Prodi sul Colle? C`è chi lo spera Lo “zio” di Ruby
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Prodi sul Colle? C`è chi lo spera Lo “zio” di Ruby
Anno IV - Numero 8 Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli Reporter 26 Novembre 2010 nuovo Quirinale Prodi sul Colle? C’è chi lo spera Mubarak Lo “zio” di Ruby non mollerà Via Gradoli Un mondo così diverso Festività Il regalo? Impacchettare LA GUERRA DELLE GRIFFE IL SETTORE DELLA MODA NON PIÙ APPANNAGGIO ESCLUSIVO DELLE GRANDI CASE Politica Per il dopo Napolitano, sono insistenti le voci legate al ritorno sulla scena del Professore Prodi sul Colle? C’è chi lo spera Ma tra gli osservatori politici i pareri divergono, e lui smentisce Vito Miraglia Dopo la partecipazione di Romano Prodi al seminario del Pd, organizzato a Sarteano per i suoi parlamentari, Repubblica ha lanciato il suo nome per la successione a Giorgio Napolitano. È stato sufficiente il suo ritorno sulla scena politica italiana perché l’ex premier fosse accostato al Quirinale. Al meeting ha parlato di crisi e globalizzazione, un tema economico di alto respiro come quelli affrontati negli editoriali del Messaggero. Sulle colonne del quotidiano romano, Prodi parla già da tempo con i toni alti di un presidente della Repubblica: difende l’unità d’Italia e la Costituzione, e sembra muoversi al di sopra delle parti. Del resto, il suo curriculum lo renderebbe un candidato ideale per il dopo Napolitano: ministro dell’Industria, presidente dell’Iri, due volte presidente del Consiglio e presidente della Commissione europea. Dopo l’ultima esperienza a Palazzo Chigi, Prodi è stato nominato alla guida del gruppo di esperti dell’Onu e dell’Unione africana che si occupa di peacekeeping in Africa. Da quel momento si è ritirato a vita privata («vado a fare il nonno», aveva dichiarato), non intervenendo più nelle questioni spicciole della politica italiana, pur non risparmiando delle sferzate al Pd. Ma l’intervento a Sarteano, in un evento targato Pd, l’ha riportato alla ribalta. Al- L’EVOLUZIONE I PAPABILI In lizza gli stessi del 2006 Il Quirinale tra polemiche e consenso Giuliano Amato. Del “dottor Sottile” al Quirinale si era parlato già nel 2006, quando il suo nome fu incluso nella rosa proposta dall’allora Casa delle libertà, insieme a Mario Monti, Franco Marini e Lamberto Dini. Anche lui, come Prodi, si è defilato dalla vita politica italiana, assumendo la presidenza dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani. Gianni Letta. Anche l’endorsement a Letta da parte di Berlusconi per il Colle risale al 2006. Con Napolitano appena eletto, il Cavaliere dichiarò: «Letta avrebbe garantito tutti». Oggi resta il candidato numero uno del centrodestra. Franco Marini. Il suo nome circola da tempo e una candidatura potrebbe non risultare sgradita al centrodestra. Nel 2006 – quando fu eletto presidente del Senato dopo un testa a testa con Andreotti – l’allora opposizione contestò principalmente il metodo che portò l’ex segretario della Cisl a Palazzo Madama. Anna Finocchiaro. «Un uomo col mio curriculum l’avrebbero già fatto presidente della Repubblica», sentenziò, peccando di immodestia, nel 2006. Il suo nome spunta più per rappresentare le donne impegnate in politica che per il suo pur brillante curriculum. L’unica donna che si è davvero battuta per il Quirinale è stata Emma Bonino, protagonista nel 1999 della campagna “Emma for president”. l’inizio di novembre, il suo partito aveva accarezzato l’idea di vederlo in corsa per la carica di sindaco di Bologna. E anche questo rifiuto è stato interpretato come un segnale per un’eventuale candidatura al Quirinale. «Che Prodi faccia parte delle personalità che possono salire al Colle è fuori dubbio. Il suo rifiuto di entrare nelle polemiche o di candidarsi a sindaco di Bologna sono indicativi: si sta guardando intorno e si considera quasi come una réserve de la République», sostiene Paolo Franchi, notista politico del Corriere della Sera. Da Prodi è arrivata una smentita che è parsa scontata ai commentatori e che nulla toglie all’arco delle possibilità. Tutto dipenderà dalla composizione del parlamento nel 2013, alla scadenza del mandato di Napolitano. Servirebbe una mag- CAMBIO DI GUARDIA? Il Presidente Giorgio Napolitano e Romano Prodi (“Resta un riferimento”, dice Bersani) gioranza schiacciante di centrosinistra, uno scenario che oggi appare poco probabile. Anche se una candidatura di Prodi – o di Berlusconi – potrebbe essere vista come una candidatura di parte: «Nessuno dei due è un candidato super partes. Si dovrebbe evitare di introdurre una logica bipolare selvaggia anche alla presidenza della Repubblica», precisa Franchi. Anche Stefano Menichini, il direttore di Europa, pensa che una nomination di Prodi potrebbe risultare sgradita all’opinione pubblica. «Prodi è vissuto da metà degli italiani come un uomo di parte, pur non essendo mai stato divisivo come Berlusconi», dice Menichini. E lancia un’altra ipotesi: «In caso di vittoria del centrosinistra non sarebbe male eleggere un esponente di centrodestra, con un forte senso dello Stato e dell’unità nazionale: sarebbe un’ottima soluzione». Il ruolo dei servizi segreti nel Piano Solo. Un libro ricostruisce il tentato golpe del 1964 D’Alema: «Oggi dossier a scopo di ricatto» Andrea Pala Servizi segreti, dossieraggio, intercettazioni. Un tema di stretta attualità. Se ne è parlato mercoledì 24 novembre nella sede romana dell’Associazione della Stampa estera. Nella sala di via dell’Umiltà è stato infatti presentato “Il Piano Solo”, di Mimmo Franzinelli, edito dalla Mondadori. «Oggi – ha detto durante l’incontro Massimo D’Alema, presidente del Copasir – c’è ancora chi usa i dossier a scopo di ricatto. Basti pensare alla vicenda che vede coinvolti Giu- 2 26 Novembre 2010 liano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Pirelli e Telecom, Emanuele Cipriani, investigatore privato, e Marco Mancini, ex responsabile del controspionaggio. Il governo Berlusconi ha deciso di porre sulla vicenda il segreto di stato. E la stessa cosa ha fatto sul caso di Pio Pompa». Alla presentazione del volume che ricostruisce quanto accaduto nel 1964 era presente anche Agnese Moro, figlia di Aldo. «Nel libro – ha detto – trovo pezzi della sua vita che lui non mi ha potuto raccontare. Allora il cen- trosinistra era visto da più parti come una sorta di bomba atomica». Suo padre, infatti, era alla guida della prima coalizione con i socialisti della storia repubblicana. E quest’apertura non era ben vista dalle frange più conservatrici della Dc. Fu L’Espresso a rivelare nel 1967 il progetto di colpo di Stato che si sarebbe dovuto mettere in atto nell’estate di tre anni prima. Il piano prevedeva anche la cattura di 731 persone, fra cui alcuni parlamentari, che sarebbero dovuti essere trasferiti nella base di Capo Marrargiu in Sardegna. Miguel Gotor, ricercatore di storia moderna all’università di Torino, ha invece illustrato il contenuto del volume. «L’autore – ha detto – ha ricostruito tutta la vicenda utilizzando documenti finora inediti. Sono stati infatti usati gli archivi privati del generale De Lorenzo, del generale Giorgio Manes, all’epoca vicecomandante dei Carabinieri, e di Cesare Merzagora, allora presidente del Senato». Dalla lettura del libro emerge chiaramente la conferma che la mente del piano è l’allora Capo dello Stato Antonio Segni. «Dalle carte che ho esaminato – ha detto Mimmo Franzinelli – è emerso che il Presidente della Repubblica ha sviluppato il progetto già nel 1962, in funzione anti Pci. Molti erano a conoscenza del