329 Lo spettacolo dell`Art Déco - Fondazione Internazionale Menarini

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329 Lo spettacolo dell`Art Déco - Fondazione Internazionale Menarini
n° 329 - marzo 2007
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Lo spettacolo dell’Art Déco
I costumi nel teatro musicale tra gli anni Venti e Trenta
L’Art Déco, stile internazionale che si diffonde negli
anni Venti specie nel campo
delle arti applicate, è stato
per lungo tempo trascurato dalla critica per poi essere riscoperto, come sovente accade, verso la metà
degli anni Sessanta. Il Déco
viene anche chiamato “Stile
1925” con riferimento all’Esposizione universale di
Parigi, dedicata alle arti
applicate e industriali, che
ne consacra l’affermazione
in Europa e negli Stati
Uniti, paese in cui conosce
uno sviluppo estremamente
originale. La grande creatività che permea questo
periodo si può rinvenire in
ambiti sovente trascurati
dagli studi, come quello
delle scenografie teatrali e
dei costumi realizzati in
perfetto stile Déco per i Music Hall parigini dai più importanti artisti dell’epoca.
Un aspetto forse meno noto,
nondimeno interessante
per l’incredibile verve creativa di queste opere. Del
resto basti pensare all’importanza e al rinnovamento
portato dal teatro e dai balletti nel clima delle Avanguardie ai primi del XX
secolo. In Russia la reazione
al fenomeno si orienta in
due direzioni, quella estetizzante del “teatro convenzionale” e l’altra, legata
al simbolismo, identificabile con l’epopea dei Ballets Russes di Diaghilev. Questi, attraverso i frequenti
soggiorni a Parigi, entrano
in profonda relazione con
le avanguardie artistiche,
coinvolgendole direttamente in alcune esperienze
teatrali che vedono la collaborazione dei migliori
talenti in campo musicale,
letterario e artistico Con i
Ballets Russes la scena si riforma in funzione del balletto, risolvendosi in un
grande fondale pittorico
che acquista il valore di un
enorme quadro, raccordato
al proscenio da pochi elementi scenotecnici. Da ricordare in ambito teatrale
la prima vera rivoluzione
sancita dai disegni e dalle
ricerche dello scenografo
svizzero Appia, il quale, assieme al teorico inglese
Craig, regala al clima simbolista di quegli anni una
nuova apertura, sviluppata
in seguito dai futuristi, da
Maleviç e dai costruttivisti. In Germania la riforma
del teatro prende avvio
da Monaco con la corrente
espressionista e poi con il
Bauhaus. In Italia il vero
rinnovamento si ha con l’avvento del futurismo: il
primo Manifesto della scenografia futurista (1915)
enuncia le conquiste della
luce, della dinamica e del
movimento che compongono il palcoscenico futurista e che ha in Balla uno
degli interpreti più sofisticati.
Anche nel periodo Déco il
teatro, i cafè chantant e i
music hall sono state vere
fucine creative per schiere
di artisti impegnati sia nella
realizzazione di spettacolari scenografie, sia di sgargianti ed estrosi costumi
teatrali. Un periodo caratterizzato da una singolare
fusione tra arte, moda e design che restituisce un’im-
Dolly Tree, Ninphe - Orgie - Faune - Collezione Angelo Luerti
Revolg: Diana Walkington - Collezione Angelo Luerti
magine originale e meno
nota degli straordinari esiti
artistici raggiunti dall’Art
Déco: uno spaccato di storia recente connotato dalla
ricerca di una bellezza armonica e senza tempo, dalla
musicalità della linea, dalla
ricerca di un fascino sottile
e sensuale per un lusso sempre conturbante.
Attualmente, grazie all’impegno di studiosi e appassionati collezionisti, disponiamo di maggiori docu-
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Erté: numeri e lettere da “l’alfabeto”
menti storici e artistici per
rendere omaggio ai non
meno creativi e qualificati
contemporanei di Ertè,
grande maestro di origine
russa (il cui vero nome era
Romain de Tirtoff) considerato uno dei fondatori
dell’Art Déco.
