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Anna Parisi
ALI, MELE
E CANNOCCHIALI
La rivoluzione scientifica
collana diretta da Giorgio Parisi
Professore Ordinario di Teorie Quantistiche
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
© 2002 Edizioni Lapis
Seconda edizione: giugno 2003
Nuova edizione: settembre 2007
Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata
ISBN: 978-88-7874-072-3
Edizioni Lapis
Via Francesco Ferrara, 50
00191 Roma
e-mail: [email protected]
www.edizionilapis.it
Finito di stampare nel mese di settembre 2007
presso Grafica Nappa - Aversa (CE)
illustrazioni di Fabio Magnasciutti
Introduzione
Nelle pagine seguenti, famosi studiosi come
Copernico, Brahe, Gilbert, Keplero, Galileo, Gassendi,
Cartesio, Torricelli, Pascal, Newton Leibniz, Huygens,
Halley, Boyle ti aiuteranno a ricostruire le tappe principali di quella che viene considerata una delle più grandi rivoluzioni scientifiche di tutti i tempi.
Questi uomini geniali, durante il periodo che va dalla
fine del 1400 alla fine del 1700, riuscirono a scardinare le
errate convinzioni che in epoca medioevale si erano radicate nella mente delle persone.
Oggi, alcuni ritengono che questa non sia stata la
“prima” grande rivoluzione scientifica avvenuta nella storia del pensiero occidentale.
Nel periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.), infatti,
grandissimi scienziati, come Euclide, Eratostene,
Aristarco, Archimede e altri importanti pensatori greci
erano arrivati a risultati veramente sorprendenti, avevano
sviluppato un metodo di ricerca rigoroso e le loro conoscenze teoriche erano state applicate alla progettazione per
la costruzione di strumenti di elevato livello tecnologico.
Non a caso questa “seconda” rivoluzione iniziò proprio
dall’approfondimento dei testi greci e dalla scoperta dei
risultati e dei metodi di ricerca proposti dagli antichi.
Come nell’antichità, così durante i primi tre secoli
dell’era moderna, la scienza fece enormi progressi e questo
grazie alla genialità degli studiosi e alla loro capacità di
confrontare idee e teorie.
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INIZIAMO DALL’INIZIO…
Nonostante alcune diversità di vedute infatti, come
afferma Keplero: “tutti gli amici della vera filosofia sono
chiamati insieme per l’inizio di una nobile riflesione”, una
riflessione che si concluderà con la formulazione di quella
bellissima teoria scientifica passata alla storia con il nome
di “fisica classica”.
… E l’inizio non è molto allegro!
I greci avevano raggiunto un livello molto elevato di
conoscenze scientifiche, ma dopo la conquista degli stati
ellenistici da parte dei romani, cosa rimase di quel grandissimo lavoro iniziato da Talete? Veramente ben poco.
I testi dei filosofi greci sicuramente arrivarono a Roma
e lì vennero letti, non realmente capiti e solo in parte
copiati nelle enciclopedie latine, inesatte e superficiali.
Gli originali, lentamente, andarono perduti, anche
perché con il tempo si perse la capacità di leggere la lingua greca e nessuno si preoccupò di tradurre in latino i
volumi antichi prima che questo accadesse.
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Fortunatamente, nelle biblioteche della parte orientale dell’impero, sopravvissero molti volumi antichi come
sopravvisse anche la capacità di leggerli. Alcuni studiosi,
quindi, potevano ancora approfondire le opere dei grandi
filosofi greci; ma anche coloro che oggi vengono considerati i maggiori scienziati della fine dell’evo antico non
credevano più che l’uomo potesse riuscire a comprendere
le leggi dell’universo. Si chiedevano infatti: «Chi può trovare la causa dei moti celesti? Non riusciamo nemmeno a
spiegare perché le stelle siano così numerose, o perché
abbiano colori e dimensioni diverse. Possiamo solo dire
che Dio ha fatto le cose bene».
Dove erano finiti quegli uomini coraggiosi e curiosi
che volevano capire tutto? Quegli uomini che si ponevano molte domande e che volevano trovare le risposte nella
natura, senza ricorrere all’intervento divino?
Proviamo ad allargare la nostra visuale e dirigiamo lo
sguardo un po’ più ad est.
Il sogno di Aristotele
E qui troviamo gli
arabi, un popolo intelligente e curioso che vive a contatto con i sapienti popoli
orientali, in particolare gli
indiani (dell’India, non i
pellirosse) e assimila le
importanti scoperte scientifiche del mondo orientale.
Nel VII secolo d.C. gli
arabi conquistarono le coste orientali del Mediterraneo, il
nord dell’Africa e la quasi totalità della Spagna.
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L’impero arabo era governato da califfi realmente
interessati allo sviluppo della scienza e del sapere in generale. Nell’VIII secolo d.C. furono invitati a Bagdad, la
capitale, molti scienziati e filosofi provenienti dalla Siria,
dalla Mesopotamia e dall’Iran. Erano sapienti musulmani, ebrei e cristiani e venendo da diversi paesi, parlavano
diverse lingue e avevano assimilato diverse culture.
Questo incontro arricchì le conoscenze di tutti.
Una leggenda
narra che il califfo
al-Mamun sognò
il grande filosofo
e scienziato greco
Aristotele che gli
chiese di far tradurre in arabo
tutti gli antichi
libri greci che il
califfo fosse riuscito a trovare.
Al-Mamun non
perse tempo, stipulò
importanti trattati con il
confinante impero bizantino
per ricevere i manoscritti greci ancora esistenti e mise
all’opera i suoi migliori uomini, aprendo un importante
centro di studi: la Casa del Sapere, simile a quello che era
stato il Museo di Alessandria.
Per merito del califfo, molti scritti degli antichi greci
sono sopravvissuti fino ai nostri giorni grazie alla loro traduzione in lingua araba.
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Gli arabi, però, non si limitarono a leggere e tradurre i testi greci, ma li studiarono attentamente, aggiunsero diversi contributi significativi, fondarono diverse scuole e portarono nelle terre conquistate il loro immenso
patrimonio culturale.
L’importanza di conoscere le lingue
In Europa occidentale la lingua ufficiale degli studiosi era il latino, il greco era stato quasi completamente
dimenticato e nessuno conosceva l’arabo.
Ma in Spagna, paese di lingua latina, gli studiosi convissero molti anni con gli arabi dai quali erano stati conquistati e impararono la loro lingua.
Per questo proprio in Spagna e specialmente nella città
di Toledo, poco dopo l’anno 1000, si iniziò a tradurre i
testi scientifici dall’arabo
in latino e dalla Spagna
questi volumi si diffusero progressivamente
in tutta Europa.
Tra le prime opere
tradotte vi furono alcuni libri di Euclide, di
Apollonio, di Archimede e di Tolomeo.
Ci si accorse subito
dell’importanza scientifica di questi testi e
quindi iniziò una vera
e propria “caccia” agli
originali greci.
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In Sicilia, terra in cui convivevano popolazioni di lingua greca, araba e latina, furono eseguite le prime traduzioni in latino direttamente dai testi greci.
Arabi o indiani?
La cultura greca, lentamente, iniziò ad essere conosciuta e studiata, ma specialmente nel campo della matematica, non meno importanti furono i contributi scientifici aggiunti dagli arabi, primo fra tutti l’introduzione
dei “numeri indiani”.
– Signor Fibonacci,
mi hanno detto di
rivolgermi a lei per
sapere cosa c’entrano gli arabi con i
“numeri indiani”.
– C’entrano perché
gli arabi li impararono dagli indiani,
capirono la loro
importanza, li utilizzarono nei loro nuovi sviluppi matematici e, soprattutto, li “esportarono” in Europa.
– Io non ne ho mai sentito parlare.
– Invece tu li usi tutti i giorni. Questi numeri sono:
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 0
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– Non pensavo che i “numeri indiani” fossero proprio i “numeri miei”. Comunque non mi sembra che gli indiani abbiano
fatto una grande scoperta. Anche i greci e i romani sapevano contare, solo che scrivevano i numeri in un modo diverso,
utilizzando le lettere. Non vedo una grande differenza nella
scelta di usare un simbolo o un altro.
– Prova a risolvere questa operazione in numeri romani:
CVII + III
– Penso che riuscirò a cavarmela! Lo traduco nelle mie cifre:
107 +
3=
—–
110
– In realtà:
CVII +
III =
—––
CX
– Certo, ma CX vuol dire 110!
– Con le cifre indiane (che abitualmente vengono chiamate “cifre arabe” perché sono stati loro ad avercele
insegnate) è molto ma molto più facile fare i calcoli. Si
possono fare le “operazioni in colonna” e questo proprio
perché il valore di ogni cifra è dato dalla sua posizione.
Quando io scrivo CVII + III, tu nella tua testa “vedi”
– Lei dove ha imparato questo nuovo
modo di scrivere i numeri?
– Sono nato nel 1180, il mio vero
nome è Leonardo Pisano, ma
tutti mi chiamano Fibonacci che
significa “figlio di Bonaccio”.
Fin da giovane ho viaggiato in
Egitto, Siria e Grecia. Aiutavo mio
padre, lui vendeva mercanzia, io tenevo i conti. I mercanti orientali usavano questo modo diverso di scrivere i
numeri e facevano i calcoli con estrema rapidità, così l’ho
studiato anch’io per poterlo utilizzare. L’ho trovato utilissimo e ho scritto un libro per diffonderlo in Europa il
più in fretta possibile.
Cultura universitaria
Nei primi secoli del
medioevo si studiava
principalmente nei
monasteri dove
107 +
3=
—– quindi sommi il 3 al 7, viene 10 e hai il risultato.
110
Ma i poveri studenti antichi romani non potevano farlo
perché non utilizzavano la “notazione posizionale”.
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venivano anche conservati e copiati a mano i libri; la
stampa, infatti, non esisteva ancora.
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Dopo l’anno 1000 cominciarono a sorgere in Europa
le universitas, congregazioni di studenti che pagavano
alcuni professori per ricevere una preparazione sulle
materie scolastiche.
La prima delle università europee fu quella di
Bologna, la cui nascita si fa risalire al 1088. I maestri
bolognesi si concentrarono sullo studio del Corpus Iuris,
una raccolta delle norme del diritto romano compiuta
dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo d.C. Le lezioni
si tenevano in latino, lingua parlata dalle persone colte di
tutta Europa e gli studenti venivano a studiare diritto a
Bologna da diversi paesi.
Nel secolo successivo sorsero molte altre università.
In Italia, tra le più importanti possiamo ricordare
Salerno, Napoli, Padova, Arezzo, Reggio Emilia e
Vercelli. In Francia troviamo Parigi, Montpellier e
Tolosa, in Inghilterra Oxford e Cambridge ed in Spagna
e Portogallo vennero fondate Palencia, Salamanca e
Lisbona.
I libri di testo
Per i testi universitari scientifici, l’autore più “di
moda” era Aristotele, anche se i suoi libri erano stati
scritti circa 1500 anni prima.
Si studiavano i suoi volumi di Fisica (questa parola in
greco vuol dire natura), il Del cielo e del mondo, che tratta
i problemi del movimento dei corpi celesti, i libri di
Meteorologia, dove Aristotele spiega una varietà di fenomeni che avvengono nel mondo sublunare (sotto la sfera
della Luna), come i venti, la pioggia, i tuoni e fulmini ed
il passaggio delle comete.
Cinematica non è una parolaccia
Nel XIV secolo nelle università, specialmente al
Merton College dell’università di Oxford, in Inghilterra,
si comincia a discutere di cinematica
La parola “cinematica” deriva dalla parola greca kinema, che significa “movimento”. La cinematica studia il
movimento dei corpi, cercando di spiegare come si muovono e rispondendo a domande del tipo: «quanto tempo
serve per arrivare da Roma a Milano se viaggio sempre a
110 chilometri all’ora?», ma non interessandosi del perché
i corpi si muovano e di cosa li spinga.
La cinematica vuole conoscere solo la tua velocità, lo
spazio che percorri e quanto tempo impieghi.
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Riunione di gruppo
– Cosa vi interessa di più?
Facciamo ora conoscenza con un gruppetto di scienziati inglesi. Te li presento: Bradwardine è il più anziano,
poi ci sono Heytesbury, Swineshead e Dumbleton.
– Studiare le qualità. Infatti, secondo Aristotele, ogni
cosa reale è formata da una sostanza e da qualità specifiche. La sostanza è la materia da cui è composto un
oggetto e non può cambiare, mentre le qualità
possono assumere diversi
valori.
– Non mi sembra chiarissimo.
– È per me un piacere conoscervi, ma scusate la mia ignoranza, non avevo mai sentito i vostri nomi.
– Questo non ci meraviglia affatto, primo perché gli
scienziati che sono diventati talmente importanti da
essere conosciuti da tutti sono veramente pochissimi e
secondo perché noi viviamo in un periodo di mezzo. Il
mondo greco ha prodotto dei risultati scientifici
importantissimi e coloro che vivranno tra un paio di
secoli avranno assimilato le conoscenze antiche e saranno pronti a proporre delle nuove teorie estremamente
interessanti. Noi stiamo solo preparando la strada.
– Basta fare alcuni esempi.
Prendiamo un po’ d’acqua che è una sostanza; se
cambio l’acqua in terra
non avrò più acqua ma terra, che è una sostanza diversa.
Ma se scaldo l’acqua, sempre acqua rimane, anche se
calda. Il calore è una qualità. Se la tingo di rosso, sempre
acqua rimane. Anche il colore è una qualità. Se la butto
dalla finestra, l’acqua acquista una certa velocità, eppure
sempre acqua rimane. La velocità è quindi, come molte altre
cose, una qualità degli oggetti
che noi osserviamo.
– Bene… e allora?
– Allora noi siamo molto interessati a calcolare la quantità
di queste qualità.
– In particolare, di cosa vi occupate?
– Sembra uno scioglilingua…
– Studiamo gli antichi pensatori e cerchiamo di capire il
loro modo di ragionare e la validità dei loro risultati.
– … invece è un problema
scientifico. Per scaldare una
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grande pentola d’acqua devo tenerla sul fuoco più a
lungo di una pentola piccola, ma alla fine la temperatura delle due pentole sarà la stessa. Per una maggiore
quantità d’acqua devo usare una maggiore quantità di
calore. Noi vogliamo riuscire a misurare proprio le
quantità che le diverse qualità hanno in un oggetto.
Anche la velocità è una qualità che va misurata.
– Che intendete dire per “misurata”?
– Abbiamo bisogno di trovare il modo per stabilire se un
oggetto si muova più o meno velocemente di un altro.
tempo a raggiungere il traguardo, cioè a percorrere una certa
distanza (dalla partenza all’arrivo).
– Si potrebbe, però, anche fare il contrario, cioè definire
“più veloce” chi, nello stesso tempo, è arrivato più lontano.
– È vero, potete anche decidere che bisogna correre per 2 minuti. Quando sono finiti i 2 minuti si dice “stop” e ci si ferma
tutti. Chi è arrivato più lontano è stato il più veloce.
– Adesso assistiamo ad una gara. Diamo il via a due
ragazzini. Questi cominciano a correre, ma uno dei due
si ferma ad allacciarsi una scarpa, poi riprende a correre e raggiunge l’altro. Adesso sono passati 2 minuti e
noi diamo lo stop. I ragazzi si fermano e risultano essere esattamente alla stessa distanza dalla linea di partenza. Quindi hanno percorso la stessa distanza nello stesso tempo. Hanno corso alla stessa velocità.
– Neanche per sogno! Quello che si è fermato ha corso molto
più veloce!
– Allora la nostra definizione di “più veloce” non funziona sempre.
– Basta vedere chi vince una gara di corsa. Fateli partire insieme e guardate chi taglia prima il traguardo.
– Beh, un po’ funziona. Se si fa una gara di corsa e uno si
ferma peggio per lui, conta solo chi arriva primo al tra-
– Quindi tu ci suggerisci di definire “più veloce” il corpo
che impiega un tempo minore di un altro a percorrere
uno stesso spazio.
– Certo che voi parlate in modo molto complicato! Comunque
sì, vi suggerisco di definire “più veloce” chi impiega meno
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guardo. Non funzionerebbe, però, se volessimo sapere chi ha
raggiunto, durante il tragitto, la velocità più elevata.
– È questo il punto. Se un corpo si muove sempre alla
stessa velocità, senza mai rallentare o accelerare, noi
diciamo che si muove a velocità costante (“costante”
significa proprio “che non cambia”) e possiamo conoscerla misurando quanto tempo impiega a percorrere
un certo spazio, o quanto spazio percorre in un certo
tempo. Il problema nasce quando la velocità non è più
costante ma cambia. Se un corpo, ad esempio, aumentasse sempre la sua velocità, si potrebbe sapere che velocità ha in ogni istante? Potremmo chiamarla “velocità
istantanea”, cioè la velocità che un corpo ha in un certo,
preciso, istante; non l’istante prima, né quello dopo.
– E quanto dovrebbe
essere piccolo questo “istante”?
– Qui è il problema: non lo sappiamo! Abbiamo
molte difficoltà.
Se potessimo usare delle semplici formule che legano
tra loro spazio, tempo e velocità, saremmo estremamente più felici e tutto apparirebbe più semplice…
– E perché non lo fate?
– Non è facile come pensi. Non ci è venuto ancora in
mente… ci penseranno i posteri! Comunque, qualche
bel risultato lo abbiamo raggiunto. Ad esempio, abbiamo imparato che se un corpo si muove di moto uniformemente accelerato, lo spazio che percorre in un certo
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tempo è uguale allo spazio che il corpo percorrerebbe
nello stesso tempo se si muovesse con una velocità
costante ed uguale alla metà della velocità massima del
moto accelerato.
– Beh ragazzi, andiamoci piano! Veramente dite cose senza
senso e con troppi condizionali.
– In realtà non possiamo fare di più, però i nostri studi sulla
cinematica sono stati ritenuti interessanti anche in Italia
e in Francia, dove sono stati approfonditi. Vai a Parigi e
cerca un certo Nicola Oresme. Lui ti aiuterà a capire
meglio.
La cinematica
parigina
Nicola Oresme
(1323-82) lavorava a
Parigi, ma non ebbe
difficoltà a conoscere i
risultati degli studiosi
del Merton College di
Oxford perché tutti scrivevano in latino, che nel medioevo era la lingua delle università e dei dotti di qualsiasi paese europeo.
Anche Oresme era interessato alla possibilità di
misurare le qualità di un corpo, tra le quali la velocità.
Per capire meglio i problemi a cui voleva trovare
risposta, cominciò a disegnare e questo, come vedrai, lo
aiutò molto.
Oresme decise di rappresentare su una linea orizzontale il tempo che passa, mentre in verticale rappresentava
la velocità di un oggetto.
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Disegnandolo diventa più semplice.
Ammettiamo che un corpo abbia una velocità costante
il cui valore sia 20.
Se la velocità è costante, vuol dire che non cambia
mai. Parte a velocità 20, al tempo 1 ha ancora la velocità
20, al tempo 2… sempre 20. E così via.
La figura che si ottiene è un rettangolo.
Con questo metodo possiamo disegnare anche il moto
di un oggetto che, da fermo, cominci a muoversi aumentando sempre la sua
velocità in maniera
costante.
Al tempo 1 la velocità
è 10,
al tempo 2 è 20,
al tempo 3 è 30,
al tempo 4 è 40.
Disegnamo questo moto. La forma
della figura non è più
un rettangolo ma un
triangolo.
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Se guardi la figura dei due moti sovrapposti ti puoi
rendere conto che lo spazio percorso dai due oggetti nell’intervallo di tempo che va da 0 a 4 è uguale perché la
velocità del corpo A (20) è la metà della velocità massima
del corpo B (40).
Questo è esattamente quanto affermavano gli studiosi
del Merton College.
Senza una
definizione esatta di velocità, per
vel. B
la quale si dovrà
attendere ancora
qualche secolo, è
impossibile
dimostrare rigovel. A
rosamente questa
affermazione, ma
dal disegno puoi
intuire che il
corpo B passa la
prima metà del
tempo ad accelerare per raggiungere la velocità di A, mentre la seconda metà del tempo deve continuare ad accelerare per recuperare lo svantaggio.
Raggiungerà A solo quando sarà riuscito a raddoppiare la sua velocità, e non un momento più tardi.
Gli studi di questo periodo sul movimento dei corpi
non si fermarono qui e adesso dobbiamo dare un’occhiata
alla teoria dell’impetus del maestro di Oresme, Giovanni
Buridano, professore all’Università di Parigi, vissuto
all’incirca tra il 1300 ed il 1358.
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Chi mi ha spinto?
– E cosa dice questa teoria dell’impetus?
– Ti ricordi come Aristotele spiega il fatto che la freccia
continui a muoversi anche quando è finita la spinta,
cioè quando si è staccata dall’arco?
– Sì, Aristotele sostiene che l’aria crea dietro alla freccia una
specie di vortice che continua a spingere la freccia.
continua a muoversi da sola e non si ferma mai se non
incontra qualche ostacolo.
– Non mi convinci affatto, non ho mai trovato nulla che continui a camminare, camminare e non si fermi mai.
– Perché tutto, qui sulla terra, trova la resistenza dell’aria
a frenarlo.
– Quindi noi non possiamo sapere come si muoverebbe un
oggetto se non incontrasse la resistenza dell’aria.
– È vero, ma se guardi il cielo puoi ben vedere che il Sole,
la Luna, le stelle e i pianeti si muovevano al tempo
degli egiziani, si muovono adesso e sono pronto a scommettere che si muoveranno anche nell’epoca futura in cui vivrai tu.
– Sì, si muoveranno
anche allora…
– Bene, questa teoria dell’aria che spinge la freccia non è
mai piaciuta molto, già un certo Giovanni Filipono
(VI secolo d.C.) l’ha criticata e anche Avicenna (9801037 d.C.), un grande pensatore arabo, sostiene che,
una volta terminata la spinta, la capacità di muoversi
rimane nell’oggetto. Inizialmente le loro spiegazioni
non furono accettate, ma in questo secolo, il XIV, il
mio maestro Buridano ripropone l’idea di Avicenna.
Lui sostiene che l’arco comunica alla freccia un certo
impetus, una spinta. Questo impetus rimane nella freccia
anche dopo che si è staccata dall’arco. Così la freccia
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– … e tu pensi che
qualcuno li spinga
di continuo?
– No… non so… non ci
avevo mai pensato…
– Buridano afferma che
Dio, quando creò il
mondo, impresse ad
ogni corpo celeste un impeto in modo che continuasse
a muoversi senza bisogno di un suo nuovo intervento.
– Mi sembra ragionevole… è strano pensare ad un Dio che,
ogni tanto, dia una spintarella all’universo.
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– È quello che pensiamo anche noi. Sarebbe certo meno
faticoso “spingere l’universo” se il Sole e le stelle stessero ferme e girasse solamente la Terra, comunque bisognerebbe sempre spingere un po’ se l’impetus non si
conservasse.
– Perché, voi credete che il Sole stia fermo al centro dell’universo e la Terra gli giri intorno?
– Ah, saperlo! Probabilmente è il contrario, ma l’ipotesi
è interessante, se girasse solo la Terra sarebbe tutto più
semplice e più economico.
Nel XIV secolo gli studiosi si dedicarono molto allo
studio dei “mondi possibili”, mentre si preoccuparono
piuttosto poco dell’osservazione dell’unico universo a
nostra disposizione. In questo senso considerarono anche
l’ipotesi del moto circolare della Terra intorno al Sole,
non perché la ritenessero necessariamente vera, ma solo
perché “ci si poteva anche immaginare un universo con il
Sole al centro”… perché no?
Le idee degli studiosi del Merton College, di Oresme
e della scuola di Buridano si diffusero anche in Italia
dove vennero approfondite e studiate specialmente
all’Università di Padova.
ALTRO CHE COMPUTER!
La seconda metà del ‘400 vide una serie di invenzioni e scoperte che realmente rivoluzionarono la vita degli
uomini in Europa: la stampa, la polvere da sparo, la bussola e la scoperta dell’America.
A Magonza in Germania, nel 1456, Hans Gutemberg
stampò per la prima volta un libro: una Bibbia. La stampa si diffuse rapidamente e già alla fine del ‘500 esistevano tipografie in 110 città europee, delle quali ben 50 solo
in Italia.
Prima i libri dovevano essere copiati a mano e per
averne uno era necessario aspettare anni.
Dopo questa invenzione un volume veniva
stampato mediamente in 1.000 copie e i
libri esauriti potevano essere ristampati.
L’invenzione della
stampa contribuì in
modo determinante
alla circolazione delle
idee e all’avanzamento del sapere.
Se la stampa facilitò la circolazione delle idee, la bussola facilitò la circolazione delle persone, permettendo di
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viaggiare
in
alto mare e di
seguire la rotta
anche nelle notti
in cui le nuvole
oscuravano le stelle.
La polvere da sparo,
invece, cambiò radicalmente le tattiche difensive ed offensive.
La scoperta
dell’America che, avvenuta nel 1492, fu realmente conosciuta da tutti solo molto più tardi, fece capire ai “vecchi”
europei la grandezza del mondo e la varietà della natura,
mostrando nuove specie animali e vegetali.
In Europa arrivarono le patate, il
caffè, il mais, il pomodoro (chissà
prima come condivano la pasta a
Napoli), il cacao, il fagiolo, il
tabacco e vennero conosciuti
molti nuovi animali come il tacchino, il puma, il caimano, il
lama e la lince.
Nel 1620, il filosofo
Francesco Bacone scriverà
che dall’invenzione della
stampa, della bussola e della
polvere da sparo derivarono grandissimi cambiamenti
tanto che: «Nessun impero, nessun gruppo di persone,
nessuna stella sembra aver esercitato sulle cose umane un
maggior influsso ed una maggiore efficacia».
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Laboratori artistici
Questo periodo, chiamato Rinascimento, vide fiorire
le arti: la pittura, la scultura e l’architettura. Nelle botteghe degli artisti, veri e propri laboratori dove lavoravano
molte persone e si formavano i giovani, si studiava anche
la scienza e ci si dedicava a lavori tecnici e alla costruzione di macchine.
In queste botteghe i giovani imparavano a tagliare le
pietre e fondere il bronzo per plasmare le statue, studiavano le tecniche per realizzare cupole ed archi e approfondivano l’anatomia (forma del corpo) per dipingere e
modellare il più fedelmente possibile la figura umana.
