OLTRE 6 - Gennaio Aprile 2007

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OLTRE 6 - Gennaio Aprile 2007
OLTRE
Il giornale dello spazio privato del SE'
Quadrimestrale di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia.
Num. 6 - Genn. / Aprile 2007 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856
del 06/04/2005 - Dirett. responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta Iscritto all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al
17/07/1989 - Strada
S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 011 95 86 167
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SOMMARIO
(Il numero indica la pagina)
1 Rapporto causa-effetto? - 3 Lutto, angosce psicotiche e chirurgia. - 4 Tempo di scelte
scolastiche. 4 Ancora sulla depressione, ovvero: sulla mancanza di AUTOSTIMA. 7 La bugia. - 8 Una grande occasione perduta. 9 Il vero ed il falso nella violenza contro la
donna. 10 Bisessualità & omosessualità & eterosessualità: il lesbico. - 11 Indice dei
contenuti di OLTRE 2005/06 - 12 Il curriculum di Ugo Langella - 12 "OLTRE" per posta
elettronica.
RAPPORTO CAUSA-EFFETTO?
Ci dicono che la spesa sanitaria è fuori controllo, che oggi in Italia si spende troppo in esami
diagnostici, che molti di questi sono inutili come sembrano esserlo anche tante corse al pronto
soccorso. Dicono, insomma, che l'Italia si sta medicalizzando eccessivamente.
Ma sono ormai alcuni anni che i canali della televisione di stato e non solo, somministrano
agli spettatori in prima serata non già dei film porno, che sarebbe troppo facile gridare allo
scandalo, ma qualcosa di più negativamente sottile: puntate e puntate di finzioni televisive
ambientate in campo medico, o meglio: chirurgico, dove sale operatorie, degenti con i tubi di
drenaggio nel naso e la maschera dell'ossigeno, defibrillatori, obitori, dominano la scena
mentre i medici, maschi e femmine, sembrano più impegnati ad amoreggiare fra di loro che
non ad occuparsi dei pazienti. Quando si ha bisogno di somministrare ai bambini qualche
pillola che si presume venga respinta poichè di cattivo gusto, si ricorre ad una bevanda
Si potrebbe allora supporre, che le storie d'amore, di sesso e di corna,
zuccherata.
costituiscano "lo zucchero" per meglio somministrare allo spettatore un qualcosa di indigesto:
cioè la suggestione di tipo medicalizzante, allo scopo di creargli o rinforzargli angoscia e
panico davanti ad ogni sintomo di malattia organica, destinato poi ad essere fugato proprio
dalla medicalizzazione stessa, farmacologica o chirurgica che sia. Controprova: quanti
starebbero davanti alla tivu a sorbirsi i documentari che vengono presentati ai chirurghi nei
vari convegni, per illustrare questo o quel progresso della chirurgia? Beh, i sadici non
mancano, ma certamente trovarsi a digerire la cena insieme alla famiglia davanti ad un
cervello, un cuore o uno stomaco aperti, e non per finta, potrebbe suscitare qualche protesta e
far calare l'indice di ascolto. Già, l'indice di ascolto! Lasciamo ad altri il commento sulla
maggiore preoccupazione per quest'ultimo rispetto alla qualità dei programmi. Certo, si
potrebbe pensare che non si voglia che le persone pensino davanti al video, poichè potrebbero
accorgersi che i polpettoni come quelli, e chissà quali altre trasmissioni, hanno intendimenti e
finalità non dichiarate, raggiungibili attraverso l'uso delle tecniche ipnotiche: catturare
l'attenzione del soggetto mandandolo in trance, cioè immergendo il suo IO in qualcosa che lo
coinvolga totalmente e lo allontani dal "luogo del delitto", ed a quel punto con parole, suoni
e/o immagini appositamente studiate, introdurgli nella mente delle suggestioni che abbiano la
funzione di avvicinarlo o allontanarlo da questo o quel comportamento; cioè condizionarlo. E'
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quanto
fanno
nel
loro
studio,
su
autorizzazione del paziente, i medici o gli
psicologi che si servono dell'ipnosi. Il
telespettatore,
invece,
senza
essere
preventivamente informato del rischio di
rimanere suggestionato da quanto vede, per il semplice fatto di avere il televisore acceso ed
essere sintonizzato su quel canale come se ciò equivalesse ad una forma di consenso, viene
attirato in una situazione il più possibile distraente per l'IO: le corna, e quindi manipolato.
Dato però che questa manipolazione ha come oggetto l'ospedale (che in genere si tratti di
cliniche private, avrà un significato?), con annessi e connessi, in tal modo gli vengono
introdotti nella mente questi scenari di estrema medicalizzazione che lui, indifeso, in quanto
assorbito dalle storie di corna, non è in grado di respingere.
Invecchiando, è preferibile darsi una calmata
piuttosto che farsi mettere il pace-maker,
anche perchè se ripotenziamo la pompa, i
"tubi" potrebbero non reggere.
Avviene allora che, alla lunga, questo bombardamento comincia a far sentire i suoi effetti,
per cui gli individui già sensibilizzati dalle loro angosce somatizzate le avvertono
maggiormente; quelli meno sensibilizzati incominciano ad esserlo e tutti, al ridestarsi di ogni
più piccolo sintomo si precipitano dal medico a chiedere esami diagnostici e/o farmaci, con
tutte le conseguenze per la sanità pubblica di cui sopra. Oppure c'è chi, spaventato al pensiero
di avere davvero una qualche patologia, e quindi diventare oggetto di attenzione del chirurgo
come i pazienti che vede sullo schermo, preferisce negarla, con tutti i rischi del caso; talvolta
anche il suicidio. Domanda: non sarebbe meglio evitare o ridurre questo tipo di immagini,
soprattutto in uno spettacolo di intrattenimento? Ottima la prevenzione, (ma ciò la
promuove?) qui però si suggestiona! A chi giova insistere? Tutto ciò sarà pilotato? Ci rifletta
il lettore: in questi ultimi anni il martellamento in questa direzione da parte delle emittenti
televisive ha raggiunto le due, tre trasmissioni alla settimana. Persino i telegiornali sembrano
non riuscire ad evitare di presentare ogni giorno almeno qualche immagine di centri di
rianimazione o di sale operatorie. Non è troppo per pensare che tutto ciò sia soltanto casuale?
