Prodi sul Colle? C`è chi lo spera Lo “zio” di Ruby

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Prodi sul Colle? C`è chi lo spera Lo “zio” di Ruby
Anno IV - Numero 8
Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli
Reporter
26 Novembre 2010
nuovo
Quirinale
Prodi sul Colle?
C’è chi lo spera
Mubarak
Lo “zio” di Ruby
non mollerà
Via Gradoli
Un mondo
così diverso
Festività
Il regalo?
Impacchettare
LA GUERRA
DELLE GRIFFE
IL SETTORE DELLA MODA NON PIÙ APPANNAGGIO ESCLUSIVO DELLE GRANDI CASE
Politica
Per il dopo Napolitano, sono insistenti le voci legate al ritorno sulla scena del Professore
Prodi sul Colle? C’è chi lo spera
Ma tra gli osservatori politici i pareri divergono, e lui smentisce
Vito Miraglia
Dopo la partecipazione di
Romano Prodi al seminario
del Pd, organizzato a Sarteano per i suoi parlamentari,
Repubblica ha lanciato il suo
nome per la successione a
Giorgio Napolitano. È stato
sufficiente il suo ritorno sulla scena politica italiana perché l’ex premier fosse accostato al Quirinale. Al meeting
ha parlato di crisi e globalizzazione, un tema economico
di alto respiro come quelli affrontati negli editoriali del
Messaggero. Sulle colonne
del quotidiano romano, Prodi parla già da tempo con i
toni alti di un presidente della Repubblica: difende l’unità d’Italia e la Costituzione, e
sembra muoversi al di sopra
delle parti. Del resto, il suo
curriculum lo renderebbe un
candidato ideale per il dopo
Napolitano: ministro dell’Industria, presidente dell’Iri,
due volte presidente del Consiglio e presidente della Commissione europea. Dopo l’ultima esperienza a Palazzo
Chigi, Prodi è stato nominato alla guida del gruppo di
esperti dell’Onu e dell’Unione africana che si occupa di
peacekeeping in Africa. Da
quel momento si è ritirato a
vita privata («vado a fare il
nonno», aveva dichiarato),
non intervenendo più nelle
questioni spicciole della politica italiana, pur non risparmiando delle sferzate al
Pd. Ma l’intervento a Sarteano, in un evento targato Pd,
l’ha riportato alla ribalta. Al-
L’EVOLUZIONE
I PAPABILI
In lizza gli stessi del 2006
Il Quirinale
tra polemiche
e consenso
Giuliano Amato. Del “dottor Sottile” al Quirinale si era
parlato già nel 2006, quando il suo nome fu incluso nella
rosa proposta dall’allora Casa delle libertà, insieme a Mario Monti, Franco Marini e Lamberto Dini. Anche lui, come
Prodi, si è defilato dalla vita politica italiana, assumendo la
presidenza dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani.
Gianni Letta. Anche l’endorsement a Letta da parte di
Berlusconi per il Colle risale al 2006. Con Napolitano appena eletto, il Cavaliere dichiarò: «Letta avrebbe garantito tutti». Oggi resta il candidato numero uno del centrodestra.
Franco Marini. Il suo nome circola da tempo e una candidatura potrebbe non risultare sgradita al centrodestra. Nel
2006 – quando fu eletto presidente del Senato dopo un testa a testa con Andreotti – l’allora opposizione contestò principalmente il metodo che portò l’ex segretario della Cisl a
Palazzo Madama.
Anna Finocchiaro. «Un uomo col mio curriculum
l’avrebbero già fatto presidente della Repubblica», sentenziò, peccando di immodestia, nel 2006. Il suo nome spunta più per rappresentare le donne impegnate in politica che
per il suo pur brillante curriculum. L’unica donna che si è
davvero battuta per il Quirinale è stata Emma Bonino, protagonista nel 1999 della campagna “Emma for president”.
l’inizio di novembre, il suo
partito aveva accarezzato
l’idea di vederlo in corsa per
la carica di sindaco di Bologna. E anche questo rifiuto è
stato interpretato come un segnale per un’eventuale candidatura al Quirinale.
«Che Prodi faccia parte
delle personalità che possono salire al Colle è fuori
dubbio. Il suo rifiuto di entrare nelle polemiche o di
candidarsi a sindaco di Bologna sono indicativi: si sta
guardando intorno e si considera quasi come una réserve de la République», sostiene Paolo Franchi, notista
politico del Corriere della
Sera.
Da Prodi è arrivata una
smentita che è parsa scontata ai commentatori e che
nulla toglie all’arco delle possibilità. Tutto dipenderà dalla composizione del parlamento nel 2013, alla scadenza del mandato di Napolitano. Servirebbe una mag-
CAMBIO DI GUARDIA? Il Presidente Giorgio Napolitano e
Romano Prodi (“Resta un riferimento”, dice Bersani)
gioranza schiacciante di centrosinistra, uno scenario che
oggi appare poco probabile.
Anche se una candidatura di
Prodi – o di Berlusconi – potrebbe essere vista come una
candidatura di parte: «Nessuno dei due è un candidato
super partes. Si dovrebbe
evitare di introdurre una logica bipolare selvaggia anche
alla presidenza della Repubblica», precisa Franchi. Anche Stefano Menichini, il direttore di Europa, pensa che
una nomination di Prodi potrebbe risultare sgradita all’opinione pubblica. «Prodi è
vissuto da metà degli italiani come un uomo di parte, pur non essendo mai stato divisivo come Berlusconi»,
dice Menichini. E lancia
un’altra ipotesi: «In caso di
vittoria del centrosinistra
non sarebbe male eleggere un
esponente di centrodestra,
con un forte senso dello Stato e dell’unità nazionale: sarebbe un’ottima soluzione».
Il ruolo dei servizi segreti nel Piano Solo. Un libro ricostruisce il tentato golpe del 1964
D’Alema: «Oggi dossier a scopo di ricatto»
Andrea Pala
Servizi segreti, dossieraggio,
intercettazioni. Un tema di
stretta attualità. Se ne è parlato mercoledì 24 novembre
nella sede romana dell’Associazione della Stampa estera.
Nella sala di via dell’Umiltà è
stato infatti presentato “Il Piano Solo”, di Mimmo Franzinelli, edito dalla Mondadori.
«Oggi – ha detto durante l’incontro Massimo D’Alema, presidente del Copasir – c’è ancora chi usa i dossier a scopo
di ricatto. Basti pensare alla vicenda che vede coinvolti Giu-
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liano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Pirelli e Telecom,
Emanuele Cipriani, investigatore privato, e Marco Mancini, ex responsabile del controspionaggio. Il governo Berlusconi ha deciso di porre
sulla vicenda il segreto di stato. E la stessa cosa ha fatto sul
caso di Pio Pompa».
Alla presentazione del volume che ricostruisce quanto accaduto nel 1964 era presente anche Agnese Moro, figlia di Aldo. «Nel libro – ha
detto – trovo pezzi della sua
vita che lui non mi ha potuto raccontare. Allora il cen-
trosinistra era visto da più
parti come una sorta di bomba atomica». Suo padre, infatti, era alla guida della prima coalizione con i socialisti
della storia repubblicana. E
quest’apertura non era ben vista dalle frange più conservatrici della Dc. Fu L’Espresso a rivelare nel 1967 il progetto di colpo di Stato che si
sarebbe dovuto mettere in
atto nell’estate di tre anni
prima. Il piano prevedeva
anche la cattura di 731 persone, fra cui alcuni parlamentari, che sarebbero dovuti
essere trasferiti nella base di
Capo Marrargiu in Sardegna.
Miguel Gotor, ricercatore
di storia moderna all’università di Torino, ha invece illustrato il contenuto del volume. «L’autore – ha detto – ha
ricostruito tutta la vicenda
utilizzando documenti finora inediti. Sono stati infatti
usati gli archivi privati del generale De Lorenzo, del generale Giorgio Manes, all’epoca
vicecomandante dei Carabinieri, e di Cesare Merzagora,
allora presidente del Senato».
Dalla lettura del libro
emerge chiaramente la conferma che la mente del piano
è l’allora Capo dello Stato Antonio Segni. «Dalle carte che
ho esaminato – ha detto
Mimmo Franzinelli – è emerso che il Presidente della Repubblica ha sviluppato il progetto già nel 1962, in funzione anti Pci. Molti erano a
conoscenza del Piano Solo.
