il corpo tra formazione e scuola

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il corpo tra formazione e scuola
IL CORPO TRA FORMAZIONE E SCUOLA
Sommario: 1. Il sé come corpo - 2. Il corpo come dispositivo pedagogico - 3. A scuola con il corpo.
1. IL SÉ COME CORPO
Il corpo funge da catalizzatore dei vari livelli dell’essere, poiché è il simbolo di una presenza/assenza del
soggetto e manifesta la sua concretizzazione, l’ombra della sua esistenza, la radicale manifestazione dell’io. Nella
sua storia il corpo, per un verso si sfa, è mortale, provvisorio; per un altro verso è determinante, generativo,
riproduttivo. Ovvero, recepisce e genera, patisce e agisce, sottostando comunque all’assunto preliminare
dell’essere destinato a perire. La coscienza non si dà mai nell’isolamento, ma si afferma sempre attraverso la
corporeità dell’io, giacché il corpo rappresenta l’inserzione della coscienza nel mondo e del mondo nella
coscienza. L’osmosi tra corporeità ed esistenza costituisce (sul versante della spazialità, della motilità, della
sessualità e dell’espressione) un fatto originario, chiasmatico e permanente della soggettività, poiché tutte le
nostre azioni sono azioni del corpo. L’altro da sé, il mondo, l’ambiente vitale, lo spazio, il tempo vengono filtrati
e interpretati dalla corporeità. Così, l’essere si manifesta nella struttura della presenza e del divenire corporei.
Inoltre, il riconoscimento che dal corpo derivano le istanze di socializzazione (per cui l’esistenza umana
diventa co-esistenza tra mente e corpo) coincide con la presa di coscienza del corpo: si pensi al corpo infantile, a
quello adolescenziale, maturo, disciplinato, intenzionato, immaginato, rimosso, censurato, governato. Con un po’
di enfasi potremmo dire che si è condannati ad essere nel corpo: esso è il nostro rifugio e la nostra prigione, è la
forma dell’essere se stessi, in quanto in ogni momento il corpo esprime l’esistenza, non perché esso è un
accessorio esteriore, ma perché l’esistenza si realizza in/con esso. Nessuno si salva nel corpo e nessuno può
abbandonarlo completamente; in qualche modo, il corpo rappresenta una sorta di “traduzione” dell’essere
originale.
Per queste ragioni occorre trovare il modo per “mettere in scena” il nostro corpo vivente, vissuto,
soggettivo. È necessario, cioè, sperimentare (soprattutto col contributo dell’educazione e della formazione) le
qualità interne, l’attenzione, la concentrazione, ma anche il dialogo, la relazione, l’empatia laddove il corpo è
totalmente in gioco. E lo è in quanto noi siamo innanzitutto corporeità, ci rappresentiamo attraverso il corpo che
costituisce, governa e orienta la nostra biografia. Si pensi al nostro “album di famiglia”, ai ricordi di casa, alle
memorie d’infanzia, ai lessici famigliari, alle caratteristiche fisiche e corporee, come pure agli odori, ai sapori, ai
suoni, alle immagini che hanno contraddistinto la nostra vita interiore. Tutto ciò si realizza mediante il ricordo
dei volti e dei corpi che ci hanno generato, abbracciato, punito, accarezzato, circondato, etc. Il nostro “album” è
fatto di corpi, ognuno in una posa diversa, che abbiamo conosciuto e frequentato, di cui abbiamo sentito parlare.
Ciò che chiamiamo “memoria” o “ricordo” non è, pertanto, separabile dalla percezione mediata tramite la
corporeità. Il corpo, in questo ambito, si rende disponibile come theatrum memoriae, ovvero come repertorio di
storie, di segni, di cicatrici, di impronte, di macchie, di stigmi.
2. IL CORPO COME DISPOSITIVO PEDAGOGICO
La corporeità, oltre che in tutti gli aspetti della cultura contemporanea, si è affermata come luogo
seducente di molteplici discorsi pedagogici. Si tratta, in effetti, di una dimensione fondamentale che entra in
gioco riguardo a qualsiasi processo formativo che, prima di tutto, si inscrive in esso. La vastità fenomenologica e
la complessità pluridisciplinare in cui la corporeità risulta tematizzata/tematizzabile sono tali da impedire, in uno
spazio ristretto, perfino un elenco sommario dei principali e svariati aspetti referenziali che sono maggiormente
ricorsi in essa.
Qui si tratta di ricordarne solo alcuni che sembrano risultare tra i più significativi per la teorizzazione
pedagogica. L’educazione, per esempio, consiste anzitutto in un sistema di tecniche che fondano la loro efficacia
e la loro materialità in un sistema di corpi. Nel contempo la corporeità acquisisce forme antropologiche
determinate dal sistema di tecniche con cui interagisce. Il corpo, rappresenta il carattere originario di dispositivo
strutturale, storicamente dato per molteplici applicazioni caratterizzate da intenti formativi determinati. Infatti,
riflettendo sull’oggetto pedagogico come apparato tecnico e metodologico (in rapporto alla sua costitutiva
materialità e alla sua primaria destinazione corporale) si è rinviati ad una più profonda considerazione di tale
oggetto e della sua fisicità. Allo stesso modo il regime simbolico relativo alla spazialità e alla temporalità
dell’accadere educativo, va riportato alle determinazioni esistenziali che, di fatto, si istituiscono agendo sul corpo
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e tramite il corpo. Così, la corporeità costituisce il perno di strutturazione/generazione del dispositivo che rende
possibile (in maniera non intenzionale, ma anche secondo strategie progettate/organizzate) l’interazione tra
organismo, personalità, cultura, società, etc., attraverso i processi di maturazione, inculturazione, apprendimento,
socializzazione, istruzione.