Piano Solo. Almeno dieci personalità della Dc, fra cui Paolo Emilio Taviani, l’artefice di Gladio, conoscevano il progetto. Anche il leader socialista Pietro Nenni viene a sapere da Aldo Moro che si stava organizzando un golpe nell’estate del 1964». Non c’è sondaggio sul gradimento per i leader politici che non collochi Giorgio Napolitano ai vertici della classifica. Con l’attuale presidente si è rinnovata la luna di miele tra gli italiani e l’amatissimo Carlo Azeglio Ciampi. In uno scenario politico lacerato dalle divisioni esasperate dei partiti, la presidenza della Repubblica resta l’istituzione in cui l’elettorato ritrova il valore dell’unità. Ma nell’Italia dei berlusconiani e degli antiberlusconiani, pure il Quirinale rischia di essere trascinato nella rissa. Anche perché in più occasioni gli interventi del presidente sono stati letti come atti politici. Il ruolo del Capo dello Stato è cambiato da Cossiga in poi, con le celebri picconate degli ultimi anni del suo mandato. Con la discesa in campo di Berlusconi, gli scontri più aspri con il Quirinale si sono avuti con esponenti del Pdl. Tuttavia non sono mancati gli attacchi di Lega Nord e Italia dei Valori, a seconda del significato attribuito agli atti e alle parole del presidente. Scalfaro, l’artefice del ribaltone del 1994, è oramai un nemico giurato del centrodestra, mentre con Ciampi e Napolitano più volte è calato il gelo istituzionale, basti ricordare il rinvio alle Camere della legge Gasparri nel 2003. L’ultima grave frizione tra il presidente e il governo c’è stata quando Napolitano decise di non firmare il decreto legge sull’idratazione, negli ultimi giorni convulsi del caso Englaro, nel 2009. V. M. Reporter nuovo Mondo Il leader egiziano Mubarak affronta le legislative, 30 anni al potere e sembra non sentirli Ma lo “zio” di Ruby non mollerà Intervista a Eric Salerno: «Non cadrà, ha l’esercito dalla sua parte» Jacopo Matano Eric Salerno, il 28 novembre si vota per le legislative e a inizio 2011 per le presidenziali. Si sta lentamente concludendo l’epoca del grande leader? «Mubarak negli ultimi mesi è stato molto cauto sul proprio destino, anche perché non sta bene di salute. Proprio nel momento in cui tutti si aspettavano un suo ritiro, però, è arrivata la sorpresa: un esponente del suo partito ha detto nei giorni scorsi che il presidente intenderebbe ricandidarsi. E se si presenta lui, non ci sono altre forze in grado di competere». Perché? Qual è il suo punto di forza? «Gode della fiducia dei militari e delle forze armate. Che controllando il territorio detengono il potere, e alimentando la corruzione si arricchiscono». Nei mesi scorsi si è fatto il nome del figlio, Gamal, poi smentito. E’ pensabile una successione “dinasti- È un monumento al tempo che passa, Hosni Mubarak. Divenuto presidente in Egitto quando in Italia governava Forlani, si parlava di P2 e si discuteva di aborto, oggi che in Italia governa Berlusconi, si parla di P3 e si discute di una minorenne marocchina indicata come sua nipote, il Maresciallo è ancora lì. Non lo scalfiscono le proteste delle associazioni per i diritti umani, che lo accusano per i metodi reazionari. Non lo impressionano le lusinghe delle cancellerie occidentali, che lo apprezzano per gli sforzi di pace in Medio Oriente. C’è chi aspetta il voto delle legislative del 28 novembre per insidiare il suo potere, come il movimento laico di El Baradei, e la Fratellanza Musulmana, partito fuorilegge che da sempre si presenta in ordine sparso cercando di conquistare seggi in Parlamento. E poi c’è chi – anche in famiglia - pensa di poterne ereditare la leadership, aspettando le presidenziali del 2011. Ma chi l’ha detto che il presidente, a 83 anni, sia disposto a farsi da parte? Reporter Nuovo ne ha parlato con Eric Salerno, corrispondente dal Medio Oriente per il Messaggero. ca”? «Il figlio ha espresso, la settimana scorsa, l’intenzione di non candidarsi. D’altra parte ci sono molte forze politiche, anche laiche, che si oppongono all’idea della successione di sangue, a cominciare dall’ex capo dell’agenzia nucleare Mohammed El Baradei, che in Egitto rappresenta l’establishment laico dell’opposizione. Ma se Gamal riuscisse a convincere i militari che esiste una continuità con il padre, allora avrebbe ben più di una possibilità». E El Baradei? I Fratelli musulmani? Non c’è spazio per gli altri “attori”? «Il primo non ha i numeri, ma potrebbe farcela alleandosi con i secondi. Loro, nel frattempo, denunciano brogli e incidenti, come hanno sempre fatto in passato. E, sempre come in passato, pre- EVERGREEN 82 anni, Mubarak, ha vinto 4 volte le elezioni sentandosi alle legislative arriveranno a guadagnare almeno lo stesso numero di seggi in Parlamento. Appare chiaro, comunque, che né Mubarak né i Fratelli Musulmani hanno intenzione, in questo momento, di cambiare lo scenario». Non sono pronti alla rivoluzione islamica? «Non hanno interesse a rovesciare il regime con la forza, perché non controllano l’esercito e non sarebbero, quindi, in grado di creare un governo stabile. Per Mubarak, invece, la loro presenza è vantaggiosa perché riesce in questo modo a costruire l’immagine di uno Stato democratico con un opposizione in Parlamento da vendere in occidente». Ecco, l’occidente. Come si schiera in questa partita? «Agli Stati Uniti, a Israele e ai partner commerciali interessa la garanzia che il paese non precipiti nel caos. Non dimentichiamo che l’Egitto è lo Stato più influente nel medio oriente, il primo ad aver fatto la pace con Gerusalemme. Poco importa, dunque, se mantenere la stabilità significa mantenere un regime, quello di Mubarak, non meno repressivo dell’Iran e dell’Arabia Saudita». Tanto da non aver accettato l’invio di osservatori internazionali per il voto del 28 novembre. «Una reazione normale da parte un paese che si proclama indipendente e che rifiuta le interferenze estere. Non ci sono mai stati dei veri osservatori internazionali alle elezioni egiziane, così come non ci sono mai state delle vere e proprie proteste da parte dei governi occidentali per gli arresti e le violenze. Prendiamo l’Italia: è il paese che più dialoga a livello commerciale con l’Egitto. Ma da noi nessuno parla delle torture che avvengono nelle sue carceri». Il nome di Mubarak, però, è comparso spesso sui nostri quotidiani negli ultimi tempi. Parliamo del caso Ruby: ha incrinato i rapporti tra l’Egitto e Roma? «Gli egiziani hanno protestato, a Palazzo Chigi è arrivata una nota ufficiale dell’ambasciata. I rapporti con il Cairo, però, nascono molto prima di Berlusconi e delle sue avventure. A Mubarak, cui sono quasi certo che sia arrivata la voce dell’ “incidente”, potrebbe aver dato fastidio a livello personale. E magari, quando incontrerà il presidente del Consiglio italiano, sarà meno sorridente del solito». Corea del Nord. Le scintille di guerra non modificano il dopo “caro leader” Il “brillante compagno” è pronto Eloisa Moretti Clementi Fino a due mesi fa nessuno conosceva il suo viso paffuto, eppure potrebbe essere quello del futuro leader di Pyongyang. A 60 anni dalla guerra di Corea, Kim Jong-un – erede designato del padre Kim Jong-il – potrebbe essere l’uomo della riappacificazione. Tuttavia, dopo l’attacco all’isola sudcoreana di Yeonpyeong, che ha riacceso scintille di guerra tra Nord e Sud, sembra più probabile che il giovane rampollo erediti ceneri di conflitti mai spente. A partire dal padre della patria comunista - l’eroe della liberazione Kim Il-sung - il clan dei Kim si è imposto al potere in Corea del Nord mantenendo sempre un’aura di mistero