Per rappresentare nei dipinti oggetti e persone in
prospettiva, bisognava anche conoscere la matematica e la
geometria. Proprio gli artisti di questo periodo, infatti,
avevano introdotto la prospettiva: la tecnica che permette di disegnare su un foglio piano delle immagini tridimensionali.
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Gli oggetti più vicini appaiono più grandi mentre
quelli più lontani più piccoli, secondo precise proporzioni e regole geometriche.
L’artista inventore
Questo era il mondo in cui crebbe e lavorò Leonardo
da Vinci. Leonardo nacque appunto a Vinci (vicino
Firenze) il 15 aprile 1452. Nel 1469 si trasferì a Firenze
e a soli 20 anni era già iscritto alla Compagnia dei Pittori.
Leonardo ci ha lasciato molte opere e molti scritti su
diversi argomenti.
– Messer Leonardo, quali sono le sue
specialità?
– Ho spiegato tutto in una lettera
scritta a Ludovico il Moro quando
volevo farmi chiamare a lavorare presso la sua corte di Milano: io posso
inventare e costruire macchine per la
guerra, posso progettare opere di architettura, sono capace di fondere il bronzo e di scolpire, inoltre dipingo
meravigliosamente…
– … e sa fare anche il caffè?
– Il caffè? Ma se la prima volta che sono partito per
Milano mancavano ancora 10 anni alla scoperta
dell’America! Lasciami continuare: «Et se alcuna de le
sopradicte cose a alchuno paressino impossibile e infactibile, me offerò paratissimo ad farne experimento».
– Mi scusi, ma come parla?
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– In volgare! Io sono «omo sanza lettere» (cioè ho studiato poco) e con il latino non me la cavo affatto bene.
– Meglio così, io il latino non lo conosco proprio, ma anche con
il volgare ho qualche difficoltà, ai tempi miei l’italiano è diventato più semplice.
– Che vuol dire più semplice?
Per me è più semplice il mio
volgare perché l’ho sempre
parlato, comunque farò del
mio meglio per essere il
più chiaro possibile.
– Mastro Leonardo, io so che
lei è stato un eccellente pittore. La sua fama ha raggiunto tutti i confini della
terra e le sue opere sono
esposte nei più importanti musei del mondo. Ma questo è un
libro di scienza e non capisco perché lei ci sia finito dentro.
– Se hai studiato Aristotele, sai che il nostro mondo è
composto da quattro elementi: terra, aria, acqua e
fuoco. Questi elementi si uniscono e si dividono, si
mischiano e si separano, e il nostro mondo è in continuo movimento. Ogni movimento è determinato dalle
leggi a cui la natura obbedisce e queste leggi si possono esprimere in forma matematica. L’artista deve conoscerle, altrimenti non può realizzare la sua opera. Ad
esempio un architetto, per costruire deve saper bene
«quale siano le cagioni che tengano lo edifizio insieme
e che lo fanno premanente».
– D’accordo, ma tutto questo non serve nella pittura.
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– E lo dici tu! Come fai a dipingere se non conosci le regole secondo le quali un’immagine arriva al tuo occhio?
– Sta parlando delle regole della prospettiva?
La visione 3D (tridimensionale)
– Certo. La prima regola della prospettiva riguarda la
possibilità di disegnare sul piano del foglio, ciò che in
natura occupa, invece, uno spazio. È un problema che
sicuramente avrai dovuto affrontare anche tu: se una
casa si vede in lontananza devi disegnarla più piccola
del fiore che vuoi mettere in primo piano. Questa prospettiva equivale a guardare un oggetto dietro ad un
vetro piano e ben trasparente.
– Come, come?
– Prendi un foglio di carta
molto, molto sottile, in
modo che sia trasparente
e fermalo con lo scotch
alla finestra della tua
camera. Adesso prendi
la matita e “ricalca” sul
foglio le righe delle case
e delle strade che vedi
dietro. Questo è il primo tipo di prospettiva.
tiva. Prima traccia la faccia del cubo che tu vedi piana
(non metterla davanti al punto di fuga, ma un po’ di
lato). Fai partire
dagli spigoli delle
linee rette che
arrivano al punto
di fuga, quindi
disegna gli spigoli
più lontani del
cubo.
Una volta imparato il trucco puoi
disegnare quello
che vuoi, ad esempio la tua stanza piena di mobili. Alla fine ricordati di
cancellare tutte le linee che ti sono servite solo a
costruire il disegno.
– Tu dipingevi sempre così, appiccicando il foglio alla finestra?
– Ma no! Una volta capite le regole, basta applicarle!
Prendi il tuo foglio, disegna una riga che rappresenta
l’orizzonte e sopra la linea disegna un punto, il “punto
di fuga”. Adesso prova a disegnare un cubo in prospet-
32
– È fantastico, sembra veramente tridimensionale!
33
– Sì, ma manca la prospettiva “aerea”!
– Che avevi studiato le macchine non lo avevo mai sentito!
– Cioè vista da un aeroplano?
– Se tu per “macchine” intendi le “automobili”, sono
molto contento che non lo abbia mai sentito… quelle
erano troppo anche per la mia fervida fantasia. Ma se
per “macchine” intendi tutto
ciò che è capace di compiere
un lavoro, ne ho studiate
anche molte ed alcune funzionavano senza bisogno di lavoro umano, come ad esempio
questo fantastico girarrosto
che vedi disegnato qui a lato.
– Ma che aeroplano! Non sono riuscito nemmeno a far
volare la mia macchina volante! “Aerea” nel senso che
ti devi ricordare che esiste l’aria.
– Come fa a girare?
– Cosa c’entra l’aria con un dipinto?
– Se guardi un orizzonte lontano lo vedi un po’ sfumato,
non chiaro e nitido come un oggetto vicino, perché tra
te e l’orizzonte c’è una grande quantità di aria e la tua
vista ne rimane un po’ offuscata.
– Certo, questo è vero. Allora nella pittura bisogna inserire
anche l’aria presente tra te e l’oggetto che dipingi?
– Esatto. Questo per riprodurre la natura come ci appare.
Ho studiato molto i quattro elementi naturali. Un’idea
che mi è sempre frullata per il cervello era quella di riuscire ad utilizzare gli elementi naturali per far funzionare una macchina senza bisogno di una forza umana o
animale.
34
– Il fuoco scalda l’aria sovrastante, l’aria calda sale facendo girare le eliche di sopra e,
tramite un complicato meccanismo, il moto delle eliche si
trasmette nuovamente sotto e
fa girare il pollo.
– Accidenti, un’invenzione di portata mondiale!
– Ragazzino insolente, non capisci la grande idea che c’è
sotto? Tutto funziona senza che nessun uomo fatichi!
– Certo, scusa e che mi dici della tua macchina volante?
– Ne ho progettate tante… ma nessuna riusciva a riprodurre quello che gli uccelli sanno fare fin dai primissimi
giorni di vita. Ricostruire macchine capaci di imitare la
natura è molto, molto difficile perché non conosciamo
ancora bene tutte le leggi a cui la natura obbedisce.
35
E Leonardo aveva ragione: capire le leggi della natura ci ha permesso di volare!
Leonardo si interessò soprattutto della natura del
mondo “sublunare” (la parte di universo situata sotto la
sfera della Luna), come lo definiva Aristotele; studiò il
comportamento dei quattro elementi (aria, acqua, terra e
fuoco) e usò le sue conoscenze per realizzazioni pratiche.
Meglio le “stalle” che le “stelle”
Molto distanti dagli occhi di Leonardo erano le stelle
e i pianeti, troppo inaccessibili per essere interessanti.
L’astronomia e l’astrologia erano materie studiate
nelle università che Leonardo non frequentò mai. La sua
idea sull’astrologia, molto di moda in quel periodo, era
chiara: «Dell’influsso degli astri sulle persone non ne
voglio nemmeno sentir parlare perché queste teorie non
hanno fondamenti scientifici: se guardate le mani di
uomini morti nello stesso momento, ad esempio in battaglia, sono tutte diverse e in nessuna loro linea si può riconoscere la loro morte».
36
L’UNIVERSO SOTTO-SOPRA
Poco prima che Leonardo compisse 21 anni, il 19 febbraio del 1473, nacque in un altro angolo dell’Europa, a
Thorn (Polonia) un certo Niklas Koppernigk che passò
alla storia con il nome latinizzato di Nicolaus
Copernicus, Nicolò Copernico in italiano.
Nicolò rimase orfano di
padre ad appena 10 anni di
età. La sua famiglia (Nicolò
era il più piccolo di cinque
fratelli) poté contare sull’aiuto dello zio, un ricco
sacerdote allora al servizio
del principe di Polonia.
Nel 1491, Nicolò si
iscrisse all’Università di
Cracovia. Smise di studiare
prima di laurearsi, ma sappiamo che seguì i corsi di matematica ed astronomia.
Nel 1495, con l’appoggio dello zio, Nicolò divenne
uno dei sedici canonici della diocesi di Warmja, ma si
rifiutò categoricamente di diventare sacerdote.
Prima di prendere servizio presso la diocesi, decise di
recarsi a studiare a Bologna dove si iscrisse alla facoltà di
diritto canonico. Lì abitò nella casa dell’astronomo
Domenico Maria Novara (1454-1504) che sicuramente
influenzò la sua preparazione e lo incoraggiò ad osservare
i fenomeni celesti.
Fu proprio a Bologna che Copernico compì le sue
prime osservazioni dei cieli ed in particolare studiò i movimenti della Luna che, alle ore 23.00 del 9 marzo 1497,
37
oscurò la stella Aldebaran
passandogli davanti. Con le
sue osservazioni si rese conto
che alcuni dei risultati
riportati nell’Almagesto di
Tolomeo non erano esatti.
Per giustificare la variazione di velocità con la
quale noi vediamo la Luna
spostarsi nel cielo, Tolomeo aveva ipotizzato un’orbita
lunare in cui la Terra si trovava piuttosto lontana dal centro, senza però tener conto che, quando la Luna fosse stata
molto vicina a noi, sarebbe dovuta apparire molto più
grande di quanto di fatto ci appare.
Le spiegazioni geometriche di Tolomeo descrivono
bene le posizioni degli astri, ma non spiegano tutti i
fenomeni che noi osserviamo e questo, a Copernico, non
parve affatto bello! Il modello di Tolomeo non aveva
nulla a che vedere con la realtà.
Nel 1501, senza essersi laureato, Copernico tornò a
casa per un breve periodo e quindi ripartì per Padova
dove si iscrisse alla facoltà di
medicina. Nel 1503 Nicolò
decise di tornare a casa e
per non farlo senza uno
straccio di pezzo di
carta, si laureò, infine,
a Ferrara in diritto
canonico. Scelse questa
università perché le
tasse da pagare erano
minori che a Padova.
38
Allarghiamo gli orizzonti
Tornato in Polonia, si stabilì
inizialmente a Heilsberg e quindi a Frauenburg dove curava gli
affari della diocesi. I suoi appartamenti erano collocati in
una torre e la stanza più alta,
dove Nicolò studiava, aveva
un terrazzino dal quale si
poteva osservare metà del
cielo, mentre l’altra metà era
coperta alla vista.
Questo non andava affatto a genio a Copernico che
non si lasciò scoraggiare,
acquistò i mattoni e costruì
un osservatorio proprio
sopra la torre: da qui la vista
era finalmente completa!
In questa torretta
posticcia, costruita con 800
pietre, nacque quella che risulterà
essere una delle più grandi rivoluzioni scientifiche che mai
la storia abbia conosciuto.
Prima di dare un’occhiata alle idee di Copernico devi
ricordare una cosa: gli astronomi ritenevano che ogni pianeta fosse ancorato ad una sfera solida che ruotava in cielo.
La grande rivoluzione
Tra il 1508 ed il 1514, Copernico lavorò ad un volumetto, De revolutionibus orbium coelestis. Commentariolus (Le
rivoluzioni delle sfere celesti. Breve commento) che, già nelle
39
sette affermazioni introduttive, conteneva quanto bastava
a sconvolgere il modo di pensare di allora.
Vediamole:
1. Non esiste un solo centro di tutte le sfere celesti.
2. Il centro della Terra non è il centro dell’universo ma è
solo il centro della gravità e della sfera della Luna.
3. Tutte le sfere ruotano intorno al Sole e quindi il centro
dell’universo è in prossimità del Sole.
4. La distanza tra la Terra e il Sole è piccolissima in confronto all’altezza del firmamento.
5. Qualunque moto appaia nel firmamento non dipende
dal moto del firmamento, ma da quello della Terra.
Quindi la Terra, con gli elementi ad essa più vicini
(l’atmosfera e le acque che sono sulla sua superficie),
compie un moto giornaliero di rotazione completa
intorno ai suoi poli fissi, mentre il firmamento rimane
immobile.
6. Quelli che ci appaiono come movimenti del Sole non
dipendono da un suo reale movimento, ma dal moto
della sfera della Terra che ruota intorno al Sole come
ogni altro pianeta. La Terra ha quindi più di un movimento.
7. Il moto apparentemente retrogrado (che torna indietro)
dei pianeti è dovuto non al loro movimento ma a quello della Terra. Il moto della sola Terra è quindi sufficiente a spiegare tutte le irregolarità che appaiono in cielo.
40
Cosa c’è di strano?
Copernico non fu certo
il primo a sollevare queste
obiezioni. Già Pitagora
sosteneva che al centro dell’universo ci fosse un grande fuoco attorno al quale
giravano il Sole, la Terra
e tutti gli altri pianeti. È
vero, il Sole non era al
centro, ma non ci stava
nemmeno la Terra.
In seguito Aristarco
aveva descritto il cosmo con il Sole immobile al centro e la Terra che ruotava su se stessa in 24 ore
e conpiva un giro intorno al Sole nell’arco di un anno.
Dov’era la novità, dov’era la rivoluzione?
La prima osservazione da fare è che la Terra che noi
abbiamo sotto i piedi è assolutamente ferma, non ci scorre
sotto e non scappa. Inoltre la Terra, lo sappiamo bene, è
grossa, pesante, e quindi poco adatta a muoversi per l’universo.
Ma non basta. Rileggi l’affermazione numero 2: «il
centro della Terra è solo il centro della gravità e della sfera
della Luna». Anche questo è piuttosto strano; in primo
luogo perché a questo punto esistono due centri: uno, nei
pressi del Sole, per tutti i pianeti compresa la Terra e un
altro, la Terra, per la Luna e per la gravità.
Ma mentre è facile immaginare che tutti i corpi pesanti cerchino di raggiungere il centro dell’universo, come
diceva Aristotele, non si capisce proprio perché invece
41
debbano cercare di andare
verso il centro della Terra,
piccolo pianeta come gli
altri e per di più in
continuo movimento
intorno al Sole.
Allora i corpi
pesanti cercano di raggiungere, in ogni istante, un punto dell’universo diverso, dato che il
centro della Terra si muove. E come fanno a sapere dove
questo centro si trova in ogni momento?
se stessa, allora un punto posto sull’equatore si muove
all’incredibile velocità di più di 1.600 km/h!
Infatti:
40.000 km / 24 h = 1.666 km/h.
La questione americana
– Copernico, perché
non hai pubblicato
il Commentariolus?
A che velocità dovrebbe muoversi questa Terra? Per
avere un’idea della velocità di rotazione della Terra abbiamo bisogno di saper quanto sia grande e qui ci viene in
aiuto proprio la scoperta dell’America! Cristoforo
Colombo, infatti, non partì per dimostrare che la Terra
fosse tonda, questo lo sapevano tutti già da secoli, il suo
scopo era aprire un nuovo canale commerciale con le
Indie. Egli pensava di poterle raggiungere in molto meno
tempo di quanto gli servì, invece, per arrivare in
America, cioè per fare circa la metà del giro che si era proposto.
Il suo viaggio dimostrò che la circonferenza terrestre
era molto più grande di quanto avesse ritenuto Tolomeo,
avvicinandosi, invece, alla misura che aveva calcolato
Eratostene intorno al 200 a.C., ovvero circa 40.000 km.
Adesso, se la circonferenza terrestre misura 40.000
km e se la Terra impiega 24 h (ore) a compiere un giro su
42
Quando è troppo, è troppo!
L’idea di una Terra in
movimento non è
molto facile da accettare. Lo capì anche
Copernico che non
pubblicò mai il
Commentariolus.
– Ho continuato a lavorare sviluppando il mio sistema.
Ho impiegato diversi anni a scrivere un libro più grande e più completo: il De Revolutionibus orbium caelestium.
– Perché, il Commentariolus non conteneva tutto?
– I princìpi erano gli stessi, ma bisognava sviluppare l’intero sistema in modo che si potessero calcolare gli spostamenti dei pianeti.
– Cioè avevi bisogno di dimostrare che il Sole fosse veramente
al centro dell’universo?
– Nel mio modello il Sole non si trova esattamente al
centro, ma un po’ spostato. Il centro dell’universo corrisponde al centro dell’orbita terrestre. In ogni caso, se
non proprio nel centro, il Sole è fermo ed è la Terra che
43
gira. Ma questo non è possibile dimostrarlo, non esiste
nulla che ci mostri inequivocabilmente che la Terra
giri. Però, se riesco a calcolare tutti i movimenti dei
pianeti e a trovare una spiegazione per i fenomeni che
si osservano in cielo, se inoltre il mio sistema sarà più
semplice di quello tolemaico, beh, spero che le persone
comincino a pensare che è probabile che l’universo sia
veramente organizzato come dico io.
Avanti o indietro?
– Quali sono i fenomeni che ti interessa spiegare?
– Ad esempio, i moti retrogradi dei pianeti. Per spiegarli Tolomeo ha dovuto costruire un sistema complicatissimo. Se invece ammettiamo che il Sole sia fermo e che
la Terra giri, allora la loro spiegazione diventa molto
naturale.
Guarda il disegno.
Noi vediamo i pianeti fermarsi e tornare indietro
rispetto alle stelle fisse. Bene, la Terra gira iniziando,
diciamo, da T1. In quel momento Marte si trova in M1
e noi, rispetto alla sfera delle stelle fisse, lo vediamo
nella posizione 1. Quando la Terra si trova in T2 e
Marte in M2, lo vediamo nella posizione 2, cioè si sta
movendo “in avanti” e così anche quando sono nella
posizione 3. Quando, però, la Terra è in T4 e Marte in
M4, noi lo vediamo nella posizione 4 ed è dunque “tornato indietro” rispetto alla posizione 3 di prima.
Questo “tornare indietro” è solo apparente, in realtà
Marte è sempre e solo andato avanti, ma anche la Terra
è andata avanti e ha raggiunto Marte, così noi lo vediamo nella posizione 4 e ci sembra che sia tornato indietro. La stessa cosa succede nella posizione 5 in cui torna
“ancora più indietro” per poi ricominciare ad andare
avanti nella posizione 6 e 7.
– E tutto questo solo con moti circolari! Lo sai che Platone
aveva promesso un premio a quel filosofo che fosse riuscito a
spiegare i moti retrogradi dei pianeti con la combinazione di
più moti circolari uniformi?
– Ma chissà se Platone avrebbe mai accettato l’idea di una
Terra in movimento!
– E a te come è venuta in mente?
– Ho studiato Tolomeo con estrema attenzione e mi sono
soffermato su un problema. Prendiamo, ad esempio, il
sistema di Marte. Tolomeo aveva costruito la sua sfera
intorno alla Terra e quindi l’epiciclo su cui gira il pianeta Marte. L’epiciclo è quel cerchio più piccolo che
vedi nel disegno, il cui centro si muove sempre sulla
sfera del pianeta.
44
45
Adesso proviamo a cambiare i cerchi. Costruiamo una
sfera piccola ed un epiciclo grande. Abbiamo solo
scambiato la sfera grande
con quella piccola e viceversa. Quello che otteniamo è che dalla Terra
vediamo sempre il pianeta nella stessa direzione, sia che usiamo la
prima figura, sia che
usiamo la seconda. Ma la
seconda ha una incredibile novità: il Sole si
trova sempre nella direzione che unisce la Terra
al centro del cerchio
grande. Così è possibile
costruire un solo sistema
che contenga contemporaneamente il Sole, la
Terra e Marte.
Adesso, se Marte e il
Sole possono essere combinati insieme, forse può
esserlo anche Giove. E ci sono riuscito. Piano, piano ho
inserito tutti i pianeti in un solo schema.
– Ma la Terra mi sembra sempre al centro ed immobile.
– In questo modello matematico certamente lo è, ma
puoi stare tranquillo: questo modello non rappresenta
la realtà.
– E come fai a saperlo?
46
Un pallone gonfiato
– Per il semplice motivo che le sfere si intersecano, ma le
sfere sono solide e come è possibile che si intersichino?
Hai mai provato a fare intersecare due bicchieri? Nulla
di fatto! Puoi al limite metterli uno dentro l’altro, ma
non si intersecheranno mai.
– Le sfere? Ma sei proprio sicuro che i pianeti siano fissati su
delle sfere solide?
– Certo! Altrimenti come farebbero le stelle fisse a rimanere sempre alla stessa distanza le une dalle altre, se
non fossero ben posizionate su una sfera solida ed inalterabile? Hai mai guardato un pallone da calcio? Tutto
bianco e con dei disegni neri. Perché, secondo te, i
pezzi neri rimangono sempre alla stessa distanza rispetto agli altri? Perché sono disegnati su una sfera solida.
La tua palla, però, non è inalterabile e se la schiacci
puoi vedere bene che le distanze dei disegni neri cam-
47
biano un po’. Questo non avviene mai nelle stelle. E poi
ci sarebbe un altro problema: se le sfere non esistessero
come si reggerebbe tutta questa roba in cielo?
– Beh, allora mi sembra che siamo tornati al punto di partenza: il modello è bello, ma sicuramente non è reale.
– È vero, però… se prendi quel modello e… fermi il Sole
e… fai muovere la Terra… voilà, tutto risolto: è bello,
semplice e le sfere non si intersecano più!
– Diamine! Fantastico! È questo che ti ha convinto?
– Bene, e allora?
– Ho calcolato in questo modo le distanze medie dei pianeti dal Sole, rispetto alla distanza tra la Terra e il Sole
(distanza relativa), e poi ho anche calcolato quanto
tempo ogni pianeta ci mette a fare un giro completo
intorno al Sole (periodo).
– Continua.
– Il cosmo è meravigliosamente proporzionato!
– Cosa stai dicendo?
Commensurabilità meravigliosa
– Beh, non ancora. Ho iniziato a fare un po’ di calcoli.
Ammettiamo che il Sole stia fermo e la Terra giri e
guardiamo Venere che è
più vicino a noi del
Sole. Misuriamo l’angolo tra Venere e il Sole.
Questo angolo sarà
massimo, se visto dalla
Terra, quando Venere si
troverà nella posizione
A, cioè quando l’angolo
segnato con un quadratino, sarà uguale a 90°.
L’angolo α (si legge
“alfa”) a cui vediamo il Sole lo possiamo misurare. A
questo punto i matematici sono in grado di calcolare la
distanza tra Venere e il Sole, rispetto a quella tra la
Terra e il Sole. In particolare se diciamo che la distanza
tra la Terra e il Sole è uguale ad 1, allora quella tra
Venere e il Sole risulta di 0,72.
48
– Guarda, i pianeti più vicini al Sole sono anche quelli
che ci mettono di meno a percorrere il loro giro e, via
pianeta
distanza
relativa
periodo
(giorni)
Mercurio
Venere
Terra
Marte
Giove
Saturno
0,387
0,723
1,000
1,520
5,200
9,540
88
225
365
687
4.333
10.759
via che si allontanano dal Sole, impiegano più tempo.
Non è stupendo? E anche i dati della Terra tornano perfettamente: è il terzo pianeta più vicino al Sole e ci
mette il terzo tempo a fare un giro completo. I dati tornano, la Terra si muove.
– Fantastico, hai ragione, ma hai provato a fare gli stessi calcoli mettendo la Terra al centro?
49
– Non è possibile, perché dalla Terra potremmo solo misurare l’angolo a cui vediamo i pianeti e non la loro distanza. Guarda la figura:
dalla Terra, tu vedresti
il pianeta nello stesso
punto sia che lui si
muovesse sul cerchio
grande che sul cerchio
piccolo.
– È molto semplice. Mettiti davanti ad uno sfondo qualsiasi, la parete della tua stanza con qualche cosa appeso
alle pareti va benissimo. Adesso stendi il braccio davanti a te con il dito indice alzato e guarda il dito e la sua
distanza dal bordo di un quadro. Tieni il dito fermo e
chiudi l’occhio sinistro, tieni ancora il dito fermo, chiudi l’occhio destro e apri il sinistro. Il dito si è spostato!
– Ma io non l’ho spostato.
– No, so solo che deve essere molto, molto grande. Sono
sicuro che la sfera delle stelle fisse si trovi veramente
lontana da noi.
– Certo, il dito è fermo ma
rispetto al quadro della
parete si è spostato a
sinistra se guardi con
l’occhio destro e a destra
se guardi con il sinistro.
Questo è quello che si
chiama errore di parallasse.
– Come fai a dirlo?
– E che c’entra con le stelle?
– Nelle stelle fisse non si osserva parallasse!
– Se la Terra si muove è
come se noi guardassimo
con l’occhio sinistro
quando la Terra è a sinistra e con l’occhio destro
quando è a destra e quindi dovremmo vedere le
stelle spostarsi di conseguenza, come prima con il dito. Questo spostamento
non lo osserviamo mai. L’unica spiegazione è che le
stelle siano molto molto lontane. Se provi a guardare
un albero lontano chiudendo prima uno e poi l’altro
occhio questo errore non lo noti più.
– È vero, Copernico, hai
ragione. Con un sistema così bello sei riuscito anche a calcolare le dimensioni dell’intero universo?
Non ti allargare
– Cosa hai detto?
50
51
– Scusa la domanda, Copernico, ma se il lavoro di Tolomeo
fosse così tanto sbagliato, perché darebbe dei risultati piuttosto buoni sulle posizioni dei pianeti?
– Ma il moto “naturale” dei corpi terrestri è quello rettilineo,
non circolare (una pietra cade dritta, non si mette mica a
ruotare)…
– I nostri modelli danno più o meno gli stessi risultati
perché il pianeta, dalla Terra, si vede sotto lo stesso
angolo, l’unica cosa osservabile. Il mio professore
all’università diceva che un compito il cui risultato è
giusto, o non contiene errori, oppure contiene un numero di errori pari, il cui effetto sui calcoli si elimina.
