Contributo alla realizzazione del PUC

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Contributo alla realizzazione del PUC
Per una città come Caserta, così maltrattata, così penalizzata da una politica di
governo del territorio decisamente poco illuminata, priva di una propria identità e
caratterizzata dalle tante occasioni perdute, la redazione del PUC, di questo PUC
specificamente, rappresenta, in un momento in cui si dovrebbe parlare di “economia
urbana” più che di “urbanistica”, l’ultima occasione per tentare di dotarsi di un futuro, nel
senso più ampio del termine, l’ultimo tentativo di darsi una speranza.
Tutti noi vogliamo una città “vivibile”.
Ma una città “vivibile” è una città “fruibile”, una città “sostenibile”, una città
“solidale”, una città “sicura”, una città “divertente”, una città “adattabile”, una città
“europea” pronta a cogliere i cambiamenti della società e ad essi adeguarsi in tempi brevi.
Una città “vivibile” è una città in cui, finalmente, i costi per l’educazione, la cultura,
il sociale non sono considerati spese ma sono considerati investimenti.
Sinteticamente, e non me ne si voglia, ma chi mi conosce bene sa quanto mi è
difficile esternare pensieri e sensazioni, le problematiche potrebbero essere così elencate:
1.
Caserta e la sua identità
Ma cosa è Caserta? Una città “turistica”? Una città “industriale”? Una città “terziaria”?
Ma, la domanda mi sorge spontanea, come recitava uno famoso spot pubblicitario,
Caserta,ora, ha una sua identità?
2.
Caserta città policentrica
Si è mai pensato Caserta come una città policentrica? Una città racchiusa tra
Casertavecchia, San Leucio e la Reggia?
Ma abbiamo contezza, in una programmazione “culturale” della città, di cosa
potrebbe essere Casertavecchia? Di cosa potrebbe essere San Leucio? Di cosa
potrebbe essere la Reggia?
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RAFFAELE FIMMANO’ ARCHITETTO
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TEL.– FAX. 0823 343640 [email protected]
E’ una riflessione che invito a fare. Solo così facendo, probabilmente, possiamo
pensare ad una città diversa, una città “intera”, senza differenziazioni, in termini di
sviluppo e di servizi, tra “centro” e “frazioni”.
3.
Caserta e la Reggia
Lo sappiamo tutti e ce lo diciamo da sempre: l’ubicazione della Reggia ci penalizza,
la Reggia, intesa come intero complesso, non è “centrale”, etc. etc..
Ma, probabilmente, questo suona quasi a scusante per nascondere palesi incapacità
e cecità di programmazione territoriale, convinti, erroneamente, che “centrale” abbia
un significato meramente “geometrico”.
La Reggia, invece, deve essere “centrale” per lo sviluppo futuro della città.
Ma, d’altro canto, non può essere l’unico centro.
Bisognerebbe controbilanciarne la presenza, creando simmetricamente, e anche
questa volta NON in senso geometrico, altre funzioni dello stesso peso, in aree
diverse, facendo sì che il complesso vanvitelliano diventi parte integrante, la più
importante, ma parte integrante del sistema “Caserta”.
4.
Caserta e le aree militari
L’economia di Caserta, qualche anno fa, si basava sulla presenza “militare”.
Caserme e Scuola Sottufficiali dell’Aeronautica erano, per la città, il volano principale
dell’economia. Tutto ruotava intorno ai “soldatini” che, nelle loro uniformi verdi e
celesti, sciamavano per le vie del centro. Caserta, allora, aveva una sua identità. Era,
incontestabilmente, una città militare.
Sale cinematografiche, locande, ristorantini, alberghetti, fabbriche di abbigliamento
militare e un intero indotto economico, avevano trovato in quegli anni il massimo
splendore.
Tale presenza, nel corso degli anni, è venuta sempre meno e sicuramente, a breve,
andrà a scomparire del tutto.
