IL TEMPO NELLA FIABA Se è vero che il sogno può avere la
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IL TEMPO NELLA FIABA Se è vero che il sogno può avere la
IL TEMPO NELLA FIABA OVVERO, UN SIMBOLO DELL'ESSERCI Se è vero che il sogno può avere la caratteristica di consegnare al sognatore un monito, è certo allora che gli esseri umani nel raccontarsi e tramandarsi la fiabe fanno altrettanto per l’umanità. Le fiabe stanno pertanto all’umanità così come il sogno sta al singolo individuo. Le fiabe sono l’espressione più pura e semplice dei processi psichici dell’inconscio collettivo. Per Marie-Louise Von Franz, famosa psicoanalista, il linguaggio della fiaba può essere considerato il linguaggio internazionale dell’umanità, di tutte le età, di tutte le razze e civiltà. Alcuni studiosi ritengono che le fiabe siano miti decaduti, ovvero che all’inizio presso i popoli esistevano solo i miti e che in seguito alla decadenza dell’ordine sociale e religioso di un popolo sarebbero ricordati come fiabe. Per altri invece il mito era in origine una fiaba che si eleva e si arricchisce fino a raggiungere il livello letterario del mito. Per quale ragione viene sentito il bisogno di interpretare una fiaba? Jung afferma che il sogno è la miglior interpretazione di se stesso, allora ciò può valere anche per le fiabe e per i miti. Ma supponiamo che se qualcuno sente il bisogno di raccontare il proprio sogno a qualcun altro per mettere a fuoco la sua situazione psichica del momento, non potrebbe essere utile usare ciò che viene espresso in una fiaba per integrare meglio la spiegazione di un certo tipo di comportamento in un dato momento della vita di un individuo? L’interpretazione può essere considerata tanto un’arte che un mestiere che si acquisisce solo con la pratica e l’esperienza ma che comunque risponde ad alcune regole utili ad indicarci la strada da seguire. Proprio come se avessimo da interpretare un sogno, dividiamo una storia archetipica, la fiaba, nei suoi vari aspetti ovvero l’INTRODUZIONE, tempo e spazio, personaggi, l’ESPOSIZIONE, crisi intesa come inizio del problema, la PERIPEZIA e poi la LISI che a volte può anche non esserci perché semplicemente la storia finisce, FORMULE CONCLUSIVE dette anche “rite de sortie” per non rimanere nel mondo onirico infantile dove siamo stati condotti dal racconto della fiaba. Dopo tutto questo si passa all’interpretazione vera e propria che non è altro che la traduzione della storia in un linguaggio psicologico. Il motivo, la ragione che ci conduce ad interpretare probabilmente è lo stesso che spingeva i nostri progenitori a raccontare fiabe,miti e leggende ovvero a ricercare un effetto benefico e rivitalizzante. Consapevoli che l’interpretazione è il nostro mito non la presenteremo mai come un verità definitiva; possiamo soltanto tradurre in un linguaggio psicologico quello che il mito sembra rappresentare. Attraverso il racconto e la comparazione di un paio di fiabe molto note possiamo leggere un processo personale e culturale di molte di noi; un tentativo di “RICONOSCERSI” nei miti, nelle fiabe che può caratterizzarsi in quell’esperienza che potrebbe essere vissuta anche da chi non sperimenta l’analisi ma che è capace di affermare che una parte della vita è perduta,ma non il suo significato, il SENSO. Il passaggio dal “NON-SENSO” al “SENSO”, quel filo che mette in comunicazione questi due aspetti fondamentali dell’esistenza umana costituisce, determina quel movimento, quella dinamica che si chiama FARE. Un fare che nella condizione femminile spesso assume un aspetto di”non-senso”. Un “NON-SENSO” che 1 può essere ricollegato ad un tempo, il tempo dell’innocenza, quel tempo senza peccato e senza colpa che comunque siamo obbligati ad abbandonare. Un tempo, un luogo che tutti noi non avremmo voluto, non vorremmo abbandonare sta al tempo ed al luogo del nostro mito personale. “C’era una volta in un paese lontano, lontano……” è l’introduzione che più ricorre nelle fiabe in quanto esse si collocano fuori dalle dimensioni TEMPO SPAZIO, ovvero il “NESSUN LUOGO” dell’inconscio collettivo. Così come colui il quale studiando un periodo storico non