Erté giunge a Parigi da San
Pietroburgo nel ’12, dopo
essersi fatto conoscere come
illustratore di riviste di
moda, viene assunto dal
grande couturier Poiret.
Dopo aver siglato un accordo con «Harper’s Bazar», Erté inizia da free lance
a creare costumi prima per
l’atelier di Bénédicte Rasimi e poi per quello di Max
Weldy. Questi gli offrirà
di contribuire alla creazione
di scene e costumi per le
Folies Bergère (1919-35), e
in seguito ne promuoverà
l’opera a Broadway. Restano famose le sue elaborate scene dei Grand fleuves du monde (’23) e i costumi
per La parade des beaux bijoux (’24) alle Folies Bergère:
«un insieme di luce e di
barbarie, un gusto per i colori ardenti che fanno presentire l’Oriente, le terre
dei miti e dei prodigi» (Georges Barbier). Érté è stato
un grande esperto di scenografia teatrale e scenotecnica, molto apprezzato
dai produttori, dalle star e
dal pubblico per il suo
grande intuito teatrale, per
un forte senso del colore e
per lo stile sofisticato tinto
di esotismo. Erté influì profondamente sia sullo stile
dei costumi teatrali, sia
sulla moda dell’epoca per
alcune importanti innovazioni come il costume collettivo, un enorme singolo
abito indossato da un
gruppo di ballerine, e il sipario vivente formato da un
intero gruppo di ballerine.
Nella sua lunga carriera, a
partire dal 1913 coi costumi per Mata Hari, ha
contribuito con oltre ventimila disegni al successo
degli spettacoli in scena nei
più grandi teatri del mondo.
Insieme al grande maestro
Erté, altri artisti ancora riuscirono ad affrancarsi dal
dominio degli atelier riuscendo a disegnare per più
teatri e più direttori, contribuendo con una propria
originalità al successo di
questa costosa e irripetibile forma di intrattenimento. Grazie alla passione
e ricerca di studiosi come
Angelo Luerti, collezionista e autore di un recente
volume in materia, si possono finalmente illustrare
l’attività di quei numerosi
disegnatori per le riviste
dei grandi music-hall di
Parigi che sono stati a lungo
negletti a causa dell’impiego secondario cui erano
destinati i loro modelli.
Va detto comunque che lo
stesso Erté fu vittima per
circa trent’anni di questa
tendenza. Riscoperto nel
1965 in occasione del più
generale recupero dell’Art
Déco, ora è universalmente
apprezzato per la qualità
dei suoi disegni nel frattempo assurti, per il loro
valore storico, artistico
ed estetico, al rango di vere
opere d’arte.
La collezione Luerti rende
omaggio e lustro ai suoi
non meno creativi e qualificati contemporanei che
per obiettive carenze informative sul loro percorso e
contributo artistico non furono oggetto di analoghi
studi e altrettanti onori.
Degli altri grandi disegnatori si era persa quasi ogni
traccia essendo scomparsi
quasi tutti prima della fine
della guerra; di alcuni era
noto solo l’acronimo, di altri s’ignorava persino la nazionalità e assai poco si sapeva sui teatri e sulle riviste cui avevano collaborato.
Va infatti sottolineato che
il ruolo dei disegnatori impiegati sia per costumi sia
per le scene era spesso decisivo per il successo di una
rivista. Essendo il nudo uno
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degli ingredienti principali, i disegnatori dovevano inventare infinite variazioni su come “vestirlo”
all’insegna di un casto e raffinato erotismo: i limiti
erano dati solo dalla loro
fantasia. In tal senso le donne
fatali della storia risultavano perfette a tale scopo
(Cleopatra, Caterina di Russia, la Pompadour, Salomè),
come pure la rappresentazione degli atelier dei pittori celebri con le loro modelle (Boldini, Vélazquez,
Tiziano) e le raffigurazioni
femminili inanimate (statue di fontane, candelabri,
cariatidi, sipari viventi e
simili). I temi variavano da
quello esotico, specie orientale, a quello storico, melodrammatico, mitologico,
e ancora a quello antropomorfo e futurista (i sette
peccati capitali, le quattro
stagioni, le ore del giorno,
i fiori, i gioielli, episodi
della Bibbia, ecc.) e naturalmente a temi relativi al
jazz e alla danza nel mondo.
