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Società Italiana di Microbiologia
Ottobre 2013
41° congResso nazionale della
società italiana di MicRobiologia
Riccione 13-16 ottobRe 2013
Riassunti
SOCIETA’ ITALIANA DI MICROBIOLOGIA
Consiglio Direttivo
Presidente Onorario
Enrico Garaci
Past President
Giovanni Fadda
Presidente
Giuseppe Nicoletti
Vicepresidenti
Anna Teresa Palamara
Fabio Rossano
Segretario Tesoriere
Sandro Ripa
Coordinatore Nazionale della didattica
nelle discipline microbiologiche
Paolo Di Francesco
Responsabile dei rapporti internazionali
Gianfranco Donelli
Componenti
Guido Antonelli
Elisabetta Blasi
Arnaldo Caruso
Massimo Clementi
Anna Maria Cuffini
Anna Giammanco
Maria Paola Landini
Carlo Federico Perno
Giorgio Palù
Carla Pruzzo
Gian Maria Rossolini
Stefania Stefani
Maria Antonietta Tufano
Piero Emanuele Varaldo
Stefania Zanetti
Comitato Organizzatore del
41° Congresso Nazionale
Ancona
Piero Emanuele Varaldo
Palermo
Anna Giammanco
Roma
Università Cattolica
Maurizio Sanguinetti
Sapienza
Guido Antonelli
Anna Teresa Palamara
Piera Valenti
Tor Vergata
Paolo Di Francesco
Cartesio Favalli
Enrico Garaci
Carlo Federico Perno
Maria Gabriella Santoro
Paola Sinibaldi Vallebona
Relazioni
41° Congresso Nazionale
Relazioni
REPLICAZIONE, LATENZA E RIATTIVAZIONE DEI
POLYOMAVIRUS UMANI, UNA FAMIGLIA IN RAPIDA
ESPANSIONE.
Pasquale Ferrante
Università degli Studi di Milano
A partire dalla loro scoperta, avvenuta nel 1971, i polyomavirus JCV e BKV sono rimasti per
anni gli unici membri, appartenenti alla famiglia Polyomaviridae, in grado di infettare l’uomo.
Durante gli ultimi cinque anni, al contrario, grazie all’applicazione di nuove, sofisticate
tecniche di amplificazione del genoma, sono stati scoperti almeno altri dieci polyomavirus
umani, che presentano le medesime caratteristiche strutturali e genomiche dei capostipiti JCV
e BKV, ma anche importanti differenze nel tropismo e nella manifestazione patogenetica.
In generale, è possibile affermare che l’esposizione primaria a tutti i Polyomavirus umani è
frequente, asintomatica, probabilmente avviene durante i primi anni di vita ed è sempre
seguita dall’instaurazione della latenza da parte del virus all’interno di diversi distretti
corporei.
Le localizzazioni, gli eventi molecolari e le manifestazioni patogenetiche associati agli stati di
persistenza e di replicazione dei diversi Polyomavirus umani non sono completamente
conosciuti e per questo motivo necessitano ulteriori approfondimenti.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Relazioni
INFEZIONE PERSISTENTE DA HERPESVIRUS UMANO 6 IN SALUTE
E MALATTIA
Dario Di Luca,
Sez. di Microbiologia e Genetica Medica, Dip. di Scienze Mediche, Università degli Studi di
Ferrara
L’herpesvirus umano 6 è considerato un virus linfotropico, in quanto ha un tropismo
preferenziale verso i linfociti T CD4+, ma in realtà il virus infetta molti tessuti e tipi cellulari
diversi. Il virus infetta diffusamente la popolazione umana, e frequentemente si riscontra
DNA virale (virus latente) nel sangue periferico di individui sani. Virus infettante è però
riscontrabile nelle secrezioni salivari, sempre in individui sani, presumibilmente frutto di
infezione cronica più che di riattivazione. Pertanto, HHV-6 stabilisce diversi tipi di infezione
a seconda del tessuto infettato. Inoltre, fino all’1% della popolazione normale presenta
sequenze virali integrate nel genoma di tutte le cellule, che vengono trasmesse per via
ereditaria. Il potenziale patogeno del virus può variare da febbri pediatriche (sesta malattia,
con o senza esantema) a gravi infezioni del sistema nervoso centrale, come encefaliti in
immunodepressi. Sono state riconosciute 2 diverse varianti virali (HHV-6A e HHV-6B) che,
pur essendo simili per sequenza nucleotidica ed organizzazione genomica, differiscono per
caratteristiche biologiche, immunologiche ed anche di associazione a malattie, al punto da
essere state riclassificate come 2 specie virali diverse. Recentemente, abbiamo descritto una
associazione fra infezione produttiva subclinica fra HHV-6A e tiroidite autoimmune di
Hashimoto. Finora non è stata descritta nessuna differenza fra i ceppi virali che sostengono
infezioni latenti nei linfociti, shedding cronico asintomatico nella saliva, stati replicativi
subclinici associati a patologia (tiroidite di Hashimoto, sclerosi multipla) o gravi infezioni in
immunodepressi.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Relazioni
HUMAN METAPNEUMOVIRUS RELEASED FROM INFECTED
PULMONARY ENDOTHELIAL CELLS ACTIVATES DENDRITIC
CELLS TO INDUCE AN INFLAMMATORY T HELPER TYPE 2 CELLRESPONSE THROUGH OX40 LIGAND
Manuela Fogli, Paola Apostoli, Cinzia Giagulli, Francesca Caccuri, Marialuisa Iaria, Arnaldo
Caruso and Simona Fiorentini
Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università
di Brescia
Respiratory viruses represent a severe threat worldwide. Beside their clinical relevance during
the acute phase of infection, respiratory viruses are also capable to modulate the Th1/Th2
balance in favor of a T helper (Th)2 response, resulting in the development or exacerbation of
chronic airway diseases such as asthma.
An increasing number of epidemiological studies has shown that Human Metapneumovirus
(HMPV) is a major cause of lower respiratory tract infections. However, many questions
regarding alterations induced by HMPV within the infected lung remain unanswered.
Here we show that HMPV productively infects lung endothelial cells (HMVECs). Release of
virus from infected cells occurs for up to 42 days of culture without producing overt
cytophatic effect. As HMPV infection is involved in the induction of Th2 mediated diseases,
we investigated how conditioned medium (secretome) from HMPV-infected HMVECs affects
dendritic cell (DC) physiology. Using monocyte-derived DCs we have observed that
secretome derived from chronically HMPV-infected HMVEC induced DC maturation, as
assessed by upregulation of HLADR and CD80 expression. Moreover, naïve CD4+ T cells
primed by DC matured with HMPV-secretome led to a higher percentage of Th2 cells in
comparison with those matured with secretome from uninfected-HMVECs. HMPV-infectedand uninfected-HMVECs expressed comparable levels of Th2-polarizing soluble mediators
(i.e. IL25, IL33 and TSLP) suggesting that the effect observed was not a consequence of the
endothelial response to infection. This hypothesis was confirmed by the finding that the proTh2 effect observed was abolished when secretomes were clarified by ultracentrifugation.
Addition of purified virus to immature DC led to the evidence that DCs are not able to sustain
HMPV replication but, the same, they are activated by cell-virus contact. The latter result was
also confirmed using UV-inactivated HMPV.
To gain deeper insight into the mechanism of HMPV-induced DC maturation toward a proTh2-phenotype we evaluated expression of molecules known as key players in DC
polarization. DC cultured in HMPV-infected secretome from HMVECs, as well as in the
presence of purified HMPV, specifically up-regulates the expression of OX40 ligand
(OX40L) both at mRNA and protein level in the absence of any IL12 production. Addition of
anti-OX40L neutralizing antibodies to the coculture of naive CD4+ T cells with DCs matured
in the presence of HMPV, strongly impaired the generation of effector CD4 with a Th2
phenotype.
In conclusion, this study demonstrates (i) the permissiveness of HMVECs to HMPV
replication; (ii) the ability of HMPV, derived from chronically infected HMVEC, to skew DC
maturation toward a pro-Th2 phenotype; (iii) that HMPV fosters the OX40L activation
pathway.
These results suggest that chronic infection of HMVECs by HMPV may contribute to the
initiation and persistence of airway inflammation resulting in the development or
exacerbation of chronic airway diseases.
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Relazioni
MicroRNA E INFEZIONI VIRALI
Mauro Pistello
Centro Retrovirus e Sezione Virologia, Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle
Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa
I microRNA (miRNA) sono delle piccole molecole di RNA non codificante prodotte
endogenamente dalle cellule. Ritenuti semplici curiosità di laboratorio alla loro scoperta,
avvenuta nel 1998 nel nematode C. elegans, i miRNA si sono poi dimostrati elementi
fondamentali nella regolazione dei normali processi metabolici cellulari di piante e animali e,
più recentemente, di molti virus. La loro azione è legata primariamente alla regolazione
dell’espressione genica che si esercita generalmente a livello post-trascrizionale mediante
repressione della traduzione o degradazione selettiva dell’RNA messaggero.
Oltre a produrre propri miRNA, i virus durante l’evoluzione hanno imparato ad interagire e
trarre vantaggio dai miRNA prodotti dalle cellule le quali, a loro volta, producono miRNA in
reazione all’infezione virale e che hanno lo scopo di attivare dei sistemi di difesa e di inibire
l’espressione di geni virali fondamentali alla replicazione del virus stesso. Ne risulta così un
complesso network di interazioni attraverso le quali la cellula cerca di bloccare il virus
infettante e quest’ultimo cerca di eludere i sistemi di difesa cellulari e attivare specifiche vie
metaboliche necessarie alla replicazione. Da sottolineare, in questo ambito, l’osservazione che
molti virus che persistono nella cellula o nell’organismo infetto possiedono un ampio corredo
di miRNA espressi in particolar modo durante la fase di latenza/persistenza.
Il virus epatite C (HCV) fornisce un esempio paradigmatico di come i virus possano sfruttare
a proprio vantaggio gli miRNA cellulari. Gli epatociti producono un determinato miRNA che
regola importanti processi metabolici a livello epatico. E’ stato visto che una porzione non
codificante del genoma di HCV lega in modo specifico questo miRNA e che il legame
aumenta in modo significativo la replicazione virale. In ragione di ciò è stato sviluppato un
farmaco che sequestra il miRNA e riduce in modo significativo i livelli di viremia HCV in
pazienti con infezione cronica.
Verranno illustrate le recenti acquisizioni nell’ambito della biogenesi e delle funzioni dei
miRNA cellulari e virali, dei meccanismi con cui questi influenzano l’interazione virus-ospite
e, infine, delle loro potenzialità diagnostiche e terapeutiche.
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Relazioni
ATTUALITÀ E PROSPETTIVE SULLE POTENZIALITÀ
ANTIMICROBICHE DEGLI OLI ESSENZIALI.
Francesca Mondello
Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate-Istituto Superiore di
Sanità-Roma
L'interesse degli enti scientifici per l’uso preventivo e/o terapeutico di sostanze naturali in
alcune patologie infettive è in continua crescita con il precipuo scopo di trovare nuove classi
di molecole antimicrobiche sicure ed efficaci, stante anche la carenza di nuovi antibiotici e di
vaccini in una situazione di sanità pubblica di continue emergenze infettive con l'associata
farmaco-resistenza, l'incremento di allergie e reazioni farmacologiche dannose inattese. Un
gran numero di oli essenziali (OE), complesse misture vegetali volatili, con i loro costituenti
sono stati ben caratterizzati in vitro per la loro attività nei confronti di numerose specie
batteriche e fungine. Tuttavia anche i dati microbiologico-clinici promettenti sono spesso
insufficienti, aneddotici e non basati sull’uso di metodologie validate e di modelli
sperimentali con buona predittività per l’uso clinico. Inoltre spesso gli OE utilizzati nella
ricerca non rispondono ai requisiti di buona qualità, in quanto si tratta di misture non
standardizzate di vari composti. Alla luce di ciò, utilizzando esclusivamente buoni modelli
preclinici ed efficienti saggi di qualità, abbiamo evidenziato un potenziale ruolo terapeutico e
preventivo dell’olio essenziale di Melaleuca alternifolia (tea tree oil-TTO) e del terpinene-4olo (TERP), suo principale componente attivo, per la candidosi vulvovaginale ricorrente
refrattaria ai comuni antimicotici e per il controllo a lungo termine della contaminazione da
Legionella nei sistemi di distribuzione idrica (Mondello et al. 2006, 2009). Per quanto
riguarda Legionella pneumophila, i nostri studi hanno dimostrato l'efficacia microbicida di
TERP non solo nella fase acquosa, ma anche nella fase vapore tramite un metodo di
diffusione in microatmosfera. Studi di microscopia a scansione (SEM) hanno messo in
evidenza un chiaro effetto dose-dipendente del TERP sulla morfologia superficiale delle
cellule, correlato all'effetto battericida. A 25°C il Terp 1% provocava un marcato
restringimento delle cellule e protuberanze citoplasmatiche distribuite in modo casuale sulla
superficie delle cellule, mentre a 40°C il trattamento induceva alterazioni ancora più marcate.
In conclusione, ulteriori indagini, comprese quelle tossicologiche, sul TTO ed altri OE, in
particolare attraverso l’identificazione dei singoli componenti attivi, potrebbero allargare lo
spettro dei possibili interventi preventivi e terapeutici in modo da avere armi sempre più
efficaci nei confronti di patologie batteriche e fungine emergenti.
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Relazioni
ATTIVITA’ ANTIFUNGINA DI OLI ESSENZIALI E POSSIBILI
APPLICAZIONI PRATICHE
V.Tullio1, N.Mandras1, V.Allizond1,G.Banche1, D.Scalas1, J.Roana1, P.Campagna2,
M.Scozzoli3, A.M.Cuffini1
1
Dip. Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino;2S.I.FITSIROE;3APA-CT SRL, Forlì
Benché negli ultimi anni sia aumentato il numero e la disponibilità di agenti antifungini, il
trattamento delle infezioni fungine presenta ancora rilevanti problemi dovuti all’efficacia e
alla tossicità del farmaco e al possibile sviluppo di ceppi resistenti. E’ quindi necessario
sviluppare nuove strategie farmacologiche che tengano conto delle caratteristiche del micete
coinvolto (lievito o filamentoso) e del tipo di patologia da trattare. L’utilizzo degli oli
essenziali (OE), che risultano tra i più importanti agenti antimicrobici naturali, potrebbe
rappresentare un’alternativa terapeutica molto attraente, di supporto ai comuni farmaci
antifungini.
L’attività antifungina degli OE di timo rosso, melissa, garofano, finocchio, pino, salvia,
lavanda e menta é stata valutata nei confronti di miceti filamentosi di isolamento clinico e
ambientale e diverse specie di lieviti (Candida spp. e non-Candida spp.).
La composizione qualitativa e quantitativa degli OE è stata analizzata tramite GC/EIMS.
Anche se ad oggi non esistono metodiche convalidate per valutare l’attività antifungina degli
oli, essa è stata determinata seguendo,con le opportune modificazioni, le metodiche del CLSI
per gli antimicotici.
L’attività degli OE saggiati è risultata significativa sia nei confronti dei dermatofiti che dei
lieviti, compresi i miceti resistenti ai comuni antimicotici (S.brevicaulis, C.krusei,
C.glabrata). Aspergilli e penicilli, eccetto Penicillium frequentans, hanno evidenziato scarsa
sensibilità agli oli valutati. Nei confronti degli zigomiceti nessun olio ha mostrato attività di
rilievo.
Il timo si è dimostrato il più efficace con un ampio spettro di attività nei confronti di tutti i
miceti filamentosi saggiati, seguito dal garofano, finocchio e pino. Il pino e il timo sono
risultati i più attivi contro i lieviti.
In considerazione dei risultati ottenuti, gli OE sembrano possedere un potenziale applicativo
promettente nei confronti di numerosi miceti. Anche se molti oli vengono già usati
empiricamente in campo medico e veterinario per la cura di numerose patologie infettive,
soprattutto batteriche e virali e, più raramente, fungine, l’utilizzo terapeutico degli oli
necessita di ulteriori studi per confermare e approfondire i dati finora ottenuti, per valutarne il
meccanismo d’azione e i parametri di farmacocinetica e farmacodinamica.
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Relazioni
EFFICACIA ANTIMICROBICA DEGLI OLI ESSENZIALI:
PROGRESSI SCIENTIFICO-TECNOLOGICI E NUOVE PROSPETTIVE
DI IMPIEGO IN AMBITO ALIMENTARE
Antonia Nostro, Giuseppe Bisignano
Dipartimento di Scienze del Farmaco e dei Prodotti per la Salute, Università degli Studi di
Messina.
La sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti rappresenta un obiettivo primario nella tutela
della salute umana. La contaminazione microbica degli alimenti oltre ad aumentare il rischio
di patologie a trasmissione alimentare, riduce la shelf-life dei prodotti causando forti perdite
economiche conseguenti all’alterazione degli alimenti stessi. Il problema è ulteriormente
aggravato dalla presenza di specie microbiche capaci di aderire e di accumularsi sotto forma
di biofilm.
Una delle principali sfide attuali consiste nella messa a punto di nuove strategie di controllo e
tecnologie di conservazione che siano in grado di garantire la sicurezza, di ridurre l’impiego
di additivi chimici e preservare le caratteristiche nutrizionali del prodotto. I recenti sviluppi
evidenziano la tendenza verso soluzioni tecnologiche di derivazione naturale, una sorta di
“rivoluzione verde”. In questo ambito ben si collocano gli oli essenziali riconosciuti come
Generally Recognized As Safe (GRAS) dalla Food and Drug Administration e classificati
come aromi dalla Commissione Europea. Un’ampia letteratura ne documenta l’efficacia
antimicrobica “in vitro” ed in matrici alimentari come frutta, verdura, carne e pesce, e ne
suggerisce un possibile ruolo nella conservazione degli alimenti. Tuttavia il loro uso rimane a
volte limitato a causa dell’impatto sulle caratteristiche organolettiche del prodotto. Nuove
prospettive di impiego sono oggi finalizzate alla incorporazione di oli essenziali o loro
componenti in materiali e film polimerici per ideare imballaggi “attivi ", in grado di
interfacciarsi con l'ambiente circostante. Film rivestiti o impregnati con oli essenziali, in
grado di rilasciare gradualmente le molecole attive, potrebbero contribuire ad un sostanziale
miglioramento del prodotto in termini di sicurezza e conservazione.
La relazione si propone di descrivere le proprietà antibatteriche ed i meccanismi di azione dei
principali oli essenziali studiati in ambito alimentare e di presentare i progressi scientificotecnologici del settore con particolare riferimento alla progettazione degli imballaggi “attivi”.
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Relazioni
ATTIVITÀ ANTIMICROBICA DI MYRTUS COMMUNIS O.E. NEI
CONFRONTI DI BATTERI EXTRA ED INTRACELLULARI
Paola Molicotti
Dipartimento di Scienze Biomediche - Università degli Studi di Sassari [email protected]
Il mirto (Myrtus communis L.) è una sclerofilla che cresce spontaneamente nella macchia
mediterranea. Possiede una notevole plasticità ecologica per la sua capacità di crescere e
svilupparsi nelle aree costiere e sub-costiere sino ad ambienti interni umidi e freddi. In
Sardegna la sua abbondanza è sfruttata per la produzione di liquori ottenuti dalla macerazione
delle bacche e delle foglie, dalle riconosciute proprietà digestive. Per le sue proprietà toniche
ed antisettiche, in campo cosmetico l’essenza ricavata dai fiori è utilizzata per la preparazione
di creme e detergenti mentre le foglie vengono utilizzate per insaporire piatti di carne e pesce
e per la preparazione di infusi.
Nella tradizione popolare si ritiene che il mirto favorisca la digestione, esplichi una funzione
antinfiammatoria nelle cistiti, gengiviti e emorroidi, attraverso un’azione immunomodulante,
ed il decotto delle foglie inoltre è un valido rimedio contro l‘infiammazione delle vie
respiratorie. In questo lavoro l’olio essenziale, estratto con idrodistillazione Clavenger dalle
foglie di mirto e successivamente analizzato con Gas Cromatografia di massa, per
determinarne la composizione chimica, è stato utilizzato per valutare la sua attività
antimicrobica nei confronti di ceppi ATCC e clinici di batteri gram positivi e gram negativi e
di ceppi ATCC e clinici di Mycobacterium tuberculosis sensibili e resistenti a uno o più
farmaci antitubercolari. In particolare, nei confronti di MTB, sono stati inoltre saggiati i
singoli composti dell’olio per valutare la loro efficacia rispetto all’olio “in toto”, così come è
stata studiata la sua tossicità nei confronti della linea cellulare J774 (macrofagi murini). I dati
ottenuti in questo lavoro preliminare hanno evidenziato l’efficacia dell’olio nei confronti di
tutti i batteri utilizzati in questo saggio ed in modo particolare su quelli clinici di MTB,
resistenti agli antitubercolari; infine la bassa tossicità riscontrata sulla linea cellulare
macrofagica utilizzata fa ipotizzare un eventuale possibile futuro impiego non come
sostitutivo antitubercolare ma come adiuvante terapeutico.
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Relazioni
GLI OLI ESSENZIALI COME ALTERNATIVA ANTIMICROBICA
Angiolella L.
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive. “ Sapienza” Università di Roma,
Piazzale Aldo Moro, 5
Probabilmente non è possibile determinare il momento storico preciso, in cui l'uomo ha
iniziato a considerare le piante come qualcosa di più di un semplice alimento ed ha iniziato ad
usarle come farmaci e profumi, ma possiamo ipotizzare che l'aromatoterapia, l'uso cioè degli
oli essenziali, inizia insieme con la specie umana. Gli antichi egizi furono il primo popolo
nella storia ad usarli quotidianamente per i loro bisogni fisici e spirituali, nei rituali religiosi,
di bellezza e ad uso medico. Gli oli essenziali sono composti da diversi principi attivi ad
altissima concentrazione che possono avere azione antisettica, antinfiammatoria, analgesica,
digestiva, tonica, rilassante, ecc. Inoltre, rappresentano uno dei più importanti gruppi di
composti di origine naturale con elevato potere antimicrobico attribuibile nella maggior parte
dei casi all’alto contenuto di terpeni, anche se generalmente solo 2 o 3 componenti sono
responsabili dell’azione biologica.
Lo studio di queste molecole naturali ha acquisito un forte interesse a causa della presenza
sempre più frequente di microrganismi farmaco-resistenti alle terapie antinfettive nei
confronti di batteri, funghi e virus. Sulla base di queste evidenze, sono stati eseguiti studi
sull’attività antimicrobica utilizzando diversi oli essenziali sia su lieviti come C. albicans, M.
furfur e C. neoformans che su batteri Gram positivi e negativi come S. aureus, S.epidermitis,
E. Coli, e K. Pneumoniae. Inoltre, è stata studiata l’attività antivirale nei confronti dell’Herpes
simplex, le cui lesioni si manifestano a livello del derma.
I risultati ottenuti hanno messo in evidenza che molti oli essenziali presentano una buona
attività antimicrobica, molto spesso battericida o fungicida, ma le diverse attività dipendono
essenzialmente dai diversi componenti degli oli essenziali.
E’ stato interessante osservare che molto spesso gli oli che presentavano una bassa attività
antimicrobica erano in grado in combinazione con i farmaci di sintesi di avere un effetto
sinergico permettendo una significativa riduzione della dose di farmaco limitandone quindi
gli effetti tossici o collaterali. Infine studi preliminari hanno messo in evidenza il loro
potenziale utilizzo anche in agricoltura per contrastare le infezioni delle piante. Concludendo
possiamo dire che molti studi devono essere ancora svolti per comprendere le caratteristiche
intrinseche degli oli essenziali che possono rappresentare una valida alternativa agli
antimicrobici in quanto possono essere utilizzati nei confronti di microrganismi patogeni sia
per l’uomo, per gli animali che per le piante.
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Relazioni
INFEZIONI FUNGINE INVASIVE:
BIOFILM E FARMACO-RESISTENZA
Giulia Morace
Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano
I funghi sono patogeni opportunisti e sono in grado di provocare infezioni fungine invasive
(IFI) in pazienti che necessitano di assistenza sanitaria per gravi malattie debilitanti. Le IFI
sono caratterizzate da un’elevata morbosità e mortalità e contribuiscono a incrementare i costi
sanitari sia per il prolungamento dell’ospedalizzazione sia per l’utilizzazione dei farmaci
antifungini. Nel 2009 in uno studio di prevalenza, seppure ristretto ai reparti di terapia
intensiva di ospedali europei, Vincent e collaboratori dimostrarono che i funghi
rappresentavano il 20,9% di tutti i microrganismi isolati e che Candida spp. risultava essere il
quarto patogeno nosocomiale. Le diverse specie di Candida rispondono in modo molto
differente alle terapie antifungine e dimostrano una diversa propensione a produrre biofilm.
Più recentemente, funghi filamentosi diversi da Aspergillus spp. quali Mucorales, Fusarium
spp., Scedosporium spp. e Acremonium spp., sono stati associati ad IFI negli ospiti
immunocompromessi, con malattie polmonari croniche o sotto terapia con steroidi. A questo
panorama ben poco soddisfacente si aggiunge l’emergenza della farmaco-resistenza. Mutanti
resistenti possono preesistere tra i cloni sensibili con frequenza variabile e, in funzione di
questa resistenza primaria, tali cloni potrebbero trarre vantaggio e prevalere sulla popolazione
sensibile, oppure, nel corso dell'infezione e del trattamento terapeutico, potrebbe svilupparsi
una resistenza secondaria e causa principale del fallimento terapeutico. La resistenza agli
antifungini è di difficile definizione sia perché le infezioni fungine gravi sono di solito
presenti in concomitanza con un sistema immunitario deficitario, sia perché le caratteristiche
farmacodinamiche e farmacocinetiche delle sostanze antifungine svolgono un ruolo essenziale
sull’efficacia terapeutica, sia perché bisogna tener conto delle caratteristiche morfologiche,
delle modalità riproduttive e della possibile produzione di biofilm da parte del fungo.
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Relazioni
L’INTERAZIONE DI LEGIONELLA CON L’AMBIENTE:
POSSIBILI IMPLICAZIONI NELLA VIRULENZA
Maria Luisa Ricci
Dipartimento Di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immuno-Mediate
Istituto Superiore Di Sanità
Legionella pneumophila (Lp) è l’agente eziologico di una grave polmonite detta malattia dei
legionari. Esso vive in ambienti naturali di acqua dolce come laghi, fiumi e falde acquifere, in
associazione con protozoi e biofilm. Da questi siti può raggiungere le acque condottate e gli
impianti idrici degli edifici, dove in presenza di temperature comprese tra 25-42°C, calcare e
biofilm trova le condizioni ottimali per sopravvivere e moltiplicarsi. L’inspirazione o la
micro-aspirazione di aerosol contaminato da Lp, prodotto da diversi dispositivi quali docce,
vasche idromassaggio, torri di raffreddamento etc., è il mezzo attraverso il quale il batterio
raggiunge gli alveoli polmonari e i macrofagi alveolari causando la malattia. Nei macrofagi i
fagosomi contenenti Lp non si fondono con i lisosomi, ma vengono circondati da vescicole
provenienti dal reticolo endoplasmatico, generando una nicchia replicativa dove Lp si alterna
tra una fase replicativa e trasmissiva, ciascuna caratterizzata dall’attivazione e disattivazione
di geni opportunamente regolati e alla produzione di particolari proteine. La capacità di Lp di
infettare le cellule umane è considerata un retaggio della crescita intracellulare di Lp
all'interno di protozoi che potrebbe aver generato un pool di tratti di virulenza, che
consentono a Lp di infettare cellule umane. Ciò si riflette anche nella sequenza del genoma di
Lp, che codifica un elevato, inaspettato e vario numero di proteine eukaryotic-like provenienti
dai protozoi. Tali proteine, secrete nella cellula eucariotica sono implicate in diverse fasi del
ciclo di vita intracellulare di Lp come l’invasione, il traffiking , la degradazione endosomalisosoma e l’evasione. Infatti, dopo l’internalizzazione, Lp assicura la propria sopravvivenza
grazie alla manipolazione delle funzioni della cellula ospite. La crescita intra-ameba di Lp
può anche avere un impatto rilevante sulla loro invasività e la patogenicità nell’uomo. Lp
dopo crescita all’interno di A. castellanii mostra maggiore virulenza in modelli murini di
polmonite e un’aumentata capacita di penetrazione in linee cellulari di origine umana. Questi
dati supportano l’enorme influenza attribuita ai protozoi presenti nell’ambiente
nell’espressione di fenotipi di Lp con maggiore virulenza e può dare conto di casi di malattia
in presenza di basse concentrazioni di Lp. Queste evidenze dovrebbero stimolare le azioni di
prevenzione e controllo volte non solo alla minimizzazione del rischio di Lp degli impianti
idrici ma anche di protozoi e del biofilm a cui essi sono usualmente associati.
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Relazioni
DALL’AMBIENTE ALL’UOMO: EVOLUZIONE E SELEZIONE DI
CARATTERISTICHE DI VIRULENZA IN VIBRIO CHOLERAE
Luigi Vezzulli
Dipartimento di scienze della Terra della Vita e dell’Ambiente
Università degli Studi di Genova, Corso Europa 26, 16132 Genova
Storicamente l’interazione patogeno-ospite è considerata la principale forza evolutiva alla
base dell’adattamento all’uomo dei microrganismi patogeni e della selezione delle loro
caratteristiche di virulenza. Nuovi studi stanno tuttavia evidenziando come l’ambiente esterno
all’uomo possa in realtà giocare un ruolo altrettanto importante nell’evoluzione dei batteri
patogeni. Vibrio cholerae rappresenta un modello ideale per lo studio di tali dinamiche.
Ricerche recenti hanno dimostrato che in questo batterio l’acquisizione di tratti di virulenza
dipende in misura significativa da eventi di trasferimento genico orizzontale (HGT) che
avvengono nell’ambiente acquatico. Per esempio, i geni responsabili della biosintesi del pilo
TCP, coinvolto nella colonizzazione delle cellule intestinali, sono localizzati su un’isola di
patogenicità (PAI) corrispondente al genoma di un fago filamentoso (VPIφ) acquisito da V.
cholerae nell’ambiente. TCP è anche il recettore di CTXφ, un altro fago filamentoso che
codifica per l’enterotossina colerica. Più in generale, la formazione di PAI in V. cholerae può
derivare dall’integrazione di plasmidi, fagi o trasposoni coniugativi acquisiti nelle acque. E’
stato anche osservato che meccanismi di HGT di origine strettamente ambientale, quale la
trasformazione naturale indotta dalla chitina (il polimero organico più abbondante in mare),
possono essere responsabili di processi di sieroconversione di ceppi epidemici. Sempre
nell’ambiente marino, batteriofagi specifici per diversi sierogruppi/sierotipi sembrano
coinvolti nella selezione dei cloni epidemici.
Studi recenti supportano inoltre l’ipotesi che alcuni fattori di virulenza di V. cholerae possano
originare direttamente dall’ambiente. Per esempio, è stato recentemente identificato il gene
gbpA che codifica per una proteina della membrana esterna capace di legare l’ Nacetilglucosamina. Tale proteina è coinvolta nella colonizzazione delle cellule intestinali
umane e delle superfici ambientali di chitina mediante l’utilizzo della stessa specificità di
legame. La proteina GbpA è stata definita ‘Dual Role Colonization Factor (DRCF)’ e
rappresenta un legame tra i due stili di vita del batterio. I DCRF e, più in generale, molecole
analoghe aventi un doppio ruolo nell’uomo e nell’ambiente (“Dual Role Virulence Factors”)
suggeriscono che i tratti di virulenza possano derivare nei batteri da percorsi evolutivi di
adattamento di funzioni originate nell’ambiente. Tali molecole possono rappresentare
potenziali bersagli di strategie antimicrobiche innovative aventi l’obiettivo di contrastare non
solo l’infezione dell’uomo da parte del microrganismo ma anche la sua sopravvivenza e
diffusione nell’ambiente.
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Relazioni
ECOLOGIE ANTROPOGENE ED EVOLUZIONE DEI VIRUS
INFLUENZALI
Mauro Delogu
Lab of Pathogens' ecology Department of Veterinary Medical Sciences
Bologna University , Ozzano Emilia (Bologna) ITALY
La comparsa con sempre maggior frequenza di virus influenzali di origine animale all’interno
della popolazione umana, evidenzia un aspetto emergente dell’interazione tra uomo ed
ambiente. La necessità di modificare lo stesso al fine di ottenere maggiori risorse trofiche ha
portato alla costituzione di biomasse di specie domestiche senza equivalenti nel mondo
selvatico. Questo ha condizionato i percorsi evolutivi dei virus influenzali portandoli a seguire
facilmente una evoluzione positiva di tipo divergente, condizionati dal tasso di mutazione in
funzione di quello di replicazione e di conseguenza intimamente collegati alle dimensioni
delle popolazioni ospiti e al loro stato immunitario. Le nuove ecologie generate dalle esigenze
umane dimostrano essere un potenziale substrato in grado di condizionare le accelerazioni
evolutive dei virus influenzali.
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Relazioni
ASPERGILLI MULTIRESISTENTI E DIFFUSIONE AMBIENTALE
Anna Prigitano
Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano
Con sempre maggior frequenza viene segnalata la resistenza agli azoli in Aspergillus
fumigatus sia in pazienti in trattamento antifungino cronico che in pazienti naive. E’ stato
ipotizzato lo sviluppo della resistenza nell’ambiente, a seguito dell’esposizione a fungicidi
triazolici in ambito agricolo, confermato dall’isolamento ambientale in Europa. La resistenza
è per lo più associata ad alterazione in cyp51A, gene che codifica l’enzima target degli azoli,
ed i codoni 54, 98 e 220 sono quelli più frequentemente coinvolti nella mutazione. La
multiresistenza ai triazoli risulta per lo più associata alla mutazione puntiforme T364A
(codone 98) nel gene cyp51A e alla presenza di un tandem di 34 paia di basi ripetute nel
promotore (TR/L98H) (Snelders 2008 e 2009; Mortensen 2010)
Obiettivi dell’attività svolta dal laboratorio di micologia medica del Dipartimento di Scienze
Biomediche per la Salute dell’Università degli studi di Milano sono stati quelli di indagare la
prevalenza della resistenza agli azoli, studiandone il meccanismo di resistenza, in ceppi clinici
di A. fumigatus e ricercare la presenza di ceppi resistenti in prelievi ambientali nell’Italia del
nord.
Sono stati sottoposti a screening per la resistenza agli azoli 209 ceppi clinici, provenienti da
89 pazienti, nell’ambito dello studio SCARE, e 47 campioni di terra.
La resistenza agli azoli dei ceppi clinici ed ambientali è stata confermata mediante
microdiluizione in brodo EUCAST ed E-test. Per i ceppi resistenti è stato sequenziato il gene
β-tubulina per identificare eventuali specie criptiche, e una parte della regione codificante e
del promotore del gene cyp51A per la ricerca del meccanismo di resistenza. Il meccanismo di
resistenza è stato indagato anche in 5 ceppi isolati da pazienti in trattamento cronico con
azoli.
Sette ceppi clinici, di cui 2 isolati da pazienti naive, sono risultati resistenti a itraconazolo, 4
resistenti anche a posaconazolo, 1 resistente a voriconazolo e due con una ridotta sensibilità a
voriconazolo. Il meccanismo di resistenza TR/L98H è stato riscontrato in 5 dei 7 ceppi
resistenti. In un ceppo resistente a itraconazolo e posaconazolo è stata rilevata una mutazione
puntiforme nel codone 54, e in un ceppo resistente ai tre azoli una mutazione nel codone 220.
Dai 47 campioni di terra esaminati sono stati isolati 9 ceppi resistenti a itraconazolo e
posaconazolo, provenienti da campi coltivati a orticole (6), da meleti (1), da compost per rose
(2). Tutti i ceppi resistenti sono risultati A. fumigatus sensu stricto all’identificazione
molecolare. La mutazione TR/L98H nel gene cyp51A è stata rilevata in 7 dei 9 ceppi
ambientali.
Dai risultati di questi studi emerge che anche in Italia sono presenti ceppi sia clinici che
ambientali di A. fumigatus resistenti ai triazoli e che, nella maggior parte dei casi, il
meccanismo di resistenza è la mutazione TR/L98H nel gene cyp51A, predominante anche in
altri Paesi.
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Relazioni
UTILITÀ CLINICA DI HCVAG NELL’INFEZIONE DA VIRUS
DELL'EPATITE C
Patrizia Bagnarelli
Laboratorio di Virologia-Sezione di Microbiologia Dipartimento di Scienze Biomediche e
Sanità Pubblica Ospedale Generale di Torrette,Ancona
L'impatto dell'infezione da virus dell'epatite C (HCV) sul sistema sanitario nazionale è
drammatico in termini di salute e costi dal momento che in Italia HCV è la prima causa di
epatopatia, di trapianto epatico, di morte tra le infezioni trasmissibili. L'infezione è subdola in
quanto quasi sempre asintomatica (84% dei casi) e molto spesso persistente (80% delle
infezioni). In questo scenario in cui così spesso l’infezione è asintomatica e la storia naturale è
difficilmente ricostruibile l’utilizzo appropriato dei marcatori virologici diventa essenziale per
l’inquadramento del paziente.
L'infezione da HCV viene normalmente diagnosticata mediante definizione dello stato
anticorpale, tuttavia il test di screening per gli anticorpi e un eventuale test suppletivo di
conferma non sono in grado di discriminare tra infezione attiva e risolta. Per questo si ricorre
alla determinazione della carica virale che viene eseguita su campione prelevato
successivamente e prevede l'utilizzo di tecniche molecolari di amplificazione genica.
Recentemente è stato licenziato un test altamente sensibile per la ricerca dell' antigene del
capside (HCV p22Ag) che rende possibile un rapido inquadramento del paziente, con
identificazione dell'infezione attiva, utilizzando un solo campione di sangue, con costi
inferiori rispetto ai test supplementari, sia sierologici che molecolari. Inoltre l'Ag core può
dimostrarsi utili in tutte le seguenti circostanze: conferma di uno stato di dubbia o debole
positività anti-HCV; diagnosi precoce in pazienti anti-HCV negativi; sorveglianza di pazienti
immunocompromessi e/o ad alto rischio (dializzati, TD, trapianti); monitoraggio e follow-up
della terapia antivirale (complementare a HCV-RNA) grazie alla capacità di predire la
risposta virologica rapida in base alla cinedica di riduzione.
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Relazioni
BIOLOGIA E DIAGNOSTICA CONVENZIONALE ED AVANZATA
Paola Mastrantonio
Istituto Superiore di Sanità, Roma
C.difficile è un patogeno in costante evoluzione grazie ad un’elevata plasticità genomica che
consente una grande variabilità fenotipica tra i ceppi circolanti e che coinvolge alcuni dei
principali fattori di virulenza e sopravvivenza quali la produzione di tossine e di spore.
Le tossine A e B sono responsabili dello spettro di sindromi gastroenteriche delle infezioni da
C. difficile (CDI) che nell’uomo si manifestano con una sintomatologia ampia: da diarree
autolimitantesi a forme gravi con febbre, ipotensione, fino alla colite pseudomembranosa
fatale. I processi di regolazione di queste tossine possono giocare un ruolo nell’ipervirulenza
di alcuni ceppi quali il ribotipo 027, mentre la regolazione dei meccanismi di sporulazione e
germinazione modulano la diversa capacità dei ceppi di diffondersi nell’ambiente e di
permanere nell’intestino del malato.
Negli ultimi anni le infezioni nosocomiali da Clostridium difficile rappresentano un serio
challenge sia per il microbiologo che per il clinico, entrambi impegnati per un rapido
riconoscimento del caso, l’uno con una diagnosi eziologica rapida e specifica, l’altro con un
adeguato trattamento del paziente.
La diagnosi eziologica attraverso l’identificazione delle tossine A e B si avvale negli ultimi
anni di saggi immunoenzimatici e molecolari. Questi saggi permettono di ridurre i tempi di
risposta del laboratorio e di migliorare la cura del paziente, soprattutto se utilizzati in specifici
algoritmi diagnostici come suggerito da linee guida internazionali. La tipizzazione molecolare
dei ceppi, isolati da casi gravi e da outbreak permette, inoltre, di riconoscere la circolazione di
cloni ipervirulenti che necessitano di adeguati sistemi di contenimento.
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Relazioni
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
Claudio Mastroianni
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive
Direttore UOC di Malattie Infettive, Ospedale SM Goretti,
Sapienza Università di Roma, Polo Pontino
L’infezione da C. difficile rappresenta un paradigma che racchiude la necessità da parte dei
clinici di mirare i propri sforzi non solo alla diagnosi ed alla terapia ma anche alla
prevenzione. La lotta a questo tipo di infezione sintetizza i comuni intenti degli infermieri,
medici , chirurghi ed addetti all’igiene ospedaliera. L’aumento di incidenza è legato a maggior
consapevolezza dei medici, Invecchiamento della popolazione, aumento del consumo di
antibiotici, aumento dei pz con comorbosità plurime, aumento dei test diagnostici effettuati,
miglioramento della sensibilità dei test diagnostici. L’infezione da C. difficile è monitorata
attivamente mediante sorveglianza attiva in modo da identificare eventuali clusters e di
concordare con i vari reparti le misure idonee per ogni specifica situazione oltre alle misure
standard che vanno comunque sempre adottate e che saranno di seguito riepilogate. In caso di
diagnosi di infezione da C. difficile è consigliabile gestire il paziente con l’uso di camice e
guanti monouso. Implementare la già raccomandata pratica di un accurato lavaggio delle mani
con acqua e sapone. L’isolamento è una pratica consigliabile qualora possibile. In caso di
epidemia è consigliabile raggruppare i pazienti. Le precauzioni da contatto vanno mantenute
fino alla durata della diarrea. La pulizia della stanza in cui è stato identificato un casi di C.
difficile va eseguita (come accade di solito routinariamente) va eseguita con soluzioni
contenenti ipoclorito di sodio.