Se è vero che un attore che fuma sullo schermo spinge molti spettatori all'imitazione, idem se
beve alcolici o se scopa, non è pensabile che avvenga la stessa cosa se si parla così
frequentemente di malati? La pubblicità funziona in base agli stessi principi: attirare
l'attenzione, distrarre, suggestionare, suggerendo o rinforzando in tal modo bisogni o
paure, allo scopo di spingere lo spettatore a soddisfare i primi o evitare le seconde, imitando i
protagonisti della pubblicità stessa. E allora, perchè non pensare che lo sfruttamento della
medicalizzazione, soprattutto all'interno dell'intrattenimento o dell'informazione televisivi,
sia proprio finalizzato a spingere lo spettatore al "consumo" di tutto quanto fa medicina, a
vantaggio di tutti quelli che di medicina si occupano, in primo luogo le case farmaceutiche ed i
costruttori di apparecchi ed attrezzature medicali? In tal modo, non si spinge forse lo
spettatore verso la medico-dipendenza e la farmaco-dipendenza? E non potrebbe essere
proprio questa lobby a suggerire e finanziare queste trasmissioni?
Mi diceva poco tempo fa una farmacista in zona: "Noi e voi (psicologi) non siamo
compatibili!" Visto il clima, fra me pensavo nell'ascoltarla, anche se un pò allibito per tanta
chiarezza, a ulteriore conferma della sorda lotta che i medici hanno fatto e stanno facendo
contro di noi in Parlamento per cacciarci dai territori che abbiamo loro sottratto, bisogna
proprio che lo psicologo abbia UNA CONVINZIONE TOTALE in quello che dice quando
cerca di invitare il paziente a resistere agli enormi condizionamenti delle religioni da un lato, e
della medicalizzazione dall'altro, e di andare invece a cercare nel proprio modo di essere le
origini delle angosce e delle conseguenti somatizzazioni, in modo da prevenire, laddove
possibile, almeno l'intervento del chirurgo.
E' tutt'altro che vero, poi, che medicina e psicologia siano incompatibili. Mentre i medici
cosiddetti organicisti, e sono la maggioranza, rifiutano nel modo più assoluto ogni rapporto
fra psiche e soma, nessuno più dello psicologo è convinto che gran parte delle patologie
organiche siano la conseguenza del modo di essere e di vivere del soggetto, prima ancora dei
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nefasti effetti delle varie forme di inquinamento ambientale. Si comincia con una patologia
sintomatica, spesso banalizzata, e col passar del tempo questa diventa funzionale. Ma nel
frattempo, ci si era chiesti da dove potesse derivare? Sbagliato minimizzarla, ma sbagliato
anche pretendere di curarla definitivamente, salvo asportare l'organo, senza chiedersi se a
livello psichico possa avere un qualche significato. E' un errore da parte dei medici il
rifiutare l'aiuto degli psicologi, tanto più oggi che hanno perso la capacità di parlare ai loro
pazienti. Ippocrate era più aperto! Ed è in questo specifico bivio che trasmissioni televisive
mirate possono spingere il soggetto a prendere a oltranza la strada della medicina e della
chirurgia anzichè quella della psicologia, tanto più se è proprio il paziente a preferirlo anche a
costo di perdere pezzi del proprio corpo, purché non sia costretto ad affrontare il contenuto
delle sue angosce. Salvo poi, quando neppure il chirurgo basta, affidarsi alla religione.
LUTTO, ANGOSCE PSICOTICHE E CHIRURGIA
M. Klein nel 1940 scriveva: "Nel lutto si riattivano anche le antiche angosce psicotiche".
(Scritti - Pag. 337) Ebbene: quante persone trasformano le angosce psicotiche del LUTTO in
patologia organica, anzichè scaricarle liberamente con tutta l'intensità emozionale che esse
richiederebbero? Circa la definizione di LUTTO, si vedano in "OLTRE" n. 5: Il lutto Depressione, ovvero la definizione trappola.
Il lettore si guardi attorno: quanti individui fra amici, parenti e conoscenti, si sono ammalati
fisicamente nei primi dodici mesi del lutto conseguente alla morte di una persona cara?
Quante persone si ammalano dopo una separazione coniugale, dopo che i figli se ne sono
andati di casa per matrimonio o altro, dopo una bocciatura scolastica, dopo la perdita di un
posto di lavoro, dopo l'essere andate in pensione, dopo una perdita finanziaria, dopo aver
cambiato città o residenza? LUTTI di vario genere, natura e consistenza. E quante di queste
persone hanno finito per ricorrere al chirurgo? Se attingo dalla mia esperienza di oltre
trent'anni di colloqui, posso rispondere: un'elevata percentuale. Del resto, in analoghe
situazioni alcuni si suicidano, segno che la pressione psicologica delle angosce psicotiche del
lutto viene ritenuta insostenibile. Scaricarle sul corpo evita questi gesti estremi, ma sarebbe
preferibile mantenerle presenti alla coscienza come una temporanea follia, anche se possono
essere "viste" dalle persone che ci circondano, sopportando che sia l'azione del tempo a
lenirle, in un processo del lutto più naturale ed umano. In diversi manuali di antropologia
(Louis-Vincent Thomas, A. Di Nola, etc.) si descrivono i rituali del lutto in uso presso le
diverse popolazioni. Oggi in occidente queste consuetudini vanno sempre più perdendosi,
come se le persone si vergognassero di manifestare agli altri tutta l'intensità del loro dolore,
ma in tal modo il lutto non viene elaborato e finisce per somatizzarsi, cioè per passare dalla
mente al corpo, lasciando poi al chirurgo il compito di eliminarlo.
Se consideriamo che l'elaborazione del lutto è un processo psicologico, consistente non
soltanto in una intensa reazione emozionale di tipo depressivo, ma anche in una revisione dei
nostri rapporti con il defunto, con tutte le recriminazioni e colpevolizzazioni che ciò comporta,
se tutto questo anziché essere affrontato viene respinto dalla coscienza e scaricato sul corpo
come una sorta di autopunizione facendolo ammalare, (comoda riparazione!), non è che il
lutto in tal modo venga eliminato, ma semplicemente congelato; rimosso, si dice in
psicoanalisi. A questo punto si presentano due possibilità. Se il lutto somatizzato non è di
grande intensità, anche perchè parzialmente affrontato, l'organo sul quale è stato scaricato
può riprendersi rapidamente anche da solo o con un breve trattamento antisintomatico. In
caso contrario si assommerà ad altri lutti, somatizzandosi o sullo stesso organo della volta
precedente o su altri, rendendo questa volta indispensabile il ricorso al chirurgo. Spesso ciò
consente di fondere le emozioni depressive rimosse con le sofferenze del decorso postoperatorio, le quali ad occhi esperti potranno apparire spropositate rispetto all'evento, mentre
consentiranno di ingannare l'osservatore casuale circa la loro vera natura. Se purtroppo
ancora una volta tale opportunità di elaborazione del lutto viene vanificata, c'è allora da
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temere che prima o poi quello si somatizzi su altri organi, in una catena senza fine qualora
anch'essi diventassero oggetto di attenzione da parte del chirurgo. Nella medicina
psicosomatica, la branca della psicologia che studia il rapporto fra la psiche e le patologie del
corpo (soma), le parti di quest'ultimo destinate ad ammalarsi vengono chiamate: ORGANI
BERSAGLIO ed hanno, a livello simbolico, un rapporto più o meno diretto con l'aspetto
psicologico sottostante.