Almeno dieci personalità della Dc, fra cui Paolo Emilio Taviani, l’artefice di Gladio, conoscevano il progetto. Anche
il leader socialista Pietro Nenni viene a sapere da Aldo
Moro che si stava organizzando un golpe nell’estate
del 1964».
Non c’è sondaggio
sul gradimento per i leader politici che non collochi Giorgio Napolitano ai vertici della classifica. Con l’attuale presidente si è rinnovata la
luna di miele tra gli italiani e l’amatissimo Carlo Azeglio Ciampi. In
uno scenario politico lacerato dalle divisioni
esasperate dei partiti, la
presidenza della Repubblica resta l’istituzione in
cui l’elettorato ritrova il
valore dell’unità. Ma nell’Italia dei berlusconiani
e degli antiberlusconiani, pure il Quirinale rischia di essere trascinato nella rissa. Anche perché in più occasioni gli
interventi del presidente sono stati letti come
atti politici.
Il ruolo del Capo dello Stato è cambiato da
Cossiga in poi, con le celebri picconate degli ultimi anni del suo mandato. Con la discesa in
campo di Berlusconi, gli
scontri più aspri con il
Quirinale si sono avuti
con esponenti del Pdl.
Tuttavia non sono mancati gli attacchi di Lega
Nord e Italia dei Valori,
a seconda del significato attribuito agli atti e
alle parole del presidente.
Scalfaro, l’artefice del
ribaltone del 1994, è
oramai un nemico giurato del centrodestra,
mentre con Ciampi e
Napolitano più volte è
calato il gelo istituzionale, basti ricordare il
rinvio alle Camere della
legge Gasparri nel 2003.
L’ultima grave frizione
tra il presidente e il governo c’è stata quando
Napolitano decise di
non firmare il decreto
legge sull’idratazione,
negli ultimi giorni convulsi del caso Englaro,
nel 2009.
V. M.
Reporter
nuovo
Mondo
Il leader egiziano Mubarak affronta le legislative, 30 anni al potere e sembra non sentirli
Ma lo “zio” di Ruby non mollerà
Intervista a Eric Salerno: «Non cadrà, ha l’esercito dalla sua parte»
Jacopo Matano
Eric Salerno, il 28 novembre si vota per le legislative e a inizio 2011 per le
presidenziali. Si sta lentamente concludendo l’epoca
del grande leader?
«Mubarak negli ultimi
mesi è stato molto cauto sul
proprio destino, anche perché non sta bene di salute.
Proprio nel momento in cui
tutti si aspettavano un suo ritiro, però, è arrivata la sorpresa: un esponente del suo
partito ha detto nei giorni
scorsi che il presidente intenderebbe ricandidarsi. E
se si presenta lui, non ci
sono altre forze in grado di
competere».
Perché? Qual è il suo
punto di forza?
«Gode della fiducia dei
militari e delle forze armate.
Che controllando il territorio
detengono il potere, e alimentando la corruzione si arricchiscono».
Nei mesi scorsi si è fatto
il nome del figlio, Gamal,
poi smentito. E’ pensabile
una successione “dinasti-
È un monumento al tempo che passa, Hosni Mubarak. Divenuto presidente in Egitto quando in Italia governava Forlani, si parlava di P2 e si discuteva di aborto, oggi che in Italia governa Berlusconi, si parla di P3 e si discute di una minorenne marocchina indicata come sua nipote, il Maresciallo è ancora lì. Non lo scalfiscono le proteste delle associazioni
per i diritti umani, che lo accusano per i metodi reazionari.
Non lo impressionano le lusinghe delle cancellerie occidentali, che lo apprezzano per gli sforzi di pace in Medio Oriente. C’è chi aspetta il voto delle legislative del 28 novembre per
insidiare il suo potere, come il movimento laico di El Baradei, e la Fratellanza Musulmana, partito fuorilegge che da sempre si presenta in ordine sparso cercando di conquistare seggi in Parlamento. E poi c’è chi – anche in famiglia - pensa di
poterne ereditare la leadership, aspettando le presidenziali del
2011. Ma chi l’ha detto che il presidente, a 83 anni, sia disposto
a farsi da parte? Reporter Nuovo ne ha parlato con Eric Salerno,
corrispondente dal Medio Oriente per il Messaggero.
ca”?
«Il figlio ha espresso, la
settimana scorsa, l’intenzione di non candidarsi. D’altra
parte ci sono molte forze
politiche, anche laiche, che si
oppongono all’idea della successione di sangue, a cominciare dall’ex capo dell’agenzia nucleare Mohammed El Baradei, che in Egitto rappresenta l’establishment laico dell’opposizione. Ma se Gamal riuscisse a
convincere i militari che esiste una continuità con il padre, allora avrebbe ben più di
una possibilità».
E El Baradei? I Fratelli
musulmani? Non c’è spazio per gli altri “attori”?
«Il primo non ha i numeri, ma potrebbe farcela alleandosi con i secondi. Loro,
nel frattempo, denunciano
brogli e incidenti, come hanno sempre fatto in passato. E,
sempre come in passato, pre-
EVERGREEN 82 anni, Mubarak, ha vinto 4 volte le elezioni
sentandosi alle legislative arriveranno a guadagnare almeno lo stesso numero di seggi in Parlamento. Appare
chiaro, comunque, che né
Mubarak né i Fratelli Musulmani hanno intenzione, in
questo momento, di cambiare lo scenario».
Non sono pronti alla rivoluzione islamica?
«Non hanno interesse a rovesciare il regime con la forza, perché non controllano
l’esercito e non sarebbero,
quindi, in grado di creare un
governo stabile. Per Mubarak,
invece, la loro presenza è
vantaggiosa perché riesce in
questo modo a costruire l’immagine di uno Stato democratico con un opposizione in
Parlamento da vendere in
occidente».
Ecco, l’occidente. Come si
schiera in questa partita?
«Agli Stati Uniti, a Israele
e ai partner commerciali interessa la garanzia che il paese non precipiti nel caos. Non
dimentichiamo che l’Egitto è
lo Stato più influente nel medio oriente, il primo ad aver
fatto la pace con Gerusalemme. Poco importa, dunque, se
mantenere la stabilità significa mantenere un regime, quello di Mubarak, non meno repressivo dell’Iran e dell’Arabia
Saudita».
Tanto da non aver accettato l’invio di osservatori internazionali per il voto del
28 novembre.
«Una reazione normale da
parte un paese che si proclama indipendente e che rifiuta le interferenze estere. Non
ci sono mai stati dei veri osservatori internazionali alle
elezioni egiziane, così come
non ci sono mai state delle
vere e proprie proteste da
parte dei governi occidentali per gli arresti e le violenze.
Prendiamo l’Italia: è il paese
che più dialoga a livello commerciale con l’Egitto. Ma da
noi nessuno parla delle torture che avvengono nelle sue
carceri».
Il nome di Mubarak, però,
è comparso spesso sui nostri
quotidiani negli ultimi tempi. Parliamo del caso Ruby:
ha incrinato i rapporti tra
l’Egitto e Roma?
«Gli egiziani hanno protestato, a Palazzo Chigi è arrivata una nota ufficiale dell’ambasciata. I rapporti con il
Cairo, però, nascono molto
prima di Berlusconi e delle
sue avventure. A Mubarak,
cui sono quasi certo che sia
arrivata la voce dell’ “incidente”, potrebbe aver dato fastidio a livello personale. E
magari, quando incontrerà
il presidente del Consiglio
italiano, sarà meno sorridente del solito».
Corea del Nord. Le scintille di guerra non modificano il dopo “caro leader”
Il “brillante compagno” è pronto
Eloisa Moretti Clementi
Fino a due mesi fa nessuno
conosceva il suo viso paffuto,
eppure potrebbe essere quello
del futuro leader di Pyongyang.
A 60 anni dalla guerra di Corea, Kim Jong-un – erede designato del padre Kim Jong-il –
potrebbe essere l’uomo della
riappacificazione. Tuttavia,
dopo l’attacco all’isola sudcoreana di Yeonpyeong, che ha
riacceso scintille di guerra tra
Nord e Sud, sembra più probabile che il giovane rampollo
erediti ceneri di conflitti mai
spente.