La questione della ri-appropriazione del corpo costituisce un nodo fondamentale della svolta culturale
che si è prodotta nel corso del XX secolo, a seguito della forte rivincita della soggettività. Una svolta dettata da
una giustificata reazione nei confronti della mortificazione del corpo e dell’espropriazione della natura tipiche del
passato. L’esperienza che l’uomo fa oggi del corpo è un’esperienza di lacerazione e di conflitto. Infatti, da un lato
è ancora largamente presente, a livello di coscienza collettiva, o più profondamente di sub-coscienza
l’atteggiamento tabuisitico-repressivo, frutto di una cultura e di un’educazione i cui archetipi sono radicati in
stratificazioni, verrebbe da dire, ancestrali. Dall’altro lato, invece, domina un atteggiamento permissivoconsumistico che tende a ridurre il corpo a oggetto e/o merce di scambio. La coesistenza di questi opposti
atteggiamenti provoca frustrazione e alienazione, aggravate dal fatto che spesso i vissuti personali sono
contrassegnati dalla difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra l’uno e l’altro. Non meno complessa, del resto, è la
situazione nel campo della ricerca scientifica. Le scienze umane e quelle biologiche hanno contribuito in misura
determinante a evidenziare le dinamiche soggiacenti alla corporeità e a mettere a fuoco le interazioni esistenti tra
il corpo e la psiche dell’uomo.
Anche se il moltiplicarsi degli approcci e la tendenza a radicalizzare i diversi contributi, a causa delle precomprensioni epistemologiche e dei pre-giudizi ideologici, rendono arduo il tentativo di una lettura unitaria,
potremmo dire che, paradossalmente, tanto più la corporeità umana è studiata quanto più emerge nella sua
enigmaticità e irriducibilità.
Nel suo porsi di fronte al processo educativo/formativo, la storia biografica dello studente rinvia sempre
a un corpo specifico, proprio, unico, irripetibile. In particolare, i bisogni comunicativi degli adolescenti non
possono prescindere da esso e dai suoi codici espressivi. Infatti, in nessun’altra fase dello sviluppo può succedere
di amare/odiare con tanta passione il proprio corpo, né accade di usarlo con tanta devozione e competenza come
luogo ove forgiare un proprio sentimento di identità oppure di utilizzarlo come ambito in cui “incidere” i
messaggi da inviare a quel mondo come rappresentazione (di sé) che si sta via via mettendo a fuoco. Non sfugga,
a tale proposito, che l’essere non è che il corporeo in cui i soggetti si annunciano gli uni agli altri, in quanto tali.
Laddove la parola non riesce ad arrivare, la presenza permane nell’inflessione del tono della voce, nella scelta del
gesto, nella mimica del volto, nel movimento degli occhi. Non di rado le difficoltà di apprendimento nascono
proprio da una mancata risposta ai messaggi del corpo, da una scarsa sensibilità nei confronti di quei canali che
non possono essere ricondotti alle classiche categorie della logica linguistico-matematica.
3. A SCUOLA CON IL CORPO
Se la cultura novecentesca ha riscoperto la centralità del corpo (una riscoperta plurale che ha coinvolto
vari aspetti, da quelli psichici a quelli biologici, da quelli sociali a quelli culturali, etc.), contemporaneamente la
tradizione gentiliana ha mantenuto al centro della scuola la dimensione cognitiva, nozionistica, valutativa,
verbalistica, trasmissiva. Nella scuola ha prevalso, soprattutto nel passato, questa visione del processo
educativo/formativo centrato sul controllo del soggetto e sulla rimozione dei vissuti personali. Un osservare,
schedare, sorvegliare, punire che sostanzialmente nasconde, dietro il moltiplicarsi delle analisi, un puro scopo
difensivo. In questo modo gli studenti finiscono per essere “emarginati” dal processo formativo, anche se,
contemporaneamente, le discipline si appropriano di alcune parti del corpo: la testa, l’occhio, la mano, etc.
Nel corso del XX secolo si è tentato di rompere con questo approccio frammentario della conoscenza.