può fare a meno di esprimere la sua collocazione politica, così è qui utile affermare questo concetto base: LE FIABE SONO UN’ ASTRAZIONE. “Sono un’astrazione derivante da una leggenda locale che si è condensata ed ha assunto una forma cristallizzata,così da poter essere tramandata e ricordata perché riguarda tutti” (M.L.Von Franz “Le fiabe interpretate” ed. Boringhieri Torino1980). Marie-Louise Von Franz Tutte le fiabe rimandano a temi significativi dell’esperienza umana; riflettono tipiche, generali situazioni umane ma soprattutto riflettono lo sviluppo dell’anima degli esseri umani. Dunque se lo studio e l’interpretazione delle fiabe possono fornire significative chiavi di accesso a profondi contenuti umani da una parte, dall’altra offrono non così straordinariamente consigli e soluzioni nelle più svariate situazioni e difficoltà della vita. Non possiamo stupirci troppo se certe “assurdità” come “la figlia cattiva vomitò rospi e serpenti” rappresentino IMMAGINI che ben si adattano a certi nostri comportamenti. Le immagini delle fiabe rappresentano senz’altro un linguaggio diverso da quello usato dalle scienze ma al tempo stesso oggi sappiamo che la struttura del nostro cervello ci consente di comprendere ed elaborare in questo modo informazioni ed esperienze. A volte le immagini esprimono più delle tabelle numeriche. Ed è proprio con delle immagini potenti che inizia una delle fiabe più amate, nonostante questi tempi non siano più proprio quelli in cui i cantastorie giravano di paese in paese. “Una volta, nel cuore dell’inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva, seduta accanto ad una finestra dalla cornice d’ebano. E così, cucendo e alzando gli occhi per guardare la neve, si punse un dito, e caddero nella neve tre gocce di sangue. Il rosso era così bello su quel candore, ch’ella pensò: ‘avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come il legno della finestra!’. Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l’ebano; e la chiamarono Biancaneve. E quando nacque, la regina morì”. (J. E W. Grimm). La fiaba prende il suo avvio in inverno, in un tempo freddo, fosco, triste. Se immaginiamo un tale paesaggio invernale ci appaiono alberi e campagna innevati, vento gelido, dove muoversi risulta difficile. 2 Questo tipo di immagini ha la forza di evocare qualcosa della nostra anima; usiamo infatti un’immagine per esprimere come ci sentiamo quando parliamo di una tempesta di sentimenti che ci fa infuriare oppure di una calda e bruciante passione che ci allontana da una condizione dove regna il freddo e la desolazione. L’inizio di “BIANCANEVE” ci introduce in un tempo in cui i nostri sentimenti intorpiditi e paralizzati necessitano di essere rivitalizzati, rigenerati. Non è forse vero che a volte ci sentiamo come paralizzati, senza energia nell’intraprendere qualcosa di nuovo, quando ci troviamo di fronte un problema che per risolverlo dobbiamo introdurre comportamenti ed atteggiamenti nuovi? “Biancaneve” inizia presentando una situazione, un tempo in cui giorni brevi seguono lunghe notti, giorni incolori e senza vitalità; lì la neve, il gelo, coprono ogni cosa e se lo facessero per sempre non ci sarebbe più possibilità di vita, perché il calore ha il potere di mantenere la vita. Quando ogni cosa intorno è gelida, quando manca la calda mano di un altro essere umano, allora si comprende molto bene quanto valore possa avere quel poco di calore rimasto. Con l’immagine della goccia di sangue la fiaba descrive una condizione dove è presente solo una speranza, magari legata ad un calore del passato perché ora c’è solo freddo e silenzio. Quei sentimenti che in origine erano cordiali, calorosi, ora sono congelati e nei rapporti ora regna un gelido silenzio. Sappiamo bene che ci sono persone, per meglio dire momenti, fasi in una relazione che possono essere così descritte: ogni volta che la reazione di qualcuno è detta gelida come il ghiaccio, oppure qualcuno che ci ha gettato uno sguardo gelido come il ghiaccio, sappiamo bene cosa si intende dire. Ma le cose non possono e non devono continuare così per sempre; è proprio nel cuore dell’inverno che inizia un