A partire dal padre della
patria comunista - l’eroe della
liberazione Kim Il-sung - il
clan dei Kim si è imposto al potere in Corea del Nord mantenendo sempre un’aura di mistero intorno ai suoi componenti. Dopo di lui, il potere è finito direttamente nelle mani del
figlio, il “caro leader” che dal
1993 impone la sua dittatura.
Con Jong-il, la fantasia dei
biografi di regime si è scatenata. La sua nascita è narrata
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nuovo
come un momento aulico, preannunciato da un tripudio di
rondini, arcobaleni e improvvise stelle nel cielo, ma tanti
aspetti della sua vita restano misteriosi. L’età incerta e l’inesperienza militare sono le poche
cose che lo accomunano al
terzogenito Jong-un, il cui anno
di nascita vaga tra il 1982 e il
1983.
imparato a parlare inglese,
francese e tedesco. Come sia
riuscito a diventare il delfino ufficiale, invece, resta piuttosto incerto.
Uno degli altri pretendenti,
il fratello Kim Jong-nam, è
riuscito ad auto-eliminarsi:
beccato all’aeroporto giapponese di Tokyo con un improbabile passaporto dominica-
Kim Jong-un ha studiato a Berna. Per la
popolazione non cambierà molto ma ci sarà un
rinnovo della classe dirigente
Il debutto politico risale a
settembre, quando per la prima
volta è apparso in pubblico accanto al padre. Nominato generale durante i festeggiamenti per il 65esimo anniversario
del Partito dei Lavoratori Coreani, Jong-un è stato una sorpresa per i suoi concittadini,
che non lo avevano mai visto.
Di lui si conoscono solo gli studi svolti in Svizzera, in un collegio privato di Berna, dove ha
no, era diretto a Disneyland. Da
quel momento è stato scalzato
dall’elenco dei pretendenti alla
successione, così come il secondogenito Kim Jong-chul,
considerato poco virile dal padre. Il “brillante compagno”,
come viene chiamato informalmente dalla stampa nordcoreana, ha dunque buone
possibilità di diventare il terzo
leader della dinastia Kim a governare quella Repubblica Po-
polare di Corea che è degradata in brutale dittatura. La malattia del padre, che soffre di
cuore e ha già avuto un infarto nel 2008, ha accelerato i tempi del rinnovo ai vertici, anche
se per il momento il “caro leader” non sembra intenzionato
ad andare in pensione.
Secondo AsiaNews, la popolazione nordcoreana guarda
a Kim Jong-un con una timida
speranza di rinnovamento:
“Tutti sanno che i prossimi
leader potrebbero essere avidi
e corrotti come quelli attuali,
ma almeno la popolazione potrà sfogare la sua rabbia nei confronti dei vecchi ufficiali destituiti”.
Per essere degno dei suoi
predecessori, a Kim Jong-un
manca ancora una biografia
adeguata, capace di alimentare miti e leggende all’altezza del
padre e del nonno. Il “caro leader”, infatti, è circondato da una
sterminata agiografia celebrativa, costruita ad arte dai biografi ufficiali, e da un’altrettanto
vasta mitologia popolare. Propenso all’alcolismo, collezio-
DESIGNATO In Corea del Nord l’investitura militare è un passaggio fondamentale per l’accesso al potere
nista di blockbuster hollywoodiani (si dice abbia una videoteca di 20.000 film), è considerato addirittura “un’icona di
stile” dal quotidiano coreano
Redong Simun. Merito dei suoi
occhialoni neri, da cui è inseparabile, insieme alla perenne
divisa militare: i tratti distintivi di un look che vanta persino ammiratori su Internet.
Ma la sua passione per il cinema è autentica. Lo testimonia il rapimento, nel 1978, di
un regista sudcoreano e della
moglie attrice, costretti a gira-
re una sorta di remake in salsa
comunista di Godzilla, tra le
pellicole più amate dal cinefilo Jong-il. Il giovane rampollo
Kim, dunque, studia da leader.
Per il momento, la biografia ufficiale – almeno quella pubblica - può contare solo sui pochi
suggestivi studi in Svizzera e su
una forte somiglianza fisica
con il nonno. Competere con
un “eterno presidente”, come
la Costituzione ha cristallizzato Kim Il-sung, non sarà un’impresa facile per il “brillante” ma
inesperto compagno.
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Economia
Una battaglia del lusso contro il non lusso. La griffe Zara forse nel mirino di Louis Vuitton
A colpi di borse, scarpe e foulard
Nei negozi della catena H&M gli abiti firmati dal francese Jeanne Lanvin
Federica Ionta
A Parigi è guerra sulla rive
gauche. Il marchio del lusso
Hermés ha appena finito di
festeggiare l’inaugurazione
della terza boutique nella capitale francese, la prima sull’esclusiva “Riva sinistra” della Senna, e già deve alzare le
barricate contro una possibile scalata da parte del colosso Lvmh: la Louis Vuitton
Moet Hennessy ha da poco
annunciato l’acquisto del 17,2
per cento delle quote di capitale della rivale Hermès.
Una notizia che non è piaciuta agli azionisti dell’azienda francese, di cui la famiglia Hermès – ormai alla
quinta generazione – detiene
il 72 per cento del capitale.
L’annuncio ha destato anche
i sospetti dell’Authority per i
mercati finanziari e la Consob
francese ha deciso di aprire
un’inchiesta sulla scalata.
L’operazione ricorda molto quella con cui nel 1999
sempre Lvmh cercò di accaparrarsi il marchio Gucci.
Allora, la casa fiorentina tentò un aumento di capitale a
solo appannaggio dei dipendenti, allo scopo di indebolire le quote societarie della
multinazionale francese. In
quel caso la battaglia si concluse con l’ingresso in campo
LUSSO ACCESSIBILE Il negozio-boutique di H&M sugli Champs-Elisées a Parigi
di un terzo giocatore: la Pinault-Printemps-Redoute, altra holding del lusso, che
per 2,9 miliardi di dollari
comprò il 40 per cento del capitale di Gucci, lasciando il
presidente di Lvmh Bernard
Arnault a bocca asciutta.
Adesso come allora Lvmh
e Ppr, entrambe francesi, si
spartiscono il mercato luxury
mondiale. Tantissimi i brand
internazionali e italiani comprati dalle due multinazionali.
Oltre a Gucci, la Ppr di François-Henri Pinault possiede
più di venti firme: da Stella
McCartney a Bottega Veneta
e persino le librerie Fnac.
Ancora più grande il colosso
Lvmh, nato nel 1971 dalla
fusione della Louis Vuitton e
dell’azienda vinicola Moët
Hennessy, che oggi gestisce
60 brand per un valore di
58,5 miliardi di euro. Alla
base della strategia di entrambi i gruppi un solo imperativo: internazionalizzare
il portafoglio di marchi attraverso la progressiva acquisizione dei grandi nomi
della moda italiana e americana. Nel corso del solo biennio 1999-2000 Lvmh assunse il controllo di ben 25 firme. Tranne Gucci, appunto,
che finì nel mirino e poi nel
portafoglio della Ppr.
Oggi, tuttavia, qualcosa
sta cambiando. Il 21 novembre la catena svedese
H&M ha presentato a New
York gli abiti disegnati da Alber Elbaz, direttore creativo
di Lanvin. Non è la prima
volta che un marchio della
haute couture stringe un ac-
cordo con un brand commerciale: sempre H&M nel
2009 propose nei suoi negozi una linea firmata da Jummy Choo. Per gli analisti si
tratta di una strategia volta a
conquistare il mercato dei
cosiddetti aspirational: consumatori dal reddito mediobasso molto sensibili al prezzo ma allo stesso tempo desiderosi di lusso.
Ed è proprio il nuovo mercato del «lusso accessibile»
che promette di rivoluzionare gli equilibri del settore. Perché se è vero che il luxury non
conosce crisi – si pensi alla
Diesel, che anziché abbassare il target di mercato ha
puntato la strategia sulla cosiddetta fascia premium:
clienti disposti a spendere
tanto, purché per un prodotto di ottima fattura e qualità – è altrettanto vero che la
nuova fascia aspirational rappresenta un mercato interessante e dalle molte prospettive.
