Ryszard Kapuscinski - Ebano Anche Kapuscinski è un noto reporter
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Ryszard Kapuscinski - Ebano Anche Kapuscinski è un noto reporter
Ryszard Kapuscinski - Ebano Anche Kapuscinski è un noto reporter, nato a Pinsk, nel 1932, nella Polonia orientale, oggi Bielorussia . In Italia ha avuto in questi ultimi due anni, una certa notorietà. E’ un grande esperto di politica terzomondista e anche lui – molto più di Courtemanche – è vissuto molti anni in Africa. Ha conosciuto a fondo questo grande continente, ne ha frequentato città ed abitanti al di fuori dei comuni circuiti cui in genere fanno capo stranieri e turisti. Kapuscinski ha vissuto nelle capanne povere e brulicanti di insetti e animali, ha preso mezzi di fortuna , autobus popolari (quando c’erano), per spostarsi da un paese all’altro, ha sofferto la sete come i suoi occasionali compagni africani, si è cibato delle povere cose che una terra arida e incolta stenta ad offrire. Lo scrittore giornalista si cala nel continente africano e se ne lascia sommergere, rifuggendo tappe obbligate, stereotipi e luoghi comuni. Attraverso un viaggio non convenzionale, con Ebano, l’autore lascia che davanti ai nostri occhi, nella nostra mente e non solo, prenda vita un mosaico composto da tanti tasselli quante sono le realtà africane: dal Ghana, al Ruanda, dall’Uganda allo Zaire, al Nigeria, all’Eritrea….. Il libro, che non è un romanzo, né una serie di reportage, è una illuminante raccolta di scritti di un testimone dei rivolgimenti politici che hanno scosso l’Africa dagli anni ’70 in poi, a partire dalla nascita dei nuovi Stati ai cui vertici sedevano leader sanguinari. Parallelamente e forse più propriamente Ebano è una raccolta di scritti che parlano di gente che abita il continente africano, che lotta ogni giorno per mangiare, per sfuggire alle violenze, per mantenersi viva , con un lavoro massacrante (quando c’è); sono scritti che parlano di paesi in guerra assediati dalle carestie, oppressi dalle oligarchie. Straordinario per la pacatezza del racconto che nulla toglie all’orrore degli avvenimenti, è il capitolo dedicato alle più recenti tragedie del Ruanda, ma anche coinvolgente è il racconto dell’ingorgo stradale ad Onisha o gli splendidi paesaggi delle montagne dell’Eritrea,che contrastano con quella terra povera, martoriata, insanguinata …. Di fronte agli alterni scenari della storia e della politica, la scelta di Kapuscinski è stata quella di trascurare la sterile cronaca dei massacri e dei colpi di stato per dare invece dignità ed importanza ai volti delle persone incontrate e ci ha regalato un viaggio affascinante nei frammenti della storia. Una piccola annotazione prima di concludere con Kapuscinski: perché Ebano. Perché l’ebano è il simbolo che racchiude la forza di questa gente. “ Ebano “ è in verità una lettura indispensabile per tutti coloro che vogliono conoscere l’Africa. Tadeusz Rozewicz: Il Guanto Rosso e altre poesie Con Rozewicz, poeta , scrittore , drammaturgo che ha compiuto già gli ottanta anni, entriamo nello spirito più tradizionale della letteratura polacca , una letteratura che ha ritrovato il suo spessore ed il suo posto nelle grandi letterature europee. Il libro messo in concorso, è una raccolta di poesie, il genere più congeniale a Rozewicz, con il quale ha saputo ritrarre con forza ed espressività, il disastro morale del tempo delle guerre, gli anni pesanti dello stalinismo e delle forme di regime che hanno governato la Polonia popolare, ponendosi tra i maggiori esponenti della cultura di cerniera tra il XX ed il XXI secolo. La sua opera poetica risente di questi periodi, risente delle trasformazioni radicali della civiltà europea e del suo Paese. La poesia di Rozewicz affronta problemi etici, culturali,religiosi, metafisici…il tema della guerra innanzitutto, vissuta come catastrofe di ogni sistema