Bibliografia essenziale:
-F. Alexander - Medicina psicosomatica - Astrolabio
-Felix Deutsch - Il misterioso salto dalla mente al corpo - Martinelli.
-Franco Fornari - Affetti e cancro - R. Cortina
-Anna Freud - L'IO e i meccanismi di difesa - Martinelli.
-Arthur Jores - Trattato di medicina psicosomatica - Giunti / Barbera
TEMPO DI SCELTE SCOLASTICHE
Gennaio è il mese delle iscrizioni alle classi superiori delle scuole di ogni ordine e grado, esclusa
l'università. E' ormai il quarto anno che è consentito iscrivere alla prima elementare i bambini che
compiranno i sei anni nei mesi successivi al suo inizio.
Per quanto mi risulta, non sono ancora state fatte ricerche che confermino o smentiscano la
validità della Legge che lo consente, cioè: i risultati scolastici dei bambini che sono andati a scuola
prima dei sei anni non sono ancora diventati oggetto di indagine sistematica. La cosa che lascia
perplessi, è che tale scelta viene lasciata alla discrezionalità dei genitori, senza che i professionisti
della scuola: gli insegnanti, abbiano la possibilità di esprimere il loro parere, che talvolta potrebbe o
dovrebbe essere negativo. Probabilmente il fenomeno nel suo complesso è ancora talmente
marginale da non farne sentire la necessità, mentre invece dovrebbe essere comunque affrontato in
modo scientifico per il bene stesso del bambino, anche allo scopo di non esporlo ad un
affaticamento da competizione con dei compagni che, a parità di classe, potrebbero essere sino ad
un anno più vecchi, il che a quell'età è quasi un abisso.
Sarebbe preferibile che si fissassero dei
criteri sui quali basarsi per consentire tale precoce accesso alla scuola elementare, consistenti ad
esempio nel pretendere il raggiungimento di un insieme di apprendimenti di base irrinunciabili, fra
i quali un'adeguata percezione spaziale, (destra / sinistra, alto / basso, fuori / dentro, lungo / corto,
sotto / sopra, vicino / lontano, davanti / dietro, piccolo / grande / uguale, stretto / largo, diritto /
curvo / inclinato, etc.), il possesso di elementi di prescrittura e precalcolo, un'adeguata
sensibilità cromatica, manuale, musicale, motoria, comportamentale e altro. Ma il fatto è che i
valori di comparazione per definire iscrivibile anticipatamente un soggetto alla prima elementare
non esistono, per cui occorrerebbe fare delle ricerche per definirli.
Che dire allora ai genitori che hanno siffatte intenzioni? In primo luogo che si chiedano qual'è
la loro motivazione. Essa dovrebbe essere basata esclusivamente su di una effettiva maggiore
maturità del bambino rispetto ai coetanei, non solo dal punto di vista cognitivo come sopra
descritto, ma anche e soprattutto affettivo. Mi diceva un insegnante che nei bambini iscritti prima
dei sei anni con i quali aveva avuto a che fare, e spesso anche con quelli di sei anni compiuti, il
problema principale, prima degli aspetti di tipo cognitivo talvolta tutt'altro che carenti, consiste
nella tendenza a confondere l'insegnante con un sostituto della madre di cui evidentemente hanno
ancora bisogno, mal sopportando ogni richiesta di adeguamento alla realtà scolastica poichè da loro
intesa come un invito alla rottura della simbiosi bambino-mamma, con tutti gli aspetti regressivi
che ciò comporta: dal pianto alle evacuazioni nelle mutandine alle difficoltà alimentari,
comportamenti destinati a turbare l'attività della classe ed a favorire la regressione di altri bambini
ancora instabili sotto questo aspetto. E' evidente, allora, che per tali casi il passaggio forzato dalla
scuola materna a quella elementare è traumatico, ma non lo è meno anche per i bambini di sei anni
compiuti se hanno ancora tali reazioni, e meglio sarebbe per tutti pazientare ancora un anno.
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ANCORA SULLA DEPRESSIONE,OVVERO:SULLA MANCANZA DI AUTOSTIMA
Nel precedente numero di OLTRE, il n. 5, ci eravamo soffermati a lungo ed estesamente
sulla definizione di DEPRESSIONE, e si era soprattutto messo in risalto come l'uso di tale
termine costituisse una trappola, cioè una strada senza uscita che faceva fare al malcapitato la
fine del topo, in quanto tale definizione esprime il modo in cui un soggetto si sente ma non lo
aiuta in alcun modo a risalire alle cause, a tutto vantaggio di chi produce, vende e
somministra psicofarmaci. Dato che tutto l'articolo era incentrato sulla DEPRESSIONE
ENDOGENA, termine psichiatrico ormai a torto abbandonato che attribuiva alla depressione
un'origine di tipo endogeno, cioè proveniente dal profondo della psiche, cioè in gran parte
inconscia e/o preconscia, avevamo evidenziato come l'elemento nucleare di essa fosse
costituito dal LUTTO, citando le parole di M. Klein: "Io sostengo, scrive la Klein, che il
bambino attraversa stati psichici equivalenti al lutto degli adulti... Ogni volta che più tardi
nella vita si prova tale cordoglio, si rivive il lutto infantile..." (Pag. 327) "Il lattante prova dei
sentimenti depressivi che giungono al culmine all'epoca dello svezzamento e nei periodi che
immediatamente lo precedono e lo seguono. Ciò determina e anzi costituisce quello stato
psichico del lattante che ho denominato posizione depressiva e che ho ipotizzato come una
melanconia in statu nascendi". (Pag. 302) "L'oggetto del cordoglio è il seno materno e tutto
ciò che il seno e il latte significano per la psiche infantile, vale a dire: amore, bontà,
sicurezza..." (Pag. 327) Per capire meglio tutto il discorso sarebbe opportuno che il lettore
andasse a rivedere quelle pagine di OLTRE o le pagine indicate degli "Scritti" di M. Klein.
Ne deriva che non solo la perdita degli elementi sopra descritti, e cioè: "... il seno materno e
tutto ciò che il seno e il latte significano per la psiche infantile, vale a dire amore, bontà,
sicurezza..." SIA ALLA BASE DEL LUTTO E QUINDI DELLA DEPRESSIONE
ENDOGENA, MA ANCHE I SOSTITUTI, cioè tutti quegli elementi reali e/o figurati che nelle
epoche successive, anche da adulti, hanno avuto in qualche modo il potere di darci più o meno
illusoriamente le stesse sensazioni di benessere, riportandoci al periodo precedente alla
perdita del seno. Detto questo, riferendoci a quanto scritto dalla Klein avevamo insistito sul
fatto che LA DEPRESSIONE NON È UNA MALATTIA, MA IL SINTOMO, LA
CONSEGUENZA, L'ESPRESSIONE DI UNA VERA PATOGENESI: IL FALLIMENTO
DELL'ELABORAZIONE DEL LUTTO INFANTILE, RIATTIVATO DA UNA O PIU'
SITUAZIONI DEL PRESENTE. Questo per quello che riguarda la depressione endogena,
come prima detto. Ma in psichiatria vi era un'ulteriore definizione associata al concetto di
depressione: DEPRESSIONE ESOGENA, che stava ad indicare come l'origine della
depressione potesse essere dovuta a situazioni esogene cioè esterne all'individuo o comunque
non del tutto inconsce, cioè attribuibili in qualche modo al presente.