Man mano che le riviste diventavano più sofisticate,
i disegnatori diventavano
più audaci e ricchi d’immaginazione. I costumi raffiguravano spesso anche
oggetti inanimati quali
navi, bandiere, carte da
gioco, cibi, monete e ingredienti per cocktail.
Tantissime le personalità
artistiche recuperate dall’oblio, tra cui si segnala
Dolly Tree (inglese, 18991962) dopo essere apparsa
giovanissima in alcuni film
accanto alla madre, nota
attrice dello schermo, comincia la sua prolifica carriera di disegnatrice di costumi. Negli anni Venti, i
suoi geniali costumi sono
presenti nelle principali riviste, musical, pantomine
e cabaret di Londra, Parigi,
dove disegna per le Folies
Bergère, il Concert Mayol, il
Palace e Les Ambassadeurs.
Dal 1930 inizia a disegnare
per il cinema inglese e, più
tardi, di Hollywood dove
riuscì a conservare lo stile
e il fascino dei costumi per
i quali la MGM era famosa,
disegnando eleganti creazioni per Myrna Loy, Jean
Harlow, Judy Garland, Mae
West, Lana Turner.
E ancora Freddy Wittop
(olandese, 1911-2001) viene
avviato allo studio del costume all’età di tredici anni
sotto la guida del capo disegnatore dell’Opéra di
Bruxelles. Dopo qualche
collaborazione con alcuni
teatri in Belgio, nel 1930
si trasferisce a Parigi dove,
al termine di un breve tirocinio, disegna per le Folies Bergère e, dal 1936,
per diversi teatri di Londra
e New York. Dopo una parentesi di otto anni in cui
si esibisce come ballerino
professionista, dal 1958 si
dedica esclusivamente al
disegno, affermandosi in
breve come primo costumista di Broadway. Oltre
ai costumi per Holiday on
Ice (1959-70), sarà impegnato in circa ottanta musical (1958-94).
Tra le diverse personalità
si deve ricordare Jean Dessès (Egiziano, 1904-1970),
maestro per cui lavorano
sia Valentino che Guy Laroche. Dessès, abbandonati
gli studi in legge, si impiega alla Maison Jane di
Parigi e per conto di questa crea i costumi per il Palace (1928-30), il Casino de
Paris (1932-34) e per le Folies Bergère. Con l’aggravarsi
della crisi del music-hall,
nel 1937 apre un proprio
atelier e si dedica all’alta
moda, salvo occasionali contributi per il Moulin Rouge
(1937-39) e le Folies Bergère (1938). Negli anni Quaranta e Cinquanta si specializza nel creare abiti ispi-
rati all’antica Grecia e all’antico
Egitto, diventando uno stilista
molto popolare
tra le case reali
d’Europa e le star
del cinema. Infine
Umberto Brunelleschi (italiano,
1879-1949) fu
uno dei più grandi
illustratori di libri e delle più sofisticate riviste di
moda e intrattenimento francesi,
nonché ritrattista. Rivestì una
posizione di
grande rilievo all’interno del movimento Déco. Il
suo stile, dagli accenti barocchi,
privilegiava linee delicate,
fiorente fantasia e squisite
esecuzioni. Le sue scene e
costumi specie per il Bata-clan (1914-22), le Folies
Bergère (1923-36) e il Teatro alla Scala di Milano, sovente associate a elementi
cinesi e viennesi, sollecitarono da parte dei critici lusinghieri raffronti con Bakst.
Rientrato in Italia allo scoppio della Seconda guerra
mondiale, e dimenticato,
si sforza ancora di disegnare
e dipingere, ma il suo livello artistico scade vistosamente.
Un panorama davvero ricco
di numerose personalità artistiche squisitamente raffinate, una schiera di “creativi” provenienti da diversi
atelier parigini considerati
tra i migliori disegnatori
d’Europa hanno impresso
un grande impulso all’arte
per il teatro e in particolare per il Music Hall. Una
forma d’arte in cui hanno
trovato perfetta sintesi differenti espressioni artistiche.
federico poletti
Léon Bakst: L’uccello di fuoco