L`affondamento del "Mafalda"

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L`affondamento del "Mafalda"
L'affondamento del "Mafalda"
sua giacca ed una maglia. Nel frattempo una donna, forse la
moglie di qualche ufficiale, mi offrì una tazza dì caffè squisito
che mi ristorò alquanto; un'altra signora mi offrì una tazza di
thè, ed un marinaio alcune sigarette. La respirazione mi
riusciva difficile; fui assalito da dolori di stomaco, e già
temevo di essere in preda a qualche altro malanno; ma per
fortuna potei ricoverarmi la notte in un corridoio molto caldo
e guarii completamente. Durante la notte fui in preda di una
sete terribile, perché bevetti molta acqua salata durante la
mia terribile traversata. Alla mattina seguente dato che
l'Empire Star doveva proseguire la sua rotta, mediante le
barche adottate dai piroscafi fui trasbordato sul "Formosa",
piroscafo francese, sul quale ci rimasi fino a Rio De Janeiro
nel Brasile. Giunto sul "Formosa" m'incontrai con Botto
Andrea di Lurisia, il quale ansiosamente attendeva la moglie
ma invano. Questi mi chiese di sua moglie, e visto che non
sapevo dargli informazioni si diede alla disperazione. Feci
del mio meglio per tranquillizzarlo dicendogli che poteva
trovarsi sopra un altro vapore.
Ci avviammo a fare colazione che già ci attendeva. Il
"Formosa" quando ebbe finito le operazioni di salvataggio
prese la rotta verso Rio De Janeiro.
In questo tragitto tra i naufraghi che erano 385, si mantenne
fa calma, perché tutti speravano di ritrovare i congiunti
dispersi quando sarebbero sbarcati. Nel frattempo ci distribuirono molte cose tanto di vitto come di vestiario; io ero
ancora abbastanza coperto, benché non avessi che pantaloni, pantofole e una maglietta, epperciò non mi fu dato
niente. La mattina del 28 si arriva a Rio De Janeiro; dal
"Formosa" passiamo sopra un vaporino della Società d'Immigrazione che ci porta all'Isola dei Fiori dove già stavano
quelli sbarcati dall'Alhena, vapore Olandese. Al nostro arrivo
fu una confusione incredibile, baci ed abbracci che non si
capiva più nulla, Quivi incontrai Riberi, Grosso e Gola; il
Botto trovò la moglie colle due bambine, e sua cognata con
un bambino di nove mesi. A quest'ultima disgraziatamente
era perito il marito Botto Vincenzo di anni 27.
In quel momento noi di Chiusa Pesio potevamo constatare
che per miracolo non mancava nessuno, mentre tra quelli di
Lurisia solo uno sopravviveva su quattro uomini partiti da
casa. Quivi facemmo una sosta di quattro giorni, e nel primo
giorno ebbimo la facoltà di spedire gratis un telegramma ai
nostri cari rimasti in patria, e ci distribuirono nuovamente
vitto e vestiario, mentre il clero della città si portò in quel
luogo a soccorrere, confortare e consolare noi poveri sventurati. Atutti ci regalarono pure immagini e carta da scrivere.
che potemmo spedire gratuitamente. Il vitto regolare ci
veniva somministrato dall'Hotel degli immigranti di Rio de
Janeiro. In quell'isola vennero a farci visita le autorità e
qualche uomo d'equipaggio del vapore ''Principe di Udine"
che ci regalarono un sontuoso ed abbondante pranzo con
molto vino, tabacco, frutta e carta da lettere che spedimmo
di nuovo come prima. Alla domenica ed al martedì giorno dei
Santi fu celebrata nel refettorio la Santa Messa, con un commoventissimo sermone tutto a nostro riguardo e dei poveri
nostri compagni lasciati in balia del mare. A Rio de Janeiro si
distinsero molto per la loro generosità, S. E. l'Ambasciatore
italiano Comm. Attolico e la sua degnissima consorte, i frati
Cappuccini, insomma tutta la colonia italiana, la quale con
sforzi sovrumani gareggiava nel soccorrerci. I telegrammi
piovevano da ogni parte, recando a noi parole di conforto e
dì incoraggiamento, e di sentite condoglianze per i poveri
morti. Il giorno dei Santi, sentita la S. Messa, salimmo sul
vaporino dell'Immigrazione e ci portammo a bordo del "Duca
degli Abruzzi" vapore della Società del "Mafalda" il quale era
partito espressamente da Buenos Aires per recarci tutti colà.
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Il viaggio durò quattro giorni durante i quali le ufficialità dei
piroscafo e le autorità dell'Argentina lavorarono notte e
giorno per poterci procurare i documenti necessari ed avere
la possibilità di risiedere nella Repubblica appena arrivati. A
mezzanotte del cinque novembre si arrivò finalmente al
porto di Buenos Aires: appena il piroscafo si attaccò alla
banchina, una folla di giornalisti si presenta ad interrogare
naufraghi ed a rilevare fotografie. Alla mattina, distribuiti i
documenti e capi di vestiario, incominciarono le operazioni
di sbarco, denunciando la roba smarrita che ci sarebbe
indennizzata. A mano mano che si scendeva al piroscafo si
entrava nell'Hotel degli immigranti ove trovammo un buon
"mattes1' bevanda ristoratrice molto in uso in America. Frattanto continuavano sempre ad affluire i giornalisti e fotografi.
Venne a visitarci l'ambasciatore italiano Francklin al quale
ebbi l'altissimo onore di stringere la mano e conversare un
tantino; venne pure il Presidente della Repubblica Marcelle
De Alvear con molte altre personalità dell'ambasciata del
consolato.
A Buenos Aires ebbimo in regalo dal Patronato Italiano per la
protezione degli immigranti un bel corredino di biancheria,
una valigia e 5 pesos. Qui ha fine la mia dolorosa storia. La
sera stessa Grosso, Gola ed io salutammo i compagni e
partimmo alla volta dei nostri parenti che già da otto giorni ci
attendevano ansiosamente.
Se adesso qualcuno mi domandasse, come feci a sfuggire
tale pericolo non saprei cosa rispondergli; perché non
sapevo nuotare, non avevo mai visto il mare, ma potrei solamente dirgli, che è stata una grazia di Dio. Ne ho conosciuti
molti, i quali sapevano ben nuotare, che avevano già fatti
altri viaggi, eppure questi sono morti quasi tutti. Fra tanti vi
ricordo il Fantino, un uomo sulla quarantina che viaggiava
colla moglie e tre bambini: la famiglia si salvò e lui perì.
Conoscevo pure due fratelli di Busca che viaggiavano in
compagnia di una sorella: la sorella si salvò e i fratelli
morirono entrambi. Conobbi, anzi ero compagno di mensa di
un certo Sica Agostino di Salmour (Cuneo) il quale era
venuto dall'America, e adesso vi ritornava in compagnia dei
genitori già piuttosto vecchi, e tre sorelle minori: i genitori e
le sorelle si salvarono ed egli mori a 23 anni. Sono centinaia
questi casi doloranti; non v'è paese come Chiusa che abbia
i suoi figli salvi tutti così. Tutto ciò pare a me si debba alla
Provvidenza Divina. Non ci resta che pregare il Signore
affinchè continui a proteggerci in avvenire come per il
passato, e dia pace ai poveri estinti.
Saluti a tutti. È
Sotto: la famiglia Pellegrino al completo, in seconda lila, al centro
scorgiamo Tommaso (ci. 1901)