– Ma la Terra è una sfera ed il moto naturale delle sfere è
rotolare…
Contro ogni logica
– Perché, allora, tu credi tanto nel tuo modello?
– Te l’ho spiegato: esprime un ordine bellissimo nel
cosmo e poi, in mezzo a tutti sta il Sole. In effetti «chi,
in questo tempio bellissimo (l’universo), potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore di
quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme?».
Inoltre, che io non sia proprio un pazzo scatenato, lo
dimostra il fatto che anche diversi antichi pensatori,
come i pitagorici e Aristarco, abbiano affermato che la
Terra si muove nell’universo. Se sono pazzo, almeno,
non sono il solo!
– Bella consolazione! Ma hai calcolato quale fantastica velocità dovrebbe avere la Terra per compiere un giro completo su
se stessa in 24 ore?
– Per quanto alta possa essere questa velocità, di certo
sarebbe molto ma molto inferiore a quella che dovrebbe
avere l’enorme sfera delle stelle fisse per compiere lo stesso giro. Infatti la sfera delle stelle è immensamente più
grande della sfera della Terra!
52
Quando i geni si vergognano
Copernico, in realtà, fu un “rivoluzionario” oltremodo prudente. Aveva paura di esser preso in giro da tutti,
tanto il suo modello sembrava assurdo: non è facile pensare che la Terra, così grande e pesante, sia “lanciata”
attraverso il cielo. Inoltre l’esperienza quotidiana ci dice
il contrario: la Terra che noi abbiamo sotto i piedi è
ferma, immobile, e di questo siamo certi!
Bisogna anche dire che, per riuscire a far tornare i
conti con le osservazioni dei pianeti, Copernico dovette
aggiungere parecchie correzioni ai moti delle sfere tanto
che, alla fine, il suo universo risultò complicato quasi
come quello di Tolomeo. Nella pagina seguente puoi confrontare i modelli.
53
Copernico
Tolomeo
Probabilmente Copernico non avrebbe mai pubblicato
niente se non ci si fosse messo di mezzo un certo Retico, il
cui vero nome era Georg Joachim von Lauschen, nato nel
1514 in Rezia (che corrispondeva alle attuali Svizzera e
Austria) e quindi passato alla storia con il soprannome di
Retico.
54
Professore di matematica, aritmetica e geometria
all’università di Wittenberg, in Germania, Retico aveva
avuto notizie delle idee di Copernico, ma dato che nulla
era stato pubblicato in proposito, decise di andare a trovare direttamente lo scienziato per capire qualche cosa in
questa losca faccenda.
Retico si recò da Copernico nel 1539 e leggendo il
manoscritto del De Revolutionibus si rese immediatamente
conto della novità e della forza delle idee di Copernico e
decise che era giunto il momento che il mondo le conoscesse. Per questo compose un libro, la Narratio Prima,
nel quale espose le idee dello scienziato polacco.
Eccone alcune frasi:
«La vera intelligenza delle cose celesti, come dimostra Copernico, dipende dai movimenti uniformi e
regolari del solo globo terrestre: in questo è
indubbiamente presente qualche cosa di divino… Perché non dovremmo attribuire a Dio,
creatore della natura, l’abilità che
osserviamo presso i semplici
fabbricanti di orologi? Essi
pongono ogni cura nell’evitare nei loro meccanismi delle ruote
inutili…».
Fu attraverso la Narratio Prima che il mondo scientifico conobbe le idee di Copernico, ma Retico riuscì a far
pubblicare anche il De Revolutionibus. Il 24 maggio del
1543, consegnò una copia del volume nelle mani di
Copernico, che vide il suo capolavoro poco prima di chiudere gli occhi per sempre.
55
Che ne pensate?
Quali furono le reazioni a queste idee rivoluzionarie?
Potremmo definirle quanto meno “freddine”.
Alla prima edizione del De Revolutionibus fu aggiunta
una prefazione scritta da Andreas Osiander, il pastore
della chiesa di San Lorenzo di Norimberga. In questa
introduzione, il modello Copernicano veniva presentato
come una serie di ottimi trucchi matematici per far tornare i conti e non certo come una descrizione della realtà.
Nonostante la prefazione, le reazioni delle Chiese furono
durissime.
Bisogna parlare di “Chiese” e non di “Chiesa” perché
proprio durante la vita di Copernico avvenne lo scisma
della Chiesa Luterana.
In questo periodo era essenziale
per le Chiese definire quale fosse
“la verità”, non solo in campo teologico, cioè le verità che riguardavano Dio (dal greco,
Theos=Dio, logos=discorso, teologico= discorso intorno a Dio),
ma in tutti i campi del sapere.
Nel 1539, Martin Lutero, il
fondatore della Chiesa Evangelica
Luterana, definì Copernico «un
astronomo da quattro
soldi che si pone in contrasto con la Bibbia».
La Bibbia afferma, infatti, che Giosuè ordinò: «Sole,
fermati in Gàbaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon». Il
Sole si fermò, continua la Bibbia e questa era una dimostrazione del suo precedente movimento.
56
Calvino, riformatore religioso francese, condivise la
stessa opinione di Lutero, insistendo sul fatto che ogni
parola delle Sacre Scritture debba essere considerata verità, anche se parla di
problemi scientifici.
La Chiesa
Cattolica prese
una posizione di
condanna ufficiale solo più
tardi, ma non
furono pochi i
canonici che,
già nei primi anni di vita della nuova
teoria, la criticarono pubblicamente dal pulpito, sostenendo che il copernicanesimo violasse il principio secondo il quale ogni scienza dovesse essere subordinata alla
teologia.
Nessuna scienza può sostenere modelli dell’universo
in contrasto con la descrizione che si ricava dalle Sacre
Scritture. La teoria copernicana è «stolta, assurda e formalmente eretica», cioè contraria alle verità della fede.
Gli astronomi, dal canto loro, furono in generale
cauti nell’accettare le nuove teorie, ciononostante molti
apprezzarono il lavoro di Copernico, specialmente perché
i dati calcolati a partire dal suo modello erano in notevole accordo con le osservazioni dei movimenti planetari.
Nel 1551, Erasmus Reinold, pubblicò le nuove tavole astronomiche, calcolate sul modello copernicano, con il
nome di Tabulae Prutenicae, in onore del duca di Prussia.
57
NON C’È DUE SENZA TRE
La regola “non c’è
due senza tre”, sebbene
manchi di ogni dimostrazione scientifica accettabile, risulta vera sempre e
comunque.
Esistevano ormai due
sistemi per descrivere
l’universo, quindi ne serviva un terzo che non
tardò ad apparire.
Bisognava, però, farsi
venire un’idea intelligente: Tolomeo aveva messo al centro, immobile la Terra, Copernico invece il Sole e Tycho
Brahe, cosa altro poteva inventarsi di nuovo?
Una nuova stella?
Ma il cielo non doveva essere perfetto ed immutabile? Aristotele infatti così affermava, ma la nuova stella
c’era, ed era anche estremamente luminosa.
Piano, piano, la stella cambiò colore.
Tycho Brahe era il nome latinizzato di Tyge Brahe
che, nato in Danimarca nel 1546, aveva seguito in modo
saltuario alcuni corsi universitari a Lipsia.
Tycho credeva fermamente che i fenomeni celesti
influenzassero quelli terrestri ed iniziò accurate osservazioni astronomiche mosso da interessi astrologici.
Aiutati che il ciel ti aiuta
Già a sedici anni scrutava il cielo e fu proprio il cielo
ad offrire a Tycho un inaspettato regalo che segnò tutto il
resto della sua vita.
La sera dell’ 11 novembre 1572, Tycho si accorse che
nella costellazione di Cassiopea era apparsa una nuova
stella!
58
Passò dal bianco al giallo al rossastro ed al rosso, divenendo sempre più fioca fino a quando, verso l’inizio del
1574, sparì come era apparsa.
Tycho aveva osservato attentamente e pazientemente
il fenomeno e pubblicato le sue osservazioni nel De nova
stella (1573).
59
La pazienza è la virtù dei forti
– E chi ha mai detto il contrario?
Il re di Danimarca fu colpito dalla sua bravura e volle
fargli un regalo speciale: la signoria dell’intera isola di
Hveen, dove Tycho fece costruire il bellissimo castello di
Uraniborg e installò il più grande osservatorio astronomico fino ad allora costruito.
In questo castello molti giovani vivevano, studiavano
ed osservavano i moti di stelle e pianeti.
– Non hai studiato molto, caro: tutti dicono il contrario!
– E per quale motivo?
– Secondo Aristotele i cieli devono essere perfetti ed
immutabili mentre le comete appaiono e scompaiono.
Quindi le comete devono appartenere ai fenomeni
meteorologici, tipo la pioggia o la grandine, fenomeni
che avvengono solo nel mondo sublunare, dove la materia è composta dai quattro elementi e tutto cambia,
tutto si trasforma.
– E sei sicuro che non sia
così?
Il cielo fu ancora generoso con Tycho e gli regalò le
comete, apparse nel 1577 e nel 1585. Lui, per ricambiare, le osservò e studiò con attenzione arrivando ad un
risultato estremamente interessante.
– Tycho, cosa hai scoperto?
– Le comete mostrano una parallasse piccolissima (se non
ti ricordi cos’è la parallasse, rileggi meglio pagina 51).
– Accidenti, molto interessante… e allora?
– Questo vuol dire che sono lontane, sono più lontane
dalla Terra di quanto lo sia la Luna.
60
– Impossibile, la parallasse è troppo piccola!
Tutte le comete da me
osservate si muovono
nelle regioni eteree del
mondo, e non nell’aria
al di sotto della Luna,
come Aristotele e i suoi seguaci hanno cercato di farci
credere, senza una ragione, per tanti secoli.
– Ma le comete hanno la loro sfera che ruota, come i pianeti o
le stelle fisse?
– Secondo la mia opinione, la realtà di tutte le sfere deve
essere esclusa dai cieli. È chiaramente provato dal moto
delle comete che la macchina del cielo non è un corpo
duro e impenetrabile composto di varie sfere reali,
come fino ad ora è stato creduto da molti, ma è libero
e aperto in tutte le direzioni.
61
La ringrazio della domanda
– Oh mamma mia! Ma dici cose più rivoluzionarie di
Copernico!
– Posso anche dire di
peggio.
– E cioè?
Scritture. Allora io dichiaro, al di là di ogni dubbio,
che si debba stabilire che la Terra occupi il centro dell’universo e che non si muova. Ritengo però sbagliato
anche il modello tolemaico e penso che solo il Sole e la
Luna, che come un orologio segnano il tempo, e la lontanissima sfera delle stelle fisse, abbiano la Terra come
centro delle loro rivoluzioni. Mentre i cinque pianeti
restanti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
ruotano intorno al Sole come loro guida e re.
– Non mi è chiaro.
– Guarda il disegno.
– Dalle mie osservazioni risulta che le comete si muovano intorno al Sole su “orbe” non circolari ma ovali.
– Che significa “orbe”?
– Questa domanda viene proprio al momento giusto perché la parola “orbe”, fino a che non sono arrivato io, ha
sempre voluto dire “sfera del pianeta”, da me in poi,
invece, prende il significato di “orbita”, ovvero di
“cammino percorso dal pianeta nello spazio”.
– Questa è la novità del tuo modello cosmologico, la mancanza di sfere?
– Non sarebbe poco ma le differenze sono comunque
maggiori. Il modello del grande Copernico è affascinante, ma egli afferma che il corpo della Terra, grosso e
pigro, si muova e questo urta non solo contro i principi della natura, ma anche contro l’autorità delle Sacre
62
63
– Ma la sfera di Marte interseca quella del Sole…
– Ripetiamo per i cucuzzoni: le sfere non esistono, i pianeti si muovono nello spazio lungo orbite. Le traiettorie di Marte e del Sole si intersecano, ma i due corpi
celesti non potranno mai scontrarsi dal momento che
Marte ruota sempre intorno al Sole. Dal disegno puoi
capire che non si verificherà mai un pericoloso scontro
spaziale.
– Ma è mai possibile che in questo periodo vi svegliate tutti
con delle nuove idee sull’universo?
– Forse non è un caso… forse il fatto che un uomo, in
questo caso Copernico, abbia proposto una nuova teoria
ha fatto sì che iniziasse una interessante discussione alla
quale molti vogliono partecipare.
Comunque non preoccuparti, siamo solo all’inizio.
Tu sai che io cerco sempre di capire cosa significano i
segni celesti. Forse la nascita della nuova stella stava ad
indicare l’inizio di un periodo di grandi rivoluzioni
nella storia della conoscenza della natura. Non lo so.
So solamente che Copernico è stato un genio, anche io
non me la sono cavata troppo male… ma il bello deve
ancora venire! A proposito di questo, potrei presentarti il mio nuovo collaboratore: Johannes Keplero, come
dite voi in italiano, Giovanni Keplero.
LE NUOVE ORBITE
Giovanni Keplero nacque a Weil nel 1571.
Frequentò l’università protestante di Tubinga dove il suo
professore di astronomia, Michael Maestlin, insegnava
anche il modello copernicano, oltre
a quello tolemaico.
Maestlin spinse il giovane
Keplero a valutare i pro e i contro
dei due modelli, con il risultato
che Keplero diventò copernicano.
Giovane dalle idee bizzarre,
quello che lo convinse della
bontà del modello eliocentrico
(con il Sole al centro) è che in
questo caso i pianeti che ruotano
intorno al Sole risultano essere
solo sei, dato che la Luna gira intorno alla Terra, mentre
nel modello tolemaico i pianeti sono sette, dato che anche
la Luna gira intorno al Sole.
I magnifici “sei”
– Scusami tanto, Giovanni, ma perché ti sembra così importante che i pianeti siano sei?
– Mi sono proposto di mostrare, nel mio volume Mysterium
Cosmographicum, pubblicato nel 1596, che Dio Ottimo
Massimo (questo è il modo con cui chiamo amichevolmente il Creatore), nella costruzione del mondo e nella
disposizione dei cieli, guardò ai cinque corpi solidi regolari che tanto sono stati celebrati fin dal tempo di
Pitagora e di Platone.
64
65
– Certo, la mirabile armonia delle cose immobili, cioè il
Sole, le stelle fisse e lo spazio, che corrispondono alla
Trinità di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, mi
incoraggiò a cercare l’armonia anche nelle cose immobili ovvero i pianeti.
– E quale armonia avresti trovato?
– E quali sono questi cinque solidi regolari?
– Puoi vederli nel disegno.
– E perché sono così famosi?
– Perché sono le uniche figure solide che possono essere
costruite con figure equilatere tutte uguali tra loro. Il
cubo è costituito da 6 quadrati che hanno, appunto,
tutti i lati uguali, il tetraedro, l’ottaedro e l’icosaedro,
rispettivamente da 4, 8 e 20 triangoli equilateri ed il
dodecaedro da 12 pentagoni, anch’essi equilateri.
– Interessante, ma cosa c’entrano con il cosmo?
– Dio Ottimo Massimo dispose numero, dimensioni e
movimenti delle cose celesti secondo la proprietà di questi corpi.
– Ma sei proprio sicuro?
66
– L’orbe della Terra è la misura di tutti gli altri orbi.
Circoscrivi ad essa un dodecaedro, la sfera che a sua
volta lo circoscrive è quella di Marte. Alla sfera di
Marte circoscrivi un tetraedro, la sfera che lo contiene è
la sfera di Giove. Alla sfera di Giove circoscrivi un
cubo, la sfera che lo racchiude sarà quella di Saturno.
Nell’orbe della Terra iscrivi un icosaedro, la sfera iscritta in esso è quella di Venere. A Venere iscrivi un ottaedro, in esso sarà iscritta la sfera di Mercurio.
– Ma veramente credi che queste strane figure l’una dentro
l’altra descrivano bene le orbite dei pianeti?
67
– Senti caro, ho provato a trovare altre armonie più semplici, a vedere se, per caso, un’orbita fosse il doppio di
un’altra, o il triplo, o il quadruplo, ma non ne veniva
fuori niente. Con questa ardita costruzione geometrica,
invece, i dati sono piuttosto simili a quelli ottenuti da
Copernico. Ho quindi pensato di essere sulla strada
giusta!
cercando di instaurare una corrispondenza che aiutasse
ambedue nella
ricerca ma non si è
fatto più sentire.
Matematico
imperiale
– Quindi cosa
hai fatto?
– Mamma mia, ma la persone hanno veramente creduto a
questi giochi di figure?
– Ho spedito il mio libro a Tycho Brahe e lui è rimasto
impressionato dalla mia capacità di fare i calcoli, anche
se non condivideva il modello copernicano. A lui serviva un buon matematico e così mi ha chiamato come suo
assistente a Praga, dove svolgeva il servizio di matematico imperiale, dopo aver lasciato la Danimarca.
– E nessun altro ha fatto commenti?
– Mi è arrivata una lettera da un italiano, un certo Galileo
Galilei che si è congratulato con il fatto che seguissi il
modello copernicano. Secondo me, non aveva ancora
letto tutto il mio libro; in ogni caso io gli ho risposto
68
– Ho lavorato
con Brahe fino alla sua morte nel 1601 e poi ho preso
il suo posto come matematico imperiale. La quantità di
osservazioni e l’accuratezza dei dati del «grandissimo
Tycho Brahe, astronomo più grande di ogni possibile
sua celebrazione» mi hanno aiutato moltissimo nelle
mie ricerche, così sono riuscito a completare il mio
capolavoro l’Astronomia nova seu Physica coelestis
(Astronomia nuova, ovvero Fisica celeste), che ho pubblicato nel 1609.
– È veramente importante questo tua nuova astronomia?
– Decisamente sì. Ed è anche decisamente “nova”. Dico
cose mai dette prima.
– In questo periodo mi sembra che siate tutti un po’ maniaci
delle novità!
– Tu lo sai che i pianeti sembrano cambiare velocità? Ogni
tanto sembra che vadano più lenti, ogni tanto più veloci.
– Certo che lo so, per questo gli astronomi hanno sempre cer-
69
cato di comporre i moti in modo da spiegare quest’apparente variazione di velocità.
– Bene, la variazione di velocità non è affatto apparente
ma reale: i pianeti cambiano veramente velocità.
– Non ci credo, come fai a
dirlo?
– Perché il raggio che congiunge il Sole al pianeta
copre aree uguali in tempi
uguali, ed è vero, le misure
tornano!
– Spiegami cosa vuol dire.
– Guarda il disegno. Se il
pianeta ci mette un certo tempo ad andare da P1 a P2, ci
metterà lo stesso tempo ad andare da P3 a P4 se l’area
dell’arco di cerchio A risulta uguale all’area dell’arco di
cerchio B.
– E questo che c’entra con le velocità?
– Beh, vedi tu stesso che il tragitto
tra P1 e P2 è più piccolo di quello tra P3 e P4. Se il pianeta ci
mette lo stesso tempo a percorrerlo, vuol dire che
dovrà andare più lento.
Però il disegno è sbagliato
perché le orbite non
sono circolari.
– Cosa stai dicendo?
70
Non più cerchi!
– L’orbita di ogni pianeta è
un’ellisse perfetta di cui il Sole
occupa uno dei fuochi. Solo
questa descrizione torna con le
osservazioni delle posizioni e
delle velocità dei pianeti.
– Ma non è possibile, le orbite sono sempre state circolari!
– Infatti nessuno riusciva, con un solo cerchio, a descrivere veramente i moti dei pianeti. Ho provato a calcolare
le posizioni dei pianeti utilizzando tutte le possibili orbite circolari, ma niente, i dati delle osservazioni risultavano sempre in disaccordo. Avevo un errore di circa 8
minuti di grado!
– Non mi sembra un errore molto grande!
– Bene, con le orbite ellittiche, questo errore scompare ed
inoltre basta una sola figura per descrivere l’orbita, non
servono più diversi cerchi ma una sola ellisse.
– Cos’è, esattamente un’ellisse?
– È la figura in alto. Se vuoi
sapere come la definiscono i
matematici vai a pagina 164.
Per disegnarla puoi mettere
due puntine in A e B (questi
punti vengono chiamati fuochi dell’ellisse) e legarci intorno una cordicella un po’ lunga. Come nel disegno, metti
la matita nel filo e falla girare stando attento che il filo
rimanga teso. Ecco la tua ellisse.
71
I pianeti percorrono un’ellisse ed il Sole occupa uno dei
fuochi della loro orbita.
– Questo è quello che tu hai scoperto?
La musica dell’Universo
– Non basta, ho continuato a
cercare le armonie che
governano l’universo ed ho
pubblicato, nel 1619
un volume intitolato
Harmonices mundi libri
quinque (Cinque libri
sull’armonia del mondo) in cui ricerco, oltre ai rapporti
geometrici tra le orbite, cosa che avevo già esposto nel
Mysterium, anche le armonie musicali, dato che Dio non
è solo un geometra, ma anche un musico.
– Ma queste sono le idee di Pitagora, mi aspettavo qualche
cosa di più moderno!
– E mica era stupido Pitagora! Però io sono andato un po’
più avanti nella ricerca delle armonie, e posso affermare che: «È un fatto assolutamente certo ed esatto che la
proporzione dei quadrati dei tempi periodici di due
pianeti scelti a piacere è esattamente come la terza
potenza della proporzione tra le loro distanze medie, e
cioè tra le loro stesse orbite».
– Cosa hai detto?
– Ho enunciato la “terza legge di Keplero”, che trovi
spiegata a pagina 165.
– Grazie.
72
– Comunque non preoccuparti, non è tanto importante
capire esattamente la formula. È importante, invece,
sapere che esiste una relazione precisa tra il tempo che
i pianeti impiegano a fare un giro completo intorno al
Sole e la loro distanza dal Sole. Inoltre, è importantissimo poter scrivere questa relazione in forma matematica. Sembra proprio che la natura obbedisca a leggi
matematiche e questa non è una piccola scoperta.
L’universo “conosce” la matematica e la geometria e
anche bene, l’ellisse, infatti, non è mica una figura
tanto semplice!
Per arrivare a questa
relazione, bisognava
veramente avere la
tenacia, la pazienza, e
forse anche la fede
incrollabile nell’esistenza di armonie nell’universo
che aveva, appunto, Keplero.
Prima di arrivare a formulare la sua legge, egli
aveva provato tutte le relazioni tra periodo e distanza
che gli erano venute in
mente.
Qualsiasi altro comune mortale si sarebbe annoiato
prima ed avrebbe abbandonato la ricerca. Ma Keplero no:
l’armonia esisteva e lui doveva trovarla.
Le tre leggi di Keplero (che trovi riassunte a pagina
164) si studiano ancora oggi sui banchi di scuola ma, ai
suoi tempi, crearono invece qualche imbarazzo, mettendo
in piena evidenza il più grande dei problemi da risolvere:
73
se i pianeti si muovono liberamente su orbite ellittiche e
per di più con una velocità variabile, perché non cadono
e perché non si fermano mai, cosa li spinge?
Non sta in piedi
Keplero fornì una spiegazione al problema del continuo movimento dei pianeti. Ma prima di conoscerla
dobbiamo dare uno sguardo
agli studi pubblicati nel
1600 dall’inglese William
Gilbert (1540-1603), nel
volume De magnete.
Gli aghi magnetici delle bussole puntano sempre il
nord della Terra. Gilbert voleva capire perché e fece molti
esperimenti studiando in particolare i magneti sferici;
arrivò alla conclusione che la Terra si comporta come una
grande calamita. Per questo l’ago segna sempre il nord.
Keplero aveva letto il De
magnete e, come Aristotele,
credeva nel fatto che ogni
corpo potesse compiere un
movimento solo nel caso in
cui ci fosse stato un motore a
farlo muovere. Appena il
motore avesse terminato la
spinta, il corpo si sarebbe
fermato. Quindi i pianeti
avevano bisogno di un motore che funzionasse sempre e sempre li spingesse per il
cielo. Queste le convinzioni di Keplero:
74
«La mia costruzione fu infine terminata con l’aggiunta del tetto, quando dimostrai che il moto dei pianeti
deve essere prodotto da una facoltà magnetica corporea. I
motori dei pianeti appaiono essere, con ogni probabilità,
simili a quella qualità che è nel magnete che tende verso
il polo e attrae il ferro. Solo per spiegare la rotazione locale del corpo del Sole sembra sia necessaria la forza proveniente da un’anima».
Il tono di questa spiegazione è meno deciso di quello
che Keplero usa per le altre dimostrazioni.
Appaiono espressioni tipo “con ogni probabilità”,
oppure “sembra sia
necessaria”, in ogni
caso, anche se non
era convintissimo,
aveva comunque
cercato una spiegazione accettabile.
Keplero non
assomiglia affatto a quello che noi potremmo definire uno
scienziato moderno: credeva nel potere degli astri, studiava i pronostici, affermava che il Sole avesse un’anima e
ricercava la musica nei pianeti; nonostante questo ci ha
regalato le tre leggi fondamentali sul moto dei pianeti.
Fu probabilmente a causa del suo atteggiamento
“molto fantasioso” che Galileo Galilei non lo prese mai
troppo sul serio.
75
I CIELI NUOVI
Ma chi era questo signore?
Galileo Galilei nacque a Pisa, il
15 febbraio 1564.
Iniziò gli studi di medicina,
che poi abbandonò per dedicarsi
alla matematica.
Il suo maestro, Ostilio Ricci, trasmise all’allievo la
sua grande ammirazione per Archimede. Dobbiamo
ricordarci che Archimede affrontava i problemi di fisica
con gli strumenti matematici e questa idea rimase sempre ben fissa nella mente di Galileo: per descrivere la
natura deve essere usata la matematica.
certi che questi non impiegarono lo stesso tempo ad arrivare a terra.
Nel 1592, Galileo lasciò Pisa ed andò ad insegnare
all’università di Padova, dove iniziò ad approfondire
l’astronomia. Studiava il sistema copernicano e insegnava
quello tolemaico. Ad un certo punto cominciò ad interessarsi al fenomeno delle maree e pensò che potesse essere
un segno del movimento della Terra: questi ragionamenti lo convinsero della bontà delle idee di Copernico.
La torre di Pisa
A venticinque anni,
Galileo divenne professore
di matematica presso
l’università di Pisa.