intorno ai suoi componenti. Dopo di lui, il potere è finito direttamente nelle mani del figlio, il “caro leader” che dal 1993 impone la sua dittatura. Con Jong-il, la fantasia dei biografi di regime si è scatenata. La sua nascita è narrata Reporter nuovo come un momento aulico, preannunciato da un tripudio di rondini, arcobaleni e improvvise stelle nel cielo, ma tanti aspetti della sua vita restano misteriosi. L’età incerta e l’inesperienza militare sono le poche cose che lo accomunano al terzogenito Jong-un, il cui anno di nascita vaga tra il 1982 e il 1983. imparato a parlare inglese, francese e tedesco. Come sia riuscito a diventare il delfino ufficiale, invece, resta piuttosto incerto. Uno degli altri pretendenti, il fratello Kim Jong-nam, è riuscito ad auto-eliminarsi: beccato all’aeroporto giapponese di Tokyo con un improbabile passaporto dominica- Kim Jong-un ha studiato a Berna. Per la popolazione non cambierà molto ma ci sarà un rinnovo della classe dirigente Il debutto politico risale a settembre, quando per la prima volta è apparso in pubblico accanto al padre. Nominato generale durante i festeggiamenti per il 65esimo anniversario del Partito dei Lavoratori Coreani, Jong-un è stato una sorpresa per i suoi concittadini, che non lo avevano mai visto. Di lui si conoscono solo gli studi svolti in Svizzera, in un collegio privato di Berna, dove ha no, era diretto a Disneyland. Da quel momento è stato scalzato dall’elenco dei pretendenti alla successione, così come il secondogenito Kim Jong-chul, considerato poco virile dal padre. Il “brillante compagno”, come viene chiamato informalmente dalla stampa nordcoreana, ha dunque buone possibilità di diventare il terzo leader della dinastia Kim a governare quella Repubblica Po- polare di Corea che è degradata in brutale dittatura. La malattia del padre, che soffre di cuore e ha già avuto un infarto nel 2008, ha accelerato i tempi del rinnovo ai vertici, anche se per il momento il “caro leader” non sembra intenzionato ad andare in pensione. Secondo AsiaNews, la popolazione nordcoreana guarda a Kim Jong-un con una timida speranza di rinnovamento: “Tutti sanno che i prossimi leader potrebbero essere avidi e corrotti come quelli attuali, ma almeno la popolazione potrà sfogare la sua rabbia nei confronti dei vecchi ufficiali destituiti”. Per essere degno dei suoi predecessori, a Kim Jong-un manca ancora una biografia adeguata, capace di alimentare miti e leggende all’altezza del padre e del nonno. Il “caro leader”, infatti, è circondato da una sterminata agiografia celebrativa, costruita ad arte dai biografi ufficiali, e da un’altrettanto vasta mitologia popolare. Propenso all’alcolismo, collezio- DESIGNATO In Corea del Nord l’investitura militare è un passaggio fondamentale per l’accesso al potere nista di blockbuster hollywoodiani (si dice abbia una videoteca di 20.000 film), è considerato addirittura “un’icona di stile” dal quotidiano coreano Redong Simun. Merito dei suoi occhialoni neri, da cui è inseparabile, insieme alla perenne divisa militare: i tratti distintivi di un look che vanta persino ammiratori su Internet. Ma la sua passione per il cinema è autentica. Lo testimonia il rapimento, nel 1978, di un regista sudcoreano e della moglie attrice, costretti a gira- re una sorta di remake in salsa comunista di Godzilla, tra le pellicole più amate dal cinefilo Jong-il. Il giovane rampollo Kim, dunque, studia da leader. Per il momento, la biografia ufficiale – almeno quella pubblica - può contare solo sui pochi suggestivi studi in Svizzera e su una forte somiglianza fisica con il nonno. Competere con un “eterno presidente”, come la Costituzione ha cristallizzato Kim Il-sung, non sarà un’impresa facile per il “brillante” ma inesperto compagno. 26 Novembre 2010 3 Economia Una battaglia del lusso contro il non lusso. La griffe Zara forse nel mirino di Louis Vuitton A colpi di borse, scarpe e foulard Nei negozi della catena H&M gli abiti firmati dal francese Jeanne Lanvin Federica Ionta A Parigi è guerra sulla rive gauche. Il marchio del lusso Hermés ha appena finito di festeggiare l’inaugurazione della terza boutique nella capitale francese, la prima sull’esclusiva “Riva sinistra” della Senna, e già deve alzare le barricate contro una possibile scalata da parte del colosso Lvmh: la Louis Vuitton Moet Hennessy ha da poco annunciato l’acquisto del 17,2 per cento delle quote di capitale della rivale Hermès. Una notizia che non è piaciuta agli azionisti dell’azienda francese, di cui la famiglia Hermès – ormai alla quinta generazione – detiene il 72 per cento del capitale. L’annuncio ha destato anche i sospetti dell’Authority per i mercati finanziari e la Consob francese ha deciso di aprire un’inchiesta sulla scalata. L’operazione ricorda molto quella con cui nel 1999 sempre Lvmh cercò di accaparrarsi il marchio Gucci. Allora, la casa fiorentina tentò un aumento di capitale a solo appannaggio dei dipendenti, allo scopo di indebolire le quote societarie della multinazionale francese. In quel caso la battaglia si concluse con l’ingresso in campo LUSSO ACCESSIBILE Il negozio-boutique di H&M sugli Champs-Elisées a Parigi di un terzo giocatore: la Pinault-Printemps-Redoute, altra holding del lusso, che per 2,9 miliardi di dollari comprò il 40 per cento del capitale di Gucci, lasciando il presidente di Lvmh Bernard Arnault a bocca asciutta. Adesso come allora Lvmh e Ppr, entrambe francesi, si spartiscono il mercato luxury mondiale. Tantissimi i brand internazionali e italiani comprati dalle due multinazionali. Oltre a Gucci, la Ppr di François-Henri Pinault possiede più di venti firme: da Stella McCartney a Bottega Veneta e persino le librerie Fnac. Ancora più grande il colosso Lvmh, nato nel 1971 dalla fusione della Louis Vuitton e dell’azienda vinicola Moët Hennessy, che oggi gestisce 60 brand per un valore di 58,5 miliardi di euro. Alla base della strategia di entrambi i gruppi un solo imperativo: internazionalizzare il portafoglio di marchi attraverso la progressiva acquisizione dei grandi nomi della moda italiana e americana. Nel corso del solo biennio 1999-2000 Lvmh assunse il controllo di ben 25 firme. Tranne Gucci, appunto, che finì nel mirino e poi nel portafoglio della Ppr. Oggi, tuttavia, qualcosa sta cambiando. Il 21 novembre la catena svedese H&M ha presentato a New York gli abiti disegnati da Alber Elbaz, direttore creativo di Lanvin. Non è la prima volta che un marchio della haute couture stringe un ac- cordo con un brand commerciale: sempre H&M nel 2009 propose nei suoi negozi una linea firmata da Jummy Choo. Per gli analisti si tratta di una strategia volta a conquistare il mercato dei cosiddetti aspirational: consumatori dal reddito mediobasso molto sensibili al prezzo ma allo stesso tempo desiderosi di lusso. Ed è proprio il nuovo mercato del «lusso accessibile» che promette di rivoluzionare gli equilibri del settore. Perché se è vero che il luxury non conosce crisi – si pensi alla Diesel, che anziché abbassare il target di mercato ha puntato la strategia sulla cosiddetta fascia premium: clienti disposti a spendere tanto, purché per un prodotto di ottima fattura e qualità – è altrettanto vero che la nuova fascia aspirational rappresenta un mercato interessante e dalle molte prospettive. Insomma, in un futuro più o meno lontano potrebbero essere proprio H&M, Zara e i grandi marchi commerciali a minacciare i due colossi Lvmh e Ppr. Una battaglia del lusso contro il non lusso, da combattere a colpi di borse, scarpe e foulard. Rigorosamente firmati. A colloquio con Carola Bodo, vice