I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA
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I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA
5 I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA 1 La litispendenza In alcuni casi la competenza del giudice può essere influenzata da determinate situazioni, in presenza delle quali si assiste a un’attribuzione della competenza secondo criteri diversi da quelli fin qui esaminati. La litispendenza è la situazione che si determina quando la stessa causa è proposta (pende) davanti a giudici diversi. In tal caso si pone il problema di stabilire quale dei due giudici debba deciderla, ossia quale dei due giudici sia competente. In proposito, l’art. 39, 1° comma, c.p.c., indica, come criterio risolutore, il principio della prevenzione, in base al quale è competente il giudice adito per primo; il giudice adito successivamente, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. L’omissione dell’ordinanza di cancellazione della causa successivamente proposta rende nulla la sentenza eventualmente pronunciata (Mandrioli). Contro il provvedimento che dispone (o nega) la litispendenza è ammesso il regolamento di competenza. Nozione Criterio della prevenzione La prevenzione è determinata dalla notificazione dell’atto di citazione. Invece, nei giudizi introdotti con ricorso la causa pende dal momento della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza (Franchi), regola espressamente enunciata dall’art. 643, 3° comma, c.p.c., con riguardo al procedimento ingiuntivo. Peraltro, nel processo del lavoro e nel giudizio di separazione personale dei coniugi la domanda si intende proposta con il deposito del ricorso. 2 La continenza 5 69 pitolo Ca Mentre, come visto al paragrafo precedente, il 1° comma dell’art. 39 c.p.c. disciplina gli effetti della litispendenza sulla competenza applicando il criterio della prevenzione, il 2° comma del medesimo articolo disciplina gli NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI Presupposti Conseguenze effetti sulla competenza di quel particolare aspetto della litispendenza che è la continenza di cause. In generale, ricorre la continenza quando una causa contiene in sé un’altra causa per la maggior ampiezza del petitum (cioè, del provvedimento richiesto al giudice), ferma la coincidenza di tutti gli altri elementi (Liebman, Franchi). Più precisamente, si parla di continenza quando due cause: - pendono contemporaneamente davanti a giudici diversi nel medesimo grado (il principio della continenza non si applica fra cause pendenti in gradi diversi: Cass. n. 5007/1998); - hanno identici soggetti e causa petendi (la pretesa fatta valere); - differiscono solo quantitativamente nel petitum, nel senso che la richiesta formulata in una delle due cause ricomprende quella formulata nell’altra. Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con sentenza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate. Affinché la continenza operi quale di spostamento della causa da un giudice all’altro, dunque, occorre che almeno uno dei due giudici sia competente a conoscere entrambe le liti (se sono competenti entrambi, si concede preferenza a quello preventivamente adito). La continenza, infatti, non modifica gli ordinari criteri di competenza, ma è un criterio ulteriore di identificazione del giudice davanti al quale è opportuno che sia concentrata la trattazione e la decisione dell’intera controversia, per ragioni di economia processuale e di prevenzione di contrasto tra giudicati. Tale meccanismo comporta che il giudice che si spoglia della causa (il giudice successivamente adito o il giudice preventivamente adito, ove non sia competente anche per la causa proposta successivamente), per stabilire se e davanti a quale foro debba avvenire l’assorbimento della causa minore in quella maggiore, deve verificare l’ambito della propria e dell’altrui competenza, non essendo sufficiente il solo riscontro della prevenzione, come avviene invece in caso di litispendenza. Pa rte I 70 La continenza è rilevabile d’ufficio e può essere eccepita dalle parti in ogni stato e grado del processo. La sentenza con la quale viene dichiarata la continenza (o la litispendenza) è una pronuncia sulla competenza anche agli effetti della sua impugnabilità col regolamento di competenza (art. 42 c.p.c.). I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA 3 La connessione Nozione e presupposti Cause connesse proposte davanti a giudici diversi Ca 5 71 pitolo La connessione ricorre quando due azioni o cause hanno in comune i soggetti (cd. connessione soggettiva) oppure il petitum o la causa petendi (cd. connessione oggettiva). In presenza di una ipotesi di connessione, le diverse azioni possono essere proposte congiuntamente in un solo processo (in particolare, gli