a loro piacimento dei propri
beni, delle loro rendite, del frutto del loro lavoro e della loro industria”.
Il diritto di proprietà privata è dunque il diritto di godere a piacimento dei propri beni, senza tenere conto degli altri, indipendentemente dalla
società; è il diritto di disporne, il diritto dell’egoismo. Questa libertà individuale, con le sue applicazioni, costituisce il fondamento della società
342
Il diritto di essere un uomo
borghese. Essa fa vedere a ogni uomo, in un altro uomo, non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà [...].
Restano ancora (da esaminare) gli altri diritti dell’uomo, l’“uguaglianza”, e la “sicurezza”.
L’“uguaglianza” non viene qui considerata nel suo signiÀcato politico,
è soltanto l’uguaglianza della “libertà” descritta più sopra, cioè il fatto che
ogni uomo è considerato come una monade ripiegata su se stessa. La costituzione del 1795 deÀnisce il concetto di questa uguaglianza, in conformità
al suo signiÀcato: Art. 5 (costituzione del 1795). “L’uguaglianza consiste
nel fatto che la legge è la stessa per tutti, sia che protegga sia che punisca”.
E la “sicurezza”? Art. 8 (costituzione del 1793): “La sicurezza consiste
nella protezione accordata dalla società a ciascuno dei suoi membri per la
conservazione della sua persona, dei suoi diritti e delle sue proprietà”.
La sicurezza è il più elevato concetto sociale della società borghese, il
concetto di polizia, l’idea che l’intera società esiste solo per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della propria persona, dei propri
diritti e di quanto possiede [...].
Con il concetto di sicurezza, la società borghese non si eleva al di sopra del
proprio egoismo. La sicurezza è piuttosto l’assicurazione del suo egoismo.
Nessuno dei pretesi diritti dell’uomo va dunque oltre l’uomo egoista,
l’uomo come è nella società borghese, cioè ripiegato su se stesso, sui suoi
interessi privati e le sue volontà arbitrarie, come un individuo separato dalla
comunità [...]. Il solo legame che unisca gli uomini, è la necessità naturale,
il bisogno, la conservazione delle loro proprietà e delle loro persone egoiste.
………
L’emancipazione umana sarà realizzata solo quando l’uomo individuale
reale avrà assorbito il cittadino astratto, quando – come uomo individuale
nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali – egli sarà diventato un essere generico e avrà così riconosciuto le sue
“proprie forze” come forze sociali e le avrà organizzate egli stesso come
tali e per conseguenza, egli non separerà più da sé la forza sociale sotto
forma di potere politico.
Karl Marx, La questione ebraica, 1844.
703
Manifesto di una società popolare, 1844
Rivolto a tutte le classi sociali:
Lavoratori! Guardatevi intorno, osservate la vostra miseria, e domandatevi:
Come può accadere che voi, che siete i produttori di tutto ciò che soddisfa ai bisogni degli uomini, e perÀno rende più gradevole la loro esistenza,
La libertà concreta
343
di tutte le ricchezze che ricoprono il nostro fecondo paese, sì, perÀno degli
splendori di cui si inorgogliscono coloro che ci opprimono; come può accadere che voi possediate a mala pena abbastanza per venire incontro alle
più urgenti necessità della vita, e vi riterrete ben felici se non intervengono
crisi industriali o politiche a gettarvi sulla strada senza lavoro?
………
La Società discute nelle sue riunioni le seguenti riforme:
Il suffragio universale, cioè la partecipazione di tutti i cittadini alla designazione dei loro rappresentanti;
Un’imposta progressiva, sul reddito o la ricchezza, in sostituzione di
tutti gli altri pesi (Àscali);
L’istruzione pubblica per tutti i bambini della nazione; l’insegnamento
dei diritti e dei doveri sociali; l’insegnamento dei lavori manuali;
L’organizzazione del lavoro, o la sicurezza di esistenza per tutti i cittadini, in cambio del loro lavoro;
La soppressione della pena di morte.
Società popolare d’Agneessens, fondata a Bruxelles presso lo stabilimento De Klok, rue des Sablons.
704
Diritti politici e condizioni economiche
Ruolo del suffragio universale
Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della
classe dirigente andrà a “rappresentare”, e prendere a calci il popolo in
Parlamento, il popolo, costituito in comuni, dovrebbe servirsi del suffragio
universale allo stesso modo in cui qualsiasi datore di lavoro, alla ricerca
di operai, di sorveglianti e di contabili per la sua ditta, si serve del proprio voto personale. Ed è un fatto ben noto che la società, come gli individui, sanno generalmente mettere ciascuno al posto giusto, e, se una volta
commettono un errore, sanno prontamente correggerlo. D’altra parte, nulla
poteva essere più estraneo allo spirito della “Comune” che sostituire il suffragio universale con un’investitura gerarchica.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871.
705
Libertà, uguaglianza
Io sono un partigiano convinto dell’uguaglianza economica e sociale,
perché so che al di fuori di questa uguaglianza, la libertà, la giustizia, la
dignità umana, la moralità e il benessere delle nazioni saranno sempre solo
delle menzogne [...].
344
Il diritto di essere un uomo
L’eguaglianza senza libertà è il dispotismo dello Stato, e lo Stato dispotico non potrebbe esistere un sol giorno senza avere almeno una classe
privilegiata che sfrutta: la burocrazia.
Michail Bakunin (1814-1876).
706
Libertà illusoria
Facendo in modo che non possano nascere giornali, se non a condizione
di avere delle somme considerevoli nella loro cassa, non vedete che cancellate con un tratto di penna, per tutto quello che è proletario, la libertà di
pensare e di scrivere?
B. de Castellane, Discorso all’Assemblea nazionale, 1871, Francia. 707
L’uguaglianza economica rappresenta la radice e l’uguaglianza politica
non è che un ramo. Pertanto anche quando si è adottato il regime costituzionale, la sfortuna della maggioranza di un popolo non sussiste per questo
meno a lungo di quanto rimane l’ineguaglianza economica [...]. Ma ricordatevi bene che coloro i quali costituiscono la maggioranza del popolo
sono i mezzadri che guidano l’aratro nei campi, o gli operai che sudano
sangue e acqua in fabbriche.
Isoo Abe, Manifesto del Partito social-democratico, 1901, Giappone. 708
I diritti politici all’emancipazione del lavoro
La “Comune” ha realizzato questa parola d’ordine di tutte le rivoluzioni
borghesi, il governo a buon mercato, abolendo le due grandi fonti di spesa:
l’esercito permanente e il “funzionariato” di Stato [...]. Essa forniva alla Repubblica la base di istituzioni realmente democratiche. Ma né “il governo a
buon mercato”, né la “vera Repubblica” erano il suo Àne ultimo; ne rappresentavano soltanto i corollari [...]. Ecco il suo vero segreto: era essenzialmente un governo della classe operaia, il risultato della lotta della classe dei
produttori contro la classe dei proÀttatori, la forma politica alÀne trovata che
permetteva di realizzare l’emancipazione economica del lavoro.
Senza quest’ultima condizione, la Costituzione Comunale sarebbe stata
un’impossibilità e una lusinga. La predominanza politica del produttore
non può coesistere con l’eternizzazione della sua schiavitù sociale. La “Comune” doveva dunque servire come leva per estirpare le basi economiche
sulle quali si fonda l’esistenza delle classi, e quindi il predominio di classe.
Una volta emancipato il lavoro, ogni uomo diventa un lavoratore e il lavoro
produttivo cessa di essere l’attributo di una classe.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871.
709
La libertà concreta
345
II “self-government” dei produttori. Tesi di Kautsky e di Lenin
Kautsky:
La disciplina del proletariato non è la disciplina militare; non è l’obbedienza passiva a un’istituzione stabilita dall’alto; è la disciplina democratica, la sottomissione volontaria a una direzione eletta e alle decisioni
della maggioranza dei compagni. Perché questa disciplina democratica
abbia un potere nella fabbrica bisogna che in essa il lavoro sia organizzato democraticamente, bisogna che la fabbrica democratica abbia sostituito la fabbrica autocratica di oggi. È ovvio che un regime socialista non
avrà nulla di più pressante che organizzare democraticamente la produzione. Ma se il proletariato vittorioso non avesse Àn dall’inizio questa
intenzione, vi sarebbe condotto dalla necessità di assicurare la continuità
della produzione. La disciplina indispensabile potrà essere mantenuta nel
lavoro solo introducendo la disciplina sindacale nel processo della produzione.
Tutto questo non potrà essere fatto dappertutto nel medesimo modo:
ogni industria ha un suo proprio carattere, che rappresenta un’indicazione
per l’organizzazione dei suoi operai. Vi sono delle gestioni che non possono fare a meno di un’organizzazione burocratica, come ad esempio le
ferrovie. Ecco quale potrà essere in questo caso l’organizzazione democratica: gli operai eleggeranno dei delegati che costituirebbero una specie di
Parlamento, il quale avrebbe lo scopo di regolare il lavoro e di sorvegliare l’amministrazione burocratica. Altre gestioni possono essere afÀdate ai
sindacati; altre, inÀne, possono essere lasciate in mano alle corporazioni.
Vi è dunque nelle industrie una grande varietà nell’organizzazione democratica, e noi non possiamo sperare di veder adottare per tutte un solo e
medesimo modello.
La rivoluzione sociale, 1902.
710
Lenin:
Per quanto concerne l’organizzazione necessaria, sedicente “burocratica”, le ferrovie non si distinguono assolutamente in niente da tutte le imprese della grande industria meccanica in generale, da una qualsiasi fabbrica, da un grande magazzino, da un’impresa agricola capitalistica. In tutte
queste industrie la tecnica prescrive una disciplina assolutamente rigorosa,
la massima precisione nell’esecuzione del lavoro assegnato a ciascuno,
sotto pena di arresto di tutta l’industria o di guasto dei meccanismi, o di
danneggiamento dell’oggetto fabbricato. In tutte queste imprese, evidentemente, gli operai “eleggeranno dei delegati che costituiranno una specie di
Parlamento”.
346
Il diritto di essere un uomo
Ma il punto più importante, qui, è che questa “specie di Parlamento”
non sarà un Parlamento nel senso delle istituzioni parlamentari borghesi. Il punto importante, qui, è che questa “specie di Parlamento”
non si accontenterà di “stabilire il regime del lavoro e di sorvegliare il
funzionamento dell’apparato burocratico”, come lo immagina Kautsky,
il cui pensiero non va oltre il quadro del parlamentarismo borghese. È
certo che in una società socialista una “specie di Parlamento” composto
di deputati operai “determinerà il regime del lavoro e sorveglierà il
funzionamento dell’apparato”, ma quest’apparato non sarà “burocratico”. Gli operai, dopo aver conquistato il potere politico, spezzeranno il
vecchio apparato burocratico, lo demoliranno Àno alle fondamenta, non
ne lasceranno pietra su pietra e lo sostituiranno con un nuovo apparato
che comprenda questi stessi operai e impiegati. Per impedire a questi
ultimi di diventare dei burocrati, si prenderanno subito delle misure minuziosamente studiate da Marx e da Engels: 1) non solo eleggibilità, ma
anche revocabilità in ogni momento; 2) stipendio non superiore a quello
dell’operaio; 3) adozione immediata di misure afÀnché tutti possano
compiere le funzioni di controllo e di sorveglianza, che tutti divengano
per qualche tempo “burocrati”, e che nessuno possa per questo diventare “burocrate”.
Kautsky non ha assolutamente capito la differenza tra il parlamentarismo borghese – che unisce la democrazia (non per il popolo) alla burocrazia (contro il popolo) – e il democratismo proletario che prenderà immediatamente delle misure al Àne di tagliare alla radice il burocratismo, e che
sarà in grado di farle arrivare alla distruzione completa del burocratismo, e
all’instaurarsi totale di una democrazia per il popolo.
Lo Stato e la rivoluzione, 1917.
711
Discorso di Franklin D. Roosevelt sulle “quattro libertà”, 6 gennaio
1941
Noi sappiamo che una pace durevole non può essere acquisita a prezzo
della libertà altrui [...].
Non ci lasceremo intimidire dalle minacce di dittatori che dichiarano
di considerare come una violazione del diritto internazionale e un atto di
guerra, l’aiuto da noi dato alle democrazie che hanno il coraggio di resistere alla loro aggressione [...].
L’istituzione di una democrazia sana e robusta non ha nulla di misterioso. I vantaggi fondamentali che il nostro popolo si aspetta dal proprio sistema politico ed economico sono semplici. Essi sono: l’uguaglianza delle
probabilità per i giovani e per gli altri; del lavoro per coloro che ne sono
La libertà concreta
347
capaci; la sicurezza per chi ne ha bisogno; la soppressione dei privilegi
speciali della minoranza; la salvaguardia delle libertà civili per tutti; il godimento dei frutti del progresso scientiÀco in condizioni di vita più larghe
e sempre più elevate.
Questi sono gli elementi semplici e fondamentali che non bisogna mai
perdere di vista nel tumulto dell’incredibile complessità del nostro mondo
moderno. La forza interiore delle nostre istituzioni politiche ed economiche dipende, per quanto riguarda la sua durata, dalla misura in cui esse
rispondono a queste speranze.
Nei giorni futuri, che ci sforziamo di assicurare, speriamo di vedere un
mondo fondato su quattro libertà umane essenziali. La prima è la libertà
di parola e di espressione: dovunque nel mondo. La seconda, la libertà
per ognuno di venerare Dio come meglio crede: dovunque nel mondo. La
terza, la liberazione dalla miseria: che tradotto su scala mondiale signiÀca
la conclusione di accordi economici che permetteranno a ogni nazione di
assicurare ai propri cittadini una vita sana e paciÀca: dovunque nel mondo.
La quarta, la liberazione dalla paura: che tradotto su scala mondiale signiÀca una riduzione degli armamenti nel mondo intero così spinta ed efÀcace
che nessuna nazione sarà ancora in grado di commettere un atto di aggressione Àsica contro uno dei suoi vicini: dovunque nel mondo.
Non si tratta della visione di un millennio lontano, bensì delle basi precise di un mondo realizzabile nel nostro tempo e dalla nostra generazione.
Quel mondo è l’antitesi stessa del preteso ordine nuovo della tirannia che i
dittatori cercano di creare col fuoco delle bombe.
A quest’ordine nuovo, noi opponiamo un concetto più grande:, l’ordine
morale. Una buona società è capace di affrontare arditamente dei progetti
di dominio mondiale come anche delle rivoluzioni straniere.
Fin dagli inizi della storia dell’America il cambiamento è la nostra costante, e noi viviamo una perpetua rivoluzione paciÀca, una rivoluzione
che prosegue regolarmente, adattandosi paciÀcamente alle nuove condizioni, senza campi di concentramento, senza fosse piene di calce viva. L’ordine mondiale che ci sforziamo di realizzare è la cooperazione di paesi liberi
che lavorano insieme in una società amica e civile. La nostra nazione ha
messo il suo destino nelle mani, nelle teste e nei cuori dei suoi milioni di
uomini e di donne, e ha posto la sua fede nella libertà sotto la guida di Dio.
La libertà è la supremazia dei diritti dell’uomo, dappertutto. Il nostro appoggio va a coloro che lottano per ottenere questi diritti o per conservarli.
La nostra forza sta negli scopi che ci uniscono.
Stati Uniti d’America.
712
348
Il diritto di essere un uomo
INNO AL GIUDICE
I galeotti vogano sul Mar Rosso
tirando a gran fatica la loro galera;
i loro ruggiti coprono il frastuono (delle catene),
urlano la patria loro, il Perù.
Urlano il paradiso peruviano,
gli uccelli, le danze, le loro donne,
e le ghirlande di Àori d’arancio
sotto i baobab ritti verso il cielo.
Banane, ananas, o quanta gioia!
Del vino nelle coppe...
Ma ecco, non si sa donde e perché
dei giudici hanno invaso il Perù!
Hanno oppresso con leggi e ordinanze
uccelli, Peruviane e danze.
Gli occhi del giudice? Due fondi di bottiglia
che rilucono lugubri tra mucchi d’immondizia.
Il pavone radioso, arancio e azzurro,
è caduto sotto lo sguardo severo del giudice,
e subito la sua coda splendida
ha perduto tutti i suoi colori!
Vicino al Perù volteggiavano per la savana
degli uccelli graziosi, i colibrì;
il giudice ha catturato il povero colibrì,
ha tagliato le sue piume e raso la sua peluria.
E non si trovano più in alcun piano
dei monti impennacchiati da Àamma di vulcano:
il giudice ha piazzato ovunque dei cartelli:
“Pianura per non-fumatori”.
Nel povero Perù anche i miei versi
son proibiti con pena di tortura.
Il giudice ha detto: “I versi messi in vendita
sono pericolosi come l’alcool”.
È scosso l’equatore da rumor di catene.
E in Perù non ci son più uccelli, più abitanti...
Odiosamente soffocati sotto volumi di leggi
ci vivono solo i tristi giudici.
La libertà concreta
349
No, davvero, ho pietà del Peruviano.
Egli non ha meritato questa galera.
Il giudice annoia l’uccello e il danzatore,
e me, e voi, e il Perù.
Vladimir Majakovskij (1894-1930), Unione Sovietica.
713
EDUCAZIONE, SCIENZA,
CULTURA
Sapere e cultura
Una conoscenza sicura è, nella vita presente, se non una cosa impossibile, almeno di un’estrema difÀcoltà. Per contro, certamente, se le opinioni
che vi si riferiscono non hanno formato oggetto di una critica completamente approfondita, se si abbandona la partita senza essersi stancati a guardare in tutte le direzioni, signiÀca che si è di una tempra ben molle!
Platone (390-380 a.C.), Fedone.
714
La vocazione del sapere
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Dante (1265-1321), Inferno.
715
Io veggio ben che già mai non si sazia
nostro intelletto, se ‘1 ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso come fera in lustra,
tosto che giunto l’ha; e giugner pòllo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura
ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
Dante (1265-1321), Paradiso.
716
Chiunque – sapiente o no – stimi se stesso abbastanza grande da disprezzare gli altri, rassomiglia a un cieco che tiene un candeliere in mano: egli
non vede nulla, ma illumina quelli che lo circondano.
Dhammapada (Versetti sulla legge), tradotto dal pali, India.
717
La differenza tra bianco e nero, tra civile e primitivo, sparisce quando
si arriva a intrattenersi con gli abitanti della foresta vergine su questioni
352
Il diritto di essere un uomo
che concernono i nostri rapporti con noi stessi, con gli uomini, col mondo
e con l’eternità.
A. Schweitzer, A l’orée de la forêt vierge, 1929, Francia.
718
Non esiste superiorità di un uomo su un altro. Maestro e discepolo
Così deve quindi essere il cristiano che non si gloriÀca al di sopra degli
altri uomini. Dio infatti ti ha fatto il dono di essere al di sopra delle bestie
[...]. Questo è un dono naturale; tu sarai sempre superiore alle bestie. Ma
se pretendi di essere superiore a un altro uomo, lo invidierai quando lo
vedrai uguale a te. Devi volere che tutti gli uomini siano uguali a te, e, se
tu vinci qualcuno in saggezza, devi augurarti che anche lui diventi saggio.
Finché egli è in ritardo è alla tua scuola; Ànché è ignorante, ha bisogno di
te; tu sembri il maestro ed egli l’alunno; tu gli sei dunque superiore, poiché
sei il suo maestro; egli è inferiore a te, poiché è il tuo discepolo. Ora, se tu
vuoi sempre averlo come discepolo, sarai un maestro invidioso. Se tu sei
un maestro invidioso, come potresti essere un maestro? Te ne prego, non
insegnargli la tua invidia [...]. L’uomo ha dunque oltrepassato la misura:
per eccesso d’avarizia, ha voluto essere al di sopra degli uomini, lui che è
stato creato al di sopra delle bestie: e questo è orgoglio.
Sant’Agostino (354-430), Trattato sull’epistola di San Giovanni ai
Parti.
719
I Savi e i Profeti d’Israele desiderano la venuta del Messia, non per poter
soggiogare il mondo intero od opprimere i pagani, o suscitare l’invidia dei
popoli della terra, o mangiare bere e far festa, ma per avere agio di studiare
la Torah e la sua sapienza, senza essere oppressi da un’autorità schiacciante
e arbitraria.
Maimonide, Mishné Torah, XII sec.
720
Contro l’orgoglio del sapere
Educazione, scienza, cultura
353
Non gonÀare il tuo cuore a causa del tuo sapere, non riempirlo d’orgoglio perché sei una persona saggia; parla con l’ignorante come lo faresti
col sapiente. Nessun artista raggiunge la perfezione, e non si possono Àssare limiti all’arte. Una parola opportuna è più nascosta dello smeraldo, e
(tuttavia) può darsi che a pronunciarla sia la serva che fa girare il mulino.
Massime di Ptahhotep, III millennio a.C., V dinastia, Antico Egitto.
721
Accesso ai beni culturali
Al capitolo 10 del Latitawistara, il principe Siddihdrtha Gotama è mandato a scuola; ma siccome ne sa molto di più del suo maestro, le parti
s’invertono: non solo il futuro Budda conosce tutti gli alfabeti indiani, ma
arriva perÀno a usarli in modo che il suo esposto dà un’idea della dottrina
ch’egli avrebbe più tardi predicato. Tuttavia, in un racconto giavanese, il
futuro Budda-Re è un ragazzo di umili natali, che riesce a compiere gli studi accompagnando un compagno di giochi. La storia che segue fa vedere
che il maestro non faceva discriminazioni. Il futuro Budda-Re si chiama
Angrok, e il nome del suo compagno è Tita. Secondo la concezione popolare giavanese prima dell’epoca del suo “risveglio” deÀnitivo, il futuro
Budda è un essere mezzo santo e mezzo demonio.
Contrariamente al giovane Tita, Angrok non era stato a scuola; così volle imparare a leggere. Andò dal maestro di Sagėnggėng per diventare suo
alunno e suo servo, e gli chiese di essere iniziato ai libri del sapere. Gli
furono dunque insegnate le lettere e le combinazioni delle consonanti e
delle vocali, come pure il modo con cui le vocali cambiano (nella grammatica sanscrita). Imparò pure il signiÀcato dei cronogrammi, la concordanza
dei giorni, dei mesi e degli anni – câka (nei documenti datati), i nomi dei
giorni di sei settimane diverse, composte di sei giorni, di cinque giorni,
di sette giorni, di tre giorni, di due giorni e di nove giorni – come pure
i nomi delle (trenta) settimane (dell’annata agricola giavanese). Angrok
divenne così più sapiente di Tita, benché i due ragazzi avessero studiato
sui medesimi libri. Ora, il maestro aveva piantato nel suo giardino un certo
albero, che ne era l’ornamento più bello e aveva una quantità di frutti quasi
maturi. Era tuttavia proibito toccarli; nessuno aveva il diritto di raccoglierli
e nessuno osava prenderne anche uno solo. “Bisognerà raccoglierli appena
saranno maturi (perché è questo il vostro compito)”, aveva detto il maestro
ai suoi alunni. Vedendo i frutti, Angrok ne aveva avuto una gran voglia; gli
piacevano molto quei frutti. Sopraggiunta la notte, quando tutti furono addormentati e Angrok ebbe fatto lo stesso, dei pipistrelli sfuggirono costantemente dal suo corpo attraverso la fontanella, l’uno dopo l’altro; per tutta
354
Il diritto di essere un uomo
la notte essi mangiarono i frutti del maestro. L’indomani mattina i frutti
erano sparsi sul suolo del cortile e gli (alunni)-servi dovettero raccoglierli.
Vedendo questo, il maestro fu commosso e domandò ai ragazzi: “Perché
i frutti sono così schiacciati?”. Gli (alunni)-servi risposero: “Mio Signore,
sono schiacciati perché dei pipistrelli li hanno divorati”. Allora il maestro
prese delle spine di canna d’India, ne fece una corona che piazzò attorno
all’albero e lo vegliò per tutta la notte.
Ora Angrok dormiva di nuovo nella camera a sud presso il luogo in cui
venivano fatte seccare certe erbe che il maestro intrecciava ogni tanto con
altre in stuoie per coprire il tetto di paglia. Quando il maestro vide gli innumerevoli pipistrelli che uscivano dalla fontanella di Angrok e venivano
a mangiare i suoi frutti, ne fu contrariato e cercò invano di cacciarli. Poi,
arrabbiatosi, cacciò Angrok dalla casa. Era allora circa mezzanotte. Tutto
insonnolito, Angrok si alzò, uscì e si riaddormentò fuori su di un mucchio
di erbe. Il maestro lo seguì (per punirlo). Ma, all’improvviso, vide una luce
che brillava in mezzo al mucchio di erbe: a tutta prima temette che si fosse
sviluppato un incendio; poi osservò più da vicino che cosa era che brillava
così e si accorse che era Angrok. Gli disse allora di alzarsi e di rientrare a
coricarsi in casa vicino agli altri ragazzi. Angrok obbedì e andò a dormire
in casa.
L’indomani mattina, il maestro gli disse di prendere quanti frutti voleva.
Angrok ne fu felice e rispose: “Ebbene, quando sarò re pagherò questo
debito”.
Pararaton (racconto popolare del XVI sec.), Giava.
722
Prometeo incatenato sul Caucaso espone agli oceanidi il motivo del suo
supplizio:
PROMETEO: Quanto all’oggetto della vostra domanda, per quale delitto
Zeus mi oltraggia così, vi illuminerò. Appena assiso sul trono paterno, senza ritardo, egli divise i diversi privilegi fra gli dei e cominciò ad assegnare
ognuno in posti del suo impero. Ma agli sfortunati mortali, egli non pensò
neppure un momento. Al contrario, ne voleva annientare la razza, allo scopo di crearne una nuova. A questo progetto, nessuno si opponeva... se non
io. Io solo ebbi quest’audacia: ho liberato gli uomini e ho fatto in modo
che essi non venissero calati, schiacciati, nell’Ade. Per questo, oggi, piego
sotto simili dolori, crudeli da subire, pietosi da vedere. Per aver avuto pietà
dei mortali mi son visto riÀutare la pietà, ed ecco come sono trattato qui
implacabilmente, spettacolo funesto alla (fama) di Zeus.
CORIFEO: Avrebbe un cuore di pietra o di ferro, o Prometeo, chi non si
indignasse con te per le tue pene. Per conto mio, non mi sarei certo augu-
Educazione, scienza, cultura
355
rato di vedere questo spettacolo, e nel vederlo il mio cuore si commuove
dolorosamente.
PROMETEO: Sì, io offro agli amici uno spettacolo pietoso.
CORIFEO: Senza dubbio sei andato anche più lontano?
PROMETEO: SÌ, ho liberato gli uomini dall’ossessione della morte.
CORIFEO: Quale rimedio hai dunque tu scoperto per questo male?
PROMETEO: ho instillato in loro cieche speranze.
CORIFEO: Quale potente conforto hai tu dato, quel giorno, ai mortali!
PROMETEO: Ma ho fatto di più: ho fatto loro dono del fuoco.
CORIFEO: Che cosa? Il fuoco Àammeggiante è oggi nelle mani degli efÀmeri?
PROMETEO: E da esso impareranno arti innumerevoli.
CORIFEO: E questi sono i danni per i quali Zeus...
PROMETEO: ...M’inÁigge quest’obbrobrio, senza conceder tregua ai miei
mali!
CORIFEO: E non è stato Àssato alcun termine alla tua prova?
PROMETEO: Il termine è condizionato alla sua volontà.
CORIFEO: E questo beneplacito da che cosa nascerà? Come sperarlo? Non
vedi che hai commesso un errore? Dove è stato l’errore? Non avrei alcun
piacere a dirtelo e tu avresti pena nell’udirlo. Lasciamo questo (argomento)
e cerca come puoi liberarti dalla prova.
PROMETEO: È facile, per chi non è in piena miseria, consigliare, rimproverare lo sfortunato! Ma tutto questo, io lo sapevo: voluto, voluto è stato
il mio errore. Non voglio affatto contestare la parola. Per recare aiuto agli
uomini, sono andato io stesso a cercare delle sofferenze. Tuttavia non pensavo che simili torture mi dovessero disseccare per sempre su queste cime
rocciose, e che avrei avuto come destino questo picco deserto e solitario.
Eschilo (525-456 a.C.), Prometeo incatenato.
723
Dalla natura alla cultura
Vediamo quindi se ciò che pretendo qui è vero e se è desunto dalla natura. Io dico che non esiste quasi nessun animale che possa, mentre è giovane, mantenere il suo corpo e la sua lingua in uno stato tranquillo, e che non
faccia, senza tregua, sforzi per muoversi e gridare. Così si vedono gli uni
saltare e scattare, come se non so quale impressione di piacere li portasse
a danzare e a folleggiare, mentre gli altri fanno risuonare l’aria di mille
grida diverse. Ma nessun animale ha il senso dell’ordine o del disordine
di cui è suscettibile il movimento, e che noi chiamiamo misura e armonia;
mentre queste stesse divinità che presiedono alle nostre feste ci hanno dato
il senso della misura e dell’armonia, insieme a quello del piacere. Questo
356
Il diritto di essere un uomo
senso regola i nostri movimenti sotto la direzione di quegli dei, e c’insegna
a formare tra noi una specie di catena, con l’unione dei nostri canti e delle
nostre danze. Di qui il nome di coro, derivato naturalmente dalla parola che
signiÀca gioia.
Platone (429-347 a.C.), Le leggi.
724
Istruzione per tutti; il maestro
Istruzione universale
Noi desideriamo che possano essere completamente istruiti e accedere
così alla piena umanità non soltanto un uomo, alcuni uomini o molti uomini, ma tutti gli uomini insieme e ciascuno isolatamente, giovani e vecchi,
ricchi e poveri, nobili e plebei, uomini e donne, in breve, ogni essere umano; perché in deÀnitiva sia istruito tutto il genere umano, qualunque siano
la sua età, il suo stato, il suo sesso, la sua nazionalità [...].
Tre sono di conseguenza le cose che raccomandiamo (se ci ripetiamo è
per essere meglio compresi): bisogna condurre (tutti) all’istruzione universale: 1) tutti gli uomini; 2) in tutte le cose; 3) perché essi siano universalmente istruiti. Tutti gli uomini: cioè tutti i popoli, gli Stati, le famiglie e le
persone, senza alcuna eccezione; perché essi sono tutti uomini che hanno
la stessa vocazione a una vita secondo le vie indicate da Dio, ma che è
disseminata di tranelli e ostruita da diversi ostacoli. Quindi, se possibile,
sarà necessario illuminare giudiziosamente tutti gli uomini su ogni genere
di follia, perché in avvenire non si odano più i lamenti ben noti dei saggi i
quali dicono che, dappertutto vi sono solo dei pazzi.
In tutte le cose: cioè in tutto ciò che può rendere l’uomo saggio e felice.
E cioè? Sono le quattro cose che il saggio Salomone raccomanda citando
quattro animaletti, i più saggi:
1. Preoccupazione per le cose future, che egli loda presso le formiche [...];
2. Saggezza nelle cose presenti, che egli fa notare presso i topi delle piramidi;
3. Tendenza alla concordia senza costrizioni, che egli vanta tra le cavallette
[...];
4. Necessità di armonia, di regolarità e di metodo nelle nostre azioni, perÀno quelle indifferenti, come si trova nel lavoro del ragno, per altro
inutile [...].
Universalmente, cioè dirigendosi verso la verità, perché ciascuno, una
volta passato alla scuola, sfugga ai tranelli dell’errore e del caso, e segua
la via della rettitudine. Perché nel momento attuale, esistono pochi mortali
che si appoggino sulla propria base o quella delle cose reali: la maggior par-
Educazione, scienza, cultura
357
te segue solo il suo stupido istinto, o si lascia guidare dalle opinioni altrui.
Siccome però queste opinioni sono in completa divergenza tra loro e con le
cose (Àniscono per esservi) all’ordine del giorno esitazioni, tentennamenti,
squilibri e cadute. Se si cerca un rimedio a questo male, se ne troverà uno
solo: non lasciarsi più guidare da un’abitudine o da un’opinione cieca, ma
osservare piuttosto le direttive inattaccabili di Dio e delle cose stesse.
Jan Amos Comenius, Pampaedia, XVII sec.
725
Diritto all’educazione
Il giorno del Giudizio sarà pesato l’inchiostro dei sapienti e il sangue
dei martiri.
L’acquisire il sapere è un dovere che incombe a ogni musulmano come
a ogni musulmana.
Dio impone come dovere a una comunità d’istruire i suoi vicini, di spiegare loro il diritto, di indicare loro la giusta via e di fare conoscere loro
i comandamenti e gli imperativi (divini), e a costoro impone di lasciarsi
istruire dai loro vicini, di imparare il diritto, e di trarre proÀtto dalle loro
lezioni; in mancanza di questo si attireranno un immediato castigo.
Hadith (Detti del Profeta).
726
Istruisci gli umani! Tu sei qui solo per istruirli, e non per dominarli.
Corano, Al-Ghachia, 21.
727
L’uomo istruito non possiede un palmo di terra, ma tutto il mondo è suo.
Proverbio rumeno.
728
Più si sa, più si è forti.
L’uomo chiaroveggente non è colui che vede la montagna, ma colui che
distingue ciò che vi è dietro la montagna.
Proverbi russi.
729
La scuola per tutti
Noi abbiamo oggi nella nostra capitale soltanto una scuola, destinata specialmente ai nobili e ai ricchi e non abbiamo scuole per il popolo. Per questo
i Àgli del popolo non sanno dove andare per istruirsi e gli studenti, pieni di
ardore e di curiosità, venendo da lontano, si affaticano in questo andare e
venire incessante. Io fondo questo istituto e farò istruire tutti i bambini.
Kùkai (regolamento dell’Istituto Shugêi Shuchi In, fondato nell’anno
828 a Kyoto), Giappone.
730
358
Il diritto di essere un uomo
Onori e favori per le scuole
Quest’Inca (Pachacutec) nobilitò e onorò soprattutto di molti privilegi
e di grandi preferenze le Scuole o i Collegi che il Re Inca Roca aveva fondato a Cuzco. Aumentò col medesimo sistema il numero degli insegnanti,
e volle che i Cacicchi, i Capitani, i loro Àgli e tutti gli Indiani in generale,
di qualsiasi condizione fossero, come pure i guerrieri e il popolo minuto,
parlassero la lingua di Cuzco, e che solo coloro che l’avessero saputa potessero essere ammessi alle cariche e alle dignità pubbliche e avere i posti
di governo.
Blas Valera, citato da Garcilaso de la Vega, inizio del XVII sec,
Perù.
731
Risposta a coloro che temono l’istruzione per il popolo
Vi sono uomini (so che ne esistono) che diranno: che cosa accadrà quando tutti gli uomini saranno diventati saggi? Si troveranno forse dappertutto
l’erudito e l’erudizione? Saranno confuse le condizioni? Chiunque insegnerà ad altri quando che sia, oppure giudicherà le religioni e i sistemi di
governo? Ecco che cosa risponderò: Le basi di uno Stato o di una religione,
la cui sicurezza riposi sull’ignoranza e la servitù dei suoi sudditi o dei suoi
adepti, sono necessariamente fragili. Una religione autentica e un vero sistema di governo (come ne auguriamo al mondo intero) sino delle realtà
luminose e la loro sicurezza ha la propria origine nella luce, non nell’oscurità. Conviene precisare che noi non chiediamo che tutti gli uomini diventino dei sapienti (questo non sarebbe compatibile né con l’estensione dei
loro talenti, né col loro ambiente o con le loro condizioni, e non è d’altronde necessario che sia così). Ciò che noi chiediamo, si è che tutti possano
raggiungere la saggezza che conduce alla salvezza.
Jan Amos Comenius, Via lucis, XVII sec.
732
Che nessuno dica: A che scopo rendere sapienti gli artigiani, i contadini, gli operai, le donne e le ragazze, come potrebbero utilizzare questa
sapienza? Che cosa ne faranno? Rispondo: occupandosi di lavori diversi,
avranno pensieri gradevoli; riposandosi, leggeranno la Bibbia e altre opere
utili (perché la bellezza del pensiero li attirerà), in ogni momento essi mediteranno sulle azioni di Dio e su tutto ciò che ne è degno e riguarda i rapporti ragionevoli tra gli uomini; ovunque, e grazie a tutto, loderanno Iddio,
e con gioia si prepareranno all’aldilà. Non sarà forse questo un paradiso di
delizie che esisterà quaggiù?
Jan Amos Comenius, Opera didactica omnia (1627-1657).
733
Educazione, scienza, cultura
359
Per un’istruzione più uguale
L’uguaglianza di istruzione che si può sperare di raggiungere, ma che
deve bastare, è quella che esclude ogni dipendenza, sia forzata che volontaria [...]. Con una scelta felice, sia delle conoscenze stesse che dei metodi per
insegnarle, si può istruire l’intera massa di un popolo su tutto ciò che ogni
uomo ha bisogno di sapere per l’economia domestica, per l’amministrazione
dei suoi affari, per il libero sviluppo della sua industria e delle sue facoltà,
per conoscere i suoi diritti, difenderli e esercitarli, per poterli compiere bene,
per giudicare le proprie azioni e quelle degli altri, secondo i propri lumi, e
non essere estraneo a nessuno dei sentimenti elevati o delicati che onorano
la natura umana; per non dipendere ciecamente da coloro cui è obbligato di
afÀdare la cura dei suoi affari o l’esercizio dei suoi diritti; per essere in condizione da sceglierli e sorvegliarli, per non essere più la vittima di quegli errori
popolari che tormentano la vita con timori, superstizioni e speranze chimeriche; per difendersi dai pregiudizi con le sole forze della propria ragione; inÀne, per sfuggire ai giochi di prestigio del ciarlatanismo che tendesse tranelli
alla sua ricchezza, alla sua salute, alla libertà delle sue opinioni e della sua
coscienza, col pretesto di arricchirlo, di guarirlo e di salvarlo.
Se l’istruzione è diffusa più omogeneamente, ne deriva una maggiore uguaglianza nell’industria e quindi nei patrimoni; e l’uguaglianza nel
campo del denaro contribuisce necessariamente a quell’istruzione, mentre
l’eguaglianza tra i popoli, come quella che si stabilisce per ciascuno, ha
ancora, l’una sull’altra, un’inÁuenza reciproca.
Nicolas de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello
spirito umano, 1798.
