Crisi e complessità dei sistemi economici e sociali: dalla sinergia al

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Crisi e complessità dei sistemi economici e sociali: dalla sinergia al
Crisi e complessità dei sistemi economici
e sociali: dalla sinergia al contagio*
LUCA PROIETTI** BERNARDINO QUATTROCIOCCHI***
Abstract
Il contributo analizza le crisi nelle quali può incorrere un generico sistema economico e
sociale, a partire dal singolo individuo o dalla singola impresa (sistema) sino a realtà più
ampie ed articolate del moderno capitalismo (come economie nazionali, distretti produttivi,
sistema finanziario globale, catene di fornitura transnazionali ecc.), in relazione al rispettivo
grado di complessità. S’intende così perseguire l’obiettivo di cogliere in che modo la
complessità sistemica influisca sia sull’emergere che sul superamento della crisi, unitamente
si vuole comprendere se e in quale maniera il pensiero complesso possa contribuire ad una
migliore analisi della crisi di un generico sistema socio-economico, traendo nel contempo
giovamento da tale applicazione al fine di sistematizzare i propri assunti. La trattazione ha
un taglio interdisciplinare e, pur dedicando grande attenzione alle teorie economiche sulla
crisi dei sistemi capitalistici, richiama impostazioni sviluppate anche in ambito medico,
epidemiologico, psicologico, sociologico-politico ecc.
Parole chiave: complessità, sistema socio-economico, crisi, capitalismo, contagio,
vulnerabilità, propensione
The nexus between economic and social precipitating systems - from the single business
firm to wider entities, like transnational supply chains, industrial clusters, the financial global
system, national economics etc. - and their own degree of complexity is the topic of this work.
Our aim is to understand, firstly, how systemic complexity affect both crisis and its
overcoming; secondly, complex thinking usefulness for socio-economic system crisis
depiction, prediction and/or management. Though economic literature about systems crisis
has been a crucial reference, our work adopts an interdisciplinary perspective, considering
also studies about medicine, epidemiology, psychology, sociology and politics.
Key words: complexity, socio-economic system, crisis, capitalism, propagation, exposition,
propension
*
**
***
Nonostante sia il frutto della riflessione e del contributo di entrambi gli Autori, il presente
lavoro è da attribuire a Luca Proietti per i paragrafi 3, 3.1, 3.2, 3.3, 4, 4.1, 5.1, a
Bernardino Quattrociocchi per i paragrafi 1, 2, 2.1, 2.2, 2.3, 5.2 ed a Luca Proietti e
Bernardino Quattrociocchi per i paragrafi 6 e 7.
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Sapienza Università di Roma
e-mail: [email protected]
Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Sapienza Università di Roma
e-mail: [email protected]
sinergie n. 79/09
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CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
1. Finalità ed impostazione del contributo
Oggetto d’indagine del presente lavoro è il nesso tra la “crisi” ed il grado di
complessità delle istituzioni socio-economiche sovra-individuali, come imprese,
pubbliche amministrazioni locali e centrali, Stati e territori sovrani, movimenti e
gruppi sociali più o meno coesi, reti interorganizzative soggettivate, ecc.1. L’analisi
sconta la prospettiva sistemica e del pensiero complesso: ciascuna istituzione, di
qualsiasi ordine e grado, si qualifica di per sé, in obbedienza ai basilari driver della
“complessità sistemica”, come un sistema (più o meno) dinamico, adattivo,
complesso e non lineare, il cui divenire è condizionato dall’azione combinatoria
esercitata tanto dai singoli individui che lo compongono, quanto dalle loro
“coalizioni” o gruppi, quanto ancora dai più ampi ed articolati sistemi di cui lo
stesso è parte2. L’intera società moderna è quindi intesa come un unitario e più
complesso sistema sociale, frutto del dinamico interagire tra diversi livelli d’analisi:
il singolo individuo, il (piccolo) gruppo d’individui ed i vari sistemi socioeconomici, taluni più circoscritti, come ad esempio una determinata impresa, talaltri
più estesi ed “evanescenti”, come il cosiddetto sistema finanziario globale3.
La trattazione, attraverso una metodologia essenzialmente bibliografica ed
interdisciplinare, è stata orientata al conseguimento di specifici obiettivi tra di loro
interrelati.
Si è voluto anzitutto comprendere il ruolo delle singole individualità e dei
rapporti intersistemici nei processi d’innesco e propagazione degli stati di crisi da
sistema a sistema, distinguendo tra dinamiche “orizzontali” (tra sistemi della stessa
natura) e “verticali” (in senso top down e bottom up, tra sistemi differenziati),
sottolineando così il concetto di “crisi sistemica”4 (rectius intersistemica), ovvero di
1
2
3
4
Sui fondamenti del pensiero complesso e delle varie teorie del chaos, delle catastrofi, dei
sistemi dinamici e della complessità non computazionale, si rinvia al cap. I.
In merito ai fondamenti del pensiero complesso e al suo rapporto con l’approccio
sistemico, v. supra, capp. I e II. Sulla concezione dell’impresa come sistema e, in specie,
sull’approccio sistemico vitale (ASV), cfr. Golinelli G.M. (2005; 2008).
L’espressione “sistema finanziario”, ampiamente usata negli studi economici e nel
linguaggio comune, è oggetto d’interpretazioni non univoche. In questa sede, essa è
nettamente distinta da quelle di “settore” o “industria finanziaria”, e indica un’entità
sovraziendale, formata da operatori ed attività solo in parte di natura finanziaria e che in
determinate condizioni assume fisionomia e soggettività sistemiche, ossia un
comportamento coerente ed unitario. Ciò è frutto di un mix di processi e decisioni casuali
o deliberate “dal basso” (ossia da parte dei singoli attori che formano il sistema) e di
iniziative intenzionali condotte “dall’alto” (ossia da attori istituzionali dotati di particolari
potestà regolatorie).
Sull’interpretazione sistemica del cosiddetto “sistema finanziario”, v. Golinelli G.M.
(2008, cap. V); sulla portata sovranazionale o globale di tale sistema, Cotta Ramusino E.
(1992, capp. I-II, 1993).
Per crisi sistemica s’intende in questa sede, salvo ove diversamente precisato, la crisi di
un qualsiasi sistema (più o meno) complesso. Nel senso invece di “crisi intersistemica” o
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“rischio sistemico”. S’intende in altri termini approfondire, come anticipato nel
titolo del contributo, i motivi e le dinamiche del passaggio, in una visione sistemica
dell’economia globale, dalla “sinergia” di sistema e tra sistemi (effetto
combinatorio, cumulativo e/o moltiplicativo) a “vulnerabilità” e “contagi” sistemici
(effetto diffusivo di patologie dissipative)5.
Le riflessioni sono state successivamente incentrate sull’interpretazione, alla luce
del pensiero complesso, della nozione di “crisi”, così abbondantemente usata nelle
dottrine economiche ed aziendali, come nel linguaggio comune, sottolineando se e
come l’approccio basato sui sistemi complessi possa favorire una migliore lettura
delle “crisi sistemiche”6.
Un ulteriore obiettivo concerne il nesso tra “complessità sistemica” e “crisi”,
ossia se ed in quale maniera l’intensa e/o crescente complessità di una determinata
istituzione socio-economica possa innescare oppure, all’opposto, prevenire o
mitigare l’emergere di crisi dell’entità stessa. Dal precedente quesito deriva quello
circa la possibilità che l’emergere ed il consolidarsi di sistemi economico-sociali ad
elevata/crescente complessità possa favorire il verificarsi di crisi più o meno
ricorrenti, intense e prolungate: il riferimento è, evidentemente, alle “crisi
capitalistiche”, ossia alle crisi delle economie di mercato nazionali ed internazionali,
intese come sistemi estremamente complessi, con una struttura ed un raggio
d’azione sopranazionali e basati, più di altre realtà (singole famiglie, imprese,
amministrazioni pubbliche, ecc.), su una governance assai vicina all’idea di “autoorganizzazione” propugnata dalle teorie del caos e della complessità.
Un’altra non meno impegnativa domanda di ricerca cui si tenta di fornire
qualche risposta o contributo d’analisi attiene alla possibilità che le più recenti
dinamiche dell’impresa capitalistica e delle economie di mercato siano espressione
di una crisi “del sistema”, ovvero “delle individualità” operazionalmente interne od
esterne al sistema stesso7. Si è al riguardo tentato di non incorrere né nell’errore di
una risposta riduzionistica e banalizzante, che connette la crisi dei sistemi socioeconomici a fattori specifici ma superficiali o comunque ad un’unica causa (il
sistema o l’individuo), né in quello opposto dell’eccesso di relativismo, inutile al
fine della presa di decisioni.
5
6
7
di vasta portata, v. Golinelli G.M., Gatti C., Vagnani G., Proietti L. (2008, p. 294, nota
67).
Un esempio di effetto dissipativo, in relazione al crollo di un edificio, è in Rullani E.
(1989, p. 57).
Sulla crisi in ottica economico-aziendale e sugli approcci alla gestione e al superamento
della crisi d’impresa, v. Zito M. (1999); Guatri L. (2005); Danovi A. (2003); Quagli A.,
Danovi A. (2008). Applicazioni coerenti con l’ASV in Piciocchi P. (2003; 2005, pp. 5366).
Si tratta cioè di comprendere se disfunzioni del sistema complesso siano indotte/favorite
dalle stesse logiche costitutive del sistema ovvero da aspetti specifici, interni o esterni,
distinguendo così tra fattori “strutturali” ed altri “congiunturali” ed “occasionali” di crisi
del sistema indagato.
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CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
Come ultimo interesse di ricerca, ci si chiede se le crisi sistemiche, oltre ad
essere originate e/o amplificate dalla complessità sistemica, possano trovare
soluzione in un mutamento di tale complessità, che non si riveli controproducente
rispetto alla legittimazione sociale del sistema considerato. Tale interrogativo può
condurre ad individuare una metodologia, coerente con la teoria della complessità,
circa possibili risposte alla crisi dei sistemi complessi in ambito economico-sociale.
È forse superfluo precisare che il contributo affronta una tematica di attualità e,
sinanco, di portata evocativa alla luce delle più recenti dinamiche internazionali,
specie delle clamorose turbolenze che hanno scosso la finanza mondiale e la gran
parte delle più importanti economie nazionali (avanzate o emergenti), con un acme
nell’autunno del 2008. Tali vicende s’inseriscono, peraltro, in una lunga scia di
“crisi del capitalismo”, intendendo con quest’ultimo termine una tipica forma
organizzativa della produzione di beni e servizi, incentrata sull’impresa industriale
moderna e sull’accumulazione/riproduzione di ricchezza economica8.
2. Individui e crisi sistemiche
Il principio epistemologico (della complessità) di questo contributo si fonda
sull’esistenza di un unico grande sistema universale, alimentato e composto da
innumerevoli sistemi particolari che l’attuale convenzione dialettica qualifica come
naturali, nel senso che sono naturalmente presenti nella realtà conosciuta ed ignota,
indipendentemente dal soggetto osservatore9. I sistemi naturali (fisici, biologici)
mutano, evolvono, crescono e perfino si dissolvono (fisiologicamente e
patologicamente), come se il sistema universale, onnicomprensivo, fosse guidato da
una regola generale in perenne evoluzione alimentata e modificata da una serie
infinita di regole particolari, in un continuum in cui è ignoto, per le attuali
conoscenze dell’uomo, tanto il “punto di partenza” quanto il “punto di arrivo”,
ammesso che gli stessi siano determinabili10.
In questa logica, a livello puramente esemplificativo, un incendio boschivo può
essere considerato fisiologico quando elimina in toto o in parte una foresta
contribuendo a dare vita ad un’altra. Se, tuttavia, le fiamme distruggono l’ultima
foresta rimasta in un territorio (o sul pianeta) ovvero pregiudicano qualsiasi ripresa
di uno specifico bosco, sarebbero minati l’esistenza stessa di quel dato sistema e/o il
concetto istituzionale di “foresta”, con l’innesco pure di ulteriori reazioni a catena
(mutamento climatico o del ciclo delle piogge, ecc.): in tale evenienza, la crisi
sarebbe patologica, non fisiologica. Il giudizio su un evento dissipatore (incendio
8
9
10
Sull’evoluzione dei paradigmi d’impresa, v. Ferrer-Pacces F.M. (1970, p. 41 ss.).
L’epistemologia sistemica è una branca dell’epistemologia che studia i sistemi complessi,
talora denominata “scienza della complessità” o “pensiero complesso”. Sui fondamenti
della complessità si rinvia ai precedenti capp. 1 e 2. Cfr. pure Bocchi G., Cerruti M.
(2007); Magrassi P. (2009).
L’attuale pensiero scientifico e filosofico respinge ogni teoria che abbia la pretesa di
spiegare in modo definitivo ed universale tutta la realtà. Cfr. la successiva nota 54.