artt. 31-36 c.p.c., dei quali ci occuperemo infra, attribuiscono alla parte attrice la facoltà di cumulare le domande connesse nello stesso processo) oppure essere riunite successivamente. A tale ultimo proposito, l’art. 40 c.p.c. stabilisce che se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per i motivi di connessione indicati dagli artt. 31 e ss., possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con sentenza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito. La connessione, però, non può essere eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio dal giudice dopo la prima udienza di comparizione-trattazione (art. 183 c.p.c.) e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse. Sono fatte salve, dunque, le ipotesi in cui la trattazione congiunta non sia funzionale a una più rapida ed esauriente definizione di queste ultime. Se devono essere riunite più cause assoggettate a riti diversi, tutte le cause vengono trattate col rito ordinario, a meno che una di essere risulti regolata dal rito del lavoro, nel qual caso saranno tutte trattate con questo rito. Se poi si verifica concorso tra più riti speciali, le cause connesse devono essere trattate e decise con il rito previsto per la causa in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore. In caso di connessione tra cause di competenza del tribunale in composizione monocratica e cause di competenza del collegio, il giudice istruttore dispone la riunione e rimette le cause al collegio che pronuncia su tutte le domande (art. 281novies c.p.c.). Infine, i commi 6 e 7 dell’art. 40 c.p.c. disciplinano le ipotesi di connessione con cause di competenza del giudice di pace, disponendo l’automatica rimessione della causa trattata da quest’ultimo dinanzi al tribunale. NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI L’art. 40 c.p.c., come detto, disciplina l’ipotesi in cui le cause connesse pendano dinanzi a giudici diversi. Qualora esse siano incardinate dinanzi allo stesso giudice, si applica l’art. 274 c.p.c. in base al quale “se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione”. Vediamo, ora, le ipotesi di connessione previste dagli artt. 31-36 c.p.c. a) Connessione per accessorietà Art. 31 c.p.c. L’accessorietà è il rapporto tra due cause connesse, nel senso che la decisione su una di esse (quella accessoria) dipende dalla decisione sull’altra (quella principale), con la conseguenza che se viene respinta la domanda principale cade anche quella accessoria. Un esempio di accessorietà riguarda la domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro e la domanda di pagamento degli interessi: l’accoglimento di quest’ultima domanda dipende da quello della domanda di condanna del debitore al pagamento della somma dovuta. Affinché si abbia accessorietà, tra causa principale e causa accessoria deve sussistere identità di soggetti. In presenza di cause accessorie, l’art. 31 c.p.c. afferma che la domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale, con conseguente spostamento della competenza territoriale della causa accessoria; tuttavia, se per effetto della somma si eccede il valore della causa principale, diventa competente il giudice superiore per entrambe le cause (art. 10 c.p.c.). b) Connessione per garanzia Art. 32 c.p.c. Pa rte I 72 La domanda di garanzia è la domanda (accessoria) con la quale una parte chiede di essere garantita (in sostanza, esonerata dal pagamento) da un terzo qualora, all’esito del processo e in accoglimento della domanda dell’attore o del ricorrente (domanda principale), fosse condannata a pagare una determinata somma o ad effettuare una determinata prestazione. L’opportunità che la causa introdotta dalla cd. chiamata in garanzia sia trattata insieme con la causa principale risiede nell’evidente interesse del garantito ad ottenere una pronuncia contro il garante, contemporaneamente all’eventuale (poiché altrimenti la garanzia non opererebbe) pronuncia contro di lui (Mandrioli). Prima del D.lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado, I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA l’art. 32 c.p.c. stabiliva che la connessione per garanzia produceva uno spostamento della competenza sia territoriale sia per valore, in quanto la domanda di garanzia poteva essere proposta al giudice competente per la causa principale anche se eccedeva la sua competenza per valore. Attualmente, invece, la norma citata prevede che la domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinché sia decisa nello stesso processo; se, però, essa eccede la competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo rimette entrambe le cause (principale e di garanzia) al giudice superiore assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione del processo. In mancanza della riassunzione entro