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Relazioni
TRAPIANTO DI MICROBIOTA
G. Cammarota
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
La infezione da Clostridium difficile (CD) può essere causa di colite con complicanze severe
come il megacolon, perforazione intestinale, shock, o essere causa di morte. Nell’ultima
decade, le problematiche legate all’infezione da CD sono aumentate a causa di una maggiore
diffusione in ambito nosocomiale e della comparsa di nuovi ceppi più virulenti. Il trattamento
standard, pur efficace, non elimina il rischio di un alto tasso di ricorrenza dell’infezione.
Dopo un iniziale successo terapeutico, 20-35%, dei pazienti trattati vanno incontro a una
prima ricorrenza dell’infezione, e il 40-65% di questi sperimentano ricorrenze multiple.
L’infezione da CD ricorrente espone particolarmente al rischio di complicanze severe. Alcuni
studi hanno dimostrato che la ricomposizione della distrutta flora microbica intestinale
attraverso il trapianto fecale può essere un trattamento efficace per le forme di colite
ricorrente causate dall’infezione da CD.
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Relazioni
NUOVE ACQUISIZIONI NEL PERCORSO DIAGNOSTICO
DELL'INFEZIONE DA HIV
Ombretta Turriziani
Dipartimento di Medicina Molecolare, Laboratorio di Virologia
“Sapienza”, Università di Roma
L’infezione da HIV rappresenta a tutt’oggi una continua minaccia alla salute pubblica.
Nonostante i numerosi farmaci antiretrovirali abbiano portato ad un controllo della
progressione di questa infezione, allo stato attualei non esiste una cura capace di eliminare il
virus, inoltre la mancanza di un vaccino rende indispensabile l’uso di strumenti diagnostici
che permettano di diagnosticare precocemente l’infezione in modo da limitare la trasmissione
del virus.
La diagnosi di una infezione acuta da HIV, caratterizzata solitamente dalla assenza di
anticorpi specifici, richiede l’immediata rilevazione della presenza del virus tramite
l’identificazione dell’RNA o dell’antigene virale p24. Nel corso degli anni diversi metodi
molecolari sono stati sviluppati allo scopo di determinare non solo la presenza dell’acido
nucleico virale, ma anche e soprattutto la sua quantità. Come alternativa, più pratica, saggi
immunoenzimatici di quarta generazione sono stati sviluppati al fine di identificare i pazienti
con infezione acuta da HIV. Questi tests, denominati “test combo”, permettono di ridurre
la ben nota “finestra immunologica” in quanto valutano, contestualmente, sia la presenza di
anticorpi che della proteina virale p24.
E’ noto che una volta diagnosticata, l’infezione da HIV richiede un monitoraggio continuo
necessario sia per definire il momento di inizio della terapia sia per valutare l’efficacia del
trattamento una volta iniziato.
A tutt’oggi l’HIV-RNA rappresenta il marcatore virologico oggetto di questo monitoraggio.
Nel corso degli anni si è assistito ad una progressivo aumento della sensibilità dei metodi
molecolari utilizzati per la quantificazione dell’acido nucleico virale, passando da un limite
di sensibilità di 400 copie di HIV-RNA/ml a 20 copie/ml. Inoltre, i numerosi studi svolti
nell’ambito di questa infezione hanno fatto nascere l’esigenza di avere a disposizione delle
metodiche che permettano anche la valutazione delle forme di HIV-DNA intracellulari. Saggi
di genopizzazione sono inoltre disponibili per identificare virus farmaco resistenti e peri
capire il loro tropismo. Metodiche ultrasensibili sono state sviluppate anche per determinare
la viremia residua, il cui significato clinico è oggi ampiamente dibattuto.
E’ importante ricordare che alcuni metodi molecolari, in particolare quelli ultrasensibili, non
sono accessibili alla maggior parte dei laboratori di diagnosi, ed il loro utilizzo si limita a
laboratori altamente specializzati.
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Relazioni
DIAGNOSI DELLA CHERATITE DA ACANTHAMOEBA
David Di Cave
Facoltà di Medicina, Dipartimento di Sanità Pubblica e Biologia cellulare, Laboratorio di
Parassitologia Università di Roma Tor Vergata.
La diagnosi di malattia causata da amebe a vita libera è complessa per la difficoltà di
identificare l’agente eziologico, benché la diagnosi precoce sia indispensabile ai fini
terapeutici.
La cheratite amebica, in particolare, non è di facile determinazione a causa delle
superinfezioni batteriche e alla necessità di una diagnosi differenziale con le infezioni
erpetiche. Inoltre una terapia antibatterica, antivirale, antimicotica o trattamenti con
corticosteroidi possono falsare la diagnosi perché spesso si può osservare un iniziale
miglioramento a cui tuttavia segue immediatamente un aggravamento della malattia. Diagnosi
precoci sia cliniche che di laboratorio sono importanti per iniziare al più presto il trattamento,
visto che le cisti amebiche che si formano nei tessuti sono resistenti ai farmaci. Si può
effettuare una diagnosi clinica di cheratite amebica quando si riscontrano ulcere corneali che
non rispondono a una terapia antibiotica. Una metodica non invasiva utilizzata in oculistica in
questi ultimi anni è la microscopia confocale che consente di mettere in evidenza cisti e
trofozoiti nel tessuto corneale del paziente come strutture iper-riflettenti. L’esame richiede
tuttavia una buona collaborazione del paziente e, spesso, l’intensa fotofobia e il dolore ne
possono rendere problematica l’esecuzione. La diagnosi di laboratorio di cheratite da
Acanthamoeba si basa sull’identificazione microscopica diretta e/o colturale delle cisti e dei
trofozoiti dopo prelievo mediante spatola dello strato superficiale della cornea.
Premesso che il prelievo di campione biologico deve necessariamente essere inviato nel più
breve tempo possibile senza essere refrigerato e in ogni caso entro le 24 ore, il protocollo di
diagnosi per un’infezione da Acanthamoeba può prevedere diversi livelli d’indagine. Il primo
livello diagnostico è l’esame al microscopio ottico di un vetrino allestito con il prelievo di
liquor o con il preparato di scraping corneale, dopo colorazione con Giemsa, che permette di
identificare le cisti e i trofozoiti di Acanthamoeba. Per questo tipo d’indagine è, però,
necessaria l’esperienza del parassitologo o di personale con elevata esperienza nel
riconoscimento microscopico delle cisti.
Il secondo livello diagnostico è costituito dall’esame colturale che si allestisce su piastra di
agar non nutrient (NN-agar) dopo processo di batterizzazione con un ceppo di Escherichia
coli.
Certamente la coltura ha il pregio di far valutare la vitalità del parassita infettante e consente
la determinazione del gruppo tassonomico ma impegna molto tempo a discapito della pronta
somministrazione terapeutica.
Il terzo livello diagnostico è quello delle indagini specialistiche di tipo strumentale
(microscopia confocale) e di tipo molecolare (PCR, sequenziamento) che permettono una
diagnosi altamente specifica con l’evidenziazione delle cisti in loco e l’individuazione del
genotipo dell’agente eziologico, rispettivamente, indirizzando in modo più adeguato e solerte
l’indicazione terapeutica.
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Relazioni
MARKER INNOVATIVI NELLA DIAGNOSTICA DELLE MICOSI
INVASIVE
Elisabetta Blasi,
Dipartimento di Medicina Diagnostica, Clinica e di Sanità Pubblica - Università di Modena e
Reggio Emilia, Modena.
L’incidenza delle infezioni fungine invasive (IFI) è in continuo aumento nei pazienti critici, quali gli
onco-ematologici o i trapiantati, i soggetti comunque sottoposti a terapia immunosoppressiva o i
pazienti con AIDS. Una diagnosi rapida ed un trattamento tempestivo delle IFI sono cruciali, in quanto
ne condizionano la prognosi riducendo significativamente la mortalità. L’approccio diagnostico
convenzionale, basato sull’esame colturale, attualmente considerato il gold standard, è poco sensibile
e/o tardivo nel fornire risultati utili, mentre le indagini istopatologiche, sebbene dirimenti, sono
problematiche e spesso difficilmente praticabili. Le indagini molecolari, basate sulla ricerca di
biomarker specifici (acidi nucleici/antigeni fungini o anticorpi serici), offrono indubbi vantaggi in
termini di rapidità, sensibilità e specificità. Inoltre, grazie alla non invasività delle indagini richieste, la
ricerca di tali biomarker può essere effettuata in modo seriale, consentendo il monitoraggio del
paziente critico, al fine di stabilire la tempistica di un eventuale trattamento pre-emptive e/o verificare
l’efficacia della terapia. In particolare, il saggio per la ricerca di β-D-glucano (marker panfungino) ha
un valore predittivo negativo pari al 100%, mentre la sua negativizzazione nel soggetto sottoposto a
trattamento è indice di successo terapeutico. La presenza del galattomannano, così come la rilevazione
di una glicoproteina extracellulare di Aspergillus, mediante test immuno-cromatografico recentemente
descritto, hanno un elevato valore predittivo. La presenza simultanea dell’antigene mannano e degli
anticorpi anti-mannano (marker genere-specifici) ha una sensibilità particolarmente elevata nei
pazienti critici (esclusi gli immunodepressi) e precede in modo significativo la positivizzazione
dell’emocoltura. I test molecolari, basati sull’amplificazione di acidi nucleici fungini, rappresentano
degli strumenti diagnostici molto rapidi e soprattutto sensibili, nei casi in cui l’iter convenzionale
fornisce risultati ripetutamente negativi. Infine, per quanto concerne il contributo della diagnostica
sierologica nell’identificazione dei soggetti con IFI, è stato messo a punto un saggio in
immunofluorescenza per la ricerca di anticorpi verso il tubulo germinativo di Candida albicans
(CAGTA) ed un test miniaturizzato e multi-parametrico, basato sulla tecnologia del microarray di
proteine, per la determinazione quantitativa della risposta anticorpale nei confronti di 11 antigeni
diversi di C. albicans; in tutti i casi, sensibilità (77-89%) e specificità (91-100%) si sono dimostrate
particolarmente elevate. Recentemente, l’approccio basato sul microarray di proteine è stato applicato
con successo anche nella diagnostica delle micosi invasive da funghi dimorfi, consentendo
l’identificazione rapida di soggetti affetti da istoplasmosi e coccidioidomicosi d’importazione.
Nel complesso, sebbene l’efficacia diagnostico-clinica dei metodi non-colturali resti ancora poco
definita, il loro impiego è fortemente auspicabile soprattutto alle luce del fatto che essi consentono
indagini multidirezionali e multi-parametriche, cruciali nell’ottimizzazione del percorso diagnostico
delle IFI.
Bibliografia
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10. The “mycoarray” as an aid for the diagnosis of an imported case of histoplasmosis in an Italian traveller returning from Brazil.
Ardizzoni A., Baschieri MC, Manca L., Salvadori C., Marinacci G., Farina C., Viale P., Blasi E. J Trav Med, 2013 in press.
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Relazioni
NANOTECNOLOGIE E LORO APPLICAZIONE IN CAMPO MEDICO:
REALTÀ CONCRETE NEL BREVE PERIODO ED ASPETTATIVE
FUTURE
Marco Rossi
Dip. di Scienze di Base e Applicate per l'Ingegneria - SBAI
Centro per le Nanotecnologie applicate all'Ingegneria della Sapienza - CNIS
Nanoshare Srl - A startup company for human technologies
Sapienza Università di Roma, Roma
L’applicazione delle nanotecnologie in campo medico-biologico (nanomedicina) ha avuto
negli ultimi anni uno sviluppo impetuoso, affermandosi come nuovo campo di ricerca
interdisciplinare che coinvolge tutti i principali ambiti scientifici (biologia, chimica, fisica,
ingegneria e medicina).
Le nanotecnologie consentono di progettare una serie potenzialmente infinita di nanosistemi,
che possono essere utilizzati per trasportare agenti terapeutici o diagnostici attraverso le
barriere biologiche, per favorire l’accesso alle molecole, per mediare le interazioni molecolari
e rilevare con alta sensibilità e rendimento i cambiamenti molecolari. Ne conseguono grandi
aspettative per la nanomedicina, supportate da un crescente e convincente numero di evidenze
sperimentali e cliniche.
I nanosistemi si sono dimostrati in grado di aprire nuove vie di sviluppo per il drug delivery, il
gene delivery, l’imaging (sia agenti di contrasto che dispositivi diagnostici) e l’ingegneria
tissutale. Sistemi funzionali ingegnerizzati su scala nanometrica stanno effettivamente
trovando applicazione per la prevenzione, diagnosi e cura delle malattie. Diversi organismi di
controllo internazionale, tra cui il Food and Drug Administration (FDA), hanno già approvato
l’uso di numerosi di questi nanosistemi e altri sono in fase di sperimentazione clinica.
Nel corso della presentazione si illustreranno lo stato presente e le prospettive/aspettative
della nanomedicina, dal punto di vista dello stato dell’arte dello sviluppo dei nanomateriali.
Verranno in particolare illustrate anche alcune importanti strategie di sintesi per la
realizzazione di piattaforme/nanosistemi basati sull’impiego di materiali a base-Carbonio (dai
nanotubi di C, al nanodiamante, al grafene, ecc.) e saranno forniti alcuni esempi di
architetture polivalenti per applicazioni biomediche basate sull’impiego di tali materiali.
All’interno della galassia dei nanomateriali, quelli a base-C rivestono una particolare
rilevanza per le loro numerose proprietà chimico-fisiche pressoché uniche. Le potenzialità
applicative sono tali che si comincia a parlare di una futura era tecnologica del C dopo quella
attuale del Si.
Numerose e recenti ricerche indicano una tendenzialmente ottima biocompatibilità e
affidabilità a lungo termine per i nanomateriali di C, rendendoli i candidati ideali per tutte le
principali applicazioni biomediche.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Relazioni
VALUTAZIONE DI SOSTITUTI OSSEI SINTETICI INGEGNERIZZATI
CON CELLULE EPITELIALI AMNIOTICHE NELLA
RIGENERAZIONE DEL TESSUTO OSSEO
Antonella Polimeni1, Stefano Tetè2, Enrico Felice Gherlone 3
1
Università La Sapienza, Roma
2
Università G. D'Annunzio, Chieti
3
Università “Ateneo Vita-Salute San Raffaele”, Milano
A seguito della perdita di un elemento dentario, l'osso alveolare subisce una serie di
modifiche che determinano una riduzione del volume osseo. Al fine di una corretta
riabilitazione implantoprotesica, ma anche in tutti i casi di trauma o patologia ossea a cui
consegue un cospicuo riassorbimento osseo, si rende necessario ricorrere a tecniche
rigenerative. Una delle sfide principali della terapia rigenerativa ossea è di quella di
individuare il sostituto osseo ideale che possieda allo stesso tempo, le proprietà
osteoinduttive, osteoconduttive ed osteogeniche.
Il ripristino delle funzioni danneggiate attraverso la sostituzione delle cellule progenitrici, dei
tessuti o degli organi danneggiati rappresenta l'obiettivo principale della ricerca medica
contemporanea. L’ingegneria tissutale è un'area di ricerca multidisciplinare volta a rigenerare
tessuti e ripristinare la funzionalità d’organo mediante il trapianto di cellule e tessuti
sviluppati in vitro o stimolando la crescita cellulare in una matrice sintetica. Il tessuto vitale
rigenerato dovrebbe essere idealmente immunologicamente, funzionalmente, strutturalmente
e meccanicamente identico al tessuto nativo.
Ad oggi, l’osso autologo è il solo sostituto osseo che possiede tutte queste caratteristiche, ma
ilsuo uso è limitato principalmente dagli alti costi biologici e dalla disponibilità ridotta. Per
superare tali inconvenienti, alcuni sostituti ossei di origine diversa sono stati proposti e
sperimentati. Partendo da tali premesse, la nostra linea di ricercasi propone di identificare un
sostituto osseo sintetico“ideale” e di ottimizzare le tecniche rigenerative esistenti tramite l'uso
combinato di cellule staminali per identificare una procedura che possa fornire risultati
prevedibili alla stregua di quelli ottenibili con ciò che è oggi considerato il "gold standard",
ossia l'osso autologo.
L'efficacia, la sicurezza e la applicabilità alle procedure cliniche di costrutti composti da
sostituti sintetici tridimensionali e da cellule staminali epiteliali di derivazione amniotica sono
studiati mediante studi in vitro ed in vivo su modello animale, al fine di ottenere nuovi
protocolli per la rigenerazione del tessuto osseo.
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Relazioni
"SISTEMI SUPRAMOLECOLARI" E COLLOIDALI NELLA
VEICOLAZIONE DEGLI ANTIMICROBICI: ATTUALITÀ E
PROSPETTIVE"
Pio Maria Furneri
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, Via Androne 83,
95124 Catania, Italia
Il "drug delivery" inteso come lo sviluppo di sistemi alternativi di distribuzione mirata dei
farmaci nell'organismo è la principale opportunità per circoscrivere l'effetto biologico di una
molecola direttamente nella cellula infetta diminuendo sia gli effetti collaterali sia
aumentandone l'efficacia terapeutica, e quindi l'attività intrinseca del farmaco.
I maggiori problema dell'antibiotico terapia sono rappresentati dall'inefficacia del farmaco
[resistenza intrinseca o acquisita] e dall'incapacità della molecola a raggiungere il bersaglio
[scarsa biodisponibilità].
Molti studi in letteratura hanno dimostrato come sia possibile intervenire sia sull'inefficacia
sia sulla biodisponibilità migliorando l'una o l'altra e in alcuni case entrambe attraverso l'uso
di carrier specifici. Un esempio fra tutti la formulazione liposomiale di amfotericina B
attraverso la quale sono raggiunti entrambi i target.
Ad esempio, l'attività intrinseca di alcuni chinoloni è stata migliorata attraverso l'uso di
nanoparticelle di polietilcianacrilato; sempre attraverso l'uso di liposomi e nanoparticelle è
stata aumentata la concentrazione intracellulare (batterica ed eucariotica) di alcuni chinoloni.
Inoltre, alcune formulazioni colloidali hanno migliorato la stabilità nel tempo e l'attività
intrinseca di macrolidi.
Altri sistemi sono i lipoammino acidi (LAA), cioè degli α-amminoacidi aventi una o più
catene alchiliche laterali di varia lunghezza, che sono stati progettati al fine di incrementare la
stabilità in circolo dei farmaci e/o il loro trasporto attraverso le membrane biologiche,
aumentandone così l’efficienza. I LAA sono stati utilizzati per attuare una strategia di
accoppiamento ionico, definita HIP (“Hydrophobic Ion Pairing”), con alcuni antibiotici,
quali eritromicina e tobramicina. Il profilo di attività antibatterica in vitro di tali coppie
ioniche è simile a quello del farmaco originario, o è stato addirittura migliorato in termini di
MIC (tobramicina) contro diversi ceppi batterici, sia sensibili che resistenti a questa classe di
antibiotici.
Sono state, anche, realizzate microsfere mucoadesive a base di chitosano glutammato (CHG)
per veicolare il farmaco antifungino miconazolo nitrato (MN). In una valutazione
microbiologica in vitro su diversi ceppi di Candida, le dispersioni liofilizzate di MN in CHG
mostrato una buona attività inibitoria sulla crescita del lievito, in alcuni casi migliorata
rispetto al farmaco libero.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Relazioni
BIOTIMER ASSAY: UN METODO INNOVATIVO NEL CONTROLLO
MICROBIOLOGICO DI NANO-MATERIALI
Berlutti F. *, Frioni A., Pantanella F., Natalizi T., Valenti P.
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma
I nano-materiali destinati alla veicolazione di prodotti farmaceutici e nutraceutici presentano
molti vantaggi correlati alla loro dimensione e natura: alto rapporto superficie-volume,
localizzazione, stabilità, efficacia e migliori formulazioni con minore tossicità.
A fronte del crescente sviluppo delle nanotecnologie non sono corrisposti altrettanti metodi
innovativi per il controllo di qualità dei nano-materiali. L’assenza di specifici controlli di
qualità è un serio limite alla loro applicazione nell’uomo.
I nano-materiali, infatti, possono essere contaminati da lipopolisaccaridi (LPS), che non
vengono rilevati con i test classici a causa della frequente interferenza dei nano-materiali con
la reattività dell' LPS. Questo problema è così rilevante che la Food and Drug Administration
(FDA, USA), oltre a stabilire che i nano-materiali da applicare sull’uomo devono essere
“General Recognized As Safe” (GRAS), richiede che l’assenza di LPS sia esclusivamente
determinata mediante un nuovo test che non interferisce con i nano-materiali: Endosafe®.
Non altrettanto importante per la FDA sembra essere il controllo di sterilità dei nano-materiali
che, invece, possono essere contaminati da microrganismi adesi o in biofilm. La
sottovalutazione del potenziale rischio di contaminazione microbica può aumentare
l’incidenza delle infezioni veicolate da nano-materiali. La valutazione della suscettibilità dei
nano-materiali alla colonizzazione batterica è generalmente trascurata a causa della difficoltà
nella valutazione quantitativa della carica microbica adesa o in biofilm. L’unico metodo,
riconosciuto dalla FDA, che si basa sulla conta delle Unità Formanti Colonie dei
microorganismi rimossi dalle superfici, fornisce valori quantitativi erratici e così variabili da
rendere inaffidabile il saggio.
Il BioTimer Assay (BTA), un innovativo metodo biologico, rappresenta una valida alternativa
all’enumerazione dei microrganismi adesi ai nano-materiali. Il BTA si basa sulla
determinazione di prodotti metabolici indipendenti dallo stile di vita dei microrganismi.
Il BTA utilizza un reagente originale i cui indicatori virano a seguito del metabolismo
microbico. Il tempo di viraggio degli indicatori è correlato al numero dei microorganismi
presenti nel campione al tempo 0 mediante una curva di correlazione genere-specifica. Inoltre,
il BTA è di facile esecuzione, non richiede alcuna manipolazione del campione e consente di
ottenere risultati ripetibili e affidabili.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Relazioni
NUONE ACQUISIZIONI NEL WORKFLOW IN BATTERIOLOGIA
Carla Fontana
1 Dip. Medicina Sper. e Chirurgia – Università Tor Vergata – Via Montepellier 1 00133 Roma
2 Lab Microbiologia - Policlinico Tor Vergata – V.le Oxford 81 - 00133 Roma
Nel corso degli ultimi anni la microbiologia, ed in particolare la batteriologia, si è trovata ad
affrontare un profondo cambiamento che non ha riguardato solo le procedure ed i sistemi di
laboratorio, ma soprattutto un diverso approccio del microbiologo nella gestione della routine
quotidiana. Il nuovo microbiologo, deve essere in grado di dialogare quotidianamente con il
clinico per trovare strategie comuni che possano agevolare il percorso analitico di un
campione microbiologico al fine di contrarre i tempi di risposta senza influire sulla qualità
finale prodotta.
Il laboratorio di microbiologia del ventunesimo secolo, svolge, infatti, un ruolo centrale nella
ottimizzazione della gestione delle malattie infettive e nel tracciare la topografia della
epidemiologia locale e globale. Questo ruolo fondamentale è reso possibile grazie all'adozione
di procedure e metodologie di campionamento razionale, all'automazione estesa ed alla
introduzione ragionata di nuove tecnologie, tra cui la spettrometria di massa, il whole genome
sequencing.
Tutta l’innovazione tecnologica nel corso dell’ultimo quinquennio si spinta è in questa
direzione, proprio sotto lo stimolo e la pressante sollecitazione del microbiologo clinico.
Il primo passo in questa direzione è stato portare la microbiologia in fase liquida; Liquid
Based Microbiology (LBM). Quest’ultima è stata introdotta grazie all’avvento dei tamponi
floccati (FLOQSwabs™ by Copan). Si tratta di dispositivi in cui migliaia di fibre di nylon
spruzzate perpendicolarmente ad un applicatore di plastica hanno rivoluzionato la tecnica di
prelievo, in quanto le fibre così disposte assorbono e rilasciano per capillarità la totalità del
campione raccolto, consentendo anche la raccolta di un maggior volume di campione. Lo
stesso terreno di trasporto e mantenimento utilizzato, in abbinamento ai tamponi floccati,
consente una uniformità del campione garantendo così una standardizzazione ottimale, una
eccellente conservazione, ed altresì in grado di essere utilizzato praticamente in tutte le
procedure di laboratorio, siano esse di coltura tradizionale o di biologia molecolare (un solo
campione per più analisi). La LBM, introdotta nel 2005 si è nel corso degli anni arricchita
anche di supporti strumentali cha hanno consentito il primo passo verso l’automazione in
microbiologia ossia verso i walk away specimens processor.
L’utilizzo equilibrato ed integrato di procedure/metodi e sistemi può è ormai dimostrato
essere in grado di migliorare il flusso di lavoro e l'uscita dei laboratori di microbiologia
clinica verso un reporting rapido, ragionato, finalizzato ed ottimizzato. Solo il microbiologo
attento e pronto ai cambiamenti, che stanno interessando da più parti il laboratorio, in grado di
accogliere questi cambiamenti direzionandoli verso un nuovo workflow del proprio
laboratorio (che vede una gestione integrata di sistemi e tecnologie ma con il fine utile di
produrre un referto utile in tempi fruibili dal clinico significa) sarà in grado di sostenere la
sfida del presente e del futuro: dare un maggior impatto alla microbiologia clinica. Questo
non con lo scopo fine a se stesso di esibire un laboratorio tecnologicamente avanzato, ma
nell’intento di restituire un impatto reale del proprio lavoro sull’outcome del paziente, e non
meno importante, di restituire al laboratorio di microbiologia ed al microbiologo un ruolo
centrale non derogabile a nessuna altra figura del laboratorio.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Research Highlights
41° Congresso Nazionale
Research Highlights
A COMPARATIVE FUNCTIONAL RNA-INTERFERENCE SCREEN
IDENTIFIES FACTORS DIFFERENTIALLY REQUIRED FOR LIPID
DROPLET HOMEOSTASIS AND LIFE CYCLE OF FLAVIVIRIDAE
MEMBERS
Gualtiero Alvisi 1,2, Ina Karen Stoeck 1, Sandeep Amberkar 3, Narsis A Kiani 3, Christoph
Sommer 4, Wolfgang Fischl 1, Marion Poenisch 1, Fred Hamprecht 4, Giorgio Palù 2, Lars
Kaderali 3, and Ralf Bartenschlager 1
1 Department of Infectious Diseases, Molecular Virology, University of Heidelberg,
Heidelberg, Germany, 2 Department of Molecular Medicine, University of Padua, Padua,
Italy 3 Institute of Medical Informatics & Biometry, Dresden University of Technology,
Dresden, Germany, 4 Heidelberg Collaboratory for Image Processing, University of
Heidelberg, Heidelberg, Germany.
Short title: A comparative LD, HCV and DENV RNAi screening
Lipid Droplets (LDs) play a central role in storage and mobilization of lipids and are involved
in lipid metabolism-related diseases, as well as in the replication cycle of several viruses,
including the hepatotropic hepatitis C virus (HCV) and the Dengue virus (DENV). However,
in spite of their importance, the pathways and factors regulating LD homeostasis in human
liver cells are poorly characterized, and their suitability as antiviral targets has not been
explored. To overcome this limitation, we assembled a siRNA library targeting 230 genes
potentially regulating LD homeostasis. This library was used to perform a comparative
functional RNA-interference screen to identify key factors of LD homeostasis was well as
factors promoting or restricting HCV and DENV replication. We could identify 59 genes as
important factors for LD homeostasis, most of them also playing key roles for viral
replication. Bioinformatic analysis of hits identified biological processes regulating both viral
life cycle and LD homeostasis. These include COPI-coated vesicle budding, RNA splicing or
proteasomal- and ubiquitin-dependent catabolic processes. Upon confirmation by a secondary
deconvolution screen, the DDX3 dead box helicase and the calcium-independent
phospholipase A2 iPLA2β were selected for follow-up studies. Our results suggest a novel
role for DDX3 in HCV assembly/release, which appears to be independent from its
interaction with core protein. Moreover, pharmacological ablation of iPLAβ activity
selectively impaired HCV particle production, but did not affect the DENV replication cycle.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Research Highlights
INFEZIONE DA BETA-PAPILLOMAVIRUS (β-HPV) NEI TUMORI
CUTANEI IN DIVERSE TIPOLOGIE DI PAZIENTI
IMMUNOCOMPROMESSI.
Cinzia Borgogna1, Simone Lanfredini1, Manuela Landini1, Elisa Zavattaro1, Enrico
Colombo1, Renzo Boldorini2, Umberto Miglio2, Marco De Andrea3, Maurits de Koening4,
Koen Quint4, John Doorbar5, Piero Stratta1 and Marisa Gariglio1.
1
Department of Translational Medicine and 2Department of Health Sciences, Medical School
of Novara, Italy; 3Department of Public Health and Microbiology, Medical School of Turin,
Italy; 4Delft Diagnostic Laboratory, Voorburg, The Netherlands; 5Division of Virology,
National Institute for Medical Research, London,UK.
I papillomavirus umani (HPV) sono virus nudi a DNA che infettano in maniera persistente a
livello cutaneo la maggior parte della popolazione. Sebbene sia noto che i beta-HPV (β-HPV)
non causano evidenti sintomi clinici nella maggioranza degli individui infetti, possono
causare tumori cutanei non melanoma (NMSC, Non Melanoma Skin Cancer) in soggetti con
sistema immunitario compromesso, specialmente pazienti con immunodeficienza primaria
(PID) e trapiantati d'organo (OTR).
L'associazione causale tra infezione da β-HPV e sviluppo di tumori cutanei è stata dimostrata
in pazienti affetti da Epidermodisplasia Verruciforme (EV), una PID caratterizzata dalla
predisposizione all’infezione da parte di specifici β-HPV. Questa associazione non è ancora
stata confermata negli OTR, sebbene studi epidemiologici abbiano dimostrato in questi
pazienti una stretta associazione tra lo sviluppo di tumori cutanei e la presenza di anticorpi
anti-β-HPV, e, analisi in PCR abbiano identificato il DNA di β-HPV in più dell’80% di questi
tumori. Il ruolo di questi virus è difficile da dimostrare a causa della loro diffusione
ubiquitaria nella popolazione generale e la loro assenza in alcuni tumori. Inoltre, finora la
maggior parte degli studi realizzati sull’uomo prevedeva solo la ricerca del DNA virale e
l’analisi della risposta sierologica.
In questo studio sono state confrontate una coorte di pazienti PID (EV) ed una coorte di 100
pazienti sottoposti al trapianto di rene, di cui 17 hanno sviluppato lesioni cutanee, spesso
multiple.
Tutti i campioni ottenuti dalle diverse coorti sono stati genotipizzati tramite analisi in PCR
(PM-PCR RHA) e sono stati analizzati in immunofluorescenza per la ricerca dei marcatori di
replicazione virale (E4, L1, MCM e FISH).
20 su 25 NMSC di pazienti EV e 6 lesioni precancerose (cheratosi attiniche) o margini di
tumori maligni su 79 NMSC di pazienti OTR sono risultati positivi per l’espressione
citoplasmatica di E4, l’espressione nucleare di L1 e la presenza del genoma virale.
I nostri risultati dimostrano che l’infezione attiva da β-HPV può essere rilevata in alcuni
tumori cutanei di pazienti trapiantati, indicando il possibile coinvolgimento di questi virus nel
processo di carcinogenesi cutanea, in maniera simile a quanto riscontrato nei pazienti EV.
Mostrando che i β-HPV possono avere un ruolo nelle prime fasi di trasformazione cutanea e
la loro replicazione non è necessaria per il mantenimento del tumore, secondo la teoria “hit
and run”.
Ulteriori indagini sono in corso per mettere a punto nuovi strumenti diagnostici e prognostici
per valutare attraverso lo stato di replicazione di questi virus il rischio di sviluppare tumori
cutanei nei pazienti immunocompromessi.
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Research Highlights
INFEZIONI RESPIRATORIE E IMMUNITÀ INNATA
IN ETÀ PEDIATRICA
Carolina Scagnolari
Laboratorio di Virologia, Dipartimento di Medicina Molecolare, Sapienza Università di
Roma. Email: [email protected]
Il virus respiratorio sinciziale (RSV) rappresenta la causa più comune di infezioni severe della
vie respiratorie in età pediatrica. Altri virus identificati come causa di infezioni respiratorie
nei bambini sono i rinovirus (HRV), il metapneumovirus, il bocavirus e i virus
parainfluenzali. A tal riguardo, recentemente è emerso che HRV può infettare anche le vie
aeree inferiori, delineandosi come il secondo virus più frequentemente riscontrato, dopo
l’RSV, nei casi di bronchiolite. Negli ultimi anni la rilevanza clinica dei diversi virus
respiratori è stata maggiormente avvalorata dalle evidenze scientifiche che hanno indicato
una associazione tra la presenza di infezione da HRV o RSV e lo sviluppo in età precoce di
episodi di wheezing e/o di fenomeni successivi di tipo allergico/ asmatico negli adolescenti e
negli adulti. Sebbene i meccanismi alla base della associazione tra infezione con virus
respiratori comuni e presenza di una reattività cronica nelle vie aeree non siano stati ancora
caratterizzati in dettaglio, la combinazione di fattori propri dell’ospite associati alla risposta
immunitaria innata e di specifici fattori virali, quali carica virale e variabilità genetica del
virus, sembra sia in grado non solo di influenzare profondamente la gravità clinica della
infezioni respiratorie
in età pediatrica ma anche di
contribuire successivamente
all’instaurarsi di malattie infiammatorie croniche a livello respiratorio. In particolare, è noto
che le cellule epiteliali che rivestono le vie aeree rappresentano un sistema specializzato di
difesa dell’ospite adibito a coordinare una complessa battaglia nei confronti di qualsiasi virus
invasore. Una serie di pathways molecolari intricati, talvolta ridondanti, che governano la
risposta infiammatoria e antivirale vengono attivati in seguito al riconoscimento di proteine o
acidi nucleici virali da parte di specifici toll like receptors (TLR) e/o RNA elicasi. Tuttavia,
Il grado di attivazione della risposta innata a livello delle vie aree sembra dipendere non solo
dai fattori genetici dell’ospite ma anche dal tipo di virus come documentato dalla presenza di
livelli diversi di espressione di TLR, RNA elicasi, citochine e chemochine nei neonati con
infezione da RSV o HRV. Tra le citochine espresse in seguito ad infezione con RSV o HRV ,
gli interferon (IFN) di tipi I (alfa, beta), II (gamma) e III (lambda) attraverso l’induzione
dell’espressione di centinaia di geni IFN-stimolati (ISGs) e l’attivazione di cellule
immunitarie occupano sicuramente un ruolo centrale nel determinare la gravità delle infezioni
respiratorie in età pediatrica. L’importanza degli IFN nel determinare l’andamento clinico
delle infezioni da virus respiratori è stata infatti più volte sottolineata dalla presenza di una
ridotta attivazione dei pathways antivirali degli IFN nei casi di bronchiolite grave da RSV o
HRV. Gli IFN di tipo I-III sembrano, tuttavia, essere implicati in maniera diversa nel
controllo a livello respiratorio delle infezioni virali neonatali e delle malattie infiammatorie
di tipo cronico. A tal riguardo gli IFN lambda che vengono sintetizzati in maniera
prevalente, a differenza degli altri tipi di IFN, dalle cellule epiteliali delle vie aeree in
seguito ad infezione virale, sembrano contribuire maggiormente al quadro clinico di
bronchiolite causata da RSV piuttosto che da HRV e nell’ insorgenza di episodi di tipo
allergico/asmatico . In conclusione, le conoscenze acquisite negli ultimi anni sul ruolo degli
IFN nelle infezioni respiratorie virali hanno inequivocabilmente sottolineato la necessità di
comprendere maggiormente come i diversi fattori virali e la risposta immunitaria innata
partecipino attivamente nei meccanismi immunopatogenetici associati alle infezioni da RSV
o HRV e nello sviluppo di episodi asmatici, con lo scopo auspicabile di individuare un
marcatore di rischio di sviluppare un fenotipo asmatico e una possibile terapia mirata.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Research Highlights
I ROTAVIRUS E LA LORO EVOLUZIONE GENETICA:
LO SCENARIO DEGLI ULTIMI 25 ANNI A PALERMO
De Grazia Simona1, Bonura Floriana1, Saporito Laura 1, Cascio Antonio2, Colomba Claudia 1,
Di Bernardo Francesca 3, Giammanco Giovanni Maurizio1
1. Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile "Giuseppe
D'Alessandro", Università di Palermo, Italia
2. Dipartimento di Patologia Umana, Unità di Medicina Tropicale e Parassitologia –
Università di Messina, Italia.
3. Unità di Microbiologia and Virologia, ARNAS “Ospedale Civico”, Palermo, Italia
I rotavirus di gruppo A (RVA) sono la principale causa di gastroenterite acuta in tutto il
mondo. La loro ampia diffusione deriva da un’elevata variabilità genetica dovuta ad eventi di
riassortimento, trasmissione interspecie e accumulo di mutazioni puntiformi. I RVA sono
classificati, in base alle proteine del capside esterno VP7 e VP4 in più di 27 tipi G e 35 tipi P.
I genotipi G1, G3, G4 e G9P[8] e G2P[4] sono responsabili della maggior parte delle
infezioni nell’uomo.
A partire dal 1985, a Palermo è stata condotta una sorveglianza ininterrotta nella popolazione
infantile per valutare l’incidenza delle infezioni da RVA e studiare la loro variabilità genetica.
Nel corso della sorveglianza sono stati analizzati 6522 campioni fecali di bambini (<5 anni)
ospedalizzati per gastroenterite acuta (GA). Tutti i campioni RVA-positivi sono stati
sottoposti a G/P genotipizzazione e il sequenziamento genico e l’analisi filogenetica sono stati
utilizzati per chiarire i rapporti evolutivi all’interno dei vari genotipi. Durante i 27 anni di
sorveglianza, RVA sono stati identificati nel 32,7% dei casi di GA con una prevalenza
annuale variabile, dal 11% nel 1987 al 52% nel 2005. L’analisi della distribuzione temporale
dei diversi genotipi ha dimostrato che i G1P[8] circolano costantemente mentre altri tipi G
sono identificati in periodi circoscritti.
L’analisi filogenetica ha rivelato la presenza di una popolazione eterogenea di RVA a
Palermo, con differenti lineaggi/sottolineaggi all’interno di ogni genotipo. In particolare, i G1
mostravano la maggiore variabilità, con 3 lineaggi e 7 sottolineaggi diversi, ma anche i
G2P[4] degli anni ’90 appartenevano a un lineaggio diverso da quelli degli anni 2004-2006 e
2007-2011, mentre i G4 segregavano in tre lineaggi. I G3 avevano bassi livelli di eterogeneità
ma, diversamente da altri tipi G, oltre che con P[8] sono stati trovati in associazione anche
con P[3] e P[9] di origine animale, mentre i G9 costituivano una popolazione omogenea.
Ceppi G6 sono stati identificati sporadicamente a partire dagli anni ’80 e fino al 2003 in
associazione con P[9] o P[14], mentre G10 e G12 sono stati identificati per la prima volta a
Palermo nel 2011 e 2012. L’analisi di sequenza di VP4 rivelava la consecutiva circolazione di
due lineaggi di ceppi P[8], indipendentemente dal tipo G associato. Sostituzioni
aminoacidiche negli epitopi antigenici di VP7 e VP4 si associavano generalmente con la
comparsa dei differenti lineaggi/sottolineaggi e caratterizzavano le ondate di circolazione.
Questo studio riassume i dati di 27 anni di sorveglianza sulla circolazione dei RVA in era prevaccinale e rappresenta un importante strumento per la comprensione dei meccanismi
evolutivi di questi virus.
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Research Highlights
PAPILLOMAVIRUS E CARCINOMA MAMMARIO: EPIDEMIOLOGIA
E ASPETTI PATOGENETICI
M. Cricca1, F. Alessandrini1, C. Savini1, L. Gallucci1, C. Ceccarelli1, D. Santini2, I. Montroni3,
M. Taffurelli3, S. Bertoni1, M. Bonafè1.
1: Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Scuola di Medicina e
Chirurgia dell’Università di Bologna, Bologna.
2: Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Di Laboratorio, Policlinico
Sant’Orsola Malpighi, Bologna.
3: Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Scuola di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Bologna, Bologna.
IL DNA di HPV è stato individuato in diverse patologie extra-genitali, quale ad esempio il
carcinoma mammario. Un'associazione significativa tra presenza di HPV (genotipi 16, 18, 33
e 35) e carcinoma mammario è stata riportata in due recenti studi meta-analitici (Li 2011,
Simões 2012). Per definire l’epidemiologia di HPV in carcinoma mammario all’interno del
nostro territorio, abbiamo analizzato 168 casi, con saggi di PCR, individuando una prevalenza
del 33%, con una maggior circolazione di HPV16 (68%). Inoltre abbiamo analizzato secreti
mammari parafisiologici (con assenza di patologia mammaria) e patologici (da pazienti con
mastiti, papillomi, iperplasie e carcinomi in situ) individuando una prevalenza di HPV del
20% e 22% rispettivamente. Delle pazienti con secreto patologico è stato analizzato anche il
tessuto patologico prelevato mediante escissione del dotto (galattoforectomia). Si riscontra
una positività maggiore ad HPV in lesioni maligne (carcinoma in situ) rispetto alle benigne
(papillomi, iperplasie e mastiti).