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della foresta) non può essere apoditticamente negativo se fisiologico, e circoscritto
(tanto nel tempo quanto nello spazio), anzi in alcune ipotesi è regolatore di una
selezione11. Anche l’attribuzione tassonomica (fisiologica o patologica) di un dato
evento avviene solo ex post, proprio perché i sistemi socio-economici non sono
prevedibili, almeno nel lungo periodo, se non ricorrendo a stime probabilistiche per
l’individuazione di “sacche di prevedibilità” o di un “intorno” verso il quale il
sistema potrebbe evolvere. Né tanto meno la storia delle crisi aiuta ex ante a
prevenire le crisi sistemiche che periodicamente affliggono i sistemi economici
mondiali, anche se essa contribuisce certamente a comprenderne l’evoluzione,
offrendo una valido sostegno al superamento della stessa.
In questa logica i processi dinamici, come la crisi di un sistema economico, sono
osservati come ineluttabili, ma soprattutto l’essere umano è una parte infinitamente
piccola di tutto il sistema generale ed i sistemi che sono individuati dall’uomo sono
rappresentazioni soggettive della realtà, senza la certezza che la stessa esista così
come viene osservata e rappresentata12.
2.1 Individui e bisogni sistemici
Il problema della rappresentazione della realtà assume connotati diversi se,
invece, consideriamo l’uomo e l’interpretazione che egli si dà della realtà
economica. In questo modo tutta la raffigurazione dell’universo assume una
rilevanza diversa, perché con l’homo sapiens, viene introdotto un sistema di valori
diverso e comunque dominante, derivante dall’elaborazione della realtà e
dall’interazione con essa da parte di un essere dotato di intelletto13. La facoltà
intellettiva presuppone, in successione, l’autonomia dell’individuo, tanto nella sua
11
12
13
Il tempo si configura in economia come una variabile indipendente e nel contempo “di
contesto”, ossia contestualizza e contribuisce a dare significato agli eventi; lo spazio,
invece, è sempre meno fisico e sempre più relazionale. Per uno studio del “tempo”
nell’economia di impresa si veda Paniccia P. (2002). Per un dibattito recente sul concetto
di tempo e sui fondamenti della fisica si veda Bachelard G., Cassirer E., Reichenbach H.,
Schlick M. (2009); per il grande fisico tedesco «non c’è un tempo dei filosofi; c’è soltatno
un tempo psicologico differente dal tempo del fisico».
Lo struttualismo, alla base tra l’altro di antropologia economica, biologia, psicologia e
psicoanalisi freudiane, ha teorizzato che il cervello umano opera una ristrutturazione
continua delle realtà, per cui l’uomo percepisce una realtà non vera e assoluta, bensì
ostruita o persino distorta secondo le categorie concettuali note. La dimostrazione
biologica e fisica dell’astrazione della realtà è da ricondurre ai premi Nobel del 1981
Hubel e Wiesel; si veda in proposito quanto magistralmente sintetizzato da Levi
Montalcini R., (2004, p. 82-86); si consideri più recentemente anche Lehrer S., (2009).
L’uomo, proprio in quanto essere cerebrale, punto apicale di un’evoluzione biologica
casuale, è dotato di intelligenza e come tale di una consapevolezza, di una volontà e di
una responsabilità estranee agli altri esseri viventi. Scrive Rita Levi Montalcini “La specie
umana non soltanto è responsabile, a differenza di tutte le specie viventi, di se stessa e per
se stessa, ma possiede la facoltà di controllare e dirigere le proprie azioni”, cfr. Levi
Montalcini R., (2004) op. cit, p. 13.
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definizione teleologica quanto in quella agnostica, che unita alla molteplicità delle
relazioni è l’assunto di base che caratterizza l’individuazione di un sistema socio
economico complesso.
Ma l’evoluzione dell’uomo nel corso degli anni e genitrice di un aspetto nuovo,
estraneo agli altri esseri viventi, il fatto che egli possa soddisfare i propri bisogni in
un ambiente economico, oltre che naturale, tanto da essere qualificato come homo
economicus.
Sembra, dunque, condivisibile la visione del filosofo Michael Foucault, a
proposito dell’economia e dei bisogni dell’uomo quando scrive “L’oggetto delle
scienze umane non è l’uomo, che fin dall’alba del mondo […] è votato al lavoro
[…] ma l’essere che all’interno delle forme di produzione che governano la sua
esistenza, si forma la rappresentazione di quei bisogni e della società, mediante la
quale, con la quale o contro la quale, egli li soddisfa, finché egli, a partire da lì,
giunge, infine, a darsi una rappresentazione dell’economia stessa”14. Il punto è che i
bisogni della società umana si caratterizzano per essere esponenziali, ovvero sono
alimentati da quelle che lo psicologo G.P. Meredith, già oltre mezzo secolo fa, ha
definito “aspettative continue” e che lo stesso Autore considera come la
caratteristica fondamentale degli esseri umani e meglio nota, in termini sociologici,
come “esigenza perenne che spinge l’individuo ad agire”15.
Ma le aspettative dell’uomo nella società organizzata sono anche emulative, cioè
seguono o si conformano ai bisogni di altri uomini in una spirale che, nel linguaggio
comune, viene generalmente definita come consumistica, rectius “omologativa”, nel
senso più ampio del termine, perché l’omologazione spinge l’uomo a ricercare e
replicare ciò che un altro uomo già possiede e consuma16. In questo senso le
rappresentazioni economiche umane, come i sistemi economici di produzione e
consumo che egli individua nella realtà, sono finalizzate a soddisfare continuamente
i bisogni dell’uomo nella dimensione sociale, sia come singolo sia come collettività
di individui. Anzi si può affermare che la realtà economica è condizionata ed
alimentata dai bisogni (economici, emotivi, morali, etici, religiosi) di sistema,
ovvero dai “bisogni sistemici”17. Non appare difficile osservare come, accanto ad un
capitalismo che i più definiscono come sistemico, esistono “bisogni sistemici”,
14
15
16
17
Citazione del filosofo e storico Michael Foucault (1926-1984), riportata in Marconi D.
(2001, p. 15).
Si veda l’opera di Meredith G.P. (1958); nella letteratura italiana si veda quanto riportato
da Fabbris A., Martino F. (1993, p. 45 e ss.)
Si veda in proposito i sistemi di diffusione o emulativi, rientranti nella più generale
categoria dei sistemi combinatori di cui si parlerà infra 1.2.3.
Per un’ampia bibliografia sull’importanza della condotta individuale per comprendere la
dinamica dei sistemi complessi si veda Usai G., Cabras F., Giudici E. (2003, p. 10): “Il
valore di ogni organizzazione dipende dalle caratteristiche che assumono i soggetti
umani che la compongono e le reciproche relazioni [tra gli stessi]”. Per una trattazione,
vicina alla sociologia manageriale sia consentito rinviare all’opera di Druker P.F. (1978) e
in Italia De Masi D., (1973, p. 13 ss). L’Autore, tra l’altro, nel volume adotta
un’impostazione ispirata proprio alle teorie dei sistemi, collegando individui e gruppi
operanti nell’azienda al macrosistema esterno.
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generati dall’interazione sistemica di individui e sistemi. Del resto i sistemi offrono
protezione ed inclusione sociale ed economica agli individui, ma a loro volta
inibiscono proprio quell’autonomia e quella capacità critica di cui si è osservato in
precedenza; non a caso i sistemi possono essere anche “punitivi” nei confronti di
quei soggetti che non dovessero essere consonanti con il sistema nel suo complesso.
Se volessimo analizzare in profondità le radici dell’attuale crisi finanziaria si può
notare come l’incipit della crisi non sia da ascrivere solo all’uso eccessivo della leva
finanziaria o all’azione incontrollata delle grandi merchant bank, quanto piuttosto al
bisogno diffuso di maggiori rendimenti o alla necessità di stimolare incessantemente
la domanda di beni e servizi. In questo senso la finanza non ha fatto altro che
assecondare (omettendo i rischi) le richieste di rendimenti finanziari maggiori, che
provenivano anche da soggetti avversi al rischio, o di assecondare la necessità
dell’industria di collocare la produzione in eccesso, divulgando pro tempore la
cultura che si può consumare più di quanto si è in grado di produrre. In breve ciò che
è mancato nell’attuale crisi, comune a quasi tutte le altre, è il “principio della
precauzione”, in particolare nelle fasi di espansione del sistema18.
Del resto lo stesso post fordismo ha finito per essere un moltiplicatore delle
condizioni favorevoli a generali stati di crisi, ma non per il principio su cui si basa
(cioè la divisione del lavoro), ma perché ha contribuito da un lato ad alterare
l’algebra dei valori economici - molte volte nella specializzazione (divisione) del
lavoro da un sistema ad un altro non vi è stato, in concreto, nessun aumento di
valore reale, ma solo una crescente e soggettiva (anche se condivisa) attribuzione di
valore - dall’altro ad eliminare le ridondanze e con essa la resilienza (robustezza) dei
sistemi economici19. Non a caso un sistema complesso è quanto più resistente alle
perturbazioni esterne tanto più è ridondante20.
Le precedenti considerazioni collocano l’uomo al centro delle rappresentazioni
economiche e pongono in risalto le connessioni tra individuo e sistemi. Ciò ci
consente di anticipare alcune riflessioni di principio, che nel prosieguo del lavoro
cercheremo di chiarire in dettaglio.
Una delle cause ricorrenti in tutte le crisi sono gli “eccessi” (nelle retribuzioni
dei manager, nelle valutazioni degli immobili, nell’utilizzo della leva finanziaria,
nelle valutazioni delle società, ecc.) che creano un’eccessiva discrasia tra ciò che è e
ciò che sarà, ovvero tra “sostanziale” e “previsionale”, rendendo, di fatto, più
improbabile ogni previsione.
18
19
20
Cfr. Battaglia F. (2001), si veda anche Trouwborst A. (2002 p. 8 ss.) Sia consentito,
infine, rinviare alla lettura sempre utile del volume più famoso di Galbraith J.K. (1958,
pp. 52-56), Idem 1962.
Sui concetti di robustezza (rectius resilienza) e rindondanza di un generico sistema
complesso cfr. Confort L.K., Sungy Y., Johnson D.M., Dunn M. (2001, p. 144 segg.).
Uno studio tra dimensione dei sistemi, flessibilità ed elasticità è in Amoroso M. (1978).
Per una ricostruzione del dibattito sull’evoluzione della società industriale, v. Aron R.
(1971).
Si veda in proposito Gandolfi A. (1999, p. 52 ss). Ad esempio le banche, nella ricerca
spasmodica dell’efficienza, hanno ridotto i requisiti patrimoniali, ovvero la ridondanza.
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I sistemi economici sembrerebbero avere in sé il gene che li conduce tanto al
successo quanto alla crisi, ovvero al cambiamento, in quanto includono l’individuo,
vettore di bisogni “sistemici” sempre maggiori, razionale ed irrazionale allo stesso
tempo, al centro del sistema economico globale. Da tale assunto deriva la necessità
nella società economica di una serie di norme e regole (di ordine etico, religioso,
giuridico, economico) in grado di disciplinare i bisogni (non solo quelli economici
ma anche quelli sociali) tanto del singolo quanto della collettività di sistemi. Da qui
derivano alcuni approcci al governo dei sistemi in generale e delle crisi in
particolare: ovvero se sia più opportuna un’azione di governo piuttosto stringente,
anche mediante norme cogenti, oppure la libera interazione tra sistemi, magari in
presenza di meccanismi fiduciari, supportati da regole soft, come cercheremo di
illustrare nella parte conclusiva del lavoro21.
2.2 Crisi sistemiche: dalla sinergia al contagio
Le cause delle crisi dei sistemi economici risiedono nelle stesse caratteristiche
che permettono la loro identificazione: un centro di governo che individua le
interazioni (i collegamenti) tra oggetti ed soggetti che compongono lo stesso
sistema. Come è noto, infatti, un sistema, di qualunque livello, è possibile osservarlo
solo se sussistono delle interazioni tra gli elementi che sono tra loro collegati. Sono
proprio queste interazioni che generano un effetto moltiplicativo, ovvero sinergico,
in quanto amplificano la risposta del sistema, tanto negli aspetti positivi quanto in
quelli negativi. In breve le interazioni moltiplicano sia i feedback positivi che quelli
negativi; aumentano, pertanto, tanto i processi di espansione quanto quelli di
contrazione.
La rete di relazioni ed interdipendenze tra individui e sistemi e a loro volta tra
sistemi e sistemi, fa sì che il comportamento globale di uno specifico sistema non
dipenda in modo lineare da una sola condizione interna e/o esterna ma da una
moltitudine di condizioni promanate da più “centri decisionali” (authority, banche
centrali, associazioni di consumatori) che rendono imprevedibili le conseguenze di
una determinata azione. In tali contesti, in casi di contrazione, si passa dalla sinergia
tra sistemi al contagio sistemico, per cui tanto più si è interrelati con altri sistemi
tanto più si incorre nel pericolo di essere coinvolti in una crisi sistemica. Non
sfugge, ad esempio, che nei momenti apicali dell’ultima crisi finanziaria
l’esposizione (relazioni) sui mercati internazionali di un gruppo bancario sembrava
prodromica a più generali stati di crisi, proprio perché esponeva il sistema banca ad
un rischio di contagio. Paradossalmente le istituzioni bancarie con meno relazioni
(ad esempio le banche di credito cooperativo a vocazione locale) sembravano quelle
meno esposte ad un rischio sistemico22.
21
22
Secondo Hayek F.A. (2000), (par. 3.6) l’azione dell’uomo è guidata sia da “norme” sia da
“regole”.