nuovo tempo. Proprio come nel mezzo della notte c’è l’inizio di un nuovo giorno, così nella scena iniziale di “Biancaneve” dove ci sono prima freddo e desolazione, compare una sensazione di dolore (puntura) che segna l’inizio di una “rinascita” prima di calore e poi di generatività. Ed è proprio nelle prime frasi di questa fiaba che possiamo cogliere sia la drammaticità di una vita fredda e sterile, sia la sua possibilità di speranza e riscatto. Sebbene viviamo in democrazia ci è comunque chiaro cosa ha rappresentato per molto molto tempo la monarchia e di come ancora gioca un ruolo speciale nell’immaginario della gente. In “Biancaneve” c’è inizialmente una regina, una donna; intesa psicologicamente la regina rappresenta i princìpi, le opinioni dominanti, i concetti, le regole, i sentimenti che regolano la nostra vita. Ma allorché un individuo, in questo caso ci piace dire una donna, si sottomette venendo soggiogata da questi principi e sentimenti dominanti senza l’arricchimento che le può derivare dalla sua creatività, dalla sua immaginazione, può cominciare una specie di congelamento, di pietrificazione ovvero possono comparire vari disturbi quali ansia, inibizione, ecc… La madre di Biancaneve muore quando lei nasce; ciò che prima aveva valore muore, passa via dando origine ad un nuovo tempo, ad una nuova condizione. In questa fiaba la regina appare completamente sola, manca infatti il re, ovvero il principio maschile, mancano i figli intesi come ciò che conduce verso il futuro. La vita per questa donna ha perduto la sua varietà e si è trasformata in routine senza alcun senso. Nelle fiabe questa condizione è rappresentata come bisogno di rinnovamento. L’anima ha bisogno di rinnovamento; infatti non c’è progresso senza trasformazione e cambiamento. È proprio riferendoci allo sviluppo psichico di una donna che l’assenza della figura del re ci suggerisce la necessità di una maggior espansione spirituale e di un rinnovamento. 3 Molte di noi, mogli e madri, conoscono questo problema fin troppo bene, ma anche quelle di noi che non possono essere soddisfatte solamente dalla loro attività lavorativa. Quelle di noi intorpidite, intirizzite, intontite da una limitata ed indurita femminilità provano, vivono un senso di fallimento nell’aver sprecato il loro tempo cucinando, pulendo ed allevando bambini. Frequentemente questi atteggiamenti verso la vita sono relativi a disturbi nevrotici e/o psicosomatici. Va detto comunque che queste profonde crisi di identità possono condurre sia ad una rigidità ulteriore con gravi conseguenze oppure, come sempre lo è la vita, a nuove e speciali possibilità. L’immagine della regina che mentre cuce ha come cornice una finestra di ebano ci rimanda ad uno stato che anche noi possiamo aver provato: “Mi sento come se mi trovassi di fronte un muro e non potessi vedere niente altro”. Come se ci trovassimo sole di fronte ad un problema e non poter far altro che stare a guardare ma contemporaneamente avere un grande desiderio di andare oltre i confini della nostra situazione presente, oltre la nostra prigione interiore. Ma se da una parte ogni finestra ha il potere di rivelare solo una piccola parte di ciò che sta al di fuori, qui l’immagine della finestra ci indica che riuscire a fermarsi per un attimo, stare in un segmento di tempo e di spazio, può condurre a sperimentare uno stato di quiete. L’oscurità, lo sappiamo, sta dietro di noi così come sappiamo che la notte è parte della vita. I fardelli possono essere sopportati per anni benché le ferite subite nell’infanzia siano profonde; d’altra parte ciò che il bambino ha sofferto l’adulto lo può sopportare. Prima o poi ognuno di noi scopre di soffrire non per come il mondo è bensì per le idee che ci siamo fatti di esso. I nostri punti di vista, includendoci quelli oscuri e pessimistici, si sono sviluppati così come siamo cresciuti. Potremmo mai pensare di evitare tristezza e sofferenza? Pensare di eliminare le sofferenze, le umane limitazioni non è forse un’idea di onnipotenza? Così come dobbiamo accettare ciò che ci deriva dai nostri, dalle nostre antenate, così siamo costrette ad accettare che ci sia anche