734
OMAGGIO A GUTENBERG
Quando la notte si stancherà, i sacerdoti delle chimere spariranno,
e la luce del giorno non illuminerà più una falsa scienza;
quando la spada cadrà dalle rudi mani della violenza
e l’assassino non contaminerà più l’era sacra della pace;
quando, da diavolo l’uno e da bruto l’altro, il ricco affamatore
e il contadino miserabile raggiungeranno l’umanità;
quando dall’ovest all’est la luce si diffonderà
e il cuore generoso farà più nobile la ragione;
quando, riuniti in consiglio, i popoli della Terra
d’una stessa voce faranno tremare il Àrmamento, gridando
la sola parola “Giustizia!” che dominerà il fracasso
e inÀne il cielo manderà quaggiù quest’ambasciatrice tanto attesa,
sarà un trionfo degno di te, e vi sarà il tributo
dell’omaggio che il tuo nome avrà meritato dal mondo.
Mihály Vörösmarty (1800-1855), poeta romantico ungherese.
735
360
Il diritto di essere un uomo
Sapere almeno leggere
Siccome è impossibile che tutti arrivino a capire tutta la scienza contenuta nei libri, e a conoscere tutte le lingue che vi conducono, ciò che io
credo innanzitutto necessario per ciascuno, e a cui miro coi miei consigli è
di saper leggere. Che taluni sappiano solo questo, che non sappiano null’altro che leggere nella propria lingua, e avranno già progredito in maniera
utile [...]. Così, vi sono nazioni cristiane in cui, grazie alla fatica dei dotti,
molti bei libri vedono la luce, soprattutto nella lingua del paese; e il popolo
stesso ama e stima i libri, con la lettura dei quali si diffonde la saggezza e,
in primissimo luogo, quella che riposa in Dio.
Miklós Tótfalusi-Kis (eminente tipografo ungherese votato all’educazione del popolo), 1686.
736
Dio concede la scienza a chi la desidera; la fortuna a chi Egli sceglie.
Proverbio turco.
737
Vecchi credenti del Vyg, monastero fondato alla Àne del XVII sec., aprono una scuola per tutti i bambini della regione.
La gente vi giunse da diverse località e città [...]. Si insegnava ai bambini dei due sessi a leggere e a scrivere.
Testo russo dell’epoca.
738
Accesso delle donne agli studi
Proclama degli alunni del liceo Blanka Teleki dopo la rivoluzione del
marzo 1848:
Patrioti! Libertà, Eguaglianza, Fraternità, sono il vostro motto. A parola
data, parola mantenuta. Noi chiediamo:
1. Che le donne possano entrare all’Università;
2. Che non si odano più frasi come “tutti possono parlare, salvo le donne”;
3. Che vi siano scuole in tutta l’Ungheria, Àn nel più piccolo villaggio, e
che tutti i genitori possano mandarvi i loro Àgli;
4. Che i maestri nei villaggi abbiano uno stipendio conveniente, che
permetta loro di condurre a buon Àne il proprio lavoro.
Ungheria.
739
I maestri
Qualcuno domandò: “Come può essere favorito il bene nel mondo?”.
Io risposi: “Dai maestri”.
– Come sarebbe a dire.
– Io risposi: “Nella natura umana non vi è altro che la forza, la debolezza, il bene, il male e il ‘Giusto mezzo’”.
Educazione, scienza, cultura
Progetto di macchina che permette di leggere più libri alla volta
(XVII se., Italia).
361
362
Il diritto di essere un uomo
Il mio interlocutore non comprese. Io spiegai: “La virtù, la dirittura, il
rigore, la costanza nell’azione sono esempi di una forza che è buona, e il
furore, la meschinità di spirito, e la violenza sono esempi di una forza che è
cattiva. La gentilezza, la dolcezza e l’umiltà sono esempi di una debolezza
che è buona, e la mollezza, l’indecisione e la perversità sono esempi di una
debolezza che è cattiva. Solo il ‘Giusto mezzo’ genera l’armonia. Il ‘Giusto
mezzo’ è il principio della regolarità, la legge morale universalmente riconosciuta, e ciò cui il saggio si dedica. Di conseguenza, il saggio istituisce
l’educazione per permettere alla gente di trasformare da sé ciò che ha di malvagio, per giungere al ‘Giusto mezzo’ e rimanervi. Coloro che sono i primi a
essere illuminati devono quindi istruire chi raggiunge più lentamente la luce,
e ignorandola, deve chiedere l’aiuto di coloro che la comprendono. Questa è
la base della via dei maestri. Grazie a essa i buoni saranno numerosi”.
Ciu Tun-i, Interpretazione del Libro delle mutazioni, 1017-1073,
Cina.
740
Gli stregoni, i medici, i musicisti e diversi artigiani non si vergognano di
studiare con maestri. Ora, nella famiglia dei funzionari letterati, se parlate di
un maestro e di un alunno, tutti si avvicinano e si mettono a ridere. Se domandate loro perché ridono, rispondono: “Questi due uomini hanno pressappoco la stessa età; devono dunque capire la via tanto l’uno che l’altro”. E v’è
di più: se il maestro appartiene a un rango sociale inferiore a quello dell’alunno, riteniamo vergognoso studiare con lui; mentre, se è un alto funzionario,
colui che studia con lui, può essere sospettato di volersi conquistare il suo
favore. Ahimè, è evidente che in queste condizioni, l’insegnamento della Via
non potrà mai essere ristabilito. Gli stregoni, i medici, i musicisti e gli artigiani non sono considerati uguali agli uomini di qualità, e tuttavia gli attuali
uomini di qualità non possono eguagliarli in sapere. Non è strano questo?
Han Yu (768-824), Cina.
741
Non aspirando a possedere le vaste risaie e gli immensi stagni, tra tutti
i suoi pretendenti ella apprezza solo il letterato che sa maneggiare il pennello e lo scrittoio.
Proverbio del Vietnam.
742
Alcuni tra i più saggi dei saggi d’Israele erano anche falegnami, portatori d’acqua, e nonostante questo trovavano il tempo di studiare la Torah
giorno e notte.
È proibito insegnare oralmente la Torah per denaro. È stato detto (da
Mosè): “Fate attenzione perché io vi ho insegnato le leggi e le ordinanze
Educazione, scienza, cultura
363
conformemente ai comandamenti del Signore [...]. Io le ho imparate senza
pagare, e ve le insegno allo stesso modo, e così farete voi per sempre”.
Maimonide, Mishné Torah, XII sec.
743
Il maestro deve farsi amare piuttosto che temere
Ho già, a più riprese, formulato l’augurio che questa dolce natura possa trovarsi presso i maestri: se l’ho fatto, non è a caso o senza una buona
ragione, e voglio ora spiegare perché, a mio parere, per allevare e istruire
come si conviene un bambino, bisogna farsi amare piuttosto che temere,
agire con dolcezza piuttosto che con violenza [...].
Sono completamente d’accordo con tutti i buoni maestri sugli scopi da
raggiungere: dare ai bambini una solida istruzione e fare loro acquisire le
maniere migliori; rimediare come si conviene a tutti i loro difetti; sradicare
ogni loro vizio; ma, per quanto concerne i mezzi da usare per raggiungere
questo scopo, il mio parere differisce un poco dal loro. Vi sono, infatti, dei
maestri dalla mente così ottusa (ne ho incontrati alcuni e ne conosco molti
altri per sentito dire) che, quando hanno a che fare con un alunno poco
dotato, lo spezzano invece di farlo diventare più docile, lo abbrutiscono invece di migliorarlo. E accade anche che un maestro sia molto più incline a
battere i suoi alunni quando un avvenimento qualsiasi l’ha messo di cattivo
umore; mentre dovrebbe (egli stesso) essere punito per la sua sciocchezza,
egli gode nel colpire questo o quell’alunno, e senza un vero motivo, senza
che quest’alunno abbia fatto nulla per meritare d’essere picchiato. Direte,
che si tratta in questo caso, di maestri stupidi e ve ne sono pochi. Che simili
maestri siano stupidi, ne convengo, ma sfortunatamente ne esistono troppi
di questo genere. Inoltre, anche i maestri che fanno l’uso più saggio dei
castighi corporali, picchiano i loro alunni per cose che dipendono dalla
loro natura almeno così frequentemente che dai loro difetti. Spesso anche,
un alunno viene trattato tanto più severamente quanto migliore è la sua
indole. Infatti, prendiamo due alunni, dei quali l’uno impara rapidamente
le sue lezioni, mentre l’altro, di mente meno vivace, va più lentamente: il
primo è sempre complimentato; il secondo è generalmente punito; ora, un
buon maestro dovrebbe tener conto delle disposizioni naturali dell’uno e
dell’altro, e dare minore importanza a ciò che uno è capace di fare in questo
momento che a ciò che verosimilmente sarà capace di fare nell’avvenire.
Infatti, io so – non soltanto per averlo letto nei libri nel corso dei miei studi, ma anche per esperienza personale – che le persone che, da vecchi, si
annoverano tra i più saggi, più istruiti e migliori, non sono, salvo eccezioni,
quelli che nella loro giovinezza erano classiÀcati fra i più vivaci di spirito.
Roger Ascham (eminente maestro del XVI sec.), Il maestro di scuola.
Inghilterra.
744
364
Il diritto di essere un uomo
Violenza
Uno di loro (uno dei miei alunni) era violento, indisciplinato, bugiardo
e litigioso. In una certa occasione, si scatenò con furore. Io ero esasperato.
Non punivo mai i miei alunni, ma quella volta ero molto irritato. Cercai di
farlo ragionare, ma egli si dimostrò insensibile alle mie parole e tentò perÀno di respingermi. Alla Àne, raccolsi una riga che avevo a portata di mano
e gli diedi un colpo sul braccio. Tremavo nel colpirlo; e credo ch’egli se ne
sia accorto. Era un’esperienza completamente nuova per tutti loro. Il ragazzo si mise a urlare e mi supplicò di perdonarlo. Se gridava, non è perché il
colpo gli avesse fatto male; avrebbe potuto, se avesse voluto, rendermi la
pariglia perché era un ragazzo robusto di diciassette anni, solidamente costruito. Ma egli capì quanto io soffrivo per essere stato ridotto (a ricorrere)
a simili estremi. Dopo quest’incidente non mi disobbedì mai più. Mi pento
ancora adesso di quest’atto di violenza. Temo di avergli mostrato, quel
giorno, non lo spirito, ma il bruto che è in me.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
745
DEL SALARIO E DELLE RENDITE ANNUALI DEL MAESTRO E DEI SUOI DOVERI
Vedendo i detti saggi che per nessun motivo e in nessuna occasione
sarebbe mai stato possibile in avvenire, avvalersi in modo conveniente
e lecito delle rendite della loro Comunità per spenderle a beneÀcio suo
e dei suoi membri per Àni utili come quello sul quale è stato stabilito
e deciso, che la detta Comunità, ad esclusione di ogni altra ragione o
eccezione, debba, ogni anno, togliere dalla detta rendita della Foresta di
Gravellona, o dalle sue altre dette rendite Lire duecento e otto denari al
Àne di poter assumere e rimunerare un Maestro di scuola, e altro che sarà
deliberato dal Consiglio e approvato dal Magistrato dei MagniÀci Signori
di Siena. E così hanno fatto i detti Saggi afÀnché delle rendite e dei proÀtti di questa Comunità si debba fare uso utile e beneÀco in pubblico e,
in particolare, allo scopo di bene istruire i Àgli di tutti, di allevarli bene e
di insegnare loro le buone virtù, tanto della grammatica che dell’aritmetica e della lingua volgare e cristiana. Il quale Maestro sia degno del suo
compito e diligente nell’insegnamento ai detti bambini, e non esca dalla
scuola il giorno in cui dovrà insegnare. E che egli insegni per un anno, e,
se mancherà un solo giorno, lo debba recuperare. E gli sia data, oltre al
detto salario, la casa pagata per il tempo in cui insegna, ed essa sia fornita di tavoli e di banchi per i detti ragazzi afÀnché essi possano restarvi
e scrivere e conservarvi i libri di lettura, e che, similmente, non manchi
nessuna comodità necessaria alla vita quotidiana, come vasi sia di terraglia che di vetro o di legno. E sia inteso che questo è quanto bisogna
Educazione, scienza, cultura
365
sempre dare, quando il Maestro sarà uno straniero; e, se non è straniero,
se ha già preso qui dimora, gli sia dato solamente il salario o di più, come
vorrà il Consiglio, e la casa pagata, e tale che egli vi possa insegnare e
nient’altro. E non si venga meno (a questa norma).
Statuti rurali, Comunità degli uomini di Castel del Piano, 1571, Italia.
746
Il sapere è l’eredità più preziosa
Non lo si può portar via dal luogo in cui è in deposito; non può essere
distrutto dal fuoco; i più grandi re non potrebbero privarne quelli che sono
incorsi nella loro collera; è (dunque) la sapienza che ognuno dovrebbe lasciare in eredità ai propri Àgli. Non esiste altra vera ricchezza.
Naladyar, Circa III e IV secolo, epoca tangam, tradizione tamil.
747
La cultura intellettuale che ci ha istruiti per l’azione e ha addolcito i nostri rapporti, che ha distinto le disgrazie provocate dall’ignoranza da quelle
che provengono dalla necessità, che ci ha insegnato a evitare gli uni e a
sopportare generosamente gli altri, è stata rivelata dalla nostra città.
Isocrate (436-338 a.C.), Panegirico, Atene.
748
Tendenze dittatoriali contrarie al progresso
Sermone pronunciato il 25 marzo 1831 (anniversario della Costituzione) dinanzi all’imperatore Pedro I, che abdicò l’anno seguente:
Evidentemente le teorie dell’antico regime non erano più sufÀcienti a
facilitare il progresso intellettuale. Il monopolio ingiurioso di alcuni uomini, la divisione ancora più ingiuriosa delle caste, che riduceva a diventare
paria abbietti la parte più utile della società; l’odiosa disuguaglianza dei
diritti non poteva più essere mantenuta sotto l’immenso fascio luminoso
che allargava le vie della cultura. Fu giocoforza cedere a quest’urto violento che doveva cambiare il centro di gravità politico, e consolidare le
istituzioni civili su basi più valide, determinando le frontiere dell’autorità
e i limiti dell’obbedienza.
Alverne Francisco de Monte, Brasile.
749
L’educazione è tutto
L’uomo primitivo non è per natura né buono né cattivo; è semplicemente
un automa, la cui molla può essere messa in movimento con l’esempio,
l’educazione e la bontà. Se Catone avesse visto la luce in mezzo ai satrapi
della Persia, sarebbe morto sconosciuto, tra la folla dei vili schiavi. Se
Newton fosse nato tra gli Indiani guaranì, non sarebbe stato null’altro che
366
Il diritto di essere un uomo
un bipede nato povero; ma un Guaranì allevato da Newton avrebbe forse
occupato il suo posto.
José Bonifacio de Andrada, Note per la Civilizzazione degli Indiani selvaggi dell’Impero del Brasile, 1823.
750
Disuguaglianza dell’intelligenza
Non si può eliminare la disuguaglianza d’intelligenza, di luce, tra gli
individui della specie umana: è una conseguenza della natura e, al tempo
stesso, dovuta allo stato della società; sarebbe nocivo frenare gli sforzi degli uomini superiori: ma (ed è il Àne che ci si deve proporre nella società)
è possibile fare in modo che – essendo tutti gli uomini istruiti su quanto
devono sapere, preservati dagli errori a mezzo dell’educazione, al sicuro
dai giochi di prestigio delle ciarlatanerie di ogni genere – la superiorità di
cognizioni o del talento sia un vantaggio per coloro che la possiedono, senza che essi possano trovare in questa superiorità il mezzo di tenere gli altri
sottomessi o di renderli vittime della loro abilità. Soprattutto facilitando
l’istruzione con la semplicità e la linearità dei metodi, facendo nascere e
fortiÀcando l’abitudine di ricevere e di adottare nozioni chiare; si può raggiungere questo scopo. L’assennatezza sarà allora sufÀciente perché gli uomini non abbiano alcun vantaggio sensibile gli uni sugli altri nelle funzioni
comuni della vita; poiché l’assennatezza, tra tutte le qualità, è quella che
inÁuisce di più sui dettagli della condotta e quella che la natura ha diffuso
più universalmente e più egualmente.
Nicolas de Condorcet, Vita di Turgot, 1786.
751
Istruzione contro oppressione
Una volta aboliti l’esercito e la polizia, strumenti materiali del potere
dell’antico governo, la “Comune” assegnò a se stessa il compito di polverizzare lo strumento spirituale dell’oppressione, il potere dei preti; essa decretò
la separazione della Chiesa dallo Stato [...]. La totalità degli istituti d’istruzione fu aperta al popolo gratuitamente, e, al tempo stesso, furono liberati
da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così, non soltanto l’istruzione
veniva resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa veniva liberata dalle catene di cui i pregiudizi di classe e il potere del governo l’avevano caricata.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871.
752
Formazione polivalente del lavoratore
La grande industria impone la necessità di riconoscere la varietà del
lavoro e, di conseguenza, il maggior sviluppo possibile delle diverse attitudini del lavoratore quale legge della produzione moderna, e bisogna a ogni
Educazione, scienza, cultura
367
costo che le circostanze si adattino al normale funzionamento di questa
legge. È una questione di vita o di morte. Sì, la grande industria obbliga
la società, sotto pena di morte, a sostituire all’individuo “frazionato” (nel
lavoro), quello che deve subire le difÀcoltà derivanti dal frazionamento,
con l’individuo integrale, che sappia tener testa alle esigenze più diverse
dal lavoro e dia, in funzioni alternate, libero sfogo alla diversità delle sue
capacità naturali o acquisite.
La borghesia, che, creando per i suoi Àgli le scuole politecniche,
agronomiche, ecc., non faceva tuttavia altro che obbedire alle tendenze intime della produzione moderna, ha dato ai proletari solo l’ombra
dell’insegnamento professionale. Ma se la legislazione di fabbrica, prima
concessione strappata con Àera lotta al capitale, s’è vista costringere a
combinare l’istruzione elementare, per quanto miserabile essa sia, col
lavoro industriale, la conquista inevitabile del potere politico da parte
della classe operaia introdurrà l’insegnamento della tecnologia, pratica e
teorica, nelle scuole del popolo. È fuor di dubbio che simili fermenti di
trasformazione avranno, come termine Ànale, la soppressione dell’antica
divisione del lavoro [...].
Ne sutor ultra crepidam! Ciabattino, non andar oltre la tua ciabatta!
Questo nec plus ultra della saggezza del mestiere e della manifattura, diventa demenza e maledizione il giorno in cui l’orologiaio Watt scopre la
macchina a vapore, il barbiere Arkwright il telaio continuo (per tessitura) e
l’oreÀce Fulton il battello a vapore.
Karl Marx, Il Capitale, 1867.
753
Macchina e umanità
L’era delle macchine: lo scopo importa meno della velocità.
Karel ÿapek (1890-1938), scrittore ceco.
754
Quel che disapprovo è il “fanatismo” per le macchine, non le macchine in
sé. Ci entusiasmiamo per le macchine che economizzano la mano d’opera;
lo fanno Àno al giorno in cui migliaia di uomini si trovano senza lavoro e
vengono buttati in strada per morirvi di fame. Io voglio risparmiare il tempo
e la pena, non di una frazione dell’umanità, ma dell’umanità intera; auguro la
concentrazione delle ricchezze, non tra le mani di un piccolo numero (di persone), ma tra le mani di tutti. Oggi le macchine aiutano semplicemente alcuni
uomini a sfruttarne milioni d’altri. La forza che sta dietro a tutto questo non è
il desiderio Àlantropico di economizzare il lavoro degli uomini, è l’attrattiva
del guadagno. Contro questo stato di cose io lotto con tutte le mie forze.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
755
368
Il diritto di essere un uomo
Zu-Kong domandò: “Se dappertutto qualcuno distribuisse i beneÀci
fra il popolo e sapesse così soccorrere la moltitudine, che cosa pensereste
di costui? Si potrebbe dire che possiede la virtù d’umanità (che consiste
nell’amare gli uomini)?”.
Il maestro rispose: “Costui non possiede soltanto la virtù d’umanità, ma
perÀno, necessariamente, la santità. Yao e Chuen stessi avevano difÀcoltà a
giungervi. Colui che possiede la virtù d’umanità vuole rinfrancare se stesso
e in seguito gli altri uomini; egli vuole capire se stesso e, in seguito, fare in
modo che essi comprendano se stessi. Saper partire da esempi molto vicini
(per estendersi lontano), ecco l’arte richiesta dalla virtù d’umanità”.
Confucio (551-479 a.C.), Conversazioni, Cina.
756
È lui (il maestro) che (dà) la vita (al bambino) dal punto di vista dell’istruzione. È la nascita migliore: la madre e il padre danno la vita solo al
suo corpo.
Apastamba-Dharmasûtra, I, V-VI sec. a.C., tradotto dal sanscrito. 757
Vera nobiltà del discepolo
Poi andò a trovare Gotama, Àglio di Haridrumat e disse: “Io voglio condurre, sotto la tua guida, la vita di colui che cerca la conoscenza sacra, o
venerato maestro; posso io diventare uno dei tuoi discepoli, o venerato maestro?”. Egli (Gotama) gli domandò: “Dimmi, di che famiglia sei?”. Egli
rispose: “Non so, signore, di quale famiglia sono. L’ho domandato a mia
madre; ella mi ha risposto: “Ti ho avuto quand’ero giovane e andavo un
po’ dappertutto a lavorare come domestica. Non so quindi di che famiglia
tu sia. Ma io mi chiamo Jabala e tu Satyakâma”. “Signore, io sono quindi
Satyakâma Jabala”. Egli (Gotama) gli disse allora: “Solo un vero bramino
poteva parlare così (tanto francamente). Portami di che mantenere il fuoco,
io ti inizierò. Tu non ti sei allontanato dalla verità”.
Chândogya-Upanishad (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito. 758
Falsa e vera superiorità
Poiché esistono, in queste quattro classi, o Vâsettha, allo stesso tempo e
difetti e qualità, (rispettivamente) disprezzati e ammirati dai saggi, mentre
i bramini pretendono che: “La classe dei bramini è la migliore, le altre
sono inferiori; solo la classe dei bramini è luce, le altre sono tenebre; solo
i bramini sono di razza pura, al contrario dei non-bramini; solo i bramini
sono i Àgli legittimi di Brahma, nati dalla sua bocca, rampolli di Brahma,
creati da Brahma ed eredi di Brahma”, questa pretesa è respinta dai saggi.
Perché? Perché, o Vâsettha, chiunque, appartenendo all’una o all’altra di
Educazione, scienza, cultura
369
queste quattro classi, divenga un Bhiksu, un Arhant, un essere le cui tare
sono state cancellate, che ha vissuto la vita, che ha fatto tutto ciò che vale
la pena di essere fatto, che ha portato il fardello, che ha guadagnato la sua
salvezza, che non è più obbligato a rinascere e che si è riscattato a causa
della sua conoscenza perfetta, costui è proclamato il primo di tutti.
Dîghanikâya, IV (III sec. a.C.), tradotto dal pali.
759
Parlerò [...] della riunione dei sapienti del globo in una repubblica universale delle scienze, la sola il cui progetto e la cui utilità non siano una
puerile illusione.
Nicolas de Condorcet, L’Atlantide, 1794.
760
Il sapere e il nutrimento; il sapere e la medicina;
gioia, poesia, libertà
“Sviluppo” a mezzo della scuola
Che i cinque meù di terra che circondano la casa del contadino siano
piantati a gelsi, e tutte le persone di più di cinquant’anni potranno essere
vestite di seta. Si allevino e si nutrano i volatili, cani e porci, secondo le
stagioni, e nessuna persona di più di sette anni mancherà di carne. Con
cento meù – se le lasciate la possibilità di coltivarli – una famiglia di otto
persone non conoscerà la fame. Che la scuola non sia trascurata e che il
popolo vi impari i princìpi della pietà Àliale e del rispetto fraterno, e non si
vedranno più sulle strade degli uomini dai capelli bianchi portare pesanti
carichi. Quando i vecchi sono vestiti di seta e mangiano carne, quando la
popolazione non soffre né fame né freddo, mai il signore di un simile popolo ha mancato di diventare re.
Mencius (372-289 a.C.), Cina.
761
Sino alla Àne delle Tre Dinastie vi fu una legge. Dopo le Tre Dinastie,
non ve n’è più. E perché mai? perché i due imperatori e i tre re, sapendo
che gli uomini non possono fare a meno di nutrirsi, hanno dato loro dei
campi da coltivare. Sapevano che gli uomini non possono andare senza
vestiti, e per conseguenza hanno dato loro delle terre per coltivarvi il gelso
e la canapa. Sapevano pure che gli uomini non possono restare senza istruzione: così aprirono delle scuole, istituirono la cerimonia del matrimonio
per impedire la licenza dei costumi, e il servizio militare per lottare contro
i disordini. Tale fu la legge Àno alla Àne delle Tre Dinastie: essa non ebbe
mai per scopo il proÀtto di un solo uomo.
Huang Tsung-hsi, Ming-tai-fang lu (XVII sec.), Cina.
762
370
Il diritto di essere un uomo
Se si desidera una pace durevole bisogna prendere delle misure allo scopo di migliorare la sorte delle masse. Bisogna che, nell’insieme del genere
umano, la fame e l’oppressione lascino il potere alla prosperità.
Kemal Atatürk, 1937.
763
Se dai un pesce a un uomo,
si nutrirà una volta
Se gli insegni a pescare,
mangerà tutta la vita.
Se i tuoi progetti valgono un anno, semina del grano.
Se valgono dieci anni, pianta un albero.
Se valgono cent’anni, istruisci il popolo.
Seminando una volta grano, raccoglierai una volta.
Piantando un albero, raccoglierai dieci volte.
Istruendo il popolo, raccoglierai cento volte.
Kuan-Tzu (VII sec. a.C.), Cina.
764
GIURAMENTO DI IPPOCRATE (460-377 a.C.)
Divenuto obbligatorio in numerosi paesi, con qualche variante, per tutti
coloro che stanno per intraprendere la professione medica:
“Giuro per Apollo medico, per Esculapio, per Igea e Panacea, per tutti
gli dei e tutte le dee, prendendoli quali testimoni, che osserverò, secondo
le mie forze e la mia capacità, il giuramento e l’impegno seguente: Considererò il mio maestro di medicina alla stregua degli autori dei miei giorni,
dividerò con lui il mio avere, e, se del caso, provvedere alle sue necessità; considererò i suoi Àgli come fratelli e se essi desiderano imparare la
medicina, gliela insegnerò senza compenso né impegno (da parte loro).
Trasmetterò i precetti, le lezioni orali e il resto dell’insegnamento ai miei
Àgli, a quelli del mio maestro e ai discepoli legati da un impegno e da un
giuramento secondo la legge medica, ma a nessun altro.
“Fisserò il regime degli ammalati a loro vantaggio, secondo le mie forze
e il mio giudizio, e mi asterrò da ogni male e da ogni ingiustizia. Non consegnerò a nessuno del veleno, se me lo chiedono, né prenderò l’iniziativa
di un simile consiglio; e parimenti non consegnerò a nessuna donna un
pessario abortivo. Trascorrerò la mia vita ed eserciterò la mia arte nell’innocenza e nella purezza. Non praticherò l’operazione della cistotomia. In
qualsiasi casa io entri, entrerò per l’utilità degli ammalati, astenendomi da
ogni bassa azione, volontaria e corruttrice, e soprattutto dal sedurre donne
e ragazzi, liberi o schiavi. Qualunque cosa io veda o senta nella società
durante l’esercizio della mia professione e perÀno al di fuori di essa, tacerò
Educazione, scienza, cultura
371
quello che non ha mai bisogno di essere divulgato, considerando la discrezione come un dovere in simili casi.
Se io adempio a questo giuramento, mi sia dato di godere felicemente
della vita e della mia professione, sempre onorato dagli uomini; se invece
lo violo e mi rendo spergiuro, possa io aver sorte contraria”.
765
L’obbligo del sapere
Un medico che ignori le virtù delle piante e, conoscendone solo qualcuna, non studia per imparare quelle di tutte, non sa nulla di nulla, o
almeno ben poca cosa. Bisogna dunque, per meritare la qualiÀca che egli
si dà, che abbia conoscenza di tutte le erbe, sia nocive che vantaggiose.
Blas Valera, citato da Garcilaso de la Vega (inizio XVII sec.),
Perù.
766
Delitto medico e valore disuguale della vita umana
Un uomo che prepara pozioni senza essere versato nella medicina o nella pratica degli incantesimi, che ignora tutto dei sintomi delle malattie e che
tuttavia chiede denaro al malato, deve essere trattato come un ladro; è un
mentitore. Se prescrive una pozione a un servo e se costui non guarisce e
Ànisce per morire, la multa sarà Àssata a 4.600. Se prescrive una pozione a
un uomo (importante) e quest’uomo non guarisce e muore, la multa sarà di
10.000. Se prescrive una pozione a un bramino e se il bramino non guarisce
e muore, la multa sarà di 20.000.
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
767
Sviluppo medico e agricolo
Il re Priyadarsin, il prediletto degli dei, ha istituito ovunque due forme
di assistenza medica, cioè le cure mediche per gli uomini e (quelle) per gli
animali. Piante medicinali utili, le une all’uomo, le altre agli animali, sono
state importate e piantate dappertutto dove mancavano. Analogamente,
sono stati importati tuberi e frutti, e piantati dappertutto dove mancavano.
Sono stati piantati degli alberi lungo le strade e scavati dei pozzi a uso degli
uomini e degli animali.
Editto di Ashoka, Roccia II (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
768
Lungo le strade ho piantato alberi per offrire ombra agli uomini e agli animali. Sono stati piantati dei manghi. A ogni mezza krosa ho fatto scavare un
pozzo; sono state costruite case per riposarvi la notte. Sono state approntate,
in diversi luoghi, numerose cisterne per gli uomini e per gli animali.
Editto di Ashoka. Pilastro VII (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito. 769
372
Il diritto di essere un uomo
Il saggio domandò allo Spirito della Saggezza: “Qual è il compito degli
imprenditori, degli artigiani?”.
Lo Spirito della saggezza rispose: “Ecco il compito degli artigiani. Se
si tratta di un lavoro che non conoscono, essi si astengono dall’intraprenderlo; se si tratta di un lavoro che conoscono bene, lo eseguano con cura
e chiedano un giusto compenso. Perché colui che si ostina a compiere un
lavoro che non sa fare, lo sciupa e lo rende inutile; se, per giunta, è soddisfatto del suo lavoro, questo diventa per lui perÀno un motivo di peccato”.
Dâdistân î Mênôg î Xrad (III-VII sec., periodo sassanide), Persia.
770
Educazione
Conviene trattar bene la propria moglie e i propri Àgli, e non trascurare
la loro educazione. Infatti, colui che non tratta bene moglie e Àgli e trascura
la loro educazione, è sempre nell’afÁizione e il suo cibo ha per lui meno
sapore.
Dênkart (IX sec.), Persia.
771
Prosperità
“O creatore del mondo dei corpi, o santo!
Qual è, in secondo luogo, l’angolo della terra in cui vi è maggior gioia?”.
Ahura Mazda rispose:
“È là dove un fedele innalza una casa con sacerdote, con bestiame, donna, Àgli e con un bel gregge; e che poi, in questa casa, cresca il bestiame
e la virtù; aumentino le provviste (il foraggio), cresca il cane, ingrassi la
moglie, cresca il Àglio, aumenti il fuoco, crescano tutte le cose buone della
vita”.
Avesta Vendidad, I sec. d.C. Persia.
772
Grande verità, un ordine morale potentissimo, iniziazione sacriÀcale,
penitenza, Brahma e sacriÀcio: ecco ciò che sostiene la terra. Possa la
terra, padrona del nostro passato e del nostro avvenire, offrirci un vasto
spazio! Senza il quale vi sarebbe super popolazione tra gli uomini; possa
la terra, segnata da un gran numero di altitudini, di chine e di pianure, e
dove crescono piante dalle molteplici virtù, estendersi e fornirci il nostro
nutrimento! Essa che contiene il mare e anche i Àumi e le acque, dove
vengono prodotti gli alimenti ed i raccolti, dove si muove tutto ciò che
respira e agisce, possa questa terra accordarci per la prima volta e cibo e
bevanda!
Atharvaveda, XII (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
773
Educazione, scienza, cultura
373
Conoscenza immediata attraverso la vita
Il personaggio principale della commedia, Adamo, trasformato in Keplero, si risveglia da un sogno in cui ha visto la Rivoluzione francese.
ADAMO
Giorno verrà, e io te l’ho già detto,
in cui si riderà di tutto questo! L’uomo di Stato
che si diceva grande, il pensatore ortodosso
di cui era vantata l’infallibilità,
saranno dai posteri considerati
dei Commedianti. La grandezza vera
allora apparterrà al naturale,
alla semplicità, che marciano dritto,
non fanno salti, se non per superare
ostacoli imprevisti, e che non tracciano
vie nuove se le vecchie non scompaiono.
E, quel giorno, la Scienza, complicata,
inestricabile sì da render pazzo chi la vuol penetrare,
ogni uomo la capirà senza doverla imparare.
………
Butta nel fuoco queste pergamene ingiallite,
questi in-folio coperti di muffa
che ci fanno obliar come si marcia,
ossia come si pensa, e che diffondono
nel nostro tempo gli errori e i vizi
dei secoli passati. Buttali al fuoco
e poi va a respirare l’aria pura, invece
di ricercare in scritti polverosi,
tra i muri malsani d’una stanza,
che cosa è il canto, come l’uccello è fatto,
oppure in che consiste una foresta.
La vita è forse secondo te sì lunga
Che è possibile Àno alla tomba
Studiarne senza Àn la teoria?
Diciamo addio, tutti e due, alla scuola.
La tua giovinezza in Àore, in mezzo ai canti, e il sole,
ti conducano alla gioia!
Imre Madách (1823-1864), La tragedia dell’uomo, scena IX, Ungheria.
774
LA VOCAZIONE DEL POETA
Discorso pronunciato per l’84° anniversario della morte del poeta
Aleksandr SergeeviĀ Puškin
Fin dall’infanzia, un nome gioioso rimane nella nostra memoria: è quello di Puškin. Questo nome, questo suono Àero è bastato a riempire molti
374
Il diritto di essere un uomo
giorni della nostra via. Pesanti sono i nomi degli imperatori, dei grandi capitani, degli inventori di strumenti d’assassinio, dei carneÀci e dei martiri
della vita. Accanto a essi, c’è questo nome leggero: Puškin.
Puškin ha saputo portare con leggerezza e con allegria il suo solenne fardello, e nondimeno il ruolo del poeta non è né allegro né facile: è tragico.
Puškin ha recitato la sua parte con un ritmo largo, sicuro e libero, come un
grande maestro; e tuttavia il nostro cuore si stringe spesso al pensiero di
Puškin; la marcia trionfale e gioiosa del poeta che non poteva dar fastidio
al mondo esteriore, quella marcia è stata troppo spesso intralciata dall’intervento di individui ottusi per i quali una marmitta è più preziosa di Dio.
………
Che cosa è un poeta? Un uomo che scrive versi? Evidentemente no. Non
si chiama poeta perché scrive dei versi; ma scrive in versi, cioè mette in
armonia le parole e i suoni, perché è un Àglio dell’armonia, un poeta.
Che cosa è l’armonia? L’armonia è l’accordo delle forze universali,
l’ordine della vita universale. L’ordine è il Cosmos, opposto al disordine,
il caos. Dal caos, insegnavano gli antichi, nacque il Cosmos, la pace. Il
Cosmos è parente del caos come le onde regolari del mare lo sono degli
sconvolgimenti dell’oceano. Un Àglio può essere diverso da suo padre in
tutto, ad eccezione di un tratto nascosto; ma questo tratto fa sì che il Àglio
rassomigli a suo padre.
Il caos è l’anarchia elementare primitiva; il Cosmos, l’armonia organizzata, la cultura; dal caos nacque il Cosmos; l’elemento contiene in sé i
germi della cultura; dall’inorganico è nata l’armonia.
La vita universale è una creazione perpetua di nuove forme. Esse sono
cullate dal caos inorganico; si ingrandiscono e vengono selezionate sotto l’inÁuenza della cultura; l’armonia dà loro dei contorni; poi questi si
smorzano di nuovo nella nebbia dell’inorganico. Il signiÀcato di questo
movimento è incomprensibile; la sua essenza è oscura; noi ci consoliamo
all’idea che la nuova forma è migliore dell’antica, ma il vento spegne quella debole candela con la quale noi tentiamo di rischiarare la notte universale. L’ordine del mondo è spaventoso: è Àglio del disordine e non coincide
necessariamente con le nostre idee sul male e sul bene.
………
Il poeta è Àglio dell’armonia, gli viene assegnato un ruolo nella cultura
universale.
Gli incombono tre compiti: egli deve per prima cosa liberare i suoni
dall’elemento primitivo inorganico in cui essi si trovano, deve poi metterli
in armonia, dar loro una forma; inÀne deve introdurre quest’armonia nel
mondo esteriore.
Educazione, scienza, cultura
375
I suoni strappati alla materia elementare e tradotti in armonia esercitano
essi stessi un’azione quando vengono introdotti nel mondo. “Le sue parole,
sono gli atti del poeta!”.
………
Nelle profondità insondabili dello spirito, là dove l’uomo cessa di essere
uomo, nelle profondità inaccessibili allo Stato e alla Società creati dalla civiltà, battono delle onde sonore, simili alle onde dell’etere che circondano
l’universo; là si creano dei ritmi e degli ondeggiamenti simili ai movimenti
da cui nascono le montagne, i venti, le correnti del mare, il mondo vegetale
e animale.
Questa profondità dello spirito è dissimulata dai fenomeni del mondo
esterno. Puškin dice che è inaccessibile al poeta, forse più che a ogni altro;
“e tra i vani Àgli di questo mondo, il più vano è senza dubbio lui”.
Ma il primo compito imposto al poeta dal servizio che egli deve rendere
è quello di respingere “le preoccupazioni di un mondo vano” per staccare
i rivestimenti esterni, al Àne di scoprire la profondità. Questa esigenza lo
strappa alla vanità.
Egli sen fugge, rustico e severo,
pien di musica l’alma e di tumulto,
Àn sulle rive al Àume solitario,
in mezzo delle querce al gran sussurro.
Selvaggio, severo, pieno di tumulto, perché la scoperta della profondità
spirituale è difÀcile quanto il parto. Verso il mare e la foresta, perché soltanto là, egli può raccogliere tutte le sue forze e mettersi in comunione col
“caos originale”, l’elemento primordiale, che produce le onde sonore.