Insomma, in un futuro
più o meno lontano potrebbero essere proprio H&M,
Zara e i grandi marchi commerciali a minacciare i due
colossi Lvmh e Ppr. Una battaglia del lusso contro il non
lusso, da combattere a colpi
di borse, scarpe e foulard. Rigorosamente firmati.
A colloquio con Carola Bodo, vice presidente dell’Associazione per l’economia della cultura
«Senza finanziamenti sarà una catastrofe»
Enrico Messina
L’Associazione per l’economia della cultura ha tra i
suoi scopi quello di «promuovere la conoscenza e lo
sviluppo dell’economia nel
settore dei beni culturali, dello spettacolo e dell’industria
culturale». Al vice presidente Carola Bodo Reporter nuovo ha chiesto qual è lo stato
dell’economia della cultura
nel nostro Paese.
Dopo Pompei, quali sono
le altre “emergenze culturali” del Paese? Dove si concentrano?
«Le maggiori sono nel
mezzogiorno. È vero che vi
sono state destinate molte risorse straordinarie anche provenienti dai Fondi strutturali europei, in particolare sull’asse cultura 2000- 2006. Ma
da una indagine è venuto
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fuori che, al 2008, soltanto il sciopero dello spettacolo?
Se lei fosse il ministro
40% di quei due miliardi e
«Capiamo benissimo e sia- della Cultura, quali sarebmezzo stanziati erano stati mo solidali con lo sciopero. Il bero le sue prime tre riforerogati. Ci sono più fondi di taglio del Fus (Fondo unico me?
prima per il mezzogiorno, per lo spettacolo, ndr) nella
«La prima riforma necesma sono sempre pochi. Per di misura ventilata sarebbe la saria è quella del sistema di fipiù, sembra si tratti essen- fine di molte valide iniziative. nanziamento dello spettacozialmente di fondi aggiuntivi, Dall’altro lato, però, è anche lo, per promuovere un ria compensacambio sulle
zione dei manscene. Poi c’è
«Il taglio del Fus sarebbe la fine di molte
cati investiancora il promenti ordinari
blema sospeso
iniziative dello spettacolo.
di Stato, regiodella conflitni e comuni».
tualità con le
Ma è il sistema che non funziona»
È principalregioni: bisomente un prognerebbe affiblema di fondi, dunque.
vero che i criteri di spesa dei dare più gestioni alle regioni
«Sì: la cultura costa, i re- fondi del Fus non funziona- e insieme rafforzare le funstauri costano, ma i finanzia- no».
zioni centrali dello Stato di comenti sono in calo da dieci
Perché?
ordinamento, di valutazione
anni. E i tagli hanno colpito
«Perché i fondi vengono dei risultati e di indirizzo. Anmaggiormente i beni culturali, erogati prevalentemente alle drebbe anche realizzato un sila spesa per questo settore è organizzazioni già esistenti, e stema statistico e informativo
quella che è calata di più».
non premiano il rinnovamen- efficiente, che consenta di
Qual è la valutazione del to della scena italiana, pena- valutare i risultati dell’azione
vostro osservatorio sullo lizzando le nuove iniziative». di governo a tutti i livelli».
Come sta l’economia italiana legata alla cultura? E
quale la prospettiva?
«L’economia della cultura
sta malissimo. Si è vissuto
fino ad ora grattando il fondo dei residui accumulati
negli anni precedenti. Con
stanziamenti di poco più di
mille e 400 milioni di euro
come quelli ventilati per quest’anno e per i prossimi, verrà a mancare qualunque possibilità di finanziare attivamente la cultura. Così si andrà alla banca rotta. Il peggio
deve ancora venire: esaurite
le ultime riserve, sarà un catastrofe. I paesi più avanzati
del mondo hanno capito l’antifona e stano aumentando i
finanziamenti alla cultura,
che può essere un volano per
superare questa crisi. Da noi
è uno dei settori più penalizzati».
LEADER MONDIALI
Il primato
Lvmh:
60 marchi
Nata nel 1987 dalla fusione del marchio di pelletteria Louis Vuitton con la
casa di vini Moet Hennessy, Lvmh è oggi la prima
multinazionale specializzata in beni di lusso. Controlla più di 60 marchi dal
vino ai gioielli, dall’alta
moda ai cosmetici.
Da Pinault
insieme
Puma e Gucci
La Pinault Printemps
Redoute, dal 2005 Ppr, è il
principale concorrente del
colosso Lvmh. Nata nel
1963 è stata la prima ad
aprire al mondo del non lusso, comprando Puma nel
2007. Tra le griffe italiane
annovera Gucci, Sergio
Rossi e Bottega Veneta.
Richemont:
gioielli
e orologeria
Il gruppo fondato nel
1988 dal magnate sudafricano Anton Rupert è il terzo colosso del lusso mondiale. Tra i marchi gestiti da
Richemont ci sono Cartier,
Piaget e Mont Blanc. Nel
2007 la joint venture con
Ralph Lauren per la vendita di gioielli e alta orologeria.
I Marzotto
e Vfg
gli italiani
Nato nel 2005 da uno
spin off del Gruppo Marzotto, il Valentino Fashion
Group opera, tra gli altri,
con i marchi Valentino,
Hugo Boss, Marlboro Classics e M Missoni. Attualmente è controllata dal fondo di private equity Permira.
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nuovo
Primo Piano
A poco più di un anno dal caso Marrazzo, ecco come vive oggi il comprensorio sulla Cassia
Via Gradoli, un mondo così diverso
Il cancello, la casa di Natalì, gli stranieri e gli altri residenti. Polemiche
P
arrucca biondo platino, giacca
di jeans, stivali e calze nere, minigonna di paillettes fucsia. Il
transessuale, un metro e novanta,
aspetta alla fermata dell’autobus,
esponendo la sua tenuta da lavoro,
apparentemente senza preoccuparsi delle telecamere di sicurezza. Le ha
fatte installare qualche mese fa il Comune di Roma, guardano l’imbocco di via Gradoli. La traversa di via
Cassia, tra Tomba di Nerone e via di
Grottarossa, scena nell’ottobre
2009 dello scandalo che portò alle
dimissioni dell’allora presidente
della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ricattato da quattro carabinieri
per i suoi incontri con il trans Natalì.
Tredici mesi dopo, il colosso
biondo non sembra attirare più di
tanto l’attenzione di chi, poco pri- umanità, apparentemente sempre in
ma delle undici di sera, passa at- movimento. Due anziani portano a
traverso il cancello e la sbarra che spasso il cane, dei bengalesi parladovrebbero impedire l’accesso ai no fitto, incomprensibili. Accanto,
non residenti nel comprensorio una signora distinta, permanente e
abitato da circa mille famiglie. Un cappotto lungo, di classe. Di quei
uomo sulla trentina risale la via, ne viados spesso identificati con la
attraversa l’accesso, spalancato no- strada, nessuna traccia a quest’ora.
nostante l’ora, butta
Solo una macchina è
un sacchetto di imferma davanti a uno
mondizia, va via inSui transessuali e dei primi civici, con le
differente. Due sudaquattro frecce inserinon solo,
mericani, uomo e
te. Ma è una famiglia
donna, si fermano adgli abitanti hanno italiana che svuota il
dirittura a parlare con
bagagliaio, niente più.
differenti opinioni E quasi tutti italiani
la figura in attesa, una
sigaretta e poi via.
sono anche i cognomi
Poco dopo, mentre il
sui citofoni delle pricamion della nettezza urbana svuo- me palazzine. La situazione cambia
ta i cassonetti a due metri di di- man mano che si scende, e la strastanza, il trans impassibile apre da fa un anello. Davanti al numero
l’ombrello: comincia a piovere. Ma 96, due palazzine che erano “quella sua è solo una delle vite che tra- le di Moro” e sono diventate “quelscorrono in via Gradoli: basta ol- le di Marrazzo”, i cartellini sui
trepassare la sbarra (chiusa, stavol- campanelli portano nomi stranieri.
ta) al mattino o al pomeriggio per Tra cui proprio Natalì, stampigliarendersi conto di una variegata to grosso sull’etichetta, accento
L’ENTRATA
Cancello e
sbarra
automatica
che regolano
l’accesso alla
strada privata
che si snoda
nel gigantesco
comprensorio
compreso. Il brasiliano vive ancora
nelle stanze che inguaiarono il presidente del Lazio. “A parte Natalì ce
ne sono altri quattro, che dovrebbero essere rumeni, e forse un altro”:
parla dei transessuali, Carlo Maria
Mosco, del Comitato per Via Gradoli che raccoglie circa 80 residenti. Dice che sono rimasti anche
dopo gli sgomberi di alcune cantine in altri stabili, usate come dormitori. Il Comitato rivendica il risultato raggiunto, ma, aggiunge
Mosco “l’ordinanza di sgombero è
solo un primo passo, quello che
chiediamo è la demolizione delle tubazioni dell’acqua, del bagno, quelle sono cantine e devono tornare ad
essere cantine”. Sui provvedimenti dello scorso 15 ottobre, però, si
possono sentire anche voci discordi. “Non condivido quello che stanno facendo ai trans -dice un giovane studente- le retate hanno tolto la
parte visibile, il disagio apparente”.