Si veda in proposito Golinelli G.M. (2008); Golinelli G.M., Gatti C., Vagnani G., Proietti
L. (2008).
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La questione centrale del ragionamento, tuttavia, è comprendere i meccanismi di
diffusione di una crisi ed in modo complementare definire quando la stessa si
arresta.
Il meccanismo di diffusione può essere indotto:
- dalle decisioni di centri di governo presenti nel sistema economico
internazionale e, conseguentemente, dalle strutture operative degli stessi, come
ad esempio le banche centrali, i governi centrali, le borse valori, le autorità per la
concorrenza, i movimenti di consumatori; in breve ogni centro di interessi in
grado di emanare una qualche forma di influenza e di governo che innesca
meccanismi di contagio e/o di dipendenza sistemica delle azioni e/o dalle azioni
di altri sistemi;
- dalle interazioni di componenti (soggetti e oggetti) come ad esempio le comunità
di banchieri o industriali, le informazioni, le transazioni finanziarie, le opzioni di
acquisto ed altro ancora.
I precedenti meccanismi operano quasi sempre contestualmente, sebbene le
decisioni da “governo” siano più evidenti al soggetto osservatore, mentre quelle da
interazione sono più latenti, anche se non meno responsabili delle crisi sistemiche,
poiché tutti gli individui e tutti i sistemi sono potenzialmente esposti, anche se non
direttamente collegati, ad un centro di governo.
Se volessimo usare un aforisma medico potremmo dire che la decisione di
viaggiare o meno è una scelta di governo che può ridurre o amplificare il rischio di
contagio in presenza di una possibile pandemia. Il rischio da interazioni, invece, può
essere prodotto da un nostro conoscente “viaggiatore”, il quale facendoci visita ci
espone al rischio di contagio. Ed ancora in economia, la non convertibilità aurea
della moneta è una decisione di governo (accordi di Bretton Woods), mentre
l’affermazione di una divisa (dollaro o più recentemente l’euro) come moneta di
scambio prevalente è un meccanismo di contagio da interazione. E di nuovo,
riprendendo un precedente esempio sulla recente crisi finanziaria: una banca di
credito cooperativo, pur non operando sul mercato internazionale e, quindi, in linea
di principio meno esposta al rischio contagio da crisi sistemica internazionale, si
trova a subire ugualmente le conseguenze della stessa crisi per il “meccanismo da
interazione”, nel momento in cui sul mercato interbancario sconta un maggior costo
del denaro per mancanza di liquidità del sistema finanziario generale o per
mancanza di fiducia tra i componenti (banche) del sistema finanziario. Oppure, altro
esempio, la decisione di fissare per legge un tetto per i tassi dei mutui sulla prima
casa è un decisione di governo, mentre la scelta di una famiglia di sottoscrivere un
contratto di locazione, piuttosto che indebitarsi per un trentennio, ad esempio, è una
decisione da interazione.
2.3 Il contagio della crisi: i processi di diffusione
L’iniziale distinzione del livello di analisi in individui, collettività (gruppi) e
sistemi (anche sistemi di sistemi) è propedeutica ad illustrare i fenomeni del
contagio tra sistemi. Si possono individuare, infatti, “processi di diffusione” quando
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la propagazione di una caratteristica, di una qualità o di uno status (la crisi, ad
esempio) si estende da un numero limitato di sistemi ad una pluralità, se non alla
totalità, dei sistemi osservati con cui la stessa (caratteristica o status) entra o è in
relazione23.
Molti dei fenomeni sociali, politici, economici si prestano ad essere considerati
mediante i sistemi combinatori, i quali consentono, inoltre, il non banale passaggio
dagli effetti micro (individui, entità analoghe) a quelli macro (sistemi) attraverso un
effetto ricombinante di un fattore “necessitante”. Non tutte le collettività si
comportano come sistemi combinatori; la condizione perché una pluralità di entità
analoghe formi un sistema combinatorio è l’esistenza di un feedback (interazione)
tra comportamento micro e comportamento macro, ovvero tra un componente ed il
sistema.
I sistemi combinatori si osservano se sono presenti contemporaneamente cinque
caratteristiche.
Insieme di base ed ambiente. La presenza di unità analoghe in grado ciascuna di
sviluppare comportamenti analoghi. Lo stato del sistema può essere definito sulla
base degli elementi che lo compongono. In genere è possibile anche circoscrivere un
ambiente, reale o immaginario, in cui si sviluppano i micro comportamenti.
Informazioni incomplete. I micro comportamenti derivano spesso da
informazioni provenienti da un numero limitato di altre unità: i sistemi combinatori
sono sistemi ad informazione incompleta.
Densità minima e massima. L’effetto sinergico, quindi sistemico, si produce
quando una parte “minima” e “massima”, definite di volta in volta per ogni specifico
sistema, pone in essere o cessa un determinato comportamento.
Feedback micro-macro. Nei sistemi combinatori i micro comportamenti
interagiscono (feedback) con macro comportamenti del sistema nel suo complesso.
Le funzioni che specificano i legami da micro versus macro (comportamenti) e
viceversa sono definite, rispettivamente, dalle “regole di processo” e “regole
ricombinanti”, le quali indicano come i singoli comportamenti, tra loro ricombinati,
possono generare macro comportamenti e viceversa.
Caso e necessità. Le precedenti caratteristiche sono necessarie ma non sempre
sufficienti ad osservare il sistema; perché si avvii il sistema combinatorio è
necessario che “per caso” si manifesti un numero minimo di micro comportamenti
analoghi in grado di attivare il feedback micro-macro, che “per necessità”
influiranno sui micro comportamenti successivi.
23
I sistematori combinatori, distinti da quelli organizzati ad anche operatori, fanno rientrare
nell’ambito della teoria dei sistemi tutti quei fenomeni che non soggiacciono alla regola
algoritmica causa-effetto, bensì che evolvono grazie ad impulsi esogeni e a feedback
interni che occorre esplicitare e formalizzare di volta in volta. La combinazione delle
interazioni a livello micro produce effetti sinergici o emergenti, altrimenti assenti, a
livello macro. Sono di tipo combinatorio, oltre che molti sistemi fisici (con i fluidi), i
sistemi socio-economici. Si possono distinguere quattro sistemi combinatori: a) di
accumulazione, b) di diffusione, c) di inseguimento, d) di ordine. Si veda in proposito
Mella P. (1997, p. 32).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
87
L’attività dei sistemi combinatori si sviluppa, quindi, da una congiunta azione
“per caso” e “per necessità”, in quanto operano regole necessitanti e ricombinanti
che si contrappongono ai sistemi organizzati, i quali sono tipicamente sistemi causaeffetto. Solo dal sorgere del feedback mico-macro deriva quell’effetto necessitante
che caratterizza il comportamento dei sistemi combinatori. Il caso da solo non è mai
sufficiente ad avviare una macro comportamento; occorre anche l’azione delle
regole necessitanti che, tramite un fattore necessitante, impongano il sorgere dei
micro comportamenti nei singoli elementi del sistema: al caso deve affiancarsi la
necessità. Spesso le regole necessitanti derivano dall’obbligo, dalla convenienza,
dalla volontà, dall’utilità, percepiti o meno dal singolo individuo, di uniformare il
micro al macro comportamento. Mentre il fattore ricombinante caratterizza le regole
macro, il fattore necessitante caratterizza le regole micro. Tanto più il micro
comportamento è percepito necessario, utile, conveniente, tanto più il macro
comportamento risulta essere dirompente.
Una dinamica diffusiva sistemica può essere descritta con un modello euristico
articolato nei seguenti tre livelli tra di loro interagenti24:
- livello individuale: regola micro (fattore necessitante), se un oggetto (oppure un
carattere) è presente ed è considerato utile (necessario), in un sistema aumenta la
probabilità che lo stesso entri a far parte (rectius: sia osservato) anche nel
sistema più vicino25;
- livello collettivo: regola macro (fattore ricombinante), la propagazione
dell’oggetto, della caratteristica aumenta l’utilità, il desiderio di possesso
dell’oggetto da parte della collettività, questo la rende sempre più presente nei
sistemi;
- livello sistemico: feedback micro-macro, l’acquisizione singola (micro
comportamento) aumenta la diffusione nel sistema (macro comportamento) della
caratteristica. Ciò da luogo tanto all’effetto moltiplicativo quanto al contagio
dissipativo delle caratteristiche di un sistema.
Un esempio economico dei processi di diffusione può contribuire a comprendere
il fenomeno nel suo divenire. Prendiamo una delle concause più acclamate della
recente crisi finanziaria, ovvero la diffusione dei mutui sub prime.
Il modello euristico che spiega il contagio è il seguente:
- livello individuale: regola micro (fattore necessitante), il bisogno di sottoscrivere
un mutuo per l’acquisto della prima casa;
- livello collettivo: regola macro (fattore ricombinante), il desiderio delle famiglie
(collettività) di acquistare la casa, (caratteristica che aumenta l’utilità e quindi il
desiderio di possesso dell’oggetto da parte della collettività) e conseguentemente
il valore del bene (casa);
24
25
Si veda in proposito Mella P. (1997) p. 154 ss., op. cit.
La “regola” può essere utilizzata anche nella prospettiva utilitaristica, se un oggetto è
ritenuto necessario dai singoli ed aumenta la probabilità di diffusione dello stesso oggetto;
ad esempio la prassi delle stock option.
88
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
-
livello sistemico: feedback micro-macro, l’acquisizione singola (sottoscrizione
del mutuo) rende il fenomeno (mutuo) sempre più diffuso (macro
comportamento) nel sistema finanziario internazionale26.
Quanto osservato vale per la diffusione dei bisogni sistemici, ovvero dei
comportamenti che partendo dal singolo individuo o dal sistema si diffondono in
tutta l’economia dei sistemi, superando una barriera fondamentale per la
salvaguardia del sistema, ovvero il “principio di precauzione” delle decisioni, cioè
quelle barriere che pongono tanto l’individuo quanto il sistema al riparo dagli
eccessi. Molto spesso il sistema, “offrendo protezione” al singolo individuo (sistema
micro), inibisce la capacità di critica dello stesso e la sua indipendenza. In breve tutti
i comportamenti tendono a diventare “omologativi”, quasi consonanti. Ma la
consonanza riduce i confini dei sistemi e tende ad accomunarli, tanto che in caso di
crisi di un componente appartenente, ad esempio, ad un più ampio sistema di
sistemi, essa tende progressivamente a ridurre la resistenza della complessiva
popolazione di sistemi di cui è parte.
Esempio: come nasce e si diffonde la moda.
Come si spiega il fenomeno della moda? Come nasce? Come si introducono le mode e
come cessano? Una moda, sia essa intesa nell’abbigliamento, nella finanza, nelle collezioni,
nell’affermazione delle teorie economiche, deriva da una novità introdotta (micro
comportamento) per caso da un primo individuo allo scopo di discostarsi dalla consuetudine.
Se la novità è troppo costosa, non piace, non è condivisa o è osteggiata (come nel caso delle
teorie economiche) allora non prende avvio nessun effetto combinatorio, ovvero non c’è
l’effetto moda. Se invece ad un primo individuo si associa un numero minimo di individui
che imita l’innovazione, allora l’innovazione diventa moda (effetto macro). Tale macro
comportamento è alimentato dai micro comportamenti ed influenza gli stessi fino a quando
la densità dell’imitazione diventa così diffusa da non essere più desiderabile e ciò apre la
strada ad un nuovo desiderio, cioè ad una nuova moda27.
26
27
In altre parole, il fattore necessitante (acquisto della casa), unito a quello ricombinante
(aumento del valore degli immobili), ha innescano la diffusione a livello sistemico dei
mutui immobiliari la quale, insieme alla crescita di valore degli stessi, ha condotto il
sistema a concedere credito anche al singolo individuo che fosse sprovvisto di sostanziali
capacità di rimborso. Anzi i feedback, ricombinandosi più volte, hanno fatto sì che la
singola “entità” non fosse in grado di rimborsare già ex ante il credito ricevuto, a causa
dell’aumento progressivo del costo degli immobili, e che la stessa garanzia ricevuta dalla
banca (il valore dell’immobile) fosse inadeguato rispetto al credito concesso.
Un particolare sistema combinatorio che deriva da un fattore necessitante involontario è
quello denominato del “contagio informativo”, che provoca un comportamento
individuale fondato su preferenze che si formano quale conseguenza di informazioni
limitate attinte da sotto gruppi di individui di una popolazione. In sintesi, all’inizio le
informazioni sono equidistribuite tra tutti gli individui, ma se casualmente, un gruppo di
individui sceglie una data alternativa, questa altera l’equidistribuzione e conduce il
sistema a scegliere quella specifica alternativa. Si veda in proposito sui sistemi di
diffusione delle informazioni Narduzzo A., Warglien M. (1992, p. 66 ss).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
89
3. Un inquadramento concettuale della crisi alla luce del pensiero
complesso
Nei precedenti paragrafi, si è trattato del rilievo dell’individuo e delle dinamiche
intersoggettive ai fini dell’emergere di comportamenti collettivi qualificanti sistemi
(più o meno) complessi, nonché dei processi propagatori e diffusivi di stati di crisi
tra diversi sistemi.
