gli obelischi egizi ieri e oggi
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gli obelischi egizi ieri e oggi
GLI OBELISCHI EGIZI IERI E OGGI Daniela Leuzzi Premessa Il percorso passa in rassegna le fonti classiche relative agli obelischi egizi. Si esaminano brani tratti da Erodoto, Diodoro Siculo, Strabone e Plinio il Vecchio, abbinando la lettura con testo a fronte al laboratorio di traduzione. Il lavoro è perciò mirato sia alla riflessione sul concetto di analisi comparativa delle fonti e sia al commento linguistico ai brani seguenti: Erodoto Storie II 111, 4 / II 170, 2 Diodoro Biblioteca storica I 46, 1 Strabone Geografia XVII 1, 27 Plinio il Vecchio Naturalis historia XXXVI 64-74 Materie coinvolte Greco, Latino, Storia dell’Arte Inserimento nella programmazione Il lavoro si colloca in I Liceo Classico, nel primo quadrimestre. Si pensa a una cattedra congiunta di Greco e Latino. Per quanto concerne l’approfondimento di Storia dell’Arte si programma invece una compresenza. Strategie didattiche Una lezione introduttiva per la presentazione dell’argomento, seguita da lezioni partecipate. Tempi 6/7 ore 4 lezioni di 1 ora per la traduzione e il commento ai testi (la verifica dell’apprendimento in itinere è realizzata tramite domande orali) 1 ora per la verifica finale 1 ora per commento alla verifica e per recupero e/o potenziamento, da calibrare in relazione al contesto e al feedback fornito dalla prova in uscita Si pensa infine di inserire 1 ora in compresenza con il docente di Storia dell’Arte, per esaminare le immagini degli obelischi egizi 2 Sequenza didattica 1) ERODOTO E GLI OBELISCHI Il percorso parte dall’analisi della descrizione erodotea degli obelischi. I brani si collocano nel libro II delle Storie di Erodoto, interamente dedicato al lo/goj egizio. Erodoto menziona gli obelischi quando racconta la storia del sovrano Ferone, che, dopo essere guarito dalla cecità, collocò due obelischi a Heliopolis, nel santuario del Sole: Storie II 111, 4 )Anaqh/mata de_ a)pofugw_n th_n pa/qhn tw_n o)fqalmw=n a!lla te a)na_ ta_ i(ra_ pa/nta ta_ lo/gima a)ne/qhke kai_ tou= ge lo/gon ma/lista a!cio/n e)sti e!xein, e)j tou= (Hli/ou to_ i(ro_n a)cioqe/hnta a)ne/qhke e!rga, o)belou_j du/o liqi/nouj, e)c e)no_j e)o/ntaj e(ka/teron li/qou, mh=koj me_n e(ka/teron ph/xewn e(kato/n, eu[roj de_ o)ktw_ ph/xewn. “Essendo scampato alla malattia degli occhi, dedicò varie offerte in tutti i santuari celebri e, ciò che soprattutto va ricordato, dedicò opere notevoli nel santuario di Helios: due obelischi di pietra, ciascuno dei quali di un solo blocco di pietra, entrambi alti cento cubiti e larghi otto”. Dopo aver analizzato il testo, ci si sofferma su alcuni aspetti contenutistici, legati alla contestualizzazione del brano e in particolare alla collocazione storica: Ferone è un appellativo connesso con il titolo regale di “faraone”, è perciò generico, non è un nome proprio. Il personaggio chiamato Ferone da Erodoto è però designato come figlio di Sesostri (Senuseret o Senwosre I) e può dunque essere identificato con Amenemhat II (XII dinastia). Gli obelischi di Ferone sono, secondo Erodoto, alti 100 cubiti e larghi 8 cubiti. Il valore del cubito, misurato dal gomito all’estremità del dito medio della mano aperta, variava da luogo a luogo: in Egitto corrispondeva a 0,523 metri circa, in Grecia a 0,4436 metri. Gli obelischi di Erodoto dovrebbero perciò essere alti 52,3 metri (oppure 44,36, secondo il cubito greco) e larghi 4,18 metri (o 3,5 