Uno dei fattori che M. Klein riteneva fondamentali nell'elaborazione del lutto, era costituito
dalla capacità del bambino di riparare l'oggetto materno dentro di lui poichè: "...La perdita
[cioè il lutto], è una conseguenza della propria incontrollabile avidità nonché degli impulsi e
delle fantasie distruttive nei confronti del seno materno." (Pag. 327) La riuscita
dell'operazione di riparazione comporta un effetto positivo di enorme estensione: innanzitutto
attenua i sensi di colpa ma soprattutto dà o ridà al bambino la fiducia in sè stesso e nel
proprio oggetto interno buono, cioè lo rafforza nella convinzione che l'oggetto amato dentro
di lui
è stato da lui restaurato, e che quindi la sua propria distruttività non è poi così
pericolosa nè per sè stesso e nè per gli altri. Per dirla in altri termini: IL SUCCESSO DELLA
RIPARAZIONE AUMENTA L'AUTOSTIMA. Ne deriva che le cadute di autostima che si
verificano nel corso del tempo, rimettono in discussione dentro di noi l'oggetto interno buono
e quindi l'efficacia della nostra riparazione nella originaria elaborazione del lutto,
riportandoci a quelle sofferenze depressive che sopra abbiamo descritto, cioè, in parole
povere, alla colpa e quindi alla depressione. Se effettivamente c'è stato un fallimento
dell'elaborazione del lutto, tale depressione dovuta alla caduta di autostima apparirà
sproporzionata all'evento, e potrà essere chiamata depressione endogena. Se invece gli eventi
che hanno favorito la caduta di autostima non daranno luogo ad una depressione
sproporzionata all'evento, ma vi sono concreti elementi che, passato il primo momento di
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stupore l'individuo sia in grado di reagire, lo stato di lutto in cui comunque il soggetto incappa
viene definito: depressione esogena, cioè una depressione non così profonda come la
precedente. Facciamo un esempio. Un'azienda chiude e lascia a casa tutti i dipendenti. E'
comprensibile che in tutti vi sia un contraccolpo depressivo dovuto al lutto come perdita del
posto di lavoro e la conseguente insicurezza. Negli individui in cui il l'elaborazione del lutto
infantile era fallita, quel fallimento viene agganciato dal nuovo lutto, che facendo crollare
l'autostima appare insostenibile, dando luogo quindi ad un'intensa depressione di tipo
endogeno, con rischi suicidari diretti, o indiretti attraverso l'esplosione di gravi patologie,
oppure omicidari. Se invece l'elaborazione del lutto infantile era stata condotta a buon fine, si
avrà comunque una caduta dell'autostima ma non un crollo, per cui l'individuo passato il
primo periodo di stordimento, che possiamo definire di depressione esogena, si rimboccherà le
maniche e si darà da fare.
Il lettore potrebbe aver capito poco di quanto scritto, ma dovrebbe sicuramente aver capito
che maggiore è la caduta dell'autostima e maggiore è la conseguente depressione, e che il
crollo dell'autostima sarebbe dovuto alla riattivazione della depressione causata dal
fallimento dell'elaborazione del lutto infantile, con i rischi sopra denunciati. Come dire che lo
stesso evento potrebbe avere un impatto diverso fra un individuo ed un altro, a seconda se
l'elaborazione del lutto infantile che esso aggancia, ha avuto successo oppure no. Dovrebbe
anche aver capito che l'autostima nasce nella primissima infanzia dalla propria capacità di
elaborare costruttivamente una situazione colpevolizzante che ha a che fare principalmente
con la figura materna, e cresce ogni volta che nella vita sappiamo metterci in discussione come
allora. Per quanto possa sembrare, l'AUTOSTIMA NON è narcisismo ne' millanteria, e si
esprime attraverso una legittima e giustificata soddisfazione di sè per il successo ottenuto
attraverso una positiva serie di operazioni tendenti ad un risultato costruttivo. Sarebbe
preferibile che l'autostima rimanesse qualcosa di esclusivamente nostro, o al più condiviso
con le persone amate grazie alle quali indirettamente tale successo è stato raggiunto.
Tutto questo ha valore in sè e per sè, ma nello stesso tempo costituisce l'introduzione a
quanto segue, che ha per oggetto esclusivamente l'AUTOSTIMA. So di essere criticabile,
tuttavia ritengo che sia un male che i lavoratori dipendenti si adagino nella certezza di
un'assunzione a tempo indeterminato, non tanto poichè ciò può non far bene all'azienda in
cui lavorano, ma in primo luogo poichè "fa male" all'autostima. Infatti, laddove si rendesse
necessario, l'individuo potrebbe non essere più in grado di organizzarsi autonomamente.
Oserei addirittura proporre che qualsiasi lavoratore dipendente dovrebbe predisporre un
piano di emergenza per ogni
evenienza, preferibilmente costituito da una solida
professionalità qualsiasi cosa faccia, ma anche da valide alternative. La speranza è che non
abbia mai bisogno di ricorrere a questo piano di emergenza ed è l'augurio che gli faccio, ma è
certo che in tal modo manterrebbe elevato il suo livello di autostima anche come lavoratore
dipendente. Tuttavia c'è un periodo della vita in cui essa viene messa a dura prova, ed al quale
spesso si pensa solo in termini liberatori: il pensionamento. Io trovo che la pensione sia una
diabolica tentazione. Sono del parere che non si dovrebbe mai andare in pensione ma che
piuttosto il lavoro, subordinato o non, andrebbe completamente ripensato in modi e tempi in
funzione del progredire dell'età per una continuità senza limiti, se lo si desidera. Ma essendo
ciò un'utopia, è preferibile che sia il soggetto come singolo a cautelarsi ed a provvedere.