Si narra che in
quegli anni Galileo
facesse esperimenti
lasciando cadere oggetti
dalla torre di Pisa per
dimostrare che arrivavano
a terra nello stesso istante, ma sembra oggi impossibile
pensarlo, dato che a quei tempi Galileo ancora non riteneva vero che due corpi dai pesi diversi, se lasciati cadere
insieme, arrivassero a terra allo stesso istante.
Se poi, salendo sulla famosa torre, egli perse contemporaneamente la moneta e il fazzoletto, possiamo essere
76
Fino al 1609, Galileo si occupò principalmente dello
studio dei movimenti dei corpi e dei periodi di oscillazione dei pendoli. Su questi argomenti arrivò a risultati
importanti, ma li vedremo in seguito.
Per adesso cerchiamo di capire come, nel 1609, da
oscuro insegnante universitario che non aveva ancora
pubblicato nulla, Galileo sia diventato, nel giro di
pochissimo tempo, uno degli uomini più importanti e
conosciuti della sua epoca.
77
Il cannocchiale
– Galileo, hai visto gli U.F.O.?
Nella primavera del 1609, Galileo venne a sapere che
gli occhialai dei Paesi Bassi costruivano un oggetto guardando attraverso il quale
si vedevano le cose
ingrandite.
Pensò subito
di rivendere l’idea,
come se fosse sua,
alla Repubblica
Veneziana, per la
quale lavorava come
professore all’università di Padova.
– Non dire stupidaggini, ho guardato la Luna.
Il favoloso oggetto si chiamava cannocchiale e poteva
essere utilizzato per scrutare il mare ed accorgersi dell’arrivo di navi, prima di quanto fosse possibile ad occhio nudo.
Questo procurò a Galileo molti elogi da parte del
doge ed un aumento di stipendio, ma non la notorietà
internazionale. Il doge venne poi a sapere che il cannocchiale già si usava nei Paesi Bassi e si adirò con Galileo
che era riuscito ad ottenere un aumento di stipendio
senza averne diritto!
Galileo decise allora di conquistarsi un merito reale,
davanti al doge e a tutta l’umanità: puntò il cannocchiale dritto verso il cielo, proprio nello stesso anno in cui
Keplero pubblicava la sua Astronomia nova.
Il cannocchiale permise a Galileo di osservare cose
veramente mai viste!
78
– Beh, potevi anche “lanciarti” un poco più lontano…
– Sulla Luna ci sono montagne e valli, la sua superficie è
simile a quella terrestre.
– Ma che dici? Aristotele ha affermato che la Luna, come
tutti i corpi celesti, è perfetta ed immutabile!
– La superficie della Luna è simile a quella della Terra.
Specchio, specchio
delle mie brame…
– Questo me lo hai già detto,
ma ti dimostro che stai sbagliando. La Luna rispecchia la
luce del Sole, quindi la sua superficie è perfettamente levigata e simile a quella di uno specchio. Hai mai
visto un pugno di terra riflettere la luce?
– La superficie della Luna è simile a quella della Terra…
– Sì, sì questo l’ho capito ma…
– … ed è proprio per questo che rispecchia la luce del
Sole.
– Cosa stai dicendo?
– Prendi uno specchio ed appendilo fuori, su una parete
di una casa bianca, illuminata dalla luce solare. E adesso guarda bene cosa riflette meglio la luce del Sole: lo
specchio o la parete della casa?
79
– La luce che mi viene dalla specchio mi acceca… ma se mi
muovo un po’ e cambio posizione… lo specchio mi appare tutto
nero!?!
– Ah, e la parete?
– La parete mi sembra sempre luminosa, da qualsiasi posizione la guardi!
– Ah! E chi ha ragione? La superficie della Luna è simile
a quella della Terra!
– Ok, ok, mi hai convinto. Cos’altro hai visto con il cannocchiale?
L’universo si popola di stelle e pianeti
– La Via Lattea è formata da tante, piccolissime stelle.
– Cos’è la Via Lattea?
– Hai visto altro di strano?
– Giove ha quattro lune.
– Non ti sembra di esagerare?
Di Luna ne esiste una sola e
finora nessuno si è sognato di
farla girare intorno a Giove!
– Sto parlando di altri quattro, nuovi, corpi celesti.
Cioè, scusa, non nuovi, solo
mai visti prima perché non
sono visibili ad occhio
nudo. Quattro corpi celesti
che girano intorno a Giove
come la Luna gira intorno
alla Terra.
07 - 01 - 1610
08 - 01 - 1610
09 - 01 - 1610
“tempo nuvoloso”
10 - 01 - 1610
11 - 01 - 1610
12 - 01 - 1610
13 - 01 - 1610
14 - 01 - 1610
“tempo nuvoloso”
15 -01 -1610
– Ma sei sicuro?
– Se leggi il mio Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610,
avrai un’idea chiara di tutto quanto ho visto, ma dato
che sono gentile, ti ho riportato i disegni delle mie
osservazioni.
– Cosa hai pensato dopo tutte queste osservazioni?
– Quando guardi il cielo in una notte buia, lontano dalle
luci della città, puoi vedere una striscia più chiara,
biancastra: la Via Lattea. Ecco, se la guardi con il cannocchiale, vedi tante piccole stelle, talmente lontane
dalla Terra, ma vicine tra loro, da sembrare un’unica
striscia più chiara se le guardi ad occhio nudo.
80
– L’universo non è fatto come dice Aristotele! Non esiste
differenza tra “cieli” e Terra, i pianeti e le stelle sono
costituiti da materia simile a quella della Terra. La
Terra gira, come tutti gli altri pianeti. La teoria copernicana è valida.
– Che i corpi celesti siano simili alla Terra, l’ho capito, ma
non vedo perché questo ti faccia ritenere valide le idee di
Copernico.
81
… Chi è la più bella del reame?
– Ci sono anche altre prove. Ad esempio, secondo la teoria
copernicana, Venere, girando intorno al Sole, dovrebbe
apparirci di dimensioni
diverse: grande se è
vicina e piccola se è lontana. Inoltre non si
dovrebbe vedere sempre “la Venere piena”,
ma come la Luna
dovrebbe presentare
delle “fasi”: un quarto
di Venere, mezza Venere e niente Venere, per poi ricominciare a crescere (guarda il disegno). Ad occhio nudo,
Venere sembra sempre un piccolo punto brillante, ma
col cannocchiale… ecco, si osservano le fasi di Venere e
anche le sue variazioni di dimensione. Questo non si può
assolutamente spiegare con il modello tolemaico.
La pubblicazione del
Sidereus Nuncius ebbe una
grandissima eco: con le sue
osservazioni Galileo non
aveva solamente scardinato
l’universo di Aristotele e
Tolomeo, aveva anche
proposto l’utilizzo di
uno strumento tecnologico per ampliare gli
orizzonti della ricerca
scientifica.
Questo apriva un
nuovo problema: per-
82
ché con un cannocchiale si riuscivano a vedere le figure
ingrandite? Quello che si osservava attraverso questa nuova
“macchina” corrispondeva alla realtà o era solamente un’illusione ottica?
Per adesso lasciamo perdere le risposte, ma notiamo
un fatto curioso: la scoperta dei satelliti di Giove fu così
importante che, ad esempio, nella cittadina universitaria
di La Flèche, in Francia, fu celebrata una festa pubblica in
onore di Galileo. Tra le strade della cittadella, durante
la festa, girava un ragazzetto quattordicenne,
di nome René
Descartes.
Questa
informazione per adesso ci sembra poco importante…
Tutti i nodi vengono al pettine
Molti astronomi dell’epoca non credettero alle osservazioni di Galileo. Per sostenere le sue ragioni, Galileo
cercò allora l’appoggio di Keplero, che a quel tempo ricopriva l’importante carica di matematico imperiale.
Keplero ricevette una copia del Sidereus Nuncius e fu così
signore da mandare alle stampe la risposta intitolata
83
Dissertatio cum nuncio sidereo, sebbene Galileo non gli avesse mai risposto quando lui, da giovane, cercava un parere
sulla sua opera.
Keplero, però, non si lasciò sfuggire l’occasione di
mostrare il suo disappunto nei confronti dello scienziato
pisano: «Non credo che Galileo, l’italiano, si sia meritato
che io, il tedesco, debba adularlo rimodellando la verità o
le mie convinzioni più profonde secondo le sue idee».
Nella continuazione di questa lettera, comunque,
Keplero dimostrò una grande stima per il lavoro di
Galileo e per i suoi risultati, aggiungendo che «tutti gli
amici della vera filosofia sono chiamati insieme per l’inizio di una nobile riflessione».
Al di là della apparenze
– Senti, Galileo, io posso anche crederti sulla parola per
quanto riguarda le tue osservazioni, posso anche accettare che
il modello tolemaico non funzioni, ma quello di cui io sono
certo è che la Terra che ho sotto i piedi è ferma, immobile.
– Certo!
– Bene. Tu mi stai spiegando che se mi trovo in piedi su
un carro fermo e lancio una freccia in avanti percorrerà
una certa distanza e se la lancio indietro percorrerà la
stessa distanza. Giusto?
– Giustissimo.
– Se, invece, il carro cammina e lancio la freccia in avanti, questa toccherà terra ad una certa distanza dal carro
mentre, se la lancio all’indietro, la distanza tra la freccia conficcata al suolo ed il mio carro sarà maggiore,
poiché nel frattempo, il carro si è mosso in avanti.
– E come fai a dirlo?
– Come lo dicevano gli antichi, come lo hanno sempre detto
tutti: se lasciamo cadere un sasso da una torre, quello cade
ai suoi piedi e non un po’ più ad ovest, come sarebbe giusto
se la Terra, nel frattempo, avesse girato un po’ verso est. Se
lancio una freccia verso est o verso ovest, la freccia percorre
sempre la stessa distanza, dovrebbe, invece, percorrere molto
spazio verso ovest e pochissimo verso est, dato che mentre la
freccia è in volo, la Terra si sarebbe mossa nella direzione
opposta.
– Sei sicuro di quello che dici?
84
– Vedo che cominci a ragionare.
– Bene, prova!
– Cosa vuol dire “prova”?
– Cercati l’occorrente e prova!
– Ma dove la trovo questa roba?
– Allora vai su una nave, quando
85
il mare è liscio come l’olio. Quando la nave viaggia a
velocità costante, recati sotto coperta. Secondo te, lanciando degli oggetti in tutte le direzioni saresti in
grado di dire in che verso si sta muovendo la nave?
– Non so, non ci ho mai provato, ma dove la trovo una nave?
– D’accordo. Quando vivrai tu, esisteranno i treni, alcuni anche molto veloci, o, meglio ancora, gli aerei, velocissimi. Se sei su uno di questi mezzi e ti stai muovendo a velocità costante (non è valido se il treno o l’aereo
stanno frenando o accelerando) e lanci una palla in
avanti cade più vicina a te che se la lanci indietro, dato
che mentre la palla è in volo il treno o l’aereo si è spostato in avanti?
– No, ma…
– E sei hai portato il tuo
pesciolino rosso, tutta
l’acqua della boccia si
sposta dal lato verso
la coda del treno o
dell’aereo?
– No, non mi sembra…
– E se guardi fuori dal finestrino del treno sei veramente
sicuro che sia tu a muoverti e non gli alberi a venirti
incontro?
– Ti sei messo da solo con le mani nel sacco! Sono io a muovermi, gli alberi rimangono ben fissi nella terra!
– Questo lo dici solo perché gli alberi non hanno piedi.
Ma se sei ancora in stazione, vicino ad un altro treno,
ed inizi piano a piano a muoverti, non ti sembra, forse,
86
che sia l’altro a spostarsi nella direzione opposta?
– Purtroppo hai ragione tu. Sì, mi è capitato di muovermi e
pensare che si muovesse l’altro. Basta, mi hai distrutto. Che
fatica parlare con te!
– Come che fatica? Siamo solo all’inizio! Siamo arrivati a
dire che se ti muovi di moto uniforme, senza accelerare o frenare, non puoi dire se veramente ti stai movendo o se invece stai fermo.
– Questo lo stai dicendo tu!
– Certo, è solo il riassunto della nostra
discussione. Se sei
su un treno, o un
aereo, o una nave o
una macchina e ti
muovi sempre alla
stessa velocità, se
non guardi fuori
non puoi assolutamente sapere se ti stai movendo o se stai fermo. Se lanci
una palla con la stessa forza, questa percorrerà la stessa
distanza in tutte le direzioni, se hai il tuo pesce rosso,
si muoverà nella sua boccia esattamente come si muoveva quando stava a casa tua, se lasci un oggetto, cadrà
in verticale e non spostato.
– Aspetta, aspetta, questo non lo abbiamo discusso.
– Bene. Stiamo in treno, su un rettilineo, ed il treno va
veloce, diciamo che va a 10 gradi di velocità.
– Che significa “10 gradi di velocità”?
87
– È una misura che noi diamo alla velocità: un grado di
velocità è lento, 10 gradi di velocità è piuttosto veloce.
Ok?
– Allora se io lascio cadere un sasso da una torre, il sasso
cade ai suoi piedi anche se la Terra gira?
– Colpito e affondato. Su questo punto hai vinto tu.
– Galileo, “ok” in bocca ad uno studioso del 1600 suona
veramente male!
– Allora ti ho convinto che la Terra gira?
– Perbacco, mi costringi a parlare di treni e di aerei e ti
meravigli di un semplice “ok”! Non perdere il filo del
discorso. Allora, stai sul treno, ti sei stufato del viaggio
e ti metti a giocare con una palla: la tiri in aria e poi la
riprendi in mano.
– Figuriamoci, per adesso mi hai solo convinto che, se anche
girasse, io non potrei accorgermene. Ma forse stai dimenticando un altro piccolo problemino: tutto, in questo mondo è
fermo. Si muove solo se qualcuno gli dà una spinta o, come
diceva Aristotele, se una forza lo fa muovere. Vuoi un esempio o lo capisci da solo?
– Gioco veramente entusiasmante!
– È probabile, anche se
non sicuro, che io
abbia una intelligenza sufficiente
per capire quello che dici.
– Più di quanto pensi.
Sei sicuro di poterlo
fare?
– Pensi forse che non sia
capace di tirare una
palla in alto e poi
riprenderla?
– No, penso che mentre la palla è in aria il treno gli si
muove sotto e quindi non atterrerà più sulle tue mani ma
sulla testa di qualche signore seduto alcune file dietro.
– Assolutamente no. Se tiro la palla dritta in alto, quella
dritta sale e dritta riscende nelle mie mani. Se invece tu non
sei capace di tirare la palla dritta… beh, questo è un altro
problema.
Ammettiamo che sia vero anche il contrario,
cioè che tu riesca, adesso, a seguire il mio ragionamento.
Prendiamo un piano inclinato, come in figura. Se voglio
farci salire una palla devo darle una spinta. La palla,
salendo, rotolerà sempre più piano fino a che non si fermerà. In un piano “acclive” (in salita), il corpo si allontana dal centro della Terra e quindi rallenta. Su un piano
“declive” (in discesa) si avvicina al centro ed accelera.
– La palla va dritta anche se il treno si muove?
– Ovvio.
– Certo, prova!
– Prendiamo un piano “meno inclinato” e ripetiamo
88
89
l’esperimento. Diamo alla palla sempre la stessa spinta.
La palla salirà, sempre rallentando, ma rallentando
meno di prima e, con la stessa spinta, percorrerà uno
spazio più lungo di quello che ha percorso prima.
– Quello che dici è giusto, ma dove vuoi arrivare?
– Prendiamo un piano ancora meno inclinato, la palla
arriverà ancora più lontano. Poi ancora meno inclinato
e la palla andrà ancora più lontano e così via, così via.
Alla fine possiamo pensare di prendere un piano assolutamente non inclinato, cioè parallelo, in ogni punto,
alla superficie terrestre, un piano perfettamente sferico.
Se il piano non è né “acclive”, né “declive” la palla non
può né rallentare né accelerare, non cambierà, quindi la
sua velocità e non si fermerà più!
– Falso! Se tiro un calcio alla mia palla e questa rotola su una
strada piana, non in salita né in discesa, percorre un lungo
tragitto, ma puoi star sicuro che, prima o poi, si fermerà!
– Vero. Se, però, prendi la stessa palla e “lo stesso calcio”
e ripeti l’esperimento sulla spiaggia, la tua palla percorre una spazio minore di quanto abbia fatto prima
sulla strada, giusto?
– Sì, la sabbia è un disastro, troppo morbida e piena di cunette…
– Bene. Adesso raccogli la palla e vai a giocare su un lago
ghiacciato. Poggia la palla e tirale lo stesso calcio di
prima, quanto spazio percorrerà?
– Non ho mai provato a giocare a calcio sul ghiaccio, ma direi
che percorrerà più spazio che sulla strada. Il ghiaccio è così
liscio, la palla trova pochi ostacoli…
– Ecco, allora se la tua superficie fosse perfettamente
90
piana e perfettamente levigata e… quasi dimenticavo,
non ci fosse nemmeno l’aria a fermare la tua palla, perché mai questa dovrebbe fermarsi?
– Penso che tu abbia ragione, non
avrebbe nessun motivo di fermarsi ma… dove lo trovi un posto
in cui non esiste nemmeno
l’aria?
– E dove lo trovi un
piano perfettamente
piano e perfettamente
levigato? Devi fare gli
esperimenti sapendo
che non daranno mai i
risultati che vorresti,
proprio perché su questa
terra niente e nessuno è perfetto e l’aria non riusciamo ad eliminarla. Nella tua testa, però, puoi togliere tutti gli impedimenti e capire come funzionerebbero le cose se si riuscisse ad eliminare ogni disturbo.
– Mi hai convinto. Sei riuscito a dimostrarmi che non ci
sarebbero problemi se la Terra girasse: infatti noi, girando
insieme a lei, non ce potremmo accorgere. Mi hai anche convinto che non ci sarebbe bisogno di spingerla perché continui
a girare, dato che, se nulla la frena continuerà sempre il suo
moto circolare uniforme, intorno al suo centro. Questo non
basta, però, ad affermare che, effettivamente, stia girando.
È mai possibile che non si riesca ad avere uno straccio di
prova, un qualche cosa che dimostri senza ombra di dubbio
se la Terra giri o no?
91
– Io penso che il fenomeno delle maree possa essere spiegato dal fatto che la somma dei moti di rotazione e di
rivoluzione della Terra crei un’accelerazione che sospinge l’acqua degli oceani generando il fenomeno delle
maree.
– Caro Galileo, questa non la bevo. Se davvero fosse come dici
tu perché solo l’acqua dovrebbe risentire di questa accelerazione e non anche l’aria e tutto quanto è posto sulla Terra?
Anche noi sentiremmo questa accelerazione e ci accorgeremmo di girare.
Fila liscio come l’olio
Gli ultimi ragionamenti che hai discusso con Galileo
passeranno alla storia con il nome di principio d’inerzia.
Il principio d’inerzia, uno dei risultati scientifici più
importanti raggiunti da Galileo, è quel principio che
afferma: se un corpo si muove di moto uniforme, continuerà a farlo fino a che non sopraggiunga qualche ostacolo o riceva una spinta che possa far variare la sua velocità.
Effettivamente le teorie galileiane sulle maree risultarono completamente errate.
Galileo spiegò
queste idee nel volume Dialogo sopra i
due massimi sistemi
del mondo, tolemaico e
copernicano, che pubblicò nel 1632.
Già dal titolo possiamo notare una cosa: nel 1632 i
sistemi del mondo non erano due ma tre. Galileo non degnò nemmeno di uno sguardo le idee di Tycho Brahe.
Forse gli stava “antipaTycho” ? Ah, saperlo!
Il volume, passato alla storia come Il Dialogo di
Galileo è appunto un dialogo tra tre studiosi di cui uno,
Simplicio, sostenitore delle teorie aristoteliche, fa più o
meno le domande che hai appena fatto tu e riceve dagli
altri due più o meno le stesse risposte.
92
Quest’idea non è affatto banale: lo stato naturale di
un corpo non è più, secondo Galileo, quello della quiete,
come voleva Aristotele e come viene spontaneo pensare
anche a noi, stato naturale è anche muoversi di moto uniforme. “Naturale” nel senso che non c’è bisogno di una
spinta continua per mantenere il moto, ma una volta che
l’oggetto è in movimento rimarrà in movimento, sempre
con la stessa velocità, senza ulteriori spinte.
Per Galileo il moto uniforme è quello circolare a
velocità costante. I pianeti devono assolutamente avere
orbite circolari e velocità costanti, altrimenti la loro
variazione di moto dovrebbe essere giustificata da qualche cosa, una spinta o, come diceva Keplero, un’attrazione tipo quello magnetica.
93
Galileo pensava che la natura non potesse essere
influenzata da attrazioni o simpatie, concetti troppo
umani per essere applicati alla materia. Nemmeno le
leggi di Keplero erano valide, secondo Galileo: perché
funzionasse il suo principio d’inerzia, le orbite dovevano
essere circolari e le velocità dei pianeti, costanti.
Tutto è relativo
Nel Discorso, viene esposto un altro importantissimo
principio: il principio di relatività, secondo il quale, se tu
fai parte di un sistema, non hai nessuna possibilità di stabilire se il tuo sistema sia in quiete o si muova di moto
uniforme.
Se prendi l’esempio che mostra Galileo, se ti trovi,
cioè, sotto la coperta di una nave che si muove a velocità
costante, ti puoi rendere conto che il principio di relatività è valido: se non guardi fuori, puoi pensare di stare
perfettamente fermo. Nulla di quanto accade sotto coperta ti può far capire se ti stai muovendo.
Il processo
Il Dialogo, anche
se dedicato al papa
Urbano VIII, ricevette
commenti
assai sfavorevoli da
parte degli ambienti ecclesiastici: la
teoria copernicana
era stata condannata dalla Chiesa e questo volume, sebbene apparisse come
94
una discussione tra studiosi di idee diverse, in realtà
sosteneva apertamente la validità del sistema di
Copernico.
Galileo subì uno dei processi più famosi e più discussi dell’intera storia dell’umanità; alla fine fu condannato
e, per aver salva la vita, dovette rinnegare le proprie idee:
«Io Galileo, figliolo di Vincenzo Galileo di Fiorenza,
dell’età mia d’anni 70… sono stato giudicato veementemente sospetto di eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che
il Sole sia centro del mondo e immobile e che la Terra non
sia centro e che si muova.
Pertanto… con cuor sincero
e fede non finta abiuro,
maledico e detesto li suddetti errori e eresie… questo
dì 22 Giugno 1633».
I libri del Dialogo di
Galileo vennero bruciati e
lui fu costretto a passare il resto della vita in libertà vigilata. Continuò ancora molto a studiare e, nel 1638, diede
alle stampe la sua opera forse scientificamente più significativa: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due
nuove scienze.
L’opera voleva essere il risultato dei suoi studi sulla
resistenza dei materiali e sui moti dei proiettili, ma in
realtà affrontava temi ben più ampi.
Come cade?
– Galileo, perché i corpi cadono verso il centro della Terra?
– Ah, saperlo!
95
– Ti sembra una buona risposta?
– Di cosa ti sei maggiormente interessato?
– La migliore che so dare. Non
lo so e non lo voglio sapere!
– Dei moti uniformemente accelerati.
– Sei veramente sicuro di non volerlo sapere?
– Perché, ai tempi tuoi è stato
scoperto?
– Certo, le cose cadono per gravità!
– Per gravità, per gravità, questo
si diceva anche ai tempi miei!
Gravità vuol dire “pesantezza”.
La tua frase significa: “i corpi
cadono perché sono pesanti” e
a me sembra che questa frase
non abbia proprio alcun significato. Non ti chiedo quale sia
il nome che gli abbiamo dato noi (gravità), ma vorrei
sapere l’essenza della cosa:
“per quale principio o per quale virtù
la pietra si muove in giù?” (fa pure rima).
– Allora?
– Allora si può studiare “come” un corpo cade e non “perché” cade. Questo è quanto ho continuato a fare. In
realtà avevo iniziato già da ragazzo ad interessarmi al
movimento degli oggetti, ma non ero riuscito a risolvere diversi problemi, mentre in vecchiaia, condannato
al silenzio, con molto tempo a disposizione, ho rimesso
insieme i vecchi studi e sono arrivato a nuovi, interessantissimi risultati.
96
– Cioè?
– Cioè quei moti in cui la velocità cambia, ad esempio
aumenta, in maniera costante.
– Quelli di cui, nel 1300, si sono occupati gli studiosi del
Merton College?
– Sì, ma mi sembra che loro abbiano affrontato il problema con troppa superficialità. Innanzitutto non è così
banale rendersi conto che un corpo, lasciato libero, cade
aumentando sempre e costantemente la sua velocità.
– Beh, all’inizio
è fermo, poi va
sempre più veloce… non mi
sembra difficilissimo.
– Però da giovane avevo
pensato che, dopo un primo
periodo di “assestamento”, il
corpo raggiungesse una certa
velocità che rimaneva poi costante fino alla fine.
– E come hai fatto a capire che non è così?
– I corpi cadono molto velocemente ed è quindi difficile
studiare il loro moto. Allora io ho pensato che sarebbe
stato più facile capirci qualche cosa se fossi riuscito a
rallentare questo moto.
97
Mi è venuta
una buona idea:
ho preso un
piano inclinato e
ho cominciato a
far rotolare giù
palline misurando quanto spazio
percorrevano in un dato tempo. Il moto sul piano inclinato è uguale a quello in caduta libera ma è più lento,
quindi è più facile prendere un po’ di misure.
– Come misuravi il tempo?
– Non esistevano ancora orologi precisi come quelli che
puoi usare tu, ma io avevo studiato a lungo la musica e
riuscivo, nella mia mente, a dividere un tempo in otto
intervalli di tempi uguali. Quindi ho messo otto fili
tesi lungo il mio piano inclinato, in modo che suonassero quando la pallina ci passava sopra e ho spostato i
fili fino a quando gli otto suoni che udivo non mi davano esattamente il ritmo desiderato, cioè otto tempi
tutti uguali. A questo punto bastava misurare le
distanze dei fili ed avevo lo spazio percorso in ogni
intervallo di tempo uguale.
– Ma io potrei rifarlo questo esperimento!
98
– Certo, e per te sarebbe anche più facile. Prendi un cronometro (o un orologio con i secondi). Fai una linea in
cima al tuo piano e lasci partire da lì una pallina.