morale, il tutto con un linguaggio di grande semplicità e forza lirica. In una conversazione riportata nelle ultime pagine del volumetto, Rozewicz dice al suo interlocutore… “non accetto l’arte artificiale, la letteratura letteraria, la poesia poetica. Tutto ciò, e non la poesia,mi sembra sospetto. Come ha detto Adorno , è forse possibile la poesia dopo Auschwitz?....... Vede io sono maturato più in fretta , non come poeta, creatore di valori estetici, ma in quanto uomo. Di fronte alla morte, è come se quella crescita avesse subito un’enorme accelerazione: avendo ventiquattro, venticinque, ventisei anni, mi sono trovato al limite dell’esperienza non soltanto poetica, ma anche esistenziale”. Leggere questa intervista prima delle poesie aiuterà a capire lo stile e lo spirito di questo altro straordinario testimone del XX secolo.. Un breve profondo esempio del suo sentire, con la poesia Il Testimone: “tu sai che io ci sono/ma non entrare all’improvviso/nella mia stanza potresti vedere/come resto in silenzio/sul foglio bianco Si può forse scrivere sull’amore/ udendo le grida/dei trucidati degli umiliati/ si può forse scrivere /sulla morte/guardando i visini / dei bimbi Non entrare d’improvviso/nella mia stanza Tu vedrai un muto/ ed impacciato/ testimone d’un amore/vinto dalla morte.” Wojciecj Jagielski – Le Torri di Pietra – Storie della Cecenia Nato nel 1960 Wojciek Jagielski è un apprezzato giornalista della Gazeta Wyborcza e occasionale collaboratore di Le Monde. E’ un esperto dei problemi dell’Africa, ma soprattutto dell’Asia centrale, Afganistan e zona caucasica. Ha fatto il giro del mondo la sua intervista da Kabul, a Massoud, (quando Massoud sognava la pace) Massoud è l’intellettuale afgano che impegnò la sua vita politica a recuperare la libertà dell’ Afganistan dall’occupazione sovietica. Anche se Jagielski si dichiara allievo di Kapuscinski, lo stile letterario è ben diverso da quello del suo maestro. Più scrittore che reporter, più appassionato che distaccato, la sua opera appartiene anche essa a quella letteratura di cerniera tra il XX e XXI secolo. Il libro che lo fece conoscere al mondo è stato “un buon posto per morire”, frutto di numerosi anni di lavoro nel Caucaso ; gli fa seguito “pregando per la pioggia” (non è stato tradotto in italiano e quindi il titolo è una pedissequa traduzione), che sono una raccolta di scritti sull’Afganistan, dal 1991 al 2001 – nel periodo della caduta dell’impero sovietico. E’ in questo periodo che si colloca l’intervista di cui sopra. Nel 2004 scrive Le Torri di Pietra, una storia di eccezionale rilievo che focalizza la storia di uno dei posti più misteriosi e tragici del territorio caucasico: la Cecenia, i suoi abitanti e la guerra che conduce qui un pugno di guerriglieri disperati, ma anche arroganti e vendicativi, contro un esercito agguerrito, potente , molto più numeroso e forte. E’ soprattutto la storia di due combattenti scelti da quella guerra a cui devono tutto senza via di scampo. La guerra e l’odio che essa genera sono la loro vita, sono il loro cibo quotidiano. Shamil Basaw, è un pericoloso sanguinario signore della guerra; Aslan Maskhadov è un politico calcolatore e sobrio, che una parte della popolazione ritiene ,però, essere opportunista e codardo. La guerra comune che essi intraprendono contro il comune nemico, contro le forze nemiche, non attenua i conflitti insanabili che esplodono continuamente e simultaneamente nei loro animi. E in queste tragedie causate dall’odio e dalla prepotenza, “le torri di pietra” stanno là a significare la grande storia perduta di questo popolo e forniscono all’autore un’immagine allegorica dell’attrito tra le diverse posizioni di vita, tra i diversi percorsi della storia. Ed è da queste Torri che Jagielski trova il pretesto per questa commovente, ma forte storia, emblematica circa l’irreversibilità delle scelte tra il bene e il male.