Apparenza, una parola di cui
tenere conto, in via Gradoli. Le pa-
un’impressione raccolta nella zona:
“È come una città, via Gradoli”. In
effetti, ha i suoi quartieri: ogni civico è un gruppo di palazzine dietro un
cancello, gli abitanti sono “quelli del
56”, “del 35”, “del 4” e così via.
Ognuno con una visuale privilegiata sul suo angolo, e un’idea a volte
confusa di quello che accade altrove. Dici “gli stranieri” ad esempio, e
la mente di alcuni corre agli irregolari. Ma ci sono anche famiglie:
come i due filippini, marito e moglie,
che al mattino accompagnano la figlia, zainetto in spalla, a prendere il
bus. Visioni diverse anche sul civico 96: secondo alcuni ritrovo, fino a
qualche mese fa, di trans seminudi
in attesa di clienti o dei taxi che li
conducevano sui marciapiedi romani. A parere di altri, campo di giolazzine ridipinte di fresco, ad esem- chi, negli stessi giorni, per ragazzipio, sono uno degli aspetti della ri- ni appassionati di calcio. E anche
qualificazione. Ma proprio accanto quando le parole coincidono, semal citofono di Natalì, due cartelli di- bra che siano usate per dire cose dicono “Vendesi”, e uno “Affittasi”. verse. Tra quelli che non apprezzaUn altro appartamento è disponibile no il nuovo cancello, ad esempio,
poco più in là. Forse i proprietari si molti lo descrivono come facile da agvogliono allontanare, forse condi- girare. Altri, invece, lo considerano
vidono l’affermaziofin troppo efficace: sotne riportata dal Cortolineano, infatti, come
riere della Sera all’inCase in vendita, sia spesso rotto, impedomani dell’installadendo l’entrata e qualzione del cancello. c’è gente che scappa che volta l’uscita non
“Cambierà poco o
solo agli estranei ma
ma anche chi
nulla: topi e cimici,
persino ai residenti.
forse guadagnerà
anche se sbarri gli
Anche chiedendo
accessi, restano denalla gente cosa è camtro”, aveva detto un
biato, dal giorno del filresidente ai cronisti. O magari chi mato che decapitò la Regione Lazio,
vende cerca di monetizzare: con la si otterrebbero tante risposte quanvicenda Marrazzo i prezzi, concor- te sono le finestre dei palazzi. Diverse
dano tutti, erano scesi ai minimi. Ma a seconda che la visuale sia l’arteria
oggi vanno, secondo gli annunci, dai della Cassia, il tetto di Natalì, o il vi2600 ai 4500 euro al metro qua- cino parco dell’Insugherata. Via Gradrato, per appartamenti simili. Ap- doli è così, plurale come il suo inparenza, però, vuol dire anche quel- gresso, sigillato in teoria ma aperto
lo che salta all’occhio, e consolida in pratica. O forse è il contrario.
Fu scoperto nel 1978 grazie a una doccia, ci abitò “la sfinge” Mario Moretti
È stato l’appartamento più
famoso e misterioso della
prima Repubblica, ora ci vive
un trans. Al numero 96 di via
Gradoli, nel 1978, l’ “ingegner
Borghi”, alias il capo brigatista Mario Moretti, decideva il
destino del sequestrato Aldo
Moro. Trent’anni dopo, al
massimo, si scelgono i tagli di
capelli: Marzia, il brasiliano
che ci abita, fa la parrucchiera.
Il palazzo, visto da fuori, è
impersonale. Due aiuole, un
piccolo cortile su cui si aprono i portoni: un luogo ideale per la latitanza della cosiddetta “sfinge” Br e di Barbara Balzerani. Il covo uscì
dall’anonimato il 18 aprile ’78,
poche settimane prima della
Reporter
nuovo
Lì c’era anche il covo delle Br
morte di Moro, grazie a una
doccia. Aperta e bloccata con
un manico di scopa in modo
da allagare il bagno. Quando
fu aperta la porta per vedere
cosa avesse provocato l’enorme macchia d’umidità e le infiltrazioni al piano di sotto,
vennero ritrovate, su un soppalco, le divise usate nell’agguato di via Fani. Ma questa
è rimasta l’unica certezza, almeno per i dietrologi.
Non si è mai capito neanche chi abbia aperto l’acqua.
I brigatisti, per beffare la polizia? O un fiancheggiatore
che voleva avvertirli di come
il covo fosse ormai “bruciato”? E anche sugli ospiti delle stanze di Roma Nord le
voci si sono rincorse. I giudici, come detto, indicarono
Borghi-Moretti e la Balzerani.
Ma c’è chi giura che lì (e non
in via Montalcini come da
versione ufficiale) sarebbe
stato tenuto, almeno per qualche tempo, anche lo statista
rapito. Voce alimentata dall’indiscrezione sulla seduta
spiritica (forse usata per coprire una fonte riservata) in
cui il nome Gradoli sarebbe
stato pronunciato alla presenza del futuro Presidente
del consiglio Romano Prodi e
di altri professori. La stessa signora Moro ha testimoniato
di aver chiesto alla polizia di
guardare non nel borgo omonimo in provincia di Viterbo,
ma nella strada della Capitale. Richiesta, pare, ignorata
con la motivazione che sugli
stradari non esistesse una
via chiamata così.
Inevitabile che tra tanti
misteri spuntassero i servizi
segreti. Accusati persino di es-
Pagina a cura di Davide Maggiore
sere proprietari, attraverso
società e prestanome, di molti appartamenti del comprensorio, compresi alcuni al
famigerato numero 96. I documenti sugli intestatari,
però, denunciò nel 1998 il
giornalista Giovanni Maria
Bellu, sono ormai irreperibili.
E l’ex-senatore comunista
Sergio Flamigni, già membro
della Commissione d’inchiesta sul caso Moro, si
spinse a parlare addirittura di
un “covo di Stato”. I sospetti colpirono anche la polizia
che, nel corso di un’ispezione due giorni dopo il seque-
stro, arrivò a bussare alla
porta dell’appartamento.
L’“ingegner Borghi” non era
in casa o non aprì. Gli agenti non videro in faccia “quel
signore distinto”, come lo
definì la vicina. Un studentessa di origine egiziana, dal
cognome destinato a riemergere in un’altra inchiesta,
oltre trent’anni dopo. Lucia
Mokbel, si chiamava. Suo
fratello è quel Gennaro Mokbel coinvolto nelle indagini
sullo scandalo politico-finanziario “Fastweb-Telecom
Sparkle” del 2009. Un altro
indizio, una traccia da seguire, per i teorici del “tutto
si tiene”. Anche se non è
proprio chiaro cosa sia questo “tutto”.
26 Novembre 2010
5
Cronaca
Attiva da febbraio in alcuni ospedali romani una task force. Ne parliamo con Lina Losacco
“Codice rosa” in aiuto delle donne
Medici e assistenti sociali per le vittime di maltrattamenti domestici
Ilaria Del Prete
Arrivano in ospedale spaventate, con qualche abrasione nella
migliore delle ipotesi ma sempre
con gli occhi carichi di rassegnazione. Sono le donne vittime di violenza domestica, isolate nel loro
stesso mondo fatto di maltrattamenti perpetuati.
Al pronto soccorso vengono accolte secondo un nuovo criterio: si
chiama “codice rosa”, che va a affiancare la triage tradizionale, rosso, giallo verde e bianco. Grazie a
un protocollo sottoscritto dal Tribunale Ordinario e per i Minorenni di Roma, dalle Associazioni antiviolenza e da alcuni presidi ospedalieri, una vera e propria task force è a disposizione delle donne e
dei figli minorenni vittime di soprusi, violenza sessuale e atti persecutori.