L’opera misteriosa è compiuta: il velo è sollevato, la profondità scoperta, il suono accolto nell’anima. La seconda esigenza di Apollo consiste in
questo: il suono tratto dalle profondità ed estraneo al mondo esterno deve
essere introdotto nella forma percettibile e solida della parola; i suoni e le
parole devono formare un’armonia unica. È un’opera di padronanza. La
padronanza tecnica esige l’ispirazione, come anche la comunione col “caos
originale”; “l’ispirazione – ha detto Puškin – è lo stato d’animo disposto a
ricevere, nel modo più vivo, le impressioni e le idee, e perciò penetrarne il
signiÀcato”. Non è dunque possibile Àssare un limite qualsiasi tra la prima
e la seconda azione del poeta; l’una è completamente legata all’altra; più si
sollevano veli e più intensa la comunione col caos; più difÀcile è la nascita
del suono e più questo tende ad assumere una forma chiara, e più implacabilmente perseguita l’orecchio umano, alla ricerca dell’armonia.
376
Il diritto di essere un uomo
Viene il momento della terza azione del poeta; i suoni accolti nell’anima
armonizzati devono essere introdotti nel mondo. È allora che si produce
l’urto tra il poeta e la plebe.
È forse possibile che sia mai stato chiamato plebe il semplice popolo?
Solo coloro che sono degni di questo nome hanno potuto applicarlo al popolo. Puškin raccoglieva canzoni popolari, scriveva in stile popolare; la
creatura più vicina a lui era la sua nutrice contadina. Bisogna quindi essere
bestie o cattivi per pensare che col termine plebe Puškin abbia voluto designare il popolo dei semplici. Un lessico di Puškin ce lo chiarirà posto che
la cultura russa rinasca.
Col nome di plebe, Puškin indicava gli individui molto simili a quelli
che oggi noi condanniamo. Egli univa spesso a questo sostantivo l’epiteto
di “mondana”, dando così un nome collettivo a quell’aristocrazia cortigiana che non aveva nulla nell’anima, se non dei titoli nobili rei. Ma, già per
Puškin, la plebe era innanzi tutto la burocrazia. Questa burocrazia è la nostra plebe, quella di ieri e di oggi; non la nobiltà, né il popolo; non le bestie,
né i blocchi di terra, né i lembi di nebbia, né i frammenti di pianeta, né i demoni, né gli angeli. Se si mette da parte la particella “né”, si può dire di essi
una sola cosa: sono delle persone. Non è molto lusinghiero; delle persone,
degli affaristi e dei buoni a nulla, la cui profondità spirituale è per sempre
ricoperta, sotterrata, colmata dalle “preoccupazioni di un mondo frivolo”.
………
La plebe, come d’altronde le altre categorie sociali, progredisce solo
molto lentamente. È questa la ragione per cui, nonostante lo sviluppo mostruoso del cervello umano, che si è veriÀcato nel corso degli ultimi secoli,
non si è riusciti a staccare dallo Stato che un solo organismo, la censura
incaricata di mantenere l’ordine di un universo che si esprime in forme di
Stato. Essi non hanno potuto così paralizzare altro che la terza funzione del
poeta, quella che consiste nell’introdurre l’armonia nel mondo: essi avrebbero potuto trovare un mezzo per avvelenare le sorgenti stesse dell’armonia. Da che cosa sono stati trattenuti? Mancanza d’intuizione, timidezza,
coscienza? È impossibile saperlo. Ma, d’altronde, sono forse essi in questo
stesso momento alla ricerca di questi mezzi?
………
In un giorno consacrato alla memoria di Puškin, non staremo a discutere se egli ha distinto bene la libertà che noi chiamiamo personale, dalla
libertà che noi chiamiamo politica. Sappiamo che egli chiedeva una libertà
“diversa”, “misteriosa”. Per noi, essa è “personale”; ma per il poeta non è
soltanto la libertà personale:
Educazione, scienza, cultura
377
Non rendere conto a nessuno.
Servire e piacer solo a se stessi.
Dinanzi alle livree, dinanzi alla potenza,
Non inchinare né collo né coscienza.
Passeggiare ovunque a piacimento,
godendo le bellezze divine del creato,
le creazioni dell’arte e dell’ispirazione.
Annegare in silenzio in teneri trasporti.
Ecco la felicità! Ecco i diritti...
Questo egli ha detto alla vigilia della morte. Nella sua giovinezza,
Puškin diceva analogamente:
L’amore e la libertà misteriosa
ispirano un inno semplice al mio cuore.
Questa libertà misteriosa, questo capriccio [...] non è affatto la libertà
privata, ma qualcosa di molto più grande, direttamente legata a quei due
primi compiti che Apollo impone al poeta. Tutto ciò che i versi di Puškin
enumerano, non è altro che la condizione per la liberazione dell’armonia.
Permettendo che lo si disturbasse nella terza funzione, la prova dei cuori da
parte dell’armonia, Puškin non poteva lasciarsi controllare nelle altre due:
neppure quelle sono personali.
………
Puškin è morto. Ma “per i bambini, i Poeti non muoiono”, ha detto
Schiller. E neppure Puškin è stato ucciso dalla palla di Dantès. È morto per
mancanza d’aria. Con lui è morta la cultura.
È tempo, amica mia! Ci occorre riposo.
Sono i sospiri di Puškin prima della morte, e anche i sospiri della cultura
dell’epoca di Puškin.
Questo mondo non ha felicità
ma conosce pace e libertà.
La pace e la libertà sono indispensabili al poeta per la liberazione
dell’armonia. Ma si possono anche togliere. Non la felicità esterna, ma la
felicità creatrice. Non la libertà infantile, la libertà di fare del liberalismo,
ma libertà creatrice, la libertà segreta. E il poeta muore perché non può più
respirare; la vita ha perso il suo signiÀcato.
378
Il diritto di essere un uomo
Gli onesti funzionari, che impediscono al poeta di mettere alla prova il
cuore per mezzo dell’armonia, saranno conosciuti per sempre col nome di
plebe. Ma avranno dato fastidio al poeta solo nella sua terza funzione. La
prova del cuore di Puškin a mezzo della poesia è già avvenuta, senza di
loro, in tutta la sua ampiezza.
Ci auguriamo che siano risparmiati da un nome mille volte peggiore
quei funzionari che vogliono spingere la poesia in una determinata direzione, attentando alla sua libertà interiore e impedendole di compiere la sua
misteriosa missione.
Aleksander Blok, 11 febbraio 1921, Unione Sovietica.
775
Permetti, o Signore, che io scopra oggi, grazie alle mie conoscenze, ciò
che ignoravo ieri; perché l’arte non ha Àne, e la mente dell’uomo progredisce sempre più.
Maimonide, Preghiera medica, XII secolo.
776
SCHIAVITÙ E VIOLENZA
La schiavitù contraria alla natura umana
L’uomo e la forza
La forza è ciò che fa, di chiunque le è soggetto, una cosa. Quando viene
esercitata Àno alla Àne, fa dell’uomo una cosa, nel senso più letterale (del
termine), poiché ne fa un cadavere. C’era qualcuno, e, un istante più tardi,
non c’è più nessuno [...].
Dal potere di trasformare un uomo in cosa facendolo morire, deriva un
altro potere, ben diversamente prodigioso, quello di trasformare in cosa
un uomo che rimane vivo. E vivo ha un’anima; e tuttavia è una cosa. È
ben strana una cosa che ha un’anima; strano stato per l’anima. Chi potrà
dire quanto le occorre, in ogni momento, per conformarvisi, per torcersi e
piegarsi su se stessa? Essa non è fatta per abitare in una cosa; quando vi è
costretta, non esiste più nulla in lei che non soffra violenza [...].
Così la violenza schiaccia ciò che tocca. Essa Ànisce per apparire al di
fuori di colui che la maneggia come di colui che la subisce; allora nasce l’idea di un destino sotto il quale i carneÀci e le vittime sono ugualmente innocenti, i vincitori e i vinti (sono) fratelli nella stessa miseria. Il vinto è una
causa di disgrazia per il vincitore, come il vincitore (lo è) per il vinto [...].
Occorre, per rispettare la vita negli altri quando ci si è dovuti mutilare se
stessi di ogni aspirazione a vivere, uno sforzo di generosità (così grande) da
spezzare il cuore [...]. In mancanza di questa generosità il soldato vincitore
è come un Áagello della natura; posseduto dalla guerra, è divenuto come lo
schiavo, una cosa, benché in modo completamente diverso, e le parole non
hanno potere su di lui come non ne hanno sulla materia. L’uno e l’altra, al
contatto con la materia, ne subiscono l’effetto infallibile, che consiste nel
rendere coloro ch’essa tocca o muti o sordi [...].
Tale è la natura della forza. Il potere che essa possiede di trasformare
gli uomini in cose è duplice, e si manifesta da due parti; essa pietriÀca in
modo diverso, ma ugualmente sia le anime di coloro che la subiscono che
di coloro che la maneggiano [...].
380
Il diritto di essere un uomo
Checché ne sia, questo poema (L’Iliade) è una cosa miracolosa. In esso
l’amarezza verte sulla sola giusta causa di amarezza, la subordinazione
dell’anima umana alla forza, cioè, in Àn dei conti, alla materia. Questa
subordinazione è la stessa per tutti i mortali, benché l’anima la subisca
in modo diverso secondo il grado di virtù. Nessuno, nell’Iliade, vi si sottrae, così come nessuno vi si sottrae sulla terra. Nessuno di coloro che
vi soccombono è per questo considerato disprezzabile? Tutto ciò che,
all’interno dell’anima e nelle relazioni umane, sfugge all’impero della
forza, è amato, ma amato dolorosamente, a causa del pericolo di distruzione che continuamente incombe. Questo, lo spirito della sola vera epopea che abbia l’Occidente [...]. Nulla di ciò che hanno prodotto i popoli
d’Europa vale il primo poema conosciuto che sia apparso presso uno di
essi. Ritroveranno forse il genio epico quando sapranno credere che nulla
è al riparo della sorte, sapranno non ammirare mai la forza, non odiare
i nemici e non disprezzare i disgraziati. È molto dubbio che ciò possa
accadere presto [...].
Colui che ignora a qual punto la fortuna variabile e la necessità tengano alle loro dipendenze ogni anima umana non può considerare simili né
amare come se stesso coloro che il caso ha separato da lui con un abisso.
La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l’illusione
che vi siano in mezzo a loro delle specie distinte che non possono comunicare. Non è possibile amare ed essere giusto se non si conosce l’impero
della forza e se non si sa rispettarlo.
Simone Weil, L’Iliade o il poema della forza, 1939-1940.
777
Schiavitù e dignità dell’uomo
Ecco quel che prescrive l’ordine naturale, ecco l’uomo quale Dio l’ha
creato. Poiché Egli disse: “Ch’egli domini sui pesci del mare, gli uccelli del
cielo, e sui rettili che strisciano al suolo” (Gen. I, 26). Egli ha dunque voluto che l’essere ragionevole, fatto a Sua immagine, dominasse solo sugli
esseri ragionevoli, e non l’uomo sull’uomo, ma l’uomo sulla bestia. Ecco
perché i primi giusti erano assegnati quali pastori di pecore piuttosto che
come re degli uomini, poiché Dio voleva con questo suggerirci ciò che, da
una parte, reclama l’ordine della natura, e dall’altra, esige la sanzione del
peccato. È infatti con ragione che si considera la condizione servile come
imposta al peccatore. Invero, non troviamo in nessun punto della Sacra
Scrittura la parola schiavo prima che il giusto non l’abbia usata per rimproverare la colpa di suo Àglio. (Gen., IX, 25-26). È dunque la colpa che ha
meritato questo nome, e non la natura.
Schiavitù e violenza
381
Quando cesserà il “dovere di comandare”
Il vero padre di famiglia (pater familias) ha cura di tutti i membri della
sua casa come ha cura dei suoi Àgli, allo scopo di onorare e servire Dio, col
vivo desiderio di giungere alla casa celeste dove cesserà il dovere di comandare a dei mortali, perché non ci sarà più bisogno di vegliare su coloro
che godranno ormai dell’immortalità. Nell’attesa, i padri devono sopportare maggiormente di comandare che non i servi di obbedire.
Sant’Agostino (354-430), La città di Dio.
778
Noi dobbiamo trattare gli schiavi come noi stessi. Perché essi sono uomini (in tutto) proprio come noi. E in verità, siamo tutti uno, sia per la
natura, che per la fede e per il giudizio che attendiamo.
Lettera di Isidoro di Pelusio (V sec.), monaco egiziano.
779
In generale, la schiavitù non è che un effetto del peccato. Solo l’avarizia
e l’insaziabilità ne sono la fonte.
San Giovanni Crisostomo (circa 354-407), Omelia.
780
LA GENESI ALTO-TEDESCA
Cam è stato per suo delitto
La prima origine de’ servi.
Prima erano tutti uomini
Uguali, franchi e gentiluomini.
La Genesi (circa 1065), manoscritto del XVI sec., alto-tedesco.
781
I Giudei chiesero a Samuele di dar loro un re; Samuele rispose loro:
Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri
Àgli per destinarli ai propri carri e ai propri cavalli, perché corrano
innanzi al suo carro; per usarli come capi di 1.000, capi di 100 e capi
di 50; perché arino la sua aratura e mietano la sua messe; perché fabbrichino armi da guerra e arnesi per i suoi carri. Prenderà anche le vostre
Àglie come profumiere, cuciniere e panettiere. Prenderà il meglio dei
vostri campi, delle vostre vigne e dei vostri oliveti e li darà ai suoi servi.
Sulle vostre sementi e sui redditi delle vostre vigne preleverà le decime
e le darà ai suoi servi. Prenderà i vostri schiavi e le vostre schiave, come
il meglio del vostro bestiame grosso e i vostri asini, e li adopererà nei
suoi lavori. Preleverà la decima dal vostro bestiame minuto e voi stessi
diventerete suoi schiavi!
Bibbia ebraica, Primo libro di Samuele, 8.
782
382
Il diritto di essere un uomo
La schiavitù contraria al cristianesimo
È cosa talmente inaudita che bisogna farla conoscere pubblicamente
a tutta la cristianità, che vi è grande ingiustizia quando ci si insuperbisce davanti a Dio al punto di prendersi la licenza di dire a un altro
uomo, che Dio ha tuttavia a così caro prezzo riscattato e redento: Tu mi
appartieni. È questo un comportarsi da pagano. Dio stesso lo conferma:
i suoi discepoli erano gli uni di elevate condizioni sociali, gli altri povera gente, e taluni s’inorgoglivano nel loro cuore. Ma Cristo conobbe
il loro cuore e disse: Colui tra voi che vuole innalzarsi al di sopra degli
altri sarà servo di voi tutti. È volontà di Dio che noi siamo tutti eguali.
Chi è battezzato e crede, sarà salvato; nessuno, nel Regno dei Cieli ha
maggior libertà di un altro. Ciascuno dunque sappia ormai quale importanza, bisogna dare a colui che osa dire: Tu mi appartieni. Costui non è
un cristiano. E se egli non desiste, per rendere a Dio l’onore che Gli è
dovuto, bisogna, come a un pagano, togliergli ciò che possiede (oppure:
considerarlo come un pagano) perché egli si oppone a Cristo e i comandamenti di Dio non hanno potere su di lui.
Riforma dell’imperatore Sigismondo (XV sec.)
783
Sugli indiani: “In molte cose, essi sono superiori ai cristiani, perché vivono moralmente meglio e hanno maggior rispetto per la legge della natura”.
Manoel da Nobrega, Lettera da Bahia, 1549.
784
Indiani o Negri sono tutti uomini
Secondo la sentenza pronunciata dal Supremo Pastore della Chiesa, che
ha giudicato la causa, è detto [...] che essi (gli Indiani) sono veri esempi
della razza umana e veri uomini come noi, degni di ricevere i sacramenti
della Santa Chiesa, liberi per natura e padroni dei loro beni e delle loro
azioni.
S. de Vasconcelos, Cronaca della Compagnia di Gesù dello Stato del
Brasile, 1663.
785
Come potrebbe esistere una costituzione liberale e durevole in un paese
continuamente abitato da una folla di schiavi e di nemici?
Se i Negri sono uomini come noi, se non costituiscono una specie di
animali grossolani, se sentono e pensano come noi, quale quadro di dolore
e di miseria presentano all’immaginazione di qualunque uomo sensibile e
cristiano?
Schiavitù e violenza
383
Gli apologeti della schiavitù citano i Greci e i Romani, senza rendersi
conto che tra i Greci e i Romani, i princìpi eterni del diritto naturale non
erano ancora né ben sviluppati, né ben stabiliti.
José Bonifacio de Andrada, Discorso all’Assemblea Costituente sull’abolizione della schiavitù, 1823.
786
Limiti della sottomissione al diritto
L’autore, durante il suo viaggio, incontra un vecchio amico giudice che
gli racconta la seguente storia:
Un uomo di umile origine, innalzatosi al rango di assessore, diventa
padrone di parecchie centinaia di contadini, ch’egli sfrutta e tiranneggia.
uno dei suoi due Àgli prepara il ratto di una giovane contadina per violarla,
il giorno stesso delle sue nozze. Scoppia una rivolta dei contadini contro i
padroni: il padre e i due Àgli vengono uccisi.
(…)
“Tutti gli uomini nascono uguali in questo mondo. Tutti hanno un
corpo formato degli stessi elementi, tutti sono dotati di ragione e di
volontà. Al di fuori dei suoi rapporti con la società, l’uomo è dunque,
nei suoi atti, un essere assolutamente indipendente. Ma egli riduce da
se stesso la propria libertà d’azione, accetta di non agire in tutto unicamente secondo il proprio beneplacito, e si sottomette agli ordini dei
suoi simili; in una parola, egli diventa cittadino. Per quale ragione egli
domina le sue passioni? Perché colloca al di sopra di sé un’autorità
superiore? Perché, pur essendo libero di agire a suo piacimento, si costringe a vivere tra i limiti dell’obbedienza? Nel suo interesse, gli dirà
la ragione; nel suo interesse gli dirà la coscienza; nel suo interesse gli
dirà una saggia legislazione. Di conseguenza, ovunque non è suo interesse d’essere cittadino, egli non è cittadino. E chiunque cerchi di
privarlo dei vantaggi della cittadinanza è un suo nemico. Contro questo
nemico, egli chiede alla legge protezione e soddisfazione. Se la legge
non può o non vuole proteggerlo, o se essa è impotente a dargli un aiuto
di fronte a un pericolo manifesto e presente, allora il cittadino ricorre
alla legge naturale che gli ordina di provvedere da se stesso alla propria difesa, alla sua protezione e al suo benessere. Perché il cittadino,
diventando cittadino, non cessa d’essere uomo, e, in quanto tale, ha per
obbligo principale di garantire la propria conservazione, la sua difesa e
il suo benessere. Con la sua bestiale crudeltà, l’assessore che fu massacrato dai contadini, aveva violato il loro diritto di cittadini. Quando s’è
reso complice della violenza dei suoi Àgli, quando ha aggiunto l’insulto
alla ferita profonda inÁitta a una coppia di Àdanzati, quando, nel vedere
384
Il diritto di essere un uomo
i contadini rivoltarsi contro la sua diabolica tirannia, ha cominciato a
punirli, la legge che protegge il cittadino è divenuta lettera morta e ha
perduto ogni efÀcacia; la legge della natura ha allora preso il sopravvento e la forza del cittadino offeso – questa forza che la legge degli
uomini non può togliergli quando egli ha subito un danno – è entrata in
gioco, e i contadini che hanno ucciso il vile assessore non sono colpevoli nei riguardi della legge. Ragionevolmente, il mio cuore non li trova
colpevoli; e la morte dell’assessore, benché violenta, è giusta. Non mi
si venga a invocare la ragion di Stato o le esigenze dell’ordine pubblico,
per condannare gli assassini dell’assessore, vittima della propria perversità. Un cittadino, qualunque sia lo stato in cui la provvidenza l’ha
collocato all’ora della sua nascita, è e rimarrà sempre un uomo; perciò
la legge della natura, fonte abbondante di bontà, non si prosciugherà
mai in lui, e chiunque osi ferirlo nel suo diritto naturale e inviolabile è
un criminale. La sventura colpisca questo criminale se la legge civile
non lo punisce! Egli sarà segnato come un paria dai suoi concittadini,
e chiunque detiene il potere possa vendicare sulla sua persona il delitto
che egli ha commesso!”
“Io tacqui. Il governatore non mi rivolse una sola parola: mi lanciava
ogni tanto sguardi minacciosi in cui si leggeva il furore dell’impotenza
e il rancore della vendetta. Tutti tacevano, aspettando di vedermi – quale
profanatore di tutte le leggi – messo in stato di arresto. Di tanto in tanto, un mormorio di disapprovazione usciva dalle loro labbra servili; tutti
distoglievano gli occhi da me. Chi mi era vicino sembrava colto da spavento: impercettibilmente si allontanavano da me come da un appestato.
Disgustato di questo spettacolo in cui si mescolavano l’arroganza ed il
più abietto servilismo, lasciai quell’assemblea di adulatori.
“Incapace di trovare il mezzo per salvare gli omicidi innocenti, che il
mio cuore assolveva, non volevo essere complice né testimonio della loro
esecuzione. Chiesi dunque di essere messo in pensione, e, avendolo ottenuto, ritorno ora a casa mia per piangere sulla sorte lamentevole della
classe contadina, a cercare, frequentando i miei amici, un sollievo alla mia
stanchezza”.
Dopo queste parole ci congedammo l’un l’altro e ciascuno se ne partì
per la sua strada.
Alesksandr RadišĀev (1789-1790), Viaggio da San Pietroburgo a Mosca.
787
Schiavitù e violenza
385
Schiavitù e sfruttamento; padrone e schiavo
DIO: I Àgli di Israele sono miei servitori.
Bibbia ebraica, Levitico, 25
E il Talmud commenta
... Ma non dei servi per dei servi.
Talmud, Kuchin, 22.
788
Limiti della schiavitù
Se un tuo fratello, ebreo o ebrea, si vende a te, ti servirà per sei anni,
ma al settimo anno lo manderai via libero da te e, nel lasciarlo andar via
libero da te, non lo manderai a mani vuote, ma lo caricherai onorevolmente
di doni del tuo bestiame minuto, della tua aia e del tuo pressoio, secondo
quanto ti permetterà la benedizione che Jahve tuo Dio ti avrà dato. Ricordati che tu fosti schiavo nella terra di Egitto e che Jahve tuo Dio ti ha liberato;
perciò oggi ti prescrivo tale cosa.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 15.
789
Dichiarerete santo l’anno cinquantesimo e proclamerete nella terra la
liberazione per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno ritornerà al proprio patrimonio, ognuno ritornerà alla propria famiglia.
Bibbia ebraica, Levitico, 25.
790
La riforma di Solone comportava l’abolizione dei debiti e la liberazione
dei contadini resi schiavi dai loro. Egli lo annuncia, scrivendo:
Sì, mi sono forse fermato prima di aver raggiunto lo scopo per il quale
ho radunato il popolo? Meglio di ogni altro può rendermene testimonianza,
dinanzi al tribunale del tempo, la venerabile madre degli abitanti dell’Olimpo, la nera Terra dalla quale ho allora strappato ovunque le pietre di
conÀne: un tempo schiava, ora essa è libera. Io ho ricondotto ad Atene,
nella loro patria fondata dagli dei molta gente venduta più o meno giustamente, gli uni – che non parlavano neppure più la lingua attica, tanto avevano errato dappertutto – condannati all’esilio dalla tremenda necessità;
gli altri che qui stesso subivano una servitù indegna e tremavano dinanzi
all’umore dei loro padroni, io li ho resi liberi. Questo ho fatto in forza della
legge, unendo la costrizione e la giustizia; ho seguito la mia strada Àno alla
Àne come avevo promesso. Ho redatto leggi uguali per il buono e il cattivo,
Àssando a ciascuno una retta giustizia. Se un’altra persona, un uomo per-
386
Il diritto di essere un uomo
verso e avido, avesse preso il pungolo, non avrebbe potuto tenere a freno
il popolo. Perché, se io avessi voluto ciò che allora piaceva ai nemici del
popolo, o ancora ciò che gli avversari auguravano loro, la città sarebbe divenuta vedova di molti cittadini. Per questo, impiegando il mio vigore, ho
volto lo sguardo da tutti i lati, come un lupo in mezzo a una muta di cani.
Solone (640-558 a.C.), Costituzione d’Atene. Citato da Aristotele (384322 a.C.).
791
Il valore riscatta la schiavitù
’Antara è un celebre guerriero e poeta preislamico; è stato chiamato
l’Achille arabo.
’Antara non era già più bambino quando suo padre lo riconobbe come
Àglio. Sua madre era una schiava negra di nome Zubaïba. Ora, per gli Arabi precedenti l’Islam, il Àglio nato da una schiava, era anch’egli schiavo.
E ’Antara aveva dei fratelli, nati dalla stessa madre, e, di conseguenza,
schiavi come lui.
Ecco in quali circostanze il padre di ’Antara lo riconobbe come suo
Àglio. Delle tribù arabe avevano attaccato quella del padre di ’Antara (i
Banu Abs); avevano ucciso alcuni uomini e rubato dei cammelli. La tribù
attaccata inseguì gli assalitori e diede battaglia per poter riprendere il suo
avere. Sul giorno ’Antara era tra loro. Suo padre gli gridò: “Carica, ’Antara!”, ma ’Antara rispose: “Lo schiavo non è fatto per caricare: è fatto per
mungere le cammelle e legare i loro capezzoli dopo la mungitura”. “Carica
– gli rispose suo padre – e sarai un uomo libero!”. Allora ‘Antara caricò
cantando:
“Io sono ‘Antara il mulatto!
Ognuno difende la sua libertà,
Sia nera o rossa,
Quando suona l’ora del destino.”
Quel giorno ‘Antara si batté valorosamente e suo padre lo riconobbe
come suo Àglio, ed egli entrò di pieno diritto nel lignaggio.
Abu Al-Faradij (X sec.), Kitab Al-Aghâni (racconti di epoca preislamica).
792
Schiavitù e violenza
387
Riscatto
Il papa interviene presso un vescovo per la liberazione dei prigionieri di
guerra, ridotti in schiavitù dai Lombardi:
Che ci si debba occupare del riscatto dei prigionieri, ce lo insegnano
molto chiaramente la sanzione e dei santi canoni e delle leggi del mondo.
Gregorio Magno, papa, Registrum epistularum, VI sec.
793
Il Califfo scrive al governatore dell’Egitto (VII secolo):
Come hai potuto ridurre degli esseri umani in schiavitù, mentre le loro
madri li avevano partoriti liberi?
‘Omar Ibn Al-Khattab a ‘Amr Ibn Al-’As.
794
ATTO DI ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITÙ
Quanto alla schiavitù, i nostri signori hanno considerato innanzitutto che
noi siamo tutti Àgli di Dio e che dobbiamo vivere come fratelli. Per questo
è stato deciso che noi libereremo i nostri servi dalla schiavitù e li dispenseremo dai doveri che derivano da essa.
18 maggio 1525, Zurigo.
795
Comuni medioevali
Franchigie di Strasburgo, verso il 1130
Seguendo l’esempio delle altre città, Strasburgo è onorata del diritto (di
pace) per modo che ogni uomo, sia straniero che indigeno, vi trova, in ogni
momento e da parte di tutti, (i beneÀci) della pace.
796
(Il termine “pace” signiÀca qui: l’ordine pubblico e la sua garanzia da
parte dell’autorità, l’insieme delle misure di polizia e la protezione delle
leggi). La “pace” libera i servi dopo un anno e un giorno di residenza,
come dice il proverbio tedesco:
Stadtlut macht frei nach Jahr und Tag.
(L’aria della città rende liberi dopo un anno e un giorno.)
797
Contro la schiavitù
Fin dall’inizio la natura ha creato tutti gli uomini liberi; fu solo in seguito che la legge delle nazioni (jus gentium) che ha costretto alcuni di loro
alla schiavitù, ma sarebbe buono e gradito a Dio che si restituissero alla
loro antica libertà.
Robert Mascall (vescovo di Herford dal 1404 al 1416), Inghilterra.
798
388
Il diritto di essere un uomo
Discorso messo in bocca al capo d’una sommossa contadina:
Essi trattano i loro servi come si possono trattare le bestie che si possiedono.
E che importa loro! Essi non hanno altra cura che (quella) di riempire
le loro tasche!
I Àori della primavera, i grani dell’estate, i frutti dell’autunno,
Le nebbie d’inverno, le sabbie che il vento strappa alle rocce,
Gli astri del cielo, ah! ne farete il conto più in fretta
Di quanto io non potrei nominare i peccati di cui non hanno più vergogna.
E, durante questo tempo, noi rimaniamo legati indissolubilmente alle
catene dello schiavo,
Senza poter ricorrere ad altro che a stringere i denti sotto il medesimo
giogo.
Ma poiché la sorte si unisce oggi al nostro sdegno,
Contro i tiranni andiamo! Affrettiamoci! Spezziamo le nostre pastoie!
Amici, fate che io possa condurre a buon Àne questa lotta.
Stephanus Taurinus, Stauromachia, 1519. Ungheria.
799
Parlare di conquista, e ridurre un popolo sotto il suo giogo e la sua schiavitù; un Turco non terrebbe peggior linguaggio, e tuttavia è di esso che si
servono – nella loro ignoranza e nella loro cecità – quelli del Consiglio,
che non si rendono conto che queste parole non sono degne di nessun re
cristiano, e soprattutto non del nostro grande re di Castiglia. Essi non solo
non vedono la differenza che esiste tra gli infedeli, nemici della nostra
fede, che ci attaccano e usurpano le nostre terre e gli Indiani che vivevano
paciÀcamente sulle loro terre e che non dovevano nulla ai cristiani né ai
re di Castiglia. Simili parole sono state a lungo usate nel Consiglio delle
Indie, Ànché è durata la sua cecità, Àno a che il chierico Bartolomeo de Las
Casas, dopo molti anni, ha fatto loro conoscere il loro errore.
Bartolomé de Las Casas, Historia de Las Indias.
800
Poiché gli Spagnoli li opprimevano, li derubavano, li uccidevano, essi
cercavano con ogni mezzo di difendersi. Era quello proprio un così grave
delitto, quando si riconosce perÀno alle bestie feroci il diritto di difendere
la loro esistenza?
………
In verità, io vi dico, gli infedeli hanno il diritto di ricoprire tutte le cariche, le funzioni, le giurisdizioni regali nei loro regni e nelle loro Provincie:
è un loro diritto, è una legge naturale, per loro come per i cristiani; tra loro
Schiavitù e violenza
389
non vi deve essere alcuna differenza. Prova ne è che infedeli e fedeli, senza
differenza, sono animali ragionevoli; spetta loro di vivere naturalmente in
società e di avere consulte, regni, villaggi è città, e di conseguenza d’avere
governatori e re; lo sceglierli ed eleggerli è una legge di un diritto naturale.
………
La ripartizione delle terre e delle proprietà che gli Spagnoli hanno imposto agli Indiani [...] è sempre in vigore presso questi popoli dolci, umili,
paciÀci, incapaci di offendere chicchessia, presso questi cittadini liberi,
presso questi indigeni di grandi e numerosi regni che avevano i loro re e signori per regnare e governare. Questi stranieri li hanno sottomessi a prezzo
di guerre sanguinose, ingiuste e illegittime, questi stranieri più forti e meglio armati di loro, privi di cavalli, armi bianche, artiglieria e materiale per
difendersi; essi li hanno divisi e sparpagliati senza considerazione sociale,
re, sudditi, vassalli; li hanno ridotti nella più dura schiavitù notte e giorno,
e Àno alla morte essi dovranno. lavorare; si trovano nell’impossibilità di
esplicare il loro ingegno e a maggior ragione di praticare la fede cristiana.
Bartolomé de Las Casas (1474-1566).
801
I Frati Domenicani e il loro vicario, fra Pedro de Cordoba, hanno mandato nell’isola Hispaniola il loro miglior predicatore, Montesinos, per rimproverare ai conquistatori la loro condotta nei confronti degli Indiani; il
frate Bartolomeo de Las Casas, era presente e riferisce in questi termini
le sue parole:
Sono venuto qui, io che sono la voce del Cristo, nel deserto di quest’isola, e per questa ragione conviene che voi ascoltiate questa voce non con
orecchio distratto, ma con tutto il vostro cuore e tutta la vostra anima; questa voce sarà la più nuova che voi abbiate mai udito, la più aspra e la più
dura che voi abbiate mai pensato di udire [...]. Questa voce vi dice che siete
tutti in stato di peccato mortale, e che in questo stato voi vivete e morite a
causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nei confronti di questo
popolo innocente. Dite, con quale diritto e secondo quale giustizia tenete
voi questi Indiani in una così crudele e orribile schiavitù? Con quale autorità avete scatenato delle guerre così detestabili contro questa gente, che
viveva tranquillamente e paciÀcamente nelle sue case e nelle sue terre?
[...]. Come potete mantenerli così nell’oppressione e nello sÀnimento, senza dar loro da mangiare né curare le loro malattie, che sono dovute al lavoro eccessivo con cui li opprimete e di cui essi muoiono nelle vostre mani?
O piuttosto, siete voi che li uccidete per poi spogliarli e impadronirvi ogni
giorno del loro oro. Che cura vi prendete della loro istruzione? [...]. Quelle
genti, non sono forse degli uomini? Non hanno essi delle anime dotate di
390
Il diritto di essere un uomo
ragione? Non siete voi forse tenuti ad amarli come voi stessi? […]. Siate
sicuri che, nello stato in cui vi trovate, voi non potete salvarvi più dei Mori
o dei Turchi, che non hanno, e non vogliono avere, la fede in Gesù Cristo.
Antón de Montesinos, Sermone, 1510 o 1511.
802
Diritto di contrarre liberamente matrimonio
È nostra volontà che gli Indiani e le Indiane siano – come devono esserlo – completamente liberi di sposarsi con chi desiderano, tanto con Indiani
come con nativi dei reami che ci appartengono o con Spagnoli nati nelle
Indie, e non vi si ponga alcun impedimento. E Noi ordiniamo che nessuno
delle nostre disposizioni passate o quelle che saranno emanate in nostro
nome possa impedire o impedisca i matrimoni tra Indiane o Indiani e Spagnoli o Spagnole.
Decreto promulgato da Ferdinando V e dalla regina Giovanna nel 1514,
come pure da Filippo II nel 1556.
803
BOLLA DI PAPA PAOLO III, 1537
A tutti i fedeli cristiani che leggeranno la presente (lettera) noi rivolgiamo il nostro saluto e la nostra benedizione apostolica.
È noto che, quando ha assegnato ai predicatori il compito di predicare
la fede, la Verità stessa che non può né ingannarsi né ingannare, ha detto:
Andate e insegnate a tutte le genti. Ha detto tutte, senza alcuna distinzione,
perché tutte sono atte a ricevere l’insegnamento della fede. Vedendo ciò, il
nemico invidioso del genere umano, che si oppone sempre alle azioni degli
uomini per farle fallire, ha immaginato un mezzo Àn qui sconosciuto per
impedire che la parola di Dio fosse predicata alle genti per la loro salvezza:
ha spinto alcuni dei suoi subordinati, mossi dal desiderio di saziare la loro
cupidigia, a opprimere come bestie brute, assoggettate al loro potere, gli
Indiani occidentali e meridionali, come pure altri popoli la cui esistenza
è giunta di recente a nostra conoscenza, sotto il pretesto che ignoravano
la fede cattolica. Di conseguenza, noi che esercitiamo sulla terra, benché
indegni, le funzioni di Vicario di Nostro Signore e che non risparmiamo
alcun sforzo per condurre al suo ovile quelle tra le pecore del suo gregge, afÀdate alla nostra sorveglianza, che si trovano fuori di questo ovile,
constatando che questi stessi Indiani, nella loro qualità di veri uomini, non
soltanto sono atti ad accedere alla fede cristiana, ma ancora, come è stato
portato a nostra conoscenza, si precipitano verso questa fede, e volendo
apportare loro i rimedi appropriati – in virtù della nostra autorità apostolica – nonostante le nostre lettere precedenti ed ogni disposizione contraria,
decretiamo e proclamiamo quanto segue:
Schiavitù e violenza
391
I detti Indiani della cui esistenza i cristiani saranno in seguito informati,
anche se sono fuori della fede, non sono, e non devono essere privati della
loro libertà e del possesso dei loro beni; al contrario, essi possono liberamente e lecitamente usare e godere di tale libertà e possesso, e non devono essere
ridotti in schiavitù; tutto ciò che potrà allontanarsi da questo principio sarà
considerato come nullo e non avvenuto e bisognerà incitare questi Indiani,
come pure gli altri popoli, ad abbracciare la detta fede cristiana predicando
loro la parola di Dio e dando loro l’esempio di una vita virtuosa.
Dato in Roma, l’anno MDXXXVII, il IV giorno delle none di giugno,
anno terzo del nostro pontiÀcato.
804
DECRETI DELL’IMPERATORE CARLO QUINTO
Conformemente alle disposizioni relative alla libertà degli Indiani: noi
vogliamo e ordiniamo che nessun “adelantado”, governatore, capitano o
alcalde, e nessun’altra persona, qualunque sia il suo stato, il suo rango, il
suo ufÀcio o la sua qualità, sia in tempo di pace che in tempo di guerra,
perÀno se questa guerra è giusta e sia stata ordinata da Noi o da qualcuno
cui Noi abbiamo conferito tale potere, osi mettere in prigione degli Indiani
originari delle nostre Indie, isole o terre ferme dal mare Oceano, scoperte
o da scoprire, o ridurli in schiavitù – anche se sono nativi di isole o di terre
alle quali Noi, o qualcuno cui Noi abbiamo conferito o conferiremo questo
potere, abbiamo dichiarato che è permesso fare giustamente la guerra –
oppure ucciderli, farli prigionieri o tenerli in cattività, salvo nei casi o nei
paesi in cui ciò sarà permesso e previsto dalle leggi che Àgurano nel presente Titolo, perché Noi revochiamo e sospendiamo tutte le autorizzazioni
e dichiarazioni precedenti che non siano riportate nelle presenti leggi, e
tutte quelle che potrebbero essere date o fatte da altri all’infuori di Noi e
senza espressa menzione della presente legge, per tutto ciò che concerne
la messa in prigione e in schiavitù degli Indiani durante una guerra, anche
se questa guerra è giusta ed essi l’abbiano provocata o la provochino, e al
riscatto di quelli che altri Indiani avessero fatti prigionieri nel corso delle
guerre che essi si fanno tra loro. Noi decidiamo ugualmente che, sia in
tempo di guerra che in tempo di pace, nessuno potrà prendere, catturare, far
lavorare, vendere o scambiare un Indiano come schiavo, né considerarlo
tale col pretesto che l’ha fatto prigioniero durante una guerra giusta, o che
l’ha acquistato, riscattato o barattato mediante scambio, oppure sotto qualsiasi altro pretesto o per qualunque altra ragione, anche se questo Indiano
fa parte di coloro che gli indigeni stessi hanno considerato, considerano o
potranno considerare presso di loro come schiavi; nel caso in cui si scoprisse che una persona ha messo un Indiano in prigione o l’ha fatto schiavo,
392
Il diritto di essere un uomo
questa persona sarà condannata alla conÀsca di tutti i suoi beni che verranno aggiudicati al nostro Tesoro, e l’Indiano sarà in seguito reso e restituito
alle sue terre e al suo paese, nel pieno godimento della sua libertà naturale,
a spese della persona che l’avesse così preso prigioniero o reso schiavo. E
noi ordiniamo ai nostri giudici di dar prova di particolare diligenza nelle
loro inchieste e di castigare i colpevoli col massimo rigore in conformità
alla presente legge, sotto pena di essere privati delle loro cariche e di dover
versare centomila maravedì al nostro Tesoro se contravvenissero alla legge
o si dimostrassero negligenti nel farla applicare.