La “crisi sistemica” può dunque colpire le istituzioni di vario tipo e rango,
dall’individuo alle singole organizzazioni imprenditoriali, sino a realtà più articolate
delle quali l’impresa costituisce una fondamentale “cellula”, come economie
nazionali, territori subnazionali, filiere e cluster anche transnazionali di operatori o,
ancora, realtà sopranazionali tipo il sistema finanziario globale.
Prima di procedere con l’analisi di crisi sistemiche di particolare ampiezza e
portata, giova approfondire la generale nozione di “crisi”, anche alla luce di quella
di “sistema complesso”.
3.1 L’idea di crisi, tra visioni polivalenti e letture puramente negative
Nell’uso comune, la crisi è un concetto dalla valenza sostanzialmente negativa e
deteriore. Essa indica un evento, una situazione o una condizione (status) - non
desiderabile e più o meno localizzata nello spazio/tempo - di difficoltà, disfunzione,
disagio, dissesto, debolezza, malessere, sino all’eventualità della totale dissipazione,
dissoluzione ed estinzione. Essa esprime, in altri termini, una patologia, deviazione,
anomalia o eccezione rispetto alla normalità, all’equilibrio, al progresso verso stati
più desiderabili; nei suoi confronti sono, di conseguenza, elaborati atteggiamenti
contrastanti, ora di negazione e rifiuto, ora di evitamento o schivamento, ora di
sgomento e timore, ora ancora di fiducia nelle possibilità di superamento.
Nel “pensiero colto”, invece, la nozione di “crisi” assume un significato più
ampio ed ambivalente. Specialmente nella speculazione scientifica moderna, ma
invero già nell’antichità, la crisi indica anzitutto un processo, un iter di durata
temporale più o meno ampia, piuttosto che un evento, un episodio o una condizione
puntuale. Soprattutto, essa designa una qualsiasi manifestazione di dinamismo o
transizione, un allontanamento o spostamento rispetto ad uno stato precedente, non
necessariamente preferibile, prevalente ed a sua volta duraturo28.
Alla crisi si attribuisce così una valenza in sostanza neutra, gravida di
indeterminazione, ossia di energetica tensione verso traiettorie evolutive possibili
più o meno variegate e differenziate29. L’idea della crisi viene ad indicare, in una
28
29
Morin E. (1985, p. 192) ricorda come “crisi” significasse per i Greci “scelta/decisione”,
cioè diagnosi e prognosi di fronte ad una situazione dilemmatica o problematica (sulla
differenza tra scelta e decisione, tra problem solving e decision making, v. Barile S.,
2009). In cinese, uno stesso ideogramma è usato per le parole “pericolo” ed “opportunità”.
Sulla crisi come flow dinamico che richiede double loop anziché single loop learning
Nakamura T., Kijima K. (2009, pp. 29-30).
Ci piace ricordare sul punto l’efficace esempio ricordato già in nota 5.
90
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
prima e più generale accezione, il configurarsi di uno spartiacque, crinale, bordo o
margine tra l’attuale ed il possibile.
Tale possibilità, più o meno indeterminata e sottratta all’imbrigliamento del
calcolo computazionale, inclina ad una “nuova” forma mentis intrisa certamente di
problematicità e financo ansia, ma pure di committment e dinamismo, in quanto gli
esiti della situazione critica non sono sempre deteriori e peggiorativi. Questa visione
più ampia e “sfaccettata” non può non rievocare quell’edge of chaos predicato dal
pensiero complesso che, abbandonando la fiducia nel “progresso” (ossia nell’ipotesi
di linearità, continuità, positività e generalità dell’evoluzione), intende la crisi,
almeno in prima battuta, come sinonimo di “evoluzione”, vale a dire tappa naturale,
fisiologica, del divenire di un certo sistema osservato30.
Il dibattito scientifico interdisciplinare sulla crisi si è dunque consumato
anzitutto tra questi due poli, rappresentati da visioni più ampie ed altre più restrittive
e puramente negative. Le ultime, in particolare, hanno trovato specifico
accoglimento in discipline con impronta, almeno in origine, deterministica
(ingegneria, alcuni campi della medicina ecc.) e nel positivismo ottocentesco, dove
la crisi diventa spartiacque tra la progressione consentita dalle “dinamiche
organizzative” e l’involuzione, regressione o de-evoluzione “disorganizzativa”31.
La decisa affermazione nel pensiero moderno dell’accezione più ampia e
polivalente si ha con la tectologia, vero fondamento della teoria dei sistemi32, in cui
l’organizzazione (più precisamente, l’autorganizzazione compiuta da ciascun
sistema per se stesso), tradizionalmente ravvisata solo nei singoli organismi viventi e
nella loro classificazione, rappresenta il tratto caratteristico ed essenziale
dell’umanità e dell’intera natura. Essa sussiste in ogni attività umana (processi
tecnici ed istituzioni sociali) e, ancora, in tutte quelle entità ritenute nel passato
“elementari”33. Simile impianto antideterminista ed antimeccanicista assume la crisi
al contempo come rischio degenerativo ed opportunità di trasformazione, in quanto
il potere ordinante dell’azione pragmatica naturale ed antropica si confronta
dinamicamente con intrinseche tendenze al disordine distruttivo34.
Un altro cruciale contributo all’elaborazione di una concezione non
unidimensionale, demonizzante e sensazionalistica della crisi è fornita dagli studi in
30
31
32
33
34
Sul fatto che i sistemi “non sono”, bensì “si osservano”, cfr. Mella P. (1997).
Emblematiche le parole del medico francese Bernard (1965): “Considero che vi siano
negli esseri viventi due ordini di fenomeni: 1) i fenomeni di creazione vitale o di sintesi
organizzatrice; 2) i fenomeni di morte o di distruzione organica […]. L’esistenza di tutti
gli esseri, animali o vegetali, si regge su questi due ordini di atti necessari e inseparabili:
l’organizzazione e la disorganizzazione».
La tectologia è la scienza universale o generale delle strutture, del costruire/realizzare o
dell’organizzazione ed è stata proposta dal marxista (antagonista di Lenin) Bogdanov A.
(1921).
Questo superamento delle “entità semplici” per una piena ricorsione sistemica basata
sull’unitas multiplex di ogni realtà è ripresa ed esaltata, tra gli altri, in Morin E. (1977).
Proprio dalla fiducia non superficiale di Bogdanov A. nell’azione organizzativa umana e
naturale discende, peraltro, la “prassiologia” di Kotarbinsky T. (1955).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
91
chiave biologica, sociologica, antropologica e psicanalitica sulla personalità e sul
comportamento umano: a partire dall’analisi freudiana e dalle varie teorie sullo
stress, la crisi - quasi una sorta di “Giano bifronte” - assurge pienamente e
definitivamente a binomio “pericolo-opportunità”, quindi a tappa evolutiva o sfida
dagli esiti più o meno incerti35. Si approda così alle “teorie del cambiamento”
individuale, tendenti ad interpretare la crisi come una transizione, “un momento in
cui tutto subisce un cambiamento subitaneo, dal quale l’individuo esce trasformato,
sia dando origine ad una nuova soluzione, sia andando verso la decadenza”36.
Persino quando la crisi si atteggia in modo più problematico ed inquietante, come
ostacolo o limite rispetto ad obiettivi ed aspettative, prevale pur sempre l’idea di una
situazione ancora “aperta” a diversi possibili esiti, in cui c’è esigenza di scelte e
decisioni, sicché “alla fine è raggiunta una qualche forma d’adattamento, che può
rivelarsi o meno come la soluzione più utile per la persona e per chi le sta vicino”37.
3.2 Il dibattito interdisciplinare sulla nozione di crisi, tra fisiologia e patologia
La visione non meramente negativa e deteriore della crisi si salda con la
questione, da sempre centrale per tutte le scienze sociali, sul cambiamento quale
momento di continuità o discontinuità38. Anche nel quadro della predetta theory of
change, permane comunque l’esigenza di distinguere tra crisi di “qualità” differente.
Differenziare le crisi in base all’intensità/gravità degli effetti ed alla capacità di
sopravvivenza del sistema interessato non pare essere una soluzione soddisfacente39;
ecco perché i predetti studi preferiscono parlare di “crisi traumatiche” e “crisi
normative o di transizione”, a seconda dell’esistenza o meno di un significativo
nesso di causalità con un evento o forza, più spesso un set di eventi/forze40. Per
quanto una crisi sia sempre frutto del dinamico interagire di profili esterni ed interni
all’entità esposta al mutamento, dalla psicoanalisi freudiana in poi prevale
l’attenzione alla “risonanza interna” delle determinanti. Quest’ultime non rilevano
tanto fatti o forze (esogeni) in sé, quanto la percezione personale (se si è in un
ambito psicologico) e/o il combinarsi di quelle più significativi con aspetti,
inclinazioni o deficienze endogene, cioè vulnerabilità intrinseche41.
35
36
37
38
39
40
41
Un esempio emblematico è quello dell’adolescenza come tipico “passaggio” problematico
dall’infanzia alla maturità (Laufer M., Laufer M.E., 1986).
Similmente, Sifneos P.E. (1967) parla della crisi come “intensificarsi o aggravarsi di uno
stato doloroso, un punto di svolta per il meglio o per il peggio”.
Caplan G. (1961).
Un riferimento essenziale nelle scienze politiche è, al riguardo, Huntington S.P. (1975).
Ciò in quanto occorre disporre della conoscenza, che è soltanto ex post, dell’esito finale
del cambiamento e si ipotizza di poter osservare in modo passivo e distaccato il decorso
della crisi, quasi “isolandolo” (come in un esperimento di laboratorio) da ogni altra forza
e condizionamento, cosa evidentemente irrealistica.
La distinzione è in Erikson (1968).
Sulla vulnerabilità sistemica, cfr. nota successiva.
92
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
La teoria del cambiamento, tramite il riferimento alla logica matematica di
stampo russelliano, riesce in definitiva a coniugare una visione generale della crisi di
tipo polivalente con una particolare più discriminante, premessa per politiche ed
azioni di crisis, contingency o change management. Ecco dunque profilarsi due
livelli o ordini di cambiamento:
- uno evolutivo o continuo, comportante un mutamento che rimane tutto interno ad
un certo sistema di riferimento o “gruppo” (crisi fisiologica);
- uno discontinuo e più radicale basato sui “tipi logici”, con un mutamento degli
schemi di base, intrinsecamente contraddittori o divenuti obsoleti (crisi
patologica)42.
Il pensiero complesso suffraga questi assunti, anzitutto perché la crisi può essere
agevolmente accostata ai concetti di equilibri puntuati, dinamiche co-evolutive, edge
of chaos, paesaggi (landscape) con riduzione esponenziale delle varianti idonee (fit)
disponibili, criticità auto-organizzata, proprietà emergenti dall’auto-organizzazione,
sensibilità alle condizioni iniziali, path-dependence, biforcazioni, ecc.43.
Gli stessi fautori del pensiero complesso, peraltro, qualificano espressamente
l’idea di “crisi” come “rivelatore” ed “effettore” di una realtà processuale altra,
altrimenti non attingibile né consapevolizzabile44. La crisi è, in altre parole, un
evento straordinario che rivela il latente, il virtuale, l’invisibile, il possibile e
l’incosciente, giocandoli contro il manifesto, il reale, il visibile, l’attuale e il
cosciente; ha per effetto la trasformazione generale della società, di cui diviene un
fulcro decisivo45.
3.3 Il ruolo della crisi nelle discipline economiche e sociali: negazione,
enfasi, superamento
Appurato che la crisi assume ora il significato restrittivo di “trauma/minaccia”,
ora quello più ampio di “pericolo/opportunità”, emerge una seconda questione
epistemologica di non minore importanza, concernente la sua considerazione in seno
soprattutto alle scienze sociali, in primis l’economia. Si delineano al riguardo
almeno tre posizioni alternative: una semplicemente ignora o nega, quasi
42
43
44
45
La distinzione tra “cambiamento nel gruppo” e “cambiamento di tipo logico” ricorda
quella tra “evoluzione individuale” ed “evoluzione della specie” richiamata, con riguardo
all’impresa, in Panati G., Golinelli G.M. (1991). Il binomio “specie-individuo”, tratto dal
biologico, va usato con cautela nel sociale; ecco perché la theory of change impiega, più
rigorosamente, la distinzione tra individuo e classe, categoria, tipo logico o idealtipo. Non
va poi compiuto l’errore di applicare tali nessi a realtà (“sistemi”) tra loro distinte, come
l’individuo e l’organizzazione (v. le precisazioni in Tagliagambe S., 2007, p. 214 ss.).
L’uso di metafore organico-biologiche nell’analisi dell’impresa è stata peraltro oggetto di
aspre critiche già negli anni cinquanta del secolo scorso, con accese dispute tra Alchain e
Penrose. V. Rizzello (1997, p. 95 ss.) per una sintesi.
Sugli assunti e le proposte fondamentali delle varie teorie della complessità, cfr. cap. I.
Così Morin E. (1985, pp. 191-203, in specie p. 191).