L’attività sinergica di magistratura, assistenza psicologica e sanitaria è attiva sul territorio romano
dallo scorso febbraio, ma negli ultimi nove mesi sono state più di
sessanta le richieste d’intervento.
Attivo presso i Policlinici Umberto I e Tor Vergata, gli ospedali Fatebenefratelli, Bambin Gesù, San
Gallicano e le Asl RmD RmC, il co-
LA BATTUTA
Il vignettista descrive bene una
realtà. Infatti, secondo l'Istat il
93% delle violenze perpetrate
dal partner non viene
denunciato, e solo il 18% delle
donne che hanno subito abusi
in ambito domestico considera
questa forma di violenza un
reato
dice rosa attiva una procedura diversa da quelle del pronto soccorso tradizionale.
A spiegare intenti e metodo
d’intervento, Lina Losacco, responsabile dell’area salute per l’Associazione Differenza Donna, firmataria del protocollo e attiva al
Policlinico Umberto I. «Nasciamo per contrastare i maltrattamenti sulle donne di qualsiasi età
e sui minori in riferimento alla violenza assistita, infatti – racconta a
Reporter nuovo – i bambini anche
se non sfiorati fisicamente si sentono impotenti perché non sanno
impedire la violenza, temono che
la madre soccomba e che il padre
venga arrestato».
Il codice rosa è in realtà una convenzione interna alle strutture
ospedaliere, che senza bisogno di
maggiori spiegazioni lascia intendere al personale il tipo di intervento necessario secondo indicatori
fisici e psicologici. Equiparato a un
codice giallo o persino rosso, a seconda della gravità della paziente,
mette in moto il sistema di supporto. Il primo passo è accertare la
violenza, ricorrere alle cure mediche e attivare il sistema di supporto
psicologico. Su questo versante
sono attivi sia gli assistenti sociali del presidio sia gli operatori delle associazioni: «All’Umberto I –
spiegano da Differenza Donna – interveniamo di norma dopo le 17,
quando lo sportello di assistenza interna è chiuso. Il nostro servizio è
totalmente gratuito, e ci rendiamo
reperibili anche telefonicamente in
orario notturno». Fondamentale è
riuscire ad acquisire la sensibilità
necessaria a considerare la malattia non solo in termini fisici, infatti
spesso la vittima di violenza è restia a svelare la propria condizio-
ne, e solo grazie all’abilità d’ascolto degli operatori trova il modo di
fidarsi e sentirsi creduta. È proprio
per combattere questa iniziale ritrosia, sostiene la responsabile dell’Associazione antiviolenza, che
«si sta puntando ad entrare in altri dipartimenti oltre al pronto
soccorso, come quello cefalea, neurologico e maxillofacciale». Da
questi reparti, infatti, provengono
spesso vittime di violenza domestica perpetuata.
Grazie al protocollo, coordinato con la magistratura, la donna trova anche il supporto necessario per
denunciare gli abusi subiti, sia
personalmente che nel caso di violenza assistita da parte di minori,
anzi, «il medico – racconta la Losacco – è tenuto a segnalare al Tribunale per i Minori, che - fermo restando che la segnalazione non è
una denuncia - prende atto della situazione pregiudizievole e fa partire delle indagini».
Per ora, il percorso di sensibilizzazione, iniziato a febbraio, porta buoni risultati: dal prossimo 2 dicembre, infatti, anche l’ospedale
Sant’Eugenio farà parte dei presidi
da codice rosa, mentre è già una
prassi specificare nel referto medico
la natura della violenza subita.
Associazioni civiche, paladine del vivere civile. Intervista a Vittorio Emiliani
Cultura in resta per l’ambiente
Marco Maimeri
Prima esistevano solo i
comitati cittadini o di quartiere. Poi, con l’avvento dei
municipi e di una maggiore
coscienza civile, sempre più
gente ha deciso di riunirsi e
far sentire la propria voce.
Sono nate così le associazioni civiche, organizzazioni
apartitiche e senza fini di lucro, sostenute dal finanziamento di soci e simpatizzanti. Costituite da cittadini ed
esperti del settore, si riuniscono per parlare e affrontare temi cari alla collettività
come traffico, sosta selvaggia,
mezzi pubblici, nettezza urbana e molti dei problemi,
piccoli o grandi, che riguardano città come Roma. Non
mancano, però, vertenze nazionali come sicurezza, sanità, cultura e ambiente. Sono
davvero tantissime queste associazioni – sul sito del Comune di Roma hanno rinunciato a censirle per l’enorme
quantità – e il più delle volte hanno presidenti carisma-
6
26 Novembre 2010
tici, capaci di dare visibilità
agli obiettivi da perseguire.
È il caso del consigliere del
Partito democratico al Comune di Roma Athos De
Luca, da sempre appassionato di ambiente, salute e turismo, che, con il suo comitato Scopri Roma, ha condotto
qualche anno fa, insieme ad
ispira all’articolo 9 della Costituzione e tutela il patrimonio culturale, artistico e
paesaggistico del nostro paese.
«E’ nato alla fine del 1997
– spiega Emiliani – da un’idea
mia e di Luigi Manconi, ex
Verdi. Volevamo creare un
gruppo di pressione che des-
Guerra ai mega-cartelloni,
alle troppe pale eoliche e alle violenze al paesaggio.
Un dossier contro il ministro Bondi
altre associazioni, una battaglia contro l’abusivismo dei
mega-cartelloni pubblicitari.
Ma spiccano anche figure interessanti come quelle di Alberto Benzoni, ex vice sindaco di Roma nella giunta Petroselli, ora presidente di
Roma Nuovo Secolo, e Vittorio Emiliani, ex direttore del
Messaggero e membro del
consiglio d’amministrazione
Rai dal 1998 al 2002. Il suo
Comitato per la Bellezza si
se vita ad “azioni corsare” su
temi legati al rispetto del
paesaggio. Abbiamo redatto
un manifesto programmatico
cui hanno aderito centinaia di
intellettuali, oltre a urbanisti,
architetti e tecnici». Numerose le iniziative che in questi anni hanno caratterizzato
le loro attività. «Ci siamo
battuti – continua – contro i
cartelloni abusivi, o semplicemente deturpanti, ma abbiamo anche dato vita a una
campagna contro il motodromo che il comune di Fermo voleva costruire vicino all’Abbazia di San Marco alle
Paludi, a poca distanza da una
storica torre medioevale. Proprio qualche giorno fa hanno
bloccato il progetto».
Nelle sue battaglie, però, il
Comitato per la Bellezza non
si muove da solo. «Facciamo
parte – spiega il presidente –
di un tavolo di confronto
che riunisce 23 sigle ambientaliste come Italia Nostra,
Legambiente, Wwf e altre.
L’obiettivo è quello di coalizzarsi per portare avanti progetti e proposte comuni ma
anche discutere criticamente
su alcuni temi sensibili. Uno
di questi è lo sviluppo dell’eolico sul nostro territorio,
sempre a rischio inquinamento malavitoso e soprattutto poco utile in un paese,
come l’Italia, poco ventoso, a
parte la Daunia in Puglia o alcune zone di Sicilia e Sardegna. La scarsa attenzione prestata dagli enti locali sull’istallazione delle pale poi ha
IN LOTTA Rappresentanti di un comitato abbattono un cartellone
portato spesso a deturpazioni. Ci siamo battuti ultimamente contro un parco eolico da costruirsi sopra Urbania, che avrebbe distrutto lo
splendido e integro paesaggio
del Monte dei Torrini e del
Monte Picchio, caro a Piero
della Francesca e Raffaello. Il
referendum contro l’impianto è passato con l’81 percento di consensi. Le regioni, e
non i comuni, devono pianificare lo sviluppo dell’eolico
e del fotovoltaico: solo così
sarà possibile tutelare il patrimonio nazionale nel suo
complesso». Ultima battaglia, infine, la redazione di un
dossier contro l’attuale ministro per i Beni e le Attività
Culturali dal titolo “Bondi, un
fantasma al Collegio Romano”. Proposto in vista della
mozione di sfiducia che sarà
presentata, lunedì prossimo
alla Camera, da Partito democratico e Italia dei Valori,
«questo documento – spiega
lo stesso Emiliani – pone l’accento sulla gestione sbagliata
o meglio la non gestione dei
beni culturali da parte del ministro Sandro Bondi».