Inoltre analizzando i tumori mammari ER-/PgR- rispetto ai tumori ER+e/o PgR+ abbiamo
riscontrato una più alta frequenza di HPV nei primi (60% vs 30%) e la sua localizzazione
anche nel compartimento stromale. Precedentemente il DNA di HPV era già stato osservato in
cellule stromali di tumori cervicali (Unger, 1999). E’ noto che le cellule stromali non siano
permissive alla replicazione del virus, ci si è quindi chiesto quale fosse il significato del
ritrovamento del DNA di HPV in questo comparto cellulare. A tal proposito abbiamo eseguito
una serie di esperimenti di trasfezione in vitro utilizzando microvescicole prodotte da cellule
CasKi (linea di carcinoma cervicale positiva per HPV16). Le micro vescicole, risultate
positive alla presenza di acidi nucleici virali (DNA/RNA), sono state utilizzate per trasfettare
fibroblasti umani primari, isolati da ghiandola tumorale mammaria e MCF-7, una linea
cellulare HPV negativa derivata da carcinoma mammario. Le cellule esposte sono risultate
positive agli acidi nucleici virali (DNA/RNA) fino a 7 giorni post-infection. Queste
sperimentazioni dimostrano come il trasferimento di materiale genetico a cellule recipienti
stromali sia possibile anche in assenza di infezione produttiva.
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Research Highlights
LE DIVERSE ANIME DELLA RISPOSTA ANTICORPALE NEL CORSO DI
INFEZIONI VIRALI: L’ESEMPIO DEGLI ANTICORPI INTERFERENTI ANTIHCV, DEGLI ANTICORPI CROSS-PROTETTIVI ANTI-VIRUS INFLUENZALI E
DEGLI ANTICORPI NEUTRALIZZANTI ANTI-JCV.
Nicasio Mancini,
Laboratorio di Microbiologia e Virologia Università "Vita-Salute" San Raffaele, Milano
La dissezione molecolare della risposta di tipo umorale nei confronti di infezioni virali
diverse ha evidenziato l’esistenza di singole sottopopolazioni anticorpali con attività
biologiche spesso divergenti. La preponderanza delle singole componenti può ovviamente
avere un forte impatto sulle caratteristiche della risposta anticorpale nel suo complesso. In
questa presentazione saranno evidenziati diversi esempi di popolazioni anticorpali che si
distinguono da quelle preponderanti solitamente descritte, e che, se opportunamente
modulate, potrebbero modificare radicalmente l’attività biologica della risposta umorale nei
confronti dell’agente virale che le ha stimolate.
Il primo esempio discusso sarà quello relativo all’esistenza, nell’ambito della risposta
anticorpale indotta dal virus dell’epatite C, di specificità anticorpali caratterizzate non solo
dall’assenza di qualsiasi attività neutralizzante, ma addirittura dalla capacità di interferire con
l’azione protettiva di altre popolazioni ad attività neutralizzante. Un esempio analogo,
ancorché di segno opposto, sarà quello relativo all’identificazione di specificità anticorpali in
grado di riconoscere e neutralizzare un ampio pannello di virus influenzali appartenenti a
sottotipi diversi. La presentazione terminerà con la discussione di recenti dati relativi alla
risposta anticorpale anti-JCV, e al possibile ruolo della sua componente neutralizzante
nell’ambito della riattivazione del virus in pazienti esposti a terapie immunomodulatorie.
In conclusione, con particolare riferimento a quest’ultimo virus, saranno discussi alcuni
possibili sviluppi associati a tali osservazioni quali: (i) la migliore comprensione di alcuni
meccanismi fisiopatologici ancora poco noti, come nel caso della correlazione fra JCV e
leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML); (ii) la messa a punto di nuovi test
diagnostici in grado di stratificare meglio il rischio nell’ambito di popolazioni esposte, come
ad esempio, i pazienti in trattamento con terapie immunomodulatorie; e, infine (iii) la messa a
punto di nuove strategie di profilassi attiva o passiva.
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Research Highlights
RUOLO EZIOPATOGENETICO DEI RETROVIRUS ENDOGENI
UMANI: IL CASO DEL MELANOMA
Matteucci C.1, Balestrieri E.1, Denboba A.A.1, Sorrentino R.1, Spadafora C.2, Garaci E.1,
Sinibaldi Vallebona P.1
(1) Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università di Roma “Tor Vergata”,
(2) Istituto Superiore di Sanità, Roma.
I retrovirus endogeni umani (HERVs) costituiscono circa l’8% del genoma umano. Essi sono
traccia di infezioni esogene ancestrali della linea germinale, che attraverso l’integrazione
come provirus hanno subito il processo di endogenizzazione e vengono trasmessi quindi
verticalmente alla progenie. Nonostante le somiglianze strutturali condivise con i retrovirus
esogeni, la maggioranza delle sequenze di HERV sono in equilibrio evolutivo con il genoma
ed i loro mRNA sono infatti variabilmente espressi in diversi tipi cellulari e tessuti,
determinando proprietà fisiologiche indispensabili per lo sviluppo ed il funzionamento
dell’organismo. Inoltre, durante l'evoluzione, gli HERVs si sono amplificati e diffusi nel
genoma per mezzo di ripetuti eventi di retrotrasposizione e/o di reinfezione, determinando, in
base alla posizione dell’integrazione, la modificazione della struttura e/o della funzione di
altri geni. Numerose ricerche hanno dimostrato l’implicazione degli HERVs in molte malattie
complesse con eziologia multifattoriale e basi genetiche, tra cui il diabete di tipo 1, vari tipi di
tumori, malattie autoimmuni e del sistema nervoso centrale.
Da alcuni anni il nostro gruppo di ricerca studia il ruolo degli HERVs in alcune di queste
patologie. Riferiremo la nostra esperienza di ricerca sul ruolo dei retrovirus endogeni umani,
appartenenti alla famiglia K (HERV-K), nel mantenimento della plasticità e della malignità
delle cellule di melanoma. Vari studi supportano, infatti, l'idea che i retroelementi, tra cui gli
HERVs, svolgano un ruolo importante sia nella plasticità cellulare che nella trasformazione e
progressione tumorale. Evidenze crescenti suggeriscono che il cancro può derivare da una
cellula staminale trasformata, in grado di auto-rinnovarsi, differenziarsi e sostenere la crescita
continua del tumore. Tale caratteristica di plasticità è regolata da uno o più fattori epigenetici,
determinati dal microambiente tumorale. I nostri dati suggeriscono il coinvolgimento di
HERV-K nel mantenimento della plasticità e staminalità delle cellule di melanoma, in
risposta alle condizioni del microambiente. La comprensione di come HERV K possa
modulare il fenotipo, e quindi la plasticità delle cellule tumorali, potrebbe aiutare ad
identificare nuovi marcatori per la prevenzione e bersagli per il trattamento del melanoma
umano, che resta a tutt’oggi una rilevante causa di mortalità.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Research Highlights
ATTIVITÀ IMMUNOSOPPRESSIVA DEL POLISACCARIDE MICROBICO
GALATTOXILOMANNANO
Eva Pericolini
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia, Università degli Studi di
Perugia, Perugia, Italia.
Il polisaccaride purificato Galattoxilomannano (GalXM), ottenuto dal fungo opportunista
Cryptococcus neoformans, ha dimostrato di avere una potente attività immunosoppressiva che
include l' inibizione della proliferazione e l' induzione della morte cellulare programmata
(apoptosi) delle cellule T umane. Questi effetti soppressivi sono particolarmente evidenti nelle
cellule T attivate che svolgono un ruolo chiave nella patogenesi dell’artrite reumatoide (RA),
del lupus eritematoso sistemico (SLE) e della sindrome di Sjögren (SS). L' RA è una malattia
sistemica infiammatoria cronica autoimmune che principalmente danneggia le articolazioni
sinoviali. Nell' RA l' infiammazione cronica delle articolazioni consiste per una larga
percentuale di un infiltrato cellulare formato da linfociti T CD4+ con una predominanza di
cellule Th1 e, come recentemente evidenziato, di cellule Th17 o cellule T con attività
regolatoria (Treg). Terapie preventive innovative recentemente proposte in modelli
sperimentali di artrite si basano sulla selettiva eliminazione di cellule Th1 e Th17 e sull'
aumento delle cellule Treg. Poiché il GalXM è un potente inibitore delle cellule T, incluse le
Th17, le cellule T autoreattive possono essere considerate un possibile bersaglio per
l'immunosoppressione mediata dal GalXM. In accordo con queste evidenze, i nostri dati
hanno mostrato un effetto benefico del GalXM nel diminuire l'attivazione delle cellule Th17
ed aumentare l’attività soppressiva delle Treg in campioni di sangue periferico e/o liquido
sinoviale di pazienti RA. Inoltre poiché la disregolazione dell' equilibrio tra cellule Th17 e
Treg sembra essere un altro punto chiave nell' induzione e mantenimento dell' infiammazione
durante l’ RA, la SLE o la SS, il GalXM può rappresentare un nuovo approccio terapeutico
nel trattamento delle patologie autoimmuni.
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Research Highlights
RUOLO DELL’INFLAMMASOMA NELLA DIFESA DELL’OSPITE
CONTRO LE INFEZIONI DA STREPTOCOCCO DI GRUPPO B.
Giacomo Signorino
Dipartimento di Scienze Pediatriche, Ginecologiche, Microbiologiche e Biomediche,
Università di Messina
L’inflammasoma è un complesso multiproteico indotto da stimoli chimici e biologici che
riveste un ruolo fondamentale nelle malattie dell’uomo ed è alla base non solo di buona parte
della patologia infettiva ma anche di malattie precedentemente considerate come noninfiammatorie quali l’arteriosclerosi, il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica. Negli
ultimi anni il nostro lavoro si è incentrato sul ruolo dell’inflammasoma nelle infezioni
batteriche con particolare riguardo alle infezioni da streptococco di gruppo B (GBS), un
importante agente di sepsi e meningite nel neonato ed in soggetti di età avanzata. Nel nostro
studio abbiamo dimostrato che un particolare tipo di inflammasoma denominato NLRP3 è
fondamentale nelle difese dell’ospite contro GBS. Topi geneticamente difettivi per NLRP3,
per la molecola adattatrice ASC o per caspasi 1 soccombevano rapidamente all’infezione
sperimentale da GBS ed erano incapaci di produrre IL-1β e IL-18 in risposta a questo agente
patogeno. Al fine di chiarire se una di queste citochine o entrambi svolgessero un ruolo nella
diminuita resistenza a GBS di topi privi di NLRP3/ASC/caspasi 1 abbiamo valutato la
suscettibilità all’infezione di topi privi di IL-1β, di IL-18 o di entrambi. Sorprendentemente,
sebbene i topi difettivi per IL-18 fossero lievemente più suscettibili all’infezione rispetto ai
topi wild type di controllo, gli animali privi di IL-1β mostravano un grado estremamente
basso di resistenza all’infezione, dimostrandosi ancora più suscettibili dei topi difettivi per
caspasi 1. L’elevata suscettibilità dei topi IL-1β KO era legata ad un ridotto influsso di
neutrofili nel sito di infezione; inoltre il trattamento di topi wild type con anticorpi in grado di
eliminare i neutrofili determinava uno stato di suscettibilità simile a quello dei topi
geneticamente difettivi per IL-1β.
I nostri dati sperimentali indicano che la produzione di IL-1β da parte di neutrofili svolge un
ruolo fondamentale di feed-back positivo nel reclutare altre cellule e nel debellare l’infezione
da GBS.
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Research Highlights
LA PROTEINA DI MATRICE DI HIV-1 p17 PROMUOVE
L’ANGIOGENESI ATTRAVERSO IL LEGAME AI RECETTORI
CHEMOCHINICI CXCR1 E CXCR2
Francesca Caccuri, Cinzia Giagulli, Daniele Basta, Simona Fiorentini, Arnaldo Caruso
Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia, Brescia, Italia
In pazienti infetti da HIV-1 è possibile osservare un’aumentata incidenza di malattie
vascolari, supportate da angiogenesi aberrante. Disfunzioni endoteliali sono state attribuite
all’attività di proteine di HIV-1, piuttosto che all’azione diretta del virus stesso.
p17, proteina di matrice di HIV-1, regola l’attività biologica di diverse cellule del sistema
immunitario. In precedenza, abbiamo dimostrato che p17 mima l’attività chemochinica di IL8 attraverso il legame al recettore CXCR1. I dati in oggetto di questo studio dimostrano che
p17 è in grado di legare ad alta affinità anche CXCR2, recettore associato a CXCR1, ed è in
grado di promuovere la formazione di strutture simil-capillari in cellule endoteliali (ECs)
attraverso l’interazione con i due recettori CXCR1 e CXCR2, espressi sulla superficie delle
EC. La via del segnale ERK/AKT è risultata essere responsabile dell’attività proangiogenetica di p17.
Dati in vivo ed ex vivo hanno inoltre dimostrato che l’attività pro-vasculogenica di p17 è
paragonabile a quella di VEGF-A.. L’ipotesi di un ruolo importante di p17 nell’indurre
angiogenesi aberrante in HIV-1 è rafforzata dalla scoperta che essa è presente, come singola
proteina, nel nucleo di cellule ECs. La presenza di p17 nei nuclei di queste cellule è stata
messa in evidenza anche in esperimenti in vitro, che suggeriscono l’internalizzazione di p17
esogena, attraverso meccanismi di endocitosi recettore-mediati.
L’identificazione dell’interazione tra p17 e CXCR1/2 come evento chiave nella promozione
di angiogenesi aberrante può esssere di aiuto per individuare nuove strategie di trattamento
per combattere malattie vascolari in pazienti con AIDS.
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Research Highlights
COMPARATIVE STUDY OF FLUCONAZOLE, CASPOFUNGIN AND
THYME RED ESSENTIAL OIL INTERACTING WITH PMNS IN THE
ERADICATION OF CANDIDA ALBICANS
N.Mandras, V.Tullio, J.Roana, D.Scalas, V.Allizond, G. Banche, E.Marra, A.M. Cuffini
Public Health and Pediatrics Dept, University of Turin
Infections caused by Candida spp. represent the main cause of opportunistic fungal infections
worldwide, leading to significant morbidity and mortality, and Candida albicans remains the
most common etiological agent of candidiasis. The increasing recognition and importance of
fungal infections, the difficulties encountered in their treatment, and the increase in resistance
to antifungal agents have stimulated the search for new therapeutic alternatives, such as
natural antifungal compounds, including essential oils that are now recognized for their
potential antimicrobial role against microorganisms.
Since clinical experience showed that the efficacy of antimicrobial agents depends not only on
their direct effect on a given microorganism but also on the functional activity of the host
immune system, the aim of our research was to evaluate the influence of thyme red essential
oil (EO), at subMIC/MIC concentrations, on intracellular killing activity by human PMNs
against C.albicans. The EO intracellular fungal activity was compared with that of
fluconazole (FLZ) and caspofungin (CAS), two of the most antifungal drugs used in
candidiasis prophylaxis and treatment. In addition, in order to provide a frame of reference for
the activity of EO, its activity was also evaluated and compared with CAS on the extracellular
killing of C.albicans.
The results showed that EO at subMIC/MIC concentrations significantly enhanced C.albicans
killing by PMNs in comparison with EO-free controls, and its activity was comparable to
FLZ. On the contrary, CAS in the same experimental conditions was more effective in killing
viable yeast cells with higher percentage, producing a significantly decrease of the intraPMN
yeast survival compared to EO and FLZ. In the absence of PMNs, EO and CAS activity was
only fungistatic at all concentrations tested and not sustained over time because yeast cell
growth was seen at 24h. The mechanism of killing enhancement by EO is still unknown.
However, the obtained results showed that EO, while having fungistatic activity, when it is
incubated with PMNs, positively interacts with phagocytes, similarly to that observed with
FLZ and CAS.
The results of this study suggest that EO is promising for the development of nonconventional products with antifungal activity. Further investigations are needed to confirm
these findings.
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Research Highlights
SIGNIFICATO PATOGENETICO DELLA PRODUZIONE DI BIOFILM
NELLA CANDIDIASI INVASIVA IN GALLERIA MELLONELLA
Elisa Borghi*1, Solange Romagnoli1,2, Daniela Cirasola1,3, Federica Perdoni1, Delfina Tosi1,2,
Paola Braidotti4, Giulia Morace1
1
Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano, via di Rudinì, 8 –
20142 Milano, Italia; 2UOC Anatomia Patologica, Citogenetica e Patologia Molecolare, A.O.
San Paolo, via di Rudinì, 8 – 20142 Milan, Italia; 3Scuola di specializzazione in
Microbiologia e Virologia Università degli Studi di Milano, via Pascal, 36 – 20133 Milano –
Italia; 4 Unità di Microscopia Eletttronica, A.O. San Paolo, via di Rudinì, 8 – 20142 Milano,
Italia.
Le candidemie continuano ad essere le più frequenti infezioni fungine invasive nosocomiali,
con un tasso di mortalità del 40%. La propensione di molti ceppi clinici a formare biofilm
aggrava questo dato incrementando una resistenza aspecifica agli antifungini e promuovendo
la persistenza dei microrganismi stessi.
L’invertebrato Galleria mellonella rappresenta un valido modello per lo studio della
patogenesi fungina, mostrando una risposta immunitaria innata simile a quella presente nei
mammiferi. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare in vivo le complesse
interazioni ospite-patogeno e in particolare il ruolo del biofilm nella patogenesi sistemica.
A tale scopo abbiamo utilizzato ceppi clinici di C. albicans con spiccata abilità o costante
incapacità di produrre biofilm in vitro. L’infezione sistemica in G. mellonella, eseguita
mediante inoculo diretto nell’emocele di 103, 104 e 105 CFU/larva, è stata monitorata
istologicamente nel tempo (24, 48 e 72 ore).
La produzione di biofilm è di per sé un fattore prognostico negativo, con un Hazard Ratio di
2.63 (test di Wald, intervallo di confidenza del 95% pari a 2.03-3.41).
A livello istologico, a 24 ore post-infezione abbiamo osservato l’induzione di una consistente
risposta immune innata, indipendente dalla capacità dei ceppi clinici di produrre o meno
biofilm, con evidente melanizzazione. A 48 ore, il quadro istologico si differenzia in relazione
alla capacità dei ceppi di organizzarsi in biofilm; i ceppi produttori mostrano una fitta rete
altamente organizzata di blastocellule ed ife che invadono il sistema tracheale delle larve.
Questo dato ben correla all’elevata mortalità associata. I ceppi produttori di biofilm, inoltre,
modulano il comportamento in relazione alla carica infettante: un inoculo di 104 CFU/larva è
in grado di dare origine ad un biofilm visibile 48/72 ore dall’infezione e l’invasione delle
trachee si osserva solo alle 72 ore. Come atteso, una carica infettante maggiore (105
CFU/larva) produce effetti simili 24 ore prima e determina a 72 ore una necrosi estesa del
corpo grasso dell’insetto.
Questi dati supportano l’ipotesi che la formazione di biofilm possa essere correlata alla
gravità dell’infezione sistemica, indipendentemente dall’ormai dimostrata resistenza
farmacologica e dall’aumentata capacità di colonizzazione. La complessa architettura del
biofilm influisce negativamente sull’abilità del sistema immune di arginare l’infezione,
promuovendo la crescita incontrollata del fungo.
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Research Highlights
STENOTROPHOMONAS MALTOPHILIA IN FIBROSI CISTICA:
PATOGENO OD INNOCUO BY-STANDER ?
Giovanni Di Bonaventura
Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche, Università “G. D’Annunzio” di ChietiPescara.
Stenotrophomonas maltophilia è un patogeno opportunista multi-resistente di interesse
globale, di particolare rilevanza nel paziente immunocompromesso. Nell’ultimo decennio, la
frequenza di isolamento di S. maltophilia dalle vie respiratorie di pazienti affetti da Fibrosi
Cistica (FC) è andata costantemente aumentando. Il microrganismo può persistere per lunghi
periodi nel polmone FC, dove spesso viene co-isolato con patogeni “franchi” (P. aeruginosa,
S. aureus). Sebbene il ruolo di S. maltophilia nella fisiopatologia della malattia polmonare FC
non sia stato ancora chiarito, la sua persistenza polmonare è considerata fattore di rischio per
le esacerbazioni polmonari. Pertanto, in questi casi le linee-guida internazionali consigliano
un trattamento eradicante che, tuttavia, è spesso complicato a causa della intrinseca
antibiotico-resistenza esibita dal microrganismo, rendendo così necessaria la individuazione
di strategie terapeutiche “alternative”.
Obiettivi principali della attività di ricerca del nostro Laboratorio sono stati: i) la definizione
del ruolo svolto da S. maltophilia nel determinismo patogenetico della malattia polmonare nel
paziente FC e ii) l’individuazione di strategie terapeutiche “alternative”.
I principali risultati fin’ora ottenuti hanno indicato che S. maltophilia è in grado di: i)
organizzarsi sotto forma di biofilms antibiotico-resistenti alla superficie dell’epitelio
bronchiale FC, razionale per la sua persistenza nel polmone FC; ii) adattarsi selettivamente al
polmone FC, come indicato dalla comparsa di un caratteristico fenotipo (aumentato tempo
medio di generazione, ridotta capacità di formare biofilm, aumentata sensibilità allo stress
ossidativo); iii) indurre una rilevante risposta infiammatoria – principale causa di
compromissione della funzionalità respiratoria in FC – come osservato in un modello murino
di infezione polmonare; iv) modulare la virulenza di P. aeruginosa – patogeno “franco” in FC
– influenzandone significativamente l’espressione genica.
Abbiamo inoltre individuato alcuni peptidi naturali (catelicidine), nonchè sintetici (forme
tronche di peptidi di origine bovina, peptide alfa-elica P19(9/B)) dotati in vitro di una
rilevante attività antibatterica, anti-adesiva ed anti-biofilm nei confronti di S. maltophilia, S.
aureus e P. aeruginosa.
Nel complesso, i nostri risultati indicano chiaramente come S. maltophilia contribuisca al
determinismo patogenetico della malattia polmonare nel paziente FC, sia direttamente
(organizzandosi come biofilm altamente resistenti, innescando una rilevante risposta
infiammatoria) che indirettamente (modulando la virulenza di patogeni considerati “franchi”
in FC). I peptidi antimicrobici di origine animale e/o sintetica potrebbero essere considerati
come “lead compounds” per lo sviluppo di nuove molecole ad attività antibiotica ed antibiofilm. Studi in vivo sono in corso d’opera per meglio comprendere il significato clinico
delle evidenze fin’ora ottenute in vitro.
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Research Highlights
PREVALENCE, EPIDEMIOLOGY AND BEHAVIOUR OF hVISA,
IN ITALY
Floriana Campanile,
Dept. of Bio-Medical Sciences, University of Catania
Heteroresistance to glycopeptides, in which subpopulations with reduced susceptibility
coexists in a seemingly susceptible phenotype, have been associated with clinical failure and,
recently, related to the development of resistance to daptomycin.
The diverse aspects of this problem i.e. resistance mechanisms and significance, prevalence
and epidemiology of hVISA in Italy, are the main topic of my research over the last 10 years.
Many papers, dealing with each one of these aspects, were already published (Campanile et
al. IJAA 2010, EJCMID 2012; Cafiso et al. EJCMID 2010, PLoS One 2012).
The diminished autolytic activity and thickened cell wall are at the basis of the mechanism of
resistance and can influence: i) the method of detection; ii) the analysis of the correct
epidemiology of hVISA infections; iii) the activity of new anti-Gram-positive drugs.
My presentation will deal with all these aspects, in order to: i) evaluate the prevalence of
hVISA strains among two large collections of MRSA the first between 2005-2007 and the
second in 2012; ii) evaluate the in vitro activity of the new drugs dalbavancin and ceftaroline,
and the bactericidal activity of daptomycin against a selected sample of clinically relevant
hVISA/VISA strains belonging to the main representative Italian clones, their behaviour
under vancomycin-selective pressure and assess the stability of their phenotypes and
genotypes; iii) test the performance of different Gradient Tests (GTs) (MIC test Strip
Liofilchem®; Etest bioMérieux) and the δ-hemolysis tests on a sequential sample of 69
clinically relevant fresh MRSA isolates.
The prevalence of hVISA strains remained constant during 2005-2007 (25.9%) and 2012
(25.3%). hVISA were detected in MRSA with vancomycin MICs of 1-2 mg/l, frequently
associated with the major nosocomial clones - SCCmec I/II, agrI/II, ST5/8/239/247/228. Only
a VISA strain - ST1- was isolated during 2012.
Dalbavancin exhibited a potent in vitro activity (MICs range 0.06-0.5 mg/L) and there was no
evidence of its potential to select heteroresistant subpopulations. The same good activity was
demonstrated for ceftaroline, showing MIC50/90 values of 0.25-1mg/L, respectively.
The rapid daptomycin bactericidal activity was slightly affected by the vancomycin-reduced
susceptibility of the VISA/hVISA. The cell wall changes in hVISA strains, didn’t interfere
with daptomycin activity. It was only temporarily influenced when strains were grown under
vancomycin pressure, and reverted when strains were grown in antibiotic-free medium,
confirming the in vitro stability of daptomycin activity.
Double-sided glycopeptide gradient tests (GRD) and δ-hemolysis tests, demonstrated an
excellent and less time-consuming way to detect the “hidden” mechanism of reduced
susceptibility to glycopeptides, with a high level of sensitivity and high negative predictive
value.
In conclusion, we demonstrated that the percentage of hVISA in MRSA in Italy, remained
stable from 2005 to 2012. The strains belonged to the major nosocomial clones and were
potently inhibited by daptomycin and the new drugs dalbavancin and ceftaroline.
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Research Highlights
CARATTERIZZAZIONE DI NUOVI ELEMENTI GENETICI IN
STREPTOCOCCUS MITIS.
FRANCESCO SANTORO, GIANNI POZZI, FRANCESCO IANNELLI
LAMMB, Dip. di Biotecnologie Mediche, Università di Siena.
Nell’ambito del progetto europeo ANTIRESDEV, che aveva lo scopo di studiare come
cambiano le chemioresistenze nel microbiota di volontari sani sottoposti a terapia antibiotica,
sono stati isolati 2 ceppi di Streptococcus mitis resistenti alla minociclina da un soggetto sano
trattato con minociclina. Il sequenziamento genomico dei 2 isolati tramite tecnologia
“Illumina” ha permesso di identificare 3 nuovi elementi genetici. Nel ceppo di S. mitis S022V3-A4 erano presenti sia Tn6225 (7248 bp) che contiene il gene tet(M) per la resistenza alla
tetraciclina, sia Tn6226 (7424 bp) che contiene i geni mef(E) e msr(D) per la resistenza ai
macrolidi, mentre nel ceppo S022-V7-A3 era presente solo Tn6227 (7463 bp) che contiene
tet(M). Tn6225 e Tn6227 fanno parte della famiglia degli “integrative coniugative element”
(ICE) Tn916-Tn1545, mentre Tn6226 è un elemento composito contenente l’elemento mega
(“macrolide efflux genetic assembly”) che veicola mef(E)-msr(D) in Streptococcus
pneumoniae. Tn6225 e Tn6227 sono stati trasferiti per trasformazione in S. pneumoniae
rispettivamente alla frequenza di 3.4 x 10-6 e 7.7 x 10-5 trasformanti per cellula ricevente,
mentre non è stato possibile trasferire il Tn6226 (frequenza <1.7 x 10-6). Non è stato possibile
trasferire per coniugazione i tre elementi, utilizzando come riceventi S. mitis, S. pneumoniae,
Streptococcus pyogenes, Streptococcus agalactiae, Enterococcus faecalis, Bacillus subtilis.
L’analisi di sequenza ha evidenziato che gli elementi Tn6225 e Tn6227 mancano del modulo
di trasferimento tipico degli elementi della classe del Tn916, questi dati correlano con
l’assenza di mobilità coniugativa. A valle di Tn6225 è stato trovato un gene codificante per
una ipotetica aminoglicoside fosfotrasferasi (Aph). Questo gene viene trasferito per
trasformazione in S. pneumoniae in associazione con il Tn6225. Tramite real-time RT-PCR
abbiamo rilevato che il gene aph è espresso sia in S. mitis che in S. pneumoniae. La funzione
di questo gene, in particolare la sua attività nei confronti degli aminoglicosidi, è stata
investigata utilizzando l’isolato originale di S. mitis, i trasformanti di S. pneumoniae e la
proteina Aph ricombinante purificata, previo clonaggio ed espressione in E. coli.
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Research Highlights
LA VIRULENZA DEGLI ENTEROCOCCHI: UN “PUZZLE” NON
ANCORA COMPLETAMENTE RICOMPOSTO
Riccardo Torelli1, Jean-Christophe Giard2, Pascale Serror3, Francesca Bugli1, Francesco
Paroni Sterbini1, Cecilia Martini1, Margherita Cacaci1, Alain Rincé2, Axel Hartke2, Brunella
Posteraro1, Maurizio Sanguinetti1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italy; 2Laboratory of
Environmental Microbiology, Université de Caen, Caen; 3INRA, UMR1319 Micalis, Jouy-enJosas, France
I germi del genere Enterococcus sono batteri opportunisti che fanno parte della flora normale del tratto
gastrointestinale umano divenuti patogeni emergenti responsabili di infezioni nosocomiali, in Europa e
negli Stati Uniti, quali infezioni del tratto urinario, ferite chirurgiche, addominali, pelviche e neonatali.
Inoltre, sono causa importante di batteriemie, endocarditi, sepsi neonatali e meningiti. A ciò si
aggiunga che molti ceppi di Enterococchi sono multi-resistenti agli antibiotici e ciò rende molto
difficile il controllo delle infezioni enterococciche una volta stabilitesi.
Come per altri patogeni opportunisti, la virulenza degli Enterococchi è multifattoriale, e numerosi
sforzi sono ancora necessari per decifrare completamente i meccanismi molecolari attraverso i quali
questi microrganismi causano malattia. Da circa 10 anni, l’Istituto di Microbiologia, in collaborazione
con altri gruppi di ricerca afferenti a prestigiose Istituzioni Europee, ha intrapreso studi rivolti alla
comprensione dei meccanismi patogenetici delle infezioni sostenute da E. faecalis ed E. faecium. Ciò
ha portato alla caratterizzazione funzionale di geni e/o di loro regolatori di trascrizione, coinvolti nella
risposta allo stress ossidativo, nella resistenza al lisozima o al cloruro di sodio, e nel “folding” delle
proteine, come pure di geni che codificano per proteine della superficie cellulare che fungono da
adesine. È stato dimostrato che tali geni sono responsabili della resistenza degli Enterococchi al
“killing” intracellulare da parte di macrofagi murini residenti nel peritoneo oppure di cellule
microgliali, come anche nella sopravvivenza del microrganismo in modelli murini di peritonite o di
infezione sistemica. I risultati di tali ricerche sono riassunti in una visione globale che rende ragione
della complessità delle conoscenze finora acquisite per la comprensione dei meccanismi patogenetici
dell’infezione enterococcica.
Pubblicazioni scientifiche a corredo
1.
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3.
4.
5.
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8.
9.
10.
11.
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18.
Dumoulin R, Cortes-Perez N, Gaubert S, Duhutrel P, Brinster S., Torelli R, Sanguinetti M, Posteraro B, Repoila F, Serror P. The enterococcal Rgg-like
regulator ElrR activates expression of elrA operon. J. Bacteriol., in revision
Torelli R, Serror P, Bugli F, Paroni Sterbini F, Florio AR, Stringaro A, Colone M, De Carolis E, Martini C, Giard JC, Sanguinetti M, Posteraro B. 2012.
The PavA-Like Fibronectin-Binding Protein of Enterococcus faecalis, EfbA, is Important for Virulence in a Mouse Model of Ascending Urinary Tract
Infection. J. Infect. Dis., in press
Reffuveille F, Connil N, Sanguinetti M, Posteraro B, Chevalier S, Auffray Y, Rince A. 2012. Involvement of peptidyl-prolyl cis/trans isomerases in
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Comunicazioni Orali
41° Congresso Nazionale
Comunicazioni Orali
DIFFERENTI EFFETTI DI DUE CEPPI DI I PROTEUS MIRABILIS DI
ISOLAMENTO CLINICO SULLA CAPACITÀ DI FORMARE BIOFILM
E SULLA INDUZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNE INNATA
Lorena Coretti, Iole Paoletti, Maria Nocerino, Giovanna Donnarumma
Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Medicina Sperimentale-Sezione di
Microbiologia e Microbiologia clinica
Proteus mirabilis è frequentemente isolato in infezioni urinarie catetere-associate, spesso
polimicrobiche. I principali fattori di virulenza di questo microrganismo, sebbene non del
tutto noti, sembrano essere principalmente associati all’adesione, mobilità, formazione di
biofilm e all’immunoevasione.
E’ noto che, mentre l’adesione alle cellule uroepiteliali di P. mirabilis, mediata da fimbrie,
permette la colonizzazione del tratto urinario, la sua adesione a superfici abiotiche è favorita
dalla capacità di formare biofilm cristallino. Inoltre, la formazione di biofilm, twitching
motility-mediata, rappresenta un fattore che facilita la migrazione e l’adesione di altri
microrganismi uropatogeni non mobili e quindi la formazione di un biofilm polimicrobico.
Scopo del lavoro è stato quello di valutare la capacità di due ceppi, fenotipicamente differenti,
di Proteus mirabilis, di isolamento clinico (PM1 e PM2), di produrre biofilm e ne è stata
valutata la loro capacità di indurre una risposta infiammatoria in monostrati di cellule Hela.
I ceppi PM1 e PM2, con diversa abilità di movimento (swimming, swarming, twitching) e
identificati mediante amplificazione delle sequenze ITS, hanno mostrato differenti profili
molecolari. Solo PM1, con fenotipo Supersciamante, ha mostrato una overespressione del
gene wosA. Inoltre, i ceppi hanno manifestato una diversa capacità di aderire e formare
biofilm sia su superfici abiotiche che su monostrati cellulari. Tale comportamento sembra
essere correlato, anche, ad una diversa modulazione in cellule Hela dei mediatori
dell’infiammazione.
I risultati ottenuti, sottolineano che l’approfondimento dei meccanismi di patogenicità di P.
mirabilis potrebbe contribuire all’individuazione di nuovi bersagli per la prevenzione e
trattamento di infezioni del tratto urinario.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
INFEZIONI DA BIOFILM ASSOCIATE AI CATETERI URINARI
Claudia Vuotto1,2, Gianfranco Donelli1, Pietro Emanuele Varaldo2
1
Laboratorio Biofilm Microbici, Fondazione Santa Lucia IRCCS, Roma; 2Dipartimento di
Scienze Biomediche e Sanità pubblica, Sezione di Microbiologia, Università Politecnica delle
Marche, Ancona.
I dispositivi medici impiantabili, per il loro crescente uso a livello ospedaliero, espongono
maggiormente i pazienti a colonizzazioni microbiche e conseguenti infezioni associate.
L'utilizzo di cateteri vescicali, sia a breve che a lunga permanenza, rappresenta una delle più
comuni cause di infezioni urinarie, la cui gestione clinica viene resa più difficoltosa dalla
rapida colonizzazione delle loro superfici polimeriche da parte di ceppi batterici multiresistenti in grado di dar luogo a biofilm, frequentemente multi-specie. Infatti, l'aumentata
resistenza agli antibiotici e la persistenza dei microorganismi uropatogeni a crescita sessile
influenzano negativamente il trattamento delle infezioni urinarie associate a cateteri. Gli
agenti causali più frequentemente coinvolti sono ceppi produttori di biofilm appartenenti alle
specie Escherichia coli, Proteus mirabilis, Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumoniae e
Acinetobacter baumannii .
Più a lungo i cateteri vengono lasciati in situ, maggiore è la probabilità che i batteri siano in
grado di sviluppare un biofilm maturo, costituito per lo più da 2-5 specie batteriche diverse, e,
di conseguenza, causare infezioni complicate del tratto urinario.
La gravità di queste infezioni è esaltata dal fatto che le specie coinvolte, già intrinsicamente
resistenti a numerosi antibiotici, anche di nuova generazione, mostrano una antibiotico
resistenza 100-1000 volte maggiore in relazione alla loro crescita in biofilm, rispetto ai valori
riscontrati per ceppi delle stesse specie quando questi crescono in forma planktonica.
Verranno illustrati e discussi in questa comunicazione i risultati fino ad ora ottenuti con
tecniche microbiologiche, molecolari e ultrastrutturali riguardo a:
1) capacità di formare biofilm in vivo ed in vitro da parte di ceppi di A.baumannii e
K.pneumoniae isolati da pazienti ricoverati presso l'ospedale di riabilitazione neuromotoria
della Fondazione Santa Lucia di Roma;
2) influenza di concentrazioni sub-inibenti di carbapenemi sui biofilm sviluppatisi in vitro dai
ceppi di A.baumannii;
3) correlazione tra antibiotico resistenza e formazione di biofilm tra gli isolati di
K.pneumoniae.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Comunicazioni Orali
ATTIVITÀ ANTI STREPTOCOCCUS AGALACTIAE DI
LACTOBACILLUS REUTERI, CEPPO NCTC 8181 REUFLOR ®
Marina Cinco*, Martina Peruch*, Vincenzo Petix** e Marina Busetti **
*Dipartimento di Scienza della Vita, Università di Trieste, e **IRCCS “Burlo Garofolo”,
Trieste **
L’infezione da St. agalactiae è una delle maggiori cause di morbosità e mortalità neonatale;
l’incidenza di tale infezione è stata calcolata, in epoca pre-screening in gravidanza,
dell’ordine di 1,5 casi/1000 nati.
Anche se le misure di profilassi antibiotica somministrate alla gestante e la terapia del neonato
hanno notevolmente ridotto l’incidenza e la mortalità delle infezioni invasive da S. agalactiae,
la frequenza della colonizzazione in gravidanza induce un notevole sforzo di screening e
profilassi nelle portatrici e la possibilità di selezionare ceppi antibiotico resistenti.
Gli autori hanno saggiato l’attività antimicrobica di L.reuteri, ricavato da sospensioni di
REUFLOR®, nei confronti di un ceppo standard di St. agalactiae ed verso 20 ceppi di St.
agalactiae di primo isolamento da campioni clinici (selvaggi). E’ stata notata una notevole
attività inibitrice da parte del L. reuteri nei confronti di tutti i ceppi saggiati, sia mediante spot
test su agar che in prove di inibizione in terreno liquido. Tale attività, comparabile a quella su
E. coli, si è rivelata essere esercitata dal metabolita reuterina, aldeide prodotta dal L. reuteri in
condizioni di anaerobiosi. Questi risultati ottenuti in vitro suggeriscono una possibile utilità
del L.reuteri anche nelle infezioni vaginali da St. agalactiae, poiché dati di letteratura
indicano che l’ingestione di lattobacilli può condurre, oltrechè alla colonizzazione intestinale,
anche alla rimodulazione della flora batterica vaginale.
Sotto questo profilo L. reuteri potrebbe essere un valido ausilio alla prevenzione delle
infezioni vaginali da St. agalactiae .
* Con la collaborazione del Dr. Dario Padovan.
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Comunicazioni Orali
STRATEGIE TERAPEUTICHE INNOVATIVE BASATE SULLA
DUPLICE ATTIVITÀ, ANTIBATTERICA E PROBIOTICA, DEL
PREDATORE BATTERICO BDELLOVIBRIO BACTERIOVORUS
Iebba V.1, Totino V. 1, Ciotoli L.1,Santangelo F. 1, Ambrosi C.1, Pompili M.1, Passariello C.1,
Cellini A.1, Pantanella F. 1, Selan L.1, Artini M.1, Trancassini M.1, Nicoletti M.1, Quattrucci S.2,
Nencioni L.1, Schippa S.1
1 Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive. Università degli Studi di Roma "La
Sapienza”, 2 Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria infantile del Policlinico
“Umberto I”, Università degli Studi di Roma "La Sapienza
Introduzione: Bdellovibrio bacteriovorus preda batteri Gram-negativi ed è ubiquitario in vari
ambienti, dove svolge un ruolo di equilibratore delle specie batteriche presenti. Molte sono le
infezioni causate da biofilm microbici misti, di solito resistenti alle cure antibiotiche: ne è un
esempio la Fibrosi Cistica (FC). Il primo obiettivo del presente studio è stato valutare
l’attività antibatterica di B. bacteriovorus verso specie batteriche isolate da pazienti FC. Il
secondo obiettivo è stato valutare l’utilizzo di B. bacteriovorus come probiotico, valutandone
la presenza nell’ecosistema polimicrobico intestinale umano, in soggetti sani e affetti da
Celiachia, Morbo di Crohn, Colite Ulcerosa, e FC.