Ancora Morin E. (1985, pp. 191-192).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
93
aprioristicamente, il fondamento e l’utilità del concetto di “crisi”, peraltro inteso in
senso essenzialmente negativo; un’altra conferisce alla crisi una portata
assolutamente significativa; un’ultima prospettiva rifiuta in toto o nella sostanza la
suddetta categoria logica, stavolta in base ad argomentazioni specifiche più o meno
robuste e convincenti. Alcuni filoni teorici, soprattutto in ambito economico, sono di
seguito ricondotti alle tre posizioni predette (Tab. 1).
Tab. 1: La considerazione della crisi in alcune impostazioni teoriche
Tipo di considerazione
Teorie riconducibili
Crisi ignorata per inconsapevolezza
o incompatibilità con la teoria
generale
- Economia classica (Smith, Ricardo)
- Economia neoclassica marginalista46
Crisi ritenuta come concetto
portante, indipendentemente dal
significato solo negativo oppure
polivalente
Crisi ritenuta inutile o inappropriata
come categoria logica
-
Tectologia
Theory of change
Teoria dei cicli economici (Kondratiev)
Economia keynesiana
Teorie, marxiste e non, sulle
capitalistiche47
crisi
- Tecnologismo48
- Teoria sociologica postmoderna49
Fonte: ns. elaborazione
Si preferisce, in questa sede, ritenere la crisi una categoria logica tuttora di
importante portata negli studi economici e sociali, come tale da sottoporre ancora a
riflessione scientifica, prima di reputarla completamente accantonata e superata. Ciò
nonostante talune impostazioni della terza categoria, come la sociologia
giddensiana, esprimano istanze radicali del pensiero complesso e siano di grande
interesse.
46
47
48
49
Su queste teorie si torna infra, par. 1.4.3.1.
Sulle ultime tre impostazioni si torna infra, par. 3.4.3.2.
Il tecnologismo, con eccessivo ottimismo, confida nel progresso ed interpreta
l’approssimarsi o il deflagrare della crisi (intesa in senso negativo) come occasione
positiva, come stimolo e sollecitazione per nuovi avanzamenti tecnologici. V. Solow
(1974), che bocciò le tesi apocalittiche emergenti nello studio commissionato dal Club di
Roma al MIT sulla sostenibilità ecologica mondiale (Meadows D.H., 1972).
Giddens A. (1979, p. 223), fautore di una “teoria della strutturazione”, che si distanzia
tanto dall’evoluzionismo liberale quanto dal materialismo storico (cioè il marxismo,
anch’esso giudicato evoluzionista), condanna ogni teoria del cambiamento o mutamento
sociale “endogeno” o “di dispiegameto”. In esse infatti la dinamica evolutiva sociale è il
portato di caratteristiche o contraddizioni interne, presenti sin dalle origini, di un unico
insieme di meccanismi di causazione strutturale in grado di spiegare l’agire sociale
complessivo.
94
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
4. La “crisi capitalistica” come esempio paradigmatico di crisi dei
sistemi complessi economico-sociali
La “crisi capitalistica” rappresenta la fattispecie di crisi sistemica di più ampia e
generalizzata portata in ambito economico. Essa interessa infatti le logiche stesse del
moderno capitalismo, inteso come specifica forma organizzativa della produzione
economica, che si traduce in una popolazione (o ecologia) sistemica differenziata
per rango e per grado di compimento, includendo individui, famiglie, imprese ed
altre organizzazioni, ossia entità qualificate ciascuna da un certo grado di
compimento sistemico (variabile nel tempo)50.
Il capitalismo moderno rappresenta, quindi, un sistema economico
particolarmente complesso e rientra tra quei sistemi ad intensa o crescente
complessità inquadrati dalle nozioni di “federazione di sistemi” o “sistema di
sistemi” (SoS)51 oppure di “sovrasistema” più o meno vitale, in grado di esercitare
pressioni sui sistemi d’ordine inferiore, come l’impresa, attraverso combinazioni
relativamente stabili di interessi, obiettivi e funzioni. Per quanto suggestivi, i
concetti di Sos e di sovrasistema possono trovare interpretazioni assai eterogenee,
che spaziano da mere applicazioni formalistiche del postulato logico della ricorsività
all’individuazione di vere e proprie coordinazioni e convergenze, più o meno
consapevoli, tra attori differenziati, con l’emersione di un comportamento collettivo
percepito come piuttosto coeso e coerente da osservatori interni e/o esterni52.
La crisi capitalistica più recente è lo shock subito dal sistema finanziario
internazionale nel periodo 2007-2008, emblematicamente rappresentato
nell’immaginario collettivo dall’annuncio del ricorso al “Chapter 11” da parte della
banca d’affari statunitense Lehman Brothers (15 settembre 2008), che ha richiamato
l’attenzione di studiosi, giornalisti ed osservatori sulle crisi economiche e
finanziarie53.
50
51
52
53
Circa il grado di compimento sistemico, cfr. Liguori M., Proietti L. (2008, p. 109 ss.).
Sul capitalismo come sistema complesso nel marxismo, v. Shaikh A. (1978, p. 219).
Maier (1996, p. 567 ss.) definisce SoS un sistema con tutti, o gran parte, dei seguenti
caratteri: ampiezza della propria distribuzione geografica; dinamismo; composizione in
termini di altri sistemi di rango inferiore; comportamento “emergente”, cioè non ottenibile
da alcuno dei singoli sistemi componenti; indipendenza operativa di ciascun sistema
“inferiore” (perché in grado di funzionare a prescindere dal sistema complessivo);
indipendenza gestionale di ciascun sistema “inferiore” (essendo ciascuno dotato di una
propria mission per la quale viene appositamente governato); ampio raggio
spaziale/geografico di azione di ciascun sistema componente. V. pure Sage A., Cuppan C.
(2001, p. 325 ss.).
Sulle “catene o gerarchie di sistemi” in base alla ricorsione e all’ordine polisistemico che
vede un sistema sociale incluso nel sistema naturale, a sua volta insito in un sistema
galattico, v. rispettivamente la general system theory di Von Bertalanffy L. (1968) e
Morin E. (1977, p. 127).
Per una breve e autorevole ricostruzione storica della crisi finanziaria mondiale del 2008,
cfr. Banca dei Regolamenti Internazionali (2009, p. 20 ss.). Sull’origine nel 2007 di tale
crisi, Banca dei Regolamenti Internazionali (2008, p. 11 ss.).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
95
Questo ennesimo downturn ha prodotto due significative implicazioni, su un
piano squisitamente epistemologico: la prima consiste nel riemergere del dibattito
intorno alla natura di disciplina scientifica dell’economia, già in passato apostrofata
come “scienza triste, tetra” ma negli ultimi tempi ritenuta egemone rispetto
all’indebolita politica istituzionale54. A studiosi ed operatori economici si
rimprovera, in sostanza, la puntuale incapacità di prevenire, predire o affrontare
rapidamente e con esiti migliori le periodiche crisi del mercato: simili critiche, pur
non scevre da pregiudizi e contraddizioni, sottolineano da un lato la crisi
paradigmatica del sapere predicata dal “pensiero debole” novecentista e dagli stessi
mentori del pensiero complesso, dall’altro la crescente divaricazione tra “sapere
esperto” e “senso comune”55.
Il secondo effetto attiene al puntuale verificarsi, come per le precedenti ruins, di
una polarizzazione tra visioni riduttive ed altre più problematiche56. Le prime
intendono le crisi capitalistiche come anomalie eccezionali, transitorie e soprattutto
sporadiche nella storia recente, giacché l’economia avrebbe goduto - dal secondo
dopoguerra alla prima metà degli anni settanta del secolo scorso, momento di
passaggio alla cosiddetta “età postindustriale o postfordista” - di un lungo periodo di
espansione, puntellato solo da brevi recessioni57.
54
55
56
57
Sulla critica all’economia come “dismal science” a partire da Thomas Carlyle (nel 1843 e
1849) e dall’amico John Ruskin (nel 1860), v. Lutz M.A. (1999, p. 63 ss) e Levy (2001, p.
XIII ss.). Carlyle e Ruskin, entrambi antimodernisti, condannavano la società industriale,
furono tra i primi sostenitori delle riforme sociali e contestavano, in sostanza, un certo
sovrappiù di efficientismo e razionalismo in economisti come Mill. Commisero però
l’errore di confondere l’analisi (l’economia come disciplina) con l’oggetto della stessa
(eccessi ed iniquità della Rivoluzione Industriale) e con uno specifico modello teorico
(l’economia classica ed il laissez faire più spinto).
L’inversione, negli ultimi decenni, del rapporto di forza tra economia e politica a
vantaggio della prima è richiamata ad esempio in Barcellona (1998). Grandinetti R.,
Rullani E. (1996) sottolineano, in specie, l’arretratezza della politica e delle pubbliche
istituzioni, ancorate allo Stato-nazione, rispetto al nuovo contesto globalizzato.
Circa il pensiero debole (o “pessimismo della ragione”) derivante da Heidegger e
Nietzsche, il rimescolamento dei saperi ed il postmodernismo inteso come “incredulità
alle meta-narrazioni”, v. Vattimo G., Rovatti P.A. (a cura di, 1983). Giordano (2006, p. 53
ss.) ricorda l’evolvere del dibattito tra neopositivismo ed antiscientismo sul rapporto tra
filosofia e scienza ed i contributi in specie di Popper, Kuhn, Feyerabend e Lakatos. Circa
gli studi sulla complessità nel dibattito epistemologico, si rinvia ai precedenti capp. I e II.
La crisi del rapporto fiduciario tra sapere esperto e vita quotidiana è stata avanzata dalla
“sociologia del rischio”, specie da Luhmann N. (1993), nel quadro della sua sempre più
raffinata teoria sistemica del sociale, e da Beck U. (2000) e Giddens A. (1990), con la loro
teoria della “modernità riflessiva”. Il trionfo, non senza ambiguità sociali, di tecnocrazia e
sapere esperto nella tarda modernità è invece in Wynne B. (1995, p. 361 ss.).
Hirschman A.O. (1980, p. 113) distingue tra “compiacenti” (o acquiescenti, minimizzanti)
e “strutturalisti” o “fondamentalisti”.
Il termine “postindustriale” è stato coniato per la prima volta da Touraine A., (1969) e
Bell (1973); in Italia, contra, Colombi (1989), che preferisce parlare di ipo ed
iperindustrialismo. Tra i primi teorici del postfordismo, figurano Amin A. (1994) e, in
96
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
Per le altre, invece, le crisi, incluse quelle riguardanti mercati/operatori
finanziari, sono state non solo assai ricorrenti, ma persino frequenti sin dalla prima
metà dell’Ottocento e, di nuovo, dalla fine degli anni sessanta del Novecento,
segnando una scia talmente lunga e definita da sollevare l’interrogativo non sul
perché la società capitalistica subisca crisi, bensì su come essa riesca a perdurare e
ad operare ancora58.
4.1 Una rilettura in ottica sistemica delle teorie economiche sulle crisi
capitalistiche
Gli studi economici hanno fornito un ricco contributo allo studio delle crisi
economiche. Paradossalmente, però, il dibattito è stato così acceso ed influenzato da
profili ideologici che le assunzioni più avanzate ed illuminanti sono state respinte
dal corpus teorico dominante, ovvero piegate ad esigenze politiche estranee al
campo scientifico. Ecco allora che il pensiero complesso consente di rileggere in
chiave epistemologica tale dibattito, individuando il progressivo affermarsi dell’idea
del capitalismo come sistema estremamente complesso e soggetto a crisi aventi una
radice essenzialmente intrinseca, quindi difficili da debellare, ma non per questo tali
da rendere l’economia di mercato facilmente superabile (Tab. 2).
Il primo filone comprende teorie, tra di loro anche molto diverse, accomunate dal
fatto di ritenere il sistema capitalistico estremamente armonico, equilibrato e stabile,
naturalmente autopoietico, in quanto tendente in modo spontaneo all’espansione,
alla rigenerazione ed all’autobilancialmento59.
58
59
Italia, Rullani E., Romano L. (1998). Kumar K. (1995) parla di transizione dall’età
postindustriale alla postmodernità.
A livello d’impresa, gli avvenimenti a partire dagli anni Settanta, come la crisi petrolifera
e la trasformazione della domanda dei consumatori, hanno imposto una rivisitazione delle
condotte strategiche, determinando la transizione dal modello fordista a quello
postfordista, “un modello sociale in cui il modo di produzione non è più dominato da
forme di produzione verticalmente integrate e di distribuzione della ricchezza contrattate
tra rappresentanze collettive e supervisione dello Stato, bensì da forme di accumulazione
flessibili, capaci di integrare, di mettere in rete modi, tempi e luoghi di produzione fra loro
molto diversi” (Schiavone F. 2008, pp. 4-5).
Nell’ultimo senso, Shaikh A. (1978, p. 219). Una fondamentale cronistoria delle crisi
capitalistiche dalla prima metà dell’Ottocento è in Kindleberger C.P. (1978). Già Engels
F. (1975) osservava che, all’incirca ogni dieci anni, le economie occidentali sono
sconvolte, a livello nazionale o globale, da shock piuttosto gravi. Van Duijn J.J. (1983, p.
163) nota, ancora, che l’originaria “Grande Depressione” del 1873 durò circa vent’anni,
come pure quella del ‘29.