Decreti promulgati tra il 1526 e il 1548.
805
Uomini liberi
Tutti questi Indiani che vivono in quelli che si chiamano “repartimientos” sono uomini liberi e sui juris, in virtù tanto del diritto naturale, quod
omnes homines facit liberos, quanto delle dichiarazioni apostoliche fatte
da Paolo III nel 1537, e da altri sovrani ponteÀci che hanno affermato che
quegli Indiani sono persone libere prima di aver ricevuto il battesimo, e a
maggior ragione dopo averlo ricevuto; che non possono essere privati della
loro libertà e devono al contrario goderne allo stesso titolo che gli Spagnoli
e tutti gli uomini liberi in tutte le nazioni cristiane. E analogamente per i
decreti dei Re cattolici, a partire da Re Ferdinando e dalla Regina Isabella,
di gloriosa memoria, Àno al Re Filippo, nostro sovrano, che regna oggi; i
quali hanno tutti voluto o vogliono che gli Indiani siano trattati e governati
come dei vassalli liberi e non come schiavi.
Juan Ramírez (XVI sec.), Sul servizio personale e la distribuzione degli
Indiani.
806
Proibizione di far subire agli indigeni trattamenti crudeli, inumani e
degradanti
DECRETO DI FILIPPO II
Noi ordiniamo che gli Spagnoli che ingiuriano, offendono o maltrattano
gli Indiani siano castigati con maggior rigore che se commettessero questi
delitti contro degli Spagnoli e dichiariamo che si tratta di delitti contro
l’ordine pubblico.
19 dicembre 1593.
807
L’istituzione della servitù perpetua, soppressa in Ungheria nel XV sec,
fu ristabilita dopo la “Guerra dei contadini” nel 1514
I contadini che abitano in qualunque luogo di questo paese [...] perdono
la libertà di residenza, come punizione della loro infedeltà. Essi dipende-
Schiavitù e violenza
393
ranno perpetuamente dai loro signori in qualità di contadini-servi, e questo
per far comprendere alle generazioni future l’enormità del delitto perpetrato da colui che si rivolta contro il suo signore.
Leggi ungheresi, 1514.
808
Contro la schiavitù
Sta scritto nelle Epistole: “Tutta la legge è contenuta in questa parola:
Amerai il tuo prossimo come te stesso [...]”. Ora, noi tratteniamo presso di
noi dei servitori del Cristo. E Cristo chiama tutti gli uomini fratelli: ora, tra
di noi vi sono dei servi, gli uni fuggiaschi restituiti, altri per attribuzione,
altri per atto di asservimento assoluto. Quanto a me, io ringrazio il mio
Dio: tutto ciò che avevo come atti di asservimento, li ho strappati, e gli
uomini che restano con me li tengo col loro pieno consenso: chi si trova
bene, rimane; gli altri se ne vanno dove vogliono.
Matvej Baškin, bojaro condannato come eretico e incarcerato a vita a
Volokolamsk nel 1554, Principato di Moscovia.
809
Un pubblicista russo del XVI sec. Mette sulla bocca del sultano Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, le proprie idee politiche, per
farle comprendere a Ivan il Terribile:
Così parlò il sultano Maometto: “In un regno in cui gli uomini sono
asserviti, essi non sono valorosi e mancano di slancio nel combattere il
nemico. Perché l’uomo asservito non teme l’onta e non cerca la gloria. Sia
forte o meno, egli dice a se stesso: ‘In ogni modo io sono uno schiavo, e
non riceverò mai altro nome’”.
Ivan Peresvetov, Storia del sultano Maometto, circa 1547.
810
Passione per l’oro
Essi offrirono agli Spagnoli degli oriÀammi d’oro – degli oriÀammi in
piume di quetzal e delle collane d’oro. Dinanzi a questi regali, i loro visi
si illuminano, la loro gioia è immensa, gli Spagnoli sono al settimo cielo.
Come scimmie prendono l’oro a piene mani e il piacere li travolge. Un
sangue nuovo scorre nelle loro vene e inÀamma il loro cuore.
Una sete insaziabile, certamente li soffoca. GonÀ di desiderio, questa
fame li divora. Come porci affamati, si buttano su quest’oro.
E afferrano avidamente gli oriÀammi d’oro, li agitano da destra a sinistra, esaminano un lato e poi l’altro; si comportano da barbari; tutto ciò che
proferiscono è barbaro.
Bernardino de Sahagún (XVI sec.), Messico.
811
394
Il diritto di essere un uomo
Gli intrusi portano sfortuna
Solo per la follia dei tempi, solo per la follia dei preti, è entrata in noi
la tristezza, è entrato in noi il “cristianesimo”. Sì, i “cristianissimi” sono
venuti col vero Dio; allora cominciò per noi il tempo della miseria, il tempo
della “elemosina”, fonte dei nostri odi segreti, il tempo delle lotte con le
armi da fuoco, il tempo delle risse, delle spogliazioni, della schiavitù per
debiti, della morte per debiti, il tempo delle lotte perpetue, il tempo della
sofferenza [...].
Prima della venuta dei Bianchi
Veniva loro misurato il tempo in cui potevano contemplare la rete delle
stelle; là vegliavano su di loro gli dei, che li guardavano dalla loro prigione
di Stelle. Allora, tutto era buono, ed essi furono abbattuti.
Vi era in loro la saggezza. Non conoscevano il peccato. Non avevano
una santa devozione. Vivevano in buona salute. Non conoscevano la malattia, non soffrivano nelle membra, non conoscevano le febbri, il vaiolo, le
Áussioni, il dolore alle viscere, la consunzione. Allora stavano bene.
Quando giunsero i Bianchi
Non fu più lo stesso quando giunsero i Bianchi. Insegnarono loro la paura e fecero appassire i loro Àori. Per far vivere il loro Àore saccheggiarono
e calpestarono il Àore degli altri [...].
Non avevano né grandi conoscenze, né lingua sacra, né Sapere divino,
questi rappresentanti degli Dei che giunsero qui. Castrare il sole! ecco che
cosa hanno fatto gli stranieri! E qui, dispersi in questo popolo, sono rimasti
i Àgli dei loro Àgli, che hanno subito la loro amarezza [...].
Schiave sono le parole, schiavi gli alberi, schiave le pietre, schiavi gli
uomini, quando essi arrivano.
Chilam Balam de Chumayel (Libro sacro dei Maya), America centrale.
812
Desidero che gli Indiani nei loro villaggi si governino da sé per vegliare
sui propri interessi come noi vegliamo sui nostri. Essi faranno così l’esperienza della felicità esercitando responsabilità e usciranno dall’annientamento in cui li ha fatti piombare la disgrazia. Noi dobbiamo ricordarci
che essi hanno dei diritti essenziali e che sarebbe per noi una vergognosa
degradazione mantenerli nell’esclusione di cui hanno sofferto Àno a ora per
il solo fatto di essere Indiani.
José Artigas, Dichiarazione del 3 maggio 1815 in Argentina. 813
Schiavitù e violenza
395
La schiavitù è la negazione di ogni legge. La legge che la codiÀcasse, sarebbe sacrilega. Quale diritto invocare per mantenerla? Considerate questo
crimine sotto tutti i suoi aspetti: io non penso che vi sia un solo Boliviano
tanto depravato da pretendere di legittimare il più grave attentato alla dignità dell’uomo. Un uomo, proprietario di un uomo! Un uomo, oggetto!
Un’immagine di Dio, posta sotto il giogo come una bestia! Ci dicano un
po’ dove sono i titoli di questi usurpatori dell’uomo?
Simon Bolivar, Discorsi in Bolivia, 1826.
814
Sfruttamento
Coi suoi innumerevoli eccessi, questa maledetta spartizione, piena di difetti ci ha posti in una situazione deplorevole, non ci resta che morire. Qui,
all’inizio, perché gli articoli di Castiglia e della sua terra venivano a mancare
nelle nostre regioni e non procuravano vantaggi sufÀcienti, Sua Maestà ha
consentito ai governatori uno stock di questi articoli che avevano nome tariffa,
per ogni metropoli, e di cui approÀttavano gli indigeni, che li comperavano
volentieri perché gli articoli necessari erano meglio Àniti e al prezzo praticato
in loco. Poiché vi erano delle differenze, furono uniÀcati i prezzi, afÀnché
non fosse possibile frodare sulle alcabalas reali. Non vi fu aumento dei prezzi
Àno ad ora, perché noi avevamo dei prodotti molto a buon mercato. Quando
gli oggetti di Castiglia sono arrivati a montagne, l’oggetto più corrente, che
valeva due o tre pesos, ce lo fanno pagare dieci o dodici, con la forza [...]. Per
noi, che abbiamo un certo rango sociale, fanno fuori ogni sorta di ricchezze,
velluti, calze di seta, pizzi, Àbbie da cintura, tele di Rouen piuttosto che d’Olonne e di Cambrai, come (se) noi, Indiani, volessimo adottare queste mode
spagnole, e questo a prezzi esorbitanti, che superano quelli che noi siamo in
grado di pagare. InÀne, se ci avessero lasciato il tempo e la possibilità di portare a termine la ripartizione, questo carico sarebbe stato sopportabile, poiché,
dopo la ripartizione, essi ci avrebbero preso in carico, noi, le nostri mogli, i
nostri Àgli e le nostre greggi, privandoci della libertà di agire. Ma agendo in
tal modo essi ci costringono ad abbandonare case, famiglie, mogli e Àgli.
José Gabriel Tupac Amaru, capo inca di una rivolta peruviana. Lettera
al “visitador general”, 1781, Areche.
815
GiustiÀcazione dello sfruttamento
Ma questo diritto (di proprietà) è meno sviluppato presso di loro che negli
altri paesi; non è quindi necessario, per privarneli, di trovare motivi tanto gravi
come per toglierlo agli altri popoli; infatti, essi giudicano la loro vita e la loro
libertà, come d’altronde la vita e la libertà altrui, cosa di poca importanza.
Domingo Muriel, gesuita spagnolo, professore all’Università di Cordoba nel Tucumán, 1791, Argentina.
816
396
Il diritto di essere un uomo
UN INCONTRO A SURINAM
Avvicinandosi alla città, essi incontrarono un negro steso per terra, che
non aveva più la metà dei suoi abiti, e cioè un paio di calzoni di tela blu;
mancavano a questo pover’uomo la gamba sinistra e la mano destra. “Oh,
Dio mio! – gli disse Candido in olandese – che fai qui, amico mio, e nello
stato orribile in cui ti vedo?”. “Aspetto il mio padrone, il signor Vanderdendur, il famoso negoziante”, rispose il negro. “È questo il signor Vanderdendur – gli disse Candido – che t’ha trattato in questo modo?”. “Sì,
signore – disse il negro – è l’usanza. Ci hanno dato un paio di pantaloni di
tela per tutto vestito, due volte l’anno. Quando lavoriamo negli zuccheriÀci
e la macina ci prende le dita, ci tagliano la mano; quando vogliamo fuggire,
ci tagliano la gamba: io mi sono trovato nei due casi. È a questo prezzo che
voi mangiate zucchero in Europa. Tuttavia, quando mia madre mi vendette
per dieci scudi patagoni sulla costa di Guinea, mi diceva: “Mio caro Àglio,
benedici i nostri feticci, adorali sempre, essi ti faranno vivere felice; tu hai
l’onore di essere schiavo dei nostri signori i Bianchi, e con questo tu fai la
fortuna di tuo padre e di tua madre”. Ahimè! non so se io ho fatto la loro
fortuna, ma essi non hanno certo fatto la mia. I cani, le scimmie e i pappagalli sono mille volte meno disgraziati di noi. I feticci olandesi che mi
hanno convertito mi dicono tutte le domeniche che noi siamo tutti cugini
nati da fratelli germani. Ora, voi converrete con me che non si può trattare
coi parenti in modo più orribile”.
“O Pangloss! – gridò Candido, – tu non hai indovinato quest’abominio.
È una realtà, e bisognerà che io alla Àne rinunci al tuo ottimismo”. “Che
cosa signiÀca ottimismo?”, disse Cacambo. “Ahimè! – disse Candido – è
la rabbia di dover sostenere che tutto va bene quando si sta male”. E versò
lacrime guardando il suo negro, e piangendo entrò in Surinam.
Voltaire, Candido, 1759.
817
Sulla schiavitù
Lo schiavo, naturalmente, è sempre colpevole.
Uno schiavo che mangia montone piange.
Se uno schiavo si comporta bene, gli è rimesso il suo prezzo d’acquisto.
La saggezza dello schiavo è nella testa del suo padrone.
Se uno schiavo si comporta male, la colpa è del suo padrone.
Uno schiavo è come la farina: con un po’ di liquido si gonÀa.
Proverbi akan, Ghana.
818
Uccidilo, è un selvaggio (oppure altrove: uno schiavo) non ha parentela.
Proverbio yombe, Congo.
819
Schiavitù e violenza
397
Non è la sola Polonia a commettere l’ingiustizia. Mosca, la Boemia,
alcune province francesi e spagnole, soggiogano sempre i popoli con la
stessa violenza. Le isole francesi, le colonie inglesi e olandesi trattano più
crudelmente ancora i negri, questi disgraziati cittadini dei due continenti
i cui prodotti, innafÀati di lacrime, arrecano agli Europei ricchi il piacere
e il conforto. Ma si può forse giustiÀcare la violazione del diritto naturale
con l’ingiustizia degli altri e gli antichi pregiudizi? Si possono calmare i
rimorsi quando la natura umana soffre un’ingiustizia così evidente? [...]. O
ÀlosoÀ! Voi che incalzate il fanatismo, voi che fustigate le diverse crudeltà
causate da un entusiasmo falso o passeggero! Perché non vi opponete alla
schiavitù legale degli uomini, vostri uguali? Perché non protestate contro
questa grande ingiustizia che l’uomo, con l’aiuto della legge, inÁigge a
un altro uomo? [...] bianco o schiavo nero, oppresso dalla legge ingiusta o
piangente in catene, egli è uomo e non si distingue in nulla da noi. In Europa o su un altro continente, è cittadino della Terra e può sempre rivolgere
a chiunque queste parole di Terenzio: Homo sum, humani nihi me alienum
puto. O tu, che vuoi ridurmi in schiavitù! Guardami, guarda te stesso, vedi
se la natura mi ha voluto diverso. Homo sum. O tu che difendi la libertà,
confronta i miei sentimenti con i tuoi, misurali su te stesso e fa che si
risvegli la vergogna in fondo al tuo cuore, perché tu vorresti avermi per
schiavo, tu, che vivi su questa terra, sotto questo governo, tu che non cessi
di assicurarti la libertà per te stesso!
Hugo Kollataj, La legge politica della naziona polacca (1790). 820
Il commercio degli schiavi
Da molto tempo siamo usciti dall’era della barbarie; abbiamo quasi dimenticato che un tempo fummo barbari. Siamo giunti ora a una situazione
che presenta un contrasto che colpisce con tutti i tratti per i quali un Romano avrebbe potuto caratterizzarci e con i quali noi caratterizziamo oggi
l’Africa. A dire la verità, manca una cosa per completare il contrasto e per
liberarci completamente dall’accusa di agire ancora come barbari: perché
noi continuiamo, alla nostra epoca, a praticare un commercio barbaro di
schiavi, a dispetto di tutte le nostre grandi e indiscutibili pretese di civiltà.
... Noi viviamo sotto un regime politico che la nostra felice esperienza ci
porta a considerare come il migliore e il più saggio che mai sia stato concepito, un regime che è diventato oggetto di ammirazione nel mondo. Noi avremmo dovuto essere privati per sempre di tutti questi beneÀci, se vi fosse stata
la minima parte di verità nei princìpi che alcuni non hanno esitato a stabilire
come applicabili al caso dell’Africa. Se questi princìpi fossero stati veri, noi
stessi avremmo languito Àno ad oggi in quello stato miserevole di ignoranza,
398
Il diritto di essere un uomo
di grossolanità e di decadimento in cui i nostri antenati erano immersi, come
dimostra la storia. Se altre nazioni avessero adottato questi princìpi nel modo
di comportarsi nei nostri confronti, se altre nazioni avessero applicato alla
Gran Bretagna il ragionamento che alcuni senatori di quest’isola applicano
ora all’Africa, avrebbero potuto passare dei secoli senza che fosse possibile
per noi emergere dalla barbarie, e noi, che godiamo dei beneÀci della civiltà
britannica, delle leggi britanniche e della libertà britannica, noi potremmo,
a quest’ora, non essere di molto superiori in fatto di morale, di sapere o di
rafÀnatezza ai rudi abitanti delle coste di Guinea.
... Sono certo che noi non continueremo più questo commercio, che annulla ogni progresso in questo vasto continente, e che noi non penseremo
di accordare un favore troppo grande rendendo ai suoi abitanti la dignità
di esseri umani. Sono sicuro che non ci considereremo troppo generosi
se, abolendo il commercio degli schiavi, diamo a queste regioni la stessa
possibilità di accedere alla civiltà che hanno altre parti del mondo, e che
offriremo ora all’Africa l’occasione, la speranza, la prospettiva di godere
dei beneÀci che noi stessi, grazie ad una felice distribuzione della divina
provvidenza abbiamo avuto la fortuna di gustare molto più presto.
William Pitt, Discorso pronunciato alla Camera dei Comuni il 2 aprile
1792, Gran Bretagna.
821
TESTAMENTO, 5 MAGGIO 1798
Io sottoscritto, Tadeusz Koŋciuszko, sul punto di lasciare l’America, decido e dichiaro con le presenti (disposizioni) che, salvo il caso in cui io
ne prendessi altre relative ai miei beni negli Stati Uniti, autorizzo il mio
amico Thomas Jefferson a utilizzare la totalità dei detti beni per riscattare
dei negri, tra i suoi o quelli di qualunque altra persona, e ad affrancarli in
nome mio; a insegnare loro un mestiere o a dispensare a essi un’altra forma
di istruzione; a far dare loro, in vista della loro nuova condizione, la formazione morale che permetterà loro di diventare buoni padri e buone madri
di famiglia, mariti e spose, e a istruirli sui loro doveri civici, insegnando
loro a difendere la propria libertà, il proprio paese e il buon ordine della
società, e tutto ciò che potrà renderli felici ed utili: nomino il detto Thomas
Jefferson esecutore di queste disposizioni.
Tadeusz Koŋciuszko, Polonia.
822
Mozione presentata dal sacerdote e dottore José Siméon Cañas y Villacorta all’Assemblea costituente delle Province unite dell’America centrale, nel 1823, per chiedere l’abolizione della schiavitù:
Schiavitù e violenza
399
Mi sono trascinato Àn qui, e se fossi in agonia, agonizzando sarei venuto a fare una proposta per il bene dell’umanità abbandonata. Con tutta
l’energia di cui un deputato deve dar prova negli affari che interessano la
Patria, chiedo che, prima di ogni altra cosa e Àn dalla seduta odierna, noi
dichiariamo cittadini liberi i nostri fratelli schiavi, senza danno del diritto di proprietà che possono legalmente giustiÀcare i padroni che li hanno
comperati, e beninteso che la creazione di un fondo di indennizzo per i
proprietari sarà messa immediatamente in discussione.
Questo è l’ordine che la giustizia ci comanda di osservare; una legge
che mi sembrerebbe naturale, perché è estremamente giusta, esige che
colui che è stato spogliato sia, prima di tutto, ristabilito nel pieno possesso dei suoi beni; e siccome non esiste un bene paragonabile alla libertà,
né un bene la cui proprietà sia più intima, mi pare che in tutta giustizia, i
nostri fratelli devono ricuperarne immediatamente il pieno uso. Nessuno
ignora infatti ch’essi sono stati brutalmente spogliati del dono inestimabile della libertà e gemono nella servitù, aspirando che una mano beneÀca
spezzi il peso della disciplina e i ferri della loro schiavitù. Nulla è più
vantaggioso per i nostri fratelli che l’immediata proclamazione della loro
libertà, causa tanto chiara e tanto giusta che essa dovrebbe formare l’oggetto di una decisione senza discussione e per acclamazione. La Nazione intera si è dichiarata libera; gli individui che la compongono devono
esserlo ugualmente. Questo decreto sarà quello che perpetuerà il ricordo
della giustizia dell’Assemblea nel cuore di questi disgraziati che, di generazione in generazione, benediranno i loro liberatori. E di più: perché
nessuno pensi che io cerchi di danneggiare i proprietari e benché io sia
povero e vestito di stracci, perché il Tesoro non mi paga né le mie rendite
né i miei emolumenti, io cedo con gioia tutto ciò che le casse centrali mi
devono per una ragione o per l’altra, per dare inizio ai fondi d’indennizzo
di cui ho in precedenza parlato.
823
Lettera indirizzata al sultano Mulay Ismail dal celebre scienziato Abul
Fadi Djessus a proposito dell’armata degli Abid (schiavi), XVII sec.:
Ora noi apprendiamo che il Principe dei Credenti (che Dio lo guidi
sulla buona strada) si propone di recuperare gli Haratini (antichi schiavi)
e di raggrupparli allo scopo di accrescere il potenziale del suo esercito, che costituisce, in realtà, il pilastro della religione e la salvaguardia
dell’Islam.
Noi non ignoriamo che voi non siete per nulla spinti da un vile desiderio
di asservire gli uomini. Tuttavia, l’azione che intraprendete mi pare in contraddizione Áagrante con l’equità e non conforme alla prescrizione della
400
Il diritto di essere un uomo
sharia (il diritto musulmano). Infatti, come mai vi permettete di compiere
una simile azione, mentre Dio ha espresso più di una volta la propria volontà di autorizzarla soltanto secondo certe precise regole? È importante far
notare che il potenziale dell’esercito non dipende necessariamente dall’adozione di una politica di asservimento. Dipende solo da Vostra Maestà di
moltiplicare il numero dei propri eserciti senza per questo fare appello a
dei pretesi schiavi [...].
Fa parte del dovere di ogni uomo cosciente e avveduto l’impedire atti
gravi che consistono nel servire ostentatamente degli uomini liberi in modo
illegale, e lo svelare il carattere illecito del ricorso a simili metodi. In tali
circostanze, mantenere il silenzio o dimostrare una certa tolleranza, esporrebbe gli assenti alla collera divina.
Sire! Se è così, mi sia permesso (e faccia Iddio che i suoi ordini
siano eseguiti e che la sua volontà trionÀ su coloro che si allontanano
dalla retta via) di ricordarvi che atti di questo genere costituiscono una
vera operazione schiavista. Ognuno sa che le persone che si rivendicano oggi per farne degli schiavi, sono, come il resto della comunità
musulmana, degli uomini interamente liberi: la loro libertà è evidente e
non si può in alcun modo metterla in causa. Segnaliamo anche in questa
occasione che ogni ammissione da parte di questi pretesi schiavi o ogni
testimonianza che tendesse a stabilire che non sono uomini liberi, risultano alla luce dei fatti come derivanti sicuramente da una costrizione.
Conviene osservare a questo proposito che, riÀutando di sottomettersi a
questa politica, molte persone si sono esposte alla vendetta, alla tortura,
a dei misfatti che hanno condotto alla spogliazione dei loro beni. Se tale
è stato il comportamento dei responsabili, l’ammissione e la testimonianza perdono per questo stesso ogni valore. È importante ricordare
che i più grandi giuristi dell’Islam sono tutti d’accordo nell’affermare
che le confessioni e le testimonianze ottenute sotto costrizione sono
sprovviste di ogni valore legale: secondo l’Imam Malik (grande giurista musulmano) chiunque si sposa e divorzia sotto costrizione, oppure
in linea generale agisce contro la propria volontà, non è tenuto a tener
fede ai suoi obblighi. Ibn Arafa (discepolo di Malik) ha fatto, a questo
proposito delle osservazioni identiche, facendo notare d’altronde che
il riconoscimento riguardo alla schiavitù, perÀno supponendo che sia
stato ottenuto senza ricorrere alla costrizione, non riveste alcun valore
legale perché si presume sia stato ottenuto con la minaccia. La libertà
fa parte dei diritti concessi solo da Dio: dal che risulta che non spetta
all’uomo di alienare la propria libertà.
Africa del Nord.
824
Schiavitù e violenza
401
Primo documento ufÀciale sull’abolizione della schiavitù in Etiopia
Sua Maestà la Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Imperatrice delle Indie e Sua Maestà Giovanni per grazia di Dio Imperatore
d’Etiopia, allo scopo di impedire il commercio degli schiavi e di porre a
esso completamente Àne, si sono degnati concludere un trattato a questo
proposito: questo trattato sarà valido tanto in ciò che li concerne personalmente, quanto per i loro successori.
………
Art. I.
Sua Maestà l’Imperatore è d’accordo di proibire e di far in modo che
abbiano Àne sul suo territorio l’acquisto e la vendita di schiavi, e questo
servendosi di tutti i suoi mezzi.
Art. II.
Sua Maestà l’Imperatore è d’accordo di proibire e impedire con tutti i
mezzi a sua disposizione l’ingresso sul suo territorio di schiavi comprati al
di fuori, come pure l’uscita verso l’estero di schiavi venduti nel suo paese.
Art. III.
Sua Maestà l’Imperatore prende l’impegno di usare tutti i mezzi di cui
dispone per proteggere gli schiavi liberati, e fare in modo che siano severamente puniti coloro che tentassero di maltrattarli o di ricondurli nuovamente in schiavitù.
Art. IV.
Dato che Sua Maestà la Regina d’Inghilterra beneÀcia di trattati che autorizzano i comandanti delle navi di Sua Maestà la Regina a impadronirsi
dei navigli di tutti gli altri paesi, che avessero imbarcato e trasportassero
schiavi, per mare, Ella prende l’impegno di dare gli ordini necessari perché
i comandanti delle navi di Sua Maestà, quando scopriranno sui navigli di
cui si saranno impadroniti dei sudditi di Sua Maestà l’Imperatore prigionieri in qualità di schiavi, rendano a costoro la libertà e rimandino i detti
sudditi sul territorio di Sua Maestà l’Imperatore.
Trattato Àrmato ad Adua tra la regina Vittoria e il re Giovanni il 3 giugno
1884.
825
Vendita di schiavi
In nome del re, della legge e della giustizia.
Si fa sapere a tutti coloro cui interesserà, che domenica 26 corrente, sulla piazza del mercato del borgo dello Spirito Santo, all’uscita della messa,
si procederà alla vendita all’incanto pubblico di:
La schiava Susanna, negra, di circa quarant’anni, con i suoi sei Àgli,
in età di tredici, undici, otto, sette, sei e tre anni. Tutti provenienti da un
sequestro. Pagamento per contanti.
402
Il diritto di essere un uomo
L’usciere del fondo: J. Chatenay In nome del re, ecc., lo stesso giorno,
luogo ed ora, saranno venduti diversi oggetti, quali sedie, tavoli, ecc. che
provengono da un sequestro. Pagamento per contanti.
L’usciere del fondo: J. Chatenay (…)
Giornale ufÀciale della Martinica del 22 giugno 1840
Avviso citato in Schiavitù e colonizzazione di Victor Schoelcher.
826
Rinunciare alla propria libertà signiÀca rinunciare alla propria qualità di
uomo, ai diritti dell’umanità, perÀno ai propri doveri. Non vi è nessun risarcimento possibile per chi rinuncia a tutto. Una simile rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo, e, togliere ogni libertà alla sua volontà,
signiÀca togliere ogni moralità alle sue azioni.
Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale. 1762.
827
IL NEGRO
Si dice che del mio colore
ha fatto Iddio il primo uomo.
Ma il Bianco orgoglioso perÀno quando mi invita
oblia Ànanco il nome mio
e io son per lui soltanto il negro.
Dice il Bianco che il diavolo è nero,
e il Negro lo descrive bianco.
Col viso bianco o scuro
io non sono né pro, né contro;
Dio ha creato degli uomini
non ha fatto due gruppi distinti.
José Hernández, La vuelta de Martín Fierro, 1879, Argentina.
828
PROCLAMAZIONE DELL’EMANCIPAZIONE DA PARTE DI LINCOLN, PRESIDENTE DESTATI UNITI (1° GENNAIO 1863)
E in virtù del potere che mi è così conferito, e allo scopo qui sopra menzionato, io ordino e dichiaro che tutte le persone tenute in schiavitù negli
Stati e nelle parti degli Stati più sopra enumerati sono e saranno d’ora in
poi libere e che il potere esecutivo degli Stati Uniti, ivi comprese le autorità
militari e marittime del detto governo, riconosceranno e manterranno la
libertà delle dette persone.
E con le presenti (dichiarazioni) ingiungo alle persone, così dichiarate
libere, di astenersi da ogni violenza, salvo in caso di legittima difesa, e
raccomando loro, ogni volta che ne avranno la possibilità, di lavorare lealmente per un salario ragionevole.
GLI
Schiavitù e violenza
403
E dichiaro e proclamo inoltre che quelle tra queste persone che sono
qualiÀcate a questo scopo, saranno accolte nei ranghi delle forze armate
degli Stati Uniti d’America, nelle guarnigioni, nei forti, negli impieghi,
ecc., come pure sulle navi di ogni sorta appartenenti alle dette forze armate.
E su quest’atto, che io credo sinceramente un atto di giustizia, legittimato dalla costituzione in virtù di necessità militari, chiedo il giudizio
ponderato dell’umanità e il benevolo favore di Dio onnipotente.
829
Abraham Lincoln, rieletto alla Presidenza degli Stati Uniti, parla della
guerra civile, il 4 marzo 1865:
Un ottavo della popolazione era composto di schiavi di colore che non
erano suddivisi su tutto il territorio dell’Unione, ma si trovavano soprattutto nella sua parte meridionale. Questi schiavi costituivano un capitale
speciale e molto importante. Ognuno sapeva che questo capitale era, in realtà all’origine della guerra. Per rinforzarlo, perpetuarlo ed estenderlo, gli
insorti erano pronti a scompaginare l’Unione, se occorreva con la guerra,
mentre il governo non reclamava altro diritto se non quello di limitare l’estensione territoriale della schiavitù. Nessuna delle due parti pensava che la
guerra avrebbe avuto le dimensioni e la durata che ha già raggiunte. Nessuno dei due prevedeva che la causa del conÁitto avrebbe potuto sparire con
o addirittura prima della Àne del conÁitto stesso. Ciascuna dava per certo
un trionfo più facile, e non si attendeva uno sconvolgimento così radicale.
Leggono entrambe la stessa Bibbia e pregano lo stesso Dio, e ognuna di
esse invoca il Suo aiuto contro l’altra. Può sembrare strano che degli uomini osino chiedere l’assistenza di un Dio giusto per strappare il pane a coloro
che l’hanno guadagnato col sudore della fronte; ma non giudichiamo se
non vogliamo essere giudicati.
830
Protezione dello schiavo fuggiasco
Non consegnerai al padrone uno schiavo che sia fuggito da lui per salvarsi presso di te. Abiterà con te, insieme con i tuoi, nel luogo che avrà
scelto, in una delle tue città dove si troverà bene: non devi opprimerlo.
Bibbia ebraica, Deuteronomio, 23.
831
“Huckleberry Finn” è stato scritto dopo il 1870 e pubblicato nel 1885,
ma l’autore vi descrive la vita lungo il Mississippi verso la metà del XIX
sec.
Si passò quasi tutta la giornata a dormire; la sera si partì, a poca distanza
da un’altra zattera, incredibilmente lunga, che avanzava lentamente come
una processione [...].
404
Il diritto di essere un uomo
Scarrocciando a Àl d’acqua si giunse ben presto a una grande ansa; la
notte diventava tempestosa e calda [...]. Si parlava di Cairo e ci si domandava se saremmo stati capaci di riconoscere la città [...].
Jim diceva che era tutto tremante e febbricitante nel sentirsi così vicino alla libertà. E posso assicurarvi che, anch’io, ero tremante e febbricitante nell’udirlo, perché l’idea ch’egli era quasi libero mi girava e rigirava in testa. E per colpa di chi? Mia, senza alcun dubbio. Non arrivavo a
calmare i miei rimorsi di coscienza e questo mi turbava al punto che non
dormivo più: avevo la smania di muovermi. Non avevo subito capito che
era opera mia. Ma stavolta c’eravamo: era come un fuoco che mi bruciava sempre più, senza che io riuscissi a spegnerlo; tentavo di convincermi
che non ero colpevole e che Jim era fuggito da solo dalla casa della sua
padrona, ma non c’era nulla da fare; la mia coscienza riprendeva ogni
volta il sopravvento e ripeteva: “ma tu sapevi pure che egli fuggiva per
guadagnarsi la libertà; e avresti potuto scendere subito a terra per denunciarlo”. Era proprio così, e io non me ne davo pace. E questo mi turbava!
La mia coscienza mi diceva: “Che cosa ti aveva fatto quella povera Miss
Watson perché tu permettessi al suo negro di evadere sotto i tuoi occhi,
senza dire una parola? Che cosa ti aveva dunque fatto quella povera donna, perché tu la trattassi in quel modo? Ricordati: ella ha tentato di insegnarti la Bibbia e le belle maniere, è stata con te più buona possibile; non
ha fatto altro”. Avevo una tale vergogna di me che avevo quasi voglia di
distruggermi. Andavo e venivo sulla zattera bombardandomi di ingiurie,
e Jim andava e veniva al mio Àanco [...].
Jim parlava da solo, anche lui, mentre io sciorinavo delle sciocchezze.
Appena sarebbe giunto in uno Stato libero, diceva, aveva intenzione di
mettere da parte del denaro, di non spendere un soldo e, quando fosse stato abbastanza ricco, avrebbe riscattato sua moglie che era schiava in una
fattoria vicina alla casa di Miss Watson; in seguito avrebbero lavorato entrambi per riscattare i loro due Àgli, e, se il loro padrone non avesse voluto
venderli, li avrebbero fatti rubare da un abolizionista.
Mi si gelava il sangue nell’udirlo [...]. Quel negro che insomma io avevo
aiutato a fuggire mi diceva tranquillamente che avrebbe rubato i suoi Àgli!
Dei ragazzi che appartenevano ad un uomo che non conoscevo neppure e
che non mi aveva mai fatto nulla.
Mi rincresceva udire Jim parlare in tal modo: l’avrei creduto più degno
della mia stima, e la mia coscienza non cessava di farmi soffrire mille morti, talmente e così insistentemente che Ànii per rispondergli: “Fermati un
po’: nulla è perduto. Alla prossima luce scenderò a terra e ti denuncerò”.
Subito, mi sentii più a mio agio e contento e leggero come una piuma. I
Schiavitù e violenza
405
miei fastidi erano spariti come per incanto. Mi sono messo a spiare la luce
canticchiando piano piano [...].
Compare una luce. Huck prende il canotto, Jim aspetta sulla zattera.
Mentre Huck si allontana, Jim gli esprime di nuovo la propria gratitudine;
Huck è il suo migliore amico, il suo solo amico, ora. Turbato, Huck viene
assalito da pensieri:
Io che Àlavo, con la fretta di denunciarlo, ne ebbi le braccia stroncate
all’udirlo. Rallentai la mia andatura, senza sapere più se avevo ragione o
torto [...]. Arriva allora una barca, montata da due uomini armati di fucili.
Si fermano: Huck anche. Cinque negri sono fuggiti stasera da una piantagione; gli uomini interrogano Huck per sapere chi è l’uomo che egli dice di
aver lasciato sulla sua zattera: è bianco o nero?
Huck esita, poi mente: è suo padre, che è ammalato. Sentendo la sua
esitazione, i due uomini diventano sospettosi. Ma Huck si riprende e arriva
a stornare i loro sospetti: “Tuo padre ha il vaiolo, e tu lo sai benissimo. Perché non ce l’hai detto subito? Vuoi che lo prendano tutti?”. Per timore del
contagio, i due uomini fuggono senza avvicinarsi alla zattera.
... (Huck): Tornai a bordo della zattera, vergognoso e non Àero perché
sapevo benissimo di aver agito male, e vedevo che, nonostante i miei
sforzi, non sarei riuscito a fare quel che avrei dovuto. Chi non comincia
di buon’ora, non ha alcuna probabilità in suo favore; quando arriva il momento, nulla lo sostiene, nulla lo aiuta, ed è fregato. Poi mi sono messo
a riÁettere. Mi dicevo: “Aspetta un po’, se tu avessi fatto il tuo dovere
denunciando Jim saresti più Àero di quello che sei? No, certamente no.
Saresti imbestialito, forse imbestialito come ora. Ma allora perché scegliere di compiere le azioni buone, che difÀcilmente riescono, mentre
quelle cattive al contrario non incontrano difÀcoltà, dal momento che il
risultato è eguale? Ebbene, ora, tanto peggio per tutto questo, farò sempre
a modo mio”.
Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn, Stati Uniti.
832
Derisione
UNO SCHIAVO: Obbedire è condividere il potere del proprio padrone.
UN AFFRANCATO: Che meraviglia sentirsi uno di Noi.
UN DITTATORE: Ho rubato loro la libertà, ma in compenso ho dato loro
Àducia in se stessi.
Karel ÿapek (1890-1938), scrittore ceco.
833
406
Il diritto di essere un uomo
L’uomo contro la schiavitù
Meglio la prigione e le catene che una libertà da schiavi.
Julius Grégr (1831-1896), scrittore boemo.
834
La schiavitù contro l’uomo
Lo schiavo è servile, mentre il padrone è orgoglioso. Quello guasta la
sua vita passivamente, se posso esprimermi così, e questo fa la stessa cosa
attivamente. Essi hanno in comune la volontà di impedire lo sviluppo,
nell’uomo, di una vita degna.
Sakae ľsugi (1885-1923), Giappone.
835
Come vi son uomini-jena
e pantere, io sarò un uomo-ebreo
un uomo-afro
un uomo-indù di Calcutta
un uomo di Harlem che non vota
l’uomo-carestia, l’uomo-insulto,
l’uomo-tortura che si potrà in qualunque
momento catturare; riempirlo di colpi,
ucciderlo – perfettamente ucciderlo –
senza dover rendere conto
a nessuno, senza dover delle scuse
presentare a nessuno.