Metodi: L’attività contro biofilm preformati di Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus
aureus è stata misurata sia in sistemi statici (piastre) che dinamici (bioflux). Con lo
zymogramma è stata inoltre valutata l’attività litica contro tali ceppi. Al fine di valutare la
presenza del B. bacteriovorus nell’ecosistema intestinale umano, il DNA totale di campioni
fecali e bioptici collezionati da pazienti sani e malati è stato utilizzato per effettuare Real-time
PCR con primers B. bacteriovorus-specifici. Risultati: I risultati ottenuti indicano una
predazione di B. bacteriovorus non solo nei confronti del Gram-negativo P. aeruginosa, ma
anche, e per la prima volta osservata, del Gram-positivo S. aureus. Le prove in statico hanno
evidenziato una significativa diminuzione del 70% del biofilm dopo 24 ore di incubazione,
mentre le prove in dinamico una diminuzione del 35% dopo 15 ore di incubazione. Inoltre,
per la prima volta, abbiamo dimostrato la presenza di B. bacteriovorus a livello della mucosa
intestinale e la sua significativa diminuzione nei soggetti malati, rispetto ai controlli.
Conclusioni: I risultati ottenuti incoraggiano una più approfondita ricerca sul Bdellovibrio,
per un suo eventuale utilizzo in strategie terapeutiche innovative volte sia a combattere
infezioni sostenute da biofilm batterici (antibatterico), che al ripristino di ecosistemi microbici
come quello intestinale (probiotico).
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Comunicazioni Orali
ANTIBIOFILM ACTIVITY OF THE ANTARCTIC
PSEUDOALTEROMONAS HALOPLANKTIS
Rosanna Papa1, Ermenegilda Parrilli2, Marco Tilotta1, Filomena Sannino2, Sara Carillo2,
Michela Corsaro2, Carlo Genovese3, Edmondo Lissandrello3, Maria Luisa Tutino2,
Laura Selan1, Marco Artini1
1
Department of Public Health and Infectious Disease, Sapienza University, Rome
2
Department of Chemistry, Federico II University, Naples
3
Department of Biomedical Sciences, University of Catania, Catania
Staphylococci are recognized as the most frequent causes of biofilm-associated infections.
Considering the increasing impact of bacterial biofilms on human health, industrial and foodprocessing activities, the interest in the development of new approaches for the prevention
and treatment of adhesion and biofilm formation capabilities has increased. A viable approach
should target adhesive properties without affecting bacterial vitality in order to avoid the rapid
appearance of escape mutants. Molecules implicated in active biofilm dispersal include
glycosidases, deoxyribonucleases and proteases.
It is known that marine bacteria belonging to the genus Pseudoalteromonas produce
compounds of biotechnological interest, including antibiofilm molecules.
P. haloplanktis TAC125 is the first Antarctic Gram-negative strain whose genome was
sequenced. Genomic and metabolic features of this strain were discovered by combining
genome sequencing and further in silico and in vivo analyses. The host versatility was recently
widened by the development of an efficient genetic scheme for the construction of genome
targeted insertion/deletion mutants, allowing a deeper understanding of P. haloplanktis
TAC125 physiology.
In this work we examined the anti-biofilm activity of P. haloplanktis supernatant on different
bacteria, including staphylococci and P. aeruginosa.
P. haloplanktis was grown in both planktonic and sessile forms at 4°C, then the corresponding
micro-filtered supernatants were used for following experiments. Preliminary experiments
were carried out to assess the effect of supernatants on the vitality of previously described
bacteria. Our results demonstrated that culture supernatants of P. haloplanktis cells grown in
both conditions are devoid of any bactericidal activity. Subsequently the same supernatants
were used to condition the biofilm formation of staphylococci and P. aeruginosa. Results
obtained demonstrated that only supernatants of P. haloplanktis grown in sessile condition
strongly inhibits bacterial adhesion. In particular, S. epidermidis showed the highest
susceptibility to the treatment. This strong inhibitory effect was also observed on the mature
biofilm of S. epidermidis.
Questo studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca PON01_1802 dal titolo
“Sviluppo di molecole capaci di modulare vie metaboliche intracellulari redox-sensibili per la
prevenzione e la cura di patologie infettive, tumorali, neurodegenerative e loro delivery
mediante piattaforme nano tecnologiche”.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
BIOFILM AS A SOURCE OF NEW ANTI-BIOFILM COMPOUNDS
Marco Tilotta1, Rosanna Papa1, Andrea Cellini1, Gianluca Vrenna1, Carlo Genovese2,
Edmondo Lissandrello2, Laura Selan1, Marco Artini1
1
Department of Public Health and Infectious Disease, Sapienza University, Rome
2
Department of Biomedical Sciences, University of Catania, Catania
The ability of staphylococci to adhere on both eukaryotic cells and abiotic surfaces via cell
wall proteins and to form biofilm are important virulence factors in chronic infections
associated with implanted biomaterials, which are particularly difficult to eradicate.
Hence, not surprisingly, the interest in the development of alternative anti-infective
approaches for the prevention and treatment of staphylococcal infections has increased in
recent years.
The interest in the development of new approaches to prevent and treat of bacterial adhesion
and biofilm formation has increased. Our rationale is to look for new antimicrobials inhibiting
virulence rather than bacterial growth since inhibition of virulence exerts a weaker selective
pressure for the development of drug resistance. Biofilm environment might be considered as
an untapped source of natural bioactive molecules interfering with bacterial adhesion or
biofilm formation.
Staphylococcus aureus and Staphylococcus epidermidis are prevalent species of their genus
on skin and mucosae of animals and humans. They are also a major cause of implanted
medical devices infections. The virulence of staphylococci is due to the combined effect of
extracellular factors, toxins (only S. aureus), biofilm formation and resistance to
phagocytosis.
In this work we examined the anti-biofilm activity of cell-free supernatants deriving from
mature biofilms formed by S. aureus and S. epidermidis. Their effect on staphylococcal
biofilm formation was evaluated both in static and dynamic condition. The dynamic condition
was assessed in BioFlux System. This technology is based on a microfluidics device that
precisely controls the flow of growth medium between two interconnected wells of a
microtiter plate, in order to acquire sequential bright-field images of any growing biofilm.
Results revealed the presence of anti-biofilm compounds in both supernatant tested and each
supernatant was active in both staphylococcal species.
Questo studio è stato condotto nell’ambito del progetto di ricerca PON01_1802 dal titolo
“Sviluppo di molecole capaci di modulare vie metaboliche intracellulari redox-sensibili per la
prevenzione e la cura di patologie infettive, tumorali, neurodegenerative e loro delivery
mediante piattaforme nano tecnologiche”.
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Comunicazioni Orali
EPIDEMIOLOGIA DI CANDIDA IN UNITA’ DI TERAPIA INTENSIVA
(UTI): RISULTATI PRELIMINARI DI UNO STUDIO
MULTICENTRICO NELLA REGIONE SICILIA
1,3
Trovato L., 2,3Stimoli F., 3,5Imbriani A., 4,5Castiglione G., 6,8Privitera A., 7,8Borraccino A.,
9,11
Ghiraldi E., 10,11Marotta A., 12,14 Baldi M.T., 13,14Romeo A., 1,3Oliveri S.
1
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche – Università di Catania, 2U.O. Terapia Intensiva 3
A.O.U. “Policlinico-Vittorio Emanuele” Catania, P.O. “G.Rodolico”, 3Patologia Clinica Laboratorio Analisi, 4Anestesia e Rianimazione 5A.O.U. “Policlinico-Vittorio Emanuele”
Catania, P.O. “Vittorio Emanuele”, 6Patologia clinica, 7U.O. Anestesia e Rianimazione,
8
ARNAS Garibaldi di Catania, , 9U.O.C. Patologia Clinica, 10 U.O.C. Anestesia e
Rianimazione,11ASP 1 Agrigento P.O. S.Giovanni di Dio, 12U.O.C. Microbiologia e Virologia,
13
U.O.C. Rianimazione I, 14Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello
Obiettivo: Valutare l’epidemiologia delle candidemie e delle colonizzazioni da Candida in
pazienti (pz) critici ricoverati in diverse UTI della Regione Sicilia.
Materiali e Metodi: Nello studio sono stati inseriti pz ammessi presso 5 diverse UTI della
Sicilia (3 Catania, 1 Palermo e 1 Agrigento) a partire da gennaio 2012. Per ciascun centro
sono stati eleborati i dati relativi all’emocoltura e alle colture di sorveglianza (broncoaspirato,
tampone rettale e urine).
Risultati: In un periodo variante tra 12 e 16 mesi tra i diversi centri, sono stati ammessi 1117
pz, 658 maschi e 459 femmine. Sono stati evidenziati 116 (10.4%) episodi di candidemia con
una frequenza sui pz del 6.1% (68/1117). La specie più frequentemente isolata dal sangue è
stata C. albicans con il 44.9% seguita da C. parapsilosis (28.4%), C. glabrata (13.8%),
Candida sp. (7.7%), C. tropicalis (4.3%) e C. krusei (0.9%). Il 37.9% (424/1117) dei pz è
risultato colonizzato da Candida. La più alta percentuale di positività (75.2%) è stata
evidenziata al broncoaspirato, seguita dal tampone rettale (66.5%) e dalle urine (38.2%). Sul
broncoaspirato la specie più frequentemente isolata è stata C. albicans con il 59.6%, seguita
da C. glabrata (11%), C.tropicalis (5%), C.krusei (5%) ed altre Candida sp. (19.4%). Sul
tampone rettale l’ isolamento di C. albicans è stato pari al 44.9%, seguito da C. glabrata
(21%), C. parapsilosis (9.9%), C. krusei (5.3%) ed altre Candida sp. (18.9%). Infine anche
sulle urine C. albicans (58.8%) e C. glabrata (11.2%) sono state le specie più frequentemente
isolate seguite da C.parapsilosis (9%), C. tropicalis (3.9%) e altre Candida sp. (17.1%).
Conclusioni: L’analisi complessiva dei risultati rispecchia il dato della letteratura anche se
l’epidemiologia locale evidenzia modeste variazioni nella distribuzione delle diverse specie di
Candida isolate.
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Comunicazioni Orali
UN NUOVO MODELLO MURINO PER MONITORARE IN
REAL-TIME LA CANDIDOSI OROFARINGEA
E. Gabrielli1, P. Mosci2, S. Perito1, S. Kenno1, E. Luciano1, E. Pericolini1 and A. Vecchiarelli1
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia, 2Dipartimento di
Patologia, Sezione Medicina Interna, Clinica Diagnostica e Veterinaria, Università degli
Studi di Perugia, Perugia, Italia
La candidosi orofaringea è un' infezione che colpisce gli ospiti immunocompromessi e in
particolare i pazienti con deficits dell’immunità cellulo-mediata. Sono stati sviluppati molti
modelli animali nei quali sono stati testati vari sistemi di immunosoppressione per studiare
l’evoluzione di tale malattia. In questo studio noi abbiamo descritto un nuovo modello murino
utilizzabile per monitorare il corso della candidosi orofaringea mediante un ceppo di C.
albicans ingegnerizzato bioluminescente, che costitutivamente esprime il gene della
luciferasi, e un sistema di “non-invasive real time in vivo imaging”.
A questo scopo i topi sono stati immunodepressi tramite il trattamento con il cortisone-acetato
ed infettati ponendo sotto la lingua un tampone saturato con una sospensione di C. albicans
bioluminescente. Questo nuovo modello permette di evidenziare: 1) la reale progressione
dell’infezione nello spazio e nel tempo; 2) gli organi target dell’infezione; 3) le capacità
terapeutiche di composti antifungini, 4) la progressione dell’infezione dal compartimento
locale a quello disseminato e 5) permette il sacrificio di un numero inferiore di topi rispetto
alla tradizionale tecnica basata sulla conta delle unità formanti colonia.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Comunicazioni Orali
STUDIO PRELIMINARE SULL’ATTIVITÀ DELLA MIRIOCINA,
INIBITORE DEL METABOLISMO SFINGOLIPIDICO,
SU BIOFILM FUNGINI
Federica Perdoni1, Valentina Galimberti2, Marco Biggiogera2, Daniela Cirasola1, Alessandra Riva1,
Paola Signorelli3, Giulia Morace1, Elisa Borghi1
1
Laboratorio di Microbiologia, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di
Milano, Milano,2Dipartimento di Biologia e Biotecnologia, Università degli Studi di Pavia,
Pavia, 3Laboratorio di Biochimica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli
Studi di Milano,
Pazienti con pneumopatie croniche, diabete, cancro o immunodeficienze sono a rischio per lo
sviluppo di infezioni fungine. La maggior parte di queste infezioni sono biofilm-correlate,
promuovendo così la persistenza del patogeno e alimentando il processo infiammatorio già in
corso. Un farmaco in grado di agire simultaneamente su infezione e infiammazione
rappresenterebbe un notevole vantaggio terapeutico.
Gli sfingolipidi sono una classe di molecole strutturali con attività di segnale. Molti studi
hanno dimostrato un loro ruolo quali mediatori o modulatori in grado di avviare e/o sostenere
il processo infiammatorio.
Considerata la comune natura eucariotica delle cellule fungine, abbiamo deciso di indagare se
la modulazione del metabolismo sfingolipidico potesse superare l’intrinseca farmacoresistenza dei biofilm fungini. Allo scopo abbiamo utilizzato la Miriocina, un prodotto
naturale commerciale, di cui è nota l’attività inibente il metabolismo degli sfingolipidi.
L’attività in vitro della Miriocina (0.25 to 64 μg/ml) è stata studiata su 40 ceppi (20
Aspergillus fumigatus e 20 Candida albicans). Per le cellule planctoniche sono stati utilizzati
i protocolli EUCAST (rispettivamente E-DEF 9.1 e E-DEF 7.2), valutandone i risultati come
concentrazione minima efficace (MEC) per A. fumigatus e minima inibente (MIC) per C.
albicans. L’attività sulle cellule sessili è stata determinata su biofilm preformati di 24 ore,
trattati con Miriocina per ulteriori 24 ore, mediante il saggio XTT di riduzione dell’attività
metabolica (sMIC). I cambiamenti morfologici indotti dal farmaco sono stati studiati al
microscopio confocale (CLSM) ed elettronico a trasmissione (TEM).
La miriocina è risultata attiva sia su cellule planctoniche, con una MEC50 di 8 μg/ml (range
4-16) e una MIC50 di 0,5 (range 0,5-2), sia su biofilm preformato, con sMIC50 di 8 (range 416) per A. fumigatus e di 4 (range 0,5-16) per C. albicans. La visualizzazione al CLSM dei
biofilm trattati con la miriocina ha mostrato una riduzione significativa della matrice (>40%).
Lo studio al TEM, eseguito su biofilm di A. fumigatus trattato, ha evidenziato un danno ifale
con importanti alterazioni morfologiche quali invaginazioni della membrana cellulare e
modificazioni del sistema vacuolare.
I risultati suggeriscono un’attività antifungina diretta della miriocina sia su cellule
planctoniche sia organizzate in biofilm. Se questi dati venissero confermati in vivo in
infezioni sperimentali, la miriocina potrebbe rappresentare una nuova valida strategia per
combattere le infezioni fungine. Tali studi sono attualmente in corso insieme ad ulteriori
approfondimenti, morfologici e strutturali, volti a comprendere l’esatto meccanismo di
azione.
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Comunicazioni Orali
EFFICACIA DI GEMIFLOXACINA IN UN NUOVO MODELLO
SPERIMENTALE IN EX VIVO DI CHERATITE BATTERICA
A. Marino1, F. Spataro1, A. Blanco2, A. Sudano Roccaro2, A. Nostro1, G. Bisignano1
1
Dipartimento di Scienze del Farmaco e dei Prodotti per la Salute, Università di Messina.
2
S.I.F.I. S.p.A, Catania.
Obiettivo del presente lavoro è stato quello di saggiare l’efficacia della gemifloxacina con un
nuovo modello sperimentale in ex vivo di cheratite batterica.
Metodi. Infezione in vivo. Conigli albini sono stati anestetizzati ed infettati con un’iniezione
intrastromale di una sospensione batterica di Staphylococcus aureus 7786 isolato clinico.
Infezione in ex vivo. Cornee espiantate da conigli albini per uso alimentare sono state poste in
coltura e infettate con la stessa procedura.
Dopo 20 ore dall’inoculo le cornee in vivo e in ex vivo sono state trattate ogni 30’ per 8 h con
una soluzione oftalmica di gemifloxacina 0,3 %. Un’ora dopo l’ultimo trattamento gli animali
sono stati sacrificati e le cornee espiantate sono state omogenate per la determinazione della
carica batterica. Allo stesso modo sono state processate le cornee in ex vivo. Un’analisi
spettrofluorimetrica è stata eseguita per quantificare la gemifloxacina nelle cornee. Curva
dose-risposta in ex vivo. Le cornee in ex vivo, infettate come descritto, sono state trattate con
un range di concentrazione di gemifloxacina compreso tra 3µg/ml e 3000 µg/ml.
Risultati. I dati ottenuti con entrambi i modelli sperimentali mostrano come il trattamento con
gemifloxacina 0,3 % sia in grado di determinare, nell’arco delle 8 ore, una riduzione della
carica batterica di 2 log10 rispetto al controllo. I risultati della curva dose risposta confermano
inoltre che il modello in ex vivo, oltre a determinare l’efficacia di un antibiotico, è in grado di
discriminare l’effetto dose-risposta. La concentrazione più bassa saggiata determina infatti,
nell’arco delle 8 h di trattamento, una riduzione di carica batterica di 1 log10 rispetto al
controllo, mentre una concentrazione di antibiotico 10 volte maggiore è necessaria per
l’abbattimento di 2 log10. L’effetto raggiunto con quest’ultima concentrazione è comunque il
massimo ottenibile dal momento che anche una dose 1000 volte più concentrata determina
comunque un abbattimento di 2 log10. I risultati sono stati confermati dai dati di accumulo
dell’antibiotico nel tessuto corneale
Conclusioni. Questo modello sperimentale di infezione corneale in ex vivo risponde al
trattamento antibiotico in modo sovrapponibile al modello in vivo e consente di evidenziare
anche l’effetto dose-risposta. Il modello, etico ed economico, è proponibile per la valutazione
preliminare di efficacia di agenti antimicrobici.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Comunicazioni Orali
CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI CLINICI DI STREPTOCOCCUS
PYOGENES NON-SENSIBILI ALLA LEVOFLOXCINA PROVENIENTI
DALL’ITALIA CENTRALE
Petrelli Dezemona1, Di Luca Maria Chiara1 , Prenna Manuela1, Bernaschi Paola3,
Repetto Antonella4, Ripa Sandro1, Vitali Luca Agostino2
1
Scuola di Bioscienze e Biotecnologie e 2Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della
Salute, Università di Camerino, Camerino (MC); 3Laboratorio di Microbiologia, Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 4Ospedale Santa Maria della Misericordia, A.O. di
Perugia, Struttura Complessa di Microbiologia, Perugia.
Obbiettivo. Studiare la prevelenza, alcuni tratti genotipici e fenotipici e la clonalità di isolati
clinici di Streptococcus pyogenes non sensibili ai fluorochinoloni provenienti dall’ Italia
centrale.
Metodi. I ceppi di S. pyogenes (n=197) sono stati isolati nel corso del 2012 da pazienti con
infezioni delle alte vie respiratorie, della cute, di ferite o invasive e saggiati per la sensibilità
ai fluorochinoloni (resistenza alla norfloxacina e MIC della levofloxacina pari a 2 mg/L),
seguendo le linee guida dell’EUCAST. Mutazioni “first-step” nei geni delle subunità della
topoisomerasi parC e gyrA sono state risolte mediante sequenziamento. La clonalità dei ceppi
è stata determinate madiante PFGE (restrizione con SmaI) e “emm-typing”.
Risultati. Il fenotipo di non-sensibilità nei confronti dei fluorochinoloni è stato trovato in 18
isolati (9.1% del totale degli isolati) e in parte correlato con il consumo di fluorochinoloni
nelle regioni d’interesse. La non sensibilità è associata a mutazioni nel gene parC, mentre la
sequenza del gene gyrA è invariante. La sostituzione più frequentemente rilevata in parC è
stata quella a carico della serina in posizione 79, mutata in alanina. La maggior parte degli
isolati non sensibili ai fluorochinoloni apparteneva all’emm-tipo 6, anche se altri emm-tipi
erano presenti (emm75, emm89 ed emm2). E’ stato osservato un livello elevato di associazione
tra i profili di PFGE, l’emm-tipo e i pattern polimorfici in parC. L’analisi mediante PFGE ha
rilevato inoltre una sostanziale eterogenità nel cluster principale all’interno del quale cadono
gli isolati emm6, indice di una origine non clonale.
Conclusioni. La prevalenza di isolati di Streptococcus pyogenes non-sensibili ai
fluorochinoloni nel centro Italia durante il 2012 si è mostrato relativamente elevato e sebbene
il ben noto emm-tipo 6 domini, altri tipi stanno diffondendosi.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
CORRELAZIONE TRA RESISTENZA A CLARITROMICINA E
GENOTIPI IN STIPITI DI HELICOBACTER PYLORI
ISOLATI IN SICILIA
Teresa Fasciana 1, Cinzia Calà 1, Celestino Bonura 1, Giuseppe Scarpulla 2,
Michele Manganaro 2, Salvatore Camilleri 2, Anna Giammanco 1.
1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro”, Sezione di
Microbiologia “Alfredo Chiarini” Università degli Studi di Palermo.
2
Presidio Ospedaliero “M. Raimondi” U.O.C. di Gastroenterologia ed Endoscopia
Interventistica. San Cataldo, ASL 2 Caltanissetta
Helicobacter pylori, bacillo Gram negativo è responsabile dell’induzione di un processo
infiammatorio a livello della mucosa gastrica che può evolvere verso l’ulcera peptica,
l’adenocarcinoma ed il MALT-Linfoma.
Sulla base di tali considerazioni le linee guida consigliano, nei soggetti che mostrano sintomi
o quadri gastrici gravi, l’ eradicazione tramite somministrazione terapeutica che può andare
incontro ad insuccesso per la crescente acquisizione di resistenze da parte dal batterio,
soprattutto alla claritromicina, considerato farmaco di elezione.
Al fine di ridurre le percentuali d’insuccesso le ultime linee guida suggeriscono infatti, di non
usare il farmaco quando il tasso di resistenza in una data area geografica supera il 15-20%.
In H. pylori la resistenza al farmaco, correlata a mutazione puntiformi in posizione A2143G e
A2142G della regione peptidiltrasferasica del dominio V dell’ rRNA 23S ed associata a
differenti valori di Concentrazioni Minime Inibenti (CMI), è responsabile della persistenza
del microrganismo.
La presenza continua del microrganismo e successivamente alcuni peculiari genotipi di
virulenza sono stati considerati causa dell’evoluzione verso patologie gastriche gravi. Tra i
fattori di virulenza sono stati coinvolti il gene cagA che codifica per l’ oncoproteina CagA, il
gene vacA che codifica per la proteina VacA, coinvolta nella formazione di vacuoli
intracitoplamatici.
Dal 2003 anche nella nostra area geografica sono condotte indagini con lo scopo di valutare la
percentuale di circolazione del microrganismo in pazienti affetti da patologie gastriche, che si
sottoponevano per la prima volta ad indagine endoscopica. Tali indagini hanno permesso di
isolare 100 stipiti di H. pylori su cui è stato possibile valutare le percentuali di resistenza, le
principali mutazioni puntiformi, le correlazioni tra resistenza al farmaco e fattori genetici
microbici associati alla virulenza.
I risultati da noi ottenuti mostrano una percentuale di resistenza alla claritromicina pari al
25% associata nell’80% dei casi alla mutazione puntiforme in posizione A2143G, inoltre è
stato osservato che gli isolati resistenti erano frequentemente associati al genotipo cagA
negativo.
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Comunicazioni Orali
ATTIVITA’ ANTI-HELICOBACTER PYLORI DI ESTRATTI RICCHI
IN POLIFENOLI DI MANDORLE E PISTACCHI
Filocamo A.1, Mandalari G.1, Navarra M.1, Bisignano C.2
1
Dipartimento di Scienze del Farmaco e Prodotti per la Salute, Università di Messina
2
Dipartimento di Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali Università di Messina
Helicobacter pylori è tra i patogeni umani la specie batterica più rappresentativa. Secondo
alcune stime, il 50% della popolazione globale sarebbe colpita da questo microrganismo, che
gioca un ruolo chiave nella patogenesi della malattia da ulcera peptica, gastrite cronica,
linfoma del tessuto linfoide associato a mucosa gastrica e adenocarcinoma gastrico.
L’attuale terapia di elezione consiste in un trattamento combinato a base di inibitori della
pompa protonica ed antibiotici quali claritromicina e amoxicillina o metronidazolo. Negli
ultimi anni, tuttavia, l’efficacia di questi regimi terapeutici sembra essere sempre più
compromessa dall’instaurarsi della farmaco-resistenza, con tassi di eradicazione di H. pylori
che sono stati stimati essere inferiori all’80%. Nasce dunque la necessità di terapie alternative
per infezioni da H. pylori.
Abbiamo precedentemente dimostrato che i polifenoli estratti da pistacchi [1] e dai tegumenti
di mandorle [2] sono attivi contro una vasta gamma di agenti patogeni di origine alimentare.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare gli effetti della frazione di polifenoli
estratta da pistacchi naturali (NP) o precedentemente tostati (RP) e da tegumenti di mandorle
naturali (NA) contro H. pylori.
I ceppi di H. pylori impiegati comprendevano due ceppi di riferimento (ATCC 43504 e
49503) e 34 ceppi clinici isolati da campioni di biopsia gastrica. I geni CagA e VacA sono
stati identificati mediante PCR. Gli studi di sensibilità su ceppi di H. pylori sono stati eseguiti
con il metodo della diluizione agar secondo le linee guida del CLSI [3].
Le frazioni identificate ricche in polifenoli estratte da NP, RP e NA si sono dimostrate efficaci
in vitro contro H. Pylori, con valori di MIC compresi tra 62.5 e 250 µg/mL
indipendentemente dallo stato del genotipo.
Tali estratti naturali potrebbero di conseguenza essere valutati per l’uso come supporto alla
convenzionale terapia antibiotica e quale possibile nuova strategia per terapia da H. pylori.
La ricerca e’ stata finanziata dall’Universita’ di Messina, dall’Almond Board California e
dalla American Pistachio Growers.
[1] Bisignano et al. 2013 – FEMS vol 341 pp 62–67
[2] Mandalari et al 2010 - Lett Appl Microbiol vol 51(1) pp 83-89
[3] Clinical and Laboratory Standards Institute: Performance standards for antimicrobial
susceptibility testing; twentieth informational supplement. M100-S22. Wayne: PA: CLSI;
2012
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Comunicazioni Orali
PREPARAZIONE E VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA DI COPPIE
IONICHE ANFIFILICHE KANAMICINA – LIPO AMINOACIDO
Rosario Pignatello1, Antonio Leonardi1, Giulio Petronio Petronio2,3, Barbara Ruozi4, Giovanni
Puglisi1, Pio M. Furneri2,
1
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Catania, Città Universitaria,
viale A. Doria, 6, 95125 Catania, Italia
2
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, via Androne, 83,
95124 Catania, Italia
3
IRCCS San Raffaele Pisana, 00163 Roma, Italia
4
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia,
via Campi 183, 41100, Modena, Italia
Coppie ioniche anfifiliche di kanamicina (KAN) con un lipoammino acido a catena laterale
alchilica da 12 atomi di carbonio (LAA12) sono state preparate a diversi rapporti molari (1:1,
1:2 e 1:4) mediante co-evaporazione di una soluzione idroalcolica di KAN (base libera) e
LAA12.
Come confronto, sono state realizzate miscele fisiche triturando KAN e LAA12 alle stesse
frazioni molari in assenza di solvente. La struttura chimica delle coppie ioniche è stata
confermata mediante spettroscopia FT-IR, mentre la Calorimetria a Scansione Differenziale e
la diffrattometria a raggi X hanno confermato la formazione di nuove specie saline con una
struttura cristallina differente rispetto ai composti di partenza.
L'attività antimicrobica delle coppie ioniche KAN-LAA è stata studiata confrontando i valori
di MIC ottenuti sia con quelli delle corrispondenti miscele fisiche sia con il farmaco libero,
mediante il metodo della microdiluizione in brodo. Sono stati saggiati i seguenti ceppi
batterici: E. coli ATCC 25922, E. faecalis ATCC 29212, 5 ceppi di S.pneumoniae, e 2 ceppi
di L. fermentum.
Il valore di MIC di E. coli ottenuto per la KAN (base libera) è stato quello previsto dal CLSI
(4 µg/ml), mentre la stessa non ha mostrato alcuna attività verso S. pneumoniae e
Lactobacillus spp. Il lipoammino acido puro è risultato essere privo di attività antibatterica
contro tutti i ceppi saggiati, mentre le coppie ioniche hanno dato valori di MIC identiche a
quelle del farmaco libero.
L’uso di LAA12 come controione non migliora dunque l'attività antibatterica di KAN,
suggerendo che, a differenza di quanto osservato con altri antibiotici, tale strategia chimica
non è in grado di favorire la penetrazione del farmaco all'interno delle cellule batteriche.
Tuttavia, un lieve miglioramento (decremento di una diluizione nei valori di MIC) è stato
osservato in E. coli.
Il presente studio può anche servire come base per l’ulteriore valutazione dell’uso dei LAA
come efficace strategia di hydrophobic ion pairing per ottimizzare l’inclusione di KAN e, in
generale, di antibiotici in nanocarriers a base lipidica.
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Comunicazioni Orali
NUOVI TRATTI DI MUTAZIONI DI RESISTENZA AL LINEZOLID IN
STAFILOCOCCHI COAGULASI-NEGATIVI (CoNS) IN NORD ITALIA:
VALUTAZIONE PRELIMINARE DELL’ATTIVITÀ ANTIBATTERICA
DI DERIVATI 1,2,4-OSSADIAZOLO LINEZOLID-SIMILI
Rosario Musumeci, Clementina Elvezia Cocuzza
Laboratorio di Microbiologia e Virologia clinica, Dipartimento di Chirurgia e Medicina
Interdisciplinare – Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza (MB) - Italia
Obiettivi: Questo studio riporta i meccanismi di resistenza al linezolid riscontrati in 10 ceppi
di CoNS linezolid-resistenti isolati durante terapia con il composto ossazolidinonico. Inoltre,
l'attività antibatterica di una nuova serie di derivati 1,2,4-ossadiazolo linezolid-simili è stata
valutata nei confronti di questi isolati.
Metodi: Sono stati analizzati geni del dominio V dell’rRNA 23S e rplC, rplD e rplV,
codificanti, rispettivamente, per le proteine ribosomiali L3, L4 ed L22. Inoltre, l’eventuale
presenza dei geni cfr (metilasi) e lmrS (pompa di efflusso) è stata determinata mediante
analisi PCR.
L’attività dei nuovi composti linezolid-simili, mediante la determinazione delle MIC, è stata
valutata secondo quanto definito dalle linee guida CLSI.
Risultati: Sono stati studiati 10 CoNS linezolid-resistenti, comprendenti 9 S. epidermidis ed
uno S. hominis. Tra gli S. epidermidis, uno possedeva una mutazione nel dominio V
(G2473T). Un isolato (MIC linezolid = 32 mg/L) ha mostrato una nuova mutazione (G2582A)
nel dominio V e mutazioni in L3 (H146Q, V154L, A157R) e L4 (71GGR72, N158S). Due
isolati hanno mostrato mutazioni solo in L3 (H146Q, V154L, A157R) e L4 (71GGR72,
N158S). I restanti 5 isolati (MIC linezolid = 32 mg/L) mostravano tutti la mutazione C2602A
nel dominio V, e di questi un isolato di S. epidermidis mostrava, oltre la mutazione C2602A,
una nuova mutazione (G2541A). Tutti i ceppi di S. epidermidis portavano la mutazione
L101V in L3, non correlata alla resistenza al linezolid. Per quanto concerne S. hominis, questo
presentava la mutazione C2602A nella regione del dominio V. In nessuno dei ceppi CoNS è
stata dimostrata la presenza dei geni cfr o lmrS.
In riferimento all’attività dei nuovi composti linezolid-simili, la sostituzione della morfolina
all’anello C del linezolid con derivati 1,2,4-ossadiazolici ha dimostrato una migliorata attività
rispetto a linezolid nei confronti dei ceppi di CoNS linezolid-resistenti.
Conclusioni: La comparsa della resistenza al linezolid in isolati clinici di stafilococchi
coagulasi-negativi pone sfide importanti relative al trattamento clinico con linezolid. La
conoscenza dei meccanismi di resistenza a livello ribosomiale e lo sviluppo di composti
linezolid-simili potrebbero essere valide alternative al superamento della resistenza al
linezolid.
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Comunicazioni Orali
IL GENOTIPO HWP1 DI CANDIDA ALBICANS INFLUENZA LA
SUSCETTIBILITÀ FUNGINA ALLE CELLULE MICROGLIALI, MA
NON LA PRODUZIONE DI BIOFILM
Carlotta F. Orsi1,2, Elisa Borghi1, Bruna Colombari2, Rachele G. Neglia2, Daniela Quaglino3,
Giulia Morace1 e Elisabetta Blasi2.
1
Dip. Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano; 2 Dip. Medicina Diagnostica,
Clinica e di Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio Emilia;
3
Dip. di Scienze della Vita, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena.
Introduzione. Il gene HWP1 di Candida albicans (Ca) codifica per una proteina della parete
cellulare fungina coinvolta nella crescita ifale e nell’adesione del lievito alle cellule epiteliali;
il ruolo di questa proteina nella patogenesi della candidosi non è ancora completamente
chiarito.
Il presente studio, mediante l’impiego di ceppi d’isolamento clinico di Ca e ceppi di
laboratorio isogenici per HWP1, intende valutare il ruolo del genotipo HWP1 nella
formazione del biofilm e nell’interazione in vitro tra Ca e le cellule microgliali (immunoeffettore cerebrale).
Materiali e metodi. Sei ceppi clinici di Ca (3 eterozigoti e 3 omozigoti per il gene HWP1,
indicati rispettivamente con gli acronimi H/h e H/H) e 2 ceppi di laboratorio (DAY286, wildtype per HWP1, H/H-wt, e FJS24, suo mutante isogenico HWP1-deleto, H/H-KO), sono stati
studiati in vitro per valutare: a) la capacità di formare biofilm, b) i livelli di espressione del
gene HWP1, c) l’ultrastruttura e d) la suscettibilità alle cellule microgliali, sia in termini di
inibizione della formazione del biofilm che di induzione di una risposta secretoria.
Risultati. Confrontando tra loro i ceppi clinici, i genotipi H/h hanno dimostrato una ridotta
capacità di formare biofilm e una maggiore suscettibilità al danno mediato dalla cellula
microgliale; a differenza della controparte H/H, i genotipi H/h hanno anche esibito una ridotta
capacità a stimolare la produzione di ossido nitrico e di TNFα da parte delle cellule
microgliali. A seguito dell’esposizione alle cellule microgliali, i ceppi H/H, ma non quelli
H/h, hanno mostrato aumentati livelli di mRNA HWP1 specifico.
Confrontando i 2 ceppi isogenici per HWP1, il genotipo H/H-KO ha mostrato una aumentata
suscettibilità al danno mediato dalla microglia rispetto al ceppo H/H-wt, mentre il biofilm è
stato prodotto in misura comparabile da parte di entrambi i ceppi. Inoltre, la microscopia
elettronica a trasmissione ha rivelato differenze tra i due ceppi in termini di spessore della
parete fungina, presenza di strutture superficiali adesine-simili e granuli intracitoplasmatici;
tali differenze sono mantenute anche in seguito all'esposizione alle cellule microgliali.
Conclusioni. Questi dati indicano che il genotipo HWP1 di Ca influenza la suscettibilità delle
cellule fungine alla microglia, ma non ha effetto sulla capacità del fungo di formare biofilm.
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Comunicazioni Orali
ANISAKIDAE: I PRIMI DUE RILEVAMENTI A PARMA NEL 2013
Adriana Calderaro, Sabina Rossi, Sara Montecchini, Chiara Gorrini, Giovanna Piccolo, Maria
Loretana Dell'Anna, Mirko Buttrini, Maddalena Piergianni, Flora De Conto, Maria Cristina
Arcangeletti, Carlo Chezzi, Maria Cristina Medici.
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma, viale A. Gramsci, 14 –
43126 Parma.
L'anisakiasi è un'infestazione sostenuta dai nematodi delle specie Anisakis simplex e
Pseudoterranova decipiens; nell’uomo è caratterizzata dalla localizzazione di larve in
stadio avanzato di maturazione nella parete dello stomaco e dell'intestino, oppure nella
cavità addominale o in altri siti extraintestinali. La trasmissione all'uomo è mediata
dall'assunzione di pesci di mare o di cefalopodi crudi o poco cotti contenenti le larve al
terzo stadio (L3) del parassita.
In Italia i casi segnalati sono rari, riguardanti principalmente soggetti immigrati; il ridotto
numero di casi è il risultato di efficaci controlli sanitari nel pesce e dell'ancora limitata
abitudine al consumo di pesce crudo nel nostro paese.
In questo studio sono riportati i primi due casi di ritrovamento di larve di Anisakidi a
Parma a distanza di soli 5 mesi nel corso del 2013.
Nel primo caso, un nematode è stato rinvenuto nelle carni di un pesce sottoposto
dapprima a congelamento e poi a cottura. Nel secondo caso l'elminta vitale è stato
rimosso dal cavo orale del paziente che riportava un pasto recente con pesce crudo.
L'elminta del primo caso si presentava di colore rossastro, di dimensioni pari a 3,5cm x
1,5mm. L'elminta del secondo caso si presentava di colore rosa-biancastro, di dimensioni
pari a circa 1,8cm x 1,5mm. Per entrambi i reperti erano visibili 3 labbra prominenti
all'estremità prossimale e una cuticola esterna dotata di striatura.
Le caratteristiche presentate hanno permesso di identificare il primo nematode come una larva
L3 di
Pseudoterranova decipiens e il secondo come una larva L3 di Anisakis simplex.
I dati riportati si rivelano di particolare importanza in quanto il ritrovamento di larve di
anisakidi nel nostro paese è un fenomeno relativamente recente ed assume una particolare
importanza in considerazione del fatto che l'abitudine al consumo di pesce marino crudo, un
tempo diffusa in altri paesi, si sta sempre più estendendo anche in Italia.
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Comunicazioni Orali
LA LEISHMANIOSI IN EMILIA-ROMAGNA:
LA SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA A PARMA NEL PERIODO
1992-2013
Adriana Calderaro, Sabina Rossi, Sara Montecchini, Chiara Gorrini, Giovanna Piccolo, Maria
Loretana Dell'Anna, Flora De Conto, Maria Cristina Arcangeletti, Carlo Chezzi, Maria
Cristina Medici.
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma, viale A. Gramsci, 14 –
43126 Parma.
La leishmaniosi è una malattia parassitaria causata dai protozoi del genere Leishmania
trasmessi ai mammiferi, uomo compreso, da un artropode vettore e aventi i roditori come
serbatoio e i cani come principale serbatoio domestico. Complessivamente in tutto il mondo
sono ad oggi note almeno 20 specie differenti di Leishmania causa di leshmaniosi cutanea
(LC) e/o viscerale (LV).
L'Italia è paese endemico per LV e per LC del Vecchio Mondo, con distribuzione differente
nelle regioni. In questo studio è stata condotta una valutazione epidemiologica dei casi di
leishmaniosi diagnosticati nel nostro laboratorio in un periodo di 20 anni (1992-2013).
Nel periodo considerato, presso il nostro laboratorio sono stati analizzati 111 campioni
di 97 pazienti con sospetta LV, 43 campioni di 36 pazienti con sospetta LC e 2 campioni
di 1 paziente con sospetta leishmaniosi sia viscerale che cutanea, per un totale di 156
campioni di 134 pazienti. A seconda della natura e della disponibilità del materiale, i
campioni sono stati sottoposti ad esame microscopico diretto previa colorazione con arancio
di acridina e con Giemsa, ad esame colturale, metodo di riferimento per la diagnosi di
leishmaniosi, e ad un saggio real-time PCR per il rilevamento del DNA di Leishmania spp.
In questo studio sono stati complessivamente diagnosticati 8 casi di LV e 7 casi di LC,
con una prevalenza totale dell’11,2%. Dei pazienti con leishmaniosi 6 (3 con LV e 3
con LC) erano immigrati da Paesi in via di sviluppo, mentre tra gli italiani, in 2 casi (1 di LV
e 1 di LC) erano stati riportati viaggi a Creta e in Africa, rispettivamente. Relativamente
ai casi di LV i dati clinici riportati erano iperpiressia, anemia, epatosplenomegalia,
astenia, pancitopenia; 2 pazienti, inoltre, erano portatori di trapianto d’organo.
I dati riportati hanno permesso di determinare il quadro epidemiologico relativo alla
leishmaniosi nell’uomo nell’area di Parma e contribuiscono a definire l’epidemiologia di
questa malattia, oggi considerata malattia emergente, nella regione Emilia-Romagna. Infatti,
mentre nel passato la leishmaniosi autoctona era confinata alle regioni mediterranee
dell’Europa, è ormai chiaro che l’area di endemia si è estesa, comprendendo anche la zona
considerata in questo studio.
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Comunicazioni Orali
IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE E DEI SIEROTIPI DEL GENERE
LEPTOSPIRA MEDIANTE SPETTROMETRIA DI MASSA MALDI-TOF
DOPO IMPLEMENTAZIONE DEL DATABASE
Adriana Calderaro, Giovanna Piccolo, Chiara Gorrini, Sara Montecchini, Mirko Buttrini, Sabina
Rossi, Maddalena Piergianni, Flora De Conto, Maria Cristina Arcangeletti, Carlo Chezzi,
Maria Cristina Medici
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma, viale A. Gramsci, 14 43126 Parma.