metri, secondo il cubito greco). Per quanto riguarda l’altezza, si tratta di dimensioni superiori a ogni altro esemplare conosciuto: l’obelisco incompiuto di Assuan, che è il più alto tra quelli conservati fino a noi, misura infatti circa 41,8 metri. La larghezza di 4,18 metri è notevole ma plausibile, poiché è pari a quella dell’obelisco di Assuan. Possiamo perciò concludere che la notizia fornita da Erodoto riguardo ai due obelischi fatti erigere da Ferone sovrastima le probabili dimensioni reali dei monumenti, mettendo in risalto l’ammirazione che essi dovevano suscitare nel visitatore dell’età classica. In un altro passo, parlando del santuario di Neith (Atena per i Greci) a Sais (città nel settore occidentale del delta del Nilo, presso l’odierna Sa el-Hagar), Erodoto ricorda i numerosi obelischi che si trovano nel recinto sacro, contiguo a un lago: Storie II 170, 2 Kai_ e)n tw=? teme/nei+ o)beloi_ e(sta=si mega/loi li/qinoi, li/mnh te/ e)sti e)xome/nh liqi/nh? krhpi=di kekosme/nh kai_ e)rgasme/nh eu] ku/klw? kai_ me/gaqoj. - www.loescher.it/mediaclassica - 3 “E nel recinto sacro si innalzano anche grandi obelischi di pietra ed è vicino al lago, adorno di un bordo di pietra grande e ben lavorato su tutti i lati”. In entrambi i passi citati (Storie II 111, 4 / II 170) Erodoto per indicare i monoliti usa il termine o)beloi/, che significa letteralmente “spiedi”, ferri appuntiti usati per infilzare la carne, con forma analoga a quella dei monumenti egizi, alti e sottili. La parola o)beli/skoi, dalla quale deriva quella italiana, è il diminutivo o)beloi/, significa perciò letteralmente “piccoli spiedi”, ed è usata, come si vedrà durante il percorso, da Diodoro Siculo e da Strabone per designare i monoliti egizi. 2) DIODORO E GLI OBELISCHI Il percorso prosegue con la lettura di alcuni passi tratti dalla Biblioteca storica di Diodoro Siculo, che vengono proposti in originale greco. Si invitano gli allievi a elaborare in classe la traduzione, ricavando poi dal testo le informazioni che ritengono essenziali sugli obelischi, da porre a confronto con la tabella riassuntiva della descrizione erodotea, stilata al termine della prima lezione. Le informazioni relative all’Egitto si trovano nel libro I della Biblioteca storica, dedicato alla protostoria e alla mitologia dei popoli non greci. Diodoro menziona gli obelischi nel momento in cui parla di Diospolis, città chiamata Tebe dai Greci, e afferma che essa fu adornata più di ogni altra con offerte votive, statue colossali e obelischi monolitici. Biblioteca storica I 46, 1 Ou) mo/non de_ tou=ton to_n basile/a pareilh/famen, a)lla_ kai_ tw=n u3steron a)rca/ntwn pollou_j ei)j th_n au!chsin th=j po/lewj pefilotimh=sqai. )Anaqh/masi/ te ga_r polloi=j kai_ mega/loi a)rguroi=j kai_ xrusoi=j, e!ti d )e)lefanti/noij, kai_ kolossikw=n a)ndria/ntwn plh/qei, pro_j de_ tou/toij kataskeuai=j monoli/qwn o)beli/skwn mhdemi/an tw=n u(po_ to_n h#lion ou#twj kekosmh=sqai. “Abbiamo saputo che non soltanto questo re [Busiride, N.d.T.], ma anche molti di quelli che governarono più tardi, ebbero l’ambizione di favorire lo sviluppo della città. Infatti nessuna sotto il sole è stata così adornata di offerte votive, molte, grandi, d’argento e d’oro e inoltre di avorio e statue colossali per grandezza e inoltre di obelischi monolitici”. Si commenta il testo, segnalando l’ammirazione che Diodoro Siculo nutre per la città di Diospoli, o Tebe egizia, adorna di straordinarie opere d’arte. 3) STRABONE E GLI OBELISCHI Dopo aver