una oscura cornice intorno alla nostra vita. Continuando con le immagini della fiaba quello che contemporaneamente ci sembra importante è che la regina è attiva, non sta con “le mani in mano”, cuce. Anche se questa attività sembra riferirsi ad antichi modelli non di meno sembra che giovani donne non abituate a queste attività come il cucire, lavorare a maglia, sentano l’impulso di farlo durante la gravidanza. Fare qualcosa con le proprie mani per il proprio bambino. Se cucire può apparire un’attività insignificante in realtà serve a mantenersi in attività proprio in quegli stati malinconici o depressivi per cui è facile scivolare nell’indifferenza e nella passività. Ma è proprio durante quei momenti di tranquilla attività che improvvisamente accade qualcosa di inaspettato e di penoso: la regina si punge un dito per cui la storia assume una piega inaspettata. Un ago è qualcosa di appuntito che punge un punto dove si sentirà dolore. Sappiamo bene che le realizzazioni fondamentali possono essere molto dolorose e che l’inconscio mette, per così dire, il suo dito nella piaga. Molte possono essere le interpretazioni per la puntura dell’ago, non ultima quella di tipo francamente sessuale, ma ciò che ci piace leggere è il richiamo della vita e pertanto “cadendo nella neve tre gocce di sangue” esprime con chiarezza che 4 c’è ancora vita e che non ci sono limiti di età per il suo sviluppo; l’azione ed il futuro non sono prerogative solo dei giovani. Mi piace qui ricordare quello che qualcuno diceva: “se una persona sa che potrebbe morire domani, oggi potrebbe ancora piantare un albero di mele” (Martin Lutero). Tutte noi siamo molto colpite dall’oggi perché viviamo con la convinzione di una predittività del mondo. Le fiabe, i miti, hanno il potere di insegnarci che nuove e creative possibilità non possono essere determinate anzitempo. Proprio nella Bibbia si dice che la nascita del Bambino Divino avvenne “quando il tempo era compiuto”. Quelle tre gocce di sangue indicano che c’è un inizio, che la vita nonostante tutto fluisce; vita e sangue ci riconducono al “tepore”, al “calore” così come essere spaventati da morire corrisponde a sentirsi gelare il sangue nelle vene. La fiaba allude ad una sorta di volontà, ovvero neve come immagine di morte, sangue di vita ma è proprio dall’incontro di questi due opposti che si avvia qualcosa di nuovo. Queste due opposte situazioni quali caldo e freddo, conflitti ed energia, si incontrano per generare qualcosa di nuovo; un qualcosa che va oltre i due opposti. Qui la regina della fiaba, apparentemente senza ragione, esprime il desiderio di avere una bambina caratterizzata dai colori nero, bianco e rosso. In “Psicologia e Alchimia” C.G. Jung afferma come questa sequenza di colori rifletta, esprima simbolicamente il processo umano della trasformazione e dello sviluppo. Ma prima che questa trasformazione si compia tutto è fermo: vita come morte. Così come la ripetitività della nostra vita sembra rassicurarci, non di meno ci sembra anche noiosa e aspireremmo a qualcosa che potrebbe riguardare la perfezione. Invece la trasformazione sta proprio nelle piccole cose di ogni giorno ed è da lì che ognuno di noi può fare il primo passo perché non ci può essere nessuna trasformazione senza un piccolo primo Carl Gustav Jung impulso che si concretizza in un Fare. La “figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri” rappresenta la rinascita di una “coscienza” congelata, la sua rivivificazione. La possibilità di uscire di una persona dalla sua oscurità (nigredo) attraverso vari stadi quali il rossore (rubedo) al bianco (albedo) vengono espresse in forma simbolica e la bambina rappresenta quel bambino speciale simbolo di nuova vita e di un cambiamento significativo. La fiaba mostra una situazione in cui la vita creativa è stata a lungo repressa ma che può ricominciare ancora. Così come prima il seme deve “morire”, ovvero sparire nella terra, (vedi i miti relativi all’Agricoltura! Demetra e Kore) così dopo possono esserci i frutti. I concetti di rinnovamento e rinascita appartengono sia alla tradizione cristiana che a molte altre forme culturali e religiose; tutto ciò sta ad indicare quanto questi processi di trasformazione siano di vitale importanza. Dobbiamo tutti ricordarci che ogni giorno abbiamo l’opportunità di introdurre piccoli cambiamenti, generare nuovi comportamenti che possono dare vita ad un senso di rinascita. Ritornando alle immagini della fiaba ecco che giunge il tempo in cui un nuovo aspetto femminile dell’anima compare: nasce una bambina. 