La leptospirosi è un'antropozoonosi trasmessa dai roditori endemica in Europa. Il genere
Leptospira comprende circa 230 sierotipi patogeni riuniti in 23 sierogruppi, specie non
patogene e saprofite.
Lo scopo di questo studio è stato l’implementazione del database dello spettrometro di
massa con tecnologia MALDI-TOF in uso nel nostro laboratorio con ceppi di riferimento di
leptospire patogene, a patogenicità intermedia e saprofite al fine di valutarne l’applicazione
per la diagnosi di leptospirosi e per la differenziazione dei sierotipi.
Sono stati inclusi nello studio 20 ceppi di riferimento di Leptospira spp. appartenenti a 6
specie (L. interrogans, L. borgpetersenii, L. noguchii, L. kirschneri, L. fainei, L. biflexa) e 19
sierotipi. L'analisi mediante spettrometria di massa MALDI-TOF ha prodotto per
ciascuno dei ceppi di riferimento analizzati un profilo proteico specie-specifico in quanto
non riconducibile a nessuno dei profili già presenti nel database dello strumento. Gli spettri
ottenuti dai 20 ceppi di riferimento di Leptospira spp. sono risultati essere raggruppabili in
6 classi corrispondenti alle 6 specie analizzate. Tutti i profili ottenuti sono risultati
riproducibili in un secondo esperimento indipendente utilizzando diversi lotti di terreno.
Inoltre, per visualizzare ed identificare i picchi discriminanti tra i diversi sierotipi di L.
interrogans e L. borgpetersenii, gli spettri ottenuti mediante spettrometria di massa
MALDI-TOF sono stati analizzati mediante programma statistico (ClinProTools). L'analisi
statistica ha permesso l'identificazione di una combinazione di picchi in grado di
differenziare i sierotipi analizzati nello studio.
La tecnologia MALDI-TOF MS può essere uno strumento efficace sia per la diagnosi di
leptospirosi sia per la ricerca nel campo di questa malattia, con applicazioni che vanno dal
rilevamento e identificazione di specie patogene a scopo diagnostico alla tipizzazione di
specie patogene e non a scopo epidemiologico; ciò consentirà di arricchire le nostre
conoscenze circa l'epidemiologia di questa infezione in diversi settori come passo verso
l'identificazione di serbatoi di leptospire e la realizzazione di strategie di sorveglianza.
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Comunicazioni Orali
VALUTAZIONE DI DUE SAGGI DI REAL-TIME PCR PER LA
DIAGNOSI DI LABORATORIO DI MALARIA DA PLASMODIUM
OVALE WALLIKERI E PLASMODIUM KNOWLESI
Adriana Calderaro, Giovanna Piccolo, Chiara Gorrini, Sabina Rossi, Sara Montecchini, Maria
Loretana Dell’Anna, Flora De Conto, Maria Cristina Medici, Carlo Chezzi, Maria Cristina
Arcangeletti.
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Unità di Microbiologia e Virologia,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli studi di Parma, Viale Gramsci 14, Parma.
Un'accurata diagnosi di laboratorio di malaria nei Paesi non endemici è di fondamentale
importanza per instaurare una terapia mirata con esito positivo sulla salute del paziente.
La malaria, non più endemica in Italia, è la malattia di importazione a più importante
impatto epidemiologico nel nostro Paese, secondo solo a Francia, Regno Unito e Germania,
con una prevalenza del 23% nel nostro laboratorio. Metodi molecolari basati sul 18S-rDNA
dei plasmodi si sono rivelati altamente sensibili e specifici per la diagnosi di laboratorio di
malaria; di conseguenza l'epidemiologia è cambiata mostrando sia una maggiore prevalenza
delle infezioni causate da specie diverse da P. falciparum (P. ovale, P. vivax e P.
malariae) sia di infezioni miste sottovalutate dall'indagine microscopica, tutt'ora metodo
di riferimento. Inoltre, studi di sequenza hanno evidenziato un polimorfismo genetico nel
18S-rDNA di P. ovale, rilevato successivamente anche in altri geni, che ha portato alla
descrizione di due distinte specie di P. ovale (P. ovale curtisi e P. ovale wallikeri) non
distinguibili mediante esame microscopico. Infine, saggi molecolari recentemente descritti
hanno rivelato anche nell'uomo infezioni da P. knowlesi, agente eziologico di malaria nel
macaco del Sud Est Asiatico e morfologicamente indistinguibile da P. malariae.
In questo studio retrospettivo abbiamo valutato due saggi di Real-Time PCR aventi come
bersaglio il 18S-rDNA per la rivelazione di P. ovale wallikeri (Pow-RtPCR),
distinguendolo da P. ovale curtisi (Poc-RtPCR), e di P. knowlesi (Pk-RtPCR), utilizzando
398 campioni di sangue tra quelli pervenuti presso il nostro laboratorio da pazienti con
sospetta malaria, a confronto con l'esame microscopico.
I due nuovi saggi hanno rivelato un'eccellente sensibilità analitica e nessuna reattività crociata
verso il DNA delle specie P. falciparum, P. vivax e P. malariae e verso quello di altri
protozoi quali Toxoplasma gondii e Leishmania infantum dimostrandosi indispensabili per
un'accurata e completa diagnosi dei casi di malaria d’importazione. Pertanto questi nuovi
saggi sono stati inclusi nel pannello dei saggi molecolari utilizzati nel nostro laboratorio per
la diagnosi di malaria.
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Comunicazioni Orali
ANALISI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA IN
CHERATINOCITI UMANI DOPO INFEZIONE CON
CITOMEGALOVIRUS.
I. Lo Cigno1,2, V. Dell’Oste1, M. De Andrea1,2, F. Gugliesi1, M. Biolatti1, D. Gatti1,
A. Giorgio,1, S. Landolfo1, M. Gariglio2
1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università degli Studi di
Torino, Torino, Italia; 2Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università del Piemonte
Orientale “A. Avogadro”, Novara, Italia
La cute rappresenta un’importante sede di infezione da parte di diversi patogeni, tra i quali gli
Herpesvirus umani. Al fine di valutare se i cheratinociti umani primari spontaneamente
immortalizzati (NIKS) sono permissivi per la replicazione di HCMV, abbiamo usato come
modello sperimentale cheratinociti umani primari e fibroblasti (HFF) come controllo positivo.
Esperimenti di resa virale con isolati clinici epitelio-endotelio tropici di HCMV, quali TR e
VR1814, hanno permesso di dimostrare che i cheratinociti supportano la replicazione di
HCMV, anche se con una cinetica di infezione più lenta rispetto ai fibroblasti. Questo dato è
stato inoltre confermato da analisi in immunofluorescenza con marcatori virali rappresentativi
delle varie fasi del ciclo replicativo di HCMV (IE, E, L). Poiché è stato dimostrato che i
cheratinociti partecipano attivamente alla risposta immunitaria innata della cute, è stata
valutata l’attivazione dell’inflammasoma e la produzione di interferoni. I risultati ottenuti da
analisi molecolari e test funzionali in vitro evidenziano che: i) il precursore della caspasi-1,
componente essenziale dell’inflammosoma, è costitutivamente espresso nelle due linee
cellulari, ma la forma attiva è presente solo nei fibroblasti; ii) i cheratinociti infettati da
HCMV producono una quantità superiore di IFN, in particolare di tipo III (IFNλ) rispetto ai
fibroblasti, dato probabilmente ascrivibile a una più rapida e maggiore resa di infezione nelle
HFF, con conseguente precoce evasione della risposta infiammatoria. Nell’insieme, i risultati
ottenuti dimostrano che la riposta infiammatoria della cellula all’infezione da HCMV è
strettamente cellula-dipendente. Sono attualmente in corso esperimenti finalizzati a chiarire il
ruolo della proteina IFI16, recentemente identificata come fattore di restrizione per HCMV in
cellule endoteliali, nella risposta innata dei cheratinociti.
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Comunicazioni Orali
NUOVO MECCANISMO DI EVASIONE DEL CITOMEGALOVIRUS
UMANO DAL FATTORE DI RESTRIZIONE IFI16.
V. Dell’Oste1, D. Gatti1, F. Gugliesi1, M. De Andrea1,2, I. Lo Cigno1,2, M. Biolatti1,
M. Bawadekar2, M. Vallino3, M. Marschall4, M. Gariglio2, and S. Landolfo1
1
Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università degli Studi di
Torino, Torino, Italia; 2Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università del Piemonte
Orientale “A. Avogadro”, Novara, Italia; 3Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei
Sistemi, Università degli Studi di Torino, Torino, Italia; 4Institute for Clinical and Molecular
Virology, University of Erlangen-Nuremberg, Erlangen, Germany.
Il sistema immunitario dispone di meccanismi di difesa cellulari definiti “intrinseci” che
conferiscono alle cellule la capacità di resistere ai microrganismi patogeni. Componenti
essenziali del SI innato sono i cosiddetti “fattori di restrizione” espressi costitutivamente e
attivi prima che un patogeno penetri all’interno delle cellule. Il Citomegalovirus umano
(HCMV) ha evoluto meccanismi per evadere lo stato antivirale indotto da tali fattori. Tra i
fattori di restrizione intracellulari proteine codificate dalla famiglia di geni Interferoninducibili HIN200 sono in grado di inibire la replicazione degli Herpesvirus. In particolare il
nostro gruppo di ricerca ha recentemente dimostrato che IFI16 agisce come fattore di
restrizione verso HCMV inibendo l’espressione dei geni virali precoci e tardivi (Gariano,
Dell’Oste et al Plos Path 2012). Nel presente lavoro sono stati studiati i meccanismi che
permettono agli Herpesvirus di eludere i sistemi di riconoscimento innato per stabilire
infezioni persistenti, con particolare riferimento al processo di evasione che permette ad
HCMV di interferire con l’attività antivirale di IFI16. Analisi in microscopia confocale hanno
evidenziato in fibroblasti primari (HELF) infettati da HCMV (AD169) la delocalizzazione di
IFI16 dal nucleo a partire da 24 ore post-infezione. Per chiarire i meccanismi molecolari alla
base di questo fenomeno è stata analizzata la chinasi virale pUL97, componente essenziale del
complesso di egressione dal nucleo di HCMV. Abbiamo dimostrato che pUL97 lega e
fosforila IFI16 determinando la sua uscita dal nucleo delle cellule infette. Analisi in
microscopia elettronica hanno inoltre rilevato IFI16 all’interno di virioni maturi, indicando
che per sovvertire l’attività antivirale di IFI16 HCMV delocalizza la proteina e la incorpora
nelle particelle virali mature. Nell’insieme questi risultati evidenziano un nuovo meccanismo
di evasione operato da HCMV nei confronti dell’attività di restrizione dei geni indotti da
Interferon tra i quali la proteina IFI16 svolge un ruolo centrale.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Comunicazioni Orali
INTERFERON LAMBDA 1-3 EXPRESSION IN INFANTS
HOSPITALIZED FOR RSV OR HRV ASSOCIATED BRONCHIOLITIS
Carla Selvaggi1, Alessandra Pierangeli1, Marco Fabiani1, Maria Luisa Buonaugurio1,
Giulia Cacciotti1, Maurizio Fraulo1, Gianluigi Milardi1, Fabio Midulla2, Guido Antonelli1,
Carolina Scagnolari1
1
Department of Experimental Medicine, Virology Section, "Sapienza" University of Rome;
2
Pediatric Department, "Sapienza" University of Rome; Italy
Objectives: The expression of type III interferons (IFNs) was evaluated in infants
hospitalized for respiratory syncytial virus (RSV) or rhinovirus (HRV) bronchiolitis. As an
additional objective we sought to determine whether a different expression of IFN lambda 13 was associated with different harboring viruses, the clinical course of bronchiolitis or with
the levels of mixovirus resistance A (MxA), a well established IFN-induced gene.
Methods: The analysis was undertaken in 118 infants with RSV or HRV bronchiolitis.
Nasopharyngeal washes were collected for virological studies and molecular analysis of type
III IFN responses.
Results: RSV elicited higher levels of IFN lambda subtypes when compared with HRV. A
similar expression of type III IFN was found in RSVA or RSVB infected infants and in those
infected with HRVA or HRVC infections. Results also indicate that IFN lambda 1 and IFN
lambda 2-3 levels were correlated each other and with MxA-mRNA. In addition, a positive
correlation exists between the IFN lambda1 levels and the respiratory rate during RSV
infection.
Conclusions: These findings show that differences in the IFN lambda 1-3 levels in infants
with RSV or HRV infections does exist and that the expression of IFN lambda1 correlates
with the severity of RSV bronchiolitis.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
TYPE III INTERFERON EXPRESSION DIFFER BETWEEN
LOW-RISK AND HIGH-RISK HUMAN PAPILLOMAVIRUS POSITIVE
PATIENT CERVICAL CELLS.
F. Cannella1, S. Cotugno 1, C. Selvaggi1, C. Scagnolari1, N. Recine2, P. Stentella2,
G. Antonelli1, A. Pierangeli1.
1
Department of Molecular Medicine, Laboratory of Virology, Sapienza University, Rome,
Italy
2
Department of Obstetric and Gynaecological Sciences and Urologic Sciences, Sapienza
University, Rome, Italy
A persistent infection by high-risk (HR) Human Papillomavirus (HPV) types is a pre-requisite
for progression to cancer. HPV persistence could be due to an impaired innate immunity; in
particular, it has been recognized that HR HPV inhibit the type I Interferon (IFN) response.
In the mucosal innate immune response, an important component is the recently described
type III IFN, but very little is known on its role during HPV infection. To clarify the question,
we evaluated, for the first time, the activation of type III IFNs pathways (IFN-lambda 1, IFNlambda 2/3, the IFN-lambda receptor complex, and the IFN induced genes ISG15, MxA and
ISG56) during in vivo HPV infection from about 150 patients. Results were analyzed and
correlated with the HPV genotype risk, and with the cytological grade of the lesions.
Despite an elevated individual variability, IFN lambda 1 and IFN lambda 2/3 levels were
correlated with their receptor IFN-lambdaR1 values, and ISG15 values were correlated with
IFN lambda 1 and IFNlambdaR1 levels, in the same patient.
IFN lambda 1 and IFNlambdaR1 were expressed at significantly higher level in patients with
Low Risk (LR) HPV infection compared to HR HPV and to HPV-negative cells.
Furthermore, we observed that the expression of IFN-lambda 1 decreased significantly with
the increase of the cytological grade of lesions. Besides, ISG15 was expressed at a
significantly higher level in patients with LR HPV infection compared to HR HPV and to
HPV-negative cells.
In conclusion, our results suggests that LR-HPV infection stimulate and activate IFN-lambda
pathways in cervical cells and that ISG15 could be a relevant ISG activated during this
infection. Differently, HR-HPVs seemed to interfere with type III IFN signaling in a
biological relevant way, since we found lower levels of expression of IFN-lambda 1 in
patients with HR HPV infection and in patients with SIL. Further studies measuring IFNrelated gene expression in cervical cells from patients at baseline and at follow-up visits might
be of value to clarify the relative role of IFN-lambda in determining HPV clearance or
persistence. If the role of IFN-lambda were confirmed, the possibility of a therapeutic use of
type III IFN in the treatment of HPV-associated lesions should be evaluated.
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Comunicazioni Orali
RUOLO DEI PROTEASOMI NELLA RIORGANIZZAZIONE DEL
SISTEMA CITOSCHELETRICO DEI MICROTUBULI IN CORSO
DI INFEZIONE SPERIMENTALE CON STIPITI DI VIRUS
INFLUENZALE A (H1N1) IN MODELLI CELLULARI
DI MAMMIFERO
De Conto Flora, Torri Deborah, Medici M.Cristina, Arcangeletti M.Cristina, Chezzi Carlo,
Calderaro Adriana
Unità di Microbiologia e Virologia - Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale –
Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di Parma
Il sistema citoscheletrico dei microtubuli (MT) supporta funzioni vitali per la cellula, quali la
morfogenesi, il trasporto intracitoplasmatico e la mitosi. Numerose evidenze scientifiche
attestano che le proprietà dei MT dipendono dalla loro associazione con numerose proteine,
come anche dall’insorgenza di modificazioni post-traduzionali.
Dati sperimentali precedentemente ottenuti hanno evidenziato che in cellule LLC-MK2 (rene
di scimmia) l’assetto altamente stabile dei MT, conseguente sia all’elevata espressione della
proteina 4 associata ai MT (MAP4) sia all’acetilazione di α-tubulina, induce una condizione
di resistenza all’infezione del virus influenzale umano A/NWS/33 (H1N1).
In questo studio è stato sondato il possibile coinvolgimento di complessi multi-enzimatici
assai rilevanti nell’economia cellulare, i proteasomi, nella riorganizzazione dell’assetto dei
MT in corso di infezione sperimentale con il virus NWS/33 e con uno stipite influenzale A
aviare (H1N1) in cellule LLC-MK2 e A549 (adenocarcinoma polmonare umano),
caratterizzate da un diverso grado di permissività all’infezione.
In una fase iniziale, sono stati esaminati gli effetti sulla resa dell’infezione di trattamenti
chimici volti a inibire o attivare le funzioni proteolitiche dei proteasomi. Successivamente, è
stata analizzata la riorganizzazione dei MT conseguente alla modulazione delle funzioni
proteasomali.
I risultati ottenuti evidenziano che l’inibizione dei proteasomi ha ripercussioni negative sul
ciclo replicativo virale, mentre la loro attivazione favorisce l’esito dell’infezione. Inoltre, è
stato appurato un ruolo differenziale dei proteasomi nella modificazione di assetto dei MT nei
due modelli cellulari esaminati. Infatti, in cellule LLC-MK2 la proteolisi mediata dai
proteasomi è favorevolmente cooptata dai virus influenzali per aumentare la dinamicità dei
microtubuli tramite degradazione di MAP4 e α-acetil-tubulina, mentre nel modello A549 non
si osserva un’analoga implicazione.
Tale studio mette in luce l’ ”unicità” dell’interazione che intercorre tra virus influenzale e
cellula ospite e attesta la capacità dei virus influenzali di cooptare il ruolo regolatorio dei
proteasomi sull’omeostasi proteica allo scopo di contrastare fattori cellulari di resistenza
all’infezione.
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Comunicazioni Orali
ALTERAZIONE DI FATTORI DI REGOLAZIONE DEL CICLO
CELLULARE DA PARTE DI CITOMEGALOVIRUS UMANO:
MODULAZIONE DELL’ESPRESSIONE DI SPECIFICHE CICLINE
Arcangeletti MC1, Germini D1, Rodighiero I1, Mirandola P2, De Conto F1, Medici MC1,
Chezzi C1, Calderaro A.1
1. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale 2. Dipartimento di Scienze Biomediche,
Biotecnologiche e Traslazionali. Università degli Studi di Parma
Citomegalovirus umano (HCMV) ha sviluppato molteplici meccanismi per interferire con il
metabolismo della cellula ospite al fine di assicurare la propria replicazione; tra questi,
l’alterazione del ciclo cellulare è stata considerata con sempre maggiore attenzione, anche per
la possibile relazione con aspetti patogenetici in vivo, quali l’azione teratogena a livello fetale
e la riattivazione dalla latenza.
In uno studio precedentemente condotto dal nostro gruppo di ricerca sono stati analizzati gli
effetti dell’infezione da HCMV sul ciclo cellulare di tre modelli sperimentali rappresentativi
di importanti bersagli cellulari in vivo: fibroblasti (infezione litica), cellule endoteliali
(infezione persistente con bassi livelli di progenie virale) e monociti/macrofagi (infezione
latente/riattivazione). I risultati ottenuti hanno dimostrato che HCMV è in grado di arrestare il
ciclo cellulare di fibroblasti MRC5 (cellule attivamente replicantesi) alla transizione G1/S, di
indurre un moderato aumento del numero di cellule in fase S e G2/M in HUVEC (cellule a
lenta attività metabolica) e di spingere i macrofagi THP-1 (cellule quiescenti) a rientrare nel
ciclo cellulare, con fasi S e G2/M molto marcate, ma senza proliferazione cellulare.
Al fine di implementare le conoscenze sui possibili meccanismi alla base dell’azione di
interferenza attuata da HCMV sul ciclo cellulare, in questo studio è stata analizzata
l’espressione di specifiche cicline, rilevanti “interruttori” dell’evoluzione del ciclo cellulare, il
cui intervento è subordinato alla loro fosforilazione chinasi-mediata. In particolare, sono state
considerate le cicline E (la cui stimolazione è caratteristica di cellule in fase G1/S), A
(indicativa di ingresso delle cellule nelle fasi S e G2) e B (indicativa di ingresso in fase
premitotica G2/M).
I dati ottenuti su cellule non infettate, infettate con virus in attiva replicazione o con virus
inattivato agli UV, dimostrano un intervento diversificato di HCMV sull’espressione delle
suddette cicline in relazione al modello sperimentale considerato; inoltre, essi supportano
l’ipotesi che le cicline rappresentino bersagli cruciali in quest’azione di interferenza sul ciclo
cellulare virus-indotta, verosimilmente attraverso l’intervento di proteine virali, quali pp65,
con riconosciuta funzione di chinasi.
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Comunicazioni Orali
LYMPHOCYTES AS LIVER DAMAGE MIRROR OF HCV RELATED
ADIPOGENESIS DEREGULATION
Minutolo Antonella1,4*, Conti Beatrice 2*, Viscomi Carmela 2, Grelli Sandro1,4,
Scarpellini Emidio 2, Favalli Cartesio1,4, Balsano Clara3.
1Department of Experimental Medicine and Surgery, University of Rome Tor Vergata
2 Laboratory of Molecular Virology and Oncology, Francesco Balsano Foundation,
ex A. Cesalpino Foundation, Rome Italy
3 Institute of Biology and Molecular Pathology (IBPM) – CNR (National Research Council),
Rome, Italy
4 U.O.C. Clinical Microbiology, Tor Vergata Hospital , Rome, Italy
HCV infection leads to a wide spectrum of liver diseases ranging from mild chronic hepatitis
to end-stage cirrhosis and hepatocellular carcinoma. The HCV infection shares two
pathological features with the metabolic syndrome: steatosis and insulin resistance. An
intriguing aspect of the HCV infection is its close connection with lipid metabolism playing
an important role in the HCV life cycle and in its pathogenesis. HCV is known to be a
hepatotropic virus; however, recent studies suggest that it can also infect peripheral blood
mononuclear cells (PBMCs).
Thus, the goal of the current investigation is to compare the adipogenesis profile of HCV
livers to HCV lymphocytes, in order to understand how PBMCs reflect a liver behavior and
the relevant consequent liver damage.
Using the Human Adipogenesis RT2 ProfilerTM PCR Array, gene expression pattern was
analyzed in HCV in vitro system compared to uninfected cells, in chronic HCV+ vs HDs’
livers an finally in HCV-infected PBMCs compared to PBMCs from HDs.
Both HCV in vitro and in vivo models were able to up-regulate in particular some genes
involved in metabolism regulation and inflammation (ADIG, CFD and KLFs), as well as in
cell transformation (TCF7L2 and Twist1). The observed up-regulation of these genes is
statistically and positively correlated to viral and hepatic parameters and exclusively HCVmediated.
In conclusion we demonstrate that PBMCs of HCV+ patients are useful model to follow how
lipid metabolism deregulation occurs in the liver during HCV infection and we suggest these
new markers as a potential therapeutic target.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
IL CICLO LITICO DI EBV E LA RISPOSTA AUTOFAGICA IN
CELLULE DI LINFOMA DI BURKITT
Francesca Colavita, Alessandra De Leo, Fabiola Ciccosanti, Gian Maria Fimia, Elena Mattia
Dip. di Scienze di Sanità Pubblica e Malattie Infettive “Sanarelli”, Univ. di Roma “Sapienza”
Laboratorio di Biologia Cellulare, Istituto Nazionale per le malattie infettive IRCCS
‘L. Spallanzani’, Roma
Il pathway autofagico è coinvolto in numerosi processi cellulari e rappresenta un essenziale
meccanismo di difesa contro le infezioni virali. Numerosi virus per sopravvivere e propagarsi
all’interno dell’ospite hanno evoluto strategie in grado di evadere e di modulare la risposta
autofagica a proprio vantaggio.
Il virus di Epstein Barr (EBV), un γ-herpesvirus umano responsabile della mononucleosi
infettiva ed associato a differenti tipi di neoplasie di origine epiteliale e linfoide, è
caratterizzato da una infezione latente e una litica produttiva.
Al momento non ci sono informazioni su eventuali alterazioni del pathway autofagico durante
il ciclo litico del virus. Scopo di questo lavoro è stato pertanto quello di analizzare
l’espressione di proteine markers di autofagia a seguito della induzione del ciclo replicativo
attivo di EBV e d’altro canto, di valutare l’effetto di inibitori e promotori di autofagia sulla
espressione e sulla replicazione del virus. Sono stati utilizzati due modelli cellulari di linfoma
di Burkitt, le cellule Akata e Mutu, in cui il ciclo litico di EBV può essere innescato mediante
trattamento delle cellule, rispettivamente con IgG o con TGF β.
I risultati ottenuti dimostrano che l’attivazione della replicazione virale in cellule B infettate
dal virus in forma latente, determina a tempi brevi, un aumento della componente LC3 II e
della proteina p62, indici della formazione di vescicole autofagiche. Inoltre, la presenza di
inibitori di autofagia quali la Bafilomicina A1 e la Spautina-1 durante l’induzione del ciclo
litico di EBV provoca una sovra-regolazione dell’espressione dei geni litici e un aumento
delle particelle virali prodotte.
Tali dati, indicano che il ciclo replicativo attivo di EBV è contrastato dal processo autofagico
e che una inibizione di quest’ultimo, in due diversi steps del pathway degradativo, genera un
aumento della espressione e della replicazione del virus. In accordo con questi risultati, cellule
Akata in cui beclina-1, la proteina che innesca la risposta autofagica, è stata silenziata
mediante trasfezione con lentivirus, hanno mostrato un aumento significativo dell’espressione
degli antigeni virali litici rispetto alle cellule trasfettate con la sequenza “scrambled”.
Sono in corso studi atti a valutare la possibilità che EBV interferisca e moduli la risposta
autofagica durante il ciclo litico.
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Comunicazioni Orali
PERIPLASMIC PhoN2 IS REQUIRED FOR THE ESCAPE OF S.
FLEXNERI FROM AUTOPHAGY
Daniela Scribano1, Cecilia Ambrosi1, Giovanniluigi Buglia2, Valerio Iebba3, A. Calconi2,
Carlo Zagaglia3, and Mauro Nicoletti1
1
Dip. di Sc. Sperimentali e Cliniche, Univ. “G. D’Annunzio” di Chieti, 2Dip. Biol. e
Biotecnologie “C. Darwin”, and 3Dip. di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, “Sapienza”
Università di Roma, Italy.
Autophagy is an evolutionary conserved catabolic pathway that allows eukaryotes to degrade
and to recycle intracellular components by sequestering proteins and organelles in specialized
double-membrane vesicles named autophagosomes. The mechanism of selective autophagy is
a process actually not completely understood and it has been recently proposed to be a
component of the innate cellular immune response against a variety of intracellular pathogens.
However, several pathogens including Shigella flexneri have been reported to be able to evade
the autophagic surveillance. S. flexneri, the etiological agent of bacillary dysentery, invades
intestinal epithelial cells by bacteria-induced phagocytosis, rapidly lyses the phagocytic
vacuole and multiplies inside the cytoplasm of host cells. Intra- and inter-cellular spreading
relies on the polarly localized outer membrane protein IcsA which is necessary for nucleating
actin-based motility. It has been reported that S. flexneri avoids autophagy via synthesis and
secretion of the bacterial effector IcsB that, by binding to IcsA, which is exposed at the old
bacterial pole, prevents the interaction of the autophagic-inducing cellular protein Atg5 to
IcsA. We have recently shown that the periplasmic protein PhoN2 (apyrase), a polarly
localized ATP- diphosphoidrolase, contributes to the correct localization and exposition of
IcsA at bacterial surface. Therefore, we conceived that PhoN2 could be involved in the
mechanism that protects S. flexneri against autophagy.
Although preliminary, the data presented in this communication strongly suggest that PhoN2
is involved in the evasion of the autophagic cellular surveillance. In fact, Western blot
analysis of HeLa cells infected with the S. fleneri strain M90T, its isogenic ΔphoN2 derivative
and ΔphoN2 complemented with phoN2, clearly indicated that at 4h after infection, cells
infected with the ΔphoN2 mutant presented a significantly higher LC3-II/LC3-I ratio as
compared to cells infected with the wild-type, and the phoN2 complemented strain. Moreover,
when cells infected with the three different strains were labeled with marker for acidic
lysosomes (Lysotraker), a significantly different pattern of lysosomes distribution between
wild-type and the ΔphoN2 mutant was noticed.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
SVILUPPO DI VETTORI VIRALI PER RICOMBINAZIONE
GENETICA IN VIVO COME NUOVO APPROCCIO PER LA CURA
DELLA DISCINESIA CILIARE PRIMITIVA IN PAZIENTI
PEDIATRICI
Michele Lai1, Massimo Pifferi2, Angela Michelucci3, Paola Quaranta1, Martina Piras2,
Maria Di Cicco2, Ambra del Grosso1, Elena Tantillo1, e Mauro Pistello1
1
Centro Retrovirus e Sezione Virologia, Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove
Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa;
2
Sezione di Pneumologia ed Allergologia, Clinica Pediatrica 1, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana;
3
Unità Operativa di Citogenetica e Genetica Molecolare, Dipartimento di Medicina di
Laboratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
L’impiego di virus come vettori di acidi nucleici ha aperto nuove prospettive di cura di molte
malattie. Nell’ambito delle malattie genetiche, il ripristino della normale funzionalità
metabolica è ottenuto, in genere, mediante veicolazione di un gene sano che vicaria il gene
malato. Dipendentemente dal vettore utilizzato, il gene terapeutico rimane allo stato
episomiale o è integrato nel genoma della cellula ospite. In quest’ultimo caso la correzione del
difetto è permanente ma anche associata a rischi derivati da mutagenesi inserzionale e
espressione non fisiologica del gene terapeutico stesso. Questi limiti possono essere superati
con una nuova tecnologia che mediante ricombinazione sito-specifica sostituisce la regione
genica mutata con l’analoga porzione contenente la sequenza corretta.
Il nostro gruppo sta sviluppando questo approccio per la cura della discinesia ciliare primaria
(DCP), una malattia genetica autosomica recessiva causata da insufficiente clearance mucociliare dovuta a difetti nella motilità delle cilia del tratto respiratorio e che è conseguenza di
gravi infezioni respiratorie, progressivo deterioramento della funzione polmonare e
insufficienza respiratoria cronica. Circa il 90% delle DCP sono causate da mutazioni in geni
codificanti dineine, proteine necessarie ad assemblaggio e motilità ciliare.
Lo studio ha come obiettivo il ripristino della normale attività ciliare mediante
ricombinazione sito-specifica del gene DNAH11 codificante la dineina della catena pesante
11. Oltre a DCP, mutazioni nel DNAH11 possono causare la sindrome di Kartagener che è
parte di un sottogruppo delle DCP e si caratterizza dal punto di vista clinico per l’associazione
di situs inversus, sinusite e bronchiectasie.
E’ stato sviluppato un vettore lentivirale che veicola una DNA endonucleasi nelle cellule
ciliate respiratorie. L’enzima riconosce e taglia in modo specifico la sequenza mutata di
DNAH11. Il taglio attiva un meccanismo endocellulare di riparazione con il quale viene
inserita la sequenza corretta di DNAH11 portata dallo stesso vettore virale. Verranno
presentati i risultati ottenuti da test su espianti di cellule da mucosa respiratoria di pazienti con
DCP.
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81
Comunicazioni Orali
VIRAL VECTOR EXPRESSING TAT AS IMMUNOMODULATORY
MOLECULE REPRESENT A NEW VACCINE STRATEGY AGAINST
HSV INFECTION
Sicurella M.1,3, Volpi I.1, Berto E.1, Nicoli F.2, Gallerani E.2, Finessi V2., Destro F.2,3, Cecchi D.1,
Ensoli B.4, Manservigi R.1, Caputo A.3, Gavioli R.2*, Marconi PC.1*
1
Department of Life Sciences and Biotechnology / Section of Applied Microbiology and 2
Section of Biochemistry, University of Ferrara, Ferrara, Italy
3
Department of Molecular Medicine, University of Padova, Padova, Italy
4
National AIDS Center, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy
Herpes simplex viruses type 1 and 2 (HSV1 and HSV2) are common infectious agents in both
the industrialized and developing countries causing asymptomatic or symptomatic recurrent
infections, and very severe diseases and death in newborns and immunocompromised
patients. Current HSV treatment involves the use of antiviral medications, which can halt the
symptomatic diseases but cannot avoid the asymptomatic shedding and, consequently, the
spreading of the viruses among people. Therefore, prevention of HSV infections has been an
area of intense research especially for the development of preventative and therapeutic antiHSV vaccines. Nevertheless, this goal has not been achieved yet. One of the key points in
developing anti-HSV vaccines is the identification and use of strategies promoting the
emergence of Th1-type immune responses, not only, against dominant epitopes but also
against subdominant epitopes that are crucial to control the virus. Since, it has been shown
that HIV1 Tat protein possesses several immunomodulatory activities and increases CTL
recognition directed to subdominant epitopes of heterologous antigens, a recombinant
attenuated replication-competent HSV1 vector containing the tat gene (HSV1-Tat) was
generated and assayed as a novel vaccine candidate in murine models. We have demonstrated
that immunization with this attenuated replication-competent HSV-Tat vector confers
protection in 100% of mice challenged intravaginally with a lethal dose of wild-type HSV1.
The expression of Tat by the recombinant virus is able to increase and broad Th1-like and
CTL responses against immunodominant and subdominant HSV-derived T cell epitopes and
to elicite detectable IgG responses. In contrast, a control attenuated HSV1 recombinant vector
without Tat (HSV1-LacZ) induces lower T cell responses, directed only against the
immunodominant epitopes, in absence of measurable antibody responses and does not protect
mice from challenge with wild-type HSV1. Therefore, our data suggest that recombinant
HSV1 vectors expressing Tat may be further investigated as vaccine candidates against HSV1
infection to prevent and/or contain virus infection and dissemination.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
SVILUPPO DI UNA FORMULAZIONE INNOVATIVA BASATA SU
NANOSFERE DI CHITOSANO PER LA VEICOLAZIONE DI
ACICLOVIR
Andrea Civraa, Manuela Donalisioa Valeria Cagnoa, Roberta Cavallib, David Lemboa
a
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino, Ospedale
S. Luigi Gonzaga, Orbassano, Italy
b
Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco, Università degli Studi di Torino, Italy
L’Aciclovir è il farmaco di elezione per il trattamento di patologie associate all’infezione da
Herpes Simplex Virus. A causa della bassa idrosolubilità e del lento ed incompleto
assorbimento intestinale, il regime terapeutico attualmente in uso richiede elevati dosaggi di
farmaco e frequenti somministrazioni quotidiane. Nell’ultima decade, l’utilizzo delle
nanotecnologie nel settore biomedico ha portato allo sviluppo di nuove formulazioni per il
miglioramento delle proprietà fisico-chimiche dei farmaci. Nel presente studio viene descritto
lo sviluppo di una formulazione innovativa di Aciclovir, basata sull’utilizzo di nanosfere di
chitosano, per il trattamento topico di infezioni da Herpes Simplex Virus. In base agli studi di
caratterizzazione effettuati, le nanosfere presentano un diametro di circa 300nm, morfologia
sferica e risultano in grado di mediare un prolungato rilascio di Aciclovir nel tempo. Al fine di
valutare l’efficacia antivirale in vitro dell’Aciclovir veicolato con nanosfere, sono stati
eseguiti dei saggi antivirali su cellule Vero infettate da HSV di tipo 1 o di tipo 2; i risultati
ottenuti hanno dimostrato che l’Aciclovir non veicolato è in grado di limitare del 50%
l’infettività di HSV-1 e HSV-2 a concentrazioni (IC50) pari - rispettivamente - a 0,15µM e
1,6µM. Al contrario, l’Aciclovir veicolato dalle nanosfere esercita un’attività inibitoria
significativamente maggiore: per HSV-1 l’IC50 è pari a 0,012µM, mentre per HSV-2 è pari a
0,11µM. I risultati dei saggi di citotossicità e vitalità cellulare, eseguiti contestualmente ai
saggi di efficacia in vitro, dimostrano che l’attività antivirale dell’Aciclovir veicolato non è
attribuibile alla tossicità del nanoveicolo. Infine, gli studi di uptake cellulare rivelano che le
nanosfere vengono internalizzate dalle cellule dopo circa un’ora dall’inizio del trattamento,
suggerendo che l’aumentata attività in vitro dipenda da una maggiore concentrazione
intracellulare del farmaco veicolato. Tali risultati, indicano che le nanosfere rappresentano un
approccio innovativo e promettente per veicolare l’Aciclovir, e migliorarne l’efficacia
terapeutica, il profilo farmacocinetico e la tossicità.
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83
Comunicazioni Orali
ATTIVITA’ ANTIVIRALE DEL POLIMERO AGMA1 NEI CONFRONTI
DI PAPILLOMAVIRUS UMANI
Valeria Cagnoa, Andrea Civraa, Manuela Donalisioa, Elisabetta Ranuccib, Paolo Ferrutib,
David Lemboa
a
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino;
b
Dipartimento di Chimica Organica e Industriale, Università degli Studi di Milano
I papilloma virus umani (HPV) sono virus nudi a doppio filamento di DNA appartenenti alla
famiglia Papillomaviridae. I principali virus ad alto rischio oncogenico, HPV16 e 18, causano
il 70% dei carcinomi uterini con prevalenza di HPV16. Attualmente sono in commercio due
differenti vaccini per la prevenzione del cancro della cervice uterina, ma a causa dell’alto
costo, delle difficoltà di distribuzione e di alcune resistenze culturali, ampie fasce di
popolazione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, non beneficeranno di questa strategia
preventiva. Inoltre non è stata identificata alcuna strategia per la riduzione del titolo virale in
donne già infette con HPV. In questo scenario sarebbe auspicabile l’identificazione di una
molecola microbicida altamente attiva e con bassi costi di produzione. Per questo motivo
abbiamo analizzato l’attività anti HPV di una poliammidoammina anfoterica, un polimero
sintetico cationico chiamato AGMA1. Esso ha una struttura, derivata dall’acido 2,2bisacrilamminoacetico e 4-aminobutilguanidina, ed è caratterizzato da un facile processo di
sintesi, da un basso costo di produzione e da un’elevata biocompatibilità verso la mucosa
vaginale e i lattobacilli residenti. Il composto è stato utilizzato in saggi di neutralizzazione
contro pseudo virioni di HPV. AGMA1 ha mostrato un’alta attività neutralizzante con un IC50
pari a 0,53 µg/ml contro HPV16, mantenuta in saggi di pre-trattamento e di adesione alla
cellula ospite. Inoltre mostra un’attività inibitoria anche in saggi di post-trattamento, in quanto
il virus ha una cinetica di entrata molto lenta ed è quindi in grado di agire anche in seguito
all’adesione del virus alla cellula ospite. Al contrario il composto non mostra attività virucida.
L’attività antivirale è mantenuta anche su HPV6 e HPV18 e su un pannello di linee cellulari
della cervice uterina. Ulteriori studi saranno necessari per valutare l’attività antivirale in vivo
e per verificare l’inibizione del legame alla cellula ospite. Inoltre lo stesso polimero ha
mostrato attività antivirale nei confronti di HSV1 e HSV2 sottolineando come sia possibile lo
sviluppo di un microbicida topico formulato come gel vaginale per la prevenzione di infezioni
virali sessualmente trasmesse.
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Comunicazioni Orali
DYNAMICS OF TOTAL AND INTEGRATED HIV DNA IN HIV-1
POSITIVE PATIENTS TREATED WITH A RALTEGRAVIR
CONTAINING REGIMEN
Falasca F1, Tripolino O1, Maida P1, Bucci M1, Cavallari EN2, D’Ettorre G2, Paoletti F2,
Antonelli G1, Turriziani O1 .
1. Department of Molecular Medicine, Sapienza University, Rome
2. Department of Public Health and Infectious Diseases, Sapienza University, Rome
In HIV-1 infected patients, antiretroviral treatment (ARV) can lead to a decrease in virus
replication and to undetectable levels of HIV RNA plasma, but HIV DNA remain detectable
in cells from most HIV-infected patients during suppressive therapy. Integrase inhibitors,
including Raltegravir (RAL), target the HIV integration process. Rapid kinetics of an HIV-1
RNA decrease providing undetectable viral load (<50 copies/ml) was shown in ARV-naïve
patients receiving a RAL-based regimen. It has been reported that RAL-containing regimen
may impact both HIV-1 RNA and HIV-1 DNA levels.