Un uomo ebreo
un uomo pogrom
un cucciolo
un mendicante.
Aimé Césaire, Cahier d’un retour au pays natal, 1947, Martinica.
836
Non vi è soluzione a questo problema Ànché non si dà il primato all’uomo indigeno, vittima di quel cozzo di due mondi che è la colonizzazione,
Àn che non ci si rassegna a riconoscergli un maggior valore che alla canna
da zucchero o al caffè, o al grasso d’arachidi o al caucciù.
Aimé Césaire, L’abolizione della schiavitù, 1948, Martinica.
837
Oppressione e liberazione; sottomissione e rivolta
La pazienza degli oppressi
Tra le virtù più ammirevoli e più rare degli Indiani, citerò la pazienza,
per due motivi principali: in primo luogo perché vivono nella miseria e
Schiavitù e violenza
407
sono oppressi da lavori faticosi, e in secondo luogo perché essa (miseria)
è molto profonda e molto intensa senza che essi emettano mai il minimo
sospiro, gemito o lamento [...].
Infatti, qualunque sia il numerò e la gravità dei mali che vengono loro
fatti subire, accade ben raramente che, spinti da collera o da furore, essi
cerchino di vendicarsi o di ottenere riparazione, e non sognano neppure di
andarsi a lamentare coi loro superiori o uomini di tutt’altra condizione, impietositi dalle loro sofferenze, animati da un sentimento di equità, o desiderosi di servire Vostra Maestà e di assicurare la conservazione degli Indiani,
oppure ancora preoccupati di difendere i loro stessi interessi e spinti dalle
loro passioni, che li convincano a lamentarsi.
Juan de Palafox y Mendoza, Libro de las virtudes del indio (XVII
sec.).
838
Liberazione interiore
Quando tutti i desideri che abitano nel cuore dell’uomo sono allontanati,
il mortale diventa immortale e (perÀno) accede al Brahma (cioè allo stato
di liberazione).
Katha-Upanishad II (V sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
839
Qualunque piacere la carne procuri in questo mondo e qualunque sia il
grande piacere che si gusta in cielo, l’uno e l’altro non valgono la sedicesima
parte del piacere che risulta dalla soppressione di ogni desiderio.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
840
Possa la regione media accordarci di essere liberati dalla paura; possano il
cielo e la terra (accordarci) di essere liberati dalla paura. Ci sia dato di essere
liberati dalla paura di ciò che sta dietro di noi, dinanzi a noi, sopra di noi e
sotto di noi. Ci sia dato di non avere alcuna paura dell’amico e del nemico,
di ciò che è noto e di ciò che è lontano. Ci sia dato di non aver alcuna paura,
né notte né giorno. Possano tutti i punti dell’orizzonte essermi benevoli!
Atharvaveda, XIX (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
841
Tutti gli uomini aspirano allo stato di liberazione
Aspirando alla felicità inÀnita e alla sparizione di ogni tristezza, tutti gli
uomini quaggiù desiderano essere liberati di tutti gli oggetti.
Vârttikâsâra, II, (Àne dell’VIII sec.), tradotto dal sanscrito.
842
Il desiderio di mangiare buoni pranzi, di vestire begli abiti, di abitare in
una bella casa, di arricchirci, di essere rispettati da tutti e di godere di lunga
408
Il diritto di essere un uomo
vita, è proprio del cuore umano e della nostra natura. Ma numerosi sono
coloro che, considerandolo come vizioso e pensando che sia bene non desiderare, fanno Ànta di non invidiare e di non chiedere nulla. Ecco sempre
l’irritante ipocrisia del confucianesimo.
Norinaga Motoori (1731-1801), Il paniere di bambù (raccolta di pensieri), Giappone.
843
GRATIS
Noi viviamo gratis, senza pagare un soldo:
L’aria è gratis, le nuvole gratis, valli e colline, tutto gratis;
Pioggia e fango, gratis;
L’esterno delle auto,
Le porte dei cinema,
Le vetrine, gratis;
Se non il pane e il formaggio,
L’acqua salmastra è gratis;
Cadon teste per darci libertà,
Ma la schiavitù è gratis.
Noi viviamo veramente gratis, senza pagare un soldo.
Orhan Veli, 1948, Turchia.
844
Necessità, talvolta, della violenza
Una persona che ne uccide altre per difendersi, in occasione di un conÁitto relativo ai debiti sacriÀcali, oppure per proteggere delle donne e dei
Bramini (da atti di violenza) non è colpevole nei confronti della legge.
Ciascuno deve, senza esitazione uccidere un forsennato che cerchi di attaccarlo, anche se è il suo padrone, un bambino, un vecchio o un sapiente
Bramino.
Manusmriti VIII (II sec. a.C, 1 sec. d.C.), tradotto dal sanscrito.
845
Rivolta
Lo schiavo, in fondo, è un nemico del suo padrone, come il cane che,
talvolta, si comporta come un lupo.
Proverbio turco citato nell’XI sec., Turkestan orientale.
846
La pietra lanciata dal popolo va lontano.
Proverbio turco, citato nel XV sec.
847
IL DIRITTO CONTRO LA FORZA
Il diritto contro la forza e l’arbitrio
Ora racconterò una storia ai re, per quanto saggi essi siano. Ecco ciò
che lo sparviero disse all’usignolo dal collo macchiato, mentre lo portava lassù, in mezzo alle nuvole, tra le sue grinÀe di rapitore. L’usignolo
gemeva pietosamente, traÀtto dagli artigli adunchi; e lo sparviero brutalmente gli disse: “Miserabile perché gridi? Tu appartieni a esseri ben
più forti di te. Andrai dove ti porterò, per quanto buon cantore tu sia, e
di te, a mio piacere, farò il mio pasto o ti renderò la libertà. È stupido
colui che resiste a chi è più forte di lui: non ottiene la vittoria e all’onta
aggiunge la sofferenza”. Così disse il rapido sparviero, che plana ad ali
spiegate.
M a tu, o Perseo, ascolta la Giustizia. Non permettere che in te cresca
l’orgoglio. Esso è cosa malvagia per i poveri: i grandi stessi fanno fatica a portarlo, e il suo peso li schiaccia, il giorno in cui vanno incontro
al disastro. È ben preferibile la strada che, passando dall’altra parte,
conduce alle opere di Giustizia [...].
Quanto a te, o Perseo, mettiti in mente questo consiglio; ascolta la
Giustizia, dimentica per sempre la violenza. Questa è la legge che il
Àglio di Crono ha prescritto agli uomini: che i pesci, gli animali, gli
uccelli alati si divorino, poiché non esiste fra loro la Giustizia, ma agli
uomini, Zeus ha fatto dono della Giustizia che è di gran lunga il più
importante dei beni. A colui che scientemente si pronuncia secondo la
Giustizia, Zeus dall’ampio sguardo dona la prosperità; ma colui che,
per deliberato proposito, appoggia con un giuramento delle dichiarazioni menzognere; e con ciò, ferendo la Giustizia, commette un delitto
inespiabile, vedrà la sua posterità diminuire nell’avvenire, mentre la
posterità dell’uomo fedele al suo giuramento, nell’avvenire crescerà.
Esiodo (VIII sec. a.C.), Le opere e i giorni, Grecia.
848
410
Il diritto di essere un uomo
L’autorità della legge naturale
DIALOGO TRA LO SPARTANO E LO STRANIERO
“Quali e quanti sono i titoli per comandare e per obbedire, sia nella
città, sia nelle case, grandi e piccole? Il primo non è forse quello di
padre e di madre? E in generale la condizione di genitori non è dappertutto un giusto titolo di autorità nei confronti dei discendenti?
– Assolutamente.
– La legge che segue la precedente è che i nobili comandino ai tangheri; dopo quella ne viene ancora una terza, e cioè che i più anziani
devono comandare e i più giovani sottomettersi.
– Evidentemente.
– Una quarta, a sua volta: che gli schiavi obbediscano e che i padroni
comandino.
– È ovvio.
– Secondo la quinta, immagino, il più forte comanda, il più debole
obbedisce.
– Hai nominato un’autorità che obbliga molto!
– Certo, ed è la più diffusa fra tutti gli esseri viventi: la legge di natura, come la chiamava un tempo Pindaro di Tebe. Ma pare che la regola
più importante sarebbe la sesta, la quale vuole che l’ignorante segua e il
saggio guidi e comandi. Ora, in questo caso, o molto avveduto Pindaro,
non dirò certamente che è contro natura, anzi è molto naturale, l’autorità che la legge esercita su dei sudditi consenzienti e non costretti”.
Platone (429-347 a.C.), Le leggi.
849
Sia resa giustizia al tuo nemico.
Iscrizione babilonese, verso il 700 a.C.
850
Regno della forza, manifesto
Che cosa accade quando la forza detta legge? La risposta è semplice:
logicamente, i grandi attaccano i piccoli, i forti spogliano i deboli, la
maggioranza maltratta la minoranza, gli scaltri ingannano i semplici, i
nobili disprezzano i plebei, i ricchi disdegnano i poveri e i giovani si
beffano dei vecchi.
Scuola di Mo-Tzu (V sec. a.C.), Cina.
851
Regno dello spirito, invisibile
Due fratelli litigano tra loro; uno dei due si pente e risveglia l’amore
che dormiva in lui. I due fratelli ricominciano a vivere in pace; nessuno ha
notato nulla. Ma se i due fratelli, in seguito all’intervento di avvocati o per
Il diritto contro la forza
411
qualche altra ragione, prendono le armi o adiscono alla giustizia – il che è
un altro modo di ricorrere alla forza brutale – i loro atti saranno immediatamente segnalati sulla stampa, formeranno oggetto delle conversazioni dei
loro vicini e forse s’iscriveranno nella storia. Ciò che è vero per le famiglie
e per le comunità è anche vero per le nazioni. Non abbiamo alcun motivo
per pensare che vi sia una legge per le famiglie e un’altra per le nazioni. La
storia registra i fatti che interrompono il corso naturale delle cose. Poiché
la forza dello spirito è naturale, la storia non ne dice nulla.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
852
La nervatura si trova tra le due parti della (foglia) della palma, i muretti
di terra tra i campi per separarli, e la giustizia tra le persone irritate per frenarle. La giustizia non può attendere, il diritto non può piegarsi.
Proverbi malgasci.
853
Forza e diritto
È fatalità legata al destino di ogni uomo, che questi si trovi coinvolto in
rapporti di forze che lo fanno vivere. Tale è la colpa inevitabile di tutti, la
colpevolezza della condizione umana. Si cercherà di sconÀggerla lottando
per l’avvento della forza che realizza il diritto, i diritti dell’uomo. Quando
si trascura di lavorare, per quanto sta in noi, all’elaborazione delle strutture
secondo le quali si stabiliscono i rapporti di forza, alla lotta per la forza
messa al servizio del diritto, si commette un grave errore politico, che è
allo stesso tempo un errore morale. La colpevolezza politica diventa una
colpevolezza morale quando la forza sopprime la ragion d’essere della forza, (in quanto) realizzazione del diritto, etica e purezza del popolo. Perché,
quando la forza non si frena da se stessa, sorge il regno della violenza e del
terrore, e alla Àne la distruzione della vita e dell’anima.
Quando gli uomini si mettono d’accordo tra loro, la decisione spetta alla
forza. Ogni ordine costituzionale tende a padroneggiare questa forza; essa
sussiste tuttavia: all’interno, nella misura in cui il diritto è imposto dalla
forza; all’esterno, sotto forma di guerra. Questi fatti, nelle opere paciÀche,
furono quasi dimenticati [...].
Il ricorso alla violenza chiama la violenza. Spetta al vincitore di decidere della sorte del vinto. Qui regna il vae victis. Non resta al vinto
che una scelta sola: morire, oppure agire e soffrire a piacimento del
vincitore [...].
Il diritto, è rappresentato dal nobile pensiero di quegli uomini che
vogliono dare una base alla loro vita; esso deve, certamente, essere
garantito dalla forza, ma non esserne determinato. Quando gli uomini
412
Il diritto di essere un uomo
diventano coscienti della loro qualità di uomini, quando riconoscono
la persona umana come tale, essi ricorrono ai diritti dell’uomo, e si appoggiano su un diritto naturale al quale tutti possono ricorrere, vincitori
e vinti.
Appena nasce l’idea del diritto, diventa possibile negoziare, al Àne
di scoprire il vero diritto con la discussione e una procedura metodica.
Nel caso di una vittoria totale, la parte del diritto che regola i rapporti
da vincitore a vinto, come pure quella che spetta a quest’ultimo, è sempre stata Àn qui molto limitata, ovunque una volontà politica determinasse il corso degli avvenimenti. Questi diventano allora il fondamento
di un diritto positivo, un diritto di fatto; essi non si giustiÀcano più
secondo il diritto [...].
Rimane possibile, perÀno a colui che è punito o riconosciuto responsabile, ammettere la validità del diritto. Il criminale può sentire il fatto
d’essere punito come un onore e una riabilitazione. Chi è politicamente
responsabile può riconoscere che ciò che egli deve ormai addossarsi, se
vuol vivere, gli è imposto da una fermata del destino.
La clemenza è l’atto che limita gli effetti del diritto puro e della forza
distruttrice. Esiste un certo senso umano che permette di percepire una
verità più alta di quella della logica rigida delle cause e degli effetti,
tanto nel campo del diritto, quanto in quello della forza.
a) Nonostante il diritto, la pietà tende a instaurare il dominio di una
giustizia non legalizzata, perché ogni legislazione umana, quand’è applicata, si trova (ad essere) carica di imperfezione e di ingiustizia.
b) Benché possa servirsi della forza, il vincitore usa clemenza, sia
per un senso pratico – perché i vinti possono essergli utili – sia per
magnanimità, perché il fatto di lasciar liberi i vinti esalta il concetto
ch’egli ha della sua potenza e della sua moderazione, oppure perché
nella sua coscienza egli si sottomette alle esigenze di un diritto naturale
valido per tutti gli uomini, e secondo il quale il vinto (d’altronde non
più del criminale) non può essere privato di tutti i suoi diritti.
Karl Jaspers, La colpa della Germania, 1946, Germania.
854
Disuguaglianza dei mezzi e reciprocità
Esistono, è vero, grandi disuguaglianze di mezzi tra gli uomini. La
natura crea dei forti e dei deboli; essa dispensa agli uni un’intelligenza
che riÀuta agli altri. Ne consegue che esisterà tra loro una disuguaglianza di lavoro, disuguaglianza di prodotto, disuguaglianza di consumo o
di godimento; ma non ne segue che vi possa essere disuguaglianza di
diritti.
Il diritto contro la forza
413
Poiché tutti hanno un diritto che deriva dalla medesima origine, ne segue
che colui che intaccasse il diritto di un altro, oltrepasserebbe i limiti del
proprio diritto; ne segue che il diritto di ognuno deve essere rispettato da
ogni altra persona, e che questo diritto e questo dovere non possono non
essere reciproci. Dunque il diritto del debole sul forte è lo stesso di quello
del forte sul debole. Quando il forte arriva a opprimere il debole, produce
un effetto senza produrre un obbligo. Lungi dall’imporre un nuovo dovere
al debole, egli ravviva in lui il dovere naturale e imperituro di respingere
l’oppressione.
È dunque una verità eterna – che gli uomini non amano sentirsi ripetere
– (quella che afferma) che l’atto col quale il forte tiene il debole sotto il
proprio dominio non può mai trasformarsi in un diritto, mentre l’atto col
quale il debole si sottrae al giogo del forte è sempre un diritto, cosa che
rappresenta un dovere sempre incalzante verso se stesso.
... lo stato sociale non stabilisce una disuguaglianza di diritti a Àanco
della disuguaglianza naturale dei mezzi; al contrario, esso protegge l’eguaglianza dei diritti contro l’inÁuenza naturale, ma nociva, della disuguaglianza dei mezzi. La legge sociale non è punto fatta per indebolire il
debole e rafforzare il forte; al contrario, essa si occupa di mettere il debole
al riparo alle imprese del forte; e coprendo con la sua autorità tutelare l’universalità dei cittadini, essa garantisce a tutti la pienezza dei loro diritti.
Abbé Sieyès, Preliminare alla Costituzione, 20 e 21 luglio 1789.
855
Moderazione e rispetto del prossimo. Contro la violenza
In questo mondo dove noi andiamo non si manda mai l’enwe a sotterrare
l’adaka (L’enwe e l’adaka sono due specie di scimmie).
Quando degli unilingue di lingue diverse si incontrano non si uccidono
l’un l’altro.
Se l’erba non vuole essere sradicata, non vi spuntino dei funghi.
Colui che non vuole essere insultato, non lanci ingiurie.
Proverbi ibo, Nigeria
856
Io vi lascio, ma dove restate,
Resistete, maturate,
Uccidete il leone, uccidete il leopardo,
Prosperate, crescete e rimanete in vita.
Ruggisce il leone, il leopardo ha l’abito maculato,
Ma voi, siate padroni dei vostri cuori;
Ciascuno rispetti suo fratello,
Non lasciate invadere i vostri cuori dalla passione;
Se qualcuno s’appassiona, attira su di sé le sventure.
414
Il diritto di essere un uomo
Dove abitate, moderate le danze,
Moderate i tamburi (ngoma).
Non è col denaro e l’avidità di lucro che vivono gli uomini.
La minaccia è proibita,
Il coltello è proibito,
I colpi sono proibiti,
Ma entrate nel bosco,
Attaccate la selvaggina, ammazzatela.
Tuttavia, senza l’ardore che eccita le liti,
Comportatevi bene,
Moltiplicatevi felici,
Il villaggio è appena ricostruito,
Sono venuto a paciÀcarlo,
Metto in pace gli uomini,
Metto in pace le donne,
Metto in pace i parenti alleati,
Restino in vita, siano prosperi e in pace,
Abbiano dei Àgli facendo così rivivere i loro antenati!
Questo io voglio, lo voglio, oh, oh, oh!
Tradizione bakongo, Congo.
857
Diritti altrui
Attentare ai diritti altrui per far trionfare i propri, signiÀca andare incontro alla delusione.
Proverbio akan, Ghana.
858
Giustizia e non violenza
Il povero si difende; il giudice ascolta.
(Non si deve farsi giustizia da sé; tutti hanno diritto ad aver giustizia)
Proverbio amarico, Etiopia.
859
Nessuna punizione prima dell’azione legale
Prima giudica; impicca solo dopo.
Proverbio rumeno.
860
Il grande principe di Kiev Svjatopolk aveva fatto accecare suo cugino
Vasilko (1097).
Vladimir (Monomaco) e David inviarono i loro messaggeri a dire a
Svjatopolk: “Perché hai commesso questa azione malvagia, inaudita in
terra russa? È contro di noi che tu hai lanciato il pugnale! Perché hai
accecato tuo fratello? Se tu avevi da fare qualche lagnanza contro di lui,
bisognava accusarlo dinanzi a noi. Allora, dopo averlo confuso, avresti
Il diritto contro la forza
415
agito contro di lui. Ebbene, ora di’ qual è la sua colpa, per la quale l’hai
trattato così”.
Annali russi, Rus’ di Kiev.
861
Contro i massacri
Quando Ivan il Terribile, nel 1570, venne a Novgorod per reprimere nel
sangue una rivolta, un sant’uomo, folle in Cristo, si presentò a lui:
... egli presentò allo zar un bicchiere pieno di sangue e un pezzo di carne
cruda, e lo invitò a bere quel sangue e a mangiare quel pezzo di carne. Lo
zar ne ebbe disgusto domandandosi dove quel sant’uomo volesse arrivare.
Allora il beato gli disse: “Questo è un bicchiere pieno del sangue che è
stato versato per ordine tuo”. E lo ricondusse [...] alla luce del giorno [...].
Allora lo zar fece segno col fazzoletto ai suoi reggimenti di cessare di massacrare la gente.
Manoscritto russo del XVIII secolo.
862
Variante di questo stesso racconto in un testo inglese più antico
Il 18 febbraio 1570 Ivan il Terribile entrò in Pskov, minacciando di trattare questa città come aveva trattato Novgorod. Mandò tuttavia a portare
un regalo a un sant’uomo, Nikolaj, folle in Cristo. Questi lo ringraziò e gli
inviò, a sua volta, un pezzo di carne cruda. Si era di Quaresima. Lo zar gli
fece dire che si stupiva che un buon cristiano gli offrisse della carne durante la Quaresima. “Pensa forse Ivan, – replicò il santo – che mangiare un po’
di carne di animale in Quaresima sia peccato mentre non vi è peccato nel
mangiare altrettanta carne umana quanta egli ne ha già mangiata?”. Il folle
in Cristo salvò così la vita a una gran folla di gente.
Giles Fletcher, Sullo stato russo, 1591, Inghilterra.
863
Denunce, diffamazione, prigione, tortura,
pena di morte, violenza, vendetta
Accuse segrete
Le denunce anonime sono un chiaro abuso, ma consacrato dall’uso e
reso necessario in molte nazioni a causa della debolezza del loro sistema
politico. Un tal costume rende gli uomini falsi e coperti: chiunque può
sospettare di vedere nell’altro un delatore, un nemico. Gli uomini allora si
avvezzano a mascherare i propri sentimenti, e, coll’uso di nasconderli agli
altri, arrivano Ànalmente a nasconderli a sé medesimi. Infelici gli uomini
quando son giunti a questo segno: senza princìpi chiari e immobili che li
416
Il diritto di essere un uomo
guidino, errano smarriti e Áuttuanti nel vasto mare delle opinioni; sempre
occupati a salvarsi dai mostri che li minacciano; passano il momento presente sempre amareggiato dalla incertezza del futuro; privi dei durevoli
piaceri della tranquillità e sicurezza, appena alcuni pochi di essi sparsi qua
e là nella trista loro vita, con fretta e con disordine divorati, li consolano
d’esser vissuti...
Chi può difendersi dalla calunnia quand’essa è armata dal più forte scudo della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quello ove chi
regge sospetta in ogni suo suddito un nemico ed è costretto per il pubblico
riposo di toglierlo a ciascuno?
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
864
Contro la diffamazione
Nulla è più pernicioso per la libertà che la licenza; e nulla è più dannoso
alla libera discussione delle azioni e degli affari pubblici, che gli attentati
sregolati alla riputazione di un individuo.
Poiché godiamo solo da poco tempo dei diritti e delle garanzie di un
governo popolare, non sorprende che ci allontaniamo dalla retta via nella
sua applicazione e nel suo esercizio e che, non arrivando a Àssare la linea
di demarcazione tra ciò che le leggi devono permettere e ciò che devono
proibire, noi pensiamo che se ne restringa e se ne limiti l’uso, quando invece non si fa che reprimere l’abuso. Ma in tutti i campi le leggi sono forse
qualcosa di diverso degli intralci alle inclinazioni più naturali, ai diritti
più incontestabili che si tratta di orientare verso il benessere generale? E
la buona reputazione sarebbe forse una proprietà meno sacra di quella dei
beni materiali? I colpi inferti alla reputazione producono delle ferite meno
dolorose? Il legislatore è dunque tenuto a prevenire e riparare questa specie
di pregiudizio con cure non minori che gli altri; e, se lasciasse la reputazione e la rispettabilità sociale dei cittadini esposte agli oltraggi della maldicenza, fallirebbe la sua missione, proprio come se lasciasse la loro vita e i
loro beni alla mercé dei ladri e degli assassini [...].
Perché vi sia diffamazione non è necessario vi sia delitto. È sufÀciente che
vengano attribuiti a una persona un atto o un’omissione che, anche se non è
criminale per natura, tenda a rendere questa persona odiosa o meno degna
di Àducia nei rapporti sociali. Vi è diffamazione ogni volta che la tendenza
naturale delle parole, dei segni o delle Àgure usati è quella di suscitare l’avversione, la derisione o il disprezzo del pubblico verso un individuo.
Beninteso, la discussione di tutti gli atti compiuti dagli impiegati dello
Stato nell’esercizio delle loro funzioni è libera, esattamente come l’esame
rigoroso della loro condotta pubblica, la critica dei loro scritti e, in genera-
Il diritto contro la forza
417
le, delle produzioni letterarie di ogni genere. Ma i fatti citati devono essere
veritieri; se non sono provati vi è diffamazione.
Andrés Bello, El Araucano, 1833, Cile.
865
“NEMINEM CAPTIVABIMUS”
Noi (il Re) promettiamo e giuriamo di non mai incarcerare o far incarcerare nessun nobile; di non punirlo in alcun modo, qualunque sia il suo
delitto o la sua colpa, a meno che egli non sia stato prima giustamente
condannato dai tribunali e consegnato nelle nostre mani dai giudici della
sua provincia, a eccezione di coloro che commettessero un delitto di diritto
comune, quale un assassinio, un furto o il brigantaggio.
Costituzione del re Ladislao Jagellone, 1430, Polonia.
866
Contro la prigione e la tortura
È un’invenzione pericolosa quella della tortura e pare che sia piuttosto
un saggio di pazienza che non di verità. Colui che può sopportarla nasconde la verità, e anche colui che non la può sopportare. Infatti, perché il
dolore dovrebbe farmi confessare ciò che è, piuttosto che forzarmi a dire
ciò che non è? E, al contrario, se colui che non ha commesso ciò di cui lo
si accusa, ha abbastanza pazienza per sopportare questi tormenti, perché
non l’avrà colui che l’ha commesso, dal momento che gli è proposta una
ricompensa bella come la vita? Io penso che il fondamento di questa invenzione è appoggiato sulla considerazione dello sforzo compiuto dalla
coscienza. Perché il colpevole ha l’impressione che essa aiuti la tortura per
fargli confessare la sua colpa e che lo indebolisca; e, dall’altra parte, che
essa rafforzi l’innocente contro la tortura. A dire il vero, è questo un mezzo
pieno d’incertezza e di pericolo.
Che cosa non diremo, che cosa non faremo per sfuggire a così gravi
dolori? [...]. Ne consegue che colui che il giudice ha torturato per non farlo
morire innocente, lo fa morire innocente e torturato. Mille e mille hanno
riempito la loro testa di false confessioni.
Ma in Àn dei conti si dice che è il male minore che l’umana debolezza
abbia potuto inventare.
Tuttavia molto disumanamente, e molto inutilmente, a mio parere! Molte nazioni, meno barbare in questo che non la greca e la romana, alle quali
si appellano, giudicano orribile e crudele tormentare e dilaniare un uomo
per una colpa sulla quale siete ancora in dubbio. Che cosa ne può egli della
vostra ignoranza? Non siete forse ingiusti, voi, che per non ucciderlo senza
motivo, gli fate peggio che ucciderlo. A testimoniare che le cose stanno
così: vedete quante volte egli preferisce morire senza motivo che passare
418
Il diritto di essere un uomo
attraverso questa prova più penosa del supplizio e che spesso, per la sua
asprezza, supera il supplizio e lo uccide.
Michel de Montaigne (1580-1588), Saggi.
867
IL PRIGIONIERO
Dietro le inferriate dell’umida mia cella,
Vedo una giovane aquila, allevata in cattività,
Compagna di sfortuna. Essa sbrana, sbattendo l’ali,
Un pezzo di carne insanguinata.
Poi si ferma e mi guarda,
Come se avesse il mio stesso pensiero;
Mi chiama con lo sguardo, mi chiama col suo grido,
Cerca di dirmi: Siam fratelli, partiamo!
Noi siam fatti per essere liberi. È l’ora!
Fuggiamo là dove, dietro le nubi, biancheggi una cresta montagnosa,
Là dove si stende l’azzurra immensità dei mari,
Là dove c’è nulla più del vento... e me!
Aleksandr Puškin (1799-1837), Russia.
868
Se un ladro o un brigante è catturato e nega ciò che gli viene imputato,
voi affermate che il giudice gli deve riempir la testa di colpi e traÀggergli
le costole con punte di ferro, Ànché egli dica la verità. Questo non l’ammettono né la legge divina né la legge umana: la confessione non deve essere
forzata, ma spontanea; non bisogna che sia estorta, ma volontaria; inÀne,
se accadrà che, dopo aver inÁitto questi tormenti, voi non scopriate assolutamente nulla di quanto veniva addossato all’imputato, non arrossirete
dunque – almeno in quel momento – e non riconoscerete quanto empio fu
il vostro giudizio? Analogamente, se l’imputato, non potendo sopportare
simili torture, confessa dei delitti che non ha commesso, chi (dunque) avrà
– lo domando a voi – la responsabilità di cotale empietà, se non colui che
l’ha costretto a una simile confessione menzognera? E più ancora: se qualcuno profferisce con le labbra ciò che non ha in mente, egli non confessa,
ma parla. Rinunciate dunque a queste cose e maledite dal profondo del
cuore ciò che, Àno ad ora, avete avuto la follia di praticare; infatti, quale
frutto avete tratto da ciò di cui ora arrossite?
Nicola I papa, ai bulgari, 13 novembre 866.
869
Le norme diverse (da queste) e le penalità severe vanno soppresse interamente. Noi stabiliamo innanzitutto (prima di punire) delle leggi e delle ordinanze nel desiderio che gli uomini non abbiano più l’intenzione di
Il diritto contro la forza
419
commettere delle infrazioni e che il paese abbia dei castighi regolari, secondo il principio di punire senza collera. Speriamo che non siano lontani
i tempi in cui (i castighi) saranno stabiliti ma non applicati. Che i diecimila
paesi e i cento signori siano informati delle Nostre intenzioni. Fin dalle
dinastie precedenti, s’era stabilita tra le autorità la tradizione d’impiegare
sempre dei metodi extralegali nell’interrogatorio (degli imputati). Talvolta
ci si è serviti di strumenti (di tortura per estorcere delle confessioni); si è
ricorsi ai grossi manganelli, alle bastonate (dei prigionieri), al raggio delle
ruote, alle percosse con delle sbarre (varie specie di torture). Sotto i colpi di
questa gamma di pene atroci, molti (degli accusati) si rassegnarono a delle false (confessioni). Persino se (gli accusati) erano deferiti alla giustizia
secondo il testo (della legge), sono sempre esistite (leggi) violate e degli
eccessi, per modo che nessuno poté giustiÀcarsi. Ora tutti i metodi crudeli
sono stati interamente aboliti.
Trattato giuridico del Suei-chu. Annali dei Suei, (590-617), Cina. 870
Lettera all’arciduca per la difesa di un servo accusato di un furto di
rame e al quale è stata applicata la tortura
Come se fosse proprio compito della giustizia quello di strappare la verità con la tortura, in mancanza di pezze giustiÀcative, di prove, di testimoni e di argomenti. Perché la tortura è per sua natura tale da costringere
facilmente perÀno il più innocente degli uomini alla confessione della sua
colpevolezza [...]. Essere persecutore e giudice in una stessa questione è
[...] contrario alla legge stessa.
Bálint Balassa, 1587, Ungheria.
871
Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la
tortura del reo mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare
un delitto, o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta
dei complici, o per non so quale metaÀsica e incomprensibile spiegazione
d’infamia, o Ànalmente per altri delitti di cui potrebbe essere reo, ma dei
quali non è accusato.
Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né
la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso
ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata. Qual è dunque quel
diritto, se non quello della forza, che dia la podestà a un giudice di dare una
pena a un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo
questo dilemma: o il delitto è certo o è incerto; se è certo non gli conviene
altra pena che la stabilita dalle leggi, e inutili sono i tormenti, perché inutile
è la confessione del reo; se è incerto, non devesi tormentare un innocente,
420
Il diritto di essere un uomo
perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati. Ma io
aggiungo di più, ch’è un voler confondere tutti i rapporti l’esigere che un
uomo sia nello stesso tempo accusatore e accusato, che il dolore divenga
il crogiuolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e
nelle Àbre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti
scellerati e di condannare i deboli innocenti.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
872
La fustigazione
Ho interrogato a lungo i miei compagni a proposito della sofferenza che
causa la fustigazione. Volevo rendermi conto della sua intensità e sapere a
che cosa poteva paragonarsi. Non so davvero quale motivo mi spingesse,
ma se ben ricordo, non si trattava affatto di una pura curiosità. Lo ripeto,
l’emozione e lo spavento mi stringevano il cuore. Ma ebbi un bell’interrogare, non ottenni mai risposte soddisfacenti. Brucia come il fuoco, mi
si rispondeva sempre. “Brucia, ecco tutto!”. Nei primi tempi, quando mi
fui avvicinato a M-cki, lo interrogai a questo proposito. “Fa orribilmente
male – mi rispose – si prova un’impressione di bruciore, come se la schiena arrostisse su un fuoco d’inferno”. Così si esprimevano tutti, in modo
unanime. Ricordo di aver fatto una strana osservazione, di cui d’altronde
non garantisco l’esattezza, ma che l’opinione generale dei forzati conferma
con certezza, cioè che una dura Áagellazione a colpi di verga costituisce
il più terribile dei supplizi in uso presso di noi. A prima vista ciò sembra
impossibile, e tuttavia cinquecento colpi, anche solo quattrocento bastano
a uccidere un uomo; oltre i cinquecento, la morte è, per così dire, certa;
l’individuo più robusto non può sopportare in una sola volta mille colpi
di verga. Invece con le bacchette si sopportano cinquecento colpi senza
pericolo di vita; un uomo di media costituzione può sopportare mille colpi,
perÀno duemila se ha una salute molto buona. Tutti i forzati trovavano
le verghe inÀnitamente più dolorose delle bacchette. “Le verghe sono più
cocenti, fanno più male”, dicevano. È evidente che esse torturano molto di
più, perché agiscono maggiormente sui nervi, che irritano e scuotono all’estremo, che sovreccitano oltre misura. Non so se ne esistono ancora, ma
un tempo esistevano dei gentiluomini che si dilettavano a fustigare le loro
vittime; lo provano il marchese de Sade e la Brinvilliers. Questa sensazione
provocava in loro, io credo, una specie di smarrimento estatico che sa, al
tempo stesso, di perversione e di delizia. Vi sono persone che, come le tigri,
leccano avidamente il sangue ch’esse hanno sparso. Colui che ha esercitato, anche una sola volta, un potere illimitato sul corpo, il sangue, l’anima
del proprio simile, sul corpo di colui che gli è fratello secondo la legge di
Il diritto contro la forza
421
Cristo, colui che ha goduto della facoltà di avvilire al massimo grado un
altro essere fatto ad immagine di Dio, costui diventa incapace di dominare
le proprie sensazioni. La tirannia è un’abitudine dotata di estensibilità, può
svilupparsi, divenire alla lunga una malattia. Io sostengo che il migliore
degli uomini può, grazie all’abitudine, indurirsi Àno a diventare una bestia
feroce. Il sangue e il potere inebriano, provocano la brutalità e la perversione, tanto che l’anima e la mente divengono accessibili ai godimenti più
anormali. L’uomo e il cittadino si eclissano per sempre nel tiranno; e il
ritorno alla coscienza umana, al pentimento, alla risurrezione diventano per
lui quasi impossibili. Aggiungiamo che il potere illimitato del godimento
ha una seduzione perniciosa, che agisce per contagio su tutta la società. La
società che guarda con indifferenza simili modi di agire, è già contaminata
Àno al midollo. In breve, il diritto di punizione corporale che un uomo
esercita su di un altro è una delle piaghe della società; è un mezzo sicuro
per soffocare ogni germe di civismo e di provocare la sua decomposizione.
Fëdor Dostoevskij, Ricordi della casa dei morti, 1861.
873
L’uomo sotto al ladro
L’uomo-ladro è (un) uomo. Ma se vi sono molti ladri, non è che vi
siano molti uomini. Se non vi è un ladro, non è che non vi sia uomo.
Come si può dimostrare tutto questo?
Detestare (il fatto) che vi siano molti ladri, non è detestare che vi
siano molti uomini. Augurare che non esista nessun ladro, non è augurare che non vi siano uomini. I nostri contemporanei sono d’accordo
nell’approvare tutte le proposizioni precedenti.
Se queste sono valide, si può concludere così:
Benché l’uomo-ladro sia (un uomo), qualcuno ama (un ladro). Non
vuol dire che ami (un) uomo. Se egli non ama (un) ladro, non vuol dire
che non ami (un) uomo. Se uccide (un) ladro, non è che uccida (un)
uomo.
Mo-Tzu, Mozi, V sec. a.C., Cina.
874
Contro la pena di morte
Satyavat dice: “La radice (stessa) (dell’esistenza) (cioè dell’essere
umano) non dovrebbe essere sterminata; questo sterminio non costituisce affatto il dharma eterno. In verità, la vera espiazione (di una colpa)
può realizzarsi senza condanna a morte.
Mahâbhârata, XII (II sec. d.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 875
422
Il diritto di essere un uomo
Il re che punisce con la morte i criminali rassomiglia a colui che
strappa le erbe cattive da un campo di grano ancora verde.
Tirukkural, I sec. d.C., isole Mauritius, tradotto dal tamil.
876
Un sinedrio (tribunale) che uccide una volta in sette anni, merita il
nome di assassino; il rabbi Eleazaro, Àglio di Azaria dice: una volta in
settant’anni; il rabbi Taefone e il rabbi Akiba, dicono: se noi fossimo
nel sinedrio, nessuno mai sarebbe condannato a morte.
Talmud, Makkoth 7.
877
Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare
i loro simili? Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un
cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere.
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Italia.
878
ARTICOLO UOMO
Occorrono vent’anni per condurre l’uomo dallo stato di pianta in cui è
nel ventre di sua madre, e dallo stato di puro animale, che è proprio della
sua prima infanzia, Àno a quello in cui la maturità della ragione comincia
a sorgere. Son occorsi trenta secoli per conoscere un po’ la sua struttura.
Occorrerà l’eternità per conoscere qualcosa della sua anima. E non occorre
che un istante per ucciderlo.
Voltaire, Dizionario ÀlosoÀco, 1764.
879
Il ricorso frequente alla pena di morte non ha mai reso gli uomini migliori.
Caterina II di Russia, 1766.
880
Le segrete
Nel 1783 andavo con due amici verso il bastione di Vincennes. Non
v’erano più prigionieri. Visitai tutte le prigioni, Àno alla nera e spaventosa
segreta che sta sotto la torre e il cui ricordo mi fa rabbrividire ancora al
momento in cui scrivo queste note. Tra gli altri aneddoti che ci raccontò
il secondino che ci mostrava quest’orribile casa, eccone uno che merita di
essere conosciuto.