presidente dell’Associazione per l’economia della cultura «Senza finanziamenti sarà una catastrofe» Enrico Messina L’Associazione per l’economia della cultura ha tra i suoi scopi quello di «promuovere la conoscenza e lo sviluppo dell’economia nel settore dei beni culturali, dello spettacolo e dell’industria culturale». Al vice presidente Carola Bodo Reporter nuovo ha chiesto qual è lo stato dell’economia della cultura nel nostro Paese. Dopo Pompei, quali sono le altre “emergenze culturali” del Paese? Dove si concentrano? «Le maggiori sono nel mezzogiorno. È vero che vi sono state destinate molte risorse straordinarie anche provenienti dai Fondi strutturali europei, in particolare sull’asse cultura 2000- 2006. Ma da una indagine è venuto 4 26 Novembre 2010 fuori che, al 2008, soltanto il sciopero dello spettacolo? Se lei fosse il ministro 40% di quei due miliardi e «Capiamo benissimo e sia- della Cultura, quali sarebmezzo stanziati erano stati mo solidali con lo sciopero. Il bero le sue prime tre riforerogati. Ci sono più fondi di taglio del Fus (Fondo unico me? prima per il mezzogiorno, per lo spettacolo, ndr) nella «La prima riforma necesma sono sempre pochi. Per di misura ventilata sarebbe la saria è quella del sistema di fipiù, sembra si tratti essen- fine di molte valide iniziative. nanziamento dello spettacozialmente di fondi aggiuntivi, Dall’altro lato, però, è anche lo, per promuovere un ria compensacambio sulle zione dei manscene. Poi c’è «Il taglio del Fus sarebbe la fine di molte cati investiancora il promenti ordinari blema sospeso iniziative dello spettacolo. di Stato, regiodella conflitni e comuni». tualità con le Ma è il sistema che non funziona» È principalregioni: bisomente un prognerebbe affiblema di fondi, dunque. vero che i criteri di spesa dei dare più gestioni alle regioni «Sì: la cultura costa, i re- fondi del Fus non funziona- e insieme rafforzare le funstauri costano, ma i finanzia- no». zioni centrali dello Stato di comenti sono in calo da dieci Perché? ordinamento, di valutazione anni. E i tagli hanno colpito «Perché i fondi vengono dei risultati e di indirizzo. Anmaggiormente i beni culturali, erogati prevalentemente alle drebbe anche realizzato un sila spesa per questo settore è organizzazioni già esistenti, e stema statistico e informativo quella che è calata di più». non premiano il rinnovamen- efficiente, che consenta di Qual è la valutazione del to della scena italiana, pena- valutare i risultati dell’azione vostro osservatorio sullo lizzando le nuove iniziative». di governo a tutti i livelli». Come sta l’economia italiana legata alla cultura? E quale la prospettiva? «L’economia della cultura sta malissimo. Si è vissuto fino ad ora grattando il fondo dei residui accumulati negli anni precedenti. Con stanziamenti di poco più di mille e 400 milioni di euro come quelli ventilati per quest’anno e per i prossimi, verrà a mancare qualunque possibilità di finanziare attivamente la cultura. Così si andrà alla banca rotta. Il peggio deve ancora venire: esaurite le ultime riserve, sarà un catastrofe. I paesi più avanzati del mondo hanno capito l’antifona e stano aumentando i finanziamenti alla cultura, che può essere un volano per superare questa crisi. Da noi è uno dei settori più penalizzati». LEADER MONDIALI Il primato Lvmh: 60 marchi Nata nel 1987 dalla fusione del marchio di pelletteria Louis Vuitton con la casa di vini Moet Hennessy, Lvmh è oggi la prima multinazionale specializzata in beni di lusso. Controlla più di 60 marchi dal vino ai gioielli, dall’alta moda ai cosmetici. Da Pinault insieme Puma e Gucci La Pinault Printemps Redoute, dal 2005 Ppr, è il principale concorrente del colosso Lvmh. Nata nel 1963 è stata la prima ad aprire al mondo del non lusso, comprando Puma nel 2007. Tra le griffe italiane annovera Gucci, Sergio Rossi e Bottega Veneta. Richemont: gioielli e orologeria Il gruppo fondato nel 1988 dal magnate sudafricano Anton Rupert è il terzo colosso del lusso mondiale. Tra i marchi gestiti da Richemont ci sono Cartier, Piaget e Mont Blanc. Nel 2007 la joint venture con Ralph Lauren per la vendita di gioielli e alta orologeria. I Marzotto e Vfg gli italiani Nato nel 2005 da uno spin off del Gruppo Marzotto, il Valentino Fashion Group opera, tra gli altri, con i marchi Valentino, Hugo Boss, Marlboro Classics e M Missoni. Attualmente è controllata dal fondo di private equity Permira. Reporter nuovo Primo Piano A poco più di un anno dal caso Marrazzo, ecco come vive oggi il comprensorio sulla Cassia Via Gradoli, un mondo così diverso Il cancello, la casa di Natalì, gli stranieri e gli altri residenti. Polemiche P arrucca biondo platino, giacca di jeans, stivali e calze nere, minigonna di paillettes fucsia. Il transessuale, un metro e novanta, aspetta alla fermata dell’autobus, esponendo la sua tenuta da lavoro, apparentemente senza preoccuparsi delle telecamere di sicurezza. Le ha fatte installare qualche mese fa il Comune di Roma, guardano l’imbocco di via Gradoli. La traversa di via Cassia, tra Tomba di Nerone e via di Grottarossa, scena nell’ottobre 2009 dello scandalo che portò alle dimissioni dell’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ricattato da quattro carabinieri per i suoi incontri con il trans Natalì. Tredici mesi dopo, il colosso biondo non sembra attirare più di tanto l’attenzione di chi, poco pri- umanità, apparentemente sempre in ma delle undici di sera, passa at- movimento. Due anziani portano a traverso il cancello e la sbarra che spasso il cane, dei bengalesi parladovrebbero impedire l’accesso ai no fitto, incomprensibili. Accanto, non residenti nel comprensorio una signora distinta, permanente e abitato da circa mille famiglie. Un cappotto lungo, di classe. Di quei uomo sulla trentina risale la via, ne viados spesso identificati con la attraversa l’accesso, spalancato no- strada, nessuna traccia a quest’ora. nostante l’ora, butta Solo una macchina è un sacchetto di imferma davanti a uno mondizia, va via inSui transessuali e dei primi civici, con le differente. Due sudaquattro frecce inserinon solo, mericani, uomo e te. Ma è una famiglia donna, si fermano adgli abitanti hanno italiana che svuota il dirittura a parlare con bagagliaio, niente più. differenti opinioni E quasi tutti italiani la figura in attesa, una sigaretta e poi via. sono anche i cognomi Poco dopo, mentre il sui citofoni delle pricamion della nettezza urbana svuo- me palazzine. La situazione cambia ta i cassonetti a due metri di di- man mano che si scende, e la strastanza, il trans impassibile apre da fa un anello. Davanti al numero l’ombrello: comincia a piovere. Ma 96, due palazzine che erano “quella sua è solo una delle vite che tra- le di Moro” e sono diventate “quelscorrono in via Gradoli: basta ol- le di Marrazzo”, i cartellini sui trepassare la sbarra (chiusa, stavol- campanelli portano nomi stranieri. ta) al mattino o al pomeriggio per Tra cui proprio Natalì, stampigliarendersi conto di una variegata to grosso sull’etichetta, accento L’ENTRATA Cancello e sbarra automatica che regolano l’accesso alla strada privata che si snoda nel gigantesco comprensorio compreso. Il brasiliano vive ancora nelle stanze che inguaiarono il presidente del Lazio. “A parte Natalì ce ne sono altri quattro, che dovrebbero essere rumeni, e forse un altro”: parla dei transessuali, Carlo Maria Mosco, del Comitato per Via Gradoli che raccoglie circa 80 residenti. Dice che sono rimasti anche dopo gli sgomberi di alcune cantine in altri stabili, usate come dormitori. Il Comitato rivendica il risultato