Quando passa un secondo, segni il punto in cui si trova
la pallina. Poi la fai ripartire dalla linea di prima e
segni il punto in cui si trova dopo due secondi. Quindi
la fai partire ancora e segni la posizione della pallina
dopo tre secondi… e così via. Cosa ottieni?
– Che ne so!
– Il primo spazio (dalla linea della partenza alla prima
tacca) avrà una certa lunghezza, il secondo spazio (dalla
prima tacca alla seconda) sarà tre volte più lungo del
primo, mentre il terzo sarà cinque volte più lungo del
primo ed il quarto, sette volte più lungo.
– Lo dicevano i pitagorici
che i numeri dispari portano fortuna! Ma il mio
esperimento darà risultati
così esatti?
– Scordatelo, neanche il
mio li ha dati. In primo
luogo dovresti avere palline e piano inclinato
perfetti, assolutamente levigati, quindi non dovrebbe
esserci aria e dovresti riuscire a misurare i tempi e gli
spazi senza errori. Se ti accontenti di risultati anche
molto approssimati puoi provare a fare l’esperimento,
altrimenti lascia perdere e fidati di me. Dato che gli
intervalli di tempo sono uguali mentre le distanze percorse aumentano, possiamo essere sicuri che anche la
velocità aumenta in ogni intervallo di tempo.
99
– È nero, ha gli occhi spalancati, il pelo dritto, la coda attorcigliata…
– E poi?
– … poi ha due orecchie, quattro zampe, la lingua di fuori,
sta in piedi… cos’altro vuoi sapere?
– Bene, e adesso?
– Queste misure le ho fatte per verificare un teorema che
avevo dimostrato geometricamente in gioventù.
Questo teorema afferma che se la velocità aumenta in
modo costante, lo spazio percorso è proporzionale al
quadrato del tempo impiegato a percorrerlo.
– Forse dovresti spiegarmelo in maniera un poco più semplice.
– Certo! Possiamo usare la matematica e scrivere:
s
t 2
—2 = ––2
s1
t1
– Perfetto, sei riuscito a complicare la situazione!
( )
La formula del gatto
– Devi imparare a
guardare le formule
come guardi un
disegno. Lo vedi
questo gatto?
Descrivimelo.
100
– Basta così. Senza disegnare devi impiegare molte parole per raccontarmi il gatto mentre il disegno fa capire
tutto senza perdere tempo in spiegazioni. La stessa cosa
fanno le formule se impari a guardarle: capisci tutto
senza spiegazioni.
– Allora insegnami a guardarle.
La divisione: questa sconosciuta
– La formula di pagina 100 ti sta dicendo che il rapporto tra due spazi (s2 e s1) è uguale al rapporto dei rispettivi tempi al quadrato (t22 e t12). Intanto cerchiamo di
capire cos’è un rapporto. Dividere s2 per s1 vuol dire
calcolare quante volte s2 è maggiore di s1. Una divisione, come sai, può essere scritta sotto forma di frazione,
come l’ho scritta io, e una divisione può anche essere
chiamata “rapporto”; sono tutti modi di dire la stessa
cosa.
– Non capisco perché dividere s2 per s1 significhi calcolare
quante volte s2 è maggiore di s1.
– Hai 10 caramelle e 2 bambini. Quante caramelle spettano ad ogni bambino?
– Facile: 10 : 2 = 5 caramelle a bambino.
101
– Perfetto! E quante volte il numero di caramelle è maggiore del numero di bambini? Anche qui deve fare una
divisione.
Sempre 10 : 2 (che puoi anche scrivere 10
— ).
2
Il numero di caramelle è 5 volte maggiore del numero
di bambini, questo è il motivo per cui ad ogni bambino toccano 5 caramelle.
– Forse comincio a capire.
– Certo, ad esempio prendiamo la coppia t2=2 e t1=1,
2 2
4
t 2
allora ––2 = –– = –– = 4
t1
1
1
– Per adesso tutto bene, ma non capisco come questo si possa
collegare al fatto che gli spazi percorsi lungo piani inclinati in tempi uguali crescano come i numeri dispari.
( ) ( )
– Adesso guarda il disegno e segui i miei ragionamenti.
Contiamo il tempo in secondi. Dopo un secondo dalla
partenza la nostra pallina arriva nel punto 1 percorrendo lo spazio s1. Dopo due secondi si troverà nel punto
s2
– Bene, allora supponiamo che sia —
s1 = 4 e adesso vediamo quanto devono valere s2 e s1
perché il loro rapporto sia proprio uguale a 4. Possiamo
scegliere:
s2 = 4;
s1 = 1;
s2 = —
4 =4
—
s1
1
s2 = 8;
s1 = 2;
s2 = —
8 =4
—
s1
2
s2 = 16;
s1 = 4;
s2 = —
16 = 4
—
s1
4
possiamo scegliere tante altre coppie di numeri ma il
loro rapporto sarà uguale a 4 se e solo se s2=4s1, cioè s2 è
4 volte maggiore di s1.
s2 = 4 allora deve essere anche:
– Mi hai convinto. Ma se —
s1
t 2
––2 = 4
t1
( )
102
s2
t
= ––2
dato che —
s1
t1
( )
2
2. Noi sappiamo che lo spazio tra il punto 1 ed il punto
2 (s2) è tre volte più grande di s1. Quindi possiamo scrivere s2 = 3s1. Chiamiamo a lo spazio che la pallina ha
percorso dall’inizio: si vede facilmente dal disegno che
a = s1 + s2 = s1 + 3s1 = 4s1. Quanto tempo ha impiegato la pallina a percorrere s1? Lo sappiamo: un secondo.
E quanto tempo ha impiegato per percorrere tutto lo
spazio a? Due secondi: un secondo per arrivare al punto
1 e un altro secondo dal punto 1 al punto 2.
103
certa velocità, dopo due secondi avrà una velocità doppia e
dopo tre secondi una velocità tripla?
Calcoliamo adesso:
a
4s1= 4
—
s =—
s
1
1
– Bravissimo. Se raddoppia il tempo (da 1 a 2 secondi), raddoppia la velocità e se il tempo si triplica (da 1 a 3 secondi), anche la velocità diventa 3 volte maggiore, infatti:
t 2
2 2
4
––2 = –– = –– = 4
t1
1
1
( ) ( )
Ecco, i rapporti tra gli spazi percorsi sono uguali ai rapporti tra i quadrati dei tempi impiegati a percorrerli.
La frase è lunga, ma se hai imparato a leggere le formule capisci subito quello che voglio dire quando leggi:
s
t
—2 = ––2
s1
t1
( )
2
Questa legge matematica è importantissima, perché
se conosci lo spazio percorso dalla pallina in un certo
tempo (ad esempio se conosci tutto lo spazio che lei ha
percorso e tutto il tempo che ha impiegato) puoi utilizzare la formula per calcolare dove si trovava la pallina in
ogni istante del suo moto, sia che scenda lungo un piano
inclinato, sia che stia cadendo liberamente verso il suolo.
– Sarei contento se mi facessi qualche esempio.
– Certo. Puoi leggere l’appendice a pagina 165. Ma non
ho finito. Se è valida la legge oraria del moto è anche
vero che in questi tipi di moto la velocità aumenta in
modo proporzionale a come aumenta il tempo. Adesso
che sei bravo ti scrivo la formula:
v
t
—2 = ––2
t1
v1
t2
v2 = —
t v1 ;
X
1
t2=2;
t2
v2 = —
t v1 ;
2 v =2 v;
v2 = —
1
1
1
t2=3;
t2
v2 = —
t v1 ;
3 v =3 v;
v2 = —
1
1
1
X
1
X
1
X
X
X
X
– Questa anche mi sembra una bella legge, così possiamo conoscere la velocità della nostra pallina, ma non capisco la
relazione con la legge di prima.
– Ho faticato molto per arrivare a questi risultati per
diversi motivi, primo fra tutti il fatto che non esisteva
ai miei tempi una definizione di velocità semplice ed
efficace come quella che tu trovi sui libri di scuola.
L’unica cosa che potevo fare era confrontare tra loro gli
spazi e i tempi. Inoltre non avevo ancora a disposizione
una matematica adatta a fare calcoli su grandezze che
cambiano continuamente e qui tutto cambia, il tempo
scorre, le velocità e gli spazi percorsi aumentano.
Volevo però rispondere a questa domanda: come
aumentano spazi e velocità al variare del tempo? Bene,
con una dimostrazione talmente imprecisa che preferisco non dirtela, alla fine ci sono riuscito:
in un moto uniformemente accelerato valgono queste…
– Questo vuol dire che se dopo un secondo la pallina ha una
104
105
… Leggi del moto
1. la velocità aumenta in proporzione al tempo
impiegato
2. lo spazio aumenta in proporzione al quadrato del
tempo impiegato
Potrai capire meglio la relazione che esiste tra queste
due leggi quando potrai utilizzare la matematica che
sarà sviluppata dagli scienziati che verranno dopo di
me. Stai tranquillo, non dovrai aspettare molto e, dopo,
leggi l’appendice a pagina 182.
– È molto importante conoscere queste leggi?
– Sì, sia per l’avanzamento delle nostre conoscenze, sia
per poter calcolare grandezze che ci servono nella nostra
vita. Ad esempio, le mie leggi sul moto dei gravi (corpi
pesanti), unite al mio principio d’inerzia, permettono il
calcolo della traiettoria
di un proiettile.
– Galileo, ti faccio i miei
migliori complimenti!
La moneta e il
fazzoletto
– Però adesso devo dirti
una cosa importante: la
velocità di caduta di un corpo non dipende dal suo
peso. Un corpo, qualsiasi peso abbia, cade sempre alla
stessa velocità.
– Falso. Il tuo fazzoletto e la tua moneta, se fossero caduti
106
insieme dalla torre di Pisa,
non sarebbero arrivati a
terra insieme.
– Vero, ma ti devi ricordare
di togliere l’aria che frena
il mio fazzoletto più di
quanto freni la mia
moneta. Se la torre di Pisa
si fosse trovata nel vuoto,
fazzoletto e moneta sarebbero arrivati insieme.
– Dato che, ammesso che esista, non so dove trovare il vuoto,
non potrò mai sapere se hai ragione o no.
– Il fazzoletto pesa meno della moneta, quindi va più
lento ed arriva a terra più tardi, giusto?
– Io direi di sì.
– Allora leghiamo con un filo fazzoletto e moneta.
Adesso la moneta, più pesante, cerca di “tirare giù” il
fazzoletto mentre questo, più leggero, tende a rallentare la moneta.
– Esatto, quindi fazzoletto e moneta insieme andranno un po’
più veloci del fazzoletto da solo, perché la moneta accelera
un po’ il fazzoletto, e un po’ più lenti della moneta da sola
perché il fazzoletto rallenta un po’ la moneta.
– Giusto. Ma fazzoletto più moneta non pesano di più sia
del fazzoletto che della moneta da soli?
– Ovvio, e allora?
– Allora, dal momento che pesano di più quando sono
107
legati insieme, non dovrebbero andare più veloci di
quando sono separati?
– Galileo, perché ti devi far sempre una domanda di troppo?
– L’unico modo per risolvere questo paradosso è accettare
che tutti i corpi, nel vuoto, cadano alla stessa velocità.
Puoi capirlo anche dalle formule che abbiamo scritto
prima. Nelle leggi del moto compaiono solo spazi,
tempi e velocità, non compare mai il peso del corpo.
Andando avanti te ne convincerai sempre di più.
Verso la fine del 1637, Galileo scriveva ad un amico:
«Quel mondo e quello universo che io con le mie meravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto
da’ sapienti di tutti i secoli passati, ora per me si è sì
diminuito e ristretto che non è maggiore di quel che
occupa la persona mia».
Galileo, ormai anziano, stava perdendo la vista e i
suoi occhi, quasi completamente ciechi, si chiusero definitivamente l’8 gennaio del 1642, lo stesso anno in cui,
nella lontana cittadina inglese di Wooldsthorpe nasceva
un certo Isaac Newton.
108
LA MACCHINA DELL’UNIVERSO
Ma lasciamo per adesso Newton
tra pappe e pannolini e torniamo
qualche anno indietro, al 1610, alla
festa per i nuovi satelliti di Giove
osservati da Galileo, organizzata
nella cittadella universitaria di La
Flèche, in Francia, dove studiava il
giovane René Descartes, nato a La
Haye nel 1596.
Cartesio (con questo nome René Descartes verrà ricordato in Italia), dopo aver conseguito la laurea in diritto
canonico e civile, viaggiò molto in Europa e continuò ad
approfondire gli studi. Egli credeva fermamente che l’universo fosse una “macchina” e che, in quanto tale, potesse
essere studiato e capito, attraverso la matematica.
Galileo aveva scardinato la fisica aristotelica.
L’universo ed il mondo
sublunare erano fatti dalla
stessa materia e tutti e due
erano soggetti ai cambiamenti. I movimenti dei
corpi non erano solamente
un aspetto dei cambiamenti che avvenivano su questa
terra, ma potevano essere
capiti e spiegati utilizzando una precisa teoria e le
corrispondenti formule
matematiche.
109
La caduta dei gravi (corpi pesanti) sembrava assumere una forma universale, non dipendendo più dal peso di
ogni singolo oggetto. L’intero universo, effettivamente,
cominciava ad apparire come qualche cosa che potesse
essere descritto da leggi naturali, esattamente come poteva essere spiegato il funzionamento di una macchina.
La materia di Cartesio non ha anima ed è completamente inerte, non può, da sola, compiere alcun movimento. Solo Dio, all’inizio dell’universo, imprime ai corpi un
moto che rimarrà inalterato, dato che vale il principio di
inerzia.
Un nuovo principio d’inerzia
Cartesio portò queste idee alle estreme conseguenze:
Il principio di inerzia di Cartesio, però, non è esattamente uguale a quello di Galileo. Secondo Cartesio non
si conserva un moto
circolare uniforme,
si conserva solamente il moto rettilineo
uniforme.
distinguendo pensiero e materia, da lui chiamate res cogitans (cosa pensante) e res extensa (cosa estesa), egli separò i
problemi che riguardano l’anima da quelli che riguardano i corpi e decise che questi ultimi potevano essere spiegati utilizzando esclusivamente le idee di estensione
(forma e dimensione) e quelle di movimento.
L’universo di Cartesio era formato da materia in
movimento, non separata dal vuoto, in modo che ogni
movimento in un punto generasse un moto che si potesse trasmettere nell’intero universo.
Se, ad esempio, prendi la tua tazza della colazione
piena di latte e cominci a girare dentro il cucchiaino, solo
al centro della tazza, si crea un vortice che trascina con sé
tutto il tuo latte e non solo quello direttamente toccato
dal cucchiaino.
110
– Se i tuoi genitori
hanno ancora
un giradischi
chiedi il permesso di usarlo. Metti sul piatto una piccola pallina ed accendi il
giradischi. La pallina continua a girare buona, buona
sul piatto o viene schizzata via?
– Sì, Cartesio, la pallina viene schizzata via.
– Quale traiettoria segue la pallina uscendo dal piatto
rotante?
– Difficile da capire.
– Prendi un secchiello, riempilo con un po’ d’acqua e
fallo girare velocemente (chissà quante volte l’hai fatto
da bambino sulla spiaggia); l’acqua non esce, perché?
111
– Perché l’acqua sta “cercando di andare in fuori”,
sente la “forza centrifuga”, ma il fondo del secchiello non la fa uscire.
– Non è vero. L’acqua non
sta cercando di “andare
fuori”, sta solo cercando
di andare dritta, ma il
fondo del secchiello glielo impedisce continuando a
farla ruotare, contro il suo movimento naturale.
– Come faccio io a sapere che l’acqua cerca di “andare dritta” e non di “andare fuori”?
– Vuota il secchiello, fallo ancora girare e poi, quando hai
il braccio esattamente in giù, lascialo aprendo la mano,
senza dargli nessuna spinta. Se il
secchiello cercasse di andare
fuori, cadrebbe a terra, sotto
la tua mano, con grande violenza, invece parte dritto,
dritto in avanti. Guarda
bene i disegni, puoi facilmente capire che ho ragione
io. Il movimento
del secchiello si
conserva e, una
volta lasciato ogni
ostacolo (la tua mano), l’oggetto
continua a muoversi di moto rettilineo uniforme.
– Se questo fosse vero, la nostra Terra non girerebbe intorno al
Sole, ma se ne andrebbe sempre dritta per la sua strada, a
112
meno che il Sole non possedesse, come affermava
Keplero, una qualche
capacità di attrarre la
Terra e tenerla vicina.
– Attrazione e simpatia
non hanno senso in un
universo di materia, lo
sosteneva Galileo e lo
ripeto io. La Terra e gli
altri pianeti non si
allontanano dal Sole perché un vortice, come il fondo
del tuo secchiello, li imprigiona e li costringe a continuare a girare invece di “partire per la tangente”.
– Tu hai molta simpatia per Galileo?
Le illusioni ottiche
– Bisogna dire che i suoi studi e le sue osservazioni sono
e saranno fondamentali per molte delle ricerche future
di tutti noi. Ad esempio, con quel cannocchiale Galileo
ha posto un bel problema: come mai noi possiamo
vedere le figure ingrandite? O noi scopriamo le leggi
della natura con cui funzionano le lenti, oppure, qualsiasi ignorante ci potrà venire a dire che Galileo è stato
vittima di illusioni ottiche. Proprio i fenomeni ottici
devono essere sottoposti ai nostri attenti studi perché
sembrano tutti un po’ magici. Se riusciamo a dimostrare che siamo in grado di riprodurli e ne conosciamo le
leggi, allora dimostriamo anche che la magia non esiste
e tutto può essere spiegato.
113
– A quali fenomeni stai pensando?
– Prendi un bicchiere, riempilo d’acqua e mettici dentro un coltello.
Adesso alza un poco la punta del
coltello e guarda cosa succede alzando il bicchiere al livello dei tuoi
occhi, come nel disegno.
– Il coltello si spezza a metà!
– Secondo te è vero o è un’illusione
ottica?
– Ovviamente un’illusione ottica, il
coltello non si è “veramente” rotto.
– Bene, bisogna studiare questo fenomeno e spiegarlo. Se
un raggio luminoso illumina un corpo trasparente, in
parte questo raggio sarà riflesso, ed in parte rifratto.
– Cosa significa “rifratto”?
– Che il raggio continua il suo “viaggio”
attraverso il mezzo,
raggio
raggio
luminoso
ma cambia angolo. I
riflesso
raggi luminosi si
muovono sempre in
linea retta, ma quanraggio
do attraversano un
rifratto
mezzo trasparente,
proprio nel punto di
congiunzione tra l’aria e (in questo caso) l’acqua, si
“spezzano”, cambiano leggermente direzione. Guarda
il disegno, questo cambiamento di angolo del raggio
114
luminoso è il motivo per cui tu vedi il coltello spezzato. Non si è veramente spezzato lui, ma si è spezzato il
raggio luminoso.
– D’accordo, ma io mica guardo il raggio luminoso, guardo il
coltello che non si è spezzato affatto.
– Ma tu come fai a
vedere il coltello?
Quello che accade è
che i raggi luminosi
partono dal coltello ed
arrivano al tuo occhio, il
quale li “capta” e li invia al
cervello che “capisce” cosa tu hai
davanti. Se tu guardi il coltello
attraverso l’acqua, il raggio ha cambiato direzione, si è spezzato e quindi tu vedi il coltello spezzato. Questo si verifica solo quando un raggio
passa da un mezzo di una certa densità, ad esempio
l’aria, ad un altro mezzo con un’altra densità, ad esempio l’acqua o il vetro. L’angolo di inclinazione del raggio dipende dal rapporto delle due diverse densità.
– Questo l’hai scoperto tu?
– Beh, questa legge fisica passerà alla storia con il nome
di legge di Snell. Willebrod Snell (1615-1670) è un
olandese che ha scoperto la relazione per trovare l’angolo di un raggio luminoso quando passa da un mezzo ad
un altro di densità diversa, ma il suo lavoro è stato pubblicato più tardi del mio e quindi, inizialmente, si pensava che la legge l’avessi scoperta io.
– Così tu non hai fatto niente nel campo dell’ottica?
115
Tutti i colori dell’arcobaleno
– Accidenti, ho mostrato a
tutti che le leggi dell’ottica potevano spiegare il problema dei
colori.
– Che stai dicendo?
fiore diventa scurissimo, quasi nero, ma questo solo perché
non c’è luce e si vede male.
– Ah, allora senza luce non ci sono nemmeno i colori?
Non potrebbe il colore essere una proprietà della luce e
non dell’oggetto? Pensa ad esempio all’arcobaleno:
quella di diventare colorata a strisce è una qualità dell’aria? O è la luce che, attraversando l’aria umida,
acquista questa meravigliosa colorazione?
– Ti sei mai chiesto perché una cosa ti appare
rossa mentre un’altra
gialla?
– Perché la mia bicicletta è
dipinta con vernice rossa
e le pareti della mia stanza con la vernice gialla.
– E chi lo dà il colore alla vernice?
– Nell’antichità usavano polveri che ricavano dalle piante o
da alcuni tipi di terra e poi hanno imparato a costruire i
colori in laboratorio…
– Sì, ma “perché” quel fiore è
colorato di rosso? Cos’è il
rosso, una qualità del fiore?
– Certo, una qualità del fiore,
dipende dal tipo di fiore, puoi
anche trovare fiori gialli o
bianchi, eccetera, eccetera…
– In una stanza buia il fiore ti
appare ancora rosso?
– L’unica cosa che ho pensato guardando un arcobaleno è:
“quanto è bello!”.
– E hai fatto bene. Ma lo sai che se prendi un prisma di cristallo e lo illumini come mostrato in figura, facendo passare la luce attraverso una fenditura, la luce esce dal lato
opposto del prisma non più sottile, come il fascio entrato, ma aperta
raggio di luce
“a ventaglio”
e mostrando
tutti i colori
dell’arcobaleno?
– No, se c’è un filino di luce e riesci a vedere qualche cosa, il
116
117
– Beh, questa è una magia.
iniziamo a contare e ci
mettiamo lo zero.
Adesso, sulle rette,
segnamo i punti successivi: 1, 2, 3, eccetera…
– No, si può riprodurre e si può spiegare. «Il prisma fa
cambiare la velocità di rotazione della materia sottile
che trasmette l’azione della luce. La parte che tende a
ruotare assai più forte causa il colore rosso e quella che
vi tende solo un po’ più forte il giallo e così via per tutti
gli altri colori».
Prendiamo l’equazione:
y=2 x+1
X
Sebbene questa spiegazione dei colori non abbia
avuto gran fortuna, a Cartesio dobbiamo riconoscere il
merito di essere stato il primo a cercare nelle leggi ottiche la spiegazione dell’esistenza dei diversi colori.
I geometri alla riscossa
Durante la sua vita Cartesio pose la basi per un nuovo
metodo di studio della geometria che passerà alla storia,
appunto, con il nome di geometria cartesiana o geometria
analitica.
Questo metodo fu fondamentale per semplificare e
quindi risolvere moltissimi problemi.
L’idea (che Cartesio abbozzò e che venne sviluppata
nel corso degli anni successivi) è quella di descrivere una
figura geometrica in forma algebrica, risolvendo poi il
problema geometrico come si risolvono le equazioni.
Tutto questo ti appare estremamente complicato,
ma in realtà è semplice e molto intuitivo e te lo mostro
subito.
Disegnamo due rette perpendicolari, quella orizzontale la chiamiamo x e quella verticale la chiamiamo y.
L’incrocio delle due rette lo scegliamo come punto da cui
118
Scegliamo alcuni valori di x e calcoliamo la y corrispondente.
x=0
x=1
x=2
y=2 0+1
y=2 1+1
y=2 2+1
X
X
X
y=0+1
y=2+1
y=4+1
y=1
y=3
y=5
Abbiamo trovato le 3 coppie di numeri:
x=0
x=1
x=2
y=1
y=3
y=5
Adesso possiamo se
gnare queste coppie di
numeri sul nostro grafico.
Oh guarda, questi
punti sono tutti in fila…
se li uniamo formano
una retta…
Allora quella strana equazione di prima descrive una
retta.
119
Posso prendere altri valori di x, sostituirli nell’equazione come ho fatto prima, e trovare i corrispondenti
valori di y.
Confrontiamo le due figure:
y=3 x+1
X
x=3
x=4
x=5
y=2 3+1
y=2 4+1
y=2 5+1
X
X
X
y=7
y=9
y=11
y=2 x+1
X
ottengo i punti:
x=3
x=4
x=5
y=7
y=9
y=11
Adesso proviamo con un’altra equazione:
y=3 x+1
X
Scegliamo alcuni valori di x e calcoliamo la y corrispondente.
x=0
x=1
x=2
y=3 0+1
y=3 1+1
y=3 2+1
X
X
X
y=0+1
y=3+1
y=6+1
y=1
y=4
y=7
Abbiamo trovato le 3 coppie di numeri:
x=0
x=1
x=2
y=1
y=4
y=7
Disegnamoli sul grafico di prima e uniamo con una linea
tratteggiata (per distinguerla da quella già disegnata).
120
1. rappresentano tutte e due una retta
2. partono tutte e due dallo stesso punto della y e
precisamente y = 1
3. la retta che ha la x moltiplicata per 3 ha una
inclinazione più verticale della retta che ha la x
moltiplicata per 2.
Allora possiamo pensare che qualsiasi retta si possa
scrivere con un’equazione del tipo:
y=a x+b
X
121
Dove a e b sono dei numeri che possono essere diversi per
ogni retta. Il numero a ci fa capire quanto è inclinata la
retta, mentre il numero b segna il punto in cui la nostra
retta incontra l’asse delle y.
Prova a mettere dei numeri qualsiasi al posto di a e b e
guarda un po’ cosa succede.
Prova, ad esempio: a = 1 e b=0.
L’equazione diventa: y = 1 x + 0, cioè
Questo metodo, inoltre, si può applicare ad un grandissimo numero di curve (cerchio, parabola, ellisse, e tante,
tante altre), ognuna delle quali sarà descritta da una sua
equazione. Le altre curve hanno un’equazione più complicata di quella della retta e bisogna conoscere un po’ di
matematica in più, ma i concetti sono semplici come quelli che hai visto.
Cartesio morì nel 1650,
lasciando al mondo la sua
filosofia meccanicista, come
fu definita dagli scienziati
dell’epoca: il mondo è fatto
come una macchina, la
forma e i movimenti
della materia possono
spiegare ogni fenomeno.