CIOE': SONO CONVINTO, CHE SE VOGLIAMO MANTENERCI IN BUONA SALUTE ED
INVECCHIARE IL PIU' TARDI POSSIBILE, DOBBIAMO DARCI DA FARE PER TENERE
SEMPRE ALTO IL NOSTRO LIVELLO DI AUTOSTIMA, che molto, troppo spesso il
pensionamento ridimensiona drasticamente. Certo ci saranno pensioni più alte o più basse,
ma è sbagliato credere che chi ha una pensione più alta sia esente dal problema. Anzi: se ha
una pensione più alta significa che era più in alto e se cade dall'alto si fa più male. Perchè
molti pensionati si abbruttiscono davanti alla televisione, nelle piazze dei centri urbani in
inutili discussioni, nei giardini, in coda negli uffici pubblici, nei supermercati, nelle case dei
figli pronti a sfruttarli e dai quali si lasciano sfruttare pur di mendicare socialità e affetti, in
attesa se non della morte di un ottundimento del cervello che serva ad annegare la
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frustrazione dell'essere stati messi da parte? Semplicemente poichè non hanno nulla da fare e
fuori dal lavoro svolto per alcuni decenni, non sanno fare nulla! Tutto questo abbassa in
modo indecente il livello di autostima, e accelera il decadimento fisico, psichico, relazionale ed
affettivo: fa arrivare presto al pannolone! MA COME FARE PER TENERE ALTO IL
NOSTRO LIVELLO DI AUTOSTIMA? Quando si è più giovani, puntando ad un continuo
approfondimento della nostra professionalità qualsiasi cosa si faccia, cioè lavorando nel
migliore dei modi PER LA NOSTRA SODDISFAZIONE in primo luogo, comportandoci in
quello che facciamo con una competenza da "liberi professionisti" anche se siamo lavoratori
dipendenti. Non dobbiamo aspettare che sia sempre il padrone a proporcelo, e mi si permetta,
a finanziarlo, nel senso che se per lavorare bene ritengo indispensabile possedere una certa
formazione o un certo strumento, ma il padrone non vuole spendere, provvedo io nel mio
tempo libero, o me lo compero, sempre che i costi siano alla mia portata! Lo dobbiamo alla
nostra soddisfazione, alla NOSTRA AUTOSTIMA! Quel padrone potrebbe non apprezzarlo,
ma sicuramente qualche altro si. Quando poi la pensione si avvicina: "OCCORRE UN
PROGETTO PER IL DOPO!" mi diceva una persona ormai prossima. Un progetto per
combattere nel modo più assoluto ogni tentazione di pigrizia mentale. Un progetto di lavoro
allo scopo di continuare a valorizzare le proprie abilità, e certamente non a gratis e non nel
volontariato, poichè né l'uno e né l'altro costringono l'individuo ad un autentico impegno. I
soldi potranno fare schifo, ma solo essi costituiscono il vero riconoscimento della validità di
ciò che facciamo. Se la nostra AUTOSTIMA si manterrà alta, ci sentiremo più forti, saremo
meno esposti ai raggiri del primo cretino che passa, il nostro sistema immunitario sarà più
resistente, la tensione della nostra muscolatura ci eviterà facili cadute e quindi fratture, e
tante altre cose che tutti sappiamo accadere negli anziani, che se non potremo evitare,
sicuramente allontaneremo nel tempo. Ma non si dovrà aspettare la pensione per avviare tale
progetto, poichè in quel momento ci troveremmo indeboliti dalla depressione del lutto,
checché ne dica chi asserisce di non vederne l'ora. Occorrerà pensarci almeno tre, quattro
anni prima, dedicando gli ultimi due anni di lavoro all'avvio sempre più concreto di tale
progetto, che dovrebbe decollare definitivamente pochi giorni dopo il pensionamento. Giorni,
non mesi!
Ma a che serve tutto ciò se la morte si avvicina, e il tempo rimanente sembrerebbe non
bastare? "Meglio piuttosto morire lasciando le cose incompiute, che nemmeno incominciarle
per paura di non riuscire a vederle finite". E' la sintesi della risposta del Re di Francia
Francesco I al cardinale di Ferrara, che chiedeva al re se valeva la pena che il Cellini si desse
da fare per portare a termine quanto il re gli aveva richiesto, vista la mole di lavoro. Al che
rispose il Cellini: "Tutti i principi che incoraggiano i loro sudditi come sta facendo sua
maestà, possono stare certi che qualsiasi grande impresa può essere portata a termine!" (B.
Cellini - La vita - Parte II - Cap XV) E siamo nel 1540! Che dovremmo dire allora noi, oggi
che le prospettive di sopravvivenza sono aumentate di oltre 20 anni rispetto ad allora? Non
merita quindi darci da fare al fine di non sprecare il lungo tempo che potremmo ancora
trovarci davanti, e che potrebbe essere ancora più lungo se sapremo tenere sempre alto il
nostro livello di autostima?
LA BUGIA
La bugia (comportamento così definito soprattutto se riferito ai bambini o agli anziani molto
regrediti, mentre per gli adulti si parla di menzogna anche se è la stessa cosa), consiste in un
occultamento o in una modificata esposizione di fatti, allo scopo di:
menzogna patologica
- ottenere vantaggi sia reali che di immagine (in tal caso si tratterebbe di millantato credito)
- evitare danni di immagine
- evitare complicazioni
- evitare il rischio se non di essere puniti, di essere sgridati
- evitare danni sotto forma di sensi di colpa, nel dover ammettere la verità
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- evitare i conflitti interni
menzogna non patologica
- quando la verità danneggerebbe noi e/o altri
- quando la menzogna favorisce il bene delle persone a cui si mente.
Visto questo insieme eterogeneo di situazioni che favoriscono la menzogna, non si può
affermare, come gli adulti raccontano ai bambini, che si debba sempre dire la verità. No. Talvolta,
anzi, è proprio un bene non dirla. Non essendo però i bambini capaci di distinguere quando non
bisogna mentire da quando è consigliabile farlo, (o meglio: essendo loro capaci di distinguere solo
quando ne sono interessati per ottenere o evitare qualcosa), gli adulti preferiscono non scendere
troppo nei particolari, il che comunque genera in loro confusione allorché sentono che gli adulti con
altri adulti mentono. In realtà non è poi così vero se i bambini si sono fatti un'idea esatta della
persona alla quale gli adulti affettivamente significativi mentono.
Fra tutte le cause che possono portare alla menzogna:
- evitare danni sotto forma di sensi di colpa, nel dover ammettere la verità (come se la
bugia più che altro venisse raccontata a noi stessi, cioè noi stessi preferissimo non vedere la verità
poichè riconoscerla ci esporrebbe ai sensi di colpa), mi sembra la più penosa, poichè espone chi
la riscontra ad un conflitto fra l'accettare la menzogna in quanto tale purché chi ha mentito
non si senta in colpa, favorendo così altre menzogne, o preferire la verità esponendo alla
vergogna il mentitore, tanto più se è una persona che si ama. Che fare allora? Penso che sia
preferibile analizzare bene, insieme, quanto ha dato luogo alla menzogna e verificare se non vi sia,
come probabile, una eccessiva tendenza all'autocolpevolizzazione, cioè un SUPER-IO rigido che
va invece ridimensionato. E se invece i sensi di colpa fossero giustificati poichè la causa della
menzogna è davvero grossa? Beh, allora, se si vuole davvero bene a quella persona c'è una
sola cosa da fare per evitare che menta: condividerli. Se insiste a mentire significa che il peso
della colpa (e fors'anche della punizione) le appare insostenibile e quindi preferisce negare la
prima, esponendosi però ad ulteriori complicazioni con sè stessa e con gli altri che è meglio aiutarla
ad evitare, forzandola con delicatezza e pazienza nel nome dell'affetto. Generalmente in tal modo si
ottiene il risultato sperato, e spesso l'interessato arriva a confessarci la causa della sua menzogna,
che potremmo scoprire con dolore di essere molto spesso noi stessi per il nostro modo di reagire
davanti a determinate situazioni.