il termine stabilito, il processo si estingue (art. 306 c.p.c.). Dottrina (Andrioli) e giurisprudenza (Cass. n. 11711/2002; Cass. n. 6678/1988) sono ferme nel ritenere che la norma in esame si applichi soltanto alla garanzia propria, che ricorre quando un terzo (garante) è tenuto a rispondere delle obbligazioni di una parte (garantito) verso l’altra, in virtù di un rapporto sostanziale nascente da contratto (ad esempio, fideiussione) o dalla legge (ad esempio, garanzia per evizione ex art. 1476, n. 3, c.c.). La garanzia propria può essere ulteriormente suddivisa in garanzia propria reale (o formale) e semplice (o personale), a seconda che il garante sia convenuto in giudizio, rispettivamente, come detentore di un bene o come soggetto personalmente obbligato verso l’attore. La norma, invece, non opera in caso di garanzia impropria, nella quale il convenuto tende a riversare le conseguenze del proprio inadempimento, o comunque le conseguenze della lite nella quale si trova impegnato, sopra un terzo, in base ad un titolo diverso da quello dedotto mediante la domanda principale. In sostanza, nella garanzia impropria siamo in presenza di una pluralità di rapporti autonomi ma economicamente interdipendenti (Satta-Punzi): si pensi, ad esempio, al vettore convenuto per la distruzione delle cose trasportate che attribuisce la responsabilità al proprietario di altra merce trasportata. c) Connessione per l’oggetto o per il titolo Art. 33 c.p.c. Ca 5 73 pitolo Tale ipotesi sussiste quando cause proposte contro più soggetti sono connesse per l’oggetto (lo stesso bene viene richiesto nei confronti di più persone: ad esempio, la consegna di un bene mobile) o per il titolo (il fatto costitutivo delle diverse domande contro le diverse persone è unico: ad esempio, l’obbligazione solidale ex art. 1314 c.c.). In tal caso, ai sensi dell’art. 33 c.p.c., le cause contro più persone che, a norma degli artt. 18 e 19 c.p.c., dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo. NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI d) Connessione per pregiudizialità Art. 34 c.p.c. La pregiudizialità è quel rapporto tra questioni, una delle quali (questione pregiudiziale) rappresenta un passaggio obbligato nell’iter logico-giuridico che conduce alla decisione della questione principale del processo, ossia della domanda principale. Quando si parla di questione pregiudiziale, quindi, si fa riferimento a una questione processuale la cui soluzione costituisce una tappa necessaria per decidere la lite. Vi rientrano, da un lato, le questioni di rito, cioè le questioni di giurisdizione e di competenza, quelle attinenti alla capacità e legittimazione processuale (art. 75 c.p.c.) e quelle relative alla validità e alla regolarità della domanda (art. 164 c.p.c.); dall’altro, le questioni di merito, introdotte da contestazioni (art. 112 c.p.c.) il cui accoglimento rende inutile la prosecuzione del processo (art. 187 c.p.c.). Ai sensi dell’art. 34 c.p.c., quando, per legge o per esplicita domanda di una delle parti, è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, il giudice rimette entrambe le cause a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui. Se, invece, il giudice della prima causa è competente anche per la seconda, le trattiene entrambe. e) Connessione per compensazione Art. 35 c.p.c. La compensazione è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, e si verifica (art. 1241 c.c.) quando i debiti di due soggetti, obbligati l’uno verso l’altro, si estinguono per la quantità corrispondente. È bene ricordare che, secondo il codice civile, affinché sia applicabile la compensazione, i crediti devono essere omogenei, liquidi ed esigibili, anche se l’art. 1243, 2° comma, c.c., ammette la compensazione tra un credito liquido e un credito di facile e pronta liquidazione (compensazione giudiziale). Pa rte I 74 La compensazione deve essere opposta dalla parte, poiché il giudice non può rilevarla d’ufficio. Nel rito del lavoro la compensazione va proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva di primo grado, a norma dell’art. 416, 2° comma, c.p.c. (Cass. n. 3908/1983). Ciò precisato, le ipotesi prospettabili sono le seguenti: - se il convenuto oppone in compensazione un credito che è contestato ed I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA eccedente la competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo, se la domanda è fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando eventualmente l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione; - se, invece, il credito opposto in compensazione è contestato e non eccede la competenza per valore del giudice adìto, questi può conoscere del credito e dichiarare, in tutto o in parte, la compensazione; - se, infine, il credito opposto in compensazione è