Per un cenno alle più recenti crisi finanziarie internazionali, a partire dagli anni Novanta
del secolo scorso, e la conseguente revisione della vigilanza sovranazionale con “Basilea
Due”, sia consentito rinviare a Proietti L. (2003, p. 141 ss.).
Ciò per la nota “legge degli sbocchi di Say”, secondo cui “l’offerta determina la rispettiva
domanda”.
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
97
Tab. 2: Fondamentali filoni teorici sul capitalismo come sistema e sulle sue crisi
Denominazione
Economia
ortodossa,
convenzionale
o
borghese,
comprensiva
delle
“riforme”
concettuali introdotte da business
cycle theory e teoria economica
keynesiana
Teorie,
marxiste
e
non,
sottoconsumistiche “del crollo”
Teorie sulla caduta tendenziale del
saggio di profitto per motivi
diversi dal sotto-consumo cronico
Descrizione
Il capitalismo viene (in origine) inteso come un
“processo razionale”, un sistema auto-espansivo
ed auto-equilibrante, in cui la crisi è del tutto
ignorata, è irrilevante o comunque è superabile
Il capitalismo è un sistema complesso
inevitabilmente tendente a squilibri e crisi, che
determinano il conclusivo dissolvimento del
sistema stesso
Il capitalismo è un sistema complesso a crescita
auto-limitata, come tale strutturalmente soggetto a
crisi, ma non per questo destinato a dissolversi da
sé
Fonte: ns. elaborazione
Tale sistema non avrebbe pertanto limiti storici, potendo sopravvivere se lasciato
a se stesso, donde il principio del laissez faire e le “politiche dell’offerta” quale
unica, limitatissima, prospettiva d’intervento pubblico in economia60. In questo
quadro, intriso di meccanicismo ed “ottimismo della volontà” (o volontarismo), il
capitalismo è un sistema piuttosto semplice e meccanico, che esclude, in pratica, la
crisi61.
Con la crisi del 1929 è emersa l’insufficienza delle predette indicazioni, in tal
modo il paradigma dominante subisce una più intensa revisione ad opera soprattutto
della teoria keynesiana62. Tale ripensamento non rimuove però l’ipotesi di una
sostanziale capacità auto-riproduttiva ed auto-riequilibrante del sistema e,
soprattutto, individua le determinanti della crisi in “errori” di regolazione pubblica,
che sono invece al più cause “prossime” e non “alla radice”63.
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61
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63
De Gregori T. (1974, p. 759 ss.), richiamando le critiche all’economia “convenzionale”
degli istituzionalisti Veblen e Ayres, parla di “ossessione del mercato” e fiducia quasi
mistica nei suoi riequilibri automatici.
Sul capitalismo come “processo razionale” basato su condizioni ideologiche
(protestantesimo e calvinismo), istituzionali (sette e corporazioni) ed economiche, Weber
M. (1930; 1977)
Sulla lettura della crisi nella scuola classica, neoclassica e keynesiana, Shaikh A. (1978, p.
219).
Shaikh A. (1989, p. 21) ricorda come l’azione pubblica abbia trasformato l’enorme
disoccupazione e deflazione degli anni trenta del Novecento in una più durevole ma
graduata stagflazione, ma osserva lapidariamente che l’intervento pubblico in economia
non sarebbe la causa basilare né del boom postbellico, né delle successive crisi (Shaikh
A., 1989, p. 19).
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
98
Tab. 3: Originarie spiegazioni della crisi nell’economia classica e neoclassica
Rifiuto
Crisi di
sottoproduzione
Business cycle
theory65
Caduta
tendenziale del
saggio di
profitto
“Errore
smithiano”
Errore
ricardiano
Inammissibilità della crisi per incompatibilità con l’equilibrio statico64
Come nelle economie pre-capitalistiche, evento eccezionale causato da
fatti naturali o antropici straordinari (cataclismi, resa di terre e mari,
guerre, lotte civili, momenti di incomprensibile ottimismo generale, ecc.),
esogene rispetto al funzionamento di imprese e mercati, ma comunque
superabili
Tentativo di risolvere frequenza e regolarità delle instabilità sostituendo
all’equilibrio statico i “cicli economici”, oscillazioni e fluttuazioni
endogene al sistema ma ritmiche e lievi, che rendono dinamici gli equilibri
senza alterare la capacità auto-riproduttiva del sistema stesso. Non si
spiega però la crisi grave
Ipotesi più inquietante prefigurata già dagli economisti classici ma in
seguito sminuita per l’incapacità di fornire spiegazione logica e rilevazione
empirica
Ipotesi “di ripiego” di Smith di crisi settoriale prima e generale poi per
eccessiva competizione di prezzo tra imprese66. È presto superata da
Ricardo e Marx
Ipotesi “di ripiego” di Ricardo di caduta della profittabilità per la
tendenziale caduta della produttività del lavoro. È presto superata da
Marx67
Fonte: ns. elaborazione
In piena antitesi con il precedente è il filone che intende l’economia di mercato
del tutto priva di propri meccanismi e capacità di autoespansione. Pur avendo
necessità di crescere, essa abbisogna di “fonti” esterne a sé, le quali vengono
progressivamente inglobate ed omologate, donde l’esigenza di nuove “fonti”68.
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66
67
68
Gailbraith J.K. (1987) nota con ironia che “poteva non esserci un rimedio per la
depressione se la depressione era stata esclusa dalla teoria. I medici, persino quelli di
maggiore reputazione, non hanno una cura per una malattia che non può esistere”.
Schumpeter J.A. (1939) riconosce un ciclo classico di 7-11 anni, scoperto nel 1862 da
Juglar nel misurare gli intervalli tra le maggiori crisi commerciali. Uno breve (inventory
cycle o ciclo delle scorte) di 3-4 anni, osservato nel 1930 da Kitchin e il macrociclo di 5060 anni individuato da Kondratiev N. (1925), pur intuito già da Hyde Clark nel 1847.
Kuznets S.S. (1968) aggiunge un ciclo di 15-25 anni rilevato nel 1923 e relativo a
costruzioni residenziali ed industriali. Per approfondimenti, v. pure Rostow W.W. (1971);
Mandel E. (1975, cap. I); Kalecki M. (1972); Van Duijn J.J. (1983, cap. I).
Tesi ripresa in Brenner (1998, pp. 29, 100-103, 136-138) per spiegare la crisi statunitense
nel periodo 1965-1973 a partire dal settore manifatturiero. Contra Shaikh A. (1999).
Il focus settoriale tipico della tradizionale industrial organization è stato peraltro superato
con l’intensa diversificazione di business e le convergenze realizzate tramite
collaborazioni fra imprese (v. Dezi L., 1996).
Sulle tesi di Smith e Ricardo, dettagli in Shaikh A. (1999, pp. 104-105, 125, 133-135 e
136; 1978, p. 235).
Esempi emblematici di “external sources” sono le economie pre-capitaliste e i Paesi in
genere più arretrati.
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
99
Rientrano qui le cosiddette teorie del sottoconsumo, per le quali le crisi
scaturiscono da limiti esogeni (esaurimento di ulteriori margini di crescita), che
sarebbero inevitabili, innescando squilibri tra domanda ed offerta69. Il
sottoconsumismo ha trovato moltissimi sostenitori già prima del marxismo,
addirittura nello stesso pensiero liberale70. I maggiori impulsi e sviluppi sono stati
però dopo Marx, sebbene questi avesse confutato alla base il sottoconsumismo,
dimostrando che l’economia di mercato può perseguire, ancorché solo in astratto,
una crescita durevole e che la carenza di domanda è solo un effetto/sintomo della
crisi, essendo la profittabilità calante ad innescare il sottoconsumo e non il
contrario71.
L’ultima corrente di pensiero reputa l’economia di mercato capace di un’autoespansione non equilibrata né illimitata nel tempo, perché lo stesso processo di
accumulazione induce il sistema ad amplificare le proprie contraddizioni e tensioni
interne. Ricadono qui teorie quasi esclusivamente marxiste, più o meno fedeli alle
originarie argomentazioni di Marx, secondo le quali gli imprenditori tendono ad
accumulare capitale il più rapidamente possibile e la crescita, non la stagnazione o
crisi, è la normale tendenza del sistema, senonché questo risulta incapace di crescere
in modo indefinito, graduale ed armonioso72.
Tra queste, la più robusta è quella che intende la crisi come portato di una
strutturale caduta della profittabilità, la quale non è però effetto/sintomo di altre
cause (carenza di domanda effettiva, rivendicazioni salariali, minore sforzo
produttivo della forza lavoro, eccesso di concorrenza, cambiamento tecnologico
ecc.), bensì è causa in sé, connessa alla crescente meccanizzazione della produzione
e autonomizzazione del capitale73.
S’inserisce qui la questione delle crisi finanziarie, legate anzitutto ad imprese e
transazioni finanziarie. Esse scaturiscono da crescenti investimenti in capitali
“fittizi”, ossia in diritti su ricchezze future del tutto presunte, tipici delle fasi più
espansive dell’economia. Nel momento in cui le sottese aspettative non sono
verificate o perdono di credibilità, si verificano i crolli finanziari, i quali hanno però
69
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73
La teoria è denominata della stagnazione da Sweezy P. (1981). Per differenti
categorizzazioni delle varie teorie della crisi, in specie marxiste, v. Elster J. (1989).
Sul sottoconsumismo pre-marxista di Malthus, Sismondi e Hobson, v. Shaikh A. (1978,
pp. 224-225) e Hobson (1974, p. 59 ss.). Sull’accostamento del liberale Hobson alla
critica sottoconsumista del capitale di stampo marxista, Ietto-Giles (2006, p. 49 ss.).
Obiezioni alle teorie sottoconsumiste, in specie pre-marxiste, sono in Marx (1967, vol. III,
p. 250), Shaikh A. (1978, pp. 227-229) e Pala G. (1989).
L’ipotesi in cui l’economia capitalistica riesce a crescere durevolmente è detta da Marx
“crescita bilanciata” o “riproduzione espansiva” del capitale (Shaikh A., 1978, p. 227).
I numerosi limiti del sottoconsumismo anche marxista sono riportati in Shaikh A. (1978,
p. 224; 1989, p. 17).
Le principali proposte sono la teoria della lotta di classe e del wage squeeze, la teoria
dell’incremento ed eccesso di concorrenza domestica ed internazionale e la teoria della
caduta del saggio di profitto per effetto della meccanizzazione. Cfr. Post (2008).
Questa impostazione è la più fedele alla tesi originaria secondo cui il vero limite del
capitalismo sarebbe intrinseco al sistema (Marx K., 1967, vol. III, p. 250).
100
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
impatti più contenuti se non è particolarmente forte il sotteso disorientamento e
disinvestimento a livello industriale.
5. Dalla complessità sistemica ad uno schema interpretativo della crisi
del sistema complesso
5.1 Alla ricerca del “male oscuro” dei sistemi complessi d’impresa e “oltre
l’impresa”
Avendo chiarito il significato e il rilievo della crisi nelle scienze sociali e avendo
analizzato il dibattito teorico sulle crisi dell’economia di mercato quale peculiare
sistema complesso, si può tentare di fornire una lettura generalizzata del nesso
logico tra crisi e complessità sistemica. Evitando la discussione delle innumerevoli
definizioni di sistema complesso elaborate in dottrina, imperniate su molteplici
caratteri definitori, si assume qui che un sistema complesso sia il portato delle
condotte concomitanti di diversi attori, agenti in base ad aspettative e con reazioni
gli uni agli altri, donde una struttura di comando/controllo alquanto diffusa,
distribuita e decentrata74.
Tale configurazione permette, tra l’altro, le proprietà di sinergia elevata,
emergenza, flessibilità e resilienza75. Il delicatissimo mix di condizioni e fattori per
cui il sistema complesso riesce ad operare transitando da uno stato ad un altro, se per
un verso consente al sistema un ampio range di azioni e possibilità, dall’altro lo
espone a non meno significative possibilità di fallimento76. Il sistema è, in sostanza,
vulnerabile rispetto a problemi relativamente rari ma altamente catastrofici, che
possono risultare non risolvibili dal sistema stesso, in quanto la complessità
raggiunta come “protezione” da una serie più o meno ampia di fallimenti
“conosciuti” (nel senso di considerati) nel contempo espone ad altre possibili
criticità77.
La fallibilità del sistema complesso è stata resa metaforicamente dalla swisscheese theory o vulnerable system sindrome, che rappresenta il sistema come un
insieme di fette di “formaggio groviera”, nelle quali i buchi sono errori attivi
(intenzionali e non) ed errori/condizioni latenti. I primi comprendono i più vari
errori individuali e sono identificati da buchi molto mobili, che si aprono e si
richiudono velocemente, spostandosi nei vari punti possibili della stessa fetta; i
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75
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77
Johnson J.T. (2006, p. 16). Sulle nozioni di sistema complesso e i driver della complessità
sistemica, si rinvia ai capp. I e II.
Sulle proprietà richiamate, Comfort L.K., Sungu Y., Johnson D., Dunn M. (2001, p. 144
ss.).
Tale affermazione, in apparenza paradossale, è coerente con i teorici dell’incertezza come
“rischio incommensurabile”, in primis Knight e Keynes. Per una sintesi, sia consentito
rinviare al nostro Proietti L. (2008, cap. II).