UNA GRANDE OCCASIONE PERDUTA!
Premessa - Questo lavoro è stato scritto in concomitanza della sepoltura di papa Giovanni Paolo
II, nel 2005. Ho preferito lasciarlo "raffreddare" nel cassetto prima di pubblicarlo.
Se Papa Giovanni Paolo II avesse espresso nel testamento il desiderio di essere cremato, e che poi
le sue ceneri venissero sparse nell'oceano, (come posto indefinito) assai probabilmente in Occidente
il rito della sepoltura si sarebbe rapidamente trasformato, con gran sollievo delle amministrazioni
comunali. Purtroppo ciò non è avvenuto, e a parte quindi l'occasione perduta, ciò ha sancito ancora
una volta la differenza fra gli esseri umani. E' un luogo comune affermare che la morte è uguale per
tutti, ma non è affatto vero che lo sia anche il dopo come, insieme ad altre, anche questa situazione
dimostra. Superata una decina d'anni di sepoltura, a molti non è neppure concesso di avere
ancora una tomba tutta per loro, facendo scendere definitivamente l'oblio su di essi, salvo
sopravvivere per qualche tempo nella mente delle persone più care. Pensieri intollerabili che
fortunatamente la nostra mente provvede a rimuovere continuamente, se no correremmo il
rischio di impazzire. Ma per i Papi non è così.
Sino a poco tempo fa il Cattolicesimo era contrario alla cremazione. Oggi non più. Pare che ciò
non complichi, come si temeva, il problema della resurrezione dei corpi giusto in tempo per il
giudizio universale. Quindi, almeno da Paolo VI in poi, anche per i Papi le cose avrebbero potuto
andare diversamente. E invece no. Ai Papi è garantita la sopravvivenza delle loro tombe per secoli
e ancora secoli oltre la morte, quando invece di noi si sarà persino dimenticata l'ombra dell'ombra
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dell'esistenza. Considerato che nella mente di ogni sacerdote c'è la speranza di diventare vescovo,
poi cardinale, poi papa, come in quella di ogni impiegato, di diventare capo-ufficio, direttore, poi
amministratore delegato, ci si chiede se la spinta inconscia iniziale verso la carriera ecclesiastica
possa originare proprio dalla speranza della sopravvivenza storica nelle grotte vaticane o in
qualcos'altro di simile. Se sapessimo che la nostra tomba sopravvivesse nei secoli e fosse meta
di un continuo pellegrinaggio, se non altro poichè la Storia ci ricorda, per quanto illusoria
questa soddisfazione possa essere, non avrebbe forse un innegabile impatto sia su noi viventi
che su noi morenti? E' assai probabile che inconsciamente, o forse solo preconsciamente o
addirittura consciamente, il pensiero della sopravvivenza in una qualche pellicola cinematografica,
nastro magnetico, supporto digitale, oppure in un'opera d'arte ieri come oggi, appaia determinante
per decidere la vocazione di un attore cinematografico, di un presentatore televisivo, di un
giocatore, di un cantante o di un artista. Alberto Sordi non ne facesse mistero. Impressiona, allora,
come una persona come Giovanni Paolo II, apparentemente così sensibile alle sofferenze altrui, non
abbia pensato nemmeno per un attimo, pare, all'impatto aggressivo che la sua privilegiata
sepoltura avrebbe potuto avere sui poveri e sui diseredati, o più semplicemente sulle persone
qualunque, sottolineando con i fatti la più totale distanza fra lui e loro. La "nuda terra" delle
grotte vaticane non è la stessa di un cimitero metropolitano, tanto più con le ruspe in agguato,
i forni sovraffollati con tutto quello che ne consegue, e l'indifferenza dei becchini.
Ma più che altro, con il suo mancato esempio, ha perso una straordinaria occasione, forse
per molto tempo irripetibile visto il personaggio, l'origine e l'epoca, la durata del pontificato e
l'apporto dei media, per aiutare l'umanità ad affrontare la componente più estrema
dell'angoscia della morte, costituita proprio dal pensiero della totale disintegrazione del
nostro corpo e prima o dopo dalla dispersione dei suoi resti, rinunciando lui per primo
all'ormai inutile cadavere.
TALE ESEMPIO AVREBBE POTUTO AVERE
PSICOTERAPEUTICO
DI
PORTATA
SULL'UMANITA'
UN
IMPATTO
INCALCOLABILE, che nemmeno miliardi di manifesti con la scritta: "La terra ai vivi" ed altre
frasi del genere, che vediamo affissi sui tabelloni pubblicitari delle nostre città, avrebbero mai
potuto ottenere. Una cosa pare certa: se non l'al di là di cui abbiamo soltanto la speranza
dell'illusione, sicuramente lui l'al di qua se l'è garantito...
IL VERO E IL FALSO NELLA VIOLENZA CONTRO LA DONNA
Uno dei luoghi comuni adottati dalla difesa nei processi per violenza contro la donna e che,
ovviamente, suscita nell'interessata ed in tutte le donne forti reazioni, e' la presunta complicità
attraverso forme indirette di provocazione nei confronti del maschio violentatore, attribuita in
qualche modo alla vittima. Al di là di un simile andamento dei fatti, in quest'affermazione
c'e' del vero e del falso. DEL VERO, poiche' e' noto che in occidente e' la donna ad essere
oggetto di ricerca palese da parte del maschio. Vi e' un arco di tempo nel corso del quale essa
attende continuamente che da ogni angolo di strada, da ogni ambiente che frequenta, spunti quello
che sarà il "suo" uomo, quello che la metterà incinta: il futuro padre dei suoi bambini. Che per lei
cio' sia un bene o un male, piacevole o spiacevole, e' comunque naturale. Fisiologicamente e
biologicamente la donna e' strutturata per procreare; l'uomo, per metterla in grado di farlo.