Reporter
nuovo
Cronaca
Abbiamo parlato con
Fausto Bonafaccia,
presidente
dell’associazione
BiciRoma, del
recente stanziamento
da parte della
Regione Lazio di
760mila euro per
piste e parcheggi
DEGRADO
Uno stallo e
due piste
ciclabili. Le
unità disponibili
per il bike
sharing sono
soltanto 300.
Le piste sono
piene di detriti
e foglie,
vegetazione
incolta, buche
e segnaletica
divelta o
sbiadita.
Non è una città per biciclette
Roma ha poche stazioni di noleggio e un parco veicoli esiguo
Marco Maimeri
regione di insistere con le amministrazioni locali perché
venga realizzata al più presto
la tratta Roma-Fiumicino finanziata dalla stessa regione.
Inoltre stiamo pressando il
comune di Roma affinché questo percorso sia realizzato su
fondo liscio così da permettere il transito, con maggiore sicurezza, anche ai ciclisti con
bici da corsa provenienti da
Colombo, Portuense, Aurelia
e Via del Mare».
Sarà un’innovazione per il
futuro ma nel frattempo si attende ancora lo sviluppo del
Piano Quadro della Ciclabilità, presentato lo scorso maggio. «Speriamo – dichiara il
presidente di BiciRoma – che
il comune doti presto di fondi adeguati coloro che lo dovranno attuare, in modo che
venga realizzato con cognizione di causa e competenza.
I fondi si potrebbero trovare –
conclude – destinando alla
realizzazione di percorsi ciclabili una quota delle multe
elevate dalla municipale. Questo è già previsto dalla legge,
perché non si fa?».
Tutto era iniziato con un incontro privato fra il sindaco di
Londra, Boris Johnson, e il suo
omologo romano, Gianni Alemanno. «Dovreste aumentare
le bici in centro», era stato il
consiglio del primo cittadino
inglese. Johnson è un patito
delle due ruote e sul Tamigi ha
fatto istituire un servizio di
bike sharing che dalla sua
inaugurazione, lo scorso 29 luglio, conta circa 300 parcheggi, e arriveranno a 400 il prossimo anno, con stalli per seimila biciclette, noleggiabili 24
ore al giorno, 7 giorni su 7.
L’esborso è stato di circa 25 milioni di sterline e ora Londra
sta realizzando anche una rete
di piste ciclabili, quasi una ragnatela, su ben 12 “superstrade delle biciclette” (letteralmente, cycle superhighways), tra centro e periferie.
Roma, invece, almeno per
ora, ha una manciata di stazioni, solo 29, e un parco biciclette di circa 300 unità. Il
consiglio del sindaco inglese di
realizzare una rete e incentivare
l’uso delle bici in centro rischia
di scontrarsi con la dura realtà. Unico passo in avanti, la
promessa dell’assessore alle
Infrastrutture e Lavori Pubblici
della Regione Lazio, Luca Malcotti, di destinare 760mila
euro ai comuni di Roma, Anzio e Norma (Latina) per la
realizzazione di piste ciclabili
e parcheggi per bici. «Credia-
Jacopo Matano
Giorno del ringraziamento per i 20mila americani in Italia. Alternative nostrane
Nel giorno del ringraziamento, si sa, i tacchini non
ringraziano. Farciti con lo
“stuffing” e accompagnati
dalle “mashed potatoes” e
dalla “pumpkin pie”, i volatili impazzano sulle tavole
degli americani che abitano
in Italia, trasformando l’ultimo giovedì di novembre in
un’occasione per cucinare
una ricetta d’oltreoceano, e
sentirsi un po’ più vicini a
casa. «Castagne, uvetta, sedano, noci, pane raffermo,
spezie. Da preparare in anticipo, perché per ottenere la
doratura della pelle e la completa cottura servono tre ore
e mezza» spiega Martina, illustratrice di Atlanta, in Italia per amore e lavoro, che il
Reporter
nuovo
mo fortemente nell’incentivazione dell’uso del mezzo ciclistico come strumento necessario per diminuire il traffico cittadino e, di conseguenza, come utilissimo mezzo per abbattere la piaga degli
incidenti stradali», ha dichiarato l’assessore. Basterà? Ne abbiamo parlato con Fausto Bonafaccia, presidente e fonda-
tore di BiciRoma, costola dell’Associazione Due Ruote d’Italia.
«Gli stanziamenti a favore
della mobilità ciclistica sono
sempre una cosa buona. L’importante, però, è che si traducano in miglioramenti nelle infrastrutture e nella sicurezza
agli utenti. In particolare – aggiunge – abbiamo chiesto alla
Thanksgiving ma con tacchino Usa
piatto del “Thanksgiving”
lo ha cucinato sotto l’occhio vigile della mamma collegata su Skype «anche se,
per colpa del fuso orario,
mentre io apparecchio per il
pranzo lei prepara la colazione».
«È la prima volta che mi
capita di non fare la fila al supermercato il mercoledì prima del Ringraziamento, è
un’esperienza unica», ribatte Kelly, a Roma da qualche
mese per uno scambio universitario, che ha approfittato
della festività «per far assaggiare la prelibatezza ai
compagni di corso». Come
loro, hanno imbandito le tavole gli oltre 20 mila cittadini
residenti nel nostro paese lavoratori, studenti, personale governativo, militari che non rinunciano alla tradizione. All’ambasciata di
Via Veneto, ad esempio, il
personale con il passaporto
statunitense si è incontrato
per un pranzo insieme una
volta chiuso l’ufficio: «Cerchiamo di ricreare un’atmosfera familiare». Oltre al tacchino («rigorosamente americano!», ci tengono a precisare), il menù diplomatico
è andato sul classico: «Pannocchie, pane di mais, patate dolci, purè con salsa, torta di zucca, salsa di mirtilli,
sformato di fagiolini e numerosi altri dolci ripieni».
La tradizione a stelle e
strisce, comunque, piace anche agli italiani. Se il tacchino va forte tutto l’anno – i
dati della Coldiretti stimano
un consumo annuo della
sua carne per 4,1 chilogrammi a persona – sul web
hanno avuto successo le versioni made in Italy del celebre piatto col pennuto. “Dadi
di tacchino alla birra arti-
gianale con zucca paprikata”
dal blog Sale e Pepe Quanto
Basta, un’apprezzata “tagliata di tacchino con pesto di
rucola e pomodori saltatai”
nel portale Newsfood.com,
mentre dal sito Buttalapasta.it è arrivata la proposta di
un semplice tacchino arrosto
“aperto a farfalla”. Un piatto, si legge, «ottimo anche
per il nostro Natale».
A far incontrare le due
culture, infine, il vino: il californiano Zinfandel e l’italiano Santa Maddalena, proposti dal blog del Gambero
Rosso.
I RISCHI DEL CICLISTA
È un incubo
girare per
la capitale
Parlando di sicurezza
occorre distinguere fra
rischi stradali e rischi sociali. Sotto il primo
aspetto ci sono la pericolosità del traffico urbano ed extraurbano e il
degrado delle piste ciclabili, coperte di detriti e foglie, con vegetazione incolta, buche e
segnaletica divelta o
sbiadita. Per quanto riguarda i rischi sociali, è
sintomatica la cronaca
dei giornali che narra
spesso di podisti e ciclisti aggrediti al Viadotto
della Magliana a causa
del buio. Come dimenticare poi, tre anni fa, la
vicenda del ciclista Luigi Moriccioli, aggredito
sulla pista di Tor di Valle per un cellulare e un
lettore cd, e morto al San
Camillo, 50 giorni dopo,
per le ferite riportate? E
allora ben vengano le
iniziative di associazioni come BiciRoma che
hanno più volte chiesto
rassicurazioni al sindaco
e insistono nel presentare progetti che sfruttino le nuove tecnologie.
Occorrerebbe, fanno sapere i ciclisti, una migliore manutenzione
delle piste ciclabili e la
loro separazione, protezione e delimitazione
con cordoli. Le mere
strisce verniciate a terra,
quando ci sono, tranquillizzano e danno un
minimo di visibilità ma
sono facili da oltrepassare e se un mezzo di
quasi una tonnellata invade la corsia e travolge
il ciclista, le conseguenze sono gravissime. La
sicurezza viene prima
del bike sharing.