raggiunto, ma, aggiunge Mosco “l’ordinanza di sgombero è solo un primo passo, quello che chiediamo è la demolizione delle tubazioni dell’acqua, del bagno, quelle sono cantine e devono tornare ad essere cantine”. Sui provvedimenti dello scorso 15 ottobre, però, si possono sentire anche voci discordi. “Non condivido quello che stanno facendo ai trans -dice un giovane studente- le retate hanno tolto la parte visibile, il disagio apparente”. Apparenza, una parola di cui tenere conto, in via Gradoli. Le pa- un’impressione raccolta nella zona: “È come una città, via Gradoli”. In effetti, ha i suoi quartieri: ogni civico è un gruppo di palazzine dietro un cancello, gli abitanti sono “quelli del 56”, “del 35”, “del 4” e così via. Ognuno con una visuale privilegiata sul suo angolo, e un’idea a volte confusa di quello che accade altrove. Dici “gli stranieri” ad esempio, e la mente di alcuni corre agli irregolari. Ma ci sono anche famiglie: come i due filippini, marito e moglie, che al mattino accompagnano la figlia, zainetto in spalla, a prendere il bus. Visioni diverse anche sul civico 96: secondo alcuni ritrovo, fino a qualche mese fa, di trans seminudi in attesa di clienti o dei taxi che li conducevano sui marciapiedi romani. A parere di altri, campo di giolazzine ridipinte di fresco, ad esem- chi, negli stessi giorni, per ragazzipio, sono uno degli aspetti della ri- ni appassionati di calcio. E anche qualificazione. Ma proprio accanto quando le parole coincidono, semal citofono di Natalì, due cartelli di- bra che siano usate per dire cose dicono “Vendesi”, e uno “Affittasi”. verse. Tra quelli che non apprezzaUn altro appartamento è disponibile no il nuovo cancello, ad esempio, poco più in là. Forse i proprietari si molti lo descrivono come facile da agvogliono allontanare, forse condi- girare. Altri, invece, lo considerano vidono l’affermaziofin troppo efficace: sotne riportata dal Cortolineano, infatti, come riere della Sera all’inCase in vendita, sia spesso rotto, impedomani dell’installadendo l’entrata e qualzione del cancello. c’è gente che scappa che volta l’uscita non “Cambierà poco o solo agli estranei ma ma anche chi nulla: topi e cimici, persino ai residenti. forse guadagnerà anche se sbarri gli Anche chiedendo accessi, restano denalla gente cosa è camtro”, aveva detto un biato, dal giorno del filresidente ai cronisti. O magari chi mato che decapitò la Regione Lazio, vende cerca di monetizzare: con la si otterrebbero tante risposte quanvicenda Marrazzo i prezzi, concor- te sono le finestre dei palazzi. Diverse dano tutti, erano scesi ai minimi. Ma a seconda che la visuale sia l’arteria oggi vanno, secondo gli annunci, dai della Cassia, il tetto di Natalì, o il vi2600 ai 4500 euro al metro qua- cino parco dell’Insugherata. Via Gradrato, per appartamenti simili. Ap- doli è così, plurale come il suo inparenza, però, vuol dire anche quel- gresso, sigillato in teoria ma aperto lo che salta all’occhio, e consolida in pratica. O forse è il contrario. Fu scoperto nel 1978 grazie a una doccia, ci abitò “la sfinge” Mario Moretti È stato l’appartamento più famoso e misterioso della prima Repubblica, ora ci vive un trans. Al numero 96 di via Gradoli, nel 1978, l’ “ingegner Borghi”, alias il capo brigatista Mario Moretti, decideva il destino del sequestrato Aldo Moro. Trent’anni dopo, al massimo, si scelgono i tagli di capelli: Marzia, il brasiliano che ci abita, fa la parrucchiera. Il palazzo, visto da fuori, è impersonale. Due aiuole, un piccolo cortile su cui si aprono i portoni: un luogo ideale per la latitanza della cosiddetta “sfinge” Br e di Barbara Balzerani. Il covo uscì dall’anonimato il 18 aprile ’78, poche settimane prima della Reporter nuovo Lì c’era anche il covo delle Br morte di Moro, grazie a una doccia. Aperta e bloccata con un manico di scopa in modo da allagare il bagno. Quando fu aperta la porta per vedere cosa avesse provocato l’enorme macchia d’umidità e le infiltrazioni al piano di sotto, vennero ritrovate, su un soppalco, le divise usate nell’agguato di via Fani. Ma questa è rimasta l’unica certezza, almeno per i dietrologi. Non si è mai capito neanche chi abbia aperto l’acqua. I brigatisti, per beffare la polizia? O un fiancheggiatore che voleva avvertirli di come il covo fosse ormai “bruciato”? E anche sugli ospiti delle stanze di Roma Nord le voci si sono rincorse. I giudici, come detto, indicarono Borghi-Moretti e la Balzerani. Ma c’è chi giura che lì (e non in via Montalcini come da versione ufficiale) sarebbe stato tenuto, almeno per qualche tempo, anche lo statista rapito. Voce alimentata dall’indiscrezione sulla seduta spiritica (forse usata per coprire una fonte riservata) in cui il nome Gradoli sarebbe stato pronunciato alla presenza del futuro Presidente del consiglio Romano Prodi e di altri professori. La stessa signora Moro ha testimoniato di aver chiesto alla polizia di guardare non nel borgo omonimo in provincia di Viterbo, ma nella strada della Capitale. Richiesta, pare, ignorata con la motivazione che sugli stradari non esistesse una via chiamata così. Inevitabile che tra tanti misteri spuntassero i servizi segreti. Accusati persino di es- Pagina a cura di Davide Maggiore sere proprietari, attraverso società e prestanome, di molti appartamenti del comprensorio, compresi alcuni al famigerato numero 96. I documenti sugli intestatari, però, denunciò nel 1998 il giornalista Giovanni Maria Bellu, sono ormai irreperibili. E l’ex-senatore comunista Sergio Flamigni, già membro della Commissione d’inchiesta sul caso Moro, si spinse a parlare addirittura di un “covo di Stato”. I sospetti colpirono anche la polizia che, nel corso di un’ispezione due giorni dopo il seque- stro, arrivò a bussare alla porta dell’appartamento. L’“ingegner Borghi” non era in casa o non aprì. Gli agenti non videro in faccia “quel signore distinto”, come lo definì la vicina. Un studentessa di origine egiziana, dal cognome destinato a riemergere in un’altra inchiesta, oltre trent’anni dopo. Lucia Mokbel, si chiamava. Suo fratello è quel Gennaro Mokbel coinvolto nelle indagini sullo scandalo politico-finanziario “Fastweb-Telecom Sparkle” del 2009. Un altro indizio, una traccia da seguire, per i teorici del “tutto si tiene”. Anche se non è proprio chiaro cosa sia questo “tutto”. 26 Novembre 2010 5 Cronaca Attiva da febbraio in alcuni ospedali romani una task force. Ne parliamo con Lina Losacco “Codice rosa” in aiuto delle donne Medici e assistenti sociali per le vittime di maltrattamenti domestici Ilaria Del Prete Arrivano in ospedale spaventate, con qualche abrasione nella migliore delle ipotesi ma sempre con gli occhi carichi di rassegnazione. Sono le donne vittime di violenza domestica, isolate nel loro stesso mondo fatto di maltrattamenti perpetuati. Al pronto soccorso vengono accolte secondo un nuovo criterio: si chiama “codice rosa”, che va a affiancare la triage tradizionale, rosso, giallo verde e bianco. Grazie a un protocollo sottoscritto dal Tribunale Ordinario e per i Minorenni di Roma, dalle Associazioni antiviolenza e da alcuni presidi ospedalieri, una vera e propria task force è a disposizione delle donne e dei figli minorenni vittime di soprusi, violenza sessuale e atti persecutori. L’attività sinergica di magistratura, assistenza psicologica e sanitaria è attiva sul territorio romano dallo scorso febbraio, ma negli ultimi nove mesi sono state più di sessanta le richieste d’intervento. Attivo presso i Policlinici Umberto I e Tor Vergata, gli ospedali Fatebenefratelli, Bambin Gesù, San Gallicano e le Asl RmD RmC, il co- LA