occhi negli occhi - Associazione Maria Bianchi

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occhi negli occhi - Associazione Maria Bianchi
 OCCHI NEGLI OCCHI Comunità virtuale, comunione reale e vulnerabilità nel lutto Sto giungendo ad una conclusione. Ho capito che cosa sarei potuto diventare. Lost control, Anathema Si espande. Riempie uno spazio inesistente. O forse no: lo spazio c’è sempre stato ma era vuoto. Lo spazio vuoto però non esiste, almeno credo. Comunque sia, non si tratta di amore ma di aria calda. La lanterna cinese sale, è un puntino giallo, una sottolineatura frettolosa, un foruncolo nel cielo, è un fuoco che sale e non si ferma, come le vere passioni. Non tutti hanno il naso all’insù, pochi esprimono un desiderio. Ricordo solo quello di mio figlio, magari non è un caso: -­‐ La palla. Voglio ritrovare la palla. Cazzo! Gli altri, i pochi adulti in raduno, i desideri non li dicono o non li pensano però ne hanno tanti, tanti. Si capisce dai loro sguardi, dagli abbracci improvvisi che non compiono, subiscono, dagli occhi che puntano dritti e trasparenti negli occhi altrui quando parlano, quando si dicono: 1 -­‐ Lo senti il retrogusto di mirtillo di questa birra? Lo senti? Mi senti? (questo no, non l’ha detto nessuno, l’ho aggiunto io). -­‐ Sino quando resti? Non te ne vai presto, vero? -­‐ Tutto bene? Tutto bene, sì? Io li guardo, pesce fuor d’acqua, e mi ritrovo con gli occhi umidi. Ci divide un impero ma, sopra ogni altra cosa, la musica. Ascoltano qualcosa che ancora non ho capito bene come si chiama, una sorta di hard-­‐doom-­‐death-­‐heavy-­‐progressive-­‐anal-­‐alternative-­‐metal rock, magari non proprio in quest’ordine. I primi tempi, quando questi suoni stranieri rimbombavano in casa, portati da mia moglie dopo una pausa di parecchi anni dedita a sonorità di cui ora si vergogna, riconoscevo una canzone da un’altra grazie ai pochi secondi di silenzio alla fine di ogni brano. Benedetto vuoto. Nessuna variazione, nessun contrappunto, lo schema classico strofa-­‐
ritornello-­‐strofa con qualche schitarrata condita da una serie di rutti che loro chiamano ‘vocalizzi’ o ‘pelle d’oca’. Roba vecchia, io penso, spacciata per nuova. Aria fritta. Io punto più in alto. Io sono più sofisticato, io non mi accontento, io cerco sempre il massimo. Io. Io. Io li guardo e non so perché ma sento una ininterrotta nostalgia. Sono venuti da vicino e lontano, anche molto lontano, hanno speso soldi, preso ferie, rinunciato a tanto che solo loro sanno, viaggiato per ore e non partecipano ad un corso, non sono malati disperati, non cercano lavoro. Sono legati. Nel senso di avvinghiati e pure d’incatenati. Sono amanti senza sesso, amici senza pudore. Si conoscono soprattutto perché comunità virtuale, selettiva e diffidente all’esterno, uniti dalla passione per il gruppo Anathema1: non si può entrare 1 Gli Anathema sono una band doom metal inglese originaria di Liverpool. Agli inizi della loro carriera, hanno contribuito a sviluppare, insieme a Paradise Lost e My Dying Bride, il genere death doom metal. Tuttavia, sul 2 proprio liberamente nella cerchia, bisogna essere riconosciuti come autentici appassionati, esperti e spesso è solo su segnalazione di un membro che si può iniziare il periodo di prova, con i primi contatti fugaci e sospettosi. Si vedono poi ai concerti ma, per loro stessa ammissione, è solo per veloci scambi, più che altro per confrontare le foto su Facebook con la faccia reale, per vedere se Internet ingrassa e per urlarsi complimenti reciproci ad un metro dalla cassa acustica che realmente sposta l’aria quando attacca l’assolo di basso e batteria (il loro luogo di ritrovo è lì, non all’ingresso della sala, non in biglietteria ma davanti alle casse). E alla fine, tutti irrimediabilmente commossi e frastornati (magari in ordine inverso), si salutano due minuti, “tanto ci sentiamo on-­‐line”. Intanto che torniamo a casa2 il cellulare di mia moglie impazza di suoni strani come questa musica e si dicono quanto è stato bello vedersi (!), quanto questo sound migliora la vita, insieme a faccine, cuoricini, stellette. Sono adolescenti in corpi adulti, sono retorici, ingenui, con gusti musicali assai discutibili e poco evoluti, hanno tempo da perdere, poco da fare e tanto da dirsi. Hanno la puzza sotto il naso, si sentono fieri di appartenere ad un sottogruppo di eletti, se la contano e se la tirano. La comunità virtuale è una sega mentale, fuga dalla realtà, rifugio puerile di chi ha difficoltà relazionali. La vita è altrove. Ho sempre pensato così per due anni, ma sottovoce perché, mannaggia, la mamma dei miei figli ne fa parte. Ed è proprio lei a proporre e organizzare il primo raduno ufficiale degli ‘Anathema Italia’: quando me lo dice, sei mesi prima, vedo di colpo solo borchie, metallo appuntito che esce da dove non si può dire, capelli neri e lunghi, teschi tatuati in fronte, birra che sgorga dal naso, urla cavernicole spacciate per canzoni, musica sempre uguale che assorda l’anima e spegne il cuore. Però ci dovrò essere, per motivi famigliari non sono ammesse assenze. percorso della continua ricerca ed evoluzione si sono, con l'andar del tempo, staccati dalle radici death/doom degli esordi per giungere ad un suono più melodico ed atmosferico, sviluppando ad ogni nuova uscita un suono sempre più personale e ricercato affine a sonorità alternative rock e progressive. 