X
y=x
calcola i punti:
x=1
y=1
x=2
y=2
e così via…
Questa è la retta che taglia
esattamente a metà l’angolo
formato dalle rette della x e
della y.
Cambiando ancora i valori
di a e b trovi tutte le rette
che vuoi.
A pagina 166 ti mostro altri
esempi, ma se vuoi ti puoi
divertire anche da solo.
Il bello di questo metodo cartesiano è che, ad esempio,
diventa facilissimo calcolare l’equazione di una retta conoscendo due dei suoi punti (per due punti passa una ed una
sola retta). Puoi leggerlo a pagina 167, oppure costruire
una retta con una certa inclinazione e… molte altre cose.
122
La scuola di Cartesio continuò ad approfondire le idee
del maestro ed uno dei suoi allievi, Christian Huygens
(nato in Olanda nel 1629 e morto nel 1695) riuscì ad
ottenere risultati di grande importanza per quanto
riguarda lo studio dei movimenti e degli urti tra i corpi.
Le onde di Huygens
Di grande importanza è
anche la teoria di Huygens sulla
natura della luce. Lui sostiene
che i raggi luminosi sono in
realtà onde che si propagano.
Esattamente come avviene con i
suoni.
123
Per capire cosa sia
un’onda puoi prendere una
bacinella, riempirla d’acqua e metterci dentro un
dito. Agitandolo un poco o
spostandolo su e giù, puoi
vedere che sulla superficie
dell’acqua si formano delle
onde che, partendo dal
centro, cioè dal tuo dito, si
propagano fino al bordo
del catino, sbattono sulla
sua superficie e tornano
indietro.
Una cosa interessante
delle onde è che durante il
cammino (cioè mentre si spostano dal dito fino al bordo del
catino) non portano con loro la materia che incontrano.
Se tu prendi un piccolo oggetto galleggiante lo metti
nel tuo catino e produci delle onde, puoi vedere facilmente che quando arriva l’onda, l’oggetto si alza in verticale,
galleggiando sull’onda, ma non si sposta in orizzontale.
Dopo che l’onda è passata il tuo galleggiante non si è
avvicinato al bordo del catino, anche se l’onda si è spostata in quella direzione.
La stessa cosa avviene per le onde sonore.
Se tu percuoti un tamburo la sua membrana vibra e
produce delle onde che si propagano nell’aria esattamente come le onde prodotte dal tuo dito si sono propagate
nell’acqua. Se queste onde sonore incontrano un oggetto
non lo spostano e continuano a propagarsi; arrivano alla
membrana del tuo timpano, all’interno dell’orecchio, la
124
fanno vibrare e queste vibrazioni,
attraverso i nervi arrivano al cervello e
tu senti il suono.
Perché lo stesso meccanismo non
dovrebbe funzionare per la luce?
Le onde luminose sono prodotte
da una sorgente luminosa, ad esempio
il Sole o una candela (ancora non esistevano le lampadine), queste onde
arrivano sugli oggetti e “rimbalzano”
o, più scientificamente parlando, vengono riflesse e continuano a propagarsi, giungono al tuo occhio, la retina le
trasmette al cervello e tu “vedi”.
Anche le onde luminose, come le altre, non trasportano materia (altrimenti nel tuo occhio entrerebbe un
sacco di polvere incontrata lungo la strada) e si muovono
molto veloci, più veloci delle onde sonore.
Ti viene in mente un fenomeno che ti dimostra che la
luce si muove più velocemente
del suono? Te lo dico io.
Durante un bel temporale
ogni tanto il cielo viene illuminato da qualche lampo luminoso
e, dopo un poco di tempo, si
sente un grande boato, il tuono.
La luce del lampo arriva ai
nostri occhi prima di quanto il
rumore del tuono arrivi alle
nostre orecchie.
La stessa cosa succede se
guardi dei fuochi artificiali da
lontano: prima vedi le bellissime fontane colorate e poi senti i
125
rumori che accompagnano gli scoppi. Possiamo quindi dire
che le onde luminose si muovono più velocemente delle
onde sonore.
Un’altra importante caratteristica dei moti ondosi è
chiamata interferenza. Questa parola significa che se due
onde si incontrano le loro ampiezze si sommano.
Guarda il disegno. Da qui si capisce che quando si
A
B
L’orrore del vuoto
Nel ‘600 non furono affrontati solamente i problemi
astronomici, lo studio del moto dei corpi e molte questioni di ottica, ma divenne essenziale trovare una spiegazione ad una grande varietà di fenomeni naturali. Per poter
dimostrare che la natura si comporta secondo leggi precise e relazioni matematiche bisognava chiudere ogni
possibile spazio alla magia, tutto doveva essere spiegato.
1
2
1 +2
incontrano due onde (onda 1 e onda 2), l’onda che si forma
dalla loro somma (onda 1+2) può essere di ampiezza doppia delle singole onde (come nel disegno A). Se le onde
sono, come si dice, in opposizione di fase, cioè se un’onda
presenta un massimo dove l’altra presenta un minimo
(disegno B) la somma delle due onde (1+2) risulta, invece,
di ampiezza nulla.
Riprendi il tuo catino con
l’acqua e mettici dentro due
dita. Produci le onde ed osserva la figura di interferenza che
le onde creano nei punti in
cui si incontrano. Fenomeni
di interferenza simili si notano, effettivamente, in molti
esperimenti di ottica e questa è, secondo Huygens, una
buona dimostrazione della natura ondulatoria della luce.
126
Ti propongo un esperimento. Prendi una cannuccia
un po’ larga, tappa il fondo con un dito e riempila d’acqua. Adesso chiudi con un
dito il buco di sopra, togli
il dito di sotto e… magia:
l’acqua non esce dalla cannuccia!
Il fenomeno veniva
spiegato dicendo che la
natura ha orrore del vuoto
e, poiché l’aria non può
entrare nella cannuccia
perché il buco è troppo
piccolo, l’acqua preferisce
non uscire pur di non creare del vuoto all’interno
della cannuccia.
Questa spiegazione faceva ovviamente inorridire gli
scienziati del tempo, i quali sostenevano: «La natura si
comporta secondo leggi precise, non ha paura di niente,
tantomeno del vuoto. Si deve trovare un motivo meccanico per giustificare un simile comportamento».
127
Un certo signor Gasparo Berti, nato a
Roma intorno al 1600, costruì un tubo di
vetro alto più di 10 metri (sapeva, infatti,
che le pompe idrauliche riuscivano a “tirare
su acqua” fino ad un’altezza poco superiore
ai 9 metri); lo riempì d’acqua, lo capovolse,
tolse il tappo di sotto e… l’acqua uscì, ma
non tutta. Uscì fino a che l’altezza dell’acqua dentro il tubo non raggiunse circa 9
metri e quindi si fermò e non uscì più.
Cosa si poteva pensare?
Primo: il vuoto esiste e la natura non
ne ha paura. Infatti, nel tubo, sopra l’acqua non ci poteva essere rimasto altro che
vuoto; sicuramente l’aria non era entrata
dal momento che che non si erano viste le
bollicine.
Secondo: cos’è che impedisce all’acqua
rimasta nel tubo di uscire? Potrebbe trattarsi della pressione dell’aria, cioè la forza
che l’aria esercita sulla parte inferiore, aperta, del tubo.
Se questo fosse vero, mettendo al
posto dell’acqua un liquido più denso,
dovrebbe rimanere nel tubo una quantità di liquido
minore perché, essendo più pesante, ne basterebbe di
meno a controbilanciare la pressione dell’atmosfera.
Fu così che, nel 1644, Evangelista Torricelli, un allievo di Galileo, decise di fare lo stesso esperimento con un
liquido 14 volte più denso dell’acqua: il mercurio… e il
mercurio uscì dal tubo fino a che non raggiunse un’altezza di 76 centimetri, circa 14 volte più basso dell’altezza
della colonna d’acqua.
128
L’universo “maleducato”
La natura si comportò
come Torricelli aveva
previsto. Il mercurio non
usciva per motivi “meccanici”.
L’universo-macchina obbediva alle rigide
regole del suo costruttore!
Peccato, però, che i
filosofi
meccanicisti,
primo fra tutti Cartesio,
non credessero affatto
all’esistenza del vuoto. Cosa si trovava nella parte del
tubo lasciata libera dal mercurio? «Vapori di mercurio,
mercurio più rarefatto» rispondeva Cartesio che aveva più
paura del vuoto di quanto ne dimostrasse la natura.
La filosofia di Cartesio si sarebbe infatti sbriciolata a
contatto con il vuoto. Il motivo è molto semplice: l’universo di Cartesio è composto da materia inanimata ed
ogni movimento è frutto di urti e vortici. Il movimento
si può quindi trasmettere da un corpo ad un altro solo se
i corpi sono a contatto. L’esistenza del vuoto non avrebbe
permesso al moto di propagarsi nell’universo.
Per fare un esempio prendiamo il sistema solare.
La materia sottilissima che pervade tutto l’universo
crea dei vortici che “imprigionano” i pianeti impedendogli di uscire dalle loro orbite e allontanarsi dal Sole.
Se tra il Sole e i pianeti vi fosse solo spazio vuoto cosa
li costringerebbe a percorrere le orbite?
129
I pianeti potrebbero “attrarsi” reciprocamente, ma
“attrarsi a distanza” non è un comportamento che si addica a degli “ammassi di sassi”.
Sull’esistenza del vuoto i filosofi e gli scienziati erano
divisi. Alcuni sostenevano che il vuoto non esistesse e pensavano che l’universo fosse formato da una “materia continua” (la puoi immaginare un po’ come una crema, senza
buchi all’interno), altri credevano al vuoto e ritenevano
che la materia fosse composta (pensa un po’!) da atomi.
Flussi e riflussi delle
mode
Nessuno li vede, nessuno li
tocca, nessuno li cerca… ma
gli atomi cominciano a tornare
di moda!
Già Galileo parlava di “particelle piccolissime”, ma Pierre
Gassendi (era francese e quindi
Democrito
si legge con l’accento sulla “i”),
inventore di atomi
nato nel 1592 e morto nel
1655, lo afferma a chiare lettere: «Tutti i fenomeni naturali sono prodotti da materia in movimento, certamente, ma
questa materia non è come afferma Cartesio divisibile
all’infinito. La materia è composta da atomi indivisibili e
tra gli atomi c’è solo spazio vuoto».
Grande sostenitore dell’esistenza del vuoto fu anche
Blaise Pascal, (1623-62) che lavorò a lungo con tubi e liquidi di ogni genere per generalizzare i risultati di Torricelli.
Se è vero, pensava Pascal che l’altezza del liquido che
rimane nel tubo dipende dal peso dell’aria, allora, ripe-
130
tendo l’esperimento in
montagna, dove la
colonna d’aria sovrastante è minore e quindi minore è il suo peso,
dovrebbe uscire più
liquido.
Pascal convinse suo
cognato a recarsi in
montagna e a ripetere
l’esperimento sulla
cima di un monte;
anche in questo caso
i risultati furono in
linea con le aspettative: all’interno del tubo rimaneva
meno liquido. Pascal aveva inventato il primo barometro,
uno strumento per misurare la pressione atmosferica.
Risale a quegli anni l’invenzione della pompa pneumatica (in realtà oggi sappiamo che probabilmente i
greci del periodo ellenistico già ne facevano uso, ma che
con il tempo, queste conoscenze tecnologiche erano andate perdute).
Se la pompa funziona al contrario possiamo usarla per
“sgonfiare”, ad esempio per togliere tutta l’aria che è presente nella ruota della nostra bicicletta.
Fu così che Otto van Guericke (1602-86) decise di
costruire due calotte sferiche di metallo, di accostarle
l’una all’altra e di aspirare l’aria contenuta tra le due
calotte.
Esse rimanevano attaccate tra loro in modo talmente
resistente che non furono separate nemmeno da robusti
cavalli che tiravano nelle opposte direzioni.
131
Questo esperimento fu realizzato nel 1654 nella piazza principale di Magdeburgo, in Germania, davanti agli
occhi di tutti. Cartesio era morto da quattro anni e non
venne mai a sapere che, non solo il vuoto esisteva, ma
l’uomo era anche in grado di crearlo all’interno di uno
spazio chiuso. Inoltre era ormai evidente che il peso dell’aria esercitava sui corpi una forza superiore a quanta riuscivano a generarne dei cavalli da tiro. Niente altro, infatti, se non la pressione dell’aria circostante, poteva tenere
uniti i due emisferi.
Una ciliegia tira l’altra
Ogni nuova scoperta, ogni spiegazione scientifica che
veniva trovata ai vari fenomeni, apriva un nuovo campo
di ricerca.
132
Anche gli esperimenti sui tubi pieni di liquido e
sugli emisferi indivisibili ponevano una nuova domanda.
Se è vero che l’aria esercita una pressione allora dovrebbe
essere vero che l’aria può espandersi, può occupare un
volume maggiore.
Vediamo perché.
Se prendi una scatola rigida e ci poggi
sopra una mano, anche
se pompi aria dentro
questa scatola la tua
mano non sente nessuna pressione, dal
momento che la scatola non si espande. Se, invece, metti
la mano su un pallone e lo gonfi, la mano si solleva, spinta dall’espansione del pallone.
Si può quindi supporre che, negli esperimenti di
Pascal che abbiamo appena visto, il liquido non fuoriesca
dal tubo perché riceve una spinta dall’aria che sta cercando di espandersi e la spinta venga controbilanciata dal
peso del liquido nel tubo.
Questa spiegazione poteva apparire assurda: se l’aria
può espandersi vuol dire che può anche comprimersi.
A questi problemi dedicò la sua attenzione Robert
Boyle (1627-91) che, compiendo una lunga serie di esperimenti, arrivò a formulare quella che ancora oggi si studia come legge di Boyle: esiste una relazione precisa tra la
pressione a cui è sottoposta una massa d’aria ed il volume
che occupa.
La legge di Boyle afferma che, a temperatura costante vale la relazione:
P x V = costante
133
Dove P è la pressione a cui è sottoposto il gas e V è il
volume che occupa. Adesso che hai imparato a guardare
le formule, vediamo cosa ci dice questa. Il prodotto della
pressione per il volume deve rimanere costante, cioè deve
essere sempre uguale ad uno stesso numero. Facciamo un
esempio:
P x V = 100
Potrebbe essere:
P=1 e V=100 (P x V = 1 x 100 = 100),
oppure P=2 e V= 50 (P x V = 2 x 50 = 100),
oppure P=5 e V= 20 (P x V = 5 x 20 = 100),
e molte altre coppie di numeri.
La legge di Boyle ci
dice che, a temperatura
costante, pressione e
volume sono due grandezze inversamente proporzionali, cioè se una
aumenta, l’altra diminuisce e viceversa (il loro
prodotto, infatti, deve
rimanere costante).
Per giustificare il fatto che l’aria è capace di espandersi e di comprimersi (cioè di occupare un volume maggiore o minore), Boyle ipotizza che questa sia composta da
minuscole particelle in grado di comportarsi come una
molla: comprimersi se sottoposte ad una pressione esterna ed espandersi nuovamente se lasciate libere.
134
Ognuno mette bocca su tutto
Leggendo questo libro ti sei potuto rendere conto di
quante persone abbiano collaborato allo sviluppo del pensiero scientifico in questi secoli. La natura era un libro che
tutti volevano leggere e capire. La natura era una macchina della quale doveva essere svelato ogni meccanismo.
È sorprendente notare da un lato il fatto che ogni studioso, ogni filosofo, volesse dare il suo contributo
all’avanzamento della scienza e, dall’altro, che molti studiosi affrontassero problemi piuttosto diversi tra loro.
Le cose dovevano essere
capite fino in fondo: non
tutto ciò che appare evidente deve necessariamente
essere vero. Inoltre la natura
può essere “misurata”, si
possono compiere degli
esperimenti per verificare o
escludere alcune ipotesi.
I grandi risultati ottenuti incoraggiavano l’applicazione dei nuovi metodi
sperimentali a fenomeni
ancora incompresi. Tutta
l’Europa guardava con stupore alla crescita delle proprie conoscenze e con ammirazione apprezzava i risultati, anche pratici e tecnologici, che
la scienza riusciva a raggiungere.
I migliori “cervelli” di quel periodo si dedicavano con
interesse ed entusiasmo alle ricerche scientifiche: il libro
della natura cominciava ad essere interpretato, i primi
135
risultati erano estremamente incoraggianti, ogni studioso sentiva di poter dare il proprio contributo e passare
so, tenevano segreti i loro
metodi e i loro risultati.
Conosciamo, però,
uno dei maggiori problemi che gli alchimisti cercavano di risolvere: fabbricare l’oro in laboratorio.
Credendo, appunto,
che la materia potesse
variare in modo continuo,
ritenevano possibile ottenere l’oro mescolando
sostanze, scaldando elementi, fondendo metalli o altre
procedure simili. Bastava trovare tutti gli ingredienti
giusti, mescolati nelle giuste proporzioni e si sarebbe
arrivati al risultato sperato.
L’unica ricetta per i problemi economici
così alla storia, insieme ai grandi del passato.
La materia: scienza o magia?
La filosofia meccanicista vedeva nella natura due principi: materia e movimento. Abbiamo visto che si erano
create due diverse correnti di pensiero sulla struttura della
materia.
Alcuni scienziati credevano nell’esistenza degli atomi
indivisibili, ma la teoria che andava per la maggiore si
basava sull’idea di una materia “continua” ed infinitamente divisibile.
A quei tempi era molto diffusa l’alchimia, lo studio
delle forze occulte della natura. Gli uomini che la praticavano, tra i quali eccellenti scienziati, Newton compre-
136
Per capire bene il concetto di “materia che cambia
con continuità” possiamo
andare in cucina e prendere i
seguenti ingredienti:
• 2 tuorli d’uovo
• sale q.b. (quanto basta)
• una bottiglia di olio
• 1 limone
Ognuno di questi ingredienti ha caratteristiche molto
diverse dall’altro: l’olio è liquido, giallo e trasparente, il
sale è solido e biancastro, eccetera.
137
Da tutti questi elementi, mescolando in modo opportuno e con la dovuta perizia, si ottiene la maionese che ha
un colore intermedio tra il rosso dell’uovo e il giallo dell’olio, è meno liquida dell’olio e del succo di limone, ma
decisamente più liquida del sale etc… Questa è una
variazione con continuità: abbiamo variato tutte le caratteristiche iniziali per arrivare ad una nuova sostanza con
nuove caratteristiche da noi decise.
È lecito pensare che prendendo, ad esempio:
• 2 grammi di ferro
• limatura di diamante q.b.
• 1 cucchiaino di polline
possiamo ottenere dell’oro!
Ovviamente chi avesse scoperto ingredienti, dosi e
procedure precise, avrebbe risolto tutti i suoi problemi
economici.
Anche Robert Boyle si
dedicò a studi di alchimia, ma
non lo fece per diventare ricco.
Di questo possiamo essere sicuri
dal momento che i suoi esperimenti miravano soprattutto ad
identificare le diverse sostanze.
Sebbene lui stesso non ne fosse
convinto, gli esperimenti di Boyle
si basavano sul presupposto che una
sostanza non potesse trasformarsi in un’altra.
Boyle aprì la strada ad una concezione discontinua della
materia in cui ogni elemento fondamentale aveva caratteristiche proprie verificabili con esperimenti di chimica.
138
DALLA MELA ALLA LUNA
All’inizio del capitolo precedente abbiamo abbandonato un
certo Isaac Newton alle sue
pappe, ma adesso, ci piaccia o
no, dobbiamo andare a vedere
cosa sta combinando una volta
diventato un po’ grandicello. Lo
troviamo, nel 1661, mentre si
iscrive al Trinity College della
città inglese di Cambridge.
Anche in Inghilterra lo studio universitario è basato sulla cultura aristotelica, ma
nelle biblioteche sono facilmente reperibili i testi dei
nuovi filosofi della natura. Newton, per interesse personale, legge tutto quello che trova, e non trova poco!
La Geometria di Cartesio, le opere di Boyle, la teoria
atomistica di Gassendi, le pubblicazioni di Keplero e di
Galileo.
Newton legge molto velocemente infatti, quando nel
1665 è costretto a lasciare l’università e rifugiarsi in campagna (per scappare al pericolo della diffusione dell’epidemia di peste che aveva investito l’Inghilterra), conosce
tutti questi testi e anzi, li ha già approfonditamente studiati. Al momento del suo trasferimento il giovane scienziato ha solo 23 anni.
Nei due anni (1665 e 1666) trascorsi in campagna
Newton studia, pensa, scrive, ragiona, immagina, approfondisce, crea… tutto fa, meno che stare a prendersi in
testa le mele che cadono dagli alberi!
139
Però la mela di
Newton è passata
alla storia e quindi
non può essere eliminata da nessun libro
che parli del grande
Isaac.
– Professor Newton,
perché la sua mela è
passata alla storia?
– Si racconta che io
abbia capito la
gravitazione universale grazie ad
una mela che mi
sarebbe caduta in testa mentre me ne stavo seduto a
pensare sotto un albero…
– Ed è vero, è stato in quegli anni passati in campagna che
ha capito la gravitazione universale?
– All’inizio del ’65 «… ho trovato il metodo di approssimazione della serie e la regola per ridurre un qualunque esponente di un binomio qualsiasi a tali serie. A
maggio dello stesso anno ho trovato il metodo delle
tangenti e a novembre avevo il metodo diretto delle
flussioni. A gennaio del ’66 ho sviluppato la teoria dei
colori e a maggio possedevo il metodo inverso delle
flussioni. Nello stesso anno cominciai a pensare alla
gravità che si estende all’orbita della Luna».
– Professore… non ho capito assolutamente nulla! Se potesse
parlare un poco più semplicemente…
140
Per adesso non preoccuparti di quanto ha detto
Newton, lo vedremo tra poco, ma puoi giustamente
rimanere sbalordito dalla quantità di lavoro concettuale
profondamente nuovo che Newton fece in soli due anni.
Bene, ma torniamo alla storia. Finito il pericolo della
peste, Newton incarta tutti i suoi manoscritti, li mette
nella borsa da lavoro e nel 1667 torna a Cambridge. Nella
sua stanza, più simile ad un laboratorio che ad uno studio, apre la borsa e tira fuori i manoscritti dei suoi studi
di ottica.
– Professore, non sapevo nemmeno che lei si fosse occupato di
ottica.
– Non ero convinto delle teorie di Cartesio sui colori e
così ho voluto verificarle.
– Cos’è in particolare che non la convinceva?
– Cartesio spiega che la luce è bianca, ma che quando il
fascio luminoso investe degli oggetti, o passa attraverso un prisma, le particelle di luce più esterne del fascio
entrano in rotazione mutando il loro colore. Ogni colore corrisponde ad una diversa velocità di rotazione delle
particelle. Bene, non mi convince il fatto che i colori
dipendano da una diversa velocità delle particelle del
fascio luminoso e che, smettendo di ruotare, tornino ad
essere bianche.
– Invece lei cosa pensa?
– Io penso che la luce bianca sia formata da raggi luminosi di colori diversi che, visti tutti insieme, appaiono bianchi e visti divisi appaiono ognuno del proprio colore.
– Come pensa di poter dimostrare quanto ha detto?
141
– Con un esperimento cruciale: se mi riesce la mia teoria
è vera, altrimenti ha ragione Cartesio.
– Di che esperimento si tratta?
– Puoi fare un esperimento simile e più convincente.
Prendi un disco di carta, dividilo in sette spicchi e colora ogni spicchio di uno dei colori dell’arcobaleno.
Adesso fallo girare veloce. Di che colore appare?
– Bianco, sbalorditivo! Gli altri
scienziati come
hanno accolto il
suo esperimento?
– Facciamo passare un fascio di luce attraverso un prisma
e osserviamo lo spettro cromatico prodotto sul muro.
Come sostiene Cartesio si vedono tutti i colori dell’arcobaleno. Fino a qui nulla di nuovo. Adesso, dopo il
prisma mettiamo delle lenti che riuniscano il fascio in
un punto. Se questo punto apparirà bianco ho ragione
io: il prisma separa i diversi raggi colorati e quando io
li metto nuovamente insieme, mischiandosi, appaiono
bianchi. Se invece il punto apparirà colorato, allora
vuol dire che il prisma ha modificato la velocità di
alcune particelle del raggio luminoso che, a causa di
questa modifica, appariranno colorate.
– Un esperimento molto interessante. Che risultato ha ottenuto?
– Perché me lo chiedi? Il tuo errore, come quello di molti
scienziati miei contemporanei, sta nel fatto di ipotizzare che io possa non aver sempre ragione! Ovviamente
ho ottenuto un punto di luce bianca.
– Non mi convince molto…
142
– Nel 1672 ho
pubblicato sugli Atti della Royal Society di Londra il
mio esperimento e, incredibile ma vero, ho ricevuto un
sacco di critiche. Hooke, il presidente della società, ha
sostenuto che non basta un solo esperimento per verificare una teoria e Huygens (probabilmente il più importante scienziato vivente) ha detto che come prima cosa
bisogna decidere se la luce sia composta da onde o da
particelle, e quindi non trova affatto interessante il mio
esperimento.
– E lei cosa pensa: la luce è composta da onde o particelle?
– Penso che la luce sia composta da particelle, questa è
l’ipotesi più semplice per giustificare il fatto che la luce
si propaga in linea retta. L’ombra di un oggetto su uno
schermo è netta. Se la luce fosse composta da onde si
osserverebbero dei fenomeni di attenuazione
della luce sui bordi della
figura, dovuti alle interferenze che le onde produrrebbero “sbattendo”
contro l’oggetto.
143
Chi aveva ragione? La luce
è composta da onde o da particelle?
Ah, saperlo! Ai tempi di
Newton era impossibile dare
una risposta ma anche più
tardi non sarà facile trovare
una soluzione a questo problema. Dovremo aspettare un’altra rivoluzione scientifica
per avere le idee un po’ più chiare in proposito.
Quiz a premi
Christopher Wren,
Edmond Halley e Robert
Hooke erano tutti membri della Royal Society di
Londra, l’accademia reale
inglese nella quale venivano dibattuti i più importanti problemi scientifici
del tempo.
Robert Hooke ne era
il presidente ed Edmond
Halley (1656-1742) era
un giovane associato che, studiando attentamente il moto
delle comete, aveva stabilito che la forma delle loro orbite dovesse essere un’ellisse molto, molto allungata.