Così Johnson J.T. (2006, p. 16). Perrow C. (1999) sostiene che la complessità sistemica
rende inevitabili i malfunzionamenti e le failures.
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
101
secondi sono invece raffigurati da buchi poco mobili e ben più stabili, essendo legati
alla progettazione organizzativa e all’insieme delle regole che determinano le
modalità lavorative78.
Da quanto detto, si può sintetizzare che:
- la categoria logica della crisi pare essere la quintessenza della complessità
sistemica;
- la crisi sistemica presenta un’origine intrinseca o strutturale rispetto al sistema
stesso, per via di vulnerabilità o propensioni latenti, talora accentuate da
pressioni o eventi esterni79. Con specifico riguardo alle crisi capitalistiche, questo
assunto non solo è confermato da studi che, in relazione a crisi recenti anteriori a
quella del 2007-2008, sottolineano carenze insite nel sistema osservato, ma
implica che le crisi, pur avendo espressione anzitutto finanziaria, celano in
genere una radice reale80;
- la complessità rappresenta da un lato una modalità di superamento di determinate
possibili difficoltà ma, dall’altro, una forma di alimentazione di ulteriori
eventuali “disastri”, proprio per il tramite dell’integrazione, del coordinamento,
della comunicazione e della condivisione tra componenti sistemiche81;
- la persistenza di “auto-organizzazione negativa” o “disergia” può suscitare
reazioni a livello contestuale tali da risultare esiziali per il sistema in crisi82.
78
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Reason J. (1990), che ha affinato la concettualizzazione in specie nel campo delle aziende
sanitarie: l’errore umano esce dalla visione meccanico-individuale ed entra in una
prospettiva sistemico-organizzativa, che integra in un unico quadro concettuale tutte le
componenti implicate nel sistema stesso.
Emblematico Gilbert C. (2007, p. 925): “New trends of analysis develop, related less to a
specific, critical situation than to changes and destabilizations in systems of actors. From
this point of view, crisis has a strongly endogenous character and crises analysis tends to
converge with the analysis of risks as public problems and with the analysis of ‘normal’
situations”. Sul capitalismo, v. il concetto di “microfondazione” in Elster J., (1989, pp.
216-217); lapidario Ferrer-Pacces F.M. (1970, p. 34): “Il sistema […] ha creato e
alimentato per secoli i germi della propria autodistruzione”. Contra, Hirschman A.O.
(1980, p. 116) parla di “ideology trap” e “structuralist (or fundamentalist) fallacy” per
deprecare la ricerca sempre di cause intrinseche e profonde.
Fortune J., Peters G. (1995) definiscono la vulnerabilità come “a system’s susceptibility to
the adverse consequences of a trigger event”, mentre Turner B.A. (1976; 1978) e Reason
J. (1997) usano le metafore, rispettivamente, di “incubazione” e “resident pathogen”.
Cardoza G., Diaz J., Angel A. (2006) sottolineano il legame tra la crisi argentina e fattori
endogeni quali fragilità istituzionale, obsolescenza istituzionale e regolatoria, assenza di
trasparenza ed adeguatezza informativa. Pajuste A. (2007, p. 807 ss.) dimostra che
caratteristiche specifiche e validità dell’assetto di governance aziendale hanno favorito in
taluni investitori il minore contagio e la più rapida fuoriuscita dall’impatto della crisi
russa.
Esemplificativo in ambito aziendale lo studio di Shaver J.M. (2006, p. 962) sulla fusione
sinergica di due o più organizzazioni, esso distingue tra “effetto di contagio” ed “effetto
capacità” nello spiegare i casi di insuccesso.
Conferma la tesi marxista secondo cui non esiste un “punto di non ritorno”, cioè di
definitivo auto-collasso del sistema. Infatti, “nessun sistema economico, non importa
102
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
Ecco che, in definitiva, si può parlare di “male oscuro” del sistema complesso, in
ragione della sua inclinazione a fallire per cause solitamente intrinseche e profonde,
connesse alla sua stessa complessità83. La locuzione “l’impresa e oltre l’impresa” va
così intesa in duplice senso: da un lato, la crisi sistemica può interessare tanto la
singola impresa quanto realtà sistemiche più articolate (sino all’economia di mercato
ed al sistema finanziario globale associato), dall’altro che l’incapacità ad affrontare
ex ante ed ex post la crisi può anche comportare una più o meno spinta
delegittimazione sociale dell’impresa e del connesso sistema complesso
capitalistico.
L’esistenza di realtà particolarmente complesse come i SoS induce a riflettere
sulla loro tendenza a crisi. Gli studi disponibili al riguardo hanno anzitutto tentato di
delineare una metodologia condivisa per qualificare tali possibili failures84. Essi
hanno inoltre sottolineato che le interdipendenze costituiscono una “leva
relazionale” delle prestazioni sistemiche così in situazioni favorevoli come in quelle,
all’opposto, deteriorate, per via di processi propagatori, diffusivi, omologativi ed
emulativi85.
Tuttavia, anche in queste ultime circostanze, gli “incentivi privati” sono tali che
le interdipendenze risultano troppo numerose rispetto a quanto opportuno per il
complessivo sistema86.
Ciò implica che, per un verso, la sola relazionalità non è la causa di fondo delle
crisi sistemiche, in specie nei SoS (come la finanza mondiale); per un altro, nel
quadro del sistema come institution, un ruolo centrale è comunque svolto
dall’intenzionalità individuale, ovviamente spesso esposta alla pressione omologante
di eventuali culture egemoni, più o meno alla base del sistema stesso.
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quanto indebolito, collassa da sé in modo automatico. Deve essere rovesciato” (Jacoby,
1975, p. 37). Anche Elster J. (1989, pp. 216-217) precisa che la crisi non modifica da sé la
realtà, ma fornisce una motivazione alla (possibile) azione politica. Anche Ferrer-Pacces
F.M. (1970, p. 34) statuisce sull’economia di mercato: “l’alternativa è tra distruzione e
mutazione del sistema”.
La locuzione “male oscuro”, volutamente suggestiva e provocatoria, si ritrova già in De
Cecco M. (2008), pur in un diverso ragionamento sull’ultima crisi finanziaria.
Contributi significativi sono: Beer S. (1981; 1994); Kickert W.J.M. (1980); Van Gigch
J.P. (1986, p. 131 ss.), che distingue tra failures of (i) technology, (ii) behaviour, (iii)
structure, (iv) regulation, (v) rationality, (vi) evolution; Jackson M. (2003), che opera
un’interessante correlazione tra approcci sistemici e teoria dei SoS; Nakamura T., Kijima
K. (2009, p. 34 ss.).
Cfr. Maccoun R., Cook P.J., Muschkin C., Vigdor J.L. (2008, p. 695 ss.) per dettagli su
social norm effects, effetti di contagio, “cascate” informative e peer effects (dove peer sta
per soggetto “vicino”, di pari grado, quindi imitato). Conte R., Paolucci M. (2001) si
focalizzano sui processi di social learning basati sul learning by interacting e distinguono
tra facilitation ed imitation.
V. Gallegati M., Greenwald B., Richiardi M.G., Stiglitz J.E. (2008).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
103
5.2 Uno schema della crisi sistemica basata su trigger event e biforcazioni
Le precedenti considerazioni costituiscono il prologo al ragionamento intorno
alla crisi dei sistemi economici ed alle conseguenze di tale status rispetto al più
piccolo sistema individuato (ad esempio il singolo individuo o la famiglia) sino a
giungere al sistema economico mondiale nel suo complesso (sistema di sistemi)87. In
prima istanza è bene ribadire che la crisi è una fenomenologia connaturata
all’evoluzione dei sistemi, anzi sovente accompagna la crescita degli stessi ed è
insita tanto nelle organizzazioni quanto nelle istituzioni, come nello stesso divenire
dell’economia. Pertanto al concetto di crisi non deve essere associato
apoditticamente un giudizio negativo, quanto invece una situazione di transizione,
almeno nella sua manifestazione fisiologica88.
Il punto da comprendere è quali sono i fattori di innesco di una crisi e quali sono
le conseguenze che una determinata “scintilla” (trigger event) può provocare in un
sistema economico più ampio da quello in cui si è realizzato e se ciò sia prevedibile.
Questo conduce a considerare non tutti gli eventi come economicamente
rilevanti: alcuni sono più rilevanti di altri ed uno stesso evento può essere più
rilevante di altri in situazioni di particolare vulnerabilità del sistema. Un evento,
quindi, è considerato rilevante se è in grado di produrre una biforcazione nella
dinamica del sistema. Così, per fare un esempio, un’influenza può essere poco
significativa in un individuo sano, mentre può essere fatale in un soggetto già
debilitato. Ciò significa che ad un determinato evento i sistemi economici possono
reagire in maniera diversa soprattutto se dotati di un diverso grado di resistenza
(vulnerabilità, ovvero sensitività del sistema), quella che nella teoria della
complessità viene solitamente definita “condizioni di partenza”. Appare quindi
significativo, oltre che all’evento “economicamente rilevante”, anche il momento
(status) in cui tale evento rilevante si manifesta, soprattutto a fini predittivi del punto
di più probabile arrivo del sistema89. Infatti, secondo la teoria del caos o meglio la
teoria dei sistemi dinamici non lineari, i comportamenti della maggioranza dei
fenomeni della società economica non procedono con ritmi regolari, ma presentano
una “biforcazione” che si moltiplica fino a generare turbolenza (crisi), la quale
genera entropia. Tuttavia, elemento questo significativo, i sistemi coinvolti non si
disperdono ma restano vicini pur seguendo regole proprie90. Ciò avviene per effetto
87
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89
90
L’analisi viene condotta sotto un triplice profilo: l’individuo, il singolo sistema
economico (l’impresa), il complesso dei sovra sistemi (sistemi di sistemi) che popolano
l’economia mondiale.
Sulla ciclicità dell’economia si rinvia ad un classico del pensiero economico Schumpeter
J.A., (1964).
I sistemi complessi non sono strutturalmente prevedibili se non in ridotti intervalli
temporali di prevedibilità (scenari), che forniscono al soggetto osservatore la possibilità di
una parziale prevedibilità.
Il concetto di biforcazione è noto nella teoria dei sistemi complessi. Graficamente viene
rappresentato con l’Albero di Feingenbaum (diagramma delle biforcazioni); si veda in
proposito Bertuglia S.C., Vaio F., (2003). Per un riferimento nella dottrina economico
104
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
dei cosiddetti “attrattori”, punti di reciproca influenza tra sistemi che consentono di
individuare al soggetto osservatore uno “scenario” limite (probabilistico) in cui si
muoveranno i sistemi coinvolti dalla turbolenza (crisi)91.
Ciò pone in evidenza una delle caratteristiche più interessanti dei sistemi
dinamici non lineari, utile alla comprensione delle crisi sistemiche, ovvero
l’organizzazione spontanea che emerge dall’interazione delle diverse componenti
che compongono il sistema. Si instaura, in sintesi, un’inattesa cooperazione tra le
singole componenti alle modifiche dell’ambiente esterno, riorganizzandosi in modo
da far emergere proprietà innovative ed ignorate.
Le precedenti considerazioni, se disposte in maniera rigorosa, mutuando i
principi della teoria dei sistemi dinamici non lineari, forniscono una chiave di lettura
della crisi:
a) eventi economicamente rilevanti, in grado di produrre una biforcazione
nell’evoluzione di un sistema (sia esso un singolo sistema imprenditoriale o un
sistema di sistemi);
b) scenari possibili, quale diretta conseguenza degli eventi economicamente
rilevanti, che individuano un “intorno” di oscillazione in cui evolverà un sistema;
c) resilienza (resistenza o vulnerabilità) del sistema alle interazioni con altri sistemi
derivanti dalle biforcazioni;
d) punto di partenza, ovvero status in cui si trova al tempo T il sistema.
e) punto di probabile arrivo, in cui, per i sistemi dinamici non lineari, esso non
coincide con un punto determinato, quanto in un “intorno”.
Fig. 1: La crisi nel quadro delle “biforcazioni” predicate dal pensiero complesso
Evento
economicame
nte rilevante
Incide
su…
Sistema dinamico
non lineare
(vulnerabilità) al
tempo T
Biforcazione
Scenari
limite
Fonte: ns. elaborazione
La precedente rappresentazione illustra la relazione probabilistica tra causa
(evento economicamente rilevante) ed effetto (scenario) in una prospettiva
unidirezionale. Essa sconta tuttavia un duplice limite: nel caso dei sistemi non
lineari come l’impresa, la biforcazione è invero bidirezionale (ovvero gli scenari
91
aziendale si veda Ceccanti G. (1996, Vol. II, p. 444), il quale, a proposito dell’origine
delle crisi finanziarie, distingue i fattori accidentali (fallimenti tanto importanti quanto
inattesi, incendi, terremoti) dai fattori sistematici.
I sistemi economici, come l’impresa, sono, come è noto, “sistemi complessi non lineari”.