letto brani da Erodoto e da Diodoro Siculo, si esamina la descrizione degli obelischi fatta da Strabone di Amasea nel Ponto (I secolo a.C. - I d.C.) nella sua Geografia, in diciassette libri. - www.loescher.it/mediaclassica - 4 Il primo capitolo del libro XVII (paragrafi 1-54) è dedicato all’Egitto e, in questa sezione della sua opera, Strabone menziona gli obelischi di Tebe, insieme con quelli di Heliopolis, descritti da Erodoto nel passo che abbiamo citato in precedenza (Storie II 111, 4). Strabone, parlando di Heliopolis, afferma che la città si trova in stato di completo abbandono e che il suo antico tempio in stile egizio porta i segni delle devastazioni operate da Cambise (sovrano persiano del VI secolo a.C.), che violò i luoghi sacri. Geografia XVII 1, 27 Nuni_ me_n ou]n e)sti pante/rhmoj h( po/lij, to_ i(ero_n e!xousa tw?= Ai)gupti/w? tro/pw? kateskeuasme/non a)rxai=on, e!xon polla_ tekmh/ria th=j Kambu/sou mani/aj kai_ i(erosuli/aj, o$j ta_ me_n puri_ ta_ de_ sidh/rw? dielwba=to tw=n i(erw=n, a)krwthria/zwn kai_ perikai/wn, kaqa/per kai_ tou_j o)beli/skouj, w[n du/o kai_ ei)j (Rw/mhn e)komi/sqhsan oi( mh_ kekakwme/noi tele/wj, a!lloi d ) ei)si_ ka)kei= kai_ e)n Qh/baij, th=? nu=n Diospo/lei, oi( me_n e(stw=tej a)kmh_n puri/brwtoi oi( de_ kai_ kei/menoi. “Ora la città [Heliopolis, N.d.T.] è completamente abbandonata, costruita in stile egizio, ha abbondanti segni delle folli e sacrileghe devastazioni di Cambise, che violò i templi, alcuni mutilandoli con il ferro, altri bruciandoli, come anche gli obelischi, due dei quali, quelli che non erano stati danneggiati completamente, sono stati portati a Roma, altri invece sono ancora là e a Tebe, che adesso è Diospolis, alcuni eretti e appunto divorati dal fuoco, altri abbattuti”. Si segnala che Heliopolis, l’attuale Kôm el-Hisn, situata 12 km circa a nord est del Cairo, è tra le più antiche dell’Egitto, sede del culto solare, al quale va ricondotta la presenza degli obelischi. Secondo Strabone inoltre gli obelischi sono un chiaro esempio del degrado accelerato nel VI secolo a.C. dall’arrivo dei Persiani. Strabone si allinea perciò con il filone storiografico avverso al sovrano persiano Cambise, considerato artefice di atti sacrileghi. Al termine della lettura dei brani di Erodoto, Diodoro Siculo e Strabone si invitano gli allievi a costruire una tabella riassuntiva che raccolga le informazioni sugli obelischi presenti nei testi greci letti e tradotti. 4) PLINIO IL VECCHIO E GLI OBELISCHI Dopo aver ragionato con gli allievi sulle tabelle comparative tra le fonti greche, si passa a un autore latino, Plinio in Vecchio, che, nel libro XXXVI della Naturalis historia dedicato alla mineralogia, colloca una digressione su alcune opere di scultura e architettura. Al termine del lavoro si inseriranno le informazioni fornite da Plinio il Vecchio nella tabella già costruita per le fonti greche per ragionare su analogie e differenze individuate durante il percorso. In questo contesto Plinio fa riferimento agli obelischi, consacrati al dio Sole e segno di potenza: Naturalis historia XXXVI 64-65 Trabes ex eo fecere reges quodam certamine, obeliscos vocantes Solis numini sacratos. Radiorum eius argumentum in effigie est, et ita significatur nomine Aegyptio. Primus omnium id instituit Mespheres, qui regnabat in Solis urbe, somnio iussus; hoc ipsum in - www.loescher.it/mediaclassica - 5 scriptum in eo, etenim illae effigiesque quas videmus Aegypiae sunt litterae. Postea et alii excidere reges. “I