Riconobbe la cometa del 1682 come quella già apparsa
nel 1607 e nel 1531, e calcolò che sarebbe ricomparsa alla
nostra vista nel 1759. Questo evento, effettivamente si
verificò e quelli un po’ più “vecchi” tra voi hanno potuto
osservare la Cometa di Halley anche nel 1986.
144
Un bel giorno Christopher Wren, matematico e
architetto, indisse una gara tra Edmond Halley e Robert
Hooke: chi tra loro fosse stato in grado di dimostrare che
i pianeti erano attratti verso il Sole da una forza inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza dal
Sole, avrebbe vinto 40 scellini (che oggi sembra una
somma miserabile ma ai tempi non doveva essere poco!).
Cerchiamo di capire il significato della
domanda di Wren.
Pensiamo di avere un mobile da spostare.
Se lo spingiamo verso destra, si sposterà
a destra, se lo spingiamo verso
sinistra, si sposterà a sinistra
e così via.
Questo fa pensare che se
i pianeti ruotano intorno al
Sole potrebbe esistere una forza che li spinge da dietro.
Se l’orbita è un’ellisse, vuol dire che questa forza
dovrebbe continuamente cambiare la sua direzione.
Per capire guarda il disegno qui sotto.
Questa descrizione
della natura ci lascia perplessi perché è difficile
immaginare che qualche
forza possa occuparsi di
spingere i pianeti cambiando continuamente la
sua direzione in modo da
farli ruotare.
Sappiamo, però, che
se un corpo si muove con velocità rettilinea uniforme non
ha bisogno di forze per continuare il suo moto.
145
Pensiamo allora di
avere un pianeta che si
muova con velocità rettilinea uniforme nelle
vicinanze del Sole. Se
non intervenisse niente
altro, il pianeta continuerebbe il suo moto
rettilineo uniforme, allontanandosi sempre più dal Sole.
Però Keplero ci ha insegnato che i pianeti non si
muovono di moto rettilineo uniforme, ma girano intorno
al Sole percorrendo un’orbita ellittica. Possiamo pensare,
allora, che esista una forza che obblighi il pianeta a curvare. Vediamo perché.
Prendiamo una pallina
legata ad un filo e facciamola
ruotare. La forza che tiene la
pallina “in orbita” è sicuramenF
te diretta lungo il filo, quindi
verso il centro dell’orbita; se
noi tagliassimo il filo, la pallina partirebbe dritta in avanti.
Possiamo quindi pensare che
una situazione simile valga anche per i pianeti… peccato
che la mancanza del filo complichi un po’ la situazione.
Comunque è realistico pensare che la forza che mantiene in orbita il pianeta sia diretta verso il Sole, cioè verso
il centro dell’orbita, come accade alla nostra pallina.
Cosa vuole dire che questa forza deve essere inversamente proporzionale alla distanza del pianeta dal Sole al
quadrato? “Inversamente proporzionale” significa che se
la distanza dal Sole (r) aumenta, deve diminuire la forza
(F) che attrae il pianeta.
146
Proviamo a scrivere
un’equazione che soddisfi
queste condizioni:
r
1
F = ––2
r
Dove r è la distanza dal Sole,
come vedi in figura.
Adesso vediamo se i conti tornano:
1
1
1
1
1
1
1
1
1
r=1
F = ––2 = ––2 = – = 1
r
1
1
r=2
F = ––2 = ––2 = –
r
2
4
r=3
F = ––2 = ––2 = –
r
3
9
Sì, se aumenta la distanza, diminuisce la forza.
Ma perché dobbiamo usare proprio il quadrato della
distanza e non la distanza semplice, oppure il cubo della
distanza o qualche altra relazione?
Unificando la terza legge di Keplero e gli studi di
Huygens sui moti circolari uniformi si ricava che una
buona formula per questa forza potrebbe essere quella che
abbiamo appena scritto. Se vuoi vedere quali calcoli portano a questo risultato puoi leggere a pagina 168.
Questi ragionamenti erano interessanti, ma erano
solo ipotesi che dovevano essere verificate e, nel caso,
dimostrate. La prima cosa da decidere era: è possibile che
i pianeti si muovano lungo orbite ellittiche se la forza che
147
li attrae verso il Sole dipende dalla distanza come
1
F = ––2 ?
r
Questa era la domanda la cui risposta valeva 40 scellini.
Una possibile soluzione
In meno di tre mesi, Newton invia ad Halley la soluzione del problema e inizia a lavorare al suo capolavoro
scientifico Philosophiae Naturalis Principia Mathematica che
sarà pronto in tempi brevissimi e verrà pubblicato nel
1687. I Principia, questo il nome con cui viene ricordata
l’opera di Newton, sono costituiti da tre libri difficilissimi che, come dicevano sarcasticamente gli studenti di
Cambridge «nemmeno il loro autore riesce a capire».
Il primo libro tratta del moto dei corpi nel vuoto, il
secondo del moto dei corpi in mezzi resistenti, quali l’aria
o l’acqua ed il terzo affronta finalmente il Sistema del
Mondo.
Il principio dei Principia
Già dalle prime pagine scopriamo che per descrivere
l’universo non bastano materia e movimento, ma dobbiamo aggiungere anche la forza e Newton ce ne dà una definizione:
«La forza è l’azione esercitata su un corpo per cambiare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme».
Dopo poco, nel primo libro, compaiono le tre leggi
del moto.
Halley ha un’idea: andare a chiedere la soluzione a
Newton. Così, nell’agosto del 1684 si reca a Cambridge
e bussa alle porte del Trinity College.
La risposta di Newton lascia Halley a bocca aperta:
«Mi sembra di aver affrontato questo problema e di averlo risolto in alcuni miei studi giovanili. Riguarderò tra le
mie vecchie carte e le farò sapere».
148
Legge 1. Ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di
moto uniforme e rettilineo, se qualche forza ad
esso applicata non lo costringe a mutarlo.
Legge 2. Il cambiamento del moto è proporzionale alla
forza motrice impressa e segue la retta secondo
cui tale forza è stata impressa.
Legge 3. L’azione è sempre uguale e contraria alla reazione: cioè le mutue azioni di due corpi sono sempre uguali e dirette in senso opposto.
149
Ecco fatto.
Con queste tre frasi
Newton ha sistemato gli studenti di tutto il mondo per i
secoli a venire!
Prima o poi anche a te
toccherà impararle ed utilizzarle per risolvere i problemi
di meccanica classica.
Come la cambia? Andando avanti a leggere otteniamo
una spiegazione che può essere riassunta nell’equazione:
F=mxa
Data l’enorme importanza di questa equazione, forse
conviene darle un’occhiata.
“F” è la forza con cui viene spinto un oggetto, “m” è
la massa del nostro oggetto ed “a” è l’accelerazione che
l’oggetto ha a causa della forza che lo spinge.
La prima legge descrive
il principio d’inerzia e Newton asserisce di averla “copiata” da Galileo anche se la sua corretta definizione non fu
data da Galileo, ma poco più tardi da Cartesio.
La seconda e la terza legge sono invece delle assolute
novità anche se, come sempre accade, sono il frutto dei
ragionamenti e delle intuizioni di Newton sulle ricerche
e i sui risultati raggiunti precedentemente da molti
scienziati.
Grazie al principio
d’inerzia, sappiamo che la
velocità di un oggetto può
essere maggiore di zero
anche se nessuna forza lo sta
spingendo.
Allora, quando applichiamo una forza, cosa accade all’oggetto?
A questa domanda
risponde la seconda legge:
l’oggetto cambia la propria
velocità.
150
Facciamo un esempio. Possiamo pensare di spingere
il pedale dell’acceleratore della nostra auto, tenendolo
premuto a fondo per la durata di due secondi. Possiamo
vedere che la nostra auto, durante quei due secondi, passa
da una velocità iniziale di 10 km/h ad una finale di 130
km/h. Conosciamo allora la variazione totale di velocità:
∆v = 130 km/h – 10 km/h = 120 km/h
Abbiamo introdotto un nuovo simbolo: ∆ (si legge “delta”).
Useremo il simbolo ∆ per definire una variazione di una
certa grandezza, in questo caso della velocità.
∆v = vfinale - viniziale = 120 km/h
Questo aumento di velocità è avvenuto durante 2
secondi. Se definiamo l’accelerazione come la variazione
di velocità avvenuta durante un certo tempo, allora la
nostra accelerazione risulta:
∆v
120 km/h dove s, sta per secondi.
— = —–––––––
2s
2s
151
Dato che un’ora dura 3.600 secondi, possiamo scrivere:
∆v
120 km/h = —––––––––––––––
(120 km)/(3.600 s)= ––
1 km/s2
— = —–––––––
2s
2s
2s
60
Questo vuol dire che, ogni secondo, la nostra velocità è
1 km/s .
aumenta di ––
Tutto questo, che è piuttosto intuitivo, viene dimostrato da Newton affermazione dopo affermazione, utilizzando solo la geometria classica, la geometria sviluppata
dagli antichi greci che Newton riteneva i suoi inestimabili maestri.
60
Vediamo se i conti tornano.
La nostra velocità, ogni secondo, è aumentata di:
1 km/s = 1 km/min = 60 km/h
––
60
È giusto, infatti in 2 secondi abbiamo aumentato la
velocità di 120 km/h: l’abbiamo aumentata di 60 km/h
ogni secondo.
Non abbiamo finito di commentare la seconda legge
del moto… «il cambiamento del moto segue la retta
secondo cui la forza è stata impressa». E questo non è difficile da credere: se spingiamo un corpo in avanti, quello andrà avanti e non di lato.
Bene, ma che succede se
A
lo tiriamo in due direzioni
diverse?
R
Risposta di Newton: «Si
muove lungo la diagonale
B
(R) del parallelogramma formato dalle forze A e B».
Guardando il disegno è
abbastanza facile da capire. E
se lo tiriamo con la stessa forza a destra e a sinistra contemporaneamente? Se ne rimane fermo fermo nel centro.
152
Bene, siamo arrivati
a capire che non è possibile dire solo “questa
forza vale tanto”, dobbiamo anche dire in che
direzione la applichiaverso
mo (cioè lungo quale
direzione
retta) e in che verso
(cioè verso destra o
verso sinistra).
Ogni retta (la direzione) ha due versi,
indicati nel disegno dalle frecce.
Se un bambino cammina su un cornicione è piuttosto
importante sapere di quanto si sposterà, ad esempio 10
metri, ma è forse più importante sapere in che direzione
(lungo il cornicione) farà questi 10 metri e, soprattutto,
in che verso (se decide, infatti, di andare verso destra…)!
Vediamo adesso la terza legge di Newton che può
essere riassunta in “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”.
Se spariamo un colpo di pistola, dobbiamo stare
attenti al rinculo, ma gli esempi non finiscono qui.
Se il Sole esercita sulla Terra una certa forza attrattiva, allora anche la Terra esercita sul Sole la stessa identica forza.
153
– Professor Newton, se fosse vero, allora perché la Terra girerebbe intorno al Sole e non viceversa?
– Non è vero che la Terra giri intorno al Sole, esattamente quanto non è vero che il Sole giri intorno alla Terra.
massa del Sole è estremamente più grande di quella
della Terra, il centro di massa del sistema è posizionato
all’interno della superficie del Sole. Intorno a questo
punto gira il Sole, che quindi farà dei giri molto, molto
piccoli, mentre la Terra, girando intorno allo stesso
punto, compirà delle vere e proprie rivoluzioni intorno
al Sole. Sei convinto?
centro di massa
– Ha inventato un altro sistema cosmologico? Non ne bastavano tre?
– Io non ho inventato niente, ho solo scoperto come le
cose funzionano veramente.
– Cioè?
– Definiamo la massa di un oggetto come la quantità di
materia da cui è formato. Bene, la Terra e il Sole girano tutti e due intorno al centro di massa del sistema
Terra-Sole. Questo è vero se, per adesso, facciamo finta
che non esistano gli altri pianeti.
– Cos’è il centro di massa del sistema Terra-Sole?
– È un punto posizionato sulla retta che congiunge la
Terra ed il Sole. Semplificando un po’ la questione, possiamo dire che tanta materia hai a destra del punto,
quanta ne hai a sinistra. Guarda il disegno: dato che la
154
– La spiegazione è accettabile, ma come le è venuta in mente?
– È semplice. Se i corpi si attraggono perché possiedono
una massa, come io penso, allora anche i pianeti, dotati di massa, devono attrarre il Sole. Ma il centro del
sistema del mondo, essendo il centro di massa del
mondo, è in quiete e tutto
ruota intorno ad esso.
– Anche le stelle fisse?
– No, le stelle fisse sono,
appunto, fisse.
– Perché, non risentono di nessuna attrazione? Non sono
dotate di massa?
155
– Certo che hanno una massa, ma le forze che agiscono su
di esse sono in equilibrio e quindi è come se nessuna
forza agisse su di loro, così che non possono muoversi.
Per questo possiamo definire uno spazio assoluto ed un
movimento assoluto. Per il principio di relatività, infatti,
se vediamo un corpo che si muove con velocità rettilinea uniforme non possiamo dire se veramente è lui che
si sta muovendo o se siamo noi che ci muoviamo in
senso opposto. Possiamo dirlo solo rispetto alle stelle
fisse. Se un corpo si muove rispetto alle stelle fisse, si
muove veramente.
– Che le stelle fisse siano proprio fisse mi sembra un po’ incredibile, ma per adesso soprassediamo. Piuttosto, esiste una
formula precisa per calcolare la forza con cui due corpi si
attraggono?
– Certo: questa forza è proporzionale al prodotto delle
masse dei corpi e inversamente proporzionale alla loro
distanza al quadrato.
m1 x m2
F = G x –––––––
r2
La costante G, chiamata costante di gravitazione universale, ha un valore molto piccolo. Se misuri le masse
in chilogrammi, la distanza in metri e la forza in
Newton (l’unità di misura della forza ha preso il mio
nome, indovina perché!), allora
6,67
G = 6,67x10-11, cioè G = ––––––––––––
100.000.000.000
Ho dimostrato che se questa è l’equazione della forza,
allora valgono le tre leggi di Keplero. Se Terra e Sole si
attirano con una forza proporzionale al prodotto delle
156
loro masse ed inversamente proporzionale alla loro
distanza al quadrato, allora la Terra, più leggera del
Sole, percorre un’orbita ellittica di cui il Sole occupa
uno dei fuochi.
– E questa è anche
l’equazione della
forza che attira la
famosa mela verso
la Terra?
– Certo!
– E allora la forza dipende
dalla massa! Più un corpo è pesante, più è attratto dalla
Terra e quindi la sua velocità di caduta sarà maggiore.
– Non ho detto che la velocità di caduta dipende dalla
massa, ho solo detto che la forza dipende dalla massa.
– Ma è la stessa cosa. La massa è proporzionale alla forza,
la forza è proporzionale all’accelerazione (le ricordo la
seconda legge del moto da lei scritta), l’accelerazione è proporzionale alla variazione di velocità e quindi… mi
dispiace per Galileo, ma la moneta cade più velocemente del
fazzoletto!
– Ti sei contraddetto.
– Non mi sembra.
– Certo che ti sei contraddetto, se non sei capace di trovare il tuo errore puoi leggere a pagina 169.
– Il mio errore è che anche questa volta non ho considerato che
ha sempre ragione lei! Senta professore, c’è una domanda che
veramente vorrei farle…
157
per la mia bravura matematica, ma considera le mie
idee sulla luce e sulla gravitazione, assolutamente
assurde. E poi Leibniz, il peggiore di tutti! Ha completamente copiato la mia nuova matematica, facendo credere che l’aveva inventata lui. Ma io l’ho denunciato e
la Royal Society mi ha dato ragione. La matematica
nuova è mia.
– Ma lei non l’ha pubblicata la sua matematica!
– Prego.
– Le masse si “attirano”?
– Le masse si attirano.
– Ma le masse non sono inanimate?
– Le masse sono inanimate.
– Come fanno ad “attirarsi” se sono inanimate?
– L’ho pubblicata nel 1707, mentre Leibniz, dal 1684,
aveva cominciato a pubblicare i suoi risultati su un
giornale scientifico.
– Mi scusi, allora come fa a dire che Leibniz l’ha copiata se
lei ha pubblicato più tardi?
– Io e Leibniz ci eravamo scritti, anche se ero stato attento a non svelare segreti, e poi, a qualche mio allievo
fidato, avevo confidato qualche cosa dei miei studi…
non so di preciso come abbia fatto a copiarmi, ma di
sicuro l’ha fatto!
– Ah saperlo! Io ho spiegato come si attirano, non perché.
– Professore, il mondo è rimasto a bocca aperta davanti alle
sue dimostrazioni?
– Ben pochi sono stati capaci di capirle e, tra questi,
molti le hanno anche criticate.
– Veramente?
– Sì, certo, specialmente quelli che vivono nel continente,
mentre qui in Inghilterra ho avuto molti sostenitori.
– In particolare chi se l’è presa con lei?
– Beh, il grande Huygens, ad esempio, dice di stimarmi
158
159
Dall’altro lato della Manica
Gottfried Wilhelm Leibniz
era nato a Lipsia nel 1646, aveva
studiato filosofia e legge in ben
tre università e quindi si era dedicato alla carriera diplomatica.
Aveva un sogno facilmente condivisibile: che in Europa regnasse la
pace. Venne mandato a Parigi per convincere il Re Sole a
non invadere i paesi del nord Europa.
Come diplomatico, però, Leibniz non si mostrò
molto capace. Durante il suo soggiorno parigino conobbe
Huygens e si lasciò affascinare dai numerosi volumi che
questi lo spinse a leggere. Tornò così ai suoi vecchi amori
per gli studi e… dopo poco tempo, da studioso diventò
professore, formulando quello che passerà alla storia come
calcolo differenziale ed integrale.
– Signor Leibniz, questo “calcolo differenziale e integrale”
l’ha veramente copiato da Newton?
– Ma figuriamoci! Quel Newton non fa conoscere niente
a nessuno. Parla solamente, ed in gran segreto, con
alcuni studiosi inglesi se, e solo se, sono disposti ad
andarlo ad omaggiare nella sua università di
Cambridge!
– Mentre lei ha pubblicato tutto?
– Certo, la cultura deve circolare, tutti devono imparare
ad utilizzare uno stesso linguaggio simbolico in modo
che ci si possa facilmente capire l’uno con l’altro.
– “Linguaggio simbolico”?
160
– Lo usi tutti i giorni. Quando scrivi “=”, sono solo due lineette ma
tutti capiscono “uguale”. “A=B”
significa che A è uguale a B,
non ti sembra un linguaggio
simbolico?
– Avevo solo paura che fosse qualche cosa di più complicato.
– Nulla è complicato, basta trovare il linguaggio adatto, linguaggio che deve diventare universale. Quel Newton,
più ci penso e più divento furioso, non solo tiene tutto
segreto, ma usa anche dei simboli e dei nomi difficilissimi e, ovviamente, diversi da quelli che si
usano qui in Europa.
– Oh, questa mania gli inglesi non la perderanno. Ancora
ai miei tempi, useranno le
miglia e non i chilometri, le
libbre e non i chilogrammi,
e… forse per lei sarà una notizia strana, ma guideranno
anche dalla parte sbagliata!
– Non mi meraviglia più di
tanto, hanno sempre avuto la fissazione di doversi
distinguere dai continentali (come li chiamano loro).
– Posso chiederle qualche cosa su questo famoso “calcolo”?
– Mio caro, non è facilissimo. Se farai il liceo classico e non
seguirai uno studio scientifico all’università, vivrai tutta
la vita senza sapere nulla di questo fantastico calcolo.
161
– Mi scusi, se è così difficile non le chiedo niente.
– E invece ti sbagli! Non ti spiegherò molto, ma se leggi
a pagina 170 avrai almeno un’idea della sua potenza e
della sua utilità. Potrai
anche capire meglio i
grandi risultati di Galileo.
“Io” ti spiegherò qualche
cosa, perché se speri che lo
faccia Newton…
– Su, non si scaldi tanto.
Newton è acqua passata,
non ci pensi più. Ai nostri
tempi tutti sapranno che
lei e Newton avete sviluppato lo stesso tipo di calcolo autonomamente e che nessuno dei due ha copiato dall’altro.
– Acqua passata dici? Sono stato condannato per plagio
dalla Royal Society (inglesi pure loro e per di più
influenzati dallo stesso Newton), non sono riuscito a
pubblicare gran parte delle mie opere ed al mio funerale, nel novembre del 1716, erano presenti solo i miei
parenti ed i miei amici. Invece Newton, morto nel
1727, ha ricevuto un funerale da re ed è stato seppellito nell’abbazia di Westminster, accanto ai suoi sovrani.
– … ma Newton non si è occupato solo del calcolo, ha anche
capito e spiegato la gravitazione universale.
– Non mi parlare di quella! Ti pare possibile che due
corpi possano attrarsi a vicenda in modo istantaneo
anche essendo molto distanti ed essendo vuoto lo spazio tra loro? E poi, cos’è questa storia del moto assoluto? Non possiamo in nessun caso capire se stiamo vera-
162
mente fermi o ci stiamo muovendo di moto rettilineo
uniforme. E la faccenda degli atomi! Se veramente esistessero e fossero perfettamente “duri”, cioè non elastici, come afferma Newton, allora un urto tra due di loro
produrrebbe un cataclisma!
Alle importanti obiezioni di
Leibniz, Newton non diede risposte e
le polemiche tra le due scuole di pensiero non terminarono con la morte
dei maestri. La “scuola di Leibniz”
generò una classe di matematici tra i
più importanti della storia, mentre le
idee di Newton formarono la solida
base su cui si svilupperà la fisica dei
due secoli successivi.
Ma lasciamo da parte i dissidi
personali e diamo un’occhiata a quali
grandissimi risultati scientifici tutti questi uomini hanno
lasciato alla storia.
Siamo partiti dalle timide idee di Copernico per arrivare ad un universo libero da sfere solide “rotolanti”, un
universo in cui i pianeti si muovono seguendo precise
leggi matematiche, un universo “democratico”, nel quale
valgono le stesse leggi, sia per la Luna che per la mela
(“La legge è uguale per tutti”).
Un universo in cui esiste il vuoto, l’aria “pesa”, si
contrae e si espande, un universo in cui anche la luce e i
colori obbediscono a leggi matematiche. Un universo che
si può esplorare con il cannocchiale e che appare più
“grande”. Quanto grande? Avrà una fine o sarà invece
infinito? E la materia, la luce, da cosa sono formate?
Abbiamo ancora tante domande…
163
APPENDICE, PER CHI
VUOLE SAPERNE DI PIÙ
Cos’è un’ellisse
L’ellisse è quella figura che
ottieni tagliando un cono come
vedi a lato.
Adesso prendi due punti, A e B e disegna un terzo
punto C. La distanza tra A e C la chiamiamo a e la distanza tra B e C la chiamiamo b. La somma delle distanze di
C dai fuochi A e B (a+b) la chiamiamo d (d = a+b).
La somma delle distanze del punto C dai fuochi (cioè
d), deve essere maggiore della distanza h del fuoco A dal
fuoco B. Tutti i punti del piano la cui somma delle
distanze da A e B risulta uguale a d formano l’ellisse.
Per il punto C’, sarà a’+b’=d,
per il punto C’’, a’’+b’’=d, e
così via. La figura ti mostra
quanto detto. Per questo
puoi disegnare l’ellisse usando due puntine ed uno spago
(vedi pagina 71): la lunghezza dello spago non cambia.
Le tre leggi di Keplero
1. Ogni pianeta si muove lungo un’orbita ellittica in cui
il Sole occupa uno dei fuochi.
2. I raggi vettori delle orbite dei pianeti spazzano aree
uguali in tempi uguali.
164
3.
( —TT ) = ( —dd )
1
2
3
1
2
2
Questa relazione indica che il rapporto tra i periodi di rivoluzione (T) intorno al Sole di due qualsiasi pianeti, elevato
al quadrato, è uguale al cubo del rapporto delle loro distanze medie dal Sole (d). Il periodo di rivoluzione è il tempo
che il pianeta impiega a compiere un giro intorno al Sole.
Esempi di moti uniformemente accelerati
Se lasciamo cadere un vaso dal tetto di una casa alta
20 metri e sappiamo che impiega 2 secondi ad arrivare a
terra, possiamo calcolare a che altezza si trovava dopo un
solo secondo da quando l’abbiamo lasciato. Infatti:
s
t
—2 = —2
s1
t1
( )
2
sappiamo che s2 = 20 metri e t2 = 2 secondi, e vogliamo
sapere quanto vale s1 se t1 = 1 secondo
( )
20 = —
2
—
s1
1
2
20 = 4
—
s1
moltiplicando a destra e a sinistra per s1 e dividendo per
4, si ottiene:
s 20
s
—1 x —
= 4 x —1
4
s1
4
20 = 5 metri
s1 = —
4
dopo un secondo, il nostro oggetto aveva percorso 5 metri.
Galileo aveva ricavato la legge:
t
s
—2 = —2
s1
t1
( )
2
165
studiando i moti sui piani inclinati, mentre noi l’abbiamo applicata ad un corpo in caduta libera. È lo stesso
Galileo che ci autorizza a farlo, infatti, sebbene non avesse potuto prendere le misure su oggetti che cadevano in
verticale, dato che il loro moto era troppo veloce, egli
aveva usato tanti piani, ognuno con una diversa inclinazione e aveva osservato che la legge rimaneva invariata.
Aveva potuto quindi generalizzare il risultato ad un moto
con inclinazione verticale, cioè in caduta libera.
x=5
3
2
x=0 y+5
X
1
0
calcoliamo i punti scegliendo i valori delle y:
5
y=0
y=1
y=2
Disegnamo altre rette sul piano cartesiano
Riscriviamo l’equazione di una retta generica:
Per disegnare una retta parallela all’asse delle y, possiamo usare un’equazione
del tipo
x=0 0+5
x=0 1+5
x=0 2+5
x=5
x=5
x=5
X
X
X
Troviamo la retta che passa per due punti
y=a x+b
X
scegliamo i valori a=0 e b=3. La nostra equazione diventa
y=0 x+3
X
Vogliamo trovare l’equazione della retta che passa per i
punti:
punto 1:
x = 0; y = 3
punto 2:
x = 1; y = 6
sappiamo che, come tutte le rette, la sua equazione è del
tipo:
y=a x+b
calcoliamo i punti:
X
x=0
x=1
x=2
y=0 0+3
y=0 1+3
y=0 2+3
X
X
qualsiasi valore diamo alla x,
la y risulta sempre uguale a 3.