BATTUTA Il vignettista descrive bene una realtà. Infatti, secondo l'Istat il 93% delle violenze perpetrate dal partner non viene denunciato, e solo il 18% delle donne che hanno subito abusi in ambito domestico considera questa forma di violenza un reato dice rosa attiva una procedura diversa da quelle del pronto soccorso tradizionale. A spiegare intenti e metodo d’intervento, Lina Losacco, responsabile dell’area salute per l’Associazione Differenza Donna, firmataria del protocollo e attiva al Policlinico Umberto I. «Nasciamo per contrastare i maltrattamenti sulle donne di qualsiasi età e sui minori in riferimento alla violenza assistita, infatti – racconta a Reporter nuovo – i bambini anche se non sfiorati fisicamente si sentono impotenti perché non sanno impedire la violenza, temono che la madre soccomba e che il padre venga arrestato». Il codice rosa è in realtà una convenzione interna alle strutture ospedaliere, che senza bisogno di maggiori spiegazioni lascia intendere al personale il tipo di intervento necessario secondo indicatori fisici e psicologici. Equiparato a un codice giallo o persino rosso, a seconda della gravità della paziente, mette in moto il sistema di supporto. Il primo passo è accertare la violenza, ricorrere alle cure mediche e attivare il sistema di supporto psicologico. Su questo versante sono attivi sia gli assistenti sociali del presidio sia gli operatori delle associazioni: «All’Umberto I – spiegano da Differenza Donna – interveniamo di norma dopo le 17, quando lo sportello di assistenza interna è chiuso. Il nostro servizio è totalmente gratuito, e ci rendiamo reperibili anche telefonicamente in orario notturno». Fondamentale è riuscire ad acquisire la sensibilità necessaria a considerare la malattia non solo in termini fisici, infatti spesso la vittima di violenza è restia a svelare la propria condizio- ne, e solo grazie all’abilità d’ascolto degli operatori trova il modo di fidarsi e sentirsi creduta. È proprio per combattere questa iniziale ritrosia, sostiene la responsabile dell’Associazione antiviolenza, che «si sta puntando ad entrare in altri dipartimenti oltre al pronto soccorso, come quello cefalea, neurologico e maxillofacciale». Da questi reparti, infatti, provengono spesso vittime di violenza domestica perpetuata. Grazie al protocollo, coordinato con la magistratura, la donna trova anche il supporto necessario per denunciare gli abusi subiti, sia personalmente che nel caso di violenza assistita da parte di minori, anzi, «il medico – racconta la Losacco – è tenuto a segnalare al Tribunale per i Minori, che - fermo restando che la segnalazione non è una denuncia - prende atto della situazione pregiudizievole e fa partire delle indagini». Per ora, il percorso di sensibilizzazione, iniziato a febbraio, porta buoni risultati: dal prossimo 2 dicembre, infatti, anche l’ospedale Sant’Eugenio farà parte dei presidi da codice rosa, mentre è già una prassi specificare nel referto medico la natura della violenza subita. Associazioni civiche, paladine del vivere civile. Intervista a Vittorio Emiliani Cultura in resta per l’ambiente Marco Maimeri Prima esistevano solo i comitati cittadini o di quartiere. Poi, con l’avvento dei municipi e di una maggiore coscienza civile, sempre più gente ha deciso di riunirsi e far sentire la propria voce. Sono nate così le associazioni civiche, organizzazioni apartitiche e senza fini di lucro, sostenute dal finanziamento di soci e simpatizzanti. Costituite da cittadini ed esperti del settore, si riuniscono per parlare e affrontare temi cari alla collettività come traffico, sosta selvaggia, mezzi pubblici, nettezza urbana e molti dei problemi, piccoli o grandi, che riguardano città come Roma. Non mancano, però, vertenze nazionali come sicurezza, sanità, cultura e ambiente. Sono davvero tantissime queste associazioni – sul sito del Comune di Roma hanno rinunciato a censirle per l’enorme quantità – e il più delle volte hanno presidenti carisma- 6 26 Novembre 2010 tici, capaci di dare visibilità agli obiettivi da perseguire. È il caso del consigliere del Partito democratico al Comune di Roma Athos De Luca, da sempre appassionato di ambiente, salute e turismo, che, con il suo comitato Scopri Roma, ha condotto qualche anno fa, insieme ad ispira all’articolo 9 della Costituzione e tutela il patrimonio culturale, artistico e paesaggistico del nostro paese. «E’ nato alla fine del 1997 – spiega Emiliani – da un’idea mia e di Luigi Manconi, ex Verdi. Volevamo creare un gruppo di pressione che des- Guerra ai mega-cartelloni, alle troppe pale eoliche e alle violenze al paesaggio. Un dossier contro il ministro Bondi altre associazioni, una battaglia contro l’abusivismo dei mega-cartelloni pubblicitari. Ma spiccano anche figure interessanti come quelle di Alberto Benzoni, ex vice sindaco di Roma nella giunta Petroselli, ora presidente di Roma Nuovo Secolo, e Vittorio Emiliani, ex direttore del Messaggero e membro del consiglio d’amministrazione Rai dal 1998 al 2002. Il suo Comitato per la Bellezza si se vita ad “azioni corsare” su temi legati al rispetto del paesaggio. Abbiamo redatto un manifesto programmatico cui hanno aderito centinaia di intellettuali, oltre a urbanisti, architetti e tecnici». Numerose le iniziative che in questi anni hanno caratterizzato le loro attività. «Ci siamo battuti – continua – contro i cartelloni abusivi, o semplicemente deturpanti, ma abbiamo anche dato vita a una campagna contro il motodromo che il comune di Fermo voleva costruire vicino all’Abbazia di San Marco alle Paludi, a poca distanza da una storica torre medioevale. Proprio qualche giorno fa hanno bloccato il progetto». Nelle sue battaglie, però, il Comitato per la Bellezza non si muove da solo. «Facciamo parte – spiega il presidente – di un tavolo di confronto che riunisce 23 sigle ambientaliste come Italia Nostra, Legambiente, Wwf e altre. L’obiettivo è quello di coalizzarsi per portare avanti progetti e proposte comuni ma anche discutere criticamente su alcuni temi sensibili. Uno di questi è lo sviluppo dell’eolico sul nostro territorio, sempre a rischio inquinamento malavitoso e soprattutto poco utile in un paese, come l’Italia, poco ventoso, a parte la Daunia in Puglia o alcune zone di Sicilia e Sardegna. La scarsa attenzione prestata dagli enti locali sull’istallazione delle pale poi ha IN LOTTA Rappresentanti di un comitato abbattono un cartellone portato spesso a deturpazioni. Ci siamo battuti ultimamente contro un parco eolico da costruirsi sopra Urbania, che avrebbe distrutto lo splendido e integro paesaggio del Monte dei Torrini e del Monte Picchio, caro a Piero della Francesca e Raffaello. Il referendum contro l’impianto è passato con l’81 percento di consensi. Le regioni, e non i comuni, devono pianificare lo sviluppo dell’eolico e del fotovoltaico: solo così sarà possibile tutelare il patrimonio nazionale nel suo complesso». Ultima battaglia, infine, la redazione di un dossier contro l’attuale ministro per i Beni e le Attività Culturali dal titolo “Bondi, un fantasma al Collegio Romano”. Proposto in vista della mozione di sfiducia che sarà presentata, lunedì prossimo alla Camera, da Partito democratico e Italia dei Valori, «questo documento – spiega lo stesso Emiliani – pone l’accento sulla gestione sbagliata o meglio la non gestione dei beni culturali da parte del ministro Sandro Bondi». Reporter nuovo Cronaca Abbiamo parlato con Fausto Bonafaccia, presidente dell’associazione BiciRoma, del recente stanziamento da parte della Regione Lazio di 760mila euro per piste e parcheggi DEGRADO