Un uomo venne rinchiuso in una delle prigioni della torre. Poiché
egli sopportava con impazienza la sua disgrazia, emetteva delle grida
e si dimostrava irritato contro gli autori della sua cattività, fu deciso, per ricondurlo alla ragione, di trasferirlo in questa segreta. E quivi
Il diritto contro la forza
423
egli trascorse circa due anni. Divenne pazzo. La corte diede ordine di
portarlo a Bicêtre; ma, poiché era impossibile avvicinarlo, si pensò di
lanciargli contro un grosso mastino, che subito lo atterrò e facilitò così
il modo di impadronirsi di lui. Il brav’uomo che ci raccontava questa
storiella ne rideva molto e non la smetteva di fare lo spiritoso; ammirava soprattutto l’idea del mastino e sembrava ci pregasse di notare come
lo stratagemma era ingegnoso. Ho saputo in seguito che il disgraziato
che aveva perduto la ragione in quella segreta aveva patito questo trattamento spaventoso solo per non aver seguito l’esempio di tanta gente
onesta di prestarsi ai disordini di sua moglie con un piedi-piatti che era
allora ministro.
………
Fréret fu imprigionato alla Bastiglia per aver presentato un eccellente
memoriale. Il Guardasigilli venne a interrogarlo, egli rispose, poi disse:
“Mi pare che siate soddisfatto delle mie risposte alle vostre domande; me
ne permettereste una anche a me?”. “Quale sarebbe?”. “Perché sono qui?”.
“Siete molto curioso, signore”, disse (il guardasigilli) voltandogli la schiena. Qualcuno diceva al signor de la Tour che era molto crudele mettere alla
Bastiglia gli uomini saggi che scrivono la verità: “Eh! Signore – rispose
egli – che cosa volete che se ne faccia?”.
André Chénier (1762-1794), Apologia, Francia.
881
SULLA MORTE
Entrate dunque amici, e qui sedete.
Siate benvenuti, voi mi portate gioia.
Lo so; per la Ànestra siete entrati nella mia cella mentre io dormivo.
Non rovesciaste la bottiglia dal Àne collo né la scatola rossa dei rimedi.
Il chiarore delle stelle sul viso,
eccovi, la mano nella mano, al mio capezzale.
Siate i benvenuti, voi mi portate gioia.
Hachim, Àglio di Osman,
Perché mi guardi con un’aria strana?
Hachim, Àglio di Osman,
Com’è strano, non eri, fratello mio,
forse tu, morto, a Istambul al porto,
caricando carbone su un cargo straniero?
Eri caduto col secchio in fondo alla cala,
il verricello del cargo t’aveva tirato fuori
e prima di andare a riposare davvero,
il tuo sangue rosso t’aveva lavato il nero capo.
Chissà quanto hai sofferto!
424
Il diritto di essere un uomo
Non stare in piedi, siediti.
Io ti credevo morto.
Per la Ànestra entrasti nella mia cella
col chiarore delle stelle sul tuo viso.
Tu sei il benvenuto, tu che mi rechi gioia.
Yakup, del villaggio di Kayalar,
Salute, vecchio amico,
ma dunque tu pure non eri morto?
Non eri andato al cimitero spoglio,
lasciando ai Àgli sia la malaria che la fame?
Faceva un caldo terribile quel giorno.
Allora, non eri morto, dunque, anche tu?
E voi, Ahmet Dzemil, lo scrivano?
Ho visto coi miei stessi occhi
la vostra bara scendere sotto terra.
E perÀno io credo ricordare
che la vostra bara era per voi un po’ corta.
Lasciate stare, Ahmet, Djemil,
Vedo che avete sempre la vostra vecchia abitudine.
È una bottiglia di medicina, non del raki.
Ne bevevate tanta per poter raccogliere cinquanta piastre al giorno
e dimenticare il mondo nella nostra solitudine.
Vi credevo morti, amici miei,
e siete al mio capezzale, la mano nella mano.
Sedete, amici miei, sedete,
voi siete i benvenuti, voi mi portate gioia.
La morte è giusta, dice un poeta persiano,
colpisce con eguale maestà il povero e lo scià.
Hachim, perché stupirti?
Non hai mai udito, fratello mio, parlare di uno scià,
morto nella cala d’un battello, con un secchio?
La morte è giusta, dice un poeta persiano.
Yakup, quanto sei bello quando ridi, vecchio mio,
non t’ho mai visto ridere così
da vivo...
Ma aspettate che Ànisca,
la morte è giusta, dice un poeta persiano.
Lascia la tua bottiglia, Ahmed Djemil.
Ve la prendete invano, so quel che volete dire:
Il diritto contro la forza
425
perché la morte sia giusta
bisogna che sia giusta la vita.
Un poeta persiano...
Perché, amici miei, perché mi lasciate solo?
Perché questa collera! Dove andate?
Nazim Hikmet, 1946, Turchia.
882
IL VERDETTO
E la parola di pietra cadde
sul mio seno ancor vivente.
Non è nulla. Vi ero preparata.
In qualche modo mi adatterò.
Oggi ho molto da fare;
bisogna ch’io uccida la mia memoria Àno alla Àne,
Bisogna che l’anima divenga come pietra.
Rivivere, bisogna ch’io l’impari.
Se no... Il caldo sussurrar dell’estate
È come una festa dietro la mia Ànestra.
Da molto tempo presentivo
Questo giorno sì chiaro e la magion deserta.
Estate 1939
Anna Achmatova, Unione Sovietica.
883
Legge contro gli atti di violenza
Se un individuo colpisce una persona con un’ascia o un coltello, e se
questa viene gravemente ferita, l’aggressore deve versare un’indennità
alla vittima, per l’acquisto delle medicine, Àno a completa guarigione.
Inoltre, deve pagare al re una multa di 20.000. Questo si applica anche
a tutti coloro che si sono resi complici dell’aggressore, aiutandolo o
incitandolo a compiere l’aggressione. La multa sarà pagata al re.
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
884
Riscatto
Un colpevole che viene condotto al luogo dell’esecuzione e vuole
salva la vita, deve pagare un riscatto di 8.000; questo si chiama “comperare un pezzo di giungla”. Se uno schiavo è fuggito e non ha commesso altri delitti, e se viene ritrovato, mentre nell’intervallo ha sposato
una donna che non ha debiti, oppure una donna nobile, nel luogo in cui
si è rifugiato, in modo che è diventato ricco per pura fortuna, sposando
426
Il diritto di essere un uomo
(una donna ricca), questo schiavo può pagare al suo padrone, a titolo
di riscatto per se stesso e per i propriÀgli, una indennità ragionevole.
Se il riscatto proposto dallo schiavo per se stesso e per i propri Àgli è
ragionevole, il padrone dovrà accontentarsene.
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
885
Prigionieri di guerra
I prigionieri di guerra (cioè le donne catturate nel corso di una guerra, poiché i soldati nemici venivano uccisi) possono riscattare la propria
libertà pagando 8.000. Questo si chiama “comperare la propria vita”.
Tali erano le leggi relative ai prigionieri di guerra all’epoca del Dwâpara (età del bronzo, prima della Àne del IV millennio a.C).
Codice Kutâraçâstra (XIV sec.), Giava.
886
Contro la vendetta e la violenza
Non si lava il sangue col sangue.
Proverbio turco, citato nell’XI sec., Turkestan orientale.
887
Non versare del sangue (per dirimere un litigio); regolalo secondo
la legge.
Proverbio turco.
888
Due dervisci si adattano bene su di un solo materasso; due padiscià
non possono dividersi la superÀcie della terra.
Proverbio turcomanno.
889
Interpretazione data dal Talmud alle parole della Bibbia che condannano la vendetta e il rancore:
Che cosa è la vendetta e che cosa è il rancore? Uno aveva detto all’altro: “prestami la tua sega” e costui rispose: “no”; l’indomani, l’altro
disse al primo: “prestami la tua scure”, e questi si affrettò a rispondere:
“non ti presto nulla, come tu non hai prestato nulla a me”; ecco che
cos’è una vendetta. E che cos’è il rancore? Uno aveva detto all’altro:
“prestami la tua scure”, e costui aveva risposto: “no”; l’indomani, l’altro disse al primo: “prestami la sega”, e costui rispose: “prendila, io non
sono come te, che, non prest”; ecco che cos’è il rancore.
Talmud, Yoma, 23.
890
Il diritto contro la forza
427
La buona vendetta
Anche se un nemico che merita d’essere ucciso cade nelle tue mani,
non fargli alcun male. Aiutalo meglio che puoi, poi lascialo andare. È
abbastanza: perché per lui è la morte!
Vemana Satakamu (XV sec. d.C.), traduzione telegu.
891
Contro la guerra: il diritto deve valere anche nella guerra
Tale è il grande rimorso (di Priyadarsin), il benamato dagli dei, il conquistatore di Ralinga. Questa non può essere considerata come una vera
conquista, poiché è stata accompagnata dall’assassinio, dalla morte e dalla
prigionia del popolo. Tale è il sentimento profondo di pena e di rincrescimento del benamato dagli dei [...].
(La guerra) arreca (a persone pie e innocenti) la violenza, la morte e la
deportazione di cari parenti. Gli amici, i compagni degni di stima ed i parenti che continuano ad avere lo stesso affetto per coloro che sono colpiti
dalla guerra, subiscono anch’essi una calamità che è una violenza fatta alla
loro persona. È questa la sorte di tutti gli uomini, che il benamato dagli dei
giudica deplorevole.
Editto di Ashoka, roccia XIII (III sec. a.C.), tradotto dal pracrito.
892
Ristabilimento della pace
Allora io continuai: Non è certo un buon affare quello che voi state facendo! Non dovreste forse camminare nel timore del nostro Dio per evitare
lo scherno dei popoli che ci sono nemici? Ora, anch’io, i miei fratelli e i
miei giovani abbiamo prestato loro denaro e grano; ebbene noi rimettiamo
completamente questo debito! Restituite anche voi a loro, oggi, i loro campi, le vigne, gli oliveti, le case e l’interesse del denaro, del grano, del mosto
e dell’olio, che avete prestato loro. Quelli risposero: Restituiremo e non
chiederemo nulla a loro; faremo come tu dici!
Bibbia ebraica, Neemia, 5.
893
428
Il diritto di essere un uomo
Contro i pretesti per far la guerra
Si arrossisce nel ricordare per quali motivi vergognosi o futili i principi
cristiani fanno prendere le armi ai popoli. Uno di essi ha dimostrato o simulato qualche diritto antiquato, come se fosse molto importante che lo Stato
sia governato dal principe tale o dal tal altro, purché gli interessi pubblici
siano ben amministrati. Un altro prende a pretesto un punto omesso in un
trattato di cento capitoli. Questi è risentito contro quello a proposito di una
Àdanzata riÀutata o rapita, o per qualche scherzo un po’ troppo libero; e
il colmo dell’infamia è che vi sono dei principi, i quali, sentendo che la
loro autorità, in seguito a una pace troppo lunga e alla concordia dei loro
sudditi, si afÀevolisce, si intendono in segreto, in modo diabolico, con altri principi, che – trovato il pretesto – provocano la guerra, allo scopo di
dividere tutto con la discordia di coloro che vivevano strettamente uniti, e
di spogliare il disgraziato popolo, grazie a quell’autorità senza freno che
causa la guerra.
Erasmo da Rotterdam, Querela pacis, 1515.
894
Uccidere?
Perché mi uccidete? Non abitate voi forse dall’altra parte dell’acqua?
Amico mio, se voi abitaste da questa parte, io sarei un assassino, sarebbe
ingiusto uccidervi in quel modo; ma poiché voi abitate dall’altra parte, io
sono un valoroso e questo è giusto.
Blaise Pascal (1623-1662), Pensées.
895
Contro ogni guerra
Noi condanniamo espressamente tutte le guerre e i conÁitti esterni e i
combattimenti con armi materiali, a qualsiasi scopo o sotto qualsiasi pretesto (vengano scatenati) così rendiamo testimonianza dinanzi al mondo
intero.
Dichiarazione dei Quaccheri al re Carlo II, 1660, Inghilterra.
896
Come riformare il governo del mondo
Gli scopi ultimi della società sono la pace e la sicurezza generale, e il
benessere della popolazione dovrebbe essere la legge suprema di ogni
repubblica o di qualsiasi regno. Bisogna quindi sopprimere tutto ciò
che può, in un modo o in un altro, turbare la società umana, renderne
il funzionamento più difÀcile o più complesso, o spezzare i legami da
cui dipende la sicurezza generale e quella pubblica. A questo proposito,
le cause essenziali del male sono le seguenti: le guerre, poiché non vi è
salvezza nella guerra.
Il diritto contro la forza
429
E così pure, al Àne di evitare che le ostilità e le guerre rischino di riaccendersi, bisogna distruggere le armi, come ha comandato Iddio (Isaia, 2,
4). E noi sopprimeremo anche i conciliaboli animati da spirito sanguinario, che approdano solo a minacce di distruzione col ferro e col fuoco e
all’annientamento degli Stati. Si pone però allora una domanda: come si
impiegheranno i fucili e i cannoni? Ecco la mia risposta: i fucili saranno
usati contro le bestie feroci e i cannoni verranno fusi per fare, col loro metallo, delle campane che chiameranno gli uomini a riunirsi, oppure degli
strumenti musicali e il tutto verrà utilizzato per gloriÀcare il Signore [...].
Il regno della verità e della giustizia dovrà essere garantito dalla legge,
e non dalle armi – siano esse armi d’acciaio o le armi dell’invettiva e del
furore – e la pace dovrà essere mantenuta dappertutto.
Jan Amos Comenius, De rerum humanarum emendatione consultatio
catholica, XVII sec.
897
Federazione per la pace
L’idea del diritto delle genti, compresa come un diritto alla guerra, è
propriamente inconcepibile (poiché rappresenterebbe il diritto di decidere ciò che è giusto, non secondo leggi esterne, universalmente valide e limitanti la libertà di ciascun individuo, ma con la forza, secondo
massime particolari). Tranne che si voglia intendere con questo che è
assolutamente giusto che uomini in simili disposizioni (di spirito) si distruggano l’un l’altro e trovino la pace esterna nella grande tomba che li
ricopre con tutti gli orrori della violenza. Agli occhi della ragione, non vi
è, per Stati che intrattengono relazioni reciproche, altro mezzo per uscire
dall’assenza di legalità, fonte di guerre dichiarate, se non di rinunciare,
come gli individui, alla loro libertà selvaggia (anarchica), per accettare la
costrizione pubblica delle leggi e formare così uno “Stato delle nazioni”
(civitas gentium) che crescerebbero senza posa liberamente e si estenderebbero alla Àne a tutti i popoli della terra. Ma siccome, secondo l’idea
che si son fatti del diritto delle genti, non vogliono affatto saperne di questo sistema, e respingono in ipotesi ciò che è giusto in tesi, in mancanza
dell’idea positiva di una “repubblica mondiale” (se non si vuole perdere
tutto) rimane solo il succedaneo “negativo” di una “alleanza” permanente
(che si allarga continuamente) la quale possa preservare dalla guerra e
contenere il torrente di queste disposizioni ostili e opposte al diritto; il
pericolo del loro scatenarsi sussiste tuttavia. (Furor impius intus fremit
horridus ore cruento, Virgilio).
Immanuel Kant, La pace eterna, 1795.
898
430
Il diritto di essere un uomo
Si dice che la guerra incivilisce; è vero ch’essa conduce le nostre anime
a sentimenti e atti eroici, al disprezzo del pericolo e della morte, al distacco
dai beni terreni, che possono essere saccheggiati da un giorno all’altro, e a
una simpatia profonda per tutto ciò che ha viso umano e a cui si avvicina un
comune pericolo o comuni sofferenze; ma non cercate di vedere in ciò una
qualsiasi lode per la vostra passione guerresca e la vostra sete di sangue, né
quale umile preghiera che l’umanità sofferente vi rivolgerebbe perché non
cessiate di precipitarla in nuove prove sanguinose. Le sole anime che la
guerra innalza all’eroismo sono quelle che erano già forti di per se stesse;
alle anime rozze essa ispira entusiasmo solo per saccheggiare e opprimere
il debole disarmato; essa ha generato degli eroi e dei ladri, ma quali sono
stati in maggior numero?
Johann Gottlieb Fichte, 1793.
899
Nel Vecchio Mondo, alcuni ÀlosoÀ eloquenti, e soprattutto Voltaire,
sono sorti contro l’ingiustizia, l’assurdità della guerra; ma, a mala pena essi
sono riusciti soltanto ad addolcirvi, sotto qualche aspetto, il furore marziale. Questa folla immensa di uomini che non può aspettarsi gloria e successo
altro che dal massacro, ha insultato il loro zelo, e nei libri, nei campi e nelle
corti, veniva ripetuto che non vi era più patriottismo, né virtù dopo che
un’abominevole ÀlosoÀa aveva voluto risparmiare il sangue umano.
Nicolas de Condorcet, L’Atlantide, 1794.
900
PREGHIERA DEI “FIORI POLACCHI” (1943)
Apri a noi la Polonia, come apri, con la tua Folgore il cielo in tempesta.
Permettici di ripulire la nostra casa familiare, sia delle nostre ceneri e delle
nostre sacre rovine, che delle nostre colpe e dei nostri maledetti peccati.
Che la nostra casa, risorta dal cimitero, sia povera, ma pura...
Arma i superbi di umiltà e fortiÀca gli umili con una collera orgogliosa.
Insegnaci che non vi può essere, sotto il tuo cielo, “né greco né ebreo” [...].
Colpisci il vanitoso che prende le armi in nome della propria gloria e
non permettere più che sulla spada infame rimane la croce del tuo martirio
[...]. Ma, prima di tutto, restituisci alle nostre parole, sÀgurate dai mentitori, la loro unica verità: afÀnché la legge signiÀchi la legge, e la giustizia
la giustizia.
Julian Tuwin, Polonia.
901
Misericordia
Per quanto grande v’abbiano fatto i pagani torto
a voi tocca lasciar loro il frutto
Il diritto contro la forza
431
di cose che persino Dio ebbe a pietà
verso coloro che uccisero il Suo corpo.
Se Dio laggiù vi rende vincitori,
abbiate pietà nei vostri combattimenti.
Wolfram von Eschenbach (XIII sec.), Willehalm, alto medio tedesco.
902
Leggi della guerra
Vi sono leggi della guerra che non bisogna conservare meno religiosamente di quelle della pace. PerÀno quando si è in guerra, rimane un certo
diritto delle genti che è il fondamento dell’umanità stessa: è un legame
sacro e inviolabile tra i popoli, che nessuna guerra può spezzare.
Fénelon (1651-1715).
903
Il diritto delle genti
Appena gli uomini sono (raggruppati) in società, perdono la sensazione della loro debolezza; l’uguaglianza che era tra loro, cessa, e comincia
lo stato di guerra.
Ogni singola società arriva a sentire la propria forza: il che determina
uno stato di guerra tra nazione e nazione. I privati in ogni società cominciano a rendersi conto della loro forza; e cercano di volgere in loro favore
i principali vantaggi di questa società: il che provoca tra loro uno stato
di guerra.
Queste due specie di stato di guerra creeranno le leggi tra gli uomini?
Considerati come abitanti di un così grande pianeta, in cui è necessario vi
siano diversi popoli, essi hanno delle leggi secondo il rapporto che questi
popoli hanno tra loro: questo è il diritto delle genti. Considerati come viventi in una società che deve essere conservata, essi hanno delle leggi nel
rapporto che hanno coloro che governano con quelli che sono governati:
questo è il diritto politico. Ne hanno ancora nel rapporto di tutti i cittadini
tra loro: ed è il diritto civile.
Il diritto delle genti è naturalmente basato sul principio, che le diverse
nazioni devono farsi, in tempo di pace, il massimo bene, e, durante la
guerra, il minor male possibile, senza nuocere ai loro veri interessi.
Lo scopo della guerra, è la vittoria; quello della vittoria, la conquista;
quello della conquista, la conservazione. Da questo principio e da quello precedente devono derivare tutte le leggi che formano il diritto delle
genti.
Tutte le nazioni hanno un diritto delle genti; perÀno gli Irochesi, che
mangiano i loro prigionieri, ne hanno uno. Essi mandano e ricevono am-
432
Il diritto di essere un uomo
basciate; conoscono diritti della guerra e della pace; il male è che questo
diritto delle genti non è basato su princìpi veri.
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748.
904
Creazione della Croce Rossa
Vi è dunque un appello da rivolgere, una supplica da presentare agli
uomini di tutti gli Stati e di ogni rango; sia ai potenti di questo mondo,
che ai più modesti artigiani, poiché tutti possono, in un modo o in un
altro, ciascuno nella propria sfera e secondo le proprie forze, concorrere
in qualche misura a quest’opera buona. Un appello di questo genere, e
rivolto alle donne come agli uomini, alla principessa seduta su un trono
come all’umile serva orfana e devota, o alla povera vedova isolata sulla
terra, che desidera consacrare le sue ultime forze a sollevare le sofferenze
del suo prossimo; si rivolge al generale o al maresciallo di campo, come
al Àlantropo e allo scrittore che può, dal fondo del suo studio, sviluppare
con talento con le sue pubblicazioni una questione che abbraccia l’umanità intera e in un senso più ristretto ogni popolo, ogni contrada, perÀno
ogni famiglia, perché nessuno può dire d’essere al riparo dai rischi della
guerra.
... È tanto importante mettersi d’accordo e adottare in precedenza delle
misure, perché all’inizio delle ostilità, i belligeranti sono già mal disposti
gli uni contro gli altri, e trattano solo più le questioni dall’unico punto di
vista del proprio vantaggio [...].
InÀne, in un’epoca in cui si parla tanto di progresso e di civiltà, e
poiché le guerre non possono essere sempre evitate, non è forse urgente
insistere perché si cerchi di prevenire, o almeno di addolcire gli orrori
di esse, non soltanto sui campi di battaglia, ma anche e soprattutto negli
ospedali, durante quelle settimane così lunghe e così dolorose per i disgraziati feriti?
Henri Dunant, Ricordo di Solferino, 1862, Svizzera.
905
CONVENZIONE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA SORTE DEI MILITARI FERITI NEGLI
ESERCITI IN GUERRA
La Confederazione svizzera, Sua Altezza Reale il Gran Duca di Bade,
Sua Maestà il Re dei Belgi, Sua Maestà il Re di Danimarca, Sua Maestà
la Regina di Spagna, Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi, Sua Altezza
Reale il Gran Duca di Hesse, Sua Maestà il Re d’Italia, Sua Maestà il
Re dei Paesi Bassi, Sua Maestà il Re del Portogallo e delle Algarve, Sua
Maestà il Re di Prussia, Sua Maestà il Re del Württemberg, animati per
quanto dipende da loro, di sopprimere i mali inseparabili dalla guerra, i
Il diritto contro la forza
433
rigori inutili e di migliorare la sorte dei militari feriti sui campi di battaglia, hanno deciso di concludere una convenzione a questo scopo [...].
Art. 1.
Le ambulanze e gli ospedali militari saranno riconosciuti neutrali e,
come tali, protetti e rispettati dai belligeranti, Ànché vi si troveranno dei
malati o dei feriti.
La neutralità cesserebbe se queste ambulanze o questi ospedali fossero occupati da una forza militare.
Art. 2.
Il personale degli ospedali e delle ambulanze, cioè l’intendenza, il
Servizio di sanità, di amministrazione, di trasporto dei feriti, come pure
il cappellano, parteciperà al beneÀcio della neutralità quando sarà in
servizio e Ànché rimarranno dei feriti da raccogliere o da soccorrere.
Art. 3.
Le persone designate nell’articolo precedente potranno anche dopo
l’occupazione da parte del nemico, continuare a svolgere le loro mansioni nell’ospedale o nell’ambulanza in cui lavorano, oppure ritirarsi
per raggiungere il corpo al quale appartengono.
In queste circostanze, quando queste persone cesseranno le loro funzioni, saranno consegnate agli avamposti nemici a cura dell’esercito
occupante.
Art. 4.
Poiché il materiale degli ospedali militari resta soggetto alle leggi
della guerra, le persone addette a questi ospedali non potranno, ritirandosi, portar via altro che gli oggetti che saranno di loro proprietà
privata.
Nelle medesime circostanze, invece, l’ambulanza conserverà il suo
materiale.
Art. 5.
Gli abitanti del paese che recheranno soccorso ai feriti saranno rispettati e resteranno liberi. I generali delle Potenze belligeranti avranno
l’incarico di avvertire gli abitanti dell’appello che vien fatto alla loro
umanità e della neutralità che ne consegue.
Ogni ferito raccolto e curato in una casa servirà a essa di salvaguardia. L’abitante che avrà raccolto in casa sua dei feriti sarà dispensato
dall’alloggiare truppe, come pure da una parte dei contributi di guerra
che venissero imposti.
Art. 6.
I militari feriti o malati saranno raccolti e curati, a qualsiasi nazione
appartengano.
434
Il diritto di essere un uomo
I comandanti in capo avranno la facoltà di consegnare immediatamente agli avamposti nemici i militari nemici feriti durante il combattimento,
quando le circostanze lo permetteranno e dietro consenso delle due parti.
Saranno rimandati ai loro paesi coloro che, dopo la guarigione, saranno
riconosciuti inabili al servizio.
Gli altri potranno essere egualmente rimandati, a condizione che non
riprendano le armi per la durata della guerra.
Le evacuazioni, insieme al personale che le dirige, saranno coperte da
neutralità assoluta.
Art. 7.
Una bandiera distintiva e uniforme sarà adottata per gli ospedali, le ambulanze e le evacuazioni. Essa dovrà essere accompagnata, in ogni circostanza, dalla bandiera nazionale.
Per il personale neutralizzato sarà parimenti ammesso un bracciale, ma
la consegna di esso sarà lasciata all’autorità militare.
La bandiera e il bracciale porteranno una croce rossa in campo bianco.
Art. 8.
I dettagli di esecuzione della presente convenzione saranno regolati dai
comandanti in capo degli eserciti belligeranti, seguendo le istruzioni dei
loro rispettivi governi, e in conformità ai princìpi generali enunciati in questa convenzione.
Art. 9.
Le Alte Potenze Àrmatarie sono obbligate a comunicare la presente convenzione ai governi che non hanno potuto inviare dei plenipotenziari alla
Conferenza internazionale di Ginevra, invitandoli ad acconsentirvi; a questo scopo, si lascia aperto il protocollo.
Art. 10.
La presente convenzione verrà ratiÀcata, e le ratiÀche saranno scambiate
a Berna, entro quattro mesi, o prima se possibile.
In fede di ciò, i rispettivi plenipotenziari l’hanno Àrmata e vi hanno apposto il sigillo dei loro stemmi.
Dato a Ginevra, il ventiduesimo giorno del mese di agosto dell’anno
mille ottocento sessantaquattro.
Convenzione istitutiva della Croce Rossa Internazionale
906
Su questa terra avrò vissuto un tempo
in cui l’uomo tanto in basso era caduto,
che da sé uccideva con gioia, senza aver bisogno d’ordini.
Sue credenze erano soltanto falsità ed errori,
e la sua vita, un tessuto d’angosce e di terrori.
Il diritto contro la forza
435
Avrò vissuto su questa terra un tempo
che riteneva la delazione meritoria,
i cui eroi erano assassini, briganti, traditori.
Chi s’asteneva, per caso, dal plaudire,
come un appestato si faceva odiare.
………
Avrò vissuto su questa terra un tempo
in cui il Àglio malediceva sua madre. Allora
la donna incinta era felice d’abortire
e il vivo trovava invidiabili i defunti
mentre il veleno bolliva sul suo tavolo.
………
Avrò vissuto su questa terra un tempo
in cui, muto, il poeta attendeva che la tua voce
risuonasse di nuovo a fulminar il giusto
l’anatema – e nessun altri ne era capace –
o Isaia, maestro nel Verbo temibile!
Miklós Radnóti (1909-1944), poeta ungherese. Deportato in Serbia il
suo cadavere fu scoperto nel 1947 in una fossa comune. Nella sua tasca si
trovarono delle poesie manoscritte.
907
LETTERA A UN AMICO TEDESCO, 1943
Voglio dirti subito quale specie di grandezza ci mette in moto. Ma
signiÀca dirti qual è il coraggio che noi applaudiamo e che a voi manca.
Perché è una piccola cosa saper correre al fuoco quando ci si prepara da
sempre e quando la corsa è per voi più naturale che il pensiero. È cosa
grande invece avanzare verso la tortura e verso la morte, quando si sa,
per prova certa, che l’odio e la violenza sono di per sé cose vane. È molto
battersi disprezzando la guerra, accettare di perdere tutto conservando il
gusto della felicità, correre alla distruzione spinti dall’idea di una civiltà
superiore [...].
Noi abbiamo dovuto vincere il nostro gusto dell’uomo, l’idea che ci
facevamo di un destino paciÀco, quella convinzione profonda che avevamo che nessuna vittoria paga, mentre ogni mutilazione dell’uomo è
irreversibile. Abbiamo dovuto rinunciare, nel medesimo tempo, alla nostra scienza e alla nostra speranza, ai motivi che avevamo per amare e
all’odio che avevamo per ogni guerra. Per dirtelo con una parola che io
penso capirai, poiché viene da me, la persona cui tu amavi stringere la
mano, noi abbiamo dovuto far tacere la nostra passione per l’amicizia.
Albert Camus, Francia.
908
436
Il diritto di essere un uomo
LA CITTADELLA DI KAO-YEU
Cittadella di Kao-Yeu.
Com’è lungo il tuo bastione!
Sul bastione han seminato il grano, ai suoi piedi han piantato dei gelsi.
Un tempo eri più solido del ferro;
sei divenuto un campo che si lavora e si pianta.
Il mio unico augurio è che, per mille e diecimila anni,
Tutto l’orizzonte dei quattro mari sia per noi la frontiera!
Come sono ombrosi i gelsi,
E vasti i campi di grano...
Che non vi siano mai più né bastioni né fossati!
Kie Hi-sseu (1274-1344), Cina.
909
IDENTITÀ NAZIONALE E INDIPENDENZA
Uguaglianza tra le nazioni e i popoli;
diritto di ciascuno all’esistenza
Quando furono giunti a Sparta venne convocata un’assemblea, in cui
venne fatta l’opposizione più violenta da parte dei Corinti e dei Tebani,
seguiti da molti altri Greci: non bisognava – dicevano – trattare con gli Ateniesi, ma annientarli. Ma i Lacedemoni riÀutarono di ridurre in schiavitù
una città greca che aveva fatto cose belle e grandi nei pericoli estremi che
altre volte avevano minacciato la Grecia e si decisero così a fare la pace.
Senofonte (circa 384 a.C.), Elleniche.
910
Gli Scozzesi proclamano il loro diritto alla libertà politica
È impossibile a chiunque non ne sia stato personalmente testimone, descrivere o perÀno concepire in tutta la loro ampiezza, le sevizie, la crudeltà
e la violenza, i furti e gl’incendi, gli imprigionamenti di prelati, i massacri,
saccheggi e le distruzioni col fuoco commessi contro sante persone o comunità religiose, e tutte le altre cose abominevoli di cui questo re si è reso
colpevole verso il nostro popolo, senza alcun riguardo per il sesso, l’età, la
qualità o la religione.
Ma è inÀne piaciuto a Dio, che solo può cicatrizzare le ferite, di liberarci
di queste innumerevoli calamità con l’intromissione del nostro serenissimo
principe, il re e signore Roberto, il quale, per strappare dalle mani del nemico
il suo popolo nel tempo stesso che la sua legittima eredità, non ha esitato –
quale un novello Giosuè o un novello Maccabeo – ad affrontare ogni sorta di
pene e di fatiche, di difÀcoltà e di rischi. Se egli è oggi il nostro re e il nostro
principe lo deve alla Divina Provvidenza, al diritto di successione Àssato
dalle leggi e dalle usanze del regno (che noi difenderemo Àno alla morte) e al
consenso legittimo dell’intero popolo. Noi abbiamo verso di lui un debito di
riconoscenza e siamo risoluti a obbedirgli in tutto, sia per i suoi diritti e i suoi
meriti personali, sia per il fatto che è stato lui a rendere la sicurezza al nostro
popolo, facendosi difensore della sua libertà. Ma se questo principe rinun-
438
Il diritto di essere un uomo
ciasse un giorno ai princìpi ai quali Àno a ora si è così nobilmente ispirato,
se egli accettasse che il nostro regno venisse a essere sottomesso al re o al
popolo d’Inghilterra, noi decideremmo subito di scacciarlo, considerandolo,
da quel momento, come nostro nemico e come disprezzatore dei nostri e dei
suoi diritti, e ci daremmo un altro re, il quale fosse disposto a difendere le
nostre libertà: perché, se anche non fossimo più di un centinaio di superstiti,
non accetteremmo mai di sottometterci al dominio degli Inglesi. Infatti, non
è per la gloria che noi lavoriamo e lottiamo: e neppure per la ricchezza e
per l’onore; è soltanto per la libertà, per questa libertà che un uomo di cuore
accetta di perdere unicamente con la vita.
Lettera al Papa, 1320, Scozia.
911
Dignità umana
Tutti gli esseri umani sono degli uomini: tutti possiedono intelletto e
volontà, i cinque sensi esterni e i quattro sensi interni, e sono spinti a soddisfarli; tutti amano il bene, godono il buono e il bello, riprovano ed aborrono
il male.
Non vi sono, e non vi possono essere, delle nazioni, per feroci e depravate che siano, che non possano essere convertite a tutte le virtù politiche e
a tutta l’umanità dell’uomo civile, politico e ragionevole.
Bartolomé de las Casas, Historia de las Indias, 1547.
912
Ogni paese è (per i suoi abitanti) tanto sacro quanto gli altri.
Proverbio turco, citato nel XV sec.
913
Noi non siamo superiori ai popoli cosiddetti barbari, né per coraggio,
né per umanità, né in salute, né nei piaceri; e pertanto, non essendo né più
virtuosi, né più felici, non tralasciamo affatto di crederci molto più saggi.
L’enorme differenza che notiamo tra i selvaggi e noi, consiste nel fatto che
noi siamo un po’ meno ignoranti.
Vauvenargues, RéÁexions et maximes, 1746.
914
Società universale
L’Assemblea nazionale dichiara solennemente:
1. Che considera l’universalità del genere umano come costituente una
sola e medesima società, il cui scopo è la pace e la felicità di tutti e di ognuno dei suoi membri;
2. Che in questa grande società generale, i popoli e gli Stati considerati
come individui godono dei medesimi diritti naturali e sono sottomessi alle
stesse regole di giustizia degli individui di società parziali e secondarie;
Identità nazionale e indipendenza
439
3. Che, di conseguenza, nessun popolo ha il diritto di invadere la proprietà di un altro popolo, né di privarlo della sua libertà e dei suoi vantaggi naturali;
4. Che ogni guerra intrapresa per un motivo diverso e per uno scopo
diverso da quello della difesa di un diritto giusto è un atto di oppressione,
che spetta a tutta la grande società di reprimere, perché l’invasione di uno
Stato da parte di un altro Stato tende a minacciare la libertà e la sicurezza di
tutti. Per questi motivi, l’Assemblea nazionale ha decretato e decreta quali
articoli della Costituzione francese che, da questo momento, la nazione
francese proibisce a se stessa di intraprendere alcuna guerra che tenda ad
aumentare il suo attuale territorio.
Volney, Moniteur, IV, 1790, Francia.
915
Nel secolo XIII i cantoni svizzeri si rivoltano contro la dominazione
dell’Austria, rappresentata dal balivo Gessler
Un angolo del bosco selvaggio e rinchiuso. Dalle rocce scorrono giù
ruscelli. Berta in abito da caccia, subito dopo Rudenz.
BERTA: Siete sicuro che la caccia non ci segua?
RUDENZ: La caccia è laggiù... Adesso o mai! Io devo afferrare l’attimo
prezioso, devo veder risolto il mio avvenire, anche se dovesse per sempre
separarmi da voi. Ma non fate d’un tratto così austeri i vostri sguardi benigni... Chi son io che innalzo sino a voi il desiderio audace? La fama non
mi ha ancora toccato, e non posso mettermi in rango con i cavalieri che,
celebri per le loro vittorie e magniÀci, aspirano alla vostra mano... Io non
ho che il mio cuore pieno di fedeltà, pieno d’amore...
BERTA: (severa) come potete parlare d’amore e di fedeltà voi che siete
infedele ai vostri primi doveri? (Rudenz fa un passo indietro). Voi, lo schiavo dell’Austria, che si vende allo straniero, all’oppressore della sua patria?
RUDENZ: D a voi, signora, questo rimprovero? E che altri cerco io da
quella parte se non voi!
BERTA: Me pensate di trovare dalla parte del tradimento? Piuttosto accorderei la mano a Gessler, all’oppressore, che allo svizzero dimentico della
propria origine e pronto a farsi di lui strumento!
RUDENZ: Dio, che odo mai?
BERTA: Vi stupisce? E chi mai più che la sua gente deve stare a cuore a
un galantuomo? Per un cuore generoso qual più bel dovere che tutelare i
diritti degli oppressi? Io per il vostro popolo ho l’anima che sanguina, soffro
con esso, poiché io debbo amarla questa gente così modesta e tuttavia così
gagliarda; ogni giorno apprendo a stimarla di più. Voi invece, che nascita e
dovere di cavalleria le diedero per naturai difensore, e la abbandonate e, fedi-
440
Il diritto di essere un uomo
frago, passate al nemico e forgiate le catene per il vostro paese, voi mi offendete e mi addolorate, e devo fare un grande sforzo su di me per non odiarvi.
RUDENZ: Ma non è il bene del mio popolo ch’io voglio? Sotto il potente
scettro dell’Austria, la pace...
BERTA: Dunque volete dargli la servitù! Volete scacciare la libertà dell’ultimo presidio che le è rimasto in terra... Ma il popolo intuisce meglio il suo
vero bene, e l’apparenza non turba il suo senso sicuro. A voi han gettato
addosso una rete...
RUDENZ: Berta! Voi mi odiate, mi disprezzate!
BERTA: Sarebbe meglio per me... Ma veder sprezzato e spregevole colui
che si vorrebbe amare...
Friedrich Schiller, Guglielmo Tell, Atto III, scena II, 1804 (traduzione di
Barbara Allason).
916
Concessione di franchigie in Ucraina
Noi, grande sovrano, cesarea Maestà, al nostro suddito Bogdan Hmelnickij, atamano dell’Armata dei Cosacchi zaporogi, e a tutta la nostra Armata
zaporoga, concediamo quanto segue: essi saranno sotto l’alta protezione
della nostra cesarea Maestà coi loro diritti e privilegi precedenti, quali sono
stati loro dati dai re di Polonia e dai granduchi di Lituania, e proibiamo
che questi diritti e privilegi vengano comunque lesi, e vogliamo che essi
siano giudicati dai loro anziani secondo le loro precedenti leggi [...]. E se
per volontà di Dio la morte colpisce l’atamano, noi vogliamo che l’Armata
zaporoga elegga essa stessa tra i suoi membri il proprio atamano, secondo
la sua tradizione [...]. Analogamente, noi proibiamo che siano loro tolti i
beni e le terre dei Cosacchi che essi detengono per il loro sostentamento e
ciò anche per le loro vedove o Àgli dopo di loro.