Disegnamo come prima i
nostri punti:
x=0
y=3
x=1
y=3
x=2
y=3
È una retta parallela all’asse
delle x.
166
y=0+3
y=0+3
y=0+3
X
y=3
y=3
y=3
questa volta, però, non conosciamo a e b, ma conosciamo
i valori di x e di y. Possiamo sostituirli nell’equazione per
ricavare a e b. Sostituiamo il primo punto
3 = a X 0 + b;
y=3
3 = 0 + b;
3=b
Abbiamo ricavato il valore di b. Adesso sostituiamo il
secondo punto e b, dato che ormai lo conosciamo:
3
6 = a X 1 + 3;
6 = a + 3;
6 - 3 = a;
3=a
Abbiamo ricavato anche a = 3, allora la nostra retta sarà:
y=3 x+3
X
0
1
2
3
4
167
Per essere sicuro adesso puoi disegnarla e controllare
se passa veramente dai punti giusti.
1
Perché F = —
r2 ?
Dobbiamo mettere insieme le conoscenze raggiunte fino
a quel momento.
La terza legge di Keplero afferma:
2
T =r
3
(a)
(il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è
proporzionale al cubo della sua distanza dal Sole).
Secondo Cartesio ed Huygens, ogni corpo in rotazione (la
nostra pallina attaccata al filo) ha una certa “tendenza ad
allontanarsi dal centro”. Huygens aveva calcolato che
questa “tendenza ad allontanarsi dal centro” (ac) era proporzionale alla velocità della nostra pallina al quadrato ed
inversamente proporzionale alla sua distanza dal centro.
v2
ac = ––
(b)
r
Dove “r” è il raggio dell’orbita e quindi la distanza
della pallina dal centro. La velocità (v) della nostra pallina la possiamo calcolare dividendo tutto lo spazio da lei
percorso in un giro, per tutto il tempo che impiega a percorrere un giro. Questo tempo si chiama periodo e si
indica con T. Dato che la pallina percorre un cerchio, lo
spazio percorso sarà uguale al perimetro del cerchio (perimetro del cerchio = 2πr).
2πr
v = –––
T
Elevando al quadrato otteniamo:
168
(2πr)2
v2 = –––––
T2
(c)
ma, per l’equazione (a), T2 = r3 e quindi, sostituendo nella equazione (c), e semplificando, otteniamo:
(2π)2 r2
(2πr)2
(2π)2
2 = –––––––
2 = –––––
v2 = –––––
v
v
r3
r3
r
sostituendo questo valore di v2 nell’equazione (b) si ottiene
(2π)2 1
(2π)2
ac = ––––– X ––
ac = –––––
;
r
r
r2
Quindi ac, cioè la “tendenza ad allontanarsi dal centro”
(che sarà proporzionale alla forza che “non fa allontare dal
1 .
centro”) è uguale ad un numero ((2π)2) che moltiplica —
r2
La velocità di caduta della moneta
La forza che attrae la moneta verso la Terra è:
MXm
F = G X ––––––
r2
(a)
Dove r è la distanza della moneta dal centro della Terra,
M la massa della Terra e m la massa della moneta. Questa
forza, applicata sulla moneta, genera un’accelerazione:
F
a = ––
m
(questo per la seconda legge di Newton) quindi, sostituendo a F l’equazione (a) si ottiene:
Mxm x 1
a = G x ––––––
––
r2
m
;
M
a = G x –––
r2
Vedi, la massa della moneta è scomparsa dall’equazio-
169
ne, l’accelerazione quindi dipende solo dalla massa della
Terra e dalla distanza della moneta dal centro della Terra.
Perché abbiamo usato la distanza tra la moneta ed il
centro della Terra e non la distanza tra la moneta e la
superficie della Terra? Perché Newton ha dimostrato (con
calcoli molto complicati) che i corpi si attraggono come
se tutta la loro massa fosse situata nel loro centro. La
distanza tra la moneta e il centro della Terra sarà praticamente uguale al raggio della Terra e quindi possiamo calcolare l’accelerazione che la moneta subisce in caduta
libera verso la Terra:
24
5,97 x 10
M
a = G x –––
= 6,67 x 10-11 –––––––––––
= 9,8 m/s2
2
r
(6,37 x 106)2
questa accelerazione è valida per tutti i corpi, qualsiasi massa abbiano, dato che per calcolarla non abbiamo
dovuto usare la massa della moneta.
La nuova matematica
Il grandissimo merito di Newton e di Leibniz è stato
capire che per fare i conti con le grandezze che cambiano
continuamente bisognava saper calcolare le tangenti alle
curve. Vediamo perché e cosa vuol dire.
Andiamo in bicicletta a velocità costante.
Impieghiamo un secondo per percorrere 10 metri. A che
velocità siamo andati? Ci siamo mossi alla velocità di
dieci metri al secondo (10m/s).
s
Se la velocità è costante possiamo definire: v = —
t
la nostra velocità la misuriamo come lo spazio che
abbiamo percorso diviso il tempo che abbiamo impiegato a percorrerlo. Vediamo se questa definizione funziona.
170
Se la velocità è costante e in un secondo abbiamo percorso 10 metri, quanti metri percorriamo in due secondi?
Ovviamente 20 metri (10 metri il primo secondo e 10
metri il secondo secondo). A che velocità siamo andati?
s
20 m = 10 m/s
v=—
t = ——
2s
sempre a 10 metri al secondo. È giusto, avevamo detto
che la nostra velocità doveva
essere costante.
Adesso disegnamo su un
grafico lo spazio che percorriamo in funzione del tempo
che passa se la nostra velocità rimane costante e uguale
a 10m/s.
t0 = 0 s
ta = 1 s
tb = 2 s
spazio
(metri)
sb 20
sd 17
sc 12
sa 10
s0 = 0 m
sa = 10 m
sb = 20 m
0
1 1,2 1,7 2 tempo
Se la nostra definizione
ta tc td tb (secondi)
di velocità è giusta, vuol dire
che sarà sempre uguale a 10 m/s dividendo un qualsiasi
spazio percorso per il tempo che abbiamo impiegato a percorrerlo. Prendiamo lo spazio percorso tra i punti sa e sb
segnati sul grafico.
Quanto spazio abbiamo percorso? (Con ∆s intendiamo l’intervallo di spazio percorso, cioè sfinale - siniziale)
∆s = sb - sa = 20 - 10 = 10
Quanto tempo abbiamo impiegato a percorrerlo?
171
∆t = tb - ta = 2 - 1 = 1
Qual è la nostra velocità?
∆s = —
10 = 10 m/s
v=—
1
∆t
Per adesso funziona, ma noi non ci fidiamo. Prendiamo
uno spazio più piccolo e facciamo di nuovo i calcoli:
∆s = sd - sc = 17 - 12 = 5
Quanto tempo abbiamo impiegato a percorrerlo?
∆t = td - tc = 1,7 - 1,2 = 0,5
∆s = —
5 = 10 m/s
v=—
∆t 0,5
La velocità rimane sempre uguale. Possiamo dimezzare lo
spazio percorso, ma si dimezzerà anche il tempo impiegato a percorrerlo. Possiamo prendere uno spazio 10 volte
più piccolo, anche il tempo impiegato diventerà 10 volte
più piccolo, così quando andiamo a calcolare lo spazio
diviso il tempo otteniamo sempre 10m/s.
Possiamo quindi prendere uno spazio piccolissimo e dividerlo per il piccolissimo tempo che abbiamo impiegato a
percorrerlo ed ottenere sempre lo stesso risultato: 10m/s.
Ma quanto piccoli possiamo prendere questi spazi e questi tempi? Piccoli quanto ci va, piccoli “a piacere”, il rapporto rimane sempre 10m/s.
Ma se prendiamo uno spazio che è talmente piccolo da
diventare uguale a zero? Anche il tempo sarà talmente
piccolo da essere uguale a zero.
∆s = —
0
Certo, ma mica si può scrivere: v = —
∆t 0
172
Non si può dividere un numero per zero!
È vero non si può, ma dice Newton, se diminuisco
sempre lo spazio e diminuisce sempre il tempo impiegato a percorrerlo, se “un istante prima” che diventino tutti
e due uguali a zero, il loro rapporto è 10m/s, allora posso
dire che sarà sempre 10m/s, al limite anche quando sono
diventati tutte e due uguali a zero.
Se la velocità è costante abbiamo risolto il problema di
come calcolarla:
∆s
v=—
∆t
I grafici cartesiani ci sono utili per poter disegnare,
come abbiamo appena fatto, lo spazio percorso in funzione del tempo impiegato a percorrerlo.
Se cominciamo a contare il tempo e lo spazio da zero, cioè
se tiniziale = 0 secondi, e siniziale = 0 metri, allora
∆s = s - siniziale = s - 0 = s,
s
∆t = t - tiniziale = t - 0 = t, quindi: v = —
t
moltiplichiamo a destra
e sinistra dell’uguale
per t e semplifichiamo
s x
vxt=—
t t
s
v = 2 m/s
v = 1 m/s
s=vxt
Ma guarda un po’, se v
è costante (quindi possiamo scriverlo come un numero che non cambia mai), non
ti sembra che si ottenga l’equazione di una retta? Sull’asse
delle x abbiamo messo il tempo, su quella delle y, lo spa-
173
t
zio percorso. Più la nostra bicicletta si muove veloce, più la
retta è verticale.
Che succede quando la velocità non è più costante ma
varia, ad esempio aumenta sempre, come nel moto in caduta libera? Prendiamo l’equazione di Galileo:
s
t 2
—2 = —2
s1
t1
Disegnamo le coppie di
punti sul nostro grafico:
Abbiamo visto che un corpo in caduta libera, dopo un
secondo ha percorso 5 m, allora possiamo scrivere:
s2
t2 2
——
= —
;
s2 = (5m/s2) x t22
5m
1s
Questa figura non è una
retta. I matematici la chiamano “parabola”. Adesso
proviamo ad applicare la
nostra definizione di velocità ad un intervallo della
curva, ad esempio studiamo
cosa succede tra t3 e t4.
( )
( )
t2 rappresenta un certo tempo, quello che noi scegliamo e
al quale misuriamo la distanza s2 che l’oggetto ha percorso.
Per comodità togliamo il simbolo “2”, infatti t2 può essere un tempo qualsiasi, l’importante è che lo spazio (al
quale anche togliamo il simbolo “2”), corrisponda esattamente a quel tempo. Togliamo anche m/s2 (metri al
secondo quadrato) che serve ad indicare che stiamo misurando lo spazio in metri (e non ad esempio in chilometri)
e il tempo in secondi (non in minuti o ore).
s = 5 x t2
Usiamo come prima i grafici di Cartesio per disegnare lo
spazio in funzione del tempo che passa. Calcoliamo i punti:
t0 = 0
t1 = 1
t2 = 2
t3 = 3
t4 = 4
174
s0 = 5 x t02 = 5 x 02 = 5 x 0 = 0
s1 = 5 x t12 = 5 x 12 = 5 x 1 = 5
s2 = 5 x t22 = 5 x 22 = 5 x 4 = 20
s3 = 5 x t32 = 5 x 32 = 5 x 9 = 45
s4 = 5 x t42 = 5 x 42 = 5 x 16 = 80
t0 = 0
t1 = 1
t2 = 2
t3 = 3
t4 = 4
s0 = 0
s1 = 5
s2 = 20
s3 = 45
s4 = 80
∆t = t4 - t3 = 4 - 3 = 1
∆s = s4 - s3 = 80 - 45 = 35
spazio
(metri)
s4 80
s3 45
s2 20
s1
5
0
1
t1
2
t2
3
t3
4 tempo
t4 (secondi)
∆s = —
35 = 35
v=—
∆t 1
Possiamo dire che se in questo intervallo di tempo la
nostra velocità fosse stata costante, sarebbe stata uguale a
35 m/s. Infatti, come hai visto, se la velocità è costante e
disegnamo lo spazio percorso in funzione del tempo, otteniamo una retta e la velocità rappresenta proprio l’inclinazione della nostra retta. Dal disegno puoi vedere, però,
che lo spazio percorso dal nostro oggetto tra t3 e t4 non
può essere descritto dalla retta, ma da quel pezzetto di
parabola che coincide con la retta solo nei punti 3 e 4 ma
si discosta dove fa la “pancia” (guarda la figura a pag. 176).
175
Prendiamo allora un intervallo più piccolo, la metà di
quello di prima e facciamo nuovamente i conti:
s4
80
∆t = tb - ta = 3,75 - 3,25 = 0,5
∆s = sb - sa= 70,3 - 52,8 = 17,5
sb 70,3
∆s = ——
17,5 = 35
v=—
0,5
∆t
sd 64,8
Guarda un po’! Prendendo un intervallo più piccolo la velocità non cambia. La nostra retta, si vede nel disegno, è
parallela alla retta di prima e quindi ha la stessa inclinazione, ma è più “vicina” alla parabola, i suoi punti sono meno
lontani, la distanza della retta dalla “pancia” della parabola
è diminuita. Prendiamo un intervallo ancora più piccolo (e
ingrandiamo la figura intorno al punto che ci interessa):
s4
61,25
sc 57,8
sa 52,8
s3
80
45
3
t3
∆t = 3,6 - 3,4 = 0,2
ta
tc
td
3,75
4
tb
t4
∆s = 64,8 - 57,8 = 7
sb 70,3
∆s = —
7 = 35
v=—
∆t 0,2
Bene, questa volta ce lo aspettavamo. Diminuiamo l’intervallo e otteniamo sempre la stessa velocità.
Il vero risultato è che, diminuendo l’intervallo, la retta si
avvicina sempre più alla parabola, più l’intervallo diventa piccolo, più la nostra velocità in quell’intervallo piccolissimo, può essere considerata costante.
Ma quanto piccolo deve essere questo intervallo? Questa
volta non possiamo più dire “piccolo a piacere”, questa
sd 64,8
61,25
sc 57,8
sa 52,8
s3
3,25 3,4 3,5 3,6
45
3
3,25 3,4 3,5 3,6
t3
ta
tc
td
3,75
4
tb
t4
177
volta il nostro intervallo deve essere piccolo come un
punto della nostra parabola, perché in ogni punto della
parabola la nostra velocità varia, pochissimo, ma varia.
Ma un punto non ha dimensioni, un punto è “grande 0”,
non possiamo dividere ∆s per ∆t se diventano tutti e due
uguali a zero! E invece possiamo, ci assicurano Newton e
Leibniz, se, mentre diventano sempre più piccoli, il rapporto tra i due intervalli tende ad un numero finito.
Anche da un punto di vista geometrico la situazione è
abbastanza chiara: mentre i nostri intervalli diminuiscono, la nostra retta tende a diventare la tangente della parabola nel punto di mezzo dei nostri intervalli.
sempre, se pensiamo di poter aspettare un tempo lunghissimo, lunghissimo, lunghissimo, possiamo dire un
“tempo infinito”, anche la velocità del nostro oggetto sarà
diventata infinita! E questo è un problemino che la scienza affronterà diversi annetti dopo la morte di Newton.
Ma torniamo alla nuova matematica. Newton e Leibniz
non solo hanno capito che per fare i conti con le grandezze che cambiano continuamente bisogna saper calcolare le
tangenti alle curve, ma hanno anche sviluppato un metodo generale per poter calcolare le tangenti.
Calcoliamo le tangenti ad una parabola
Ti ricordi cos’è una tangente? È la retta che tocca la
curva in un solo punto. La
velocità, in ogni punto, è
proprio data dall’inclinazione della retta tangente in
quel punto.
Guarda il disegno della
parabola con alcune sue tangenti: le inclinazioni di
quelle rette rappresentano la
velocità che il nostro oggetto ha in ogni punto segnato, cioè nei punti “di tangenza”.
Dopo 1 secondo, la retta tangente ha un’inclinazione
uguale a 10. Il nostro oggetto avrà acquistato la velocità
di 10 m/s, dopo 2 secondi, la velocità sarà di 20 m/s e così
via. Così via, così via, per quanto tempo?
All’aumentare del tempo la velocità cresce sempre, cresce
178
Possiamo provare ad utilizzare questo metodo per
quanto riguarda il calcolo delle tangenti ad una parabola,
ma ti avverto, devi conoscere un po’ di matematica. Se
non capisci tutti i passaggi fidati dei miei calcoli, ma
cerca di capire il metodo che viene
y
utilizzato.
L’equazione più semplice di una
parabola è y = x2
x0=0
x1=0,5
x2=1
x3=1,5
x4=2
x5=2,5
y0=02=0
y1=0,52=0,25
y2=12=1
y3=1,52=2,25
y4=22=4
y5=2,52=6,25
Adesso che siamo convinti che y = x2
rappresenti effettivamente una parabola, lasciamo stare i numeri e usia-
x
179
mo le lettere. Questo serve perché dobbiamo trovare una
regola generale, che valga per ogni punto e per ogni intervallo, alle nostre lettere potremo sostituire, quando ci farà
comodo, un qualsiasi punto e intervallo della parabola.
Guarda la figura.
Abbiamo scelto un
punto x generico, il suo
punto y corrispondente,
e degli intervalli a e b,
intorno ai punti scelti.
a lo prendiamo come ci
T
∆y
pare, ma b deve corrispondere all’intervallo a
scelto.
Adesso sappiamo che
per calcolare l’inclinazione della tangente
∆x
alla nostra parabola
nel punto T dobbiamo prendere l’intervallo ∆y, dividerlo
per l’intervallo ∆x e trovare il risultato. Quindi prendere
intervalli sempre più piccoli e vedere se il nostro risultato rimane uguale.
Adesso noi sappiamo che vale sempre la relazione y = x2
per ogni punto della curva, altrimenti la nostra curva non
sarebbe quella disegnata in figura ma un’altra.
2 (x-a)2
∆y = —
(y+b)
- (y-b)
(x+a)
–—
———
—— = —
———-—
—— =
∆x
(x+a) - (x-a)
(x+a) - (x-a)
2+a2+2xa-(x 2+a2-2xa)
x—
=—
————————— =
(x+a) - (x-a)
2-a2+2xa
x2——
+a2+—
2x
a-x
4xa = 2x
=—
—
——
——— = —
2a
x+a-x+a
Quindi:
∆y = 2x
–—
∆x
L’inclinazione della tangente in un qualsiasi punto x,
vale 2x.
Nel punto x = 1, l’inclinazione è 2x = 2 x 1 = 2
Nel punto x = 2, l’inclinazione è 2x = 2 x 2 = 4
Nel punto x = 3, l’inclinazione è 2x = 2 x 3 = 6
Per essere sicuri, però, che abbiamo trovato proprio
l’inclinazione della tangente nel punto x, dobbiamo verificare che il risultato non cambi se diminuiamo il nostro
intervallo e scegliamo un a più piccolo. Questo perché
noi vogliamo essere sicuri che la relazione valga quando a
tende a zero.
Allora, quanto vale il punto y - b?
sarà
y - b = (x - a)2
quindi anche
y + b = (x + a)2
facciamo un po’ di calcoli:
180
Ma guarda che fortuna, non dobbiamo nemmeno
rifare i calcoli.
∆y = 2x ; a è scomparso dalla nostra equazione!
Infatti –—
∆x
Qualsiasi a scegliamo ∆y/∆x sarà sempre uguale a 2x.
181
Il moto uniformemente accelerato
Torniamo alla velocità. Eravamo partiti dall’equazione a pagina 174: s = 5 x t2
e volevamo conoscere la velocità in ogni punto.
A parte quel 5 che moltiplica t2, la forma dell’equazione
è proprio quella di una parabola, il “5”, la renderà solo un
po’ più stretta.
Bene, sappiamo che se:
∆y = 2x
y = x2
allora –—
∆x
quindi se:
s = 5 x t2
∆s = 5 x (2 t)
allora —
∆t
∆s è proprio la nostra definizione di velocità;
ma —
∆t
allora:
∆s = 5 x (2 t) = 10 x t
v=—
∆t
Utilizzando questa formula possiamo calcolare la velocità
del nostro oggetto in qualsiasi istante.
Notiamo un’altra cosa.
La velocità, in un moto uniformemente accelerato risulta
proporzionale al tempo. Aveva ragione Galileo! Non
aveva ancora le conoscenze matematiche per dimostrarlo,
però era riuscito a capirlo: se lo spazio percorso è proporzionale al tempo al quadrato (di questo Galileo era sicuro
perché risultava dai suoi esperimenti sul piano inclinato),
allora la velocità è proporzionale al tempo.
Ma l’appetito vien mangiando e così, avendo trovato questa bella relazione per la velocità, ci viene voglia di dise-
182
gnarla e capiamo subito che si tratta di una retta.
La sua inclinazione, quindi, è costante ed uguale al numero che moltiplica il tempo (10).
Ma la variazione di velocità rispetto al tempo non l’avevamo chiamata “accelerazione”?
Ecco le equazioni per un moto in caduta libera:
∆v = 10 m/s2
(costante)
a=—
∆t
v=axt
(= 10 x t; proporzionale al tempo)
1 a x t2
s=—
2
(= 5 x t2; proporzionale al tempo
al quadrato)
Ma l’accelerazione di gravità non era 9,8 m/s2?
Sì, questo è il valore giusto ma, per fare i conti più velocemente, l’ho approssimata a 10 m/s2, non cambia molto
nella sostanza ma semplifica moltissimo i calcoli.
Nelle figure puoi vedere
come varia l’accelerazione,
la velocità e lo spazio percorso, in funzione del
tempo, per un corpo in
caduta libera in prossimità
della superficie terrestre.
183
INDICE DEI CAPITOLI
E DEI PERSONAGGI
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Iniziamo dall’inizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Gli arabi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Fibonacci (1175-1240) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Gli studiosi del Merton College . . . . . . . . . . . . . 16
Nicola Oresme (1323-1382) . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Giovanni Buridano (1300-1358) . . . . . . . . . . . . . 24
Altro che computer! . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Leonardo da Vinci (1452-1519) . . . . . . . . . . . . . 30
L’universo sotto-sopra . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Nicolò Copernico (1473-1543) . . . . . . . . . . . . . . 37
Retico (1514-1576) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
NOn c’è due senza tre . . . . . . . . . . . . . . . . 58
Tycho Brahe (1546-1601) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
Le nuove orbite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
Giovanni Keplero (1571-1630) . . . . . . . . . . . . . . 65
William Gilbert (1540-1603) . . . . . . . . . . . . . . . 74
I cieli nuovi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
Galileo Galilei (1564-1642) . . . . . . . . . . . . . . . . 76
186
La macchina dell’universo . . . . . . . . . . . . 109
Cartesio (1596-1650) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
Christian Huygens (1629-1695) . . . . . . . . . . . . 123
Evangelista Torricelli (1608-1647) . . . . . . . . . . 128
Pierre Gassendi (1592-1655) . . . . . . . . . . . . . . 130
Blaise Pascal (1623-1662) . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
Otto van Gueicke (1602-1686) . . . . . . . . . . . . . 131
Robert Boyle (1627-1691) . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Dalla mela alla Luna . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Isaac Newton (1643-1727) . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Edmond Halley (1656-1742) . . . . . . . . . . . . . . 144
Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) . . . . . 160
Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
Cos’è un’ellisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
Le tre leggi di Keplero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
Esempi di moti uniformemente accelerati . . . . . 165
Diesegnamo altre rette sul piano cartesiano . . . 166
Troviamo la retta che passa per due punti . . . . . 167
1
Perché F = —
r2 ? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
La velocità di caduta della moneta . . . . . . . . . . 169
La nuova matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170
Calcoliamo le tangenti ad una parabola . . . . . . . 179
Il moto uniformemente accelerato . . . . . . . . . . . 182
187
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Ettore Perozzi
Il cielo sotto la terra
In viaggio nel sistema solare
Anna Parisi
Numeri magici e stelle vaganti
I primi passi della scienza
Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hanno
cercato di capire come funziona la natura, il volume
ripercorre i primi passi del lungo cammino della
scienza, tra bellissime risposte, problemi irrisolvibili,
misteri insondabili.
Anna Parisi
Ali, mele e cannocchiali
La rivoluzione scientifica
Pianeti, decine di nuovi satelliti, stelle, asteroidi.
Un “universo” tutto da scoprire. Questo libro racconta ai ragazzi con semplicità e assoluto rigore
scientifico che cosa succede quando si parla di
Scienze Planetarie.
Anna Parisi - Lara Albanese
Dipende
Einstein e la teoria della relatività
Protagonista di questo volume è il grande fisico
Albert Einstein, che “aiutato” da altri importanti
scienziati, tra aneddoti, vignette e dimostrazioni
spiega ai ragazzi la teoria della relatività.
Ali, mele e cannocchiali racconta lo sviluppo della
prima rivoluzione scientifica. Da Copernico a
Newton i giovani lettori potranno scoprire con facilità il “nuovo” e affascinante disegno dell’universo, che
passerà alla storia con il nome di “fisica classica”.
188
Anna Parisi - Alessandro Tonello
Il filo conduttore
L’anticamera dell’atomo
Vincenzo Guarnieri
Maghi e reazioni misteriose
L’alchimia e la chimica a spasso nel tempo
Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoperte che portò a comprendere e utilizzare le grandi
potenzialità dell’elettricità e del magnetismo, alla definizione della termodinamica fino all’ipotesi atomica!
Questo volume è dedicato alla storia della chimica.
Un libro per ragazzi che viaggia attraverso i secoli,
dai primi “strambi” stregoni fino ai più grandi chimici del Novecento. Una divertente avventura
pronta a svelare tutti gli enigmi della natura.
189
Clara Frontali
Geni
Dalle prime domande sull’ereditarietà
all’ingegneria genetica
Geni è il viaggio tra le scoperte che hanno portato
l’uomo a capire come si trasmettono le informazioni
genetiche tra i genitori e i figli, fino alle tecniche di
ingegneria genetica oggi utilizzate dagli scienziati.
L’avventura di Ah, saperlo! continua…
Mario Corte
Goal!
Le origini del calcio, il calcio cinese e il calcio azteco,
il football medievale inglese e il calcio fiorentino, la
storia della Coppa dei Campioni, il Pallone d’oro e
l’Italia che ci fece sognare nell’82… insomma tutto,
ma proprio tutto sul mondo del calcio.
190