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Ma rimarranno le caserme. Enormi e ingombranti fabbricati, vuoti contenitori,
tetragone sentinelle del nulla.
Rimarranno le aree “vuote”, ex aree periferiche che, con il passare degli anni, ora si
trovano strategicamente posizionate al centro della città.
Basti pensare alla Caserma Amico, al Campo El Alamein, alla Caserma Ferrari-Orsi,
che, tra l’altro, si andranno ad aggiungere alle vecchie caserme già esistenti sul
territorio cittadino.
5.
Caserta e le cave
E’ l’altro blocco “naturale”, ad est, per lo sviluppo della città.
Abbiamo permesso, con le conseguenze che tutti sappiamo, di costruirci intorno, di
costruirci sotto e, non contenti, qualcuno vorrebbe costruirci dentro.
Sono anni che il dibattito politico e sociale sulle cave si protrae sterilmente, senza
soluzione alcuna, nella vita casertana.
E allora?
In un momento in cui i classici sistemi di sviluppo economico sono ormai in crisi
irreversibile, ritengo che l’unica possibilità di crescita per Caserta sia quella di “pensarsi”,
e conseguentemente “programmarsi”, come una città di turismo culturale. Solo
riconoscendo una propria vocazione, una propria identità, in cui l’elemento “cultura” sia il
volano principale, è possibile programmare gli interventi, strutturali e non, su cui basare
lo sviluppo socioeconomico della città stessa.
Si dovrà pensare, allora, alla rivitalizzazione e rifunzionalizzazione del “comparto
vanvitelliano”, trovandone, in sede di programmazione e pianificazione, le funzioni più
congeniali, riutilizzando gli emicicli, la Caserma Pollio e l’intera zona della “Santella” fino
a Piazza Vanvitelli. Dobbiamo costringere la gente a “colonizzare”, appropriandosi di
quelle parti di città che ne sono fisicamente ai margini e che, conseguentemente,
vengono percepite come estranee.
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Si dovrà pensare alla rifunzionalizzazione delle caserme e delle aree militari
esistenti, prevedendone, in sede di pianificazione, l’utilizzo sociale. E’ ipotizzabile
l’utilizzo, per esempio, del Campo El Alamein per integrare le strutture sportive esistenti
e creare quella famosa cittadella dello sport, di cui tanto si parla? E’ ipotizzabile l’utilizzo
delle caserme come sedi di prestigiosi organismi europei, immaginando, quindi, Caserta
come l’elemento d’unione del sud dell’Europa con Bruxelles?
Si dovrà pensare alla rifunzionalizzazione delle cave esistenti e dismesse. E’
ipotizzabile pensare alla allocazione della “Città dello Spazio”, tanto per fare un esempio,
nelle cave, creando, appunto, un polo d’interesse che bilanci la presenza della Reggia? E’
ipotizzabile, quindi, un percorso “turistico-culturale” che, partendo da tale parco
tematico e snodandosi tra le frazioni pedemontane, le valorizzi e le qualifichi come
tessuto connettivo?
Si dovrà pensare alla rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio esistente,
basandosi sul suo recupero, favorendo l’interazione tra le varie componenti sociali.
Si dovrà pensare alla “concertazione pubblico-privato” non più come soluzione a
servizio della speculazione ma come concreta possibilità di sviluppo e strumento
esecutivo di una Amministrazione illuminata.
Si dovranno “… restituire alla città le sue funzioni materne e vitali, le attività
autonome e le associazioni simbiotiche che per lungo tempo sono state trascurate o
soffocate. Essa infatti dovrebbe essere un organo d’amore, e la migliore economia urbana
è la cura e la cultura degli uomini …”*.
Ed è solo in questo contesto, quindi, che si potranno inserire i vari interventi
“puntuali”, che altrimenti rimarrebbero solo sterili esercizi autocelebrativi e non fase
organica del progetto di città.
Raffaele Fimmanò
*
Lewis Mumford “La città nella storia”
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