Carta consecutiva al trattato di Perejaslav, 1654.
917
Nazionalità
Oggi è evidente per ogni rumeno di mente e di cuore che la libertà delle
nazionalità non deriverebbe dalle corti imperiali, né dalla pietà degli oppressori e dei despoti, ma unicamente da una stretta unione di tutti i rumeni
e da una sollevazione di tutti, in segno di solidarietà con tutti i popoli oppressi. Testo ripristinato perché mancante nella traduzione italiana.
Discorso di Nicolae Balcescu, maggio 1851
918
Che una piccola potenza, nei suoi rapporti con una grande, eserciti la sua
forza apparente, che peraltro è meno di un decimillesimo di quella dell’altra, è come lanciare un uovo contro una roccia. L’altra si vanta della propria
avanzata civiltà: è quindi incredibile che non abbia una morale, che è l’es-
Identità nazionale e indipendenza
441
senziale della civiltà. Perché allora noi, piccola potenza, non ci armiamo
della nostra morale, forza invisibile, che l’altra non può tradurre in pratica,
perÀno se lo volesse dal fondo del suo cuore? Se costruissimo l’esercito e
la Áotta con la libertà, la fortezza con l’eguaglianza, la spada e il cannone
con la fraternità, non esisterebbe paese che potrebbe uguagliarci.
Chômin Nakae (1847-1901), Dialogo di tre ubriaconi sulla politica dello Stato, Giappone.
919
La rivolta dei Polacchi che stava per scoppiare nel 1863 in un’insurrezione armata, ribolliva già nel 1861. L’8 aprile una grande manifestazione
patriottica, diretta contro l’occupante, ebbe luogo nelle vie di Varsavia,
con la partecipazione di numerosissimi ebrei. Poiché il sacerdote polacco,
il quale portava una croce, in testa al corteo, era stato ucciso con un colpo
di sciabola da un cosacco, un liceale ebreo di diciassette anni raccolse la
croce e continuò a portarla.
EBREI POLACCHI (1861)
I
Oh, tu sei per l’Europa, seria nazione ebrea,
un monumento, spezzato qua e là in Oriente,
le cui briciole, disperse in tutti i luoghi,
recano ognuna l’eterno gerogliÀco!
L’uomo del Nord, nei suoi boschi di pini,
quando t’ha incontrata, non può che presentire
il riÁesso del sole della tua patria che, nell’azzurro,
come Mosè nelle acque del Nilo,
s’è bagnata; e ha detto: “Grande colui che, portato in alto,
è crollato; e come voi, si tace”.
II
Noi, Àgli del Nord, dal fulvo crine,
noi, nuvole nevose d’una nevosa storia,
senza passar dalla lettera e senza lasciar la terra,
vediamo direttamente i campi alti del cielo:
come i Àgli d’Agar, secondo la loro origine,
e i Àgli di Sara, in grazia ai nostri padri,
Prima degli altri, e assai diversamente,
vi abbiamo riconosciuti; e non per la fatica;
quando il nobile ha diviso le sue armi
Con voi – vi ha posto la Croce che non mente.
III
Solo disordine par che sia la storia,
ma essa è forza immensa e armonia.
442
Il diritto di essere un uomo
Perché è come un contratto
che un arcangelo lassù custodisce.
Ed ecco: sui marciapiedi di Varsavia, l’ebreo
sale con lo stesso cuore d’un Polacco,
mentre le più ricche nazioni della terra
gli offrono queste croci, per cui non si agonizza,
ma chi s’arricchisce, ha preferito colpire
col braccio disarmato di David.
Cyprian Kamil Norwid, Polonia.
920
Estratto dai Quattordici Punti del presidente Wilson, 8 gennaio 1918
Un principio evidente domina tutto il programma che ho abbozzato. È il
principio che garantisce la giustizia a tutti i popoli e a tutte le nazioni, che
proclama il loro diritto a vivere su un piede di eguaglianza, nella libertà e
la sicurezza, a Àanco delle altre nazioni; siano essi forti o deboli. Se questo
principio non diventa la sua base, l’ediÀcio della giustizia internazionale
crollerà da tutte le parti.
Wilson, Stati Uniti d’America.
921
Tradizioni minacciate o distrutte;
diritto alla lingua, schiavitù dei vinti, legittima difesa
Fondamenta minacciate
Dovremo noi forse respingere gli insegnamenti e le tradizioni dei nostri
antenati? [...].
Tutto ciò è nei nostri cuori; con questo si vive e si nasce; Àn dall’infanzia
è ciò che ci nutre, è il nostro insegnamento. È la trama del nostro giudizio,
è la base della nostra preghiera.
Tradizione Nahuatl, Messico.
922
Perdita d’identità
È un delitto contro la ragione il distruggere gli dei che si adorano; questo
non è mai avvenuto per volontà dei fedeli. Nessuno abbandona con pieno
consenso il Dio venerato da sempre, o respinge le credenze di cui è stato
permeato Àn dal seno materno e che gli antenati hanno venerato.
Bartolomé de las Casas, Historia de las Indias, 1547.
923
Le usanze contadine prevalgono sui decreti reali.
Proverbio del Vietnam.
924
Identità nazionale e indipendenza
443
Risposte dei saggi aztechi ai dodici missionari (1524)
E ora, forse
distruggeremo
I nostri antichi sistemi di vita?
Quelli dei Ciciméchi,
dei Toltechi,
degli Acoluasi,
Dei Tepanechi?
Noi sappiamo
chi dispensa la vita;
chi perpetua la specie;
chi permette la procreazione;
chi rende possibile la crescita;
conosciamo la forma delle invocazioni,
sappiamo come bisogna pregare.
Ascoltateci, Signori,
non fate nulla
al nostro popolo
che chiami su di lui la maledizione,
che possa provocare la sua perdita...
Con calma e bontà,
considerate, Signori,
che cosa sarà meglio,
noi non possiamo vivere tranquilli,
e tuttavia noi non siamo certo dei credenti;
ciò che voi predicate non è per noi la verità,
anche se questo vi offende.
Voi siete,
Signori, quelli che dirigono,
Quelli che sostengono, quelli che si donano
al mondo intero.
Non basta dunque che noi abbiamo già tutto perduto,
che il nostro modo di vivere ci sia stato tolto,
che sia stato distrutto?
Se noi restassimo in questo luogo,
Potremmo essere presi prigionieri.
Fate di noi ciò che vi piacerà.
E tutto quello che rispondiamo
Tutto quello che replichiamo
alla vostra voce,
alle vostre parole,
a voi che siete i nostri padroni!
Tradizione Azteca, Libro dei colloqui, Messico.
925
444
Il diritto di essere un uomo
Bisogna conservare vivo il ricordo del passato
Brillerà il sole? L’alba verrà?
Come si muoveranno gli uomini?
Come si comporteranno?
Perché sono partiti, hanno portato via
L’inchiostro rosso e l’inchiostro nero, i libri dipinti.
Come sopravviverà il popolo? Come resisteranno i campi e la città?
Come potremo conoscere la stabilità?
Chi governerà?
Chi guiderà i nostri passi?
Chi ci indicherà la via?
Quale sarà la nostra regola?
Quale la nostra misura?
Chi sarà il nostro modello?
Donde dovremo partire?
Chi sarà la nostra Àaccola? Chi la nostra luce?
………
Poi hanno inventato l’arte di contare i giorni,
Gli annali e la misura degli anni,
Il libro dei sogni;
Essi lo conservano come era stato tenuto
E come fu continuato,
Finché esistette il regno dei Toltechi,
Il regno dei Tepanechi,
Il regno dei Messicani,
E tutti i regni dei Cicimechi.
Poema epico di origine tolteca (X sec.), Messico.
926
Rispetto degli uomini e diversi popoli e loro usanze
RiÀutatevi assolutamente di seminare nei loro territori i germi di alcun partito, spagnolo, francese, turco, persiano o altro [...]. Non datevi
da fare, non avanzate nessuna argomentazione per convincere i popoli
a cambiare i loro riti, i loro usi e i loro costumi, a meno che questi
non siano in evidente contrasto con la religione e la morale. È assurdo
trasportare presso i cinesi la Francia, la Spagna, l’Italia o qualche altro
paese d’Europa. Non introducete presso di loro i nostri paesi, ma la fede
[...]. Sembra scritto nella natura degli uomini (la necessità) di amare, di
mettere al di sopra di ogni cosa al mondo le tradizioni del loro paese e
questo stesso paese. Pertanto non esiste causa più potente di allontanamento e di odio, che apportare dei cambiamenti alle usanze proprie di
una nazione [...]. Che cosa accadrà se, dopo averle abrogate, voi cercaste di mettere al loro posto i costumi del vostro paese, introdotti dal di
fuori? Non abbinate mai le usanze di quei popoli e quelle dell’Europa.
Identità nazionale e indipendenza
445
Al contrario, affrettatevi voi ad abituarvi alle loro. Ammirate e lodate
tutto ciò che merita lode.
Istruzione ad uso dei vicari apostolici in partenza per i reami cinesi del
Tonkino e della Cambogia, 1659.
927
Difesa della lingua autoctona
Primo poema ungherese, scritto in distici, che serviva come prefazione
alla traduzione del Nuovo Testamento:
Ecco il libro attraverso il quale Egli ora ti parla.
Egli invita tutti a fare professione di fede; che nessuno si allontani da
esso,
colui che una volta parlava in ebraico, in greco e inÀne in latino
ti parla qui in ungherese:
a ciascun popolo nella sua lingua, afÀnché ognuno
osservi la legge del Signore e adori il suo nome.
János Sylvester, 1541.
928
Una lingua unica collega i popoli
Tra i principali regolamenti stabiliti dagli Incas, e che essi inventarono
per il buon governo del loro impero, trovo molto importante la cura che
essi ebbero afÀnché tutti i loro sudditi imparassero la lingua della Corte, che è quella che essi chiamano oggi la lingua generale, istituendo a
questo scopo dei professori espressamente tratti dal numero degli Incas
privilegiati. È necessario sapere a questo proposito che gli Incas avevano
un’altra lingua particolare, che parlavano tra loro, e che gli altri Indiani
non capivano, e che perÀno non era loro lecito di imparare, perché essi
consideravano questa lingua come divina. Ma poi mi hanno scritto dal
Perù che l’uso di questa lingua è completamente perduto, a causa della
rivoluzione che è stata fatta in quell’impero. Vi erano due motivi principali che obbligavano quei re a far imparare quella lingua generale ai loro
sudditi. Il primo è che non era possibile che essi avessero quel numero di
interpreti che era necessario avere per rispondere a una così grande diversità di lingue e di genti, che si trovavano distribuiti nel loro vasto impero.
Ecco perché gli Incas volevano che i propri sudditi s’intendessero tra
loro e parlassero “bocca a bocca” e non con l’intermediario di un terzo,
afÀnché i loro affari andassero meglio. Aggiungiamo che una sola parola
che essi avessero udito dal loro principe li confortava molto di più di tutte
quelle che potevano essere state loro dette da questi interpreti o dai suoi
ministri. Il secondo motivo era (il desiderio) che le nazioni straniere che
si tradivano e che si facevano una guerra crudele perché non si capivano,
446
Il diritto di essere un uomo
comunicassero (tra loro) in avvenire, e che, avendo il mezzo di parlare
insieme, si amassero reciprocamente, spogliandosi di umore brutale e feroce che le faceva vivere in disaccordo. Tuttavia, con questa giudiziosa
invenzione, gli Incas addomesticarono e unirono in strettissima amicizia
un grandissimo numero di popoli, tutti diversi per costumi, abitudini e
idolatria, ed era una meraviglia vedere come, avendoli sottomessi al loro
impero, essi vivessero tra loro come fratelli, per il fatto che sapevano
parlare una stessa lingua. Questo permise nondimeno agli abitanti di diverse province, che non dipendevano dal dominio degli Incas, di imitarli,
e, sull’esempio dei loro sudditi, essi impararono poi la lingua generale
di Cuzco. La qual cosa riuscì loro tanto bene che, anziché nemici come
erano prima, essi vissero d’allora in poi in perfetta alleanza.
Garcilaso de la Vega (l’Inca), Commentario reale o Storia degli Inca, re
del Perù, 1608-1609.
929
Minoranze
LEGGE VIII DEL 1849 SULLE MINORANZE NAZIONALI IN UNGHERIA
Data la pluralità delle lingue e l’esistenza di chiese greche nel paese,
l’Assemblea nazionale, per rassicurare quelli tra i cittadini dell’Ungheria
che non sono di espressione ungherese, e nell’attesa che vengano prese
misure più dettagliate a questo proposito, in conformità con le disposizioni
della costituzione che sarà votata, dichiara:
1. Le disposizioni seguenti hanno lo scopo di garantire il libero sviluppo
nazionale di tutti i gruppi etnici che risiedono in territorio ungherese.
2. Dato che l’ungherese viene usato come lingua diplomatica nella
legislazione, l’amministrazione pubblica, l’amministrazione della giustizia e l’esercito, l’uso delle altre lingue parlate in Ungheria è regolato
come segue.
3. Nelle deliberazioni comunali ciascuno è libero di usare sia l’ungherese sia la sua lingua materna; il verbale sarà compilato, a scelta, in
una delle lingue parlate in comune.
4. Nelle deliberazioni dei municipi, tutte le persone autorizzate a
prendere la parola potranno esporre le loro opinioni sia in ungherese
che nella loro lingua materna.
Se in un municipio il numero (dei membri) di un gruppo nazionale
è superiore alla metà della popolazione, il verbale verrà compilato, a
richiesta, anche nella lingua di quel gruppo etnico [...].
14. L’impiego di taluno a un posto o a una funzione sarà stabilito in
considerazione dei suoi meriti e delle sue capacità, senza badare alla
sua lingua né alla sua religione.
930
Identità nazionale e indipendenza
447
Sacrilegio attuale, speranza di una giustizia futura
IL MITO DI INKARRI (presso un popolo monolingue quechua)
Inkarri ha creato tutto ciò che esiste al mondo. È il primo dio. Le
Wamanis (montagne) sono i secondi dei.
Le Wamanis vegliano sull’uomo e sul bestiame; è da loro che sprizza
la vena d’acqua che rende la vita possibile.
Inkarrì era Àglio del sole e di una donna selvaggia.
Mentre egli creava tutto ciò che esiste, attaccò il sole alla più alta
cima del mondo Asqonta, perché la giornata fosse abbastanza lunga;
poi, rinchiuse il vento nella seconda cima di quel monte.
Dopo aver prodotto tutto ciò che esiste, e creato l’uomo, egli diede
all’umanità delle buone regole di vita. Gli aukis, sacerdoti delle Wamanis, cantano sempre inni in cui è detto che non bisogna aver odio nel
cuore e che bisogna respingere la pigrizia.
Quando intraprese la fondazione della città in cui doveva risiedere,
Inkarrì lanciò in aria una sbarretta d’oro: dove sarebbe caduta, là sarebbe sorta la sua città. Essa ricadde a Cuzco. Non sappiamo dove è tale
luogo.
Inkarrì venne fatto prigioniero dal re spagnolo, che lo torturò moltissimo, poi gli fece mozzare la testa.
La testa di Inkarrì non morì. Essa è sottoterra a Cuzco, ma siccome questa testa vive, il corpo di Inkarrì si ricostituisce a poco a poco, proprio sotto
terra, per non essere scoperto.
Nell’attesa, siccome Inkarrì è scomparso, le sue leggi sono state dimenticate e non sono più applicate.
Ma, quando il corpo di Inkarrì sarà completamente ricomposto, egli ritornerà verso di noi e sarà lui a pronunciare il giudizio Ànale.
Come prova dell’esistenza di Inkarrì, gli uccelli della costa cantano
“Andate a Cuzco! A Cuzco il re”.
Leggenda quechua raccolta a Puquio, Perù.
931
Conquista
I Maya deplorano le conseguenze della conquista:
Gli stranieri han tutto cambiato
Quando sono arrivati qui.
Hanno portato cose vergognose
quando sono venuti tra noi...
E noi più non abbiamo conosciuto
giorni felici.
Per questo soffriamo.
Non ci sono più giorni felici per noi.
448
Il diritto di essere un uomo
Non ci son più decisioni giuste.
E inÀne siamo divenuti ciechi,
a nostra onta.
Ma tutto sarà rivelato!
Chilam Balam de Chumayel (Libro sacro dei Maya), America centrale.
932
“Assenti dall’universo”
Un Americano del Sud scrive, al momento della rivoluzione per l’indipendenza, a un abitante della Giamaica:
Noi eravamo umiliati da un regime che non solo ci privava dei nostri
legittimi diritti, ma ci manteneva in una specie di infanzia permanente circa
gli atti della vita pubblica. Se almeno avessimo avuto un’amministrazione
tutta nostra per gestire i nostri affari interni, noi saremmo al corrente degli
affari pubblici e della loro competenza, e godremmo così della considerazione personale, che impone automaticamente al popolo un certo rispetto,
che è tanto importante rispettare nelle rivoluzioni. Ecco perché ho detto
che eravamo privati perÀno della tirannia attiva, poiché non ci era permesso esercitarla.
Gli Americani, nel sistema spagnolo che è in vigore e che s’impone
forse con maggior forza che mai, non hanno altro compito nella società
che quello d’essere schiavi adatti per il loro lavoro, o tutt’al più quello
di semplici consumatori; perÀno questo ruolo è d’altronde limitato da
restrizioni urtanti, quale la proibizione di coltivare i frutti europei, il monopolio esercitato dal re su alcuni prodotti, gli ostacoli opposti alle fabbriche che la metropoli non possiede, i privilegi esclusivi del commercio,
perÀno di quello degli articoli di prima necessità, gli intralci frapposti
tra le province americane per impedire loro di consultarsi, di intendersi
e di commerciare. InÀne, voi volete sapere quale era il nostro destino: i
campi per coltivare la cocciniglia, l’indaco, il caffè, la canna da zucchero,
il cacao e il cotone, le pianure deserte per allevare le greggi, i deserti per
cacciare le bestie feroci, le viscere della terra per estrarre l’oro che non
può saziare quell’avara nazione.
Nessun’altra società civile offre un esempio di condizione così negativa
come la nostra, per quanto mi ricordo della storia e della politica di tutte
le nazioni. Pretendere che un paese così felicemente costituito, così esteso,
ricco e popolato, sia puramente passivo, non è forse un oltraggio a una
violazione dei diritti dell’uomo?
Noi eravamo, come ho detto ora, isolati, e come assenti dall’universo
per quanto concerne la scienza del governo e dell’amministrazione dello
Identità nazionale e indipendenza
449
Stato. Non vi sono mai stati fra noi né viceré, né governatori, salvo che
per motivi assolutamente eccezionali; raramente arcivescovi e vescovi;
mai diplomatici; tra i militari, solo nei gradi subalterni; alcuni nobili, ma
senza privilegi autentici; non siamo stati inÀne né magistrati, né Ànanzieri,
e perÀno quasi mai commercianti: e tutto questo in contrasto diretto con le
nostre istituzioni.
Simon Bolivar, 1815.
933
È legittimo ridurre i vinti in schiavitù?
Argomentazioni di Aristotele
1. Esistono schiavi e padroni per nascita.
2. Ma la differenza non è affatto facile da vedersi.
3. Esistono anche schiavi, che sono tali a causa di violenza.
4. Quando gli schiavi sono tali a causa di violenza, non è più possibile
un giusto rapporto.
Così, infatti, la natura vuole essa stessa far risaltare una differenza
tra i corpi degli uomini liberi, e quelli degli schiavi: gli uni sono forti
per i compiti necessari, gli altri, diritti di statura e non adatti a simili
attività, ma piuttosto alla vita politica (che è divisa tra le occupazioni
della guerra e quelle della pace). Tuttavia, si veriÀca spesso il contrario;
alcuni hanno dell’uomo libero solo il corpo, altri solo l’anima, perché è
di tutta evidenza che se il corpo bastasse a distinguere gli uomini liberi,
come accade per le statue degli dei, tutti sarebbero d’accordo che il
resto degli uomini meriterebbe d’essere loro asservito. E se questo che
si dice del corpo è vero, sarà molto più giusto ancora fare questa distinzione per quanto riguarda l’anima; ma non è altrettanto facile vedere la
bellezza dell’anima quanto quella del corpo.
È quindi evidente che, secondo la natura delle persone, ne esistono
alcune libere, altre schiave, e che per costoro la condizione di schiavi è,
al tempo stesso, vantaggiosa e giusta. Che abbiano ugualmente ragione,
in un certo modo, coloro che pretendono il contrario non è difÀcile da
vedere; perché le parole schiavitù e schiavo sono prese in due signiÀcati diversi. Esiste infatti una specie di schiavitù e di schiavo in virtù
di una legge; questa legge è una specie di opinione comune, secondo la
quale, chi è vinto, in guerra appartiene al vincitore.
Precisamente a proposito di questo punto del diritto, molti giuristi
intentano, come (farebbero) contro un oratore politico, un’azione di illegalità; essi trovano strano che un uomo, per il fatto che può esercitare
una costrizione, e possiede la superiorità della forza, possa fare della
vittima della sua costrizione, il proprio schiavo e il proprio suddito.
450
Il diritto di essere un uomo
Alcuni sono di questo, parere; altri – perÀno (alcuni) tra i più saggi –
condividono l’opinione precedente. La ragione di questa divergenza di
vedute, e ciò che provoca un rovesciamento delle argomentazioni, è
che, in un certo senso, la virtù – quando ne trova i mezzi – ha proprio
questo potere di costringere, e che il partito vincitore ci guadagna sempre qualcosa; così, si crede che la costrizione non sia senza virtù, e che
la contestazione verta soltanto sul punto del diritto. Per questo, gli uni
credono che il diritto risieda nella mutua benevolenza, gli altri che il
diritto sia precisamente questo dominio del più forte, e di fatto, se si
mettono in opposizione queste tesi isolatamente, gli altri argomenti,
secondo i quali la superiorità nell’ordine della virtù non crea un diritto
a comandare e a regnare da padrone, non hanno alcuna forza né valore
persuasivo.
D’altra parte, vi è gente che – attaccandosi tenacemente – pensa a
una certa concezione del diritto (ora la legge è uno stato di diritto), ammette che la schiavitù che risulta da una guerra è contro al diritto, ma
al tempo stesso, lo nega; perché l’origine delle guerre può non essere
giusta, e non si potrebbe – a nessun titolo – chiamare schiavo colui che
non merita d’essere servo; altrimenti accadrà agli uomini ritenuti più
nobili d’essere schiavi e Àgli di schiavi, se capita loro d’essere venduti
dopo essere stati catturati. E anche, essi riÀutano a quelli il nome di
schiavi e lo riservano ai Barbari. E per dire il vero, quando si esprimono
così, la loro inchiesta non mira ad altro che a questa nozione di schiavo
per nascita, di cui abbiamo parlato all’inizio. Infatti, è veramente necessario ammettere che alcuni uomini sono dappertutto schiavi, e che
altri non lo sono in nessun posto. Lo stesso principio vale per la nobiltà:
i Greci si considerano nobili, non solamente a casa loro, ma ovunque,
mentre i Barbari lo sarebbero solo nel loro paese. Vi sarebbe così una
forma assoluta di nobiltà e di libertà, e un’altra, semplicemente relativa.
È quanto dice l’Elena di Teodote:
Dalla sorgente degli dei, dai due lignaggi uscita,
chi dunque oserebbe chiamarmi col nome di schiava?
Esprimersi così, vuol dire distinguere solo a mezzo della virtù e del
vizio lo schiavo e l’uomo libero, la nascita nobile e quella umile: signiÀca pretendere che, proprio come un uomo nasce da un uomo e un
animale da un animale, così anche un uomo dabbene nasce da gente
dabbene. Ora, spesso la natura vuole agire in questa direzione, ma non
ne ha il potere. È dunque chiaro che questa divergenza di vedute ha una
qualche ragion d’essere, e che non esistono da un lato gli schiavi per
nascita e dall’altro gli uomini liberi. È chiaro anche che vi sono dei casi
Identità nazionale e indipendenza
451
in cui questa distinzione esiste realmente, e che allora è vantaggioso e
giusto per l’uno essere schiavo e per l’altro essere padrone, e che l’uno
deve obbedire, e l’altro esercitare l’autorità che per lui è naturale esercitare, e quindi essere padrone. Ma un cattivo uso dell’autorità è nocivo
a entrambi. La parte e il tutto, come avviene per il corpo e l’anima,
hanno uguale interesse: ora lo schiavo è come una parte del padrone; è
come una parte viva del suo corpo, ma separata; vi è anche una comunanza di interessi e un’amicizia reciproca tra padrone e schiavo, che
sono ciò che per natura hanno meritato di essere. Quando i rapporti
sono determinati non in questo modo, ma dalla legge e dalla violenza,
avviene completamente il contrario.
Aristotele (384-322 a.C.), Politica.
934
Astuzia e legittima difesa
I GATTI E I TOPI
Si narra che la tribù dei Gatti tenne un giorno una riunione per preparare un attacco decisivo contro la tribù dei Topi. La riunione era presieduta dal re dei Gatti. Quando furono tutti presenti, il re prese la parola
e disse: “Membri della tribù dei Gatti, vi saluto. Noi siamo qui oggi
riuniti in assemblea perché, come tutti sapete, l’annata è stata prospera
per i Topi. La sorte è stata loro favorevole: essi si sono moltiplicati e
sono ingrassati. Noi, per contro, abbiamo sofferto la carestia: siamo
tutti magri e deboli. Per questo, o membri della tribù, dobbiamo cercare
un mezzo per acchiappare tutti i topi al Àne di rifocillarci con la loro
carne saporita. Come ci riusciremo?”.
Un vecchio gatto, pieno di saggezza, prese allora la parola:
“Viva il re! Vorrei fare una proposta. Noi dovremmo con l’astuzia
condurre la tribù dei Topi a concludere solennemente un trattato di pace
con noi. Organizzeremo una conferenza che riunisca le due tribù in una
pianura senza alberi, in cui i topi non possano trovare alcun rifugio: ci
sarà allora facile acchiapparli tutti”.
Il consiglio del vecchio gatto, pieno di saggezza, fu accolto con entusiasmo. Il re dei Gatti riprese la parola: “O vegliardo – disse – lunga
vita alla tua saggezza! Ci hai dato un eccellente consiglio. Vado all’istante a informare il re dei Topi di questa offerta di pace, e cercherò di
ottenere il suo consenso. Vi farò conoscere il risultato dei miei passi”.
Tutti i gatti l’acclamarono: “Viva il re!”, e la seduta fu tolta.
Il re dei Gatti si recò allora dal re dei Topi. Siccome le due tribù non
si amavano troppo, e (per di più) non potevano concedersi una reciproca Àducia, essi dovettero parlare restando a distanza.
452
Il diritto di essere un uomo
Il re dei Gatti tenne questo linguaggio: “O re dei Topi, simbolo di libertà,
saggio tra i saggi, possa tu vivere a lungo! La pace sia con te! Come stai?”.
Il re dei Topi uscì e disse: “O Re dei Gatti, albero la cui ombra abbraccia
ogni cosa, giudice del mondo, rifugio contro il male, la pace sia con te.
Come stai?
Il re dei Gatti parlò senza circonlocuzioni: “Ti porto la pace. Vengo
in nome della tribù dei Gatti, a fare, a te ed ai tuoi sudditi, una proposta.
Come sai, la tribù dei Gatti e la tribù dei Topi sono sempre state nemiche
tra loro. Questa ostilità è stata nefasta, per gli uni e per gli altri. In seguito ai continui massacri di cui siete stati vittime, la vostra popolazione
è diminuita. Noi abbiamo, per parte nostra, sofferto in questa lotta. Vi
abbiamo inseguiti tra i cespugli, e le spine ci hanno lacerato gli occhi,
in modo che siamo tutti mezzi ciechi. Per questo riteniamo che la pace
sarebbe per noi la cosa migliore. Vi proponiamo quindi ufÀcialmente di
tenere una riunione comune nella piana di Dirindiir. Noi ci impegneremo
solennemente a mantenere la pace, e diventeremo dei veri fratelli. Proponiamo che questa riunione abbia luogo il giorno dopo il plenilunio a
metà mattinata”.
Il re dei Topi rispose: “Viva il re! Prendiamo atto di questa proposta.
Accettiamo la data che tu hai scelto. Speriamo che questa conferenza sia
quella della pace”.
Il re dei Gatti prese allora congedo. Quando Sua Maestà si fu allontanata, il re dei Topi convocò i suoi sudditi e disse loro: “Il re dei Gatti è venuto
a trovarci. Mi ha parlato di pace e mi ha proposto di concludere un trattato
di pace con la sua tribù. Ho accettato la sua offerta. La riunione sarà tenuta
nella radura di Dirindiir. Non posso mancare alla mia parola: sapete che
non sarebbe nobile agire così. Noi incontreremo quindi la tribù dei Gatti.
Tuttavia non possiamo Àdarci di essa! L’esperienza ce l’ha dimostrato. Che
cosa ci converrà fare?”
Allora un vecchio topo pieno di saggezza prese la parola: “Propongo che
la vigilia della riunione, ognuno di noi scavi un profondo buco a Dirindiir.
Il giorno stabilito, noi andremo tutti sul posto di buon mattino e trasporteremo lontano la terra estratta dal suolo allo scopo di non suscitare sospetti.
Poi, ognuno di noi si siederà sull’orlo del proprio buco. Se la tribù dei Gatti
viene a noi con intenzioni paciÀche, tutto andrà per il meglio. Se invece,
come bisogna aspettarsi, ci attacca, ogni topo dovrà allora battere immediatamente in ritirata all’interno del proprio buco”.
Questo consiglio fu accettato e i membri della tribù si dispersero. Tutti
i Topi andarono nella radura; ognuno scavò il proprio buco, ma camuffò
l’ingresso, e spianò la terra tutt’attorno.
Identità nazionale e indipendenza
453
Giunse il giorno della riunione. I Topi si recarono di buon mattino nella
piana di Dirindiir, e ognuno di loro si sedette sull’orlo del proprio buco.
A metà della mattinata, i Gatti si presentarono, pregustando il banchetto.
Quando furono abbastanza vicini per essere uditi, il re dei Gatti girò attorno lo sguardo sui suoi sudditi e li pregò di sedersi per non risvegliare la
difÀdenza della tribù dei Topi. Poi si rivolse in questi termini al re dei Topi:
“Grande re dei Topi, sono presenti tutti i tuoi sudditi?”.
Il re dei Topi rispose: “Sì, siamo tutti qui. Anche i tuoi sudditi?”.
Il re dei Gatti rispose affermativamente, poi aggiunse: “O re, vado a
dare alcune istruzioni ai miei sudditi. Per favore, pazienta un istante”. E si
volse per ispezionare i suoi sudditi. Constatato che erano pronti per l’assalto, si volse ancora una volta verso la tribù dei Topi. Vide che erano tutti
grassi e che l’annata era stata buona per loro. La carne abbondante del re
dei Topi testimoniava della prosperità della sua razza. Decise di attaccarlo
personalmente. Lanciò il grido di guerra dei Gatti ed esortò il suo esercito:
“Acchiappateli tutti! Non ne sfugga uno!”.
Quando il re dei Topi lo vide caricare, si alzò sulle sue minuscole zampe
posteriori e gridò ai suoi sudditi: “Nei vostri buchi, alla svelta!”. Ed essi
disparvero in un batter d’occhi.
Fu così che la tribù dei Gatti non solo non ebbe quel giorno un succulento banchetto, ma – cosa ancor più grave – si disonorò per non aver
mantenuto una solenne promessa. I Gatti avevano dimenticato il proverbio
somalo “Tab hayow lagaa tab hayee” (Tu che ti credi furbo, sappi che troverai sempre qualcuno più furbo di te).
Racconto somalo.
935
Arbitrato e diritto delle genti
La pace attraverso il diritto
Il generale San Martín, liberatore sud-americano, al viceré di Lima:
Eccellenza,
dopo che le truppe poste sotto il mio comando hanno distrutto, il 5 di questo mese, il potente esercito che Vostra Eccellenza ha mandato alla conquista
del Cile, e dopo che sono state esaurite le risorse della nostra capitale durante
la resistenza opposta alle armi trionfanti della patria, sembrava prudente lasciare che la ragione si sostituisse alle passioni, e richiamare sulla sorte delle
popolazioni l’attenzione esclusiva di coloro che ne hanno l’incarico. Per una
fatalità incomprensibile, la guerra dopo il 25 maggio 1810 è stata la sola via
d’uscita ai disaccordi tra Spagnoli e gli Americani, che hanno rivendicato i
454
Il diritto di essere un uomo
loro diritti: tutti sono rimasti sordi ai nostri appelli di pace e si sono ostinati a
trascurare i mezzi per giungere a un regolamento ragionevole.
Vostra Eccellenza non ignora che la guerra è un Áagello devastatore che,
al grado che ha raggiunto in America, l’ha condotta alla rovina e che la fortuna delle armi ha già fatto pendere la decisione in favore delle rivendicazioni della parte meridionale del Nuovo Mondo. Vostra Eccellenza ha anche potuto vedere, nel corso dei sette anni appena trascorsi, che le Province
unite e il Cile non si augurano altro che una costituzione liberale e una
moderata libertà, e che gli abitanti del vice-reame di Lima, il cui sangue
è stato sparso in una lotta fratricida, partecipano al loro destino politicò e
s’innalzano dall’umiliazione coloniale alla dignità di due nazioni limitrofe.
Nessuna di queste aspirazioni è certamente contraria all’amicizia e alla
protezione della metropoli spagnola né al mantenimento di relazioni con
essa; nessuna di esse, che non sia l’eco fedele, nel nostro secolo, dell’America, signiÀcherebbe voler asservire la natura. Che Vostra Eccellenza
esamini con imparzialità il risultato degli sforzi compiuti durante tanti anni
dal Governo spagnolo, e, senza fermarsi ai trionÀ efÀmeri dell’esercito
reale, scoprirà la sua impotenza dinanzi allo spirito di libertà.
... Convochi gli abitanti di quella illustre città: spieghi loro, in buona
fede, ciò che desiderano i Governi del Cile e delle Province unite, li ascolti
esporre pubblicamente i loro diritti; che il popolo decida, sotto gli auspici
di Vostra Eccellenza, la forma di governo che risponde ai suoi interessi,
e parimenti sia permesso alle altre province, sottomesse con la forza, di
esprimersi in tutta libertà; le loro deliberazioni spontanee saranno la legge
suprema alla quale io sottoporrò i miei ulteriori atti secondo le istruzioni
del mio governo.
... Quando Vostra Eccellenza esaminerà le misure di progresso che io
preconizzo, credo che renderà giustizia ai miei sentimenti: aspiro solo al
bene dei miei sudditi; cerco di porre Àne alla guerra; i miei passi tendono
unicamente a questo scopo e sono fermamente deciso, se essi non avranno
un seguito, di andare Àno al sacriÀcio per la libertà, la sicurezza e la dignità
della patria.
Lettera inviata in data 11 aprile 1818.
936
La pace e l’ordine internazionale
La pace è mantenuta mediante la giustizia, che è il frutto del governo,
perché il governo deriva dalla società e la società dal consenso.
Se i principi sovrani d’Europa, che rappresentano la società o lo stato
di indipendenza umana che esisteva prima degli obblighi della società,
si mettessero d’accordo, per la ragione che ha incitato primitivamente
Identità nazionale e indipendenza
455
gli uomini a organizzarsi in società, cioè l’amore della pace e dell’ordine, di riunirsi tramite loro rappresentanti designati in una dieta, in un
parlamento o in Stati generali, al Àne di stabilire le regole di giustizia
che i principi sovrani dovrebbero osservare l’uno nei confronti dell’altro [...], e se essi si riunissero in tal modo ogni anno o a intervalli di
due o tre anni al massimo, oppure ogni volta che ciò sembrasse loro
necessario, e quest’assemblea fosse chiamata Dieta, Parlamento, o Stato sovrano o imperiale d’Europa [...] la loro prima seduta dovrebbe
essere tenuta, per quanto possibile, in un luogo centrale; in seguito,
essi Àsserebbero, di comune accordo, il luogo della loro riunione [...].
Dinanzi a quest’assemblea sovrana dovrebbero essere presentati tutti
i disaccordi tra un sovrano e l’altro, che non avessero potuto essere
regolati dalle ambasciate interessate, prima dell’inizio della sessione;
nel caso in cui una di queste potenze sovrane, che sostituiscono questi
Stati imperiali, riÀutasse di sottoporre loro le sue rivendicazioni o le
sue pretese, oppure di accettare e di eseguire il loro giudizio, e cercasse
di ottenere soddisfazione con le armi, o differisse l’applicazione delle
loro risoluzioni al di là del limite in questo Àssato, tutte le altre potenze
sovrane, unite in una sola forza, la costringerebbero a sottoporre loro
la sua contesa, e a eseguire la sentenza, mentre la parte lesa verrebbe
indennizzata e le spese sarebbero versate alle potenze che avranno imposto la loro giurisdizione.
William Penn, Essay towards the present and future peace of Europe
(Saggio sulla pace presente e futura d’Europa), 1692, Inghilterra.
937
Necessità dell’arbitrato
Se la città e i numerosi principi, non riconoscendo al mondo nessuno
superiore (ad essi) per esercitare la giustizia su di loro secondo le leggi e
le usanze locali, desiderano aprire dei conÁitti, dinanzi a chi devono essi
difendersi? Si può rispondere che il Concilio deve stabilire che verrebbero designati degli arbitri ecclesiastici o altri: uomini prudenti, esperti e
fedeli, i quali, dopo aver prestato giuramento (eleggerebbero) tre giudici
tra i prelati ed altri tre per ognuna delle parti, uomini agiati e di condizione tale che sia probabile non possano venir corrotti né per amore, né per
odio, né per paura, né per cupidigia, né in altro modo; essi si riunirebbero
in una località appropriata, e, avendo giurato nel modo più rigoroso, dopo
aver ascoltato prima della loro riunione le lagnanze sommarie e chiare
di ciascuna delle parti, riceverebbero – eliminando innanzi tutto ciò che
fosse superÁuo e inadatto – le prove e gli strumenti che essi esaminerebbero coscienziosamente [...]. Se una delle parti non è contenta della
456
Il diritto di essere un uomo
sentenza, i giudici stessi devono rinviare il processo, accompagnato dalle
sentenze, innanzi al seggio apostolico, afÀnché esse siano corrette e cambiate dal Sovrano PonteÀce, se questo è giusto; se non lo è, esse devono
essere confermate e registrate negli archivi della Chiesa “ad perpetuam
memoriam”.
Pierre Dubois, La riconquista della Terra Santa, 1306, Francia.