To evaluate dynamics of HIV DNA in ARV-experienced HIV-1 infected patients, 24 patients
treated with a RAL-containing regimen were followed for 4 years. Plasma and PBMC
samples were collected at 6, 24, 36 and 48 months of treatment (T0,T1,T2,T3). Total and
integrated HIV-1 DNA were quantified by Real time PCR(LOD:5 and 10 copies/106 cells
respectively); plasma HIV-1 RNA quantification was performed by versant kPCR (LOD 37
copies/ml; Siemens Healthcare Diagnostic).All participants achieved undetectable levels of
plasma viremia at the end of the follow up; at baseline 14 patients shown viral load <37 and
10 patients had a detectable viremia [median 7482 copies/ml (64-58388)]. A decrease of HIV1 integrated DNA median value was detected at the end of follow up [T0=1559 copies/106
cells(<10-111113), T3=31 copies/106 cells (<10-5380), the difference was statistically
significant(p<0.05)]. Stable levels of total HIV-1 DNA during the follow up were found
[T0=365 copies/106 cells(<5-4205), T3=339 copies/106 cells(<5-6824) ]. A direct correlation
between residual plasma viremia and integrated HIV-1 DNA was observed (r=0,47 p<0.05).
When the HIVDNA integrated levels were stratified on the basis of residual viremia , there
was a statistically significant difference(p<0.05) between subjects with undetectable viremia
[median 27 copies/106 cells(<10-1364) ] versus subjects with <37 detectable viremia [median
1337 copies/106cells(<10-14617)]. No correlation between residual viremia and total HIV-1
DNA levels was found. No significant differences were observed when total HIV-1 DNA
levels were stratified on the basis of residual viremia. A positive correlation(r=0.56 p<0.05)
between years of infection and decrease of total HIV-1 DNA(measured as Δlog between T0
and T3) was detected. No correlation between years of infection and decrease of integrated
HIV-1 DNA was found.
RAL-based regimen decreases HIV-1 DNA integrated levels after 4 years of treatment. A
correlation between plasma residual viremia and HIV-1 DNA integrated was found. These
results suggest that the reduction of the size of reservoirs can contribute to reduce residual
viremia that may constitute an important obstacle to the success of therapy.
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Comunicazioni Orali
GRUPPO DI STUDIO ITALIANO SUI VIRUS ENTERICI (ISGEV):
SORVEGLIANZA DELLE GASTROENTERITI DA NOROVIRUS IN
ITALIA NELLE STAGIONI 2011/2012 E 2012/2013
GM Giammanco1, S De Grazia1, F Tummolo2, F Bonura1, L Saporito1, A Calderaro2,
MC Medici2, V Martella3
1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
“G. D’Alessandro”, Palermo
2
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Parma
3
Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università Aldo Moro di Bari
Allo scopo di monitorare la circolazione di Norovirus (NoV) in Italia il Gruppo di Studio
Italiano sui Virus Enterici (ISGEV; http://isgev.net) ha condotto una sorveglianza dei genotipi
circolanti nelle aree di Parma e Palermo. Nel periodo novembre 2011-gennaio 2013 la
prevalenza dell’infezione da NoV è stata valutata mediante metodiche molecolari in bambini
con gastroenterite ricoverati od osservati ambulatorialmente presso l’ospedale Policlinico S.
Matteo di Pavia e presso l’Ospedale Civico di Palermo. Durante la stagione invernale 20112012 (novembre-marzo), la prevalenza di infezione da NoV è stata del 22,2%. La
genotipizzazione dei campioni NoV-positivi effettuata mediante sequenziamento dei geni pol
e cap ha mostrato che il 41,7% era riconducibile alla variante GII.4 New Orleans 2009, e nel
12,5% un gene pol GII.4 New Orleans 2009 si presentava in associazione con due distinti tipi
di sequenze cap, nessuna delle quali già codificata. Nello stesso periodo, sono stati identificati
4 casi sporadici e un piccolo focolaio epidemico ascrivibili alla nuova variante GII.4 Sydney
2012 e 2 ceppi (4.2%) GII.4 Den Haag 2006b. Nella stagione invernale successiva (novembre
2012-gennaio 2013) l’ISGEV ha rilevato una prevalenza del 28,9% di infezione da NoV e la
maggior parte dei campioni (74,3%) è stata caratterizzata come variante GII.4 Sydney 2012,
confermando che anche in Italia come in altri paesi europei ed extra-europei questa variante è
diventata prevalente dalla fine del 2012. Tuttavia, l’ISGEV aveva evidenziato la presenza di
questa variante in Italia già a novembre 2011. Ciò consente di anticipare di qualche mese
l’emergenza della variante Sydney 2012 rispetto a quanto riportato in letteratura. Il riscontro
di due cluster di sequenze capsidiche GII.4 che si localizzano distanti da tutte le varianti GII.4
precedentemente identificate potrebbe suggerire la comparsa di “nuove varianti”, indicative
della capacità di continuo rinnovamento dei NoV GII.4. Poiché il successo di future
formulazioni vaccinali contro i NoV non può prescindere dalla comprensione delle loro
dinamiche evolutive, l’attività di sorveglianza svolta dall’ISGEV assume particolare valore.
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Comunicazioni Orali
SORVEGLIANZA DELLE GASTROENTERITI DA NOROVIRUS A
PARMA: COMPARSA E DIFFUSIONE DELLA NUOVA VARIANTE
GII.4 SYDNEY 2012 E DI NUOVI CEPPI RICOMBINANTI
Medici MC, Tummolo F, Fazzi A, Chezzi C, De Conto F, Arcangeletti MC, Calderaro A.
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università
degli Studi Parma
II genotipo GII.4 è attualmente la causa del 60-70% dei casi di gastroenterite associata a
norovirus (NoV) nell’uomo. I programmi di sorveglianza in atto in diversi Paesi hanno
dimostrato che la diffusione di GII.4 è aumentata dalla comparsa della variante 2002, cui sono
succedute nel tempo varianti filogeneticamente distinte. Allo scopo di monitorare
l’evoluzione delle varianti GII.4 è stata condotta una sorveglianza dei genotipi circolanti
nell’area di Parma nel periodo gennaio 2012-giugno 2013 attraverso la caratterizzazione
genetica dei ceppi rivelati in bambini con gastroenterite ricoverati od osservati
ambulatorialmente presso l’ospedale della città. L’analisi genetica è stata condotta su regioni
del gene della polimerasi (A di ORF1) e del capside virale (C di ORF2) di 66 ceppi (51,16%)
selezionati nell’ambito di 129 NoV rivelati mediante RT-nPCR alle indagini condotte sulle
feci di 1113 bambini (prevalenza di infezione 11,59%). Il genotipo GII.4 è stato rivelato in 58
casi (87,87%). Di questi, 39 ceppi erano riconducibili alla nuova variante GII.4 Sydney che
nell’area di Parma dalla stagione autunno/inverno 2012 ha soppiantato la precedente variante
pandemica New Orleans 2009, rivelata solo in 13 casi. Inoltre di particolare rilievo è stata la
dimostrazione che 2 ceppi possedevano una combinazione genotipica ORF1/ORF2 GII.P4
New Orleans 2009_GII4 Sydney 2012 e 2 ceppi una combinazione GII.P4 New Orleans
2009_GII4 Apeldoorn 2008, entrambe di probabile origine ricombinante e mai descritte
prima. Infine sono stati identificati anche, 2 ceppi GII.4 Den Haag 2006b. Gli altri genotipi
rivelati sono stati: GI.1, GII.Pg_GII.1, GII.P16_GII.3, GII.P7_GII.6. e GII.2. I ceppi GII.P4
New Orleans 2009_GII4 Sydney 2012 e GII.P4 New Orleans 2009_GII4 Apeldoorn 2008,
analizzati anche nelle regioni A, B e C del genoma di NoV comprendente la regione di
giunzione ORF1/ORF2, al programma Simplot si sono confermati essere di natura
ricombinate con il sito di ricombinazione localizzato nella regione ORF1/ORF2. La continua
sorveglianza delle infezioni da NoV e la disponibilità di conoscenze sulle caratteristiche
cliniche ed epidemiologiche delle infezioni sostenute da questi nuovi NoV consentirà di
valutare le implicazioni della variante GII.4 Sydney 2012 e dei nuovi ceppi ricombinanti
GII.4 sulla salute pubblica infantile.
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Comunicazioni Orali
ALTA FREQUENZA DI ADENOVIRUS ENTERICI UMANI
COLTIVABILI IN UN CAMPIONE DI POPOLAZIONE PEDIATRICA
NELL’AREA DI PARMA
Maria Cristina Arcangeletti, Diego Germini, Isabella Rodighiero, Davide Martorana,
Flora De Conto, Maria Cristina Medici, Carlo Chezzi, Adriana Calderaro
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi di Parma
Gli adenovirus umani, appartenenti al genere Mastadenovirus, comprendono 52 sierotipi,
suddivisi in 7 sottoguppi (A-G). I sierotipi 40 e 41, unici componenti del sottogruppo F, sono
associati in maniera specifica a gastoenterite infantile e rappresentano, dopo Rotavirus e
Norovirus, la più comune causa di gastroenterite ad eziologia virale.
I metodi più utilizzati per la diagnosi di laboratorio di infezione da adenovirus enterici sono
classicamente rappresentati dalla microscopia elettronica (ME), applicata direttamente alla
sospensione fecale, e dalla coltivazione in colture cellulari (CCC), nonostante gli adenovirus
del sottogruppo F siano, com’è noto, difficilmente coltivabili. Quest’ultima caratteristica, così
come il fatto che anche adenovirus respiratori, agevolmente coltivabili, possono essere
eliminati con le feci, rende probabile il rischio di acquisire informazioni incomplete o falsate
riguardo alla reale circolazione degli stipiti enterici di adenovirus.
In questo studio sono stati considerati 110 campioni di feci prelevati da soggetti in età
pediatrica, analizzati nel periodo gennaio 2010-dicembre 2012 e risultati positivi per
adenovirus mediante ME e/o CCC.
Al fine di valutare la reale presenza di adenovirus enterici 40 e 41, i suddetti campioni sono
stati sottoposti ad analisi del polimorfismo di restrizione e di sequenza genica.
I risultati ottenuti evidenziano una significativa predominanza di adenovirus appartenenti al
sottogruppo F (62,7%) e che, tra questi, adenovirus 41 è molto più diffuso (89,8%) rispetto ad
adenovirus 40 (10,2%), con netta inversione di tendenza nella circolazione dei 2 sierotipi,
rispetto a circa un decennio fa. Un altro dato di spicco riguarda il fatto che tra i 75 campioni
(68,1%) risultati coltivabili in vitro, 37 (49%) appartengono al sottogruppo F.
Questi risultati attestano, innanzitutto, l’elevata circolazione di adenovirus di sottogruppo F in
bambini con gastroenterite. Inoltre, l’aumentato rilevamento di adenovirus 41 rispetto al 40,
associato ad una maggiore coltivabilità in substrati cellulari comunemente impiegati in
routine diagnostica, quali cellule intestinali umane (Int407), potrebbe supportare una
relazione tra aumentata facilità di coltivazione in vitro e maggiore capacità invasiva e
virulenza in vivo.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
CARATTERIZZAZIONE DI VIRUS INFLUENZALI DI TIPO B IN
CIRCOLAZIONE IN TOSCANA NELLA STAGIONE 2012-2013.
Rosaria Arvia, Fabiana Corcioli, Federica Pierucci, Alberta Azzi
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Firenze
Unità di Ricerca di Virologia, Microbiologia Clinica e Malattie Infettive
Dalla fine degli anni ’80, co-circolano, in proporzioni variabili in diverse aree geografiche,
due lineaggi di virus influenzali di tipo B: B/Victoria/2/87-like e B/Yamagata/16/88-like,
antigenicamente e geneticamente distinti. Poiché gli anticorpi verso l’uno hanno una limitata
cross-reattività verso l’altro lineaggio, la conoscenza del lineaggio prevalentemente circolante
è importante anche ai fini della composizione del vaccino trivalente e nella valutazione
dell’efficacia della vaccinazione. La distinzione dei ceppi dei due diversi lineaggi non viene
comunemente praticata, ma quando questa analisi viene effettuata ciò avviene di solito tramite
test di inibizione dell’emoagglutinazione (HI). Più recentemente sono stati introdotti a questo
scopo metodi molecolari di vario tipo. Nella stagione epidemica di influenza 2012-2013 sono
stati individuati presso il laboratorio di riferimento della Regione Toscana per l’influenza 34
stipiti di virus influenzali di tipo B, 16 da pazienti ambulatoriali e 18 da pazienti ricoverati,
tramite RT real time-PCR. Da 14 pazienti ambulatoriali il virus è stato anche isolato in cellule
MDCK. La determinazione molecolare del lineaggio si è basata sull’analisi delle sequenze
dell’emoagglutinina (HA) con particolare riferimento alla ricerca di una inserzione/delezione
distintiva tra i due lineaggi, già descritta in letteratura. Inoltre è stata analizzata anche una
sequenza della neuraminidasi per la ricerca sia di marcatori di resistenza agli antivirali che di
mutazioni caratteristiche dei lineaggi, secondo segnalazioni della letteratura. Verrà discussa la
diversa circolazione dei lineaggi B/Victoria/2/87-like e B/Yamagata/16/88-like osservata in
questo studio anche in relazione alla composizione del vaccino per la stagione influenzale 20122013.
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Comunicazioni Orali
MARCATORI DI PATOGENICITA’ E DI RESISTENZA NEI VIRUS
INFLUENZALI DI TIPO A(H1N1) 2009 ISOLATI A FIRENZE NELLA
STAGIONE 2012-2013
Fabiana Corcioli, Rosaria Arvia, Federica Pierucci, Alberta Azzi
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Firenze
Unità di Ricerca di Virologia, Microbiologia Clinica e Malattie Infettive
Il virus dell’influenza A(H1N1) responsabile della pandemia del 2009 dopo la sua comparsa
nella primavera del 2009 ha circolato in maniera quasi esclusiva in confronto agli altri virus
influenzali stagionali durante la pandemia ed ha continuato ad essere il virus prevalentemente
isolato anche nella stagione epidemica 2010-2011 a differenza dellastagione epidemica
successiva, 2011-2012, nella quale ha prevalso, almeno in Italia e nella maggior parte dei
paesi Europei, la circolazione di virus di tipo A(H3N2) insieme a virus di tipo B. Il virus
A(H1N1) 2009 causa comunementecasi di influenza lieve ma è associato anche con maggior
frequenza rispetto agli altri virus stagionali a casi di influenza grave con localizzazione
polmonare, talvolta anche in soggetti senza particolari fattori di rischio. Tra le tante possibili
cause della particolare patogenicità di questo virus è emersa, fin dal 2009, la presenza di una
specifica mutazione a livello dell’emoagglutinina (HA): la sostituzione dell’acido aspartico in
posizione 222 con la glicina o talvolta con l’acido glutammico (D222G o D222E). Il ruolo di
questa mutazione è stato oggetto di alcuni studi e rimane controverso. Poiché nella stagione
2012-2013 il virus A(H1N1) 2009 ha ripreso a circolare in maniera prevalente rispetto ai virus
di tipo A(H3N2) , abbiamo condotto la ricerca della mutazione nei ceppi isolati da casi gravi
(ricoverati in terapia intensiva). I risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli ottenuti
nelle stagioni precedenti e vengono complessivamente valutati al fine di chiarire l’eventuale
ruolo della mutazione nella patogenesi virale. In questo studio vengono anche riportati i
risultati della ricerca di marcatori molecolari associati a resistenza ad oseltamivir negli stessi
isolati
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Comunicazioni Orali
ETEROGENEITÁ GENETICA E RICOMBINAZIONE IN ASTROVIRUS
IDENTIFICATI IN ITALIA
Medici MC,a Tummolo F,a De Grazia S,b Giammanco GM,b Chezzi C,a De Conto F,
a
Arcangeletti MC, a Calderaro A,a Martella V.c
a
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università di Parma
b
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
“G. D’Alessandro”, Università di Palermo
c
Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università di Bari
Gli astrovirus umani (HAstV) sono importanti patogeni enterici che colpiscono specialmente i
bambini di età < 5 anni. Gli HAstV sono classificati in 8 tipi. HAstV-1 è stato suddiviso in 4
lineaggi genetici (1a-1d) e HAstV-2 e HAstV-4 in 2 lineaggi (2a e 2b e 4a e 4b,
rispettivamente). Per HAstV-3 è in corso una proposta di suddivisione nei lineaggi 3a e 3b. La
sorveglianza delle infezioni da HAstV in Italia, condotta dal Gruppo di Studio Italiano sui
Virus Enterici (ISGEV, http://isgev.net/), ha consentito di descrivere la circolazione in Italia
di diversi lineaggi di HAstV-1 (1a, 1b e 1d), di nuovi lineaggi di HAstV-2 (2c e 2d) e di ceppi
ricombinanti HAstV-1/HAstV-2. La presente nota riporta la caratterizzazione molecolare di
nuovi ceppi di HAstV-3, -4 e -5 identificati in Italia in diversi periodi di sorveglianza in casi
sporadici di enterite infantile. L’analisi della sequenza della porzione di 348pb al 5’ di ORF2
degli HAstV-3, -4 e 5 identificati ha dimostrato che i ceppi segregavano, in massima parte, in
lineaggi separati dai rispettivi ceppi prototipi con differenze nucleotidiche del 7% per HAstV3, del 5-7% per HAstV-4 e del 6% per HAstV-5. Pertanto per questi HAstV è stata proposta
l’appartenenza a nuovi lineaggi genetici, denominati 3c, 4c e 5b. Inoltre, di HAstV-3c e -4c,
unitamente ad un ceppo di HAstV-4b, è stata generata una sequenza di 3,2Kb all’estremità 3’
del genoma. L’analisi di sequenza ha dimostrato che il ceppo di HAstV-4c presentava nel
frammento ORF1b-ORF2 analizzato lo stesso assetto genetico di altri virus analoghi presenti
nei database. Al contrario i ceppi di HAstV-3c e -4b presentavano sull’ORF1b la più elevata
identità nucleotidica (92-93% per HAstV-3c e 97,6-97,8% per HAstV-4b) con ceppi HAstV1, suggerendo in entrambi i casi l’origine ricombinante. L’analisi di similarità nucleotidica ha
confermato in entrambi questi casi l’ipotesi avanzata, localizzando il sito di ricombinazione
nella regione di giunzione ORF1b/ORF2. Il fenomeno della ricombinazione mette in luce
quanto sia complessa la caratterizzazione genetica di questi virus e che essa può essere
compromessa e il fenomeno della ricombinazione sottostimato se l’analisi di sequenza non
viene effettuata su entrambe le regioni ORF1b e ORF2.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
91
Comunicazioni Orali
NUOVE APPLICAZIONI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA
MALDI-ToF ALLA CARATTERIZZAZIONE DI VIRUS A DNA E RNA A
LIVELLO DI SPECIE E SIEROTIPO E ALLA IDENTIFICAZIONE DI
PROTEINE VIRUS SPECIFICHE IN CELLULE INFETTATE
Adriana Calderaro, Maria Cristina Arcangeletti, Isabella Rodighiero, Federica Motta,
Mirko Buttrini, Maria Cristina Medici, Flora De Conto, Carlo Chezzi
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi di Parma.
La diagnosi di laboratorio di infezione virale si basa, tradizionalmente, su metodi di ricerca
diretti quali la microscopia elettronica, l’isolamento in coltura, la rivelazione di antigeni e di
acidi nucleici e metodi cosiddetti indiretti, quali la ricerca di anticorpi specifici. Malgrado i
metodi sopra ricordati rappresentino tecniche affidabili e consolidate, tuttavia essi sono spesso
costosi e indaginosi e in taluni casi, soprattutto i metodi diretti, non permettono
l’identificazione virale a livello di specie e/o di sierotipo.
In questo studio, la spettrometria di massa (MS) con tecnologia MALDI-ToF (MatrixAssisted Laser Desorption/Ionisation Time-of-Flight), già ampiamente applicata alla diagnosi
di laboratorio e ad approcci sperimentali in batteriologia e micologia, viene presentata come
metodo innovativo, rapido e poco costoso per la caratterizzazione di virus a DNA e a RNA.
Mediante uno spettrometro di massa della serie FLEX MALDI-ToF LX sono stati,
innanzitutto, caratterizzati i profili proteici di ceppi di riferimento di adenovirus e poliovirus
umani a partire da preparazioni semi-purificate di virus; in seguito, l’analisi è stata applicata
alla caratterizzazione di differenti sierotipi dei suddetti virus (adenovirus 2, 7, 14p1 e 18;
poliovirus 1, 2 e 3).
I risultati ottenuti dimostrano l’abilità del sistema di identificare diverse specie virali e di
discriminare i diversi sierotipi ed hanno permesso di implementare il database dello
strumento con tali profili proteici.
Infine, la tecnologia MALDI-ToF MS è stata applicata, in maniera preliminare, all’analisi
degli spettri proteici di cellule infettate con i suddetti virus a confronto con quelli di cellule
non infettate. Anche in questo caso, tale metodo si è dimostrato efficace nella discriminazione
di cellule infettate e nell’identificazione dell’agente virale coinvolto.
I risultati di questo studio, sebbene necessitino di approfondimenti, evidenziano le
potenzialità innovative della tecnologia MALDI-ToF MS, con possibilità di applicazione di
tale metodo alla identificazione di virus a DNA e a RNA a livello di specie e sierotipo e alla
diagnosi di laboratorio delle infezioni virali.
92
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
ANALISI DELLA CAPACITÀ REPLICATIVA DI HBV NEL TESSUTO
EPATICO E NELLE CELLULE DEL SANGUE PERIFERICO IN
PAZIENTI CON DIVERSI STADI DI EPATITE CRONICA B.
Claudia Minosse1, Sabrina Coen1, Ubaldo Visco Comandini2, Raffaella Lionetti2,
Andrea Baiocchini3, Maria Rosaria Capobianchi1, Stefano Menzo1,4
1
Laboratorio di Virologia, INMI “L.Spallanzani”, Roma; 2 I Divisione, INMI
“L.Spallanzani”, Roma; 3 Anatomia Patologica, INMI “L.Spallanzani”, Roma;
4
Dipartimento di Scienze Biomediche, Università Politecnica delle Marche, Ancona
La storia naturale dell’epatite B è molto complessa e variabile da paziente a paziente,
dipendendo in larga misura dalla risposta immunitaria dell’ospite. Per comprendere se
l’azione del sistema immunitario si esplichi esclusivamente tramite l’effetto citotossico e la
distruzione cellulare, oppure possa anche modulare la replicazione virale, è stata studiata una
serie di pazienti con stadi diversi di infezione e in assenza di terapia. La capacità replicativa è
stata valutata tramite la quantificazione precisa delle concentrazioni intracellulari di cccDNA
e di HBV DNA totale, nel tessuto epatico, nel plasma e nelle cellule del sangue periferico.
Questi parametri sono stati integrati dai dati clinici, biochimici, istologici e sierologici.
CccDNA intraepatico e DNA periferico correlano perfettamente tra loro nei pazienti HBeAg
positivi, mentre perdono la correlazione nei pazienti HBeAg negativi. Tuttavia tra i parametri
periferici, il miglior correlato della concentrazione di cccDNA intraepatico è la
concentrazione di HBsAg, sempre limitatamente ai pazienti HBeAg positivi. A fronte di una
produzione virale notevolmente ridotta, anche il rapporto DNAtotale/cccDNA è risultato
significativamente ridotto nei pazienti HBeAg negativi, rivelando una depressione
dell’efficacia replicativa, in associazione con l’accumulo di mutazioni nella regione precore e
nel promotore del gene core. Anche il grado istologico, sia pur più limitatamente, condiziona
la dinamica dei parametri sierologici e molecolari, e nei pazienti con alto grado di fibrosi se
ne perdono le tipiche correlazioni. Sebbene rimangano ancora da chiarire eventuali effetti
diretti sul programma di espressione virale, questi risultati dimostrano che il sistema
immunitario è in grado di modificare la capacità replicativa virale, sicuramente esercitando
una pressione selettiva sul virus e modificando l’ambiente cellulare.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
93
Comunicazioni Orali
LA VIREMIA DI TTV AIUTA A DEFINIRE LA FUNZIONALITA’ DEL
SISTEMA IMMUNE IN SOGGETTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO
D’ORGANO SOLIDO
Fabrizio Maggi1, Lisa Macera2, Daniele Focosi3, Melissa Santi1, Mauro Pistello1,2,
Luca Ceccherini Nelli1,2
1
U.O. Virologia Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa;
2
Sezione di Virologia e Centro Retrovirus, Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove
Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa, Pisa;
3
Divisione di Medicina Trasfusionale e Biologia dei Trapianti, Azienda Ospedaliera
Universitaria Pisana, Pisa
Torquetenovirus (TTV) è il prototipo di un vasto gruppo di piccoli virus a singolo filamento
di DNA circolare, recentemente classificati all’interno della famiglia Anelloviridae. TTV è
globalmente diffuso nel mondo, instaura infezione cronica senza apparente malattia in circa
l’80% della popolazione generale e circola nel sangue dei soggetti infettati con livelli che si
mantengono stabili o fluttuano nel tempo da 102 a 108 genomi per ml. Recenti osservazioni
suggeriscono che le variazioni nei livelli di TTV possano avvenire in risposta a perturbazioni
nell’assetto del sistema immunitario dell’ospite infettato. In questo studio, la presenza e i
livelli di TTV sono stati monitorati mediante real-time PCR nel sangue periferico di soggetti
sottoposti a trapianto di organo solido (fegato, rene, pancreas). La caratterizzazione genetica
del virus è stata condotta mediante l’uso di PCR genogruppo-specifiche. Mentre il TTV
circolante rimaneva costante nei soggetti arruolati come controlli sani, la viremia subiva un
significativo incremento nel tempo nei pazienti trapiantati. Tale incremento risultava simile in
tutti i soggetti, indipendentemente dal tipo di trapianto subito ma era influenzato dal grado di
severità dell’immunodepressione, dal numero di trapiantati e dalla tipologia del donatore
d’organo (vivente o cadavere). I livelli di TTV circolante correlavano direttamente anche con
lo status di riattivazione da citomegalovirus nei primi tre mesi post-trapianto. L’analisi dei
TTV presenti nel sangue dei pazienti, prima e dopo il trapianto, evidenziava l’elevata
eterogeneità genetica del virus, mostrava significative variazioni nel tempo dei TTV infettanti
ma non mostrava alcuna specifica relazione fra un particolare tipo di TTV e lo status del
sistema immunitario dei pazienti. In conclusione, i risultati dello studio dimostrano che la
misurazione della viremia di TTV può rappresentare un valido aiuto per definire la
funzionalità del sistema immune in soggetti sottoposti a trapianto d’organo solido.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Comunicazioni Orali
UNEXPECTED FREQUENT URINARY EXCRETION OF MERKEL
CELL POLYOMAVIRUS IN KIDNEY TRANSPLANT PATIENTS AND
HEALTHY SUBJECTS.
Serena Delbue1, Lucia Signorini1, Mirco Belingheri2, Luciana Ghio2, Elisabetta Pagani3,
Michela Samuelli1, Simone Dallari1, Silvia Carluccio1, Francesca Elia4, Rosalia Ticozzi1,
Mariano Ferraresso5, Pasquale Ferrante1,6
1
Department of Biomedical, Surgery and Dental Sciences, University of Milano, Milano, Italy
2
Nephrology, Dialysis and Transplantation Unit, Clinica Pediatrica De Marchi, Milano, Italy
3
Laboratorio Aziendale di Microbiologia e Virologia, Azienda Sanitaria dell’Alto Adige,
Bolzano
4
Ettore Sansavini Foundation, Lugo (RA), Italy
5
Department of Surgical Sciences, University of Milan, Milano, Italy
6
Istituto Clinico Città Studi, ICCS, Milano, Italy
Human Polyomaviruses (PyV) have a worldwide prevalence of 60% to 90% in the general
population. After the primary infection, the very well known BK virus (BKV) and JC virus
(JCV) establish latency in tubular epithelial cells of the kidney without any clinical effects.
Immunosuppression state, typical in kidney transplant patients, allows their transition from
latent to lytic phase. Lymphotropic Polyomavirus (LPV) was isolated from a Blymphoblastoid cell line of an African green monkey, but also found in human blood. Merkel
Cells Polyomavirus (MCPyV), recently described, is strongly associated with Merkel cell
carcinomas (MCC).
In order to evaluate the rate of PyV replication in kidney transplant patients, urine were
collected from 56 pediatric (PTP) and 45 adult (ATP) kidney transplant patients, and from 42
(PHC) pediatric and 45(AHC) adult healthy controls. Viral DNA was obtained using a
commercial kit and analyzed by specific Real Time PCRs to monitor the prevalence and the
loads of BKV, JCV, LPV, and MCPyV.
Urinary excretion of MCPyV was detected more frequently (p<0.05) in PTP (48.2%) and
PHC (33.3%), compared to JCV (10.7% in PTP and 11.9% in PHC), BKV (7.1% in PTP and
2.4% in PHC), and LPV (1.7% in PTP and 4.8% in PHC). On the contrary, the mean viral
loads of both JCV and BKV were significantly higher (p<0.05) in all the groups of patients
and controls compared to the mean viral loads of MCPyV and LPV. In conclusion: a) despite
the rarity of MCC, the associated virus, MCPyV is a common human infection; b) MCPyV
shows an excretion pattern resembling that of JCV and BKV and may probably persist in the
kidney and, upon reactivation, infect skin cells with subsequent integration and
transformation; c) the frequent presence of MCPyV genome in the urine of both PTP and
PHC may be representative of an ongoing primary infection, probably occurring earlier than
the primary infections of JCV and BKV.
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Comunicazioni Orali
NUCLEOTIDE POLYMORPHISMS IN THE 5’-UTR REGION OF HCV
CAN AFFECT THE ABILITY OF TWO WIDELY USED ASSAYS TO
ASSIGN AN HCV GENOTYPE
Pollicita M.1, Cento V. 1, Paba P. 2, Perno C.F. 1, 2, and Marco Ciotti 2
1
Cattedra di Virologia, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Universita’ di
Roma Tor Vergata, Via Montpellier 1, 00133 Roma.
2.
UOC Virologia Molecolare, Dipartimento di Medicina di Laboratorio, Fondazione
Policlinico Tor Vergata, Viale Oxford 81, 00133 Roma
Introduction: Determination of hepatitis C virus genotype is crucial for establishing the
duration of antiviral therapy and predicts response to treatment.
Material and methods: In this study, consecutive serum samples collected from two patients
with chronic hepatitis C infection were tested by two assays used widely, the Abbott
RealTime HCV Genotype II and the Versant HCV Genotype 2.0 assays, in order to assign a
genotype to the virus. The obtained results were verified by phylogenetic analysis of the
NS5B region and sequencing of the 5’-UTR of the viral genome.
Results: Testing of the serum samples from both patients gave an indeterminate result with
the Abbott assay. By contrast, The Versant assay gave an indeterminate result for one patient
and identified an HCV-2b subtype in the other patient. Phylogenetic analysis of the NS5B
region confirmed the presence of HCV-2b in this latter patient and disclosed the presence of
HCV-3h in the other patient. Sequencing of the 5’-UTR revealed the presence of nucleotide
changes at position -166 and -119 of HCV-2b, and at position -138, -108 and -99 of HCV-3h.
Conclusions: Nucleotide mutations located in the 5’-untraslated region of hepatitis C virus
may impair the ability of commercial assays to assign an HCV genotype.
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Comunicazioni Orali
ANALISI DELL’ESPRESSIONE DI MICRORNA PRODOTTI DAL
POLYOMAVIRUS JC
Simone Giannecchini1, Irene Giovannelli1, Valeria Clausi1, Anna Repice2, Luca Massacesi2, Alberta
Azzi1
1
Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence, 2Department of
Neuroscience, Psychology, Drug and Child Health Area, Careggi University Hospital,
Florence, Italy
Il Polyomavirus JC (JCPyV) è un virus umano persistente la cui riattivazione, in condizioni di
immunosuppressione, può determinare la Leucoencefalopatia Multifocale Progressiva.
Recentemente, è stato descritto che microRNAs (miRNA) prodotti da JCPyV down-regolano
l’espressione di geni virali precoci e interagiscono con fattori dell’ospite aiutando il virus a
persistere nell’ospite evadendo le difese immunitarie. In questo studio è stata analizzata la
presenza del DNA virale e l’espressione dei miRNA 5p and 3p di JCPyV in vitro, in colture
cellulari infettate con il virus, e ex vivo, in campioni di sangue e urine di pazienti con sclerosi
multipla (MS) sotto terapia con natalizumab. A tale scopo, tecniche di PCR quantitativa per il
gene LargeT e RT-PCR specifiche per miRNA sono state utilizzate per analizzare il DNA di
JCPyV e l’espressione dei miRNA 5p and 3p virali. In vitro, l’espressione dei miRNA 5p e 3p
è stata analizzata nelle cellule e negli esosomi prodotti da esse, durante l’infezione delle
cellule di rene di scimmia COS-7 trasformate con SV40 e nelle cellule ematopoietiche KG-1
con cloni molecolari di JCPyV. L’espressione di entrambe i miRNA era presente a partire da
24 ore dopo l’infezione sia nelle cellule che negli esosomi ottenuti dai supernatanti delle
cellule infettate. Tuttavia, sebbene il DNA di JCPyV era presente in entrambe i substrati
cellulari, una efficiente produzione di progenie virale era ottenuta solo nelle cellule COS-7.
Ex vivo, l’espressione dei miRNA 5p e 3p è stata analizzata nelle cellule mononucleate del
sangue periferico (PBMC) e negli esosomi del plasma e delle urine di pazienti con MS trattati
con natalizumab nei quali JCPyV era presente asintomaticamente nel sangue. In tali campioni,
sebbene il miRNA 5p era maggiormente prevalente del miRNA 3p, entrambe i due miRNA
erano presenti in tutti i PBMC JCPyV DNA positivi e assenti nei PBMC JCPyV DNA
negativi. Tuttavia, analizzando gli esosomi contenuti nel plasma e nelle urine dei medesimi
pazienti i due miRNA erano presenti anche in pazienti JCPyV positivi il cui specifico
campione di sangue o urina era risultato JCPyV DNA negativo. Questi dati indicano che lo
studio dell’espressione dei miRNA di JCPyV può essere fondamentale per comprendere il
loro ruolo nella riattivazione virale.
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Comunicazioni Orali
INFEZIONI DA ARBOVIRUS IN EMILIA-ROMAGNA:
EPIDEMIOLOGIA A PARMA NEL PERIODO 2001-2012
Maria Cristina Medici, Maria Cristina Arcangeletti, Silvia Preti, Francesca Ferraglia,
Federica Pinardi, Flora De Conto, Giovanna Piccolo, Sara Montecchini, Maddalena
Piergianni, Carlo Chezzi, Adriana Calderaro.
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Unità di Microbiologia e Virologia,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma, Viale Gramsci 14,
Parma.
Gli arbovirus, trasmessi ad un ospite vertebrato mediante la puntura di un artropode
ematofago, diffondono malattie come Dengue, febbre gialla, febbre del Nilo Occidentale,
Chikungunya, encefaliti trasmesse da zecche. Alcuni arbovirus, riportati in passato
soltanto in particolari aree geografiche, negli ultimi anni stanno emergendo a livello
mondiale. L’epidemia di Chikungunya verificatasi in Emilia-Romagna nel 2007 ha
evidenziato il fatto che virus esotici si adattano, sopravvivono e diffondono anche nel
nostro territorio trovando la presenza di idonei vettori e costituendo un serio problema di
sanità pubblica.
L’individuazione precoce dei casi sospetti associata all’accertamento rapido dell’infezione da
arbovirus consente di attuare tempestivamente efficaci misure di controllo finalizzate ad
impedire la diffusione dell’infezione e ad instaurare un adeguato trattamento del paziente.
In questo studio riportiamo l’epidemiologia dei casi di infezioni da arbovirus diagnosticati
nel nostro laboratorio quali virus Toscana nel periodo 2001-2012 e virus Dengue, virus
West Nile, virus Chikungunya e virus dell’encefalite trasmessa da zecche nel periodo 20072012, rispettivamente.
Complessivamente sono stati analizzati campioni appartenenti a 267 pazienti con sospetta
infezione da Toscana virus, 16 da virus Dengue, 52 da virus West Nile, 13 da virus
Chikungunya, e 1 da virus dell’encefalite trasmessa da zecche; sono stati diagnosticati 49
casi (18,3%) di infezione da virus Toscana, 13 (81,2%) da virus Dengue, 1 da virus
dell’encefalite trasmessa da zecche e 4 (30,7%) da virus Chikungunya. Non sono state
rivelate infezioni da virus West Nile.
Nel complesso, l'epidemiologia accertata nel corso degli ultimi anni suggerisce di prestare la
massima attenzione alle patologie causate da arbovirus, una volta ritenute conseguenti ad
infezioni esotiche e considerate nei nostri territori di puro interesse accademico.
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Comunicazioni Orali
THE USE OF CLART FOR THE DIAGNOSIS OF VIRAL
RESPIRATORY TRACT INFECTIONS
Matteoli Barbara1, Licata Gioacchino1, Broccolo Francesco2, Tagliaferri Enrico3,
Fazio Sofia1, Fusetti Lisa1, Giulia Freer1, Ceccherini-Nelli Luca1.
1 Virology Section, Department of Translational Research NTMS, University of Pisa,
Retrovirus Center and Pisa Hospital.
2 Department of Health Sciences, University of Milano-Bicocca.
3 Infectious Diseases Unit, Pisa Hospital.
The viruses most frequently associated with Respiratory Tract Infections (RTI) are,
Adenovirus (ADV), Bocavirus (BoV), Coronavirus (CoV), Enterovirus (ENTV), Influenza
viruses (INFV A, B, C), Metapneumovirus (MeTV), Parainfluenza viruses (IPV 1, 2, 3, 4a
and b), Rhinovirus (RV) and Respiratory Syncytial Virus (RSV), that replicate in the
respiratory tract, lung parenchyma or in the serous pleural .
Because of the overlapping symptoms of RTI and the high frequency of co-infections, the
clinical diagnosis of viral RTI is virtually impossible and the identification of the etiologic
agent by the conventional techniques can be difficult and time-consuming.
We employed a commercial CLART (Clinical Array), previously validated (Matteoli B et al.,
2012; Matteoli B and Ceccherini-Nelli L, 2012), to detect simultaneously the presence of 17
viruses (ADV ; BoV ; CoV ; ENTV (Echovirus) ; INFV (A seasonal H3N2, A H1N1, A
H1N1v, B and C); MPV (subtypes A and B); IPV 1, 2, 3, 4 (subtypes A and B); RV; RSV A,
RSV B), most frequently associated with RTI, in 20 left over respiratory tract samples from
patients with respiratory symptoms analyzed in the laboratory of Virology, University and
Pisa Hospital (AOUP) between October 2012 and April 2013. For all samples clinicians
requested the search of a single respiratory virus by Real- Time PCR .
We detected three co-infections (MPV B and RSV B, INFV A and H1N1, INFV RSV A and
B); three infections with INFV B; two infections with ADV; an infection with IPV 3; and an
infection with RSV A. 9 samples resulted negative. All results were confirmed by real-time
PCR; only in one sample RSVB was detected only by CLART.
CLART is confirmed as a rapid method that can detect, with high sensitivity and specificity,
respiratory viruses most commonly associated with respiratory syndromes .
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Comunicazioni Orali
ENCEFALITE DA INFEZIONE ACUTA DA PARVOVIRUS B19 IN UN
PAZIENTE IMMUNOCOMPETENTE
Palermo C.I.1, Sofia V.2, Castiglione G.3, Franchina C.1,4, Conti A.3, Costanzo C.M.4, Russo
R.1,5, Giuliano L.2, Scalia G.1,4
1
U.O. Virologia Clinica, Laboratorio Centralizzato, A.O.U. Policlinico-Vittorio Emanuele,
P.O. “G. Rodolico”, Via S. Sofia, 78, 95123 Catania
2
Dipartimento "G. F. Ingrassia", Sezione di Neuroscienze Università di Catania, Via S. Sofia,
87, 95123 Catania
3
U.O Rianimazione A.O.U. Policlinico-Vittorio Emanuele, P.O. “Vittorio Emanuele II”, Via
Plebiscito, 628, 95124 Catania.
4
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, Via Androne, 81,
95123 Catania
5
Dipartimento "G. F. Ingrassia", Università di Catania, Via S. Sofia, 87, 95123 Catania
Il parvovirus B19 (PVB19), agente etiologico della quinta malattia o eritema infettivo, è un
piccolo virus a DNA associato a diverse forme morbose, tra cui l’anemia aplastica transitoria
e l’aplasia midollare, tipicamente insorgenti nei bambini e nei soggetti immunodepressi. A
causa del suo tropismo,rivolto nei confronti dei progenitori eritroidi e di cellule permissive in
fase mitotica; risulta dubbia la possibilità che il virus potrebbe avere di infettare particolari
distretti quali il sistema nervoso centrale (SNC). Di fatto, le patologie a carico del SNC
associate all’infezione da PVB19 vengono raramente descritte; specie se la forma morbosa
interessa soggetti immunocompetenti. Viene riportato, quindi, il caso di un’encefalite acuta,
probabilmente associata a PVB19, insorta in un ragazzo di 18 anni sano, a cui è stato
riscontrato DNA del virus sia a livello ematico che liquorale. Il soggetto presentava febbre,
rash cutaneo e parametri ematologici tipici di un’infezione virale. L’indagine molecolare è
stata eseguita mediante Real-time qPCR con l’utilizzo di sonde ad idrolisi; l’inserimento nella
seduta di standard specifici (nell’ordine di 105-102), ha permesso la quantizzazione della
carica virale in entrambi i campioni saggiati. Del paziente, la cui risonanza magnetica non
mostrava nessun tipo di anomalia, sono pervenuti campioni seriali di liquor e siero,
rispettivamente all’esordio dell’encefalopatia e ai tre giorni dopo. Entrambi i campioni di
siero hanno manifestato 104 gEq/ml, tuttavia solo nel secondo prelievo di liquor è stato
rilevato acido nucleico virale (103 gEq/ml). L’infezione da PVB19, inoltre, è stata confermata
dalla presenza di anticorpi IgM ed IgG valutati nel primo prelievo ematico. In seguito a
trattamento con immunoglobuline aspecifiche (IVIG) le condizioni del paziente sono
migliorate fino alla risoluzione della patologia. Dai dati ottenuti si evince l’importanza della
ricerca di PVB19 in casi di encefalite; il nostro caso clinico dimostra l’esigenza di
rivalutazione dei protocolli diagnostici relativi alle manifestazioni neurologiche, soprattutto
quando la diagnostica per immagini non mostra nessun tipo di anomalia. La ricerca di
parvovirus B19 potrebbe chiarire l’evento scatenante o l’agente etiologico nelle forme di
n.d.d., permettendo di fare diagnosi la dove il problema rimane non diagnosticato.