Uno stallo e due piste ciclabili. Le unità disponibili per il bike sharing sono soltanto 300. Le piste sono piene di detriti e foglie, vegetazione incolta, buche e segnaletica divelta o sbiadita. Non è una città per biciclette Roma ha poche stazioni di noleggio e un parco veicoli esiguo Marco Maimeri regione di insistere con le amministrazioni locali perché venga realizzata al più presto la tratta Roma-Fiumicino finanziata dalla stessa regione. Inoltre stiamo pressando il comune di Roma affinché questo percorso sia realizzato su fondo liscio così da permettere il transito, con maggiore sicurezza, anche ai ciclisti con bici da corsa provenienti da Colombo, Portuense, Aurelia e Via del Mare». Sarà un’innovazione per il futuro ma nel frattempo si attende ancora lo sviluppo del Piano Quadro della Ciclabilità, presentato lo scorso maggio. «Speriamo – dichiara il presidente di BiciRoma – che il comune doti presto di fondi adeguati coloro che lo dovranno attuare, in modo che venga realizzato con cognizione di causa e competenza. I fondi si potrebbero trovare – conclude – destinando alla realizzazione di percorsi ciclabili una quota delle multe elevate dalla municipale. Questo è già previsto dalla legge, perché non si fa?». Tutto era iniziato con un incontro privato fra il sindaco di Londra, Boris Johnson, e il suo omologo romano, Gianni Alemanno. «Dovreste aumentare le bici in centro», era stato il consiglio del primo cittadino inglese. Johnson è un patito delle due ruote e sul Tamigi ha fatto istituire un servizio di bike sharing che dalla sua inaugurazione, lo scorso 29 luglio, conta circa 300 parcheggi, e arriveranno a 400 il prossimo anno, con stalli per seimila biciclette, noleggiabili 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. L’esborso è stato di circa 25 milioni di sterline e ora Londra sta realizzando anche una rete di piste ciclabili, quasi una ragnatela, su ben 12 “superstrade delle biciclette” (letteralmente, cycle superhighways), tra centro e periferie. Roma, invece, almeno per ora, ha una manciata di stazioni, solo 29, e un parco biciclette di circa 300 unità. Il consiglio del sindaco inglese di realizzare una rete e incentivare l’uso delle bici in centro rischia di scontrarsi con la dura realtà. Unico passo in avanti, la promessa dell’assessore alle Infrastrutture e Lavori Pubblici della Regione Lazio, Luca Malcotti, di destinare 760mila euro ai comuni di Roma, Anzio e Norma (Latina) per la realizzazione di piste ciclabili e parcheggi per bici. «Credia- Jacopo Matano Giorno del ringraziamento per i 20mila americani in Italia. Alternative nostrane Nel giorno del ringraziamento, si sa, i tacchini non ringraziano. Farciti con lo “stuffing” e accompagnati dalle “mashed potatoes” e dalla “pumpkin pie”, i volatili impazzano sulle tavole degli americani che abitano in Italia, trasformando l’ultimo giovedì di novembre in un’occasione per cucinare una ricetta d’oltreoceano, e sentirsi un po’ più vicini a casa. «Castagne, uvetta, sedano, noci, pane raffermo, spezie. Da preparare in anticipo, perché per ottenere la doratura della pelle e la completa cottura servono tre ore e mezza» spiega Martina, illustratrice di Atlanta, in Italia per amore e lavoro, che il Reporter nuovo mo fortemente nell’incentivazione dell’uso del mezzo ciclistico come strumento necessario per diminuire il traffico cittadino e, di conseguenza, come utilissimo mezzo per abbattere la piaga degli incidenti stradali», ha dichiarato l’assessore. Basterà? Ne abbiamo parlato con Fausto Bonafaccia, presidente e fonda- tore di BiciRoma, costola dell’Associazione Due Ruote d’Italia. «Gli stanziamenti a favore della mobilità ciclistica sono sempre una cosa buona. L’importante, però, è che si traducano in miglioramenti nelle infrastrutture e nella sicurezza agli utenti. In particolare – aggiunge – abbiamo chiesto alla Thanksgiving ma con tacchino Usa piatto del “Thanksgiving” lo ha cucinato sotto l’occhio vigile della mamma collegata su Skype «anche se, per colpa del fuso orario, mentre io apparecchio per il pranzo lei prepara la colazione». «È la prima volta che mi capita di non fare la fila al supermercato il mercoledì prima del Ringraziamento, è un’esperienza unica», ribatte Kelly, a Roma da qualche mese per uno scambio universitario, che ha approfittato della festività «per far assaggiare la prelibatezza ai compagni di corso». Come loro, hanno imbandito le tavole gli oltre 20 mila cittadini residenti nel nostro paese lavoratori, studenti, personale governativo, militari che non rinunciano alla tradizione. All’ambasciata di Via Veneto, ad esempio, il personale con il passaporto statunitense si è incontrato per un pranzo insieme una volta chiuso l’ufficio: «Cerchiamo di ricreare un’atmosfera familiare». Oltre al tacchino («rigorosamente americano!», ci tengono a precisare), il menù diplomatico è andato sul classico: «Pannocchie, pane di mais, patate dolci, purè con salsa, torta di zucca, salsa di mirtilli, sformato di fagiolini e numerosi altri dolci ripieni». La tradizione a stelle e strisce, comunque, piace anche agli italiani. Se il tacchino va forte tutto l’anno – i dati della Coldiretti stimano un consumo annuo della sua carne per 4,1 chilogrammi a persona – sul web hanno avuto successo le versioni made in Italy del celebre piatto col pennuto. “Dadi di tacchino alla birra arti- gianale con zucca paprikata” dal blog Sale e Pepe Quanto Basta, un’apprezzata “tagliata di tacchino con pesto di rucola e pomodori saltatai” nel portale Newsfood.com, mentre dal sito Buttalapasta.it è arrivata la proposta di un semplice tacchino arrosto “aperto a farfalla”. Un piatto, si legge, «ottimo anche per il nostro Natale». A far incontrare le due culture, infine, il vino: il californiano Zinfandel e l’italiano Santa Maddalena, proposti dal blog del Gambero Rosso. I RISCHI DEL CICLISTA È un incubo girare per la capitale Parlando di sicurezza occorre distinguere fra rischi stradali e rischi sociali. Sotto il primo aspetto ci sono la pericolosità del traffico urbano ed extraurbano e il degrado delle piste ciclabili, coperte di detriti e foglie, con vegetazione incolta, buche e segnaletica divelta o sbiadita. Per quanto riguarda i rischi sociali, è sintomatica la cronaca dei giornali che narra spesso di podisti e ciclisti aggrediti al Viadotto della Magliana a causa del buio. Come dimenticare poi, tre anni fa, la vicenda del ciclista Luigi Moriccioli, aggredito sulla pista di Tor di Valle per un cellulare e un lettore cd, e morto al San Camillo, 50 giorni dopo, per le ferite riportate? E allora ben vengano le iniziative di associazioni come BiciRoma che hanno più volte chiesto rassicurazioni al sindaco e insistono nel presentare progetti che sfruttino le nuove tecnologie. Occorrerebbe, fanno sapere i ciclisti, una migliore manutenzione delle piste ciclabili e la loro separazione, protezione e delimitazione con cordoli. Le mere strisce verniciate a terra, quando ci sono, tranquillizzano e danno un minimo di visibilità ma sono facili da oltrepassare e se un mezzo di quasi una tonnellata invade la corsia e travolge il ciclista, le conseguenze sono gravissime. La sicurezza viene prima del bike sharing. M. M. 26 Novembre 2010 7 Costume & Società Chi parte Gli italiani scelgono mari del sud e vecchio continente per le prossime vacanze Natale tra crociera e nord Europa La crisi economica ha costretto molti a scegliere mete più abbordabili Andrea Pala Non c’è fila. È mercoledì mattina e solo una cliente chiede informazioni all’agenzia di viaggi Nomentano. La crisi economica ha colpito