5 Ad onore del vero questo evento può essere relativo tanto alla psicologia di una donna che di un uomo; comunque nel nuovo aspetto del femminile si può leggere un nuovo modo di intendere i sentimenti (come la tenerezza), il coraggio per non dire la sessualità vera e propria. Noi sappiamo che quando ci troviamo di fronte ad una scelta la nostra decisione dipende dall’ardore dei nostri sentimenti e non sempre siamo in grado di chiederci se “questo è bene per me, per noi?”. È proprio nell’introduzione di questa fiaba che traspare quello che accadrà più avanti ovvero quel conflitto fra la madre e la figlia, tra un vecchio comportamento della coscienza ed un modo nuovo e vitale. Il sistema di funzionamento del passato fa fatica a lasciarsi mettere da parte: nella fiaba è simbolicamente rappresentato dalla madre che nonostante si sia richiamata a tre colori chiama la figlia “Biancaneve”. Il nome della bambina si riferisce ad un unico colore, il bianco della neve, dunque un rafforzativo che descrive come questa nuova vita ha a che fare con ciò che è puro ed innocente come la morte. “Biancaneve” un nome che può rappresentare forse un inizio, un indizio, che ha in sé una minaccia di morte. D’altronde non è forse vero che le morti in culla vengono chiamate correntemente “morti bianche”? Psicologicamente ciò può riferirsi a quella modalità distruttiva che esiste in ciascuna di noi; questo non accade soltanto all’interno delle nostre famiglie ma soprattutto lo facciamo con noi stesse. Spesso infatti neghiamo o addirittura eliminiamo i nostri impulsi creativi, vitali, per relegarli in una zona desertica della nostra anima. E’ probabile che prenderci cura dei nostri vecchi desideri mai realizzati ci costerebbe troppa fatica. In questa fiaba si ha a che fare con un tipico atteggiamento di rifiuto; rifiuto di sperimentare la sofferenza che ci può derivare da sentimenti intensi, affetti profondi che possono derivarci dall’aprirci a situazioni nuove, rimanendo invece protette da ciò che è stabile, fisso, conosciuto ma al tempo stesso noioso, arido, mortifero. Biancaneve rappresenta perfettamente uno spazio ed un tempo nelle vita di una donna; la coscienza e l’io vogliono preservarsi ma contemporaneamente le dinamiche autonome della sua psiche e del suo sé vogliono altro. Il nostro io funziona bene soltanto se riesce ad adattarsi all’intero sistema psichico, se riesce ad essere fluido e non pietrificato, congelato, se i nostri istinti e la nostra funzione dell’Io saranno in armonia. Se si esaminano le fiabe come se fossero i sogni di noi tutte, potremmo chiederci quale situazione conscia venga compensata da quel mito in particolare. Così come in “Biancaneve” la storia compensa l’atteggiamento di una donna, per non dire della società medesima, dominata da vecchi schemi, da doveri, da principi rigidi perché non è più in grado di accogliere in modo spontaneo nuovi fatti, situazioni sia esterne che interne. Ed è proprio per riflettere ulteriormente sulla funzione compensatrice della fiaba rispetto all’atteggiamento dominante del collettivo che possiamo prendere in considerazione l’introduzione (ovvero il tempo, il luogo ed i personaggi) di un’altra fiaba riportata dai Grimm, “Rosaspina”, meglio conosciuta come “La bella addormentata” nella riduzione cinematografica. “C’era una volta un re ed una regina che ogni giorno dicevano: ‘Ah, se avessimo un bambino!’ ”. Ma il bambino non veniva mai. Un giorno che la regina faceva il bagno, ecco saltar fuori dall’acqua una rana, che le disse: “Il tuo desiderio si compirà: prima che sia trascorso un anno, darai alla luce una figlia”. 