Nell'uomo questa straordinaria attesa non e' presente con la stessa intensita', pur non essendo
assente. Nella donna e' maggiore, proprio per la sua peculiarita', buona o cattiva che possa
sembrare, di essere scelta, salva restando la sua possibilita' di dire di no. Le femministe
vorrebbero, a ragione, stravolgere questa dinamica, ed agli uomini starebbe molto bene, poiche'
essa e' oggetto di grande invidia da parte loro: sono essi, infatti, che devono fare, almeno in modo
piu' manifesto, i primi passi, con tutti i rischi che la cosa comporta. Che bello sarebbe se le
donne: per strada, negli uffici, ovunque, manifestassero anch'esse apertamente la loro
ammirazione come fanno gli uomini! Che bello, per un uomo, sentirsi sussurrare: "Che figo!"
"Chiavone!" "Che c...."
C'E' DEL VERO, poiche' gli organi sessuali femminili sono nascosti, segreti, e la furtiva mano
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che li palpa, li esplora, li accarezza, e' molto piu' eccitante di quella sbrigativa e superficiale.
Purtroppo molti partners, superato il matrimonio, con la pretesa di un diritto che solo l'amore
dovrebbe sancire, tolgono alla sessualita' quel dolce e misterioso velo, irritando e deludendo le
loro donne, e forse costringendole a ritornare a sognare. C'E' DEL FALSO, poiche' se e' vero
che il fascino del seduttore sconosciuto, versione realista del cosiddetto principe azzurro, continua
a persistere: sia come naturale presupposto per l'accoppiamento e la migliore procreazione e
non, come facilmente si pensa, soltanto per romanticheria; sia come conseguenza di matrimoni
insoddisfacenti quali siano le cause, soprattutto se il maschio si rivela col tempo di tutt'altra
pasta; non di meno il seduttore-violentatore, nel compiere il suo gesto profanatore: non tiene in
alcun conto l'indice di gradimento dell'interessata nei suoi confronti; ne' si preoccupa di
prospettarle la cosa in modo talmente gradevole da fargliela desiderare; e men che meno si
preoccupa di sondare il suo desiderio di averlo come eventuale padre dei suoi figli. Un conto
sono le fantasie ed i desideri di lei; un altro la realtà che li infrange. E' assai probabile che
non pochi uomini, senza partner o monogami loro malgrado, identificandosi con la donna
violentata trovino tutto sommato "piacevole" quella che ai loro occhi potrebbe apparire
un'imprevista avventura, la casualita' della quale li metterebbe al riparo da eventuali sensi di colpa
verso il coniuge. Se non che, come agli uomini gentili e carini non occorre violentare le donne
per possederle, a parita' di condizioni nemmeno quest'ultime hanno bisogno di farlo per essere
possedute. In caso contrario ci sarebbero forti rischi che la protagonista dei sogni del
malcapitato maschio possa essere una donna malcurata, brutta, maleodorante, forse drogata, con
il fiato puzzolente di alcool, birra o sigarette, in presenza della quale anche il piu' intenso
desiderio di penetrazione sarebbe destinato a venir meno e l'erezione a cadere sul piu' bello,
ammesso che il tutto sia riuscito a suscitarla.
L'ultima possibilita' da prendere in considerazione riguarda l'irresistibilita' che alcuni uomini
ritengono di possedere, al punto da essere convinti che la loro violenza non possa non far piacere
alla donna: si tratta spesso di soggetti che, forse, nei dovuti modi potrebbero anche avere ragione.
Ritengo che si tratti della categoria piu' pericolosa poiche' probabilmente destinata ad influenzare
molto sottilmente anche chi deve esprimere il verdetto di colpevolezza, poiche' i confini fra
desiderio inconscio (di natura omosessuale) e realta' dei fatti, appaiono piu' sfumati, questa
volta per ben altra identificazione: con la figura dello stupratore da parte delle femmine; con
quella della femmina violentata da parte dei maschi.
BISESSUALITA' & OMOSESSUALITA' & ETEROSESSUALITA’: IL LESBICO
Inizia in questo numero una serie di articoli su eterosessualità, bisessualità ed omosessualità,
attraverso quelli che costituiscono i migliori contributi di: Kfraft-Ebing Von R. - S. Freud Ellis Havelock - Groddeck G. W. - E. Jones - M. Klein - Deutsch Helene - Kinsey A. C. - D.
Morris - Rosenfeld H. - Joseph Betty - Bergler Edmund - Isay Richard A. - Parin Paul Marina Castañeda e altri.
Da: A. C. Kinsey - Il comportamento sessuale della donna - Pag. 488.
"I rapporti
eterosessuali potrebbero diventare ancora più soddisfacenti se i maschi utilizzassero in
maggior misura le conoscenze di quasi tutte le femmine omosessuali sull'anatomia sessuale e
sulla psicologia sessuale femminile. E' auspicabile che i maschi apprendano quanto basta, su
tali reazioni sessuali della femmina, per rendere i loro contatti eterosessuali efficaci quanto la
maggior parte dei contatti omosessuali delle femmine. E' probabile che quasi tutti i maschi
accostino le femmine come vorrebbero essere accostati essi stessi da un compagno sessuale. E'
probabile che inizino con immediate stimolazioni dei genitali. Essi tendono ad avvalersi di una serie
di stimoli psichici che significano ben poco per la maggior parte delle femmine. E' probabile che
le femmine, nei loro rapporti eterosessuali, preferiscano tecniche più vicine a quelle
comunemente utilizzate nei rapporti omosessuali femminili. Esse preferirebbero un notevole
quantitativo di stimolazioni emotive generalizzate, prima che abbia luogo qualsiasi specifico
contatto sessuale. Di solito chiedono stimolazioni fisiche di tutto il corpo prima che avvenga la
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penetrazione. In particolare possono desiderare la stimolazione del clitoride e delle piccole labbra,
e una penetrazione che una volta iniziatasi, venga protratta sino all'orgasmo, senza quelle
interruzioni che i maschi, dipendendo in maggior misura di quasi tutte le femmine da stimoli
psichici, introducono spesso nei loro rapporti eterosessuali".
Commento - A. C. Kinsey, l'autore del noto cosiddetto "Rapporto Kinsey", non era uno
psicologo, tuttavia i suoi libri: "Il comportamento sessuale dell'uomo" (Bompiani 1948) ed "Il
comportamento sessuale della donna" (Bompiani 1953), che contengono i dati statistici sui
comportamenti sessuali di ambedue i sessi, che tanto scalpore fecero quando vennero pubblicati e di
cui avremo ancora modo di parlare nei prossimi numeri, ha costellato le sue pagine di una serie di
riflessioni psicologiche e sessuologiche interessanti, come quelle sopra riportate. E' necessario
tuttavia fare alcune precisazioni. Quei consigli dati ai maschi sembrerebbero validi solo per fare
bene del sesso occasionale, meglio noto come: mi si permetta, scopare. Ma invece lo sono per tutti.