Una stagione che può essere sintetizzata con uno slogan – “a scuola con il corpo” – che ben esprime l’esigenza di
un fare-educazione attento alla soggettività integralmente intesa. Fu l’avvio dei laboratori nelle scuole, di una
didattica che faceva proprie le istanze maturate dal movimento della cosiddetta “pedagogia attiva”, sviluppatasi
tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, in polemica con l’educazione umanistica
tradizionale. Da Dewey a Bovet, da Decroly a Claparède, da Ferrière alla Montessori, si sosteneva che la scuola
avrebbe dovuto esercitare l’intelligenza sulla concreta esperienza della realtà. I laboratori prevedevano il
collegamento fra le attività di studio e la riflessione sull’esperienza di vita, facendo ricorso alla scienza, ma anche
all’arte, alle tecnologie di incontro e di confine tra mente e corpo, per consentire lo sviluppo di un forte senso
critico. In Italia l’attivismo fu rappresentato dal Movimento di Cooperazione Educativa, che si rifaceva alle
proposte di Freinet, tra i primi a promuovere il lavoro sul testo libero, direttamente legato alle esperienze dei
bambini, che lo impaginavano, lo stampavano, lo distribuivano, etc. Un vero incontro del mondo della scuola
con il mondo della vita, piuttosto che con un mondo astratto. Un “corpo a corpo” con l’esperienza del
conoscere.
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Tuttavia, è stata una breve stagione, che non è durata a lungo. Infatti, già negli anni Sessanta, con il
cognitivismo, c’è stato un ritorno all’ordine, ovvero alla centralità del mentale e dell’apprendimento basato su
competenze meramente cognitive. Il didatticismo docimologico, che ha seguito prevalentemente un approccio
quantitativo, finalizzando la propria azione all’individuazione di percorsi didattici valutativi e sommativi, ha
consegnato nelle mani degli insegnanti uno strumentario razionale che rivela una volontà di onnipotenza che
segue tabelle, griglie, celle, unità didattiche, etc.
Tuttora ci troviamo di fronte a questo crocevia irrisolto: tradizione gentiliana, istanze attivistiche,
approccio cognitivista. Un problema aperto, dunque. Come risolverlo?
Attraverso una scuola più sensibile all’integralità del soggetto-individuo-persona. Una pedagogia che
metta al centro della vita scolastica un soggetto non intellettualizzato, ma un soggetto socializzato anche
attraverso l’esperienza corporea. Cosa significa? Ripensare il fare-scuola e mutare la relazione, le attività, i curricola.
Nel fare-scuola si impone il bisogno di attivare linguaggi più coinvolgenti, capaci di assegnare alla parola quello
spessore corporeo in grado di renderla effettivamente comunicativa. La scuola, dunque, deve guardare tanto al
funzionamento delle molteplici forme espressive, peculiari dei vari canali comunicativi, quanto al trasferimento
dei contenuti per rilasciare processi di autoriflessività, altrimenti compromessi. Le conoscenze intorno al corpo e
alla mente che si trasmettono a scuola riguardano perlopiù un corpo e una mente resi da subito oggetti. Invece,
occorre ritrovare il modo di mettere in scena un corpo e una mente viventi, soggettivi, vissuti. Per queste ragioni
diviene necessario pensare ad una didattica coinvolgente, capace di mettere gli alunni nelle condizioni di
sperimentare l’esperienza corporea, in quanto siamo innanzitutto corporeità e ci rappresentiamo attraverso il
corpo. Sul fronte della relazione educativa è fondamentale assegnare un ruolo centrale alle dinamiche comunicative
(ascolto, dialogo, sostegno, empatia, etc.). Il corpo rappresenta il baricentro della relazione educativa: il maestro,
l’insegnante, l’educatore si pongono innanzitutto attraverso la loro presenza corporea. Per quanto riguarda le
attività è importante pensare a luoghi/tempi per i laboratori, per le comunità di apprendimento, i gruppi, le
attività teatrali, ludiche e motorie. Infine, sul piano curricolare è necessario curvare il più possibile i saperi nella loro
dimensione interdisciplinare e secondo un’ottica esistenziale e antropologica (si pensi alla storia sociale, alla
letteratura, all’autobiografia, all’arte).
Tutto questo per focalizzare il discorso pedagogico su una concezione globale dell’educazione, che è
chiamata a consegnare al soggetto i mezzi necessari per sviluppare al meglio le sue potenzialità e la sua
autonomia. L’educazione dell’io corporeo, in un contesto educativo pensato in funzione del soggetto, permette
un approccio olistico laddove l’educazione corporea diventa una dimensione fondamentale proprio per
considerare l’unità dell’essere. Infatti, il corpo sottende sempre la presenza nel mondo dell’essere, giacché la
conoscenza e la rappresentazione del proprio corpo hanno una parte fondamentale nelle relazioni tra l’io e il
mondo esterno: spazio gestuale, spazio degli oggetti, spazio degli altri soggetti, etc. Il corpo, in quanto risultato di
tutta la storia dello sviluppo dell’individuo, si trova naturalmente investito di significati multipli, consapevoli e
inconsci. Ciò ribadisce ancora una volta che il processo formativo avviene innanzitutto attraverso la corporeità:
divenendo consapevole del proprio io, il soggetto potrà acquisire la sua indipendenza di fronte al mondo esterno,
accettarlo e stabilire le necessarie relazioni con gli altri.
Alessandro Mariani
Professore di Pedagogia generale e sociale, di Filosofia dell’educazione e di Pedagogia sperimentale
presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Firenze
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