6 La profezia della rana si avverò e la regina partorì una bimba, tanto bella che il re non stava in sé dalla gioia e ordinò una grande festa. Non invitò soltanto il parentado ma anche le fate perché fossero propizie e benevole alla neonata. (F.Grimm “Le fiabe del focolare” ed Einaudi 1992 pag. 176). Diversamente da “Biancaneve” dove c’era una regina sola nel gelido freddo dell’inverno, qui ci sono un re ed una regina ma ciò che sembra essere il contenuto che si ripresenta nelle due introduzioni è l’ASSENZA, l’impossibilità di un calore, di Eros, di FERTILITA’. Il re e la regina in “La bella addormentata” o “Rosaspina “ non hanno bambini ma una rana dice alla regina che il suo desiderio entro un anno sarà esaudito ed avrà una bambina. A livello individuale, ogni creazione speciale in senso psicologico ha bisogno di un particolare tempo di attesa, di latenza nell’inconscio che qui viene rappresentata da un lungo periodo di sterilità. Inoltre l’impossibilità di avere figli del re e della regina può essere intesa come l’atteggiamento collettivo dominante che ha perduto il principio dell’Eros cioè la relazione con l’inconscio con gli istinti, con l’irrazionale. Poi ….. la rana nel bagno della regina! Questo piccolo animale per la sua prolificità e la sua capacità di passare da uovo a girino e poi a quadrupede vagamente umano è stato da sempre considerato il simbolo della rinascita e della continua rigenerazione della vita per non parlare poi di come fosse usata nelle pozioni per gli incantesimi di amore nei tempi andati. C’è dunque un legame con la sessualità, con l’istinto sessuale, qualcosa che “SALTA FUORI” dal profondo che non ha niente a che fare con la ragione, il controllo, le regole. Se in “Biancaneve” furono necessarie tre calde gocce di sangue per riportare la vita in una situazione di intorpidimento, di congelamento e dunque di sterilità, qui una piccola creatura a “sangue freddo” promette una speranza di vita. “La regina partorì una bambina” ne “La bella addormentata” e “La regina diede alla luce una bambina” in “Biancaneve” psicologicamente rappresentano lo stesso impulso a creare qualcosa di nuovo, nuovi sentimenti capaci di generare un atteggiamento fiducioso, coraggioso in grado di salvare la situazione collettiva. Questo “GENERARE UNA FIGLIA” può riferirsi anche al singolo individuo: “quanto c’è di unico, di diverso, di individuale in me?”. La funzione dell’io, della coscienza, ci aiuta ad essere adattati a stare con gli altri perché possiede un enorme numero di caratteristiche ma soltanto quando entra in contatto con il sé produce autenticità generando così un armonico funzionamento dell’individuo. “La bella addormentata” rappresenta un tema universale: la dea figlia che scompare o meglio che cade addormentata in un sonno profondo simile alla morte. Si ripete qui il mito di Demetra-Kore; Kore rapita da Ades, il dio degli inferi, sparisce temporaneamente per ricomparire in primavera al risvegliarsi della natura. Questo tipo di giovane donna è sempre legato all’archetipo della figura materna. Infatti la fiaba presenta una bambina che è sì benedetta da un certo numero di fate, figure materne, ma anche maledetta da una di loro. Tempio delle piccole Metope - Selinunte Demetra (al centro) e Kore (a sinistra) quando si ritrovano dopo l'uscita di questa dall'Avemo; Hekate (a destra) va loro incontro. L’archetipo della figura materna ha in sé contemporaneamente bene e male, fertilità e sterilità, vita e morte. La fata che non viene invitata alla festa ne “La bella addormentata” e la matrigna in “Biancaneve” rappresentano un aspetto della dea madre ovvero quella personificazione dei loro sentimenti offesi, della loro vanità, del loro risentimento. 