sovrani, quasi a gara, fecero tagliare travi di questa pietra, chiamandoli obelischi, consacrati al dio Sole. Nella forma c’è la rappresentazione dei suoi raggi e questo è indicato dal nome egizio. Primo tra tutti introdusse questo uso Mesfere, che regnava sulla città del Sole, ispirato da un sogno, questo appunto è inciso su questo, infatti quei graffiti che vediamo sono in caratteri egiziani. In seguito anche altri sovrano tagliarono (obelischi)”. Plinio passa poi in rassegna i re egizi che fecero erigere obelischi, sottolinea le difficoltà legate al peso notevole dei blocchi e, a differenza di Strabone (cfr. sopra Geografia XVII 1, 27), afferma che Cambise ordinò di fermare le fiamme che avevano raggiunto l’obelisco di Heliopolis, mostrando rispetto per l’imponenza di tale monumento: Naturalis historia XXXVI 66 Hac admiratione operis effectum est, ut, cum oppidum id expugnaret Cambyses rex ventumque esset incendiis ad crepidines obelisci, extingui iuberet molis reverentia qui nullam habuerat urbis. “Per ammirazione dell’opera d’arte accadde che, dopo che il re Cambise espugnò quella città [Heliopolis o Città del Sole, N.d.T.] e poiché si era arrivati con le fiamme alle basi dell’obelisco, ordinò che fossero spente, per rispetto della mole, (rispetto) che non aveva avuto per il resto della città” La lettura suggerisce il confronto con la versione fornita da Strabone, ostile a Cambise (cfr. sopra Geografia XVII 1, 27, con l’obiettivo di riflettere sull’importanza dello studio comparativo delle fonti e sulla possibilità di incontrare posizioni diametralmente opposte. Plinio prosegue dicendo che i primi obelischi citati sono quelli portati a Roma da Augusto nel 10 a.C. e collocati uno come spina nel Circo Massimo, l’altro in Campo Marzio. Naturalis historia XXXVI 71-72 Is autem obeliscus, quem divus Augustus in circo magno statuit, excisus est a rege Psemetnepserphereo, quo regnante Pythagoras in Aegypto fuit, LXXXV pedum et dodrantis praeter basim eiusdem lapidis; is vero, quem in campo Martio, novem pedibus minor, a Sesothide. Inscripti ambo rerum naturae interpretationem Aegyptiorum philosophia continent. Ei, qui est in campo, divus Augustus addidit mirabilem usum ad deprendendas solis umbras dierumque ac noctium ita magnitudines, strato lapide ad longitudinem obelisci, cui par fieret umbra brumae confectae die sexta hora paulatimque per regulas, quae sunt ex aere inclusae, singulis diebus decrescerent ac cursus augesceret, digna cognitu res, ingenio Facundi Novi mathematici. “Dunque questo obelisco, che il Divo Augusto collocò nel Circo Magno, fu tagliato da re Psemetnepserfeo, sotto il cui regno Pitagora visitò l’Egitto, 85 piedi e tre quarti eccetto il basamento di un unico blocco; invece quello che (è) in Campo Marzio, di nove piedi più basso, (fu innalzato) da Sesoti. Entrambi presentano iscrizioni e contengono l’interpretazione della natura secondo la filosofia degli Egizi. A quello che si trova nel Campo (Marzio) Augusto aggiunse la mirabile funzione di segnare le ombre del sole e le lunghezze dei giorni e delle notti, collocata una lastra di pietra con una lunghezza tale che - www.loescher.it/mediaclassica - 6 l’ombra fosse pari a essa all’ora sesta del solstizio d’inverno a poco a poco decrescendo di giorno in giorno per ricrescere poi di nuovo in base ai righelli di bronzo inseriti nella pietra, invenzione degna di nota, dall’ingegno del matematico facundo Novio”. Si tratta dei due obelischi provenienti entrambi da