Infatti, qualsiasi sia la natura del rapporto fra un uomo ed una donna, per dare e ricevere il massimo
piacere l'attività sessuale va fatta con impegno e reciproche attenzioni. L'affetto è importante ma
non basta. Molti maschi si credono grandi amatori più per il numero delle loro seduzioni e le
presunte superiori misure o "durezza" del loro pene che per la testa nell'usarlo. Un tempo
circolavano noti manuali di tecniche sessuali, ormai introvabili. Basti pensare a quello del Van Den
Velde ad uso dei coniugi negli anni '60. C'è ancora qualcuno che fa riferimento al Kamasutra.
Possiamo trovare qualche articolo sul come fare sesso, sui periodici femminili e molto più
raramente su quelli maschili, ma nel complesso sembra un argomento teoricamente superato, come
se ormai tutti sapessero tutto, cosa tutt'altro che vera. Molte separazioni fra coniugi vengono tutt'ora
imputate all'insoddisfacente comportamento sessuale di uno dei partner, anche se meno di come
accadeva in passato.
Piuttosto, oggi ci si separa poichè non ci si ama, e forse non ci si è
davvero mai amati, o se non si era psicologicamente "malati" al momento del matrimonio, lo
si è diventati dopo, a causa dell'eccessiva aderenza alla realtà che la quotidianità del
matrimonio e della genitorialità richiedono, e che gli individui sembrano essere sempre meno
in grado di sopportare. Come dire che più che i manuali del sesso oggi occorrerebbe diffondere
manuali di sopravvivenza psicologica all'angoscia della vita, che incoraggino alla resistenza e
scoraggino da ogni facile quanto illusorio tentativo di fuga. Oggi si fa sesso male poichè mille
angosce interferiscono con esso, e la difficoltà di relazione e di comunicazione fanno il resto.
Tuttavia fare sesso unisce, aiuta a ritrovarsi, e quindi farlo e farlo bene va incoraggiato a tutte
le età. Non ho alcun dubbio nell'affermare che sia indispensabile, non tanto e soltanto per un
piacere orgasmico, tuttavia tutt'altro che da banalizzare, ma soprattutto per comunicare con
l'altro/a attraverso il contatto corporeo senza alcuna reciproca difesa.
All'atto pratico, il Kinsey invita il maschio a fare "il lesbico" con la femmina, in modo da darle
quella soddisfazione omosessuale che essa, per quanto possa desiderare l'intimità con un maschio,
dentro di sè prediligerebbe poichè la riporta ad un'intimità corporea bambina-mamma, che
generalmente solo un'altra femmina è in grado di capire e di soddisfare con tutta la sensibilità
necessaria. Ed in più, anche la soddisfazione eterosessuale che solo il maschio può darle per ovvii
motivi, configurandosi per lei quale madre e padre, e soddisfacendo quindi tutti i suoi bisogni
profondi.
Il maschio nel fare sesso con la femmina, ritrovando l'intimità con la madre spesso si butta su di
lei con l'angoscia del bambino che sente la frenesia del ricongiungimento per ritrovare la sicurezza
perduta, per cui nel suo sforzarsi di essere lesbico smorzerebbe in sè tale impazienza, riducendo in
tal modo in lei le resistenze dovute al pudore che essa prova sempre davanti alla brutalità del
maschio, attivandone una maggiore disponibilità e gratitudine. Se tutte queste attenzioni non
costituiscono solo un comportamento episodico da parte del maschio, il rapporto potrebbe avere
solide possibilità di trasformarsi in amore, qualora si trattasse soltanto di attrazione. In ogni caso,
sarebbe bello che anche la femmina sapesse essere gay con il maschio, sempre che quest'ultimo
non abbia quella paura di abbandonarsi che molti uomini hanno, per il timore di essere considerati
omosessuali.
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INDICE DEI CONTENUTI DI "OLTRE" 2005 e 2006 (Dal n. 0 al 5)
Se il lettore è interessato a qualche numero, potrà riceverlo direttamente e gratuitamente via email scrivendo a: [email protected]. Il numero che precede il titolo indica la pagina.
"OLTRE" 0 (2005)
1 Introduzione - 3 Curriculum - 4 Su quali presupposti lavora la psicoanalisi - 5 Depressione - 6
Interventi chirurgici: importanza della preparazione psicologica del paziente - 9 A proposito di
eutanasia - 10 Il mortimonio - 11 Rotonde.
"OLTRE" 1 (2005)
1 E' fatta! Finalmente "OLTRE" e' registrato! - 1 Estratti da: Gustave Le BON - Psicologia delle
folle. - 2 A proposito della psicoanalisi - 7 Note sull'uso dell'IPNOSI - 8 Quello che molti uomini
non sanno - 9 Quel motivetto che ci piace ripetere - 10 Letture consigliate per...
"OLTRE" 2 (2005)
1 Editoriale - 1 Il logo degli psicologi - 2 Vaccinazione antiinfluenzale? - 2 Come evitare le
conseguenze negative dell'ora legale - 4 I vantaggi della tecnologia - 4 Monitoraggio di alcune
funzioni fisiologiche nel corso delle sedute di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi - 8 A
proposito di pranoterapia - 11 Vigilanza & presenza - 12 L'inserto.
"OLTRE" 3 (2006)
1 Editoriale, da "Tropico del cancro" di H. Miller - 2 Genitori, sposi: per favore, riflettete a
lungo prima di separarvi. - 2 I rapporti di coppia. - 2 La precoce separazione dai genitori. - 4
Realta' e idealizzazione. - 5 Il vittimismo. - 6 Una frustrazione maschile. - 6 Il piacere sessuale nella
donna. - 9 A proposito di aborto. 11 La comunicazione degli affetti.
"OLTRE" 4 (2006)
1 La storia del negro che dentro si sentiva bianco. - 2 Pessimismo distruttivo? - 3 Il concetto di
SUPER-IO. - 5 Il SADISMO. - 6 L'ISTINTO DI MORTE - 8 ISTINTO DI MORTE: sarà poi vero?
10 La paura di prendere l'aereo. - 11 Riflessioni sulla foto della donna dotata di pene. - 12 La
bibliografia di questo numero.
"OLTRE" 5 (2006)
1 Al Lettore - 1 Ancora sull'istinto di morte - 3 Lourdes - 5 Possibili origini del concetto di anima 6 L'ambivalenza - 7 Il lutto - 9 Depressione, ovvero: la definizione trappola
IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA
Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994 ha
trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel 1971,
nel 79 si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi dal 1975 al 1981 a Milano dalla Dott.
Myriam Fusini Doddoli della Societa' Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e 79 ha
partecipato ai suoi gruppi di formazione e supervisione, quest'ultima continuata a Torino
nel 79 con il Dott. Flegenheimer e dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della Societa'
Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito l'attestato di ipnotista presso il Centro
Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof. Franco Granone. E' iscritto
all'Ordine degli Psicologi (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di prima costituzione) ed
all'Albo degli Psicoterapeuti.
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