Sulle proprietà di tali sistemi, cfr. sopra, par. 1
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
105
possono influenzare le biforcazioni e a loro volta gli eventi economicamente
rilevanti)92. Non si tiene conto dell’influenza del soggetto osservatore sul
comportamento del sistema (lo scenario). Uno dei limiti di questa rappresentazione,
tuttavia, è che il comportamento del sistema, come lo scenario, possa essere
influenzato dal giudizio dal soggetto osservatore. Del resto è noto che il
comportamento dei sistemi sociali, nel lungo periodo, tendono ad uniformarsi al
giudizio del soggetto che l’individua.
6. Quale approccio al superamento della crisi? Un dubbio da risolvere
di volta in volta
La riflessione sinora condotta non può trascurare il piano della presa di decisioni
dinanzi alla crisi. Da qui l’esigenza di una metodologia di crisis management
coerente con il pensiero complesso.
La fuoriuscita di un sistema sociale complesso dall’impasse può dipendere
anzitutto da fiducia ed aspettative dei vari agenti, essendo la fiducia un elemento
cardine del sistema stesso93. Riferirsi al patrimonio di fiducia non è però risolutivo,
giacché si tratta di una risultante sistemica assai “volatile” e non priva di paradossi94.
Ecco allora che si può distinguere tra logiche di risposta al manifestarsi della
crisi direttamente ispirate alla teoria della complessità. Simili logiche sono concepite
in una prospettiva “conservativa”, ossia di mantenimento del sistema complesso
osservato, e non considerano dunque le pur possibili ipotesi di totale superamento
del sistema o di svilimento tramite massiccia riduzione delle sue funzioni.
Se la complicazione del sistema è stata tipicamente sostenuta nel 1929 dai fautori
del “capitalismo regolato” e la semplificazione rimanda a mutamenti culturali di
fondo, la complessificazione ulteriore del sistema richiede un misto di regolazione e
nuove tecnologie abilitanti che può innescare possibili (non certi) ri-equilibri. Un
esempio di quest’ultima opzione attiene a recenti modificazioni nella disciplina della
circolazione stradale in Italia95: molti attraversamenti di incroci viari perpendicolari
“a raso”, nei quali l’automobilista è uno degli attori coinvolti, hanno infatti registrato
l’abbandono dell’impostazione semaforica (un tipico sistema complicato) in favore
della rotatoria96.
92
93
94
95
96
Non si tratta però di un diretto nesso di causa ed effetto, come nel caso dei sistemi
deterministici, quanto piuttosto di situazioni semplificate di complessità.
Quando si parla di fiducia (trust), giova peraltro distinguere il generico “fidarsi” (to trust),
che implica un completo affidamento ad un terzo, dal “confidare” (to be confident), che
presuppone una qualche forma di conoscenza e valutazione ex ante.
Pelligra V. (2007, p. 66) osserva ad esempio che l’innovazione, in senso tecnicoeconomico, rende molto spesso l’integrazione più facile, ma con effetti derivati
imprevedibili ed indesiderati, donde superiori rischi accanto alle opportunità.
Obiettivi di tale sistema complessivo sono senza dubbio la riduzione di traffico,
incidentalità, morti su strada, infrazioni contestate, ecc.
L’esempio stradale non è casuale né anomalo, perché è già stato usato per le crisi
addirittura da Keynes J.M. (1936): «I nostri guai […] provengono da qualche guasto nei
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
106
Tab. 4: Logiche di risposta alle crisi dei sistemi socio-economici complessi
Nome
Descrizione
Complicazione del
sistema
Incremento di numero e varietà
di vincoli ai quali soggiace il
sistema ed i suoi agenti. Può
aumentare la dispersione nel
sistema dei “punti di controllo”,
ma cresce la distinzione tra
regolatori ed operatori
Complessificazione
del sistema
Introduzione di regole e
tecnologie che inducono (non
impongono)
processi
e
comportamenti di autocontrollo
e autogoverno più diffusi nel
sistema
Semplificazione
del
sistema
(riduzione
della
complessità)
Intervento sulla cultura insita
nel sistema e contestuale per
instillare comportamenti e
convinzioni diversi, che sanino
la crisi e la evitino nel futuro
Punti di
debolezza
forza
e
Azione
percorribile
anche nel medio-breve
termine,
ma
può
risultare inefficace, oltre
che inefficiente. Può
inoltre
fornire
involontari
incentivi
alla replicazione
Azione
percorribile
anche nel medio-breve
termine, però priva di
risultati
sicuri
(efficiente ma non
necessariamente
efficace)
Azione
solitamente
efficace ma assai lenta e
costosa (poco efficiente
e tempestiva). Può
modificare in toto il
sistema, alterando la
prospettiva
degli
osservatori
Condizioni
di
applicabilità
Preferibile in
caso di crisi
prolungata
(crisi ad L)
Preferibile in
caso di crisi
breve
ma
intensa (crisi
a V)
Preferibile in
caso di crisi
convulsiva
con
cambiamenti
rapidi
e
ripetuti (crisi
a W)
Fonte: ns. elaborazione
Questo cambiamento è un misto di regolazione sovra-ordinamentale, tecnologia
ed auto-organizzazione (tra automobilisti), in quanto un’auto non può entrare nella
rotatoria senza moderare la velocità, pena l’eccessiva forza centrifuga e la difficoltà
a controllare l’ingresso di altre vetture dai vari accessi. Un sistema più rigido,
formalizzato e gerarchico, ossia con separazione tra momenti di “decisione” ed
“esecuzione”, viene dunque sostituito con uno più flessibile e basato sull’autocontrollo da parte dei diversi attori.
Non si tratta di una semplificazione basata sul mutamento culturale, perché non
si c’è un vero intervento sui valori di fondo condivisi né interiorizzazione di principi
d’interesse comune nel singolo operatore, indotto a guidare moderatamente non per
adesione a principi generali, bensì per opportunismo in senso non deteriore.
meccanismi impalpabili della mente, nel funzionamento delle motivazioni che dovrebbero
portare alle decisioni e agli atti di volontà, indispensabili per mettere in moto le risorse e i
mezzi tecnici da noi già posseduti. È come se due automobilisti, incrociandosi nel mezzo
di una strada principale, fossero incapaci a decidersi su come passare perché nessuno
conosce il codice stradale. I loro muscoli non gli sono di nessuna utilità, un meccanico
non potrebbe aiutarli, una strada migliore non servirebbe. Nulla è richiesto e nulla sarà di
aiuto se non un piccolo ragionamento».
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
107
7. Conclusioni: implicazioni e limiti dello studio
Il presente contributo, partendo da fatti assai recenti e transitando per una
rivisitazione critica della dottrina di varia matrice disciplinare, ha evidenziato il
profondo e significativo nesso tra complessità e crisi dei sistemi. Il tema della crisi
diviene talora prioritario nella riflessione economica proprio perché quest’ultima ancorata su unidimensionalità economico-finanziaria, ideale della crescita e di
schematizzazioni imbevute di contrattualismo e rapporti d’agenzia - ha per lungo
tempo ignorato o banalizzato la complessità del mondo97.
Le sollecitazioni provenienti dal pensiero complesso possono favorire
avanzamenti nell’interpretazione delle crisi dei sistemi socio-economici,
contribuendo a quel processo di “scientificazione” ragionevole e flessibile così
importante e, nel contempo, arduo (soprattutto) nelle scienze sociali98. Sono state
rilevate pertanto molteplici concezioni della crisi; quelle più coerenti con gli studi
sulla complessità intendono la crisi in senso polivalente (binomio
“minaccia/opportunità”), mantenendo nel contempo la demarcazione tra fisiologia e
patologia, e - fermo restando che vi è sempre un’interazione tra fattori esogeni ed
endogeni ed il concorso di una pluralità di concause - danno prevalenza a pochi
fattori endogeni, strutturali e latenti.
Ne consegue che, nell’analisi e comprensione delle crisi, è bene non arrestarsi
all’individuazione di quelle determinanti, per così dire, superficiali o “prossime”
(nel tempo, nello spazio, nei nessi logici di funzionamento). Occorre peraltro porre
cautela e non incorrere nell’errore logico di confondere le determinanti con gli
97
98
Zaninotto E. (2000, pp. 2-3) sostiene la «tesi che negli sviluppi del pensiero economico
sia avvenuta una progressiva polarizzazione dell’attenzione attorno a una particolare
dimensione dell’interdipendenza generata dalla divisione del lavoro - quella del governo
del conflitto di interessi -, mentre i temi relativi alle problematiche del coordinamento e
del governo della complessità siano stati progressivamente emarginati dall’economia e,
pur sopravvivendo, abbiano caratterizzato una componente marginale degli sviluppi
teorici. Ciò ha prodotto un grave danno sia perché ha ridotto le capacità di comprensione
del funzionamento dei sistemi industriali, inducendo un allontanamento delle pratiche di
governo industriale e del management (che hanno a che fare soprattutto con problemi di
coordinamento e di governo della complessità) dalle teorie economiche; sia perché ha
posto il tema dei limiti alla razionalità (e dell’organizzazione come “macchina” per il
calcolo in condizioni di limiti alla razionalità) in una posizione secondaria e accessoria.
Le forme istituzionali di governo della divisione del lavoro sono state così rappresentate
soprattutto come formule di controllo del conflitto di obiettivi, trascurando la loro marcata
impronta di formule - generate coscientemente o prodotto di apprendimento ed evoluzione
- di governo della complessità, o ancor meglio di produzione di razionalità (limitata) in un
contesto complesso».
Circa “razionalità responsabile” e scientificazione in ambito socio-economico, v. Golinelli
G.M. (2008, pp. 19 ss., pp. 3-6 e nota 5). Sulla complessità come trionfo del “qualitativo”
differenziante sul “quantitativo” arido, distorcente e standardizzante, v. Gummesson E.
(2006, p. 167 ss.), ove anche riferimenti al pensiero di Morin E. sull’abbandono delle
spiegazioni universali e delle modellizzazioni formali e levigate.
108
CRISI E COMPLESSITÀ DEI SISTEMI ECONOMICI E SOCIALI
effetti o i sintomi, fermo restando che, nel contempo, può sussistere (in specie in
ambito economico-sociale) una circolarità autocumulatasi tra cause ed effetti99.
Un altro risultato raggiunto in questa sede concerne l’interrogativo sul verificarsi
di turbolenze, instabilità e fallimenti nei sistemi sociali per effetto della logica
intrinseca al sistema ovvero per il particolare operato di sue “cellule”
(operazionalmente esterne o interne). Tale annosa querelle può essere superata o,
quantomeno, affrancata da semplificazioni eccessive, giacché:
- contraddizioni e tendenze critiche a livello istituzionale, ossia intrinseche al
sistema, non implicano l’annullamento delle individualità e della loro
intenzionalità100;
- se è vero che l’intenzionalità degli individui è sempre la forza concreta che guida
l’azione sociale, la logica sistemica, attraverso la cultura diffusa, può plasmare i
comportamenti personali, quanto più risulta consolidata ed istituzionalizzata.
Si dovrebbe pertanto sempre riconoscere la “responsabilità” del sistema
osservato e delle sue componenti per il verificarsi della crisi, a motivo della
sussistenza di fattori endogeni di esposizione o di vera e propria contraddizione. Con
ciò non si nega l’esistenza e, in molti casi, la significatività di fattori contingenti e
contestuali, come le pressioni provenienti da ulteriori sistemi, i quali però assumono
al più il ruolo di elementi accentuatori/acceleratori o persino scatenanti; sarebbe
tuttavia riduttivo spiegare l’ultima crisi del sistema finanziario globale in termini di
carenze di regolamentazione/vigilanza, portata distorsiva dei prodotti finanziari
innovativi e/o incoerenti richieste di rendimento di risparmiatori, quando invece il
sistema finanziario in sé sembra sempre più affetto da una ricerca di accumulazione
non mantenibile per un arco di tempo indefinito.
Si è avuto modo di approfondire anche il nesso logico tra significativa/crescente
complessità sistemica - misurata essenzialmente in termini di livello di autoorganizzazione e di numerosità/diffusione dei “nodi” di governo/controllo nel
sistema - e tendenza alla crisi. L’emergere di sistemi socio-economici sempre più
complessi implica non necessariamente maggiore propensione alla crisi, ma semmai
superiore evidenza sociale della crisi stessa, senza che da ciò derivi un automatico
incremento del rischio di delegittimazione sociale e di cambiamento radicale.
Un ultimo contributo consiste nell’individuazione di una tassonomia delle
logiche di fronteggiamento delle crisi dei sistemi economico-sociali coerente con la
distinzione tra “semplificazione”, intesa come inconsapevolezza della complessità
del reale, “complicazione” quale tentativo di riduzione della complessità attraverso
uno sforzo computazionale più o meno gravoso e “complessità” in senso proprio.
Il principale limite del contributo risiede nella sua metodologia bibliografica101.
Da ciò la possibilità di ulteriori avanzamenti, ad esempio tramite rilevazioni
empiriche macro e/o micro, incluse indagini presso “testimoni privilegiati” o agenti
economici coinvolti, a supporto/confutazione delle tesi qui delineate.
99
100
101
L’idea generale di circolarità in ambito economico si deve a Myrdal (Streeten P., 1998, p.
539 ss.).
Giddens A. (1981, pp. 23 e 91).
Sui limiti di tale impostazione, cfr. per tutti Fillis I. (2006, p. 198 ss.).
LUCA PROIETTI - BERNARDINO QUATTROCIOCCHI
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