7 Quante volte capita di riferirsi a donne che colpite nei sentimenti DIVENTANO ACIDE, proprio come lo diventa il latte quando non è ben utilizzato! Ciò che va male nella vita di noi donne è quando non siamo capaci di trattare convenientemente i nostri sentimenti offesi, feriti. Essere capaci di trovare la causa, la ragione del sentirci offese, ferite, ci può aiutare a non reagire con risentimento, a non divenire rabbiose. Questa possessione archetipica spesso è una richiesta camuffata di amore, di tenerezza che purtroppo determina l’effetto contrario. Quelle donne che non hanno ricevuto dalle loro madri sufficiente calore possono avere questo tipo di reazione per la loro femminilità ignorata. Ritornando alle nostre due storie ecco che arriva il tempo in cui sia Biancaneve che Rosaspina, sotto l’effetto di un maleficio, cadono in un sonno profondo, un sonno di morte. La pubertà è una stagione in cui solo una parte, quella naturale, è sviluppata, matura, ma l’altra quella che permette di entrare consapevoli nella realtà degli adulti ha bisogno di un tempo ulteriore. Sonno come morte apparente, una sospensione del fare, una necessità della natura femminile di prendersi tempo. Sonno come rinuncia forzata di un fare-impulso che non può ancora corrispondere con un fare consapevole. Il veleno deve essere metabolizzato, la figlia dovrà essere capace di reggere la frustrazione, dovrà imparare che la sua generatività viene soprattutto dalla sua capacità di trattenere gli impulsi, che non potrà come nell’infanzia avere tutto e subito. Venire in contatto con il veleno può essere interpretato come la necessità di accogliere della vita non solo ciò che ci piace, vedi il gioco dell’infanzia, ma anche di reggere ciò che di amaro, doloroso ci può capitare. Ma perché comunque un lungo sonno? Perché l’amarezza della vita venga accolta, perché abbia il tempo necessario di essere elaborata, perché questo amaro si trasformi in saggezza. Il processo di trasformazione non può essere accelerato, né può essere forzato, perché I PRINCIPI NON SALVANO MAI LE PRINCIPESSE! “Ma appunto erano passati i cent’anni ed era venuto il giorno che Rosaspina doveva ridestarsi. Quando il principe si avvicinò allo spineto trovò una siepe di bellissimi fiori…..” (pag. 177 Grimm op. cit). “Il principe ordinò ai suoi servi di portare la bara sulle spalle. Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per la scossa quel pezzo di mela avvelenata le uscì dalla gola” (pag. 190 Grimm op. cit.). Entrambe le descrizioni esprimono in modo simbolico che accade ciò che deve accadere e che solo con ciò si potrà fare. Gli effetti del”veleno” possono essere spesso rintracciati in quegli individui che pensano che sia sufficiente cercare un aggiustamento con gli aspetti più profondi, con le pulsioni per avere un certo tornaconto nella loro vita, per esempio se donne, acquisire uno speciale fascino erotico e se uomini diventare socialmente potenti. I fratelli Grimm 8 È velenoso questo loro rapporto con l’inconscio perché pensano sia possibile sfruttarlo e servirsene per puri obbiettivi coscienti. Liberarsi dal veleno richiede un lungo processo, che noi tecnici della psicologia junghiana chiamiamo Processo di Individuazione, ovvero diventare ciò che siamo, diventare se stessi, un cammino segnato dalla fatica che simbolicamente nelle fiabe è rappresentato dalla figura della strega, che compare e ricompare con le sue maledizioni ed i suoi veleni. Il sonno, questa sospensione della vita, ha una grande valenza perché simbolicamente rappresenta un tempo di latenza, un tempo che possa permettere alla mente ed al cuore di reggere esperienze interiori particolarmente forti ma che possono condurre ad una trasformazione tanto dei contenuti del collettivo che della singola persona. Ines Marzi Bibliografia “Le fiabe del focolare”, F.lli Grimm, Ed. Einaudi “Le fiabe interpretate”, M.L. Von Franz, Ed. Boringhieri, 1986 “L’individuazione nella fiaba”, M.L. Von Franz, Ed. Boringhieri, 1987 “The feminine in Fairytales”, M.L. Von Franz, Ed. Spring, Dallas 1986 “Snow white”, Theodor Seifert, Ed. Chiron, Illinois 1986 “Essere e tempo”, Martin Heidegger, Ed. Longanesi, Milano 2001 “Shadow and Evil in Fairytales”, M.L. Von Franz, Ed. Spring, Dallas 1987 “The Child”, Eriet Neumann, Ed. Karnac, London 1973 “The Dynamics of Symbols”, Verena Kast, Ed. Fromm, I.P.C. New York 1992 “Donne curano donne”, A. Bemestein, G.M. Warner, Ed. Astrolabio, Roma 1987 “Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia”, C.G. Jung e K. Keréni, Ed. Boringhieri, Torino 1972 “Simboli della trasformazione”, C.G. Jung, O.O. vol. 5, Ed. Boringhieri “La vita simbolica”, C.G. Jung, O.O. vol. 18, Ed. Boringhieri 9