2 Perché sì, ho partecipato a due concerti, o meglio, ero presente e non posso assolutamente dire cosa mi è successo altrimenti davvero s’incazzano. 3 Lei cerca lui, gli cerca gli occhi e canta, seguendo la musica che, rispettosa, si diffonde ovunque: ‘ho dovuto lasciarti andare e trovare un modo per tornare a casa’3. Si sorridono, così come fanno i miei alunni in classe quando cerco di fare una battuta e non la capiscono ma comprendono che era un tentativo per stare meglio e mi sorridono per dirmi che no, non so cosa volevi dire ma speravi che ci divertissimo e siamo contenti che ci vuoi far divertire e stiamo bene per questo e io li guardo e non so perché ma sento una ininterrotta nostalgia. E poi ballano, tutti i maschi all’inizio, solo loro, ma non è un ballo come di solito s’intende quando uno dice ‘balliamo’: è uno scontro fisico, uno spingersi reciproco e darsi botte con le spalle, l’anca, le mani, il sedere e intanto che spuntano i lividi si guardano, posano gli occhi uno sull’altro, gridano e si toccano, si abbracciano, si sostengono, si aiutano. È un contatto primitivo. Io li guardo e non avrei mai il coraggio di lasciarmi andare così perché non si fa, l’affetto non si esprime a tutti, è questione privata, delicata, intima, segreta. Non si fa capire agli altri, a cielo aperto, quanto sono importanti, con la faccia che dice ‘sto bene’ e il cuore che impazza di serenità. Non si fa. Li guardo e sono geloso perché vivono quello che non sarò mai. Li guardo ancora, li seguo con lo sguardo, è l’unico vantaggio dell’essere pesce, e aspetto. Mi concentro. Mi focalizzo. Basterebbe un’occhiata un po’ più insistita, un attimo solo che si posa su un seno, su un sedere. Aspetto che i maschi guardino da maschi, attendo le battute allusive, quelle che iniziano appena appena, per tastare il terreno, e poi diventano via via più esplicite. Ma non c’è niente, passano le ore e non c’è proprio niente di questo, non è proprio contemplato che la fidanzata o la moglie altrui sia una persona che fa sesso, a cui piace l’altro sesso, nulla che lasci intendere che qualcuno sia interessato a qualcosa di diverso dallo stare bene con gli altri. Eppure li vedo da una vita gli sguardi altrui che si posano sul corpo di mia moglie, ho smesso di contare i maschietti che sono interessati non solo alla sua anima. 3 Untochable part 1, Weather System, 2012 4 Questi tipi, tutti questi tipi riuniti, si rispettano, si riempiono di attenzioni, scherzano e si prendono in giro e ridono quando sono scherniti ma c’è una sorta di inviolabilità, di limite inaccessibile oltre al quale si manca di rispetto. È antica questa comunità virtuale, di una vecchiezza che sa di erba profumata dall’acqua piovana. Le ore passano, si avvicina la sera e poi la notte e, miracolo, non succede niente: nessuno vomita, parolacce poche, discussioni zero, parole tante, abbracci troppi, sorrisi ancora di più. Bevono, tutti bevono e nessuno si ubriaca cioè sono tutti consapevoli, senza perdere il controllo. Stanno insieme, così, come le persone che si vogliono bene, come dovrebbe essere per l’intera eternità. Sono felici in quelle ore d’incontro e d’incanto, o forse solo lo sembrano: e che, di crucci, non ne hanno anche loro? Non hanno sofferto per amore, non litigano al lavoro, non hanno problemi con le bollette, le suocere, i figli? A volte lo chiedo esplicitamente, altre volte lo capto da frasi smozzicate ed è proprio così, proprio come pensavo. L’essere parte di una comunità, il vivere una comunione reale, aiuta a lenire il dolore? Sentirsi membro cioè degno di ricevere ascolto e attenzione, aumenta la resilienza individuale? Non posso fare a meno di pensare a queste questioni, intanto che ogni tanto provo un po’ a sistemare la grande sala dell’incontro, buttando via bicchieri di plastica, piatti di plastica, forchette di plastica e niente che contenga sole, aria, luce. Forse, nel momento della perdita, quando una parte di te se ne va con chi è già arrivato, essere porzione di un intero sarà un grande aiuto. Sarà come morire di meno, come se la notte avesse le ore contate. L’altrui, il fuori da me, mi fortifica se lo sento vicino. Se le parole non sono solo lettere, se i ‘mi piace’ non dipendono da un clic, se ogni pensiero scritto fosse sempre scelta consapevole e semplice trasposizione di un sentimento e un desiderio, allora questo gruppettino con la maglia ufficiale uguale per tutti sfoggiata giusto per l’occasione, sono un’anticipazione. 