938
Assistenza reciproca e arbitrato
PATTO DEL 1° AGOSTO 1291 (origine della Confederazione svizzera)
Nel nome del Signore, amen. È cosa onesta e vantaggiosa per il bene
pubblico consolidare i trattati in uno stato di pace e di tranquillità. Sia
dunque noto a tutti che gli uomini della valle di Uri, la municipalità della
valle di Schwytz e le municipalità della valle inferiore di Unterwald, in
considerazione della malizia dei tempi e al Àne di difendersi e di mantenersi con maggior efÀcacia, hanno preso in buona fede l’impegno di assistersi
reciprocamente con tutte le loro forze, soccorsi e buoni ufÀci, tanto all’interno che all’esterno del paese, verso e contro chiunque tentasse di fare loro
violenza, di inquietarli o molestarli nelle loro persone e nei loro beni. E per
ogni evento, ciascuna delle dette comunità promette all’altra di venire in
suo aiuto in caso di bisogno, di difenderla, a proprie spese, contro le azioni
dei suoi nemici e di vendicare la sua contesa prestando un giuramento senza inganno né frode, e rinnovando col presente atto l’antica Confederazione; il tutto, senza pregiudizio dei servigi che ciascuno, secondo la propria
condizione, deve rendere al suo signore.
E noi stabiliamo e ordiniamo, con unanime accordo, che non riconosceremo nelle suddette valli nessun giudice che avesse acquistato la propria
carica a prezzo di denaro o in qualche altro modo, oppure che non fosse
indigeno o abitante di queste contrade. Se si veriÀcasse qualche discordia
tra i confederati, i più prudenti interverranno in arbitrato per sedare le contese, secondo quanto sembrerà loro conveniente, e se l’uno o l’altro dei
partiti disprezzasse la loro sentenza, gli altri confederati si dichiarerebbero
contro di lui.
... E se uno dei confederati reca danno alla proprietà di altri o per furto
o in qualsiasi altro modo, i beni che il colpevole eventualmente possedesse
nelle valli serviranno, come è giusto, a indennizzare il danneggiato [,..].
In caso di guerra o di discordia tra confederati, se una delle parti riÀuta di
accettare un giudizio o una transazione, i confederati dovranno associarsi
alla causa dell’altra parte. Tutto quanto sopra, stabilito per l’utilità comune,
deve, se piacerà a Dio, durare in perpetuo.
939
Identità nazionale e indipendenza
457
Arbitrato
Prima di iniziare una guerra (...i principi dovrebbero) adire l’arbitrato dei Potentati e dei Signori sovrani: facendo così essi guadagnerebbero l’amicizia dei propri simili, per valersene contro i loro nemici,
nel caso essi non volessero sottomettersi al giudizio di un terzo. Ora
se un Principe avesse ricevuto un giudice il quale avesse voluto imperiosamente ingerirsi per dirimere le divergenze, ciò avrebbe veramente
aumentato il suo prestigio; ma l’accettare volontariamente gli arbitri è
cosa già praticata e che si pratica ancora nelle Monarchie... e a tal Àne
servirebbero molto le assemblee generali di cui parleremo in seguito
[...]. Come è mai possibile, dirà taluno, di fare in modo che si accordino
dei popoli che sono talmente separati per volontà ed affezione, quali
i Turchi e i Persiani, i Francesi e gli Spagnoli, i Cinesi e i Tartari, i
Cristiani e gli Ebrei o Maomettani? Io dico che queste inimicizie sono
soltanto politiche, e non possono ostacolare la connessione che deve
esistere tra gli uomini. La distanza dei luoghi, la separazione dei domicili non diminuisce punto l’afÀnità del sangue. Essa non può neppure
ostacolare la rassomiglianza dell’indole, vero fondamento di amicizia
e di società umana. Perché io che sono Francese dovrei voler male a un
Inglese, uno Spagnolo o un Indiano? Io non lo posso, quando considero
che sono uomini come me, che io sono soggetto come loro all’errore e
al peccato e che tutte le nazioni sono associate da un legame naturale e
conseguentemente indissolubile.
Emeric Crucé, Le nouveau Cynée, ou Discours d’Estat représentant les
occasions et moyens d’establir une paix généralle et la liberté du commerce par tout le monde, 1623, Francia.
940
Discorsi dei cittadini di Platea nel corso del loro processo dinanzi ai
giudici lacedemoni tendenti a giustiÀcare la loro condotta durante la guerra del Peloponneso:
I Tebani hanno commesso verso di noi un grande numero di ingiustizie
e conoscete l’ultima che causò le nostre presenti disgrazie; essi s’impadronirono della nostra città in pieno periodo di pace, e, per di più, in giorno
festivo!
È quindi con ragione che noi li abbiamo puniti secondo quella legge
universale che consacra il diritto di respingere l’aggressore.
Tucidide, Storia della guerra del Poloponneso. V sec. a.C.
941
Essi regoleranno le loro questioni mediante arbitrato su di un piede di
perfetta eguaglianza, seguendo gli usi stabiliti. Le altre città del Pelopon-
458
Il diritto di essere un uomo
neso che non fanno parte del trattato potranno aderire al trattato di pace e
di alleanza, pur rimanendo autonome e conservando l’intera disponibilità
di se stesse e del loro territorio, a condizione di regolare le loro controversie con un arbitrato su di un piede di perfetta eguaglianza, secondo gli usi
stabiliti.
Tucidide (V sec. a.C.), Storia della guerra del Peloponneso.
942
Libera opzione delle persone
Si stava per iniziare il combattimento ma alcuni Corinti che si trovavano
sul posto intervennero e, presi arbitri dalle due parti, le misero d’accordo e
delimitarono i loro territori, essendosi convenuto che i Tebani lascerebbero
piena libertà a coloro tra i Beoti che non avessero voluto far parte della
società beota.
Erodoto (V sec. a.C.), Storia.
943
Diritto delle genti
Tutti i popoli civili sono governati in parte dal diritto comune a tutti gli
uomini e in parte dal diritto loro proprio. Poiché, quando una nazione si dà
delle leggi particolari, il loro insieme forma un diritto che è proprio di questa nazione; è ciò che si chiama il diritto civile. Ma il diritto che i lumi della
ragione hanno stabilito presso tutti gli uomini viene osservato egualmente
dappertutto e lo si chiama diritto delle genti perché obbliga tutte le nazioni.
Istituzioni di diritto di Gaio (150 d.C.), Roma.
944
Poiché le Leggi di ogni Stato sono riferite al suo vantaggio particolare;
il consenso di tutti gli Stati, o almeno del maggior numero possibile, ha
potuto provocare tra loro alcune leggi comuni. E sembra effettivamente
che siano state stabilite Leggi tali, da tendere all’utilità, non di questo o
di quell’altro Corpo in particolare, ma del vasto raggruppamento di tutti
questi Corpi. È quello che vien chiamato Diritto delle Genti, quando lo distingue dal Diritto Naturale. Carneade non conosceva affatto questa specie
di Diritto, poiché riduceva tutto ciò che si chiama Diritto al Diritto Naturale, e al Diritto particolare di ogni Stato. Voleva tuttavia trattare del Diritto
che ha luogo tra i Popoli; perché egli parla in seguito della Guerra e delle
Conquiste: pertanto non doveva certamente omettere il Diritto delle Genti.
È anche senza ragione che egli tratta la giustizia di follia. Perché, siccome, secondo la sua personale confessione, un Cittadino che si conforma
alle Leggi del suo Paese, non agisce in questo da pazzo, benché egli debba,
in considerazione di queste Leggi, astenersi da certe cose che sarebbero
vantaggiose a lui in particolare: analogamente, non sapremmo ragionevol-
Identità nazionale e indipendenza
459
mente considerare insensato un Popolo che non è tanto attaccato al suo
interesse particolare da calpestare, a causa di questo, le Leggi comuni degli
Stati e delle Nazioni. Il caso è precisamente lo stesso. Un cittadino che per
il suo tornaconto presente viola il diritto del suo paese, scalza con questo
le fondamenta del suo interesse perpetuo, e nello stesso tempo di quello
dei suoi discendenti. Un popolo che infrange il Diritto della Natura e delle
Genti rovescia così il bastione della propria tranquillità per l’avvenire. Ma
quand’anche non ci si ripromettesse alcuna utilità dall’osservare le Regole
del Diritto, sarebbe sempre saggio, e per nulla folle, di seguire ciò cui la
nostra natura ci porta (a seguire).
Hugo Grotius, II diritto della guerra e della pace, 1624, Olanda.
945
La guerra presso le formiche:
Sì, certamente noi ci battiamo, ma in nome di tutte le formiche.
Karel ÿapek (1890-1938), scrittore ceco.
946
UNIVERSALITÀ
L’uomo, origini e condizioni comuni
L’uomo è cittadino del mondo e Àglio di Dio
Se quanto dicono i ÀlosoÀ circa la parentela di Dio con gli uomini è
esatto, che cosa rimane ancora all’uomo, se non il ripetere la parola di
Socrate, quando gli veniva domandato di che paese era? Egli non diceva
mai di essere di Atene, o di Corinto, ma “del mondo”. Perché infatti
dire che sei di Atene, e non piuttosto di quel piccolo angolo della città
in cui il tuo povero corpo è stato gettato al momento della tua nascita?
Non è forse chiaro che il tuo nome di Ateniese o di Corinzio tu lo trai
da un luogo più vasto, che comprende non soltanto quell’angolo, ma la
tua intera casa e generalmente tutto lo spazio in cui sono stati generati
i tuoi avi sino a te? Quindi, colui che prende coscienza del governo del
mondo, che sa che la più grande, la più importante, la più vasta delle
famiglie costituisce l’insieme degli uomini di Dio, che Dio ha gettato
i suoi semi non soltanto in mio padre e nel mio avo, ma in tutto ciò
che nasce e cresce sulla terra, e principalmente negli esseri ragionevoli,
perché, essendo essi in relazione con Dio tramite la ragione, sono i soli,
per natura, a partecipare a una vita comune con Lui, perché un uomo
simile non potrebbe dire: io sono del mondo, sono Àglio di Dio? Perché
non temerebbe egli nulla di quanto accade tra gli uomini? È sufÀciente
essere parente di Cesare o di un personaggio potente di Roma per vivere
in completa sicurezza, stimato, e senz’aver nulla da temere; e il fatto
di aver Dio per creatore, per padre e per protettore, non ci sottrarrebbe
alla pena ed al timore! “Dove troverò da mangiare – si dice – io che non
ho nulla?”. “E gli schiavi fuggiaschi, su che cosa contano, lasciando i
loro padroni? Sui loro campi, sulla loro argenteria? Su nient’altro che
su se stessi. E tuttavia non manca loro di che vivere. Bisognerà dunque
che il Àlosofo, viaggiando attraverso il mondo, faccia assegnamento e
si appoggi su altri? Non spetta forse a lui di vigilare su se stesso? Sarà
egli più vile e più debole delle bestie prive di ragione, che bastano a se
462
Il diritto di essere un uomo
stesse, e non mancano né del nutrimento adatto a ciascuna, né dei mezzi
per vivere che rispondono alla loro natura?”.
Epitteto (I sec. d.C.), Colloqui.
947
Coloro che sono di buona famiglia, li rispettiamo e li onoriamo; quelli
che provengono da una casa meschina, non li rispettiamo e non li onoriamo; con questo noi ci comportiamo come dei Barbari gli uni nei confronti
degli altri. Il fatto è che, per natura, noi siamo tutti e in tutto identici per
nascita, Greci e Barbari; e si può constatare che le cose necessarie per necessità naturale sono comuni a tutti gli uomini [...]. Nessuno di noi è stato
distinto all’origine come Barbaro o come Greco: noi tutti respiriamo l’aria
con la bocca e le narici.
Antifonte (V sec. a.C.), Grecia.
948
Tse-lu interrogò il Maestro a proposito dell’uomo colto.
Il Maestro rispose: “Un uomo colto si perfeziona col rispetto”.
(Ci si può perfezionare solo col rispetto di se stesso e scatenando un’accanita lotta contro le proprie passioni.)
– Solo questo? – riprese Tse-lu.
– Egli perfeziona se stesso afÀnché gli altri uomini siano in pace, – disse
il Maestro.
– Solo questo? – domandò Tse-lu.
– Egli perfeziona se stesso perché tutta la gente del popolo sia in pace.
Questo è quanto Yao e Ciu-En facevano fatica a raggiungere, – concluse
il Maestro.
(Yao e Ciu-En erano due santi re della più remota antichità cinese)
Confucio (551-479 a.C.), Discorsi, Cina.
949
Unità d’origine
Allora Jahve Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e sofÀò nelle
sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente.
Bibbia ebraica, Genesi, 2.
950
Ambrogio, vescovo di Milano, all’imperatore Teodosio, dopo il massacro di Tessalonica:
“Senza dubbio è la potenza imperiale che ti impedisce di conoscere la
tua colpa, e la tua potenza sovrana oscura la tua ragione. Devi tuttavia pensare quanto è fragile e passeggera la natura umana, e che noi tutti dobbiamo
tornare alla polvere da cui siamo usciti”.
Secondo Teodoreto, vescovo di Cyr, Storia della Chiesa, (circa
450).
951
Universalità
463
Tutti gli uomini sono come un uomo solo nella misura in cui si incontrano nella natura che essi hanno ricevuto dai progenitori.
San Tommaso d’Aquino (XIII sec.), Summa theologica.
952
La Bibbia racconta come il faraone insegue gli Ebrei Àn nel deserto;
essi sono spinti verso il mare. Dio apre il mare, fa passare gli Ebrei e annega gli Egiziani nei Áutti. Mosè intona un inno a Dio. Il Talmud vi aggiunge
queste parole:
Nel momento in cui Mosè intonò il suo inno, gli angeli si misero
anch’essi a cantare; ma l’Altissimo, – sia benedetto il Suo Nome – disse
loro: “Le opere della mia mano annegano nel mare, e voi volete cantare
dinanzi a me?”.
Talmud, Sanhedrin, 39.
953
Tu unisci tra loro i cittadini, i popoli – che dico? l’intero genere umano,
mediante la credenza nella comunanza della nostra origine, per modo che,
non contenti di associarsi, gli uomini divengano, per così dire, dei fratelli.
Sant’Agostino (IV sec.), Inno alla Chiesa.
954
Vi era in Gesù Cristo l’uomo intero. Pertanto il suo corpo, strumento
del Verbo, ha compiuto in se stesso tutto il mistero della nostra redenzione.
Parlando della città, Gesù indica la carne che aveva assunto: come una
città è composta da una moltitudine e varietà di abitanti, allo stesso modo –
per mezzo di questo corpo che ha assunto – è contenuto tutto il genere umano. Con questa specie di riunione in Lui di tutti gli uomini, Egli è come una
città, e noi, mediante la nostra unione alla Sua carne, ne siamo gli abitanti.
Ilario di Poitiers vescovo (IV sec.), Commento al Vangelo di San Matteo.
955
Il rabbino Meir disse: “La polvere con cui è stato fatto il primo uomo è
stata raccolta in tutti gli angoli del mondo”.
Talmud, Babli.
956
Dignità naturale di ogni uomo
Quando la Sacra Scrittura dice “Dio creò l’uomo”, con questa formula
indeterminata egli si riferisce a tutta l’umanità. Infatti, in questa creazione
Adamo non è nominato, come farà in seguito la storia: il nome dato all’uomo
creato non è “il signor X”, oppure “il signor Y”, ma quello dell’uomo universale. Quindi, con la designazione universale della natura, noi siamo condotti
a supporre qualcosa di questo genere: mediante la prescienza e la potenza
divina, è tutta l’umanità che viene abbracciata in questa prima istituzione.
464
Il diritto di essere un uomo
Invero, necessariamente, nulla è per Dio indeterminato negli esseri che
hanno derivato da Lui la loro origine, ma ciascuno ha i suoi limiti e la sua
misura, circoscritti dalla saggezza del suo autore. Come quel determinato
uomo in particolare viene delimitato dalla grandezza del suo corpo e la sua
esistenza è misurata dalla grandezza che risponde esattamente alla superÀcie
del suo corpo; analogamente io penso che l’insieme dell’umanità è contenuto
come in un solo corpo, grazie alla “potenza presciente” che Dio ha su tutte le
cose. È quanto vuol dire la Sacra Scrittura, quando dice che “Dio creò l’uomo e lo fece ad immagine di Dio”. Poiché non è in una parte della natura che
si trova l’immagine: non più di quanto la bellezza risiede in una qualità particolare di un essere, ma è su tutta la razza che si estende ugualmente questa
proprietà dell’immagine. Lo dimostra il fatto che lo spirito abita similmente
in tutti e che tutti possono esercitare il loro pensiero, le loro decisioni o quelle
altre attività mediante le quali la natura divina viene rappresentata presso colui che è fatto a Sua immagine. Non vi è differenza tra l’uomo che è apparso
al momento della prima apparizione del mondo e quello che nascerà quando
tutto Ànirà: tutti recano ugualmente l’immagine divina.
Per questo, un solo uomo ha servito a designare l’insieme, perché – per
la potenza di Dio – non esiste né passato né futuro, ma sia ciò che deve
accadere che quanto è passato sono ugualmente sottomessi alla sua attività che abbraccia il tutto. Anche tutta la natura, che si estende dall’inizio
Àno alla Àne, costituisce un’immagine unica di colui che è. La distinzione
dell’umanità in uomo e donna, secondo me, è stata fatta per la ragione dirò,
aggiunta in soprappiù dopo il momento della modellazione primitiva.
Gregorio di Nicea vescovo (IV sec.), La creazione dell’uomo, Asia Minore.
957
I Gentili che si allineano tra i giusti sono dei sacerdoti di Dio. Ne prendo
a testimoni il cielo e la terra: ognuno – Ebreo o Gentile, uomo o donna, servo o serva – può agire in modo tale che lo Spirito Divino si poserà su di lui.
Midrash Yalkut.
958
Unità degli uomini nel Cristo
Poiché quanti foste battezzati nel Cristo, avete rivestito il Cristo: non
conta più l’essere giudeo o greco, né l’essere schiavo o libero, né l’essere
uomo o donna; poiché voi tutti siete un essere in Cristo Gesù.
Nuovo Testamento, San Paolo, Epistola ai Galati, III.
959
Il Verbo ha abitato in tutti mediante uno solo
Ma Giovanni afferma utilmente che “il Verbo ha abitato in noi”, per svelarci un altro profondo mistero, cioè che tutti noi eravamo nel Cristo e che
Universalità
465
in Lui è ritornata alla vita la persona comune dell’umanità. Poiché Egli è
chiamato “l’ultimo Adamo” per il fatto che ha arricchito la comunità della
natura di ogni felicità e gloria, allo stesso modo che il primo Adamo aveva
fatto per la corruzione e la vergogna” [...].
Nel Cristo dunque è veramente liberata la razza schiava, che viene
innalzata all’unione mistica con colui che porta la forma di schiavo, (ed
essa è liberata) in noi a causa dell’imitazione di colui che è Unico, grazie
alla parentela secondo la carne. Per quale altro motivo avrebbe egli preso
(origine) dal seme di Abramo, e non da quello degli angeli, se non per
poter “assimilarsi in tutto ai suoi fratelli” ed essere veramente uomo?
Oppure non è forse evidente agli occhi di tutti che Egli si è abbassato alla
condizione di schiavo senza trarne alcun proÀtto per sé, ma solo per farci
dono di se stesso, alÀne di arricchirci della sua povertà, innalzati a causa
della nostra rassomiglianza con lui, al suo bene personale ed eccellente,
afÀnché apparissimo, attraverso la fede, al tempo stesso, dei e Àgli di
Dio?
Cirillo di Alessandria (V sec.), Commento di Giovanni.
960
Tutti gli esseri umani formano un solo corpo e una sola comunità.
Guglielmo di Ockham (circa 1280-1349), Inghilterra.
961
Unità dell’umanità
Non vi sono differenze tra le varie classi di uomini. Il mondo intero è di
origine divina.
Mahâbhârata, tradizione indi.
962
Che tutti possano bere e mangiare in comune.
Rigveda, tradizione indi.
963
Costui è dei nostri, oppure non lo è. Tale è il punto di vista delle mentalità meschine. Le grandi anime, invece, hanno in verità, per famiglia l’intera
terra.
Subhâsita-Ratnabhândâgâra, tradotto dal sanscrito.
964
Ogni paese è la mia patria, ogni uomo è mio fratello.
Tradizione dell’epoca sangam, tradotto dal tamil.
965
Non esiste che una sola casta: l’umanità.
Pampa (IX sec.), tradotto dal canara, India.
966
466
Il diritto di essere un uomo
Se Dio avesse aizzato gli uomini gli uni contro gli altri, sarebbero crollati i monasteri, le chiese, le moschee e quei luoghi di preghiere in cui il
nome di Dio è così spesso invocato.
Corano, Al-Hadj, 40.
967
A chiunque reca danno a un non-musulmano io dichiaro guerra.
Hadith (Detti del Profeta).
968
O uomini, temete il vostro Signore che vi ha creati a partire da una sola
(e medesima) anima.
Corano, An-Nissa’, 1.
969
Tutti gli uomini sono eguali come lo sono i denti del pettine. Nessun
Arabo può pretendere di essere superiore a uno straniero (non arabo) se
non per la sua pietà. Non è dei nostri colui che predica il razzismo.
970
Hadith (Detti del Profeta).
Tutti gli uomini sono fatti della medesima pasta.
Proverbio rumeno.
971
Ben Azzai diceva: “Non disprezzate nessuno e non respingete nulla, poiché per tutti gli uomini un giorno suona l’ora e ogni cosa ha il suo posto
nel mondo”.
Talmud, Avot, 4.
972
Se Dio lo avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola nazione; la vostra
divisione è sopraggiunta per mettervi alla prova; gareggiate nelle buone
azioni e tutti voi farete ritorno a Dio, che vi illuminerà su quanto (ora) vi
divide.
Corano, Al-Maïda, 53.
973
L’uomo
Io vi annuncio qui questa dottrina segreta: nulla, in verità, è più eccellente dell’umanità.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 974
Tra gli esseri, i migliori sono i viventi; tra i viventi, i migliori sono quelli
che possiedono l’intelligenza; e tra quelli che possiedono l’intelligenza, gli
esseri umani.
Manusmriti, I. II sec. a.C, I sec. d.C., tradotto dal sanscrito.
975
Universalità
467
Tutti gli esseri desiderano nascere in quanto uomini, sempre e ovunque.
Mahâbhârata, XII (II sec. a.C. - I sec. d.C.), tradotto dal sanscrito. 976
La vita umana è in verità difÀcile da raggiungere.
Uttaràdhyàyana-Sûtra, X (III sec. a.C. - VI sec. d.C.), tradotto dal
praerilo.
977
In un uomo, in verità, comincia l’embrione. Il seme dell’uomo è fatto
del vigore accumulato, che proviene da tutte le sue membra. Pertanto, in
noi stessi portiamo noi stessi. Quando l’uomo emette questo seme in una
donna, egli genera il se stesso di cui rappresenta la prima nascita. Questo
se stesso costituisce solo più una unità con la donna, diventa una delle sue
membra. Non le fa quindi male. Essa nutre questo se stesso dell’uomo che
è entrato in lei. Ella, la nutrice, ha diritto al nutrimento. È lui, l’uomo, che
la donna porta come embrione. È lui che nutre il bambino Àn dalla sua nascita. Nutrendo il bambino a partire dalla sua nascita, egli nutre (in realtà)
se stesso, afÀnché questo mondo si perpetui, perché è in questo modo che
il mondo si perpetua. È la seconda nascita del sé.
Aitareya Upanishad, II (VII-VI sec. a.C.), tradotto dal sanscrito.
978
(Il sofÀo vitale) si muove nelle divinità (cioè gli organi dei sensi) quale
embrione. Essendosi diffuso (una volta) giunto all’esistenza, esso nasce, in
verità, una seconda volta. Egli è ciò che è stato, ciò che diverrà e ciò che
sarà. Egli, il padre, risiede nel Àglio coi suoi poteri. Lui, che è il signore di
tutte le cose nate e di tutte le cose che si muovono – a te, quale sei, arciere
rapido tra tutti, o sofÀo vitale – sia reso omaggio!
Atharvaveda (2200-1800 a.C.), tradotto dal sanscrito.
979
Un popolo non è diverso da un altro, se non per i suoi usi e costumi.
Proverbio turco citato nel XV sec.
980
L’uomo è più duro del ferro, più solido della pietra, e più fragile della
rosa.
Gli animali (si riconoscono tra loro) Àutandosi; gli uomini (si intendono)
scambiando delle parole.
Proverbi turchi.
981
Per coloro che amano di vero amore Dio-Verità, gli abitanti del mondo
intero sono come veri fratelli.
Il mio peccato? Eccolo: ho detto che i settantadue popoli diversi, costituiscono, tutti, una sola verità.
468
Il diritto di essere un uomo
Chi sente (il profumo) dell’amore non ha più bisogno né di religione, né
di patria. Chi considera il proprio essere come un nulla, può forse distinguere tra le religioni e le sette?
Ho trovato colui che cercavo, palese nell’anima dell’uomo. Egli non
cessa di desiderare di liberarsi e di sfuggire dal corpo nel quale è rinchiuso.
È lui che ha legato il talismano; lui che parla in tutte le lingue; lui che
né il cielo né la terra possono contenere, ed è venuto ad abitare nell’anima
dell’uomo.
È lui che ha fatto costruire delle case di carità per i poveri, delle ville e
dei palazzi; lui che, con una maschera nera sul volto, si affacenda dinanzi
al fornello di un bagno pubblico.
O Yunus, le tue parole hanno un signiÀcato profondo per coloro che
sanno decifrarle; esse dureranno dopo di te: verranno tempi in cui saranno
ancora pronunciate.
Yunus Emre, poeta popolare del XIII sec., Turchia.
982
Tutti gli uomini sono una stessa cosa davanti a Dio: Tartari e Germani
e gli altri popoli [...]. Se qualcuno è dotato come noi di ragione, egli è, in
spirito, nostro fratello o nostro Àglio.
Teodosij Kosoj, servo divenuto monaco condannato per eresia nel 1514,
Principato di Moscovia.
983
AUGURI DEGLI ANTENATI QUICHÉ
Oh Zacol, Bitol, Creatore, Modellatore, Guardaci, ascoltaci!
Non lasciarci, non abbandonarci. O Signore, che stai nei cieli e sulla terra,
Cuore dei cieli, cuore della terra! Dacci dei Àgli,
Dei discendenti,
Che il sole ruoti e ci dia la luce.
Arrivi l’alba, venga il giorno!
Dacci buone strade,
Delle strade ben livellate,
Che i popoli vivano in pace,
Dà loro la prosperità,
Dacci una buona vita ed un’esistenza utile!
Popol Vuh (Libro sacro dei Quiché), Guatemala.
984
Il senso della vita
Esortazione azteca a una ragazza
Eccoti, Àgliola mia, mia preziosa collana, mia acconciatura di piume, mia
opera umana, nata da me. Tu sei il mio sangue, il mio colore, la mia immagine.
Universalità
469
Ascolta bene e cerca di capire: tu sei viva, tu sei nata; nostro Signore, il padrone del Vicino e del Lontano, il creatore dei popoli, l’inventore
dell’uomo, ti ha mandata sulla terra.
Ed ora che tu cominci a guardarti d’attorno, bisogna che tu lo sappia:
quaggiù non c’è felicità, non c’è piacere. Vi sono soltanto dolori, preoccupazioni, fatiche. Qui nascono e crescono la sofferenza e la miseria.
La terra è un luogo di lamenti, l’angolo in cui logoriamo le nostre forze,
dove conosciamo a fondo l’amarezza e lo scoraggiamento. Un vento sofÀa,
tagliente come l’ossidiana, quando passa su di noi.
Si dice, con ragione, che siamo bruciati dalla forza del sole e del vento.
La terra è il luogo in cui si è sempre sul punto di morire di sete e di fame.
È così che accade quaggiù.
Ascoltami bene, bimba mia, Àglioletta mia: sulla terra non esiste alcun
benessere, non vi si trova né felicità, né piacere. Si dice che sulla terra il
piacere è sofferenza, e la felicità, dolore.
Gli anziani hanno sempre detto: afÀnché non passiamo il nostro tempo a
gemere, afÀnché non siamo pieni di tristezza, il Signore ci ha dato il ridere,
il sonno, il nutrimento, nostra forza e nostro coraggio, e alla Àne l’atto della
procreazione!
Ecco ciò che addolcisce la vita sulla terra e il perché noi non gemiamo
ininterrottamente. Ma anche in queste condizioni, anche se è vero che noi
non troviamo dappertutto altro che sofferenza, e che le cose stanno così
sulla terra, nonostante tutto, perché avremmo poi paura? Dobbiamo forse
vivere nel timore? Dobbiamo forse vivere tra le lacrime?
Perché – tu lo sai – vi è anche la vita sulla terra, vi sono i signori, vi è
l’autorità, vi è la nobiltà, vi sono delle aquile e delle tigri e dei cavalieri. E
chi ripete ininterrottamente che le cose stanno così sulla terra? Chi cerca di
porre Àne alla propria vita? Esistono anche l’ambizione, la lotta, il lavoro.
L’uno cerca una moglie, e l’altra cerca un marito!
Tradizione azteca (XV sec.), Messico.
985
Son venuto, amici miei,
Vi allaccio collane,
Vi orno di piume d’ara;
Come un uccello prezioso mi vesto di piume,
Mi copro d’oro,
Abbraccio l’umanità.
Con le piume tremule del Quetzal,
In mezzo a ritornelli di canzoni,
Mi offro alla comunità.
Vi condurrò con me Àno al palazzo
Dove tutti,
470
Il diritto di essere un uomo
Un giorno,
Tutti dovremo recarci,
Nell’impero dei morti.
Perché la vita non è stata che un prestito.
Canto azteco (XV sec.), Messico.
986
Riuniamo qui gli amici!
È il momento di conoscere i nostri volti.
Solamente coi Àori
I nostri canti potranno incantare.
Quando saremo partiti per la sua Dimora,
Le nostre parole,
Vivranno per sempre sulla terra.
E partendo lasceremo
Le nostre pene e le nostre canzoni.
Perché, sappiatelo bene, le nostre canzoni rimarranno.
Noi avremo raggiunto la sua Dimora,
ma le nostre parole
Continueranno a vivere sulla terra.
Canto azteco (XV sec.), Messico.
987
Si viene ad ammirare il pitone, si viene ad ammirare il leopardo; e pitone
e leopardo, nessuno di loro che non sia maestoso.
Quando si uccide un pitone, gli uomini vanno a vedere e quando si
uccide un leopardo, si va anche ad ammirare; perché entrambi sono animali nobili.
Accade la stessa cosa presso gli uomini; che la donna partorisca una
Àglia o che metta al mondo un Àglio, fa lo stesso: tutti e due sono esseri
umani. Che un uomo sia ricco o che sia povero, noi dobbiamo fare amicizia
con tutti e due; entrambi sono uomini.
Che una sposa sia bella o brutta, ella ti cura, ti prepara il nutrimento [...].
………
Le terraglie per la cottura (dicono): “È il colore che ci fa scegliere”.
Tutti questi recipienti hanno subito la medesima cottura, nel medesimo
forno, tuttavia sono diversi tra loro: il colore prende meglio sull’uno che
sull’altro e gli acquirenti scelgono gli uni a preferenza degli altri, a causa
di questo colore più o meno bello.
Analogamente, per i Àgli di medesimi genitori: sono diversi e riescono
diversamente, nonostante la loro origine comune, a causa delle differenze
nella loro condotta, nelle loro qualità e difetti.
Proverbi mongo, Congo.
988
Universalità
Tutti gli uomini sono Àgli di Dio; nessuno è Àglio della Terra.
Tutti gli uomini hanno una testa, ma le teste sono diverse.
Proverbi akan, Ghana.
471
989
Il fratello si mastica, non s’inghiotte. (Limiti imposti a ogni ostilità
tra gli uomini per il fatto che sono fratelli).
Proverbio zerma-sonraï, Africa.
990
Il mondo è una grande città
Tutti gli uomini sono collegati fra loro e partecipano meravigliosamente
alla Repubblica universale.
Tutti i regni, imperi, tirannie o repubbliche della terra sono riuniti da
un legame che non è altro se non l’autorità della ragione o del diritto delle
genti. Donde risulta che questo mondo è come una grande città, e tutti gli
uomini sono, si direbbe, colati in un medesimo diritto, afÀnché comprendano che sono tutti del medesimo sangue e sotto la protezione di una medesima ragione. Ma perché quest’impero della ragione è sprovvisto di potere
di costrizione e non saprebbe riunire in una sola repubblica tutte le nazioni
esistenti. Per questo i principi hanno fatto ricorso alle armi e ai trattati.
Jean Bodin, La Repubblica, 1576, Francia.
991
Il genere umano, benché suddiviso in popoli e in reami diversi, non è per
questo meno una unità, non solo speciÀca, ma anche, per così dire, politica
e morale. Questa unità risulta dal precetto naturale dell’amore reciproco e
della misericordia, precetto che si estende a tutti, perÀno agli stranieri, di
qualunque condizione siano. Per questo, ogni Stato sovrano, repubblica o
regno, benché completo e saldo in sé, è nondimeno al tempo stesso in un
certo modo membro di questo universo, in quanto riguarda il genere umano. L’esperienza dimostra che nessun Stato potrà mai essere autosufÀciente al punto da non aver bisogno di nessun appoggio, di associazione e di
rapporti reciproci, sia per il suo benessere e per scopi di utilità, sia per una
necessità e un bisogno morale. Gli Stati hanno quindi bisogno di un diritto
che li diriga e li governi, in questo genere di comunità e di società. Senza
dubbio, da questo punto di vista la ragione naturale fa molto, ma non basta
a tutto; e così dei diritti speciali hanno potuto introdursi con l’abitudine
nelle varie nazioni. Perché, proprio come in uno Stato o in una provincia,
l’usanza introduce il diritto, così il diritto delle genti ha potuto introdursi
attraverso i costumi in tutto il genere umano.
Francisco Suarez, Trattato sulle leggi e su Dio legislatore (Àne XVI
sec.), Spagna.
992
472
Il diritto di essere un uomo
L’umanità, un solo organismo
Conviene considerare l’insieme dell’umanità come un solo organismo
e un popolo come uno delle sue membra. Un dolore che colpisce la punta
d’un dito fa soffrire l’intero organismo. Se un (certo) punto del mondo è in
preda ad un male, guardiamoci dal dire “Che m’importa?”. Importa invece
che noi ci interessiamo a quel male, proprio come lo faremmo se esso si
manifestasse in mezzo a noi. Per quanto lontano possa essere il teatro di un
incidente, noi non dobbiamo mai dimenticare questo principio.
Kemal Atatürk, 1937.
993
La stessa vita in tutti
Non voglio soltanto arrivare alla fraternità o all’identità con gli esseri
cosiddetti umani; voglio identiÀcarmi con tutto ciò che vive, perÀno con
le bestie che strisciano sul suolo. A rischio di urtarvi, voglio identiÀcarmi
perÀno con le bestie che strisciano sul suolo; perché noi pretendiamo di
discendere dal medesimo Dio, e, stando così le cose, la vita è, nella sua
essenza, unica, sotto qualsiasi forma essa si presenti.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
994
Il mondo intero in ogni uomo
È proprio sull’ahimsa (non-violenza) che riposa la ricerca della verità.
Io capisco ogni giorno di più che questa ricerca è vana se non si basa sull’ahimsa. È perfettamente giusto lottare contro un sistema e resistergli, ma
lottare contro chi lo ha creato e resistergli, equivale a lottare contro se stessi
e resistere a se stessi. Poiché siamo tutti tagliati sul medesimo modello, noi
siamo i Àgli di un solo e medesimo Creatore, e a questo titolo la potenza
divina che è in noi è inÀnita. Disprezzare un solo essere umano, signiÀca
disprezzare questa potenza divina, e così far torto non soltanto a questo
essere umano ma, attraverso lui, al mondo intero.
Mahâtma Gandhi (1869-1948).
995
Fraternità
Legami umani in piena battaglia
L’Acheo Diomede, Àglio di Tideo, e Glauco il Licio, Àglio di Ippoloco,
l’uno di fronte all’altro si riconoscono e riconoscono i legami di ospitalità
che legano le loro famiglie:
Universalità
473
Allegrossi di Glauco alle parole il marzial Tidide, e l’asta in terra conÀccando, all’eroe dolce rispose:
“Un antico paterno ospite mio, Glauco, in te riconosco. Eneo, già tempo,
ne’ suoi palagi accolse il valoroso Bellerofonte, e lui ben venti interi giorni
ritenne, e di bei doni entrambi si presentirò. Io dunque sarotti in Argo ed
ospite ed amico, tu in Licia a me, se nella Licia avvegna ch’io mai porti i
miei passi. Or nella pugna evitiamci l’un l’altro. Assai mi resta di Teucri e
d’alleati a cui dar morte, quanti a’ miei teli n’offriranno i numi, od il mio
pie ne giungerà. Tu pure troverai fra gli Achivi in chi far prova di tua prodezza. Di nostr’armi il cambio mostri intanto a costor che l’uno e l’altro
siam ospiti paterni”. Così detto, dal cocchio entrambi dismontàr d’un salto,
strinser le destre, e si dièr mutua fede.
Omero (IX sec. a.C.), Iliade, traduzione di Vincenzo Monti.
996
Supplica di Priamo vinto ad Achille vincitore, per ottenere la restituzione del cadavere di Ettore, suo Àglio:
“Al padre tuo, divino Achille, or pensa, al padre anch’egli, com’io sono,
annoso e di vecchiezza su la trista soglia! Ed or forse anche a lui genti
vicine premono intorno, né v’è alcun che possa tenergli lungi il danno e la
rovina; pur egli, udendo che tu ancor sei vivo, nel cuor si allieta, ed ogni
nuovo giorno sempre spera che rèduce da Troia si vedrà innanzi il suo diletto Àglio! Miserrimo son io, che tanti Àgli e sì forti nell’ampia IIIo creai,
né alcuno, credo, più me ne rimane! Io cinquanta ne avevo, allor che i Àgli
qui venner degli Achei: ben diciannove dal grembo stesso mi eran nati;
agli altri avean data la luce altre mie donne nella mia casa. A molti già di
questi sciolse l’impetuoso Are i ginocchi; e quello ch’era l’unico fra tutti
e che d’IIIo e di tutti era difesa, quello, l’Ettore mio, tu l’uccidesti mentre
per la sua patria ei combatteva! Per lui, per riscattarlo, or alle navi degli
Achei son venuto, e immenso prezzo io te ne porto. Ai Numi abbi rispetto,
Pelìde, ed abbi a me misericordia, al tuo padre pensando! Io più di lui di
pietà sono degno, io che sostenni, come non mai alcuno dei mortali sopra