M. M.
26 Novembre 2010
7
Costume & Società
Chi parte Gli italiani scelgono mari del sud e vecchio continente per le prossime vacanze
Natale tra crociera e nord Europa
La crisi economica ha costretto molti a scegliere mete più abbordabili
Andrea Pala
Non c’è fila. È mercoledì mattina e
solo una cliente chiede informazioni
all’agenzia di viaggi Nomentano. La
crisi economica ha colpito il settore,
ma la voglia degli italiani di trascorrere Natale e Capodanno all’estero comunque resiste. «Le mete preferite –
dice il direttore tecnico Maria Vittoria
Stefani - sono quelle dei mari dei Sud.
Abbiamo già ricevuto una decina di
prenotazioni per le Maldive. Vanno forte anche le crociere. Sono sempre il
viaggio preferito da tutte le fasce
d’età. La spesa si aggira tra i 2.500 e i
2700 euro a persona. Più economiche
invece le capitali europee. Il costo è tra
i 700 e gli 800 euro. Le mete preferite sono Londra e Parigi. Il periodo più
richiesto è invece quello di Capodanno».
I principali tour operator offrono
diverse offerte per questo periodo. Velatour è un operatore specializzato nel
nord Europa. Propone, infatti, diverse località, tutte situate nella penisola scandinava. «Siamo operativi dal
IL VILLAGGIO Allestita in Finlandia la casa di Babbo Natale
1975 – racconta Maria Terea Omedè,
responsabile della programmazione e
dei prodotti – e abbiamo da sempre
una grande richiesta verso questi
paesi. Offriamo ad esempio un pacchetto per Capodanno in due località della Lapponia, Kemi e Rovaniemi,
dove si trova il villaggio di Babbo Natale. I costi si aggirano intorno ai 1.600
euro a persona, dal 30 dicembre al 3
gennaio». Negli ultimi tre anni il settore ha però risentito della crisi economica si è fatta sentire. «Abbiamo
perso per strada il cosiddetto ceto medio – dice la responsabile di Velatour
– mentre abbiamo mantenuto la clientela che può ancora permettersi certe cifre. Alcuni clienti hanno invece deciso di ridurre le spese, scegliendo vacanze più economiche». Anche gli
amanti della musica classica hanno
delle proposte pensate appositamente per loro. Le organizza il tour operator Alderan, in collaborazione con
l’Accademia di Santa Cecilia. «Ci rivolgiamo – spiega il responsabile
Massimo Savoia – agli appassionati di
musica sinfonica, in particolare alla fa-
scia d’età 50-70 anni. Abbiamo iniziato
nel 2006 offrendo viaggi agli abbonati
alla stagione concertistica dell’Accademia. In un secondo momento abbiamo invece deciso di rivolgerci a tutti». Tra le mete offerte ci sono alcune
città degli Stati Uniti, New York e Chicago, e le principali capitali europee.
È possibile trascorrere il capodanno a
Vienna dal 30 dicembre al 2 gennaio,
con inclusa la partecipazione al celebre concerto di inizio anno alla Konzerthaus. I prezzi oscillano dai 1.680
ai 2.450 euro. Il costo di una poltrona all’interno della sala concertistica
va invece dai 1.880 ai 2.950 euro.
Gli italiani che non vanno all’estero per Natale e Capodanno tendono però a spostarsi da una parte all’altra dell’Italia. Lo rivela un’indagine dell’Istat. I dati raccolti tra Natale 2009 e 6 gennaio 2010 mostrano
come gli italiani si sono spostati
dalla propria regione per trascorrere
le vacanze in un’altra. Il fenomeno ha
riguardato soprattutto il nord-est, con
l’87,8 per cento e il centro, con il 75,5
per cento.
Chi resta Piovono lavori stagionali in librerie, profumerie e grandi magazzini
Il regalo? Impacchettare i regali
Le agenzie reclutano anche camerieri per gli alberghi di lusso
Alessio Liverziani
Martina ha deciso di trascorrere la Vigilia di Natale al
centro commerciale. Dalle
nove di mattina fino alle sei di
sera. Ma non per comprare gli
ultimi regali come la stragrande maggioranza delle sue
amiche. Martina, 21 anni, lavora come promoter. “Sponsorizza” la carta fedeltà di una
nota catena di ipermercati.
«Meglio qui che con i parenti a fare la tombolata», confessa. Roberta, 19 anni, è stata assunta in profumeria con
un contratto a termine. Fino a
gennaio aiuterà le commesse
a fare le confezioni regalo dei
profumi. Anche Luigi, poco
più che ventenne, lavorerà
come “impacchettatore”. Ma in
libreria. «I libri sono un classico da mettere sotto l’albero –
racconta – passerò tutta la
giornata a fare pacchetti».
Sono solo alcune delle storie di tanti giovani che decidono di restare in città per lavorare. Tutti impieghi stagionali, due o tre mesi a cavallo
delle festività natalizie con
possibilità di rinnovo in vista
dei saldi di gennaio. E le op-
8
26 Novembre 2010
portunità non mancano.
mente, di rinunciare a Babbo
Il mercato del lavoro è sem- Natale per guadagnare un po’
pre stato lo specchio della cri- di euro.
si. I principali interlocutori
«Lo scorso anno ci fu una
del settore, le agenzie di re- forte tendenza decrescente alle
clutamento, stanno riscon- spese di Natale – spiega Andrea
trando un incremento delle ri- Malacrida, direttore commerchieste da parte dei principa- ciale marketing di Adecco Itali operatori commerciali. Dal- lia – e una conseguente dimila Grande distribuzione orga- nuzione delle richieste di pronizzata (Gdo) al settore turi- fili di lavoratori per quel pestico-alberghiero, passando riodo». Quest’anno la tenper l’universo “retail” della denza è cambiata. «Registriavendita al detmo un picco
taglio. Tutti
di richieste –
«Quest’anno sarà
sono alla risottolinea –
cerca di per- il comparto alimentare proprio nei
sonale per il
settori della
a trainare le ricerche Gdo e della
periodo natalizio. Segnale
regalistica».
di personale»
di acquisti
Cassieri,
compulsivi ai
scaffalisti, maquali gli italiani non riescono gazzinieri, addetti alle vendia rinunciare.
te, promoter e i tradizionali
Ma c’è sempre il risvolto “impacchettatori”, gli addetti
della medaglia. Perché se da un al confezionamento dei pacchi
lato c’è chi la crisi la governa regalo. Questi sono i “lavorete spende migliaia di euro tra ti” natalizi che rimpigueranno
spesa, regali e vacanze, dal- le tasche dei giovani “in crisi”.
l’altro c’è chi questi regali li Tutti impiegati in quei settori
deve vendere, impacchettare, che “sotto l’albero” vanno per
organizzare. Insomma, ci sono la maggiore: abbigliamento,
più opportunità per chi dalla tecnologia e profumeria. Sencrisi ancora non è uscito e de- za contare i generi alimentari.
cide, più o meno volontaria- Per l’amministratore delegato
di Ramstad Italia, Marco Ceresa, quest’anno «sarà il comparto alimentare a trainare le
ricerche di personale». Insomma, crisi sì, ma non a tavola. Di risparmiare sul cenone di Natale, gli italiani non ne
vogliono proprio sapere.
Di necessità virtù, dunque.
Per un italiano che spende ce
n’è sempre uno che guadagna.
Con la differenza che il secondo salta le vacanze. E pensare che in molti saranno reclutati proprio nel settore turistico. Tour operator, agenzie
di viaggi e grandi catene di hotel sono a caccia di personale
per soddisfare le esigenze di chi
decide di partire verso le mete
più disparate. «Addetti all’accoglienza e alla ristorazione negli alberghi – conferma Cristiano Ianna, direttore generale
di Metis – sono le figure più richieste dalle aziende che si preparano alla stagione sciistica e
nelle città d’arte che richiamano turisti». Ma c’è anche chi
resta in città per una nobile
causa. Alle mense dei poveri
migliaia di volontari servono il
pranzo di Natale. La paga? Il
sorriso di chi non ha né lavoro né vacanza.
AFFOLLATI I centri commerciali il giorno della Vigilia
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