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Poster
41° Congresso Nazionale
Poster
VALUTAZIONE DELL’IP-10 COME MARKER DELL’INFEZIONE DA
MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS.
Marina Cubeddu, Alessandra Bua, Paola Molicotti, Domenico Delogu, Stefania Zanetti.
Dipartimento di Scienze Biomediche, Azienda Ospedaliero Universitaria, Università di
Sassari
Lo sviluppo dei saggi basati sul rilascio dell’interferon-gamma (IGRAs) ha determinato
un’importante passo avanti nella diagnosi di infezione da Mycobacterium tuberculosis
complex. Oggi sono disponibili due saggi IGRAs che rilevano l’interferon-gamma (IFN-g)
rilasciato dai linfociti T sensibilizzati con gli antigeni tubercolari ESAT-6, CFP-10 e TB 7.7
codificati dalla regione genomica RD1 presente in M. tuberculosis complex e in pochi
micobatteri non tubercolari e assente nei ceppi vaccinali. Oltre all’IFN-g diverse citochine e
chemochine sono state saggiate come potenziali marker della risposta cellulare indotta da
antigeni tubercolari specifici e tra queste l’inducible-protein-10 (IP-10) potrebbe essere un
addizionale marker per la diagnosi di infezione tubercolare sia negli adulti che nei bambini.
L’IP-10 è una piccola chemochina che viene espressa dai macrofagi e dai monociti e viene
secreta in grandi quantità rispetto ad altre citochine compreso l’IFN-g. In questo lavoro, in
soggetti con infezione tubercolare latente e in pazienti con malattia attiva è stata valutata la
secrezione dell’IP-10 e dell’IFN-g indotta dagli antigeni tubercolari HBHA, ESAT-6, CFP-10
e TB 7.7. La proteina HBHA è stata purificata mediante cromatografia per affinità a partire
dal ceppo ricombinante Mycobacterium smegmatis 3.38, mentre gli antigeni ESAT-6, CFP-10
e TB 7.7 impiegati sono stati quelli del saggio immunologico del QuantiFERON-TB Gold. I
risultati ottenuti hanno indicato che l’IP-10 viene secreta in grande quantità anche in una fase
dell’infezione in cui ancora l’IFN-g risulta non rilevabile. Pertanto l’IP-10 sembrerebbe un
valido marker per la diagnosi di infezione tubercolare da utilizzare in associazione all’IFN-g.
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Poster
CONFRONTO TRA IL QUANTIFERON-TB GOLD IN-TUBE (QFT-IT)
E LA CITOMETRIA A FLUSSO PER LA DIAGNOSI
DELL’INFEZIONE TUBERCOLARE.
Melania Ruggeri, Sara Cannas, Paola Molicotti, Donatella Usai, Stefania Zanetti
Dipartimento di Scienze Biomediche - Università degli Studi di Sassari
I saggi immunologici basati sul rilascio di IFNγ (IGRA) da parte delle cellule mononucleate
del sangue periferico (PBMC) stimolate con antigeni specifici del Mycobacterium
tuberculosis, rappresentano un importante passo avanti nella diagnosi della tubercolosi latente
(LTBI). Questi test (QUANTIFERON-TB in Tube ed ELISPOT), da alcuni anni affiancano il
test cutaneo della tubercolina o test di Mantoux. Considerato che questi saggi utilizzano
antigeni specifici per M. tuberculosis complex, i risultati che si ottengono sono oggettivi e
quindi offrono numerosi vantaggi rispetto al classico test cutaneo, ma entrambi non
discriminano la LTBI dalla TB attiva. Inoltre diversi lavori hanno dimostrato che l’IFNγ,
espresso dalle cellule Th1, da solo non è in grado di conferire protezione all’organismo ma,
per ottenere un efficace controllo, sono necessarie numerose altre citochine. In letteratura
esistono pochi studi relativi alla loro analisi, pertanto lo scopo di questo lavoro è stato quello
di analizzare attraverso la citometria a flusso l’espressione di 7 differenti citochine coinvolte
nell’infezione tubercolare (IL2, IL4, IL6, IL10, TNFα, IFNγ ed IL17) su 93 pazienti
sottoposti al test del Quantiferon. Tutti i pazienti in base ai risultati ottenuti, sono stati
suddivisi in tre categorie: un gruppo di controllo, costituito da 41 pazienti QFT negativi, un
secondo gruppo costituito da 50 pazienti QFT positivi ed infine 2 soggetti con valore
indeterminato al test. I risultati ottenuti mostrano che i pazienti QTF positivi oltre ad
un'elevata produzione di IFNγ, evidenziano un rilascio significativo di IL2 ed IL6. Non hanno
invece dato dei risultati rilevanti le IL4, IL10, TNFα ed IL17. Ulteriori studi sarebbero,
dunque, necessari per capire il loro ruolo nell’infezione tubercolare latente e nella malattia e
se queste due citochine possano essere significative nel discriminare questi due diversi
meccanismi messi in opera dal M. tuberculosis.
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105
Poster
MICRORGANISMI ISOLATI DA FERITE INFETTE: LORO RUOLO
NEL PROCESSO DI CRONICIZZAZIONE
L. Cellini1, M. Di Giulio1, E. Di Campli1, L. Bessa1, M. Baffoni1, P. Fazii2
1
Dipartimento di Farmacia, Università “G. d’Annunzio”, Chieti–Pescara
2
Servizio di Laboratorio Analisi Chimico–Cliniche e Microbiologia, P.O. “Spirito Santo”,
Pescara
L’infezione delle ferite ha un ruolo importante nel processo di cronicizzazione. In particolare,
il biofilm microbico rappresenta un fattore che interviene nel ritardare la guarigione.
Questo studio si sviluppa in due fasi: i) analizza retrospettivamente le specie microbiche
isolate da ferite infette ed i pattern di sensibilità agli antibiotici più comunemente utilizzati in
terapia ii) valuta l’effetto del laser NIR (Near Infrared) su biofilm mono e polimicrobici
prodotti da ceppi isolati con maggiore frequenza dalle ferite croniche.
Trecentododici campioni sono stati raccolti da marzo a settembre 2012 presso il Laboratorio
di Analisi Chimico–Cliniche e Microbiologia dell’Ospedale di Pescara da ulcere provenienti
da 213 pazienti; i campioni sono stati analizzati per l'identificazione dei microrganismi e per
la determinazione della sensibilità agli antibiotici mediante il sistema Vitek 2. Da 217 ulcere
infette sono state isolate 28 specie batteriche. Le specie più comunemente isolate sono
risultate: Staphylococcus aureus (37%), Pseudomonas aeruginosa (17%), Proteus mirabilis
(10%), Escherichia coli (6%) e Corynebacterium spp. (5%). Infezioni polimicrobiche sono
state rilevate in 59 campioni (27.1%) costituite principalmente da due specie S. aureus/P.
aeruginosa. Tutti i Gram-positivi sono risultati sensibili a vancomicina e a linezolid. I Gramnegativi hanno mostrato elevata resistenza alla maggior parte degli antibiotici; l’amikacina è
stato l’antibiotico più attivo nei confronti di questi microrganismi.
Con i ceppi S. aureus PECHA10 e P. aeruginosa PECHA9, isolati da uno stesso paziente,
sono stati preparati biofilm mono e polimicrobici su superfici di polistirene rivestite di
collagene di tipo I. E’ stato valutato l’effetto antibiofilm del laser NIR mediante: la
misurazione della biomassa, la conta delle colonie ed il test di vitalità cellulare. Il trattamento
con laser NIR esercita una debole azione disgregante sulla struttura di tutti i biofilm saggiati
con una riduzione della crescita cellulare nel biofilm di S. aureus e dei biofilm polimicrobici
formati.
I dati raccolti in questo studio sottolineano l’importanza di un controllo dei microrganismi
nelle ferite, in special modo quelle croniche, suggerendo l’introduzione di trattamenti
adiuvanti come il laser NIR, al fine di facilitare il processo di guarigione.
106
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Poster
LA PROTEINA SPR1875 DI STREPTOCOCCUS PNEUMONIAE
PROTEGGE IL BATTERIO DAL KILLING DELLA MICROGLIA
Samuele Peppoloni1, Bruna Colombari1, Concetta Beninati2, Franco Felici3, Giuseppe Teti2,
Pietro Speziale4, Susanna Ricci5, Andrea Ardizzoni1, Lidia Manca1 ed Elisabetta Blasi1.
1
Dip. Medicina Diagnostica, Clinica e di Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio
Emilia; 2Dip. Elie Metchnikoff, Università di Messina; 3Dip. di Bioscienze e Territorio,
Università del Molise, Pesche; 4Dip. di Medicina Molecolare, Istituto di Biochimica,
Università di PaviA; 5Laboratorio di Microbiologia Moleculare e Biotecnologia, Dip. di
Biotecnologie Mediche, Università di Siena.
Introduzione. Streptococcus pneumoniae è un’importante causa di morbilità e mortalità nel
mondo. Per lo sviluppo di vaccini efficaci nel prevenire le malattie pneumococciche è cruciale
l’identificazione e la caratterizzazione degli antigeni batterici coinvolti nella risposta
immunitaria dell’ospite. Nel presente lavoro, abbiamo utilizzato il ceppo acapsulato DP1004
ed il suo mutante isogenico knock-out per spr1875 al fine di studiare il ruolo della proteina
Spr1875 nell’interazione di S. pneumoniae con la microglia.
Materiali e metodi. Mediante screening di una libreria genomica phage-display con sieri di
pazienti convalescenti sono stati identificati cloni con epitopi B pneumococcici. Tra questi, è
stato isolato un frammento, denominato R4, codificato dalla ORF spr1875. Per valutare il
ruolo di Spr1875 nella patogenicità di S. pneumoniae è stato costruito un ceppo mutante privo
della proteina. Mediante l’uso di un modello di infezione in vitro ed un saggio di protezione
agli antibiotici abbiamo valutato la capacità delle cellule microgliali BV2 di fagocitare ed
uccidere il mutante spr1875-ko, nonché la sua sopravvivenza all’interno delle cellule BV2,
rispetto al ceppo parentale DP1004.
Risultati. Entrambi i ceppi erano fagocitati efficientemente ed in modo simile dalla microglia.
Tuttavia, la sopravvivenza del ceppo mutante spr1875-ko all’interno delle BV2 era
significativamente più bassa di quella osservata con il ceppo selvaggio. In accordo, la
percentuale di fagolisosomi acidi in cellule microgliali contenenti batteri spr1875-ko era
marcatamente più elevata di quella registrata in cellule infettate con DP1004. Inoltre, erano
osservate differenze significative tra i due ceppi anche in termini di suscettibilità al killing
della microglia.
Conclusioni. Questi risultati indicano che l’antigene Spr1875 protegge il batterio dal killing
mediato dalla microglia, suggerendo che questa proteina possa giocare un importante ruolo
nella patogenesi della meningite pneumococcica
.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Poster
APPLICAZIONE DI METODICA REAL TIME PCR PER
L’IDENTIFICAZIONE RAPIDA DI BATTERI GRAM POSITIVI
RESPONSABILI DI SEPSI
Pulcrano G., Esposito M., Soriano A.A., Roscetto E., Iula D.V., Rossano F., Catania M.R.
Dip. di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli
Federico II.
Le infezioni del torrente circolatorio sono associate a significativa morbidità e mortalita
spesso in pazienti ospedalizzati o immunodepressi. Un outcome clinico favorevole è associato
direttamente alla velocità, specificità e sensibilità con cui viene identificato il patogeno
responsabile e quindi somministrata l’adeguata terapia antibiotica. Proprio il metodo
colturale, che rappresenta ancora oggi il gold standard per la diagnosi di batteriemia e
fungemia, richiede non meno di 48-72 ore dal momento del prelievo del campione prima di
una risposta definitiva. Le terapie colturali convenzionali hanno inoltre lo svantaggio di
risultare falsamente positive in caso di contaminazione del campione di partenza o falsamente
negative per pazienti già precedentemente posti sotto terapia antibiotica. L’applicazione di
tecnologie basate sulla ricerca di DNA direttamente nel sangue diminuisce i tempi di attesa
della risposta e permette una precoce inizio della terapia antibiotica: diversi metodi molecolari
sono stati descritti per l’identificazione di microbi, la maggior parte dei quali basati
sull’identificazione di sequenze genomiche specifiche dei patogeni. Lo scopo della ricerca è
stato quindi mettere a punto un metodo veloce ed economico per l’identificazione diretta da
campioni di sangue dei principali microrganismi patogeni attraverso l’utilizzo della tecnica
Real-Time PCR.
Per l’identificazione dei patogeni, sono usati primers universali e probes specifici. Primers e
probes sono stati disegnati a partire dalle regioni dei geni per gli RNA ribosomali 16S e 23S.
Sensibilità e specificità sono state testate direttamente su campione biologico, preparando
diluizioni scalari di un inoculo iniziale di 0.5 McFarland (corrispondente a 1.5x108 batteri/ml)
di ceppi di Stafilococchi e Streptococchi ed estraendo il DNA da ciascun campione mediante
l’utilizzo di un estrattore automatico (NucliSense EasyMag – Biomerieux). Analisi di Real
Time PCR hanno evidenziato la presenza del segnale fluorescente per i campioni biologici
contenenti 105, 104, 103 CFU/ml di batteri. Tali risultati incoraggiano l’utilizzo di metodiche
molecolari per determinare una netta riduzione dei tempi di identificazione del microrganismo
responsabile d’infezione, a partire da campione biologico.
108
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
A NOVEL DYNAMIC METHOD TO ANALYZE THE ACTIVITY OF
CONTACT LENS CARE SOLUTIONS AGAINST MICROBIAL
BIOFILMS
Andrea Cellini1, Rosanna Papa1, Marco Tilotta1, Gian Luca Scoarughi1, Stefano Palma2,
Marco Artini1, Laura Selan1
1
Department of Public Health and Infectious Diseases, Sapienza University, Rome, Italy
2
Department of Experimental and Clinical Sciences, G. D’Annunzio University, Chieti, Italy
Soon after contact lenses (CL) are inserted into the eyes, they rapidly accumulate on their
surface lipids, proteins, glycoproteins and contained in the tear film that can favour the
adhesion of commensal bacteria and biofilm formation. Infections may be caused by the
proliferation of indigenous flora that populates human the conjunctiva such as Staphylococcus
epidermidis, or others opportunistic pathogens. Moreover, Pseudomonas strains are the most
common etiologic agent of microbial keratitis associated with the use of contact lenses. Our
purpose is the evaluation of the activity and the capacity of different contact lens solutions to
interfere with the mechanisms of biofilm, utilizing a novel dynamic method.
Four bacterial strains were investigated: S. marcescens and P. aeruginosa for the Gramnegative bacteria and S. epidermidis and S. aureus for the Gram-positive.
A static primary assay was first performed to analyze the effect of three CL solutions
(Biguanide/Polyquaternium, OxyChlorite® and Polyquad®/Aldox®) on four bacterial strains.
Dynamic assays were performed with the BioFlux system to analyze the effect of
OxyChlorite® solution on the biofilm formation of selected strains.
Our studies show that all solutions are able to completely inhibit the biofilm formation of
Staphylococcus species and S. marcescens after only 4 h of incubation, at higher
concentration analysed (75% disinfectant). Considering that Pseudomonas biofilm is more
difficult to eradicate, an evident biofilm reduction was observed. In particular, on
Pseudomonas strains better results were given by the OxyChlorite® solution. Results obtained
from static assays were validated by dynamic assays performed with BioFlux system.
These findings indicate that the CL solutions tested are able to contrast biofilm formation.
Therefore, the BioFlux system may be useful to analyze the effectiveness of the contact lens
solutions against microbial biofilm formation.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
109
Poster
SVILUPPO DI UN DATABASE PER L’IDENTIFICAZIONE
DI BORRELIA SPP. MEDIANTE SPETTROMETRIA DI
MASSA MALDI-TOF
Adriana Calderaro, Chiara Gorrini, Giovanna Piccolo, Sara Montecchini, Mirko Buttrini,
Sabina Rossi, Maddalena Piergianni, Maria Cristina Arcangeletti, Flora De Conto,
Carlo Chezzi, Maria Cristina Medici.
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma, viale A. Gramsci, 14 43126 Parma.
Le borrelie sono batteri gram-negativi microaerofili a lenta crescita trasmessi all'uomo
mediante il morso di un artropode vettore. Il complesso Borrelia burgdorferi sensu lato
comprende gli agenti eziologici di Borreliosi di Lyme (LB), una malattia sistemica
trasmessa all'uomo dal morso di una zecca dura. In Europa le specie responsabili della
LB sono: B. burgdorferi sensu stricto (ss), B. afzelii e B. garini.
In questo studio la spettrometria di massa con tecnologia MALDI-TOF è stata
applicata all’identificazione di borrelie per l’implementazione del database dello
strumento in uso nel nostro laboratorio, già comprendente le specie Borrelia burgdorferi
ss, B. garini e B. spielmanii, con B. afzelii, unica specie mancante delle tre agenti
eziologici di LB in Europa. Sono stati inoltre inclusi nello studio 3 ceppi di riferimento
appartenenti alle specie B. hermsii, responsabile di febbre ricorrente in Nord America,
B. japonica, circolante in Asia, e B. burgdorferi ss (B31) per rendere più accurate future
applicazioni volte all’identificazione di borrelie. E' stato inoltre possibile verificare
l'efficacia del database creato identificando un ceppo di isolamento clinico (UCSC)
precedentemente caratterizzato mediante studi biochimici e molecolari come B. burgdorferi ss.
L'analisi mediante MALDI-TOF MS ha prodotto per 3 dei ceppi di riferimento analizzati
(B. afzelii,
B. hermsii e B. japonica) un profilo proteico specifico non riconducibile a nessuno
dei profili presenti nel database dello strumento. Il profilo proteico ottenuto dal
ceppo di riferimento B. burgdorferi ss (B31) è stato correttamente associato a quello
del ceppo di B. burgdorferi ss già presente nel database, così come per il ceppo di
isolamento clinico UCSC.
Infine, dagli spettri ottenuti mediante MALDI-TOF è stato possibile creare un
dendrogramma che riflette la separazione delle specie appartenenti al complesso Borrelia
burgdorferi sensu lato da B. hermsii che si posiziona in un gruppo separato.
I risultati riportati in questo studio dimostrano che la tecnologia MALDI-TOF MS è utile
sia a fini diagnostici per il rilevamento e l'identificazione di specie di Borrelia sia a scopo
epidemiologico per la eventuale realizzazione di strategie di sorveglianza.
110
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
EFFETTI DELLA RIFAMPICINA-RESISTENZA SUL METABOLISMO
E LA FITNESS DI NEISSERIA MENINGITIDIS.
Chiara Pagliuca1; Roberta Colicchio1 ; Gabiria Pastore2; Annunziata Gaetana Cicatiello1 ;
Caterina Pagliarulo2; Pietro Alifano3; Paola Salvatore1,4.
1
D.M.M.B.M., Università degli Studi di Napoli Federico II; 2D.S.T. Università degli Studi del
Sannio; 3D.S.T.B.A. Università del Salento, 4Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II,
Napoli.
La malattia meningococcica è considerata un’emergenza sanitaria che necessita di interventi
tempestivi. Le strategie del sistema sanitario pubblico per il controllo della malattia
prevedono la chemioprofilassi dei contatti stretti con rifampicina. Negli ultimi decenni si è
assistito ad un’elevata insorgenza e diffusione di isolati clinici di meningococco rifampicina
resistenti (RifR) recanti mutazioni puntiformi nel gene rpoB, codificante la subunità β della
RNA polimerasi. Dati di letteratura indicano che tali mutazioni, sono associate a diversi
fenotipi come sensibilità alla temperatura, resistenza allo stress ossidativo e sopravvivenza a
carenze nutrizionali. Tali mutazioni potrebbero compromettere l'efficienza della trascrizione e
quindi la fisiologia del microrganismo determinando un costo sulla fitness batterica. Per
comprendere le relazioni tra l’antibiotico resistenza, fitness e virulenza meningococcica
abbiamo analizzato il fenotipo di cloni RifR del ceppo 93/4286 di N. meningitidis,
caratterizzati dalle mutazioni: H552Y, S548F e H552R. È stata pertanto analizzata la fitness
dei ceppi RifR in diversi terreni di coltura e condizioni di crescita sia singolarmente che in
competizione con il ceppo wild-type ed è stata inoltre valutata la capacità d’invasione dei
cloni RifR in cellule THP-1. Saggi di sensibilità all'ossido nitrico e resistenza al perossido
d’idrogeno, confermati mediante Real-time RT-PCR e Northern blot, hanno inoltre
evidenziato una diversa resistenza alle condizioni di stress normalmente indotte nell’ospite
umano durante il processo infettivo. Infine poichè è noto che la disponibilità dell’Lglutammato, precursore del glutathione, è funzionale nel prevenire il danno ossidativo sono
stati analizzati, oltre ai geni coinvolti nella risposta allo stress ossidativo, anche geni con un
ruolo chiave nel metabolismo del glutammato. I dati ottenuti suggeriscono che i mutanti RifR
oltre ad essere resistenti al trattamento antibiotico esibiscono una selettiva sopravvivenza alle
difese dell’ospite correlata ad una diversa attività metabolica. L’acquisizione di nutrienti
chiave dall’ospite aumenta la fitness del patogeno e le sue capacità di adattamento,
contribuendo così all’instaurarsi del processo infettivo.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
111
Poster
IL TRATTAMENTO CON LUCE LASER A BASSA E BASSISSIMA
INTENSITA’ ALTERA L’ADESIVITA’ DELLO Staphylococcus aureus A
CELLULE PRIMARIE IN COLTURA E INTERFERISCE CON
L’ESPRESSIONE DI FATTORI DI PATOGENICITA’ DELLO
STAFILOCOCCO
Sabrina Petruzzelli, Antonio Congiu, Michele Gallamini§ e Raffaello Pompei
Sezione di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di
Cagliari, e §RGMD, Genova
Premessa. L’uso del Laser in medicina si è diffuso notevolmente in questi ultimi decenni,
soprattutto come trattamento complementare nella terapia delle patologie osteo-articolari,
reumatiche e chirurgiche.
Piano di lavoro e metodi. In questo lavoro abbiamo sperimentato una fonte laser a bassa e
bassissima intensità (Biolite della ditta RGMD, in media 0.15 mW/ cm2 ) sulla capacità dello
Staphylococcus aureus di aderire alla superficie di cellule in coltura e di produrre fattori di
patogenicità (coagulasi).
Risultati. Utilizzando un trattamento Laser a luce pulsata, si è potuto dimostrare un effetto
significativo nell’inibire l’adesività e la colonizzazione dello S. aureus su monostrati di
cellule primarie umane in coltura, sia quando il trattamento era effettuato prima, che dopo
l’inoculazione dei batteri. Inoltre il Laser a bassa intensità ha mostrato di interferire in vitro
con la produzione e il funzionamento della coagulasi stafilococcica, che era fortemente inibita
da un singolo trattamento con luce laser pulsata. Al fine di comprendere il possibile
meccanismo d’azione del Laser sullo stafilococco, è stato esaminato l’effetto in vitro di luce
laser sul potenziale redox della matrice extracellulare, che è un elemento fondamentale per
l’adesività e il normale metabolismo delle cellule nei tessuti organici. Il potenziale redox della
matrice ha subito significative alterazioni, sia in senso positivo che negativo, a seconda della
quantità e intensità di luce laser pulsata somministrata.
Conclusioni. La luce laser a bassa e bassissima intensità ha dimostrato di poter essere
efficace e utile anche su un comune agente di infezioni batteriche umane, quale è lo S. aureus
e se ne prospetta l’uso come coadiuvante nel trattamento delle infezioni superficiali,
sopratutto per contrastare la sintomatologia infiammatoria e algica.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
CONFRONTO TRA TEST RAPIDI PER LA DIAGNOSI
MICROBIOLOGICA DI LEGIONELLOSI
Elena Piccoli, Simona Barnini, Barbara Fabiani, Mario Campa
U.O. Microbiologia Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Le legionelle sono microrganismi Gram negativi, ubiquitari, che sopravvivono nel suolo e
negli ambienti acquatici come parassiti endocellulari di protozoi a vita libera. Sono
responsabili del 5-10% dei casi di polmonite, sia nosocomiale che comunitaria.
Il contatto con questi batteri, per inalazione di aerosol e pulviscolo contaminati, è
estremamente comune. Generalmente le infezioni sono asintomatiche ma, in particolari
condizioni di immunocompromissione, si può manifestare la legionellosi, quasi sempre con
polmonite grave, letale nel 15-20% dei casi. La legionellosi può insorgere sia sporadicamente,
che come forma endemica o epidemica.
Il genere Legionella comprende attualmente 48 specie con 70 sierotipi diversi, di cui almeno
la metà associati a malattia nell'uomo. Il 90% circa delle infezioni umane, però, è causato da
Legionella pneumophila sierotipo 1.
La diagnosi precoce di infezione è fondamentale per un rapido intervento terapeutico;
nonostante il gold standard per la diagnosi microbiologica sia l'isolamento colturale, sono
stati sviluppati test rapidi, capaci di fornire un risultato in 15 minuti, laddove la coltura
richiede 2 o 3 giorni.
In questo studio, sono stati comparati 2 test immunocromatografici rapidi: TRU
LEGIONELLA (Meridian Bioscience, Inc), kit già in uso nella routine di laboratorio e
Legionella pneumophila (Mascia Brunelli S.p.a.), che forniscono risultati rispettivamente in
20 e 15 minuti.
Sui 198 campioni di urina esaminati, i kit hanno mostrato sensibilità e specificità confrontabili,
pari al 100%. Con il test Legionella pneumophila sono stati saggiati sia campioni di urina
freschi che dopo congelamento a -80°C, utilizzando in parallelo lotti diversi, con una perfetta
concordanza tra i risultati. Per 91 pazienti, negativi per la ricerca dell'antigene urinario di
L. pneumophila, sono state riscontrate infezioni da: S. aureus, S. epidermidis, S. hominis,
S. warneri, S. cohnii, S. pettenkoferi, S. pneumoniae, S. mitis/oralis, S. parasanguinis,
E. faecium, E. faecalis, C. urealyticum, P. acnes, Clostridium spp., E. coli, K. pneumoniae,
E. cloacae, A. xylosoxidans, C. koseri, A. baumannii, A. guillouiae, A. johnsonii, A. junii,
P. mirabilis, P. aeruginosa, S. maltophilia, H. influenzae, C. albicans, C. glabrata,
C. tropicalis, S. cerevisiae, A. fumigatus. Il test non presenta cross-reattività con antigeni delle
specie suindicate e risulta paragonabile al kit già in uso, consentendo un sia pur piccolo
risparmio di tempo nell'esecuzione.
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113
Poster
STUDIO SULL’ INTERAZIONE TRA GLUTATIONE E MORFOLINA
ALLOCATI Nerino1, MASULLI Michele1, LOCATELLI Marcello3, CARLUCCI Giuseppe3,
DI ILIO Carmine1,2
1
Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche, 2Ce.S.I., Centro Scienze
dell’Invecchiamento, 3Dipartimento di Farmacia, Università “G. d'Annunzio”, Chieti.
La morfolina è un composto eterociclico solubile in acqua ampiamente utilizzato in molte
applicazioni industriali come solvente, additivo, anticorrosivo, nella sintesi dei farmaci e in
agricoltura. La solubilità in acqua e il grande utilizzo della morfolina contribuiscono alla sua
diffusione nell’ambiente, soprattutto nelle acque di scarico industriali, ed è presente anche
nell’ acqua potabile e nel cibo. Sebbene la morfolina non sia catalogata come carcinogeno,
essa reagisce facilmente con agenti nitrosanti, risultando nella formazione di molecole
potenzialmente mutagene e carcinogene [1]. La rimozione della morfolina dall’ambiente è
perciò di grande interesse.
Alcuni batteri hanno la capacità di degradare la morfolina utilizzandola come sorgente di
carbonio, azoto ed energia [1]. Questi batteri, prevalentemente appartenenti al genere
Mycobacterium, hanno una crescita molto lenta, uno svantaggio per eventuali applicazioni
biotecnologiche [1]. In un lavoro successivo, è stato studiato l’effetto in vivo di una glutatione
trasferasi batterica sulla degradazione della morfolina suggerendo una correlazione tra attività
enzimatica e degradazione della molecola [2].
Le glutatione trasferasi (GSTs; EC 2.5.1.18) appartengono ad una famiglia di enzimi
multifunzionali principalmente coinvolti nella detossificazione cellulare, sia negli eucarioti
che nei procarioti, attraverso la coniugazione del glutatione a endobiotici e xenobiotici tossici
[3, 4].
Per confermare se la glutatione trasferasi è coinvolta nella degradazione della morfolina,
abbiamo studiato innanzitutto l’interazione tra morfolina e glutatione utilizzando tecniche di
spettroscopia e spettrometria di massa. Successivamente sono stati eseguiti saggi enzimatici
con una glutatione trasferasi batterica per verificare se la formazione del complesso è
catalizzata dall’enzima.
I risultati ottenuti dimostrano che esiste un legame tra glutatione e morfolina e che questo
complesso è catalizzato dalla glutatione trasferasi batterica.
1. Combourier B, Besse P, et al. (2000) Appl Environ Microbiol 66: 3187-3193.
2. Emtiazi G, Saleh T, Hassanshahian M (2009) Biotechnol J 4: 1-4.
3. Hayes JD, Flanagan JU, Jowsey IR (2005) Annu Rev Pharmacol Toxicol, 45: 51-88.
4. Allocati N, Federici L, Masulli M, Di Ilio C (2009) FEBS J, 276: 58-75.
114
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
STUDIO DELL’ATTIVITA’ ANTIBIOFILM DEL PEPTIDE
ANTIMICROBICO TEMPORINA B VERSO ISOLATI CLINICI DI
STAPHYLOCOCCUS EPIDERMIDIS
C. Medici, G. Maisetta, S. Esin, M. Campa, G, Batoni,
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia,
Università di Pisa
Staphylococcus epidermidis è tra le specie batteriche che più frequentemente sostengono
infezioni correlate alla formazione di biofilm su dispositivi medici. Il basso ritmo metabolico
e la presenza di un’abbondante matrice extracellulare, conferisce ai batteri in forma di biofilm
un fenotipo particolarmente resistente ai comuni chemioantibiotici rispetto alle stesse cellule
in forma planctonica. Da qui nasce la necessità, sempre più impellente, di identificare nuove
molecole ad attività farmacologica in grado di inibire la formazione dei biofilm e/o di
eradicare biofilm preformati. Recentemente l’utilizzo di peptidi antimicrobici quali agenti
antibiofilm ha suscitato grande interesse. Poiché, infatti, tali molecole esplicano la propria
azione a livello della membrana citoplasmatica, senza la necessità che le cellule bersaglio
siano in uno stato metabolicamente attivo, potrebbero rivelarsi agenti antimicrobici
particolarmente promettenti nei confronti delle cellule in biofilm.
Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’azione della Temporina B (T1b), un
peptide antimicrobico prodotto dalla cute di Rana temporaria, verso quattro ceppi di S.
epidermidis produttori di biofilm, tipizzati dal punto di vista genotipico e fenotipico
relativamente alla loro capacità di produrre matrici cellulari prevalentemente di natura
polisaccaridica o proteica.
L’attività antibiofilm è stata valutata quantificando sia la riduzione della biomassa totale dopo
colorazione con cristal violetto, sia la riduzione del numero di cellule vitali (CFU) associate al
biofilm, dopo 24 di trattamento con il peptide. T1b, saggiata in un intervallo di concentrazioni
comprese tra 12.5 μg/ml e 50 μg/ml, provocava una significativa riduzione della biomassa
totale di tutti i ceppi analizzati che correlava con una significativa riduzione del numero di
cellule vitali associate al biofilm. Alla concentrazione di 100 µg/ml, il peptide è risultato
anche attivo verso biofilm preformati con una riduzione da ½ a 2 log del numero di batteri
vitali, rispetto a quello ottenuto in assenza di peptide. T1b ha mostrato, inoltre, uno spiccato
effetto sinergico quando saggiata in combinazione con composti comunemente impiegati
come eccipienti in diversi tipi di preparazioni farmaceutiche, come la cisteina e l’EDTA. Tali
dati suggeriscono una potenziale applicazione di T1b come agente antibiofilm.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
115
Poster
PRESENZA DI GENOTIPI SIMILI DI CANDIDA ALBICANS IN
PAZIENTI CON INFEZIONI DISSEMINATE.
Cavallo M.1, Andreoni S.2, Ceresa C.1, Fracchia L. 1.
1
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi del Piemonte Orientale
“A. Avogadro” (Novara); 2Azienda Ospedaliero-Universitaria “Maggiore della Carità”
(Novara).
Candida albicans è un importante patogeno opportunista in grado di determinare anche gravi
infezioni locali o disseminate in pazienti immunodepressi sottoposti a particolari cure per le
quali è richiesta l’inserzione di dispositivi medici impiantabili temporanei o permanenti.
Sessantasei ceppi di C. albicans sono stati isolati da 58 da pazienti ricoverati in diversi reparti
presso l’Ospedale “Maggiore della Carità” di Novara da urinocoltura, da tampone uretrale e
vaginale, da tratto respiratorio, da tampone oro-faringeo, da essudati vari, da ferita chirurgica,
da emocoltura e da catetere venoso centrale al fine di valutare, attraverso la tecnica di
tipizzazione Single-Strand Conformation Polymorphism (SSCP), la presenza di ceppi con
profilo genetico simile tra pazienti ricoverati nei reparti di degenza.
La tipizzazione dei ceppi non ha evidenziato contaminazioni crociate da parte di ceppi di C.
albicans sia tra i diversi reparti di degenza, sia tra i pazienti. Tuttavia, sono stati individuati
genotipi simili all’interno di due gruppi di ceppi, provenienti da prelievi multipli in diversi
distretti corporei di due pazienti (definiti come A e B) con candidiasi disseminata. Cinque
ceppi di C. albicans con similarità pari al 100% sono stati isolati nel succo gastrico, nelle feci,
dall’emocoltura, da catetere venoso centrale e da tampone cutaneo del paziente A ricoverato
in Neonatologia. Dal paziente B, ricoverato nel reparto di Otorinolaringoiatria, sono stati
isolati cinque ceppi di C. albicans classificabili in due gruppi in base ai valori di similarità: al
primo gruppo appartenevano i due ceppi isolati da emocoltura e da catetere venoso centrale,
mentre al secondo i ceppi da tampone uretrale, da essudato e tampone cutaneo. All’interno dei
due gruppi la similarità tra i ceppi è risultata del 100%, mentre tra i due gruppi del 95%.
La tipizzazione tramite SSCP può essere utile per individuare sia la distribuzione di uno
stesso genotipo nei diversi reparti ospedalieri, sia per individuare le infezioni correlate
all’inserzione di cateteri venosi centrali: a questo proposito, nel nostro studio, è stato possibile
definire come infezioni “catetere correlate” le infezioni al torrente circolatorio nei pazienti A
e B.
Lavoro eseguito con fondi “Progetto di Ricerca Sanitaria Finalizzata 2009” della Regione
Piemonte.
116
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITÀ IN VITRO DI SOLITROMICINA CONTRO CEPPI DI
STREPTOCOCCUS AGALACTIAE (GROUP B STREPTOCOCCUS)
RESISTENTI ALL’ERITROMICINA
Giorgio Piccinelli1, Prabhavhathi Fernandes2, Carlo Bonfanti1, Arnaldo Caruso,
Maria Antonia De Francesco1
1
Institute of Microbiology, Department of Molecular and Translational Medicine, University
of Brescia, Brescia, Italy. 2 Cempra Inc., Chapel Hill, North Carolina, USA
Introduzione: Streptococcus agalactiae (Group B Streptococcus or GBS), riconosciuto di
recente come patogeno infettivo qualificato (QIDP) dall’organismo di controllo americano
FDA, rimane la causa principale di morbidità e mortalità nei neonati. Sebbene l’incidenza di
GBS in gravidanza sia diminuita, le concentrazioni minime inibenti (MICs) di penicillina e
ampicillina sono aumentate richiedendo più alte dosi di tali farmaci per il trattamento materno
e la profilassi intrapartum. Noi abbiamo determinato l’attività in vitro di solitromicina (CEM.101) contro 60 ceppi di Streptococcus agalactiae resistenti all’eritromicina e 10 ceppi
sensibili confrontandola a quella di diversi altri macrolidi e alla penicillina.
Metodi: La caratterizzazione fenotipica dei ceppi resistenti ai macrolidi è stata eseguita
mediante il test di diffusione a doppio dischetto. Una PCR multiplex è stata usata per
identificare i geni ermB, ermTR, e mefA/E dai ceppi di GBS. La determinazione della
concentrazione minima inibente è stata eseguita mediante il metodo della microdiluizione in
brodo secondo le linee guida del CLSI. Il metodo Etest è stato usato per penicillina,
azitromicina, claritromicina e eritromicina.
Risultati: CEM-101 ha una MIC50 di 0.008 µg/ml e una MIC90 di 0.015 µg/ml contro i ceppi
di Streptococcus agalactiae sensibili ai macrolidi. Queste MICs sono più basse di quelle
ottenute con la penicillina (MIC50 e MIC90 di 0.047µg/ml), l’antibiotico di scelta per la
profilassi e il trattamento delle infezioni GBS. Contro i ceppi di Streptococcus agalactiae
resistenti ai macrolidi, la solitromicina ha una MIC50 di 0.03 µg/ml e una MIC90 di 0.06
µg/ml.
Contro i ceppi ermB, CEM-101 ha una MIC50 di 0.03 µg/ml e una MIC90 di 0.06 µg/ml,
mentre contro i ceppi mefA ha una MIC50 di 0.03 µg/ml e una MIC90 di 0.125 µg/ml.
Contro i ceppi erm(B), le MICs di eritromicina, azitromicina e claritromicina erano >256
µg/ml, mentre contro i ceppi mefA, le MICs di eritromicina erano 6 e >256 µg/ml, le MICs di
azitromicina erano 16 e >256 µg/ml e le MICs di claritromicina erano 4 e >256 µg/ml,
rispettivamente.
Nel complesso, i nostri risultati dimostrano che CEM-101 ha una MIC più bassa o simile a
quella della penicillina e una buona attività contro i ceppi resistenti ai macrolidi indipendente
dal loro genotipo o fenotipo.
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117
Poster
PROPRIETÀ FUNZIONALI E DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA DI
BATTERI LATTICI (LAB) ISOLATI DA ALIMENTI FERMENTATI
Sara Federici, Raffaella Campana, Eleonora Ciandrini, Wally Baffone
Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Scienze Tossicologiche, Igienistiche ed
Ambientali, Università di Urbino “Carlo Bo”
Prima che un prodotto probiotico venga lanciato sul mercato è necessario condurre studi
specifici per verificare le proprietà probiotiche del ceppo o dei ceppi LAB in esso contenuti.
Alla luce di quanto premesso, il presente studio è stato articolato in due steps.
In primo luogo, in ceppi LAB, isolati da alimenti fermentati ed identificati mediante ARDRA,
è stata definita la capacità di sopravvivere nel tratto gastrointestinale e di aderire alla mucosa
intestinale. L’ abilità a competere con patogeni è stata valutata con saggi di interferenza
condotti utilizzando L. casei 12668, ceppo altamente adesivo, verso patogeni alimentari,
evidenziando una riduzione del processo adesivo solo di E. coli 0157:H7.