il settore, ma la voglia degli italiani di trascorrere Natale e Capodanno all’estero comunque resiste. «Le mete preferite – dice il direttore tecnico Maria Vittoria Stefani - sono quelle dei mari dei Sud. Abbiamo già ricevuto una decina di prenotazioni per le Maldive. Vanno forte anche le crociere. Sono sempre il viaggio preferito da tutte le fasce d’età. La spesa si aggira tra i 2.500 e i 2700 euro a persona. Più economiche invece le capitali europee. Il costo è tra i 700 e gli 800 euro. Le mete preferite sono Londra e Parigi. Il periodo più richiesto è invece quello di Capodanno». I principali tour operator offrono diverse offerte per questo periodo. Velatour è un operatore specializzato nel nord Europa. Propone, infatti, diverse località, tutte situate nella penisola scandinava. «Siamo operativi dal IL VILLAGGIO Allestita in Finlandia la casa di Babbo Natale 1975 – racconta Maria Terea Omedè, responsabile della programmazione e dei prodotti – e abbiamo da sempre una grande richiesta verso questi paesi. Offriamo ad esempio un pacchetto per Capodanno in due località della Lapponia, Kemi e Rovaniemi, dove si trova il villaggio di Babbo Natale. I costi si aggirano intorno ai 1.600 euro a persona, dal 30 dicembre al 3 gennaio». Negli ultimi tre anni il settore ha però risentito della crisi economica si è fatta sentire. «Abbiamo perso per strada il cosiddetto ceto medio – dice la responsabile di Velatour – mentre abbiamo mantenuto la clientela che può ancora permettersi certe cifre. Alcuni clienti hanno invece deciso di ridurre le spese, scegliendo vacanze più economiche». Anche gli amanti della musica classica hanno delle proposte pensate appositamente per loro. Le organizza il tour operator Alderan, in collaborazione con l’Accademia di Santa Cecilia. «Ci rivolgiamo – spiega il responsabile Massimo Savoia – agli appassionati di musica sinfonica, in particolare alla fa- scia d’età 50-70 anni. Abbiamo iniziato nel 2006 offrendo viaggi agli abbonati alla stagione concertistica dell’Accademia. In un secondo momento abbiamo invece deciso di rivolgerci a tutti». Tra le mete offerte ci sono alcune città degli Stati Uniti, New York e Chicago, e le principali capitali europee. È possibile trascorrere il capodanno a Vienna dal 30 dicembre al 2 gennaio, con inclusa la partecipazione al celebre concerto di inizio anno alla Konzerthaus. I prezzi oscillano dai 1.680 ai 2.450 euro. Il costo di una poltrona all’interno della sala concertistica va invece dai 1.880 ai 2.950 euro. Gli italiani che non vanno all’estero per Natale e Capodanno tendono però a spostarsi da una parte all’altra dell’Italia. Lo rivela un’indagine dell’Istat. I dati raccolti tra Natale 2009 e 6 gennaio 2010 mostrano come gli italiani si sono spostati dalla propria regione per trascorrere le vacanze in un’altra. Il fenomeno ha riguardato soprattutto il nord-est, con l’87,8 per cento e il centro, con il 75,5 per cento. Chi resta Piovono lavori stagionali in librerie, profumerie e grandi magazzini Il regalo? Impacchettare i regali Le agenzie reclutano anche camerieri per gli alberghi di lusso Alessio Liverziani Martina ha deciso di trascorrere la Vigilia di Natale al centro commerciale. Dalle nove di mattina fino alle sei di sera. Ma non per comprare gli ultimi regali come la stragrande maggioranza delle sue amiche. Martina, 21 anni, lavora come promoter. “Sponsorizza” la carta fedeltà di una nota catena di ipermercati. «Meglio qui che con i parenti a fare la tombolata», confessa. Roberta, 19 anni, è stata assunta in profumeria con un contratto a termine. Fino a gennaio aiuterà le commesse a fare le confezioni regalo dei profumi. Anche Luigi, poco più che ventenne, lavorerà come “impacchettatore”. Ma in libreria. «I libri sono un classico da mettere sotto l’albero – racconta – passerò tutta la giornata a fare pacchetti». Sono solo alcune delle storie di tanti giovani che decidono di restare in città per lavorare. Tutti impieghi stagionali, due o tre mesi a cavallo delle festività natalizie con possibilità di rinnovo in vista dei saldi di gennaio. E le op- 8 26 Novembre 2010 portunità non mancano. mente, di rinunciare a Babbo Il mercato del lavoro è sem- Natale per guadagnare un po’ pre stato lo specchio della cri- di euro. si. I principali interlocutori «Lo scorso anno ci fu una del settore, le agenzie di re- forte tendenza decrescente alle clutamento, stanno riscon- spese di Natale – spiega Andrea trando un incremento delle ri- Malacrida, direttore commerchieste da parte dei principa- ciale marketing di Adecco Itali operatori commerciali. Dal- lia – e una conseguente dimila Grande distribuzione orga- nuzione delle richieste di pronizzata (Gdo) al settore turi- fili di lavoratori per quel pestico-alberghiero, passando riodo». Quest’anno la tenper l’universo “retail” della denza è cambiata. «Registriavendita al detmo un picco taglio. Tutti di richieste – «Quest’anno sarà sono alla risottolinea – cerca di per- il comparto alimentare proprio nei sonale per il settori della a trainare le ricerche Gdo e della periodo natalizio. Segnale regalistica». di personale» di acquisti Cassieri, compulsivi ai scaffalisti, maquali gli italiani non riescono gazzinieri, addetti alle vendia rinunciare. te, promoter e i tradizionali Ma c’è sempre il risvolto “impacchettatori”, gli addetti della medaglia. Perché se da un al confezionamento dei pacchi lato c’è chi la crisi la governa regalo. Questi sono i “lavorete spende migliaia di euro tra ti” natalizi che rimpigueranno spesa, regali e vacanze, dal- le tasche dei giovani “in crisi”. l’altro c’è chi questi regali li Tutti impiegati in quei settori deve vendere, impacchettare, che “sotto l’albero” vanno per organizzare. Insomma, ci sono la maggiore: abbigliamento, più opportunità per chi dalla tecnologia e profumeria. Sencrisi ancora non è uscito e de- za contare i generi alimentari. cide, più o meno volontaria- Per l’amministratore delegato di Ramstad Italia, Marco Ceresa, quest’anno «sarà il comparto alimentare a trainare le ricerche di personale». Insomma, crisi sì, ma non a tavola. Di risparmiare sul cenone di Natale, gli italiani non ne vogliono proprio sapere. Di necessità virtù, dunque. Per un italiano che spende ce n’è sempre uno che guadagna. Con la differenza che il secondo salta le vacanze. E pensare che in molti saranno reclutati proprio nel settore turistico. Tour operator, agenzie di viaggi e grandi catene di hotel sono a caccia di personale per soddisfare le esigenze di chi decide di partire verso le mete più disparate. «Addetti all’accoglienza e alla ristorazione negli alberghi – conferma Cristiano Ianna, direttore generale di Metis – sono le figure più richieste dalle aziende che si preparano alla stagione sciistica e nelle città d’arte che richiamano turisti». Ma c’è anche chi resta in città per una nobile causa. Alle mense dei poveri migliaia di volontari servono il pranzo di Natale. La paga? Il sorriso di chi non ha né lavoro né vacanza. AFFOLLATI I centri commerciali il giorno della Vigilia Reporter nuovo Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo “Massimo Baldini” della LUISS Guido Carli Direttore responsabile Roberto Cotroneo Comitato di direzione Sandro Acciari, Alberto Giuliani, Sandro Marucci Direzione e redazione Viale Pola, 12 - 00198 Roma tel. 0685225558 - 0685225544 fax 0685225515 Stampa Centro riproduzione dell’Università Amministrazione Università LUISS Guido Carli viale Pola, 12 - 00198 Roma Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008 [email protected] ! www.luiss.it/giornalismo Reporter nuovo