riconosciuto in giudizio, si procede alla compensazione fino alla concorrenza con il credito oggetto della domanda. f) Connessione per riconvenzione Ricorre l’ipotesi della domanda riconvenzionale quando il convenuto, traendo occasione dalla domanda proposta dall’attore, propone una controdomanda con la quale non si limita a chiedere il rigetto della domanda dallo stesso attore proposta ma chiede un provvedimento positivo sfavorevole all’attore che va oltre il rigetto della domanda principale, ovvero un accertamento della sua pretesa con effetti di giudicato. Resta, invece, nell’ambito dell’eccezione riconvenzionale l’istanza del convenuto diretta a far valere un suo diritto al solo scopo di escludere l’efficacia giuridica dei fatti o titoli dedotti dall’attore, ossia al fine di ottenere il rigetto della domanda. Pertanto, l’elemento che distingue l’eccezione riconvenzionale dalla domanda riconvenzionale non risiede nella natura del diritto fatto valere dal convenuto ma nel fine che egli si propone, cioè nel contenuto della sua istanza processuale: - se il convenuto chiede il rigetto della domanda avversaria, si è in presenza di un’eccezione; - se tende a un risultato concreto diverso e ulteriore, consistente nella richiesta, con effetto di giudicato, di un provvedimento giudiziale a sé favorevole e sfavorevole alla controparte, si configura una domanda riconvenzionale. Ca 5 75 pitolo Ad esempio, la compensazione (vedi lett. precedente), comportando un ampliamento della controversia, può assumere il carattere di un’eccezione riconvenzionale, se la deduzione del controcredito ha lo scopo di paralizzare la pretesa avversaria, oppure di una domanda riconvenzionale, se tende a un fine più ampio di quello della semplice difesa, mirando ad ottenere una pronuncia di condanna nei confronti dell’altra parte. Art. 36 c.p.c. NOZIONI INTRODUTTIVE E DISPOSIZIONI GENERALI Ai sensi dell’art. 36 c.p.c., la domanda riconvenzionale è ammissibile qualora dipenda “dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”. Tale relazione di dipendenza, che comporta la trattazione simultanea delle cause deve essere intesa come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti. Pertanto, la domanda riconvenzionale (a meno che non comporti uno spostamento di competenza) è ammissibile, nell’ambito dello stesso processo, anche nel caso in cui dipenda da un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda dell’attore, purché sussista l’unicità della situazione giuridica. L’art. 36 c.p.c., inoltre, dispone che il giudice della causa principale è competente a conoscere la causa riconvenzionale purché non ecceda la sua competenza per valore o per materia, per cui la domanda riconvenzionale subisce uno spostamento di competenza territoriale. Se, invece, la domanda riconvenzionale supera la competenza del giudice della causa principale, quest’ultimo può scegliere tra la separazione delle cause (con rimessione al giudice superiore della sola riconvenzionale) e la remissione di entrambe al giudice superiore, secondo un apprezzamento discrezionale. Mentre nel processo civile ordinario per proporre una domanda riconvenzionale è sufficiente inserirla nella comparsa di risposta e costituirsi nei termini, nel processo del lavoro, ai sensi degli artt. 416 e ss. c.p.c.: - la domanda riconvenzionale dev’essere proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva del convenuto e dev’essere accompagnata dalla richiesta di una nuova data per l’udienza di discussione. L’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c., di chiedere la fissazione di una nuova udienza, comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l’inammissibilità di questa; - la comparsa di risposta contenente la domanda riconvenzionale dev’essere, oltre che depositata in cancelleria, notificata all’attore costituito, a cura della cancelleria, entro dieci giorni dall’emissione del nuovo provvedimento. In caso di inosservanza del termine, il giudice dispone la rinnovazione della notifica della memoria e del decreto di fissazione della nuova udienza Pa rte I 76 I MUTAMENTI DELLA COMPETENZA sai rispondere? 1. Cosa si intende per litispendenza? 2. Quali sono le conseguenze della continenza di cause? 3. Quando sussiste connessione di cause? 4. Cosa prevede l’art. 40 c.p.c. per l’ipotesi in cui siano proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per motivi di connessione, possono essere decise in un solo processo? 5. Cosa prevede l’art. 40 c.p.c. per l’ipotesi in cui debbano essere riunite per connessione più cause assoggettate a riti diversi? 6. In quali casi sussiste una connessione per accessorietà? 7. In che modo il D.lgs. n. 51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado, è intervenuto sull’art. 32 c.p.c. in materia di connessione per garanzia? 77 pitolo Ca 5