Heliopolis dei quali parla anche Strabone, che ricorda le devastazioni compiute da Cambise, re dei persiani (VI sec. a.C.) e menziona il trasferimento degli obelischi a Roma (Geografia XVII 1, 27). Nel testo di Strabone non si trovano le dimensioni, citate invece da Plinio il Vecchio, che parla di 85 piedi e 3/4 per il primo e di 9 piedi in meno (ossia circa 76 piedi) per il secondo. Considerando che il piede corrisponde a 0,296 m., il primo obelisco misurerebbe 25 metri circa, il secondo 22,5 metri circa. Tali indicazioni non si discostano troppo dalla realtà: il primo è alto oggi 23,70 metri, fu collocato da Augusto nel Circo Massimo e dal 1589 si trova in Piazza del Popolo. Il secondo misura 21,79 metri, fu posto in Campo Marzio tra l’Ara pacis e la Colonna di Antonino Pio, oggi si trova in piazza Montecitorio. Plinio si sofferma sulla funzione che Augusto diede all’obelisco del Campo Marzio, usato come meridiana, per determinare il tempo tramite l’ombra riflessa sul pavimento della piazza, sul quale si trovava anche una striscia di pietra di lunghezza tale rispetto a quella dell’obelisco che nel solstizio d’inverno, a mezzogiorno, l’ombra fosse lunga come la striscia. Le variazioni di lunghezza dell’ombra negli altri giorni dell’anno erano poi segnate con listelli di bronzo. La testimonianza citata trova riscontro nella realtà poiché sul pavimento del Campo Marzio sono state trovate tracce dei listelli usati per la misurazione delle diverse lunghezze dell’ombra e segni di raffigurazioni realizzate con la tecnica del mosaico. Tali elementi confermano che l’obelisco fu usato come asta dell’horologium, quadrante solare realizzato in Campo Marzio, sulla piazza pavimentata in marmo. Il sistema di misurazione del tempo tramite l’obelisco è attribuito a Facundo Novio, personaggio ricordato soltanto da Plinio e altrimenti ignoto, al quale si collega anche l’idea di porre sulla punta dell’obelisco una palla dorata (XXXVI 72). Plinio nota infine che il funzionamento dell’orologio solare appena descritto non è più perfetto e cita alcune possibili cause: dall’alterazione del corso del sole, allo spostamento della terra nel tempo, alle variazioni del terreno della piazza o delle fondazioni dell’obelisco stesso (XXXVI 73). Si parla infine di un terzo obelisco, che si trova nel circo di Gaio e di Nerone: Naturalis historia XXXVI 74 Tertius est Romae in Vaticano Gai et Neronis principum circo – ex omnibus unus omnino fractus est in molitione – quem fecerat Sesosidis filius Necoreus. Eiusdem remanet et alius centum cubitorum, quem post caecitatem visu reddito ex oraculo Soli sacravit “Il terzo di Roma è quello del circo di Gaio e Nerone – tra tutti l’unico che fu rotto nell’innalzarlo – che aveva fatto erigere Nencoreo figlio di Sesosi. Di costui ne rimane anche un alto di cento cubiti, che egli consacrò al Sole, per ordine di un oracolo dopo che gli venne, dopo la cecità, restituita la vista”. Il passo si riferisce al cosiddetto obeliscus Vaticanus, proveniente da Heliopolis come i due precedenti, e collocato da Caligola sulla spina del Circus Gai et Neronis. È alto 25,36 metri e fu posto in piazza S. Pietro, nel 1586, sotto il pontificato di Sisto V. Plinio attribuisce infine a - www.loescher.it/mediaclassica - 7 Nencoreus anche un secondo obelisco, di 100 cubiti (circa 52,3 metri), dedicato al Sole, dopo aver recuperato la vista (XXXVI 74). Una storia analoga è ricordata da Erodoto in un brano che abbiamo citato in precedenza (Storie II 111) nel