5 La musica è una possibilità per sentirsi non soli, i vocaboli e gli emoticon sono modi per dirsi quanto ci tengono l’un l’altro, la gestualità libera corrisponde alla libertà interiore. E quanta ragione hanno ad attendere prima d’introdurre nuovi adepti perché non c’è tempo da perdere in questa vita per cercare qualcuno che ti ritiene importante per la sua di vita. Senza neanche intuirlo, il loro modo di attraversare qualche ora insieme, in riva all’acqua, con il primo sole di primavera e la luce chiara del tramonto, con nulla che accade se non l’esserci, mi fa sentire quanto poco serve. Poco per vivere bene, poco per capire cosa sarei potuto diventare. La suprema sofferenza dell’attraversare un lutto è spesso interpretata, analizzata e vissuta come questione prettamente individuale, all’interno della quale la dimensione comunitaria è relegata o a momenti temporalmente limitati (i giorni immediatamente successivi al decesso) o ad espressioni particolari durante il culto e la commemorazione dei morti. Ma se le comunità, anche piccole comunità, supportano i loro membri, senza altro fare se non esprimere cura e attenzione reciproche, come può l’elaborazione personale della perdita prescindere dalla modalità sociale di aiuto? Forse questo gruppo di appassionati oltre ogni lecito limite di musica che li riempie sino al midollo, questo insieme coeso e felice di persone che pensano solo a darsi del bene, non sono adolescenti né retorici né ingenui, non se la contano né se la tirano, non sono primitivi, diffidenti, alienati. Sono essenziali invece. Veri. A me paiono pure giusti e credibili, assolutamente credibili in ogni loro portamento e considerazione e vocabolo. Probabilmente non ogni secondo della loro esistenza saranno così ma di certo quando si ritrovano e si contattano. E dicono che a me, cioè io, manca il senso di appartenenza, manca la capacità di sentirsi debole perché dipendente dagli altri, manca l’autentica 6 gratuità e la semplice verità delle cose che valgono perché valgono e basta, senza tanti orpelli e pensieri. Raccontano, a tutti noi che ci occupiamo di supporto al lutto, della straordinaria risorsa che è la comunità di riferimento del dolente (famiglia/colleghi di lavoro/amici/vicini di casa…) e di come sia importante, enormemente importante attivarla perché diventi un vero helper. In Italia, io credo, siamo ancora molto distanti dal riconoscere l’efficacia e il valore della socialità e della coesione sociale come risorsa nei momenti difficili della vita individuale, lutto compreso. Lo dimostrano i percorsi formativi per chi aspira a supportare persone che vivono una perdita, all’interno dei quali questi aspetti sono o assenti o trattati a livello informativo a margine di un incontro; la difficoltà a organizzare eventi pubblici specifici sul tema; l’imbarazzo e la reticenza di enti e associazioni che offrono sostegno nel progettare e attivare interventi di connessione della comunità dopo il decesso di un suo membro. Non è vero allora che nella musica degli Anathema manca il contrappunto, cioè la tecnica compositiva nella quale due o più melodie si muovono indipendentemente e, quando le senti sovrapposte, perché interagiscono, formano quelle assonanze che t’illudono sulla esistenza di Dio: o magari sì, non c’è sotto il profilo strettamente musicale ma se pensi alla vita, allora le canzoni di questa semisconosciuta band è un’orgia di contrappunto. Perché i loro pensieri, i vissuti e riflessioni che trasformano in suoni, rimbalzano su altri esseri viventi e s’intrecciano, sbattono e collaborano con altre melodie, questa volta ‘solo’ agite. Sono tornato a casa dal raduno con mio figlio alla sera mentre loro hanno continuato a stare insieme sino a notte fonda; alcuni sono venuti a dormire a casa nostra perché troppo lontani, o forse troppo dispiaciuti, nel lasciarsi così presto. E alla mattina, di buon’ora, si sono alzati tutti: non c’era più musica, birra, lanterne cinesi né alcun tipo di metafora rintracciabile. Vestiti come tutti, con le facce stanche, il bisogno di caffè, gli orari da rispettare, la giornata che 7 pigramente riprende come sempre in attesa di ciò che li aspetta appena si arriverà a casa. Ho fatto loro il caffè e c’è stato il timido tempo con ognuno di guardarli, occhi negli occhi. “Grazie, grazie di cuore” dicevano, “siamo stati da Dio, sul serio.” Mi è tornata in mente la lanterna cinese e ho pensato che sì, è davvero così, la vita è altrove. Nicola Ferrari Volontari per l’assistenza relazionale alle persone in lutto
Telefono: 348 - 3623379
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