quale si parla proprio del figlio di Sesostri, chiamato Ferone, che collocò nel santuario di Helios due obelischi alti 100 cubiti ciascuno, dopo essere guarito dalla cecità. Il faraone, citato con nomi diversi da Erodoto e da Plinio il Vecchio, può essere identificato con Amenemhat II (XII dinastia). Al termine del percorso si fa notare che le descrizioni analizzate testimoniano l’interesse degli antichi per gli imponenti obelischi egizi, sopravvissuto anche in epoche più recenti. Alcuni monoliti sono stati infatti trasportati lontano dall’Egitto e inseriti nell’assetto urbanistico di città moderne. Si pensi per esempio a Roma, che accoglie ben tredici obelischi: tra i più noti ricordiamo per esempio quello di piazza S. Pietro in Vaticano, quello di piazza Navona, che ha come basamento la celebre fontana dei Quattro Fiumi di Gian Lorenzo Bernini, e infine quello di Trinità dei Monti, che accentua l’effetto scenografico della scalinata di piazza di Spagna. L’approfondimento su tale aspetto, connesso con l’arte moderna e con l’urbanistica contemporanea, viene inserito nel corso di una lezione in compresenza con il docente di Storia dell’Arte. Modalità di verifica Si colloca alla fine del lavoro una verifica di 1 ora, con quesiti a risposta chiusa relativi ai testi affrontati e domande a risposta aperta connesse con i nodi concettuali focalizzati. Si associa a tali quesiti anche la richiesta di traduzione e sintetico commento di un breve brano tra quelli esaminati. È prevista poi 1 ora dedicata al chiarimento di eventuali dubbi sorti durante la prova e alle considerazioni conclusive. Recupero e/o potenziamento In base all’andamento della prova in uscita si propone 1 ora di lavoro differenziato, durante il quale la classe è divisa in due gruppi: Recupero: si riesaminano, con l’ausilio della traduzione a fronte, i passi letti durante il percorso, per arrivare a elaborare uno schema riassuntivo delle idee-chiave. Potenziamento: si propone la lettura di un brano riguardante gli obelischi e si esortano gli allievi a ragionare sul testo greco, isolando le parole-chiave e poi elaborando una traduzione. Bibliografia per la progettazione del percorso Althaus W. Die Herodot-Zitate in Strabonis Geographie, Fribourg 1939. Carotenuto G. Letteratura greca. Storia. Testi. Traduzioni, Treviso 1989. Diodoro Siculo Biblioteca storica, vol. I, Libri I-VII: Mitologia e protostoria dei popoli orientali, dei greci e dei romani, a cura di G. Cordiano e M. Zorat, Milano 1998. - www.loescher.it/mediaclassica - 8 Diodoro Siculo Biblioteca storica: libri I-V, a cura di L. Canfora, Palermo 1986. Erodoto Le Storie, libro II, L’Egitto, a cura di A.B. Lloyd, traduzione di A. Fraschetti, Milano 1989. Monaco G., Casertano M., Nuzzo G. L’attività letteraria nell’antica Grecia. Storia della letteratura greca, Palermo 1991. Montanari F. Storia della letteratura greca, Roma-Bari 1998. Plinio il Vecchio Storia delle arti antiche. Naturalis Historia libri XXXIV-XXXVI, a cura di S. Ferri, Roma 1946. Plinio il Vecchio Storia naturale; edizione diretta da G.B. Conte; con la collaborazione di A. Barchiesi e G. Ranucci, Torino 1982-1988. Pothecary S. Strabo, the Tiberian author: past, present and silence in Strabo’s Geography, in Mnemosyne IV, LV fasc. 4, 2002, pp. 387-438. Rossi L.E. Letteratura greca, Firenze 1995. Strabone Geographika, libro XVII, London 19493. Strabone L’Africa, libro XVII della Geografia, a cura di N. Biffi, Bari 1999. - www.loescher.it/mediaclassica -