In secondo luogo è stato delineato il profilo fenotipico e genotipico di antibiotico-resistenza a
comuni antibiotici (ampicillina, clindamicina, eritromicina, gentamicina, streptomicina,
tetraciclina, vancomincina) mediante determinazione delle MICs e ricerca in PCR dei geni
tet(M), tet(W), tet(K), tet(L), tet(S), erm(A), erm(B), van(A), van(B). Anche se la resistenza
fenotipica è risultata ampiamente diffusa, solo il 21.4% degli isolati ha dimostrato di
possedere i genotipi erm(B) e tet(M). Pur rilevando caratteristiche probiotiche nei ceppi
saggiati, il riscontro di geni di resistenza può far supporre una considerevole diffusione del
fenomeno anche nel settore agro-alimentare, non consentendo di escludere un potenziale
rischio di trasferimento genico all’uomo. A tale proposito, Pediococcus pentosaceus 60211-1,
un ceppo portatore del gene plasmidico tet(M), è stato selezionato per verificare la sua
capacità di trasferire tale determinante a due recipients, E. faecalis JH2-2 e E. faecalis
OG1RF, mediante filter mating biparentale. Dall’esperimento non sono stati ottenuti
transconiuganti resistenti a tetraciclina, a riprova del fatto che P. pentosaceus non possiede
geni che possano mobilizzare il plasmide contenente tet(M). Successivamente, mediante filter
mating triparentale, è stato verificato se P. pentosaceus sia in grado di ricevere geni da altri
batteri in presenza di plasmidi mobilizzabili. Sono stati utilizzati come donors E. faecalis
OG1RF, avente il plasmide helper pIP501, ed E. faecalis JH2-2, che possiede il plasmide
pVA-GFP. Transconiuganti di P. pentosaceus sono stati ottenuti con un rate di trasferimento
pari a 3.86 x108. Pertanto, anche se tale ceppo può essere considerato sicuro come probiotico,
perché incapace di trasferire geni di resistenza, rimane da verificare se possa trasferirli a
batteri patogeni, una volta acquisiti geni per la mobilizzazione dei plasmidi.
118
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Poster
LACTOBACILLUS PLANTARUM RIDUCE LA VIRULENZA DI
STREPTOCOCCUS PYOGENES MODULANDO LA PRODUZIONE DI
IL-17, IL-23 E L’ESPRESSIONE DI TOLL-LIKE 2/4 IN CELLULE
EPITELIALI UMANE
Losacco A, Romano Carratelli C, Rizzo A
Dipartimento di Medicina Sperimentale. Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica.
Seconda Università degli Studi di Napoli.
Streptococcus pyogenes è un comune colonizzatore degli strati della mucosa della bocca, naso
e faringe, ma è anche un importante patogeno umano Gram-positivo che causa infezioni che
vanno da una faringite a gravi malattie sistemiche. La colonizzazione è spesso transitoria e
asintomatica, ma S. pyogenes può essere efficacemente internalizzato e sopravvivere
all'interno delle cellule respiratorie umane determinando stati di persistenza che possono
contribuire allo sviluppo di malattie infiammatorie croniche. I lattobacilli colonizzano le
mucose e sono protettivi verso diversi patogeni. Le cellule epiteliali partecipano alla risposta
innata dell’ospite esprimendo una varietà di citochine proinfiammatorie e TLR
nell'interazione con i microrganismi.
In questo lavoro si è studiato Lactobacillus plantarum, ceppo potenzialmente probiotico per la
sua capacità di influenzare la risposta immunitaria innata di cellule epiteliali HEp-2 e A549
all'infezione di S. pyogenes.
I risultati da noi ottenuti dimostrano che in entrambi i tipi di cellule epiteliali, HEp-2 e A549,
pre-trattate con lattobacilli e poi infettate con S. pyogenes presentano livelli di IL-17 e IL-23
in risposta a S. pyogenes significativamente inferiori rispetto alle cellule trattate solo con S.
pyogenes indicando che le cellule epiteliali possono essere regolate dai lattobacilli. Il pretrattamento con L. plantarum attenua la virulenza del patogeno come dimostra la sua
diminuita capacità di crescita sulle cellule HEp-2 e A549. I dati indicano, inoltre, che dopo il
contatto con S. pyogenes, le cellule epiteliali presentano maggiore espressione di TLR2/4
rispetto alle cellule non infettate, mentre il pre-trattamento con L. plantarum regola
negativamente l'espressione di TLR2/4 nelle cellule epiteliali HEp-2 e A549 stimolate con S.
pyogenes.
In conclusione i risultati da noi ottenuti dimostrano che L. plantarum promuove le difese
contro l'infezione da S. pyogenes modulando la risposta di IL-17 e IL-23 delle cellule
epiteliali attraverso il coinvolgimento di TLR2/4.
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Poster
ADESIONE BATTERICA A SUPERFICI IMPLANTARI IN TITANIO:
STUDIO IN VITRO E IN VIVO
1
Rizzo A, 2Guida L, 2Annunziata M, 1Losacco A, 1Romano Carratelli C, 1Mazzola N
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia; 2Dipartimento
Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche ed Odontoiatriche, Seconda Università
degli Studi di Napoli
La riduzione dell'adesione microbica ad un impianto, senza l'uso di farmaci, è il risultato a cui
si tende nei vari sistemi usati in implantologia. La superficie dell'impianto è suscettibile di
infezione principalmente per due motivi: formazione di un biofilm sulla superficie e capacità
immunitaria compromessa all’interfaccia impianto/tessuto. Le caratteristiche chimiche e
topografiche delle superfici implantari condizionano significativamente non solo l’attacco dei
tessuti molli perimplantari ma anche l'adesione e la proliferazione dei batteri orali.
Scopo di questo lavoro è studiare l'influenza che superfici implantari diverse in termini di
composizione chimica e rugosità di superficie possono esercitare sull’adesione batterica in
vitro ed in vivo. A questo scopo, sono state studiate superfici di titanio prodotte mediante
tornitura (T), moderata acidificazione (MA) e trattamento laser (Direct Laser Metal Forming DLMF) fornite da una azienda implantare (Leader Italia srl). Le diverse superfici sono state
esaminate mediante microscopia elettronica a scansione (SEM) e microscopia a forza atomica
(AFM).
Colture di Aggregatibacter actinomycetemcomitans sono state inoculate al di sopra delle
superfici implantari e dopo 2, 6 e 24 h i batteri adesi sono stati quantificati mediante conta
delle unità formanti colonie (CFU). Inoltre, i campioni di titanio sono stati esposti nel cavo
orale di tre soggetti parodontalmente sani e dopo 12 h è stata valutata la formazione di placca
batterica mediante conta totale. All'analisi SEM le superfici T, MA e DLMF sono risultate
chiaramente distinguibili l'una dall'altra. Nelle prove in vitro le superfici DLMF hanno
mostrato valori di adesione batterica significativamente più alti rispetto sia a T che MA a 2, 6
e 24 h. Inoltre le superfici MA hanno mostrato valori di adesione batterica già a 2 h, mentre
nessuna differenza è stata registrata a 6 e 24 h; i test in vivo hanno confermato tali risultati.
In conclusione le superfici tornite e quelle moderatamente acidificate sia in vitro che in vivo
hanno mostrato proprietà compatibili con un loro utilizzo.
120
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
MALASSEZIA PACHYDERMATIS: CORRELAZIONE TRA VIRULENZA
E VARIABILITA’ GENETICA DI ISOLATI FELINI.
*PARISI A.,*BUOMMINO E., * PICCOLO L.A., * BORRIELLO F., °NIZZA S.,
°CANTIELLO A.,°FIORITO F., °DE MARTINO L., TUFANO MA., *DONNARUMMA G.,
*Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia clinica, Seconda Università
degli Studi di Napoli.
°Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Sezione di Malattie Infettive, Università degli
Studi di Napoli “Federico II”.
Malassezia pachydermatis è un lievito che fa parte del microbiota della cute e delle mucose
del cane e del gatto; in condizioni particolari, si comporta da agente patogeno, aggravando e
complicando malattie dermatologiche già presenti e occasionalmente può infettare l'uomo. I
risultati di alcune ricerche hanno dimostrato che M. pachydermatis può causare dermatiti in
soggetti immunodepressi e in neonati pretermine. Studi precedenti hanno dimostrato che M.
pachydermatis è in grado di infettare cheratinociti umani.
L'obiettivo dello studio è stato quello di tipizzare geneticamente ceppi di M. pachydermatis
isolati da animali domestici sintomatici (affetti da otite) e asintomatici al fine di valutare una
possibile correlazione tra il genotipo individuato e i rispettivi fattori di virulenza. A tale scopo,
i ceppi sono stati caratterizzati geneticamente mediante nested PCR delle regioni ITS1 e ITS2
e analisi RAPD. L’analisi RAPD è stata eseguita per valutare la variabilità genetica dei ceppi
isolati e determinare se un pattern genetico caratteristico possa essere correlato ad una
maggiore capacità di formare biofilm “in vitro” e alla produzione di attività fosfolipasica.
I ceppi analizzati hanno mostrato un diverso profilo RAPD indicando l’isolamento di
sottospecie diverse. Inoltre, dai dati preliminari emerge che i miceti isolati presentano
caratteri di virulenza differenti correlati ad una diversa gravità della sintomatologia del gatto.
I risultati qui riportati potrebbero mettere in luce la possibile associazione tra genotipo di M.
pachydermatis, fattori di virulenza espressi, sintomatologia del gatto e possibile trasmissione
dell’infezione all’uomo.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
121
Poster
ESCHERICHIA HERMANNII: PRIMO ISOLAMENTO IN COLTURA
PURA DA EMOCOLTURA IN PAZIENTE AFFETTO DA
ADENOCARCINOMA GASTRO-ESOFAGEO.
Mancuso R. (1), D’Oriano V. (2), Di Martino S. (3), D’Errico V. (1), Sorrentino C. (1),
Auriemma P.P. (4), Iovino F. (4), Folgore A. (1).
1. Unità operativa complessa di Virologia e Microbiologia del D.A.I dei servizi di
laboratorio di Medicina clinica e molecolare. Azienda ospedaliera Policlinico, S.U.N.
2. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università degli Studi di Napoli, Via
Costantinopoli 16 – 80138, Napoli.
3. Seconda Università degli studi di Napoli. Dipartimento di Biochimica e Biofisica
“F.Cedrangolo”, via L.De Crecchio 7 – 80138, Napoli.
4. U.O.C di Chirurgia generale vascolare e Biotecnologie applicate. Via Pansini 5, Napoli.
Escherichia hermannii è un bacillo gram negativo del genere Escherichia. Dopo il primo isolamento
(anni 80) fu classificato nel biogruppo E.coli–like, ed inserito nel gruppo enterico numero 11 del CDC
(Center of disease control) (1). La positività al KCN, al cellobioso e la caratteristica motilità, lo
differenziano dai batteri del genere Shigella, mentre la positività all’enzima ornitina decarbossilasi e la
reazione negativa alla fermentazione del D-sorbitolo, lo differenziano dai microrganismi del genere
Klebsiella. L’analisi molecolare del genoma lo correla per il 40-45 % ad E.coli ed a E.blattae. Test
biochimici ed il sequenziamento del rRNA 16S hanno supportato questo dato e lo hanno classificato
in una specie diversa, che prende appunto il nome di hermannii. Escherichia hermannii è presente
soprattutto nell’ambiente, nei sistemi di distribuzione dell’acqua potabile e nei rifiuti (2). Negli esseri
umani il microrganismo è riscontrato molto raramente, in particolar modo in campioni di ulcere, ferite,
espettorati e feci di pazienti ospedalizzati (3). È interessante notare come questo microrganismo venga
isolato come unico patogeno molto raramente. In passato si è verificato nel nostro laboratorio un caso
di positività di Escherichia hermannii in un ulcera di un paziente, in combinazione con altri patogeni,
soprattutto dei generi Escherichia, Enterococcus, e Pseudomonas.
Escherichia hermannii è stato isolato, come unico microrganismo presente, presso il laboratorio di
Batteriologia dell’Unità operativa complessa di Virologia e Microbiologia del D.A.I della S.U.N, nel
dicembre 2012, dal sangue di un paziente di anni 53, sottoposto a trattamento chemioterapico e
radioterapico per adenocarcinoma gastro-esofageo. Il campione di sangue, dopo essersi positivizzato
al BacT ALERT 3D (bioMérieux) sia dal flacone in aerobiosi che in anaerobiosi, è stato seminato su
piastre di Columbia CNA (agar sangue), di agar Cioccolato con Vitox , di Mac Conkey agar,
Mannitol Salt agar e Sabouraud agart (OXOID). Le piastre sono state incubate a 37°C, 5% CO2, sia in
condizioni di aerobiosi che in condizioni di anaerobiosi (Anaerogen Compact-OXOID) per diversi
giorni. L’identificazione della coltura batterica ed la suscettibilità antibiotica del ceppo sono state
esaminate mediante saggi biochimici semi-automatici (Sistema Vitek-2_ bioMérieux).
L’identificazione e l’antibiogramma, effettuati al Vitek2, hanno confermato l’inequivocabile univoca
presenza di tale microrganismo nel sangue di questo paziente. Presentiamo questo caso clinico per la
sua rilevanza epidemiologica riscontrata durante il monitoraggio microbiologico in un paziente
oncologico.
BIBLIOGRAFIA
1) J Clin Microbiol. 2008 Nov;46(11):3848-9. doi: 10.1128/JCM.01119-08. Epub 2008 Sep 3. Escherichia hermannii as
the sole isolate from a patient with purulent conjunctivitis. Poulou A., Dimitroulia E., Markou F., Tsakris A.
2) Clin Infect Dis. 2002 Nov 1;35(9):e96-8. Epub 2002 Oct 3.
Escherichia hermannii infection of a cephalohematoma: case report, review of the literature, and description of a novel
invasive pathogen. Dahl K.M., Barry J., DeBiasi R.L.
3) Scientific Medicine, Vol 1, No 2 (2009). Septicaemia by Escherichia hermannii. A perplexing diagnostic problem for a
physician. Shetty J.P., Shetty B., Rao C., Makannavar J.H.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
CARATTERISTICHE DI ADESIONE DI CEPPI DI BIFIDOBACTERIUM
LACTIS BB-12, BIFIDOBACTERIUM LONGUM W11,
BIFIDOBACTERIUM BIFIDUM SU CELLULE EPITELIALI UMANE
DELLA LINEA HT-29
R. Inturri, A. Stivala, C. Bonaccorso, *F. Sinatra, D. Nicolosi, G. Tempera, G. Blandino
Dipartimento di Scienze-Biomediche, Università di Catania
*Dipartimento G. F. Ingrassia, Università di Catania
Introduzione L’adesione alle cellule intestinali umane è considerata una delle proprietà
principali dei ceppi utilizzati in preparati probiotici.
Scopo dello studio è stato quello di analizzare le caratteristiche di adesività dei ceppi
probiotici Bifidobacterium lactis BB-12 (Yovis Regola), Bifidobacterium longum W11 (ZirFos), e Bifidobacterium bifidum (Bificol) utilizzando le cellule epiteliali umane della linea
HT-29 come modello in vitro per l’intestino. La denominazione a livello di specie di
Bifidobacterium è quella indicata in etichetta.
Materiali e metodi Il saggio di adesione mediante Microscopia a Scansione Elettronica
(SEM) dei ceppi in esame alle cellule della linea HT-29, veniva effettuato secondo il metodo
descritto da Ali et al. (WASET, 49:149-153, 2009). Un indice di adesione (ADI) delle cellule
batteriche adese veniva calcolato, mediante microscopia ottica ad immersione (LEICA
DMLB), come il numero di batteri adesi su 100 cellule HT-29, facendo la media dei batteri
adesi in dieci differenti campi microscopici, utilizzando la metodica descritta da Guglielmetti
et al. (Appl Env Microbiol, 76: 3948–3958, 2010). La probabile formazione di biofilm dei
batteri adesi alle cellule HT-29 è stata verificata al microscopio elettronico a scansione
(Hitachi S 4000).
Risultati Il saggio di adesione mediante SEM ha mostrato per i tre ceppi probiotici saggiati
differente adesività sulle cellule della linea HT-29.
L’osservazione al microscopio ottico a immersione ha evidenziato per il ceppo di B. bifidum
un indice di adesione più alto sia a 30 che a 60 minuti dall’incubazione (400≤ADI30 min<1200
e 1200≤ADI60 min<2500), rispetto agli altri due ceppi in esame (B. lactis BB-12: 50≤ADI30
min<100 e 400≤ADI60 min<1200; B. longum W11: 50≤ADI30 min<100 e 100≤ADI60 min<400).
Dopo 60 min, l’incremento dell’indice di adesione, nelle condizioni dell’esperimento, è stato
più alto soprattutto per B. lactis.
Inoltre, l’osservazione SEM ha evidenziato la produzione di strutture biopolimeriche, da parte
dei ceppi in esame.
Conclusioni I nostri esperimenti in vitro hanno confermato per i tre ceppi probiotici di
Bifidobacterium spp. in esame idonee caratteristiche di adesività, anche se hanno mostrato
differenze dell’indice di adesione per i tre ceppi. Ulteriori nostri studi sono in corso per
caratterizzare i biopolimeri e chiarirne il ruolo nei meccanismi di adesione.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
123
Poster
MICROORGANISMI PRELEVATI DA GROTTE DEL LAZIO
POTENZIALI PRODUTTORI DI NUOVI ANTIBIOTICI
Paolo Turrini, Tiziana Persichini, Marco Colasanti, Julio Padron
Laboratorio di Biologia Cellulare, Dipartimento di Scienze, Università Roma Tre, Roma
Un'importante risorsa nella ricerca di microorganismi potenzialmente produttori di nuove
sostanze bio-attive, come gli antibiotici, potrebbe derivare dallo studio dei microorganismi
che vivono nelle grotte. In letteratura ci sono una serie di evidenze a favore di questa ipotesi:
a) i maggiori produttori di antibiotici sono gli actinomicetes, batteri che vivono nel suolo e
presenti anche nell'ambiente ipogeo; b) le condizioni ambientali estreme presenti nelle grotte,
quali l'assenza di luce e la scarsità di nutrienti, favoriscono la competizione tra i
microorganismi ed, in ultima analisi, la conseguente produzione di sostanze bio-attive come
gli antibiotici; c) l'isolamento dell'ambiente ipogeo da quello esterno potrebbe favorire il
fenomeno della speciazione e quindi la formazione di nuove specie di microorganismi; d) il
crescente fenomeno della resistenza agli antibiotici da un lato comporta l'urgente necessità di
trovare nuovi e più potenti antibiotici, dall'altro questa ricerca si scontra con la maggiore
difficoltà di reperire nuove specie di actinomicetes sulla superficie terrestre.
Il nostro studio si propone di eseguire un campionamento dei microorganismi presenti nelle
grotte delle montagne carbonatiche della regione Lazio. I campioni, prelevati a varie distanze
e profondità dall'ingresso delle grotte, sono stati seminati in vitro testando diverse condizioni
di coltura.
I campioni di microorganismi isolati sono stati poi congelati a -70°C al fine di generare una
ceppoteca e conservarli per lungo periodo. Gli stessi microorganismi isolati sono stati anche
oggetto di un preliminare studio di attività anti-batterica.
Risultati preliminari indicano che: 1) il team speleologico è in grado di effettuare
campionamenti in grotte anche ad elevate profondità, in zone vergini ed ancora in via di
esplorazione; 2) i campioni di microorganismi riescono a crescere in vitro utilizzando terreni a
basso contenuto di nutrienti; 3) i campioni di microorganismi sono in grado di riattivarsi e
crescere in coltura anche dopo aver subito un congelamento; 4) alcuni dei campioni di
microorganismi isolati producono alone di inibizione se coltivati su terreno contenente
Escherichia Coli e/o altri batteri.
Allo stato attuale diviene di fondamentale importanza riuscire a caratterizzare i
microorganismi isolati effettuando sia uno studio di tipo tassonomico che allestendo saggi di
attività antibatterica su larga scala.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
THE ADHESION OF BACTERIA AND YEASTS ON POLYETHYLENE
USED IN ORTHOPAEDIC SURGERY IS LIMITED BY VITAMIN E
ADDITION AND CROSS-LINKING PROCESS
Valeria Allizond1, Giuliana Banche1, Pierangiola Bracco2, Giorgia Piersigilli1, Nicoletta
Collino1, Alessandro Bistolfi3, Andrea Cimino3, Michele Boffano3, Anna Maria Cuffini1
1
Department of Public Health and Pediatrics, University of Torino, Turin; 2Department of
Chemistry, University of Torino, Turin; 3Department of Orthopedics, AO Città della Scienza e
della Salute, Turin, Italy
A feared complication of implant surgery is bacterial or fungal infection, initiated by
microbial adhesion and biofilm formation, and related to the biomaterial surface
characteristics. Staphylococci are the most common microorganisms causing biomaterial
associated infection (BAI), followed by streptococci, Gram-negative bacilli and yeasts. With
the aim to prevent BAI, the purpose of this study was to evaluate the adhesion of various
microbial strains on different prosthetic materials with specific surface chemical
characteristics, used in orthopaedic surgery. We compared the effects of vitamin E-added
Ultra High Molecular Weight Polyethylene (UHMWPE) and crosslinked UHMWPE with that
of standard GUR 1020 UHMWPE, upon the adhesion of ATCC biofilm-producing strains of
Staphylococcus epidermidis, S. aureus, Escherichia coli and Candida albicans. After different
incubation times the samples were sonicated to release the attached microorganisms and
spread onto agar to quantify colony forming units (UFC)/ml. The biomaterials were physicochemically characterized by means of scanning electron microscopy (SEM), water contact
angle (CA) measurements and attenuated total reflectance (ATR)-fourier transform infrared
(FTIR) spectroscopy, before and after adhesion assays. The experiments were assayed in
triplicate and repeated a minimum of three times. A statistical analysis on results was
conducted. No significant difference of the surface roughness, CA and ATR-FTIR
spectroscopy was found among the different biomaterials. After 3 and 7 h of incubation
microbial adhesion rates were similar with no statistically relevant differences among the
samples assayed. On the contrary, after 24 and 48 h of incubation a significantly (p<0.05 and
p<0.01) different adhesion trend was achieved on the three biomaterials, highlighting a
microbial adhesion significantly lower on vitamin E-added UHMWPE and crosslinked
UHMWPE compared with that on standard UHMWPE. Prosthetic UHMWPE added with
vitamin E and crosslinked UHMWPE are able to decrease significantly the adhesion of
various bacterial and fungal strains limiting biomaterial associated infection and consequent
implant failure.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Poster
VANCOMYCIN–LOADED
DEXTRAN-SHELLED/PERFLUOROPENTANE-CONTAINING
NANOBUBBLES ARE EFFECTIVE IN MRSA KILLING
G. Banche1, V. Allizond1, V.Tullio1, N. Mandras1, R. Cavalli2, C. Guiot3, M.Argenziano2,
M.Prato3, A. Khadjavi3, J. Roana1, D. Scalas1, G. Giribaldi4, C. Magnetto5, A.M. Cuffini1
1
Dip. Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche;2Dip. Scienza e Tecnologia del Farmaco;
3
Dip. Neuroscienze; 4Dip.Oncologia, Università di Torino; 5INRIM, Torino
S.aureus skin infections represent a major threat to public health related to the widespread
emergence of methicillin-resistant S.aureus (MRSA) strains. MRSA often develops
superficially located in wound infections. These infections often weakly respond to topical
drug applications, due to bacterial antimicrobial resistance and to drug inability to cross the
external skin barrier reaching dermal regions where bacteria are nested. Hence, the increasing
bacterial resistance to antibiotics has to be faced by non-conventional approaches, such as
nanostructured multifunctional carriers combined to non-invasive activation by external
stimuli. Nanobubbles (NBs) constituted by dextran shell and fluorocarbon inner core, are
small gas-filled nanospheres with sizes lower than 1µ, easily transcutaneously deliverable via
ultrasound-induced sonophoresis. Dextran shelled NBs can also be effectively loaded with
drugs. Vancomycin (VN)-loaded nanobubbles (VNLNBs) were compared to VN alone for
MRSA killing and for potential cytotoxicity on human keratinocytes (HaCaT cell line).
Dextran-shelled/perfluoropentane-containing VNLNBs were prepared and characterized for
physical-chemical properties by optical microscopy, laser light scattering, and drug release
studies. Liquid formulations of VN (1mg/ml)and VNLNBs (30% titrated)were tested on
MRSA(104CFU/ml) after 2,3,4,6,24h incubation. At each incubation time, the samples were
spread on agar medium to determine the CFU/ml. VN and VNLNBs were incubated with
HaCaT cells in DMEM medium plus 10% FCS for 24h, and cytotoxicity was evaluated by
measuring lactate dehydrogenase activity, whereas cell viability was checked by 3-(4,5dimethylthiazol-2-yl)-2,5-diphenyltetrazolium bromide assay.VNLNBs showed sizes less
than 500 nm, a negative surface charge and a spherical shape. In vitro studies displayed
prolonged drug release kinetics. The antibacterial efficiency was assessed for different
formulations and their responses during time monitored and compared. No toxic effects were
displayed on human keratinocytes, and cell viability was not significantly affected. VNLNBs
proved to be effective in MRSA killing without showing toxic effects on human
keratinocytes. Thus, they appear to be good therapeutic tools for treatment of infected chronic
wounds.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
VIBRIONI PATOGENI PER L’UOMO E PER I BIVALVI:
ANALISI DELLE BASI MOLECOLARI DELLA LORO PERSISTENZA
NEI MITILI
Elisabetta Pezzati, Monica Stauder, Chiara Grande, Margherita Bavestrello, Laura Stagnaro,
Laura Canesi, Luigi Vezzulli e Carla Pruzzo.
DISTAV, Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita, Università di
Genova
I bivalvi marini sono invertebrati filtratori in grado di accumulare nei loro tessuti un gran
numero di batteri, in particolare quelli appartenenti al genere Vibrio particolarmente
abbondanti nelle acque costiere. La persistenza di questi batteri nei tessuti dei bivalvi dipende
in gran parte dalla loro capacità di resistere all’azione battericida dell’emolinfa, frutto di
complesse interazioni tra batteri ed emociti circolanti. In questo studio, abbiamo confrontato
le interazioni di specie di Vibrio patogene per l'uomo (Vibrio cholerae) e per i bivalvi (Vibrio
aestuarianus e Vibrio splendidus) con i componenti dell’emolinfa di mitilo (siero ed emociti).
Gli esperimenti in vitro hanno mostrato che, in presenza di siero, tutti i vibrioni aderiscono
efficientemente agli emociti ma solo V. aestuarianus 01/032 e V. cholerae El Tor N16961
sono sensibili alla loro azione battericida. Anche se tutti i vibrioni testati presentano
l'emoagglutinina mannosio-sesnsibile (MSHA), il pre-trattamento batterico con D-mannosio
riduce l’associazione con gli emociti solo di V. aestuarianus e V. cholerae. Il siero di
emolinfa è stato applicato a una colonna di affinità “conA – agarosio” e il materiale legato è
stato eluito con D-mannosio (0,5 M). L'eluito analizzato mediante SDS-PAGE ha prodotto
una banda di circa 40 kDa. Gli esperimenti condotti con questa frazione hanno mostrato la sua
capacità di legarsi sia a V. cholerae che a V. aestuarianus. In un’altra serie di esperimenti
condotti in vivo, i mitili sono stati infettati con i vibrioni in esame e l’emolinfa è stata
campionata 6, 24 e 96 ore dopo l'iniezione. E’ risultato che V. aestuarianus e V. cholerae
vengono efficientemente eliminati dall’emolinfa, mentre V. splendidus persiste all’interno
degli animali. Nel complesso, questi risultati confermano che il destino dei batteri all'interno
dei bivalvi varia nelle diverse specie batteriche e dipende da specifiche molecole di
riconoscimento presenti nell’emolinfa e sulle superfici batteriche.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
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Poster
DIFFUSIONE DEI VIBRIONI NELL’EMISFERO SETTENTRIONALE
ASSOCIATA AL RISCALDAMENTO DELLE ACQUE.
Chiara Grande1, Elisabetta Pezzati1, Monica Stauder1, Ingrid Brettar2, Philip Chris Reid3, Rita
R Colwell4, Manfred G. Höfle2, Luigi Vezzulli 1, Carla Pruzzo1
1
Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita,Università di Genova,
(Italy); 2 Helmholtz Centre for Infection Research, Braunschweig (Germany),3 Sir Alister
Hardy Foundation for Ocean Science, Plymouth (UK); 4 University of Maryland, College
Park (USA).
L’incremento registrato recentemente in tutto il mondo nell’incidenza delle malattie associate
a batteri appartenenti al genere Vibrio sia nell’uomo che negli animali è stato correlato
all’aumento della temperatura superficiale del mare (SST). Allo scopo di studiare questo
fenomeno, è stata effettuata un’analisi molecolare retrospettiva dei vibrioni presenti in
campioni storici formalinizzati di plancton, raccolti negli ultimi 50 anni mediante il sistema di
campionamento “Continuous Plankton Recorder (CPR)” nei mari dell’emisfero settentrionale.
Poichè il plancton rappresenta una delle principali riserve ambientali di Vibrio spp., la ricerca
microbiologica in questi campioni rappresenta un approccio ideale per l’analisi storica
retrospettiva della diffusione dei vibrioni nelle acque in relazione con la SST. L'abbondanza
dei vibrioni associati ai campioni formalinizzati è stata valutata mediante real-time PCR con
primer specifici per il genere Vibrio e il dominio Bacteria e successivo calcolo dell’indice di
abbondanza relativa (Vibrio relative abundance index). Per gli stessi campioni, sono stati
registrati i valori di SST dell’area di prelievo. I siti di campionamento hanno incluso: costa
Iberica, Golfo di Biscaglia, Mare del Nord, Isole Shetland, costa dell'Islanda, Nord Atlantico,
Nuova Scozia, Terranova e Nord Pacifico. In alcune di tali aree è stata osservata una
correlazione positiva tra l’aumento della SST e la concentrazione di Vibrio spp. negli ultimi
50 anni. Inoltre, mediante pirosequenziamento del DNA amplificato in alcuni di questi
campioni, è stato possibile fornire la prova che la presenza dei vibrioni, incluso Vibrio
cholerae, è dominante all’interno della comunità batterica associata al plancton delle acque
marine costiere. Questi risultati costituiscono un’ulteriore indicazione che il riscaldamento
globale potrebbe avere un forte impatto sulla composizione delle comunità batteriche marine
con importanti implicazioni per la salute dell’uomo e degli animali.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITA’ IN VITRO DI PEPTIDI ANTIMICROBICI NEI CONFRONTI
DI CEPPI BATTERICI MULTIRESISTENTI ISOLATI DA PAZIENTI
AFFETTI DA FIBROSI CISTICA
Pompilio A1, Mardirossian M2, Crocetta V1, Di Bonaventura G1, De Nicola S1, Guida F2,
Zappacosta R1, Gatta D1, Gherardi G3, Fiscarelli E4,Gennaro R2, Scocchi M2
1
Università di Chieti-Pescara; 2Università di Trieste; 3Università Campus Biomedico, Roma;
4
Ospedale “Bambino Gesù”, Roma.
Background: I pazienti affetti da fibrosi cistica (FC) presentano infezioni polmonari
frequentemente sostenute da batteri multi-resistenti agli antibiotici utilizzati in terapia. Una
possibile strategia terapeutica alternativa potrebbe prevedere l’impiego di peptidi antimicrobici,
importanti componenti della immunità innata di mammiferi e piante. Recentemente, abbiamo
dimostrato
l’efficacia
di
peptidi
di
origine
bovina
(BMAPs,
Bovine
MieloidAntimicrobialPeptides) verso isolati FC. Obiettivo:Valutare la attività antibatterica di
derivati di BMAPs nei confronti di ceppi batterici isolati da pazienti FCe la loro tossicità in vivo.
Metodi: Tre peptidi modificati -BMAP-27(1-18), BMAP28(1-18)e mBMAP28– sono stati
sintetizzati in fase solida mediante Fmocstrategy. La loro attività antibatterica è stata saggiata,
mediante microdiluizione in brodo, nei confronti di 45 isolati FC (15 P.aeruginosa, 15 S.
maltophila, 15 S. aureus), selezionati in quanto non clonali e multi-resistenti. La tossicità di
ciascun peptide, somministrato a dosi differenti per via intratracheale, è stata valutata in topi
C57Bl6. Risultati: In generale, i peptidi hanno mostrato una buona attività antibatterica,
comparabile a quella delle rispettive molecole naturali. L’analisi comparativa dei valori di
MIC90 indicava in BMAP28(1-18) e mBMAP28 i peptidi maggiormente attivi nei confronti
degli isolati considerati nel complesso (MIC90: 32 µg/ml). In particolare, BMAP27(1-18) e
mBMAP28 risultavano essere i peptidi maggiormente attivi vs P. aeruginosa (MIC90: 16
µg/ml), BMAP28(1-18) vs S. maltophilia (MIC90: 4 µg/ml) e mBMAP28 vs S. aureus (MIC90:
32 µg/ml). I saggi di tossicità polmonare indicavano in BMAP27(1-18) il peptide meno
tossico.Conclusioni: Le forme tronche di BMAPs da noi saggiate potrebbero essere
considerate quali “lead compounds” nella definizione di una strategia terapeutica alternativa
per il trattamento delle infezioni polmonari in FC. In particolare, il confronto incrociato dei
risultati inerenti la attività antibatterica e la tossicità in vivo ha permesso di selezionare
BMAP-27(1-18) quale miglior candidato per futuri studi di protezione in vivo.
Questo studio è stato finanziato dalla Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica - Onlus, Verona (Progetto
FFC#11/2012, adottato dalla Delegazione FFC del Lago di Garda con i Gruppi di Sostegno di Chivasso, dell'Isola
Bergamasca e di Arezzo).
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
129
Poster
INTERAZIONE IN VITRO TRA STENOTROPHOMONAS
MALTOPHILIA E PSEUDOMONAS AERUGINOSA CO-ISOLATI NEL
POLMONE DI UN PAZIENTE AFFETTO DA FIBROSI CISTICA
Crocetta V1, Pompilio A1, De Nicola S1,Verginelli F1, Guarnieri S1, Fiscarelli E2,
Di Bonaventura G1.
1
Università “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara; 2Ospedale “Bambino Gesù”, Roma.
Background: Numerose evidenze suggeriscono l’esistenza di un complesso microbioma nel
polmone di pazienti affetti da fibrosi cistica (FC), le cui componenti potrebbero interagire
modulando il declino della funzionalità respiratoria. P. aeruginosa, principale responsabile di
infezioni croniche polmonari nel paziente FC, viene frequentemente co-isolato con S.
maltophilia, il cui ruolo patogenetico in FC non è stato ancora chiarito.Obiettivo: Valutare in
vitro l’effetto della presenza di S. maltophilia sulla virulenza di P. aeruginosa. Metodi: Sono
stati considerati P. aeruginosa RR8 e S. maltophilia RR7, co-isolati da un polmone FC
cronicamente colonizzato. La cinetica di crescita delle forme planctoniche e sessili (biofilm)
dei due isolati, saggiati in singolo ed in co-coltura, è stata determinata mediante conta vitale
cellulare. L’effetto di S. maltophilia nei confronti della motilità (swimming, twiching,
swarming) e della resistenza allo stress ossidativo di P. aeruginosa è stato valutato mediante
utilizzo di surnatanti di colture planctoniche. L’effetto di S. maltophilia, in co-coltura, sul
profilo trascrizionale di un set di geni di virulenza di P. aeruginosa (rhlR, lasI, aprA, toxA,
algD, exoS, mexC, mexE) è stato valutato mediante real time-PCR. L’ultrastruttura dei
biofilms mono- e polimicrobici è stata infine osservata mediante microscopia confocale
multifotonica. Risultati: La velocità di crescita planctonica di entrambe le specie in cocoltura risultava significativamente ridotta rispetto alle relative crescite in singolo. La
presenza di P. aeruginosa riduceva significativamente la vitalità di S. maltophilia durante la
formazione di biofilm, come confermato anche dalla osservazione microscopica. La presenza
di S. maltophilia riduceva la motilità flagellare di P. aeruginosa (swimming: 17.0 ± 1.2 vs
20.4 ± 2.1 mm; esposto vs ctrl, rispettivamente; p<0.0001), mentre ne aumentava la sensibilità
allo stress ossidativo (18.8 ± 0.8 vs 17.4 ± 0.5 mm; esposto vs ctrl, rispettivamente; p<0.05).
L’analisi del profilo trascrizionale del biofilm di P. aeruginosa in presenza di S.maltophilia
evidenziava una significativa over-espressione di aprA, algD, toxA e mexC (p<0.05) ed una
down-regolazione di rhlR e lasI (p<0.001). Conclusioni: I nostri risultati, seppur preliminari,
indicano chiaramente come S. maltophilia sia in grado di modulare la virulenza di P.
aeruginosa.Ulteriori studi in vitro ed in vivo saranno necessari al fine didefinire i meccanismi
alla base di queste interazioni ed il loro impatto clinico nel paziente FC.
130
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ANTIBIOTICO-RESISTENZA DEL BIOFILM FORMATO DA UN
ISOLATO DI STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS DA
PAZIENTE EMATOLOGICO
De Nicola S1, Pompilio A1, Crocetta V1, Musella F1, Guarnieri S1, SaviniV2, Marrollo R2,
Carretto E3, Di Bonaventura G1
1
Università di Chieti-Pescara; 2Ospedale “Spirito Santo”, Pescara; 3IRCCS Arcispedale
“Santa Maria Nuova”, Reggio Emilia.
Background: Staphylococcus pseudintermedius è un patogeno di interesse prettamente
veterinario. Ad oggi, sono stati riportati soltanto quattro casi di zoonosi, l’ultimo dei quali,
primo in Italia, è stato recentemente osservato presso l’Ospedale di Pescara in un paziente
sottoposto a trapianto di midollo osseo allogenico che veniva successivamente ricoverato per
una infezione di ulcera addominale da S. pseudintermedius associata a graft-versus-host
disease. Obiettivo: Valutare in vitro l’efficacia di diversi antibiotici nei confronti del biofilm
formato da S. pseudintermedius.Metodi: La sensibilità dell’isolato S. pseudintermedius Sp32
a gentamicina, vancomicina, tetraciclina, tigeciclina, rifampicina, linezolid, cefoxitina e
cloramfenicolo è stata valutata mediante microdiluizione in brodo. L’effetto di concentrazioni
sub-inibenti (1/2x,1/4x,1/8xMIC) di ciascuna molecola nei confronti del biofilm in
formazione è stato valutato mediante saggio colorimetrico previa colorazione con
cristalvioletto. L’effetto di ciascuna molecola testata a concentrazioni inibenti (range: 1x128xMIC) nei confronti del biofilm preformato è stato valutato mediante conta vitale
cellulare. Risultati: Rifampicina risultava essere la molecola più attiva, mentre il
cloramfenicolo la meno efficace (MIC: 0.03 e 32 µg/ml, rispettivamente). L’analisi
comparativa dei valori di MIC e MBC indicava un meccanismo di natura battericida per gran
parte delle molecole saggiate. La attività nei confronti del biofilm in formazione risultava
essere dose-dipendente. In particolare, cefoxitina risultava essere la molecola più attiva
causando una riduzione pari a 86.5% già ad 1/8xMIC, mentre tetraciclina era l’unica molecola
non in grado di causare riduzione significativa a 1/8xMIC. Linezolid, tigeciclina e rifampicina
risultavano essere le molecole maggiormente attive verso il biofilm preformato, causando già
ad 1xMIC una riduzione significativa della vitalità (81.5, 82.4 e 87.4%, rispettivamente).
Gentamicina e rifampicina mostravano un effetto di tipo dose-dipendente. Nessuna molecola
consentiva la eradicazione del biofilm preformato, indipendentemente dalla concentrazione
saggiata. Conclusioni: La capacità di S. pseudintermedius di formare biofilm resistenti
all’azione degli antibiotici è suggestiva dell’elevato potenziale patogenetico anche nell’uomo.
Ulteriori studi saranno necessari per valutare come le condizioni osservate al sito di infezione
(es. pH acido, presenza di siero) possano influenzare la attività delle molecole testate.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
131
Poster
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI STIPITI DI
MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS ISOLATI A PALERMO
Bonura C.1, Mammina C.1, Sola C.2, Cuntrò M.1, Chiaramonte R.1, Fasciana T.M.A.1,
Aleo A.1, Amato T.1, Distefano S.1, A. Giammanco1.
1
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
"G. D'Alessandro". Università degli Studi di Palermo
2
CNRS-Université Paris-Sud, Institut de Génétique et Microbiologie, UMR8621,
Infection Genetics Emerging Pathogen Evolution Team, Orsay, France
Uno studio condotto da Nastasi A. e Mammina C. su stipiti di Mycobacterium tuberculosis
isolati a Palermo nel periodo 1994-1998 ha mostrato che l’87,4 % dei pazienti era
probabilmente infettato da ceppi non correlati e che i casi di riattivazione erano nettamente
più numerosi rispetto a quelli di infezione recente. Questo nostro iniziale studio ha anche
permesso di individuare in Sicilia un clade di isolati appartenenti alla famiglia «Shared Type
34» (ST 34) caratterizzata da peculiari caratteristiche genetiche e biochimiche.
Negli ultimi 10 anni si sono verificati notevoli cambiamenti demografici e sociologici, come
ad esempio una crescita del fenomeno dell'immigrazione e un progressivo invecchiamento
della popolazione e la Sicilia, in particolare, è stata continuamente influenzata da numerosi
flussi migratori provenienti dall'Africa e dai paesi dell'Europa orientale.
Tali ragioni ci hanno spinto a condurre un’indagine sulla epidemiologia molecolare della
tubercolosi a 10 anni di distanza dalla prima, in cui sono stati inclusi 81 isolati identificati
presso il laboratorio di Batteriologia del Servizio di Analisi Microbiologiche Virologiche e
Parassitologiche dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone di
Palermo nel periodo 2005-2011. Su tutti i ceppi sono stati eseguiti i test fenotipici di
resistenza ai farmaci e, su quelli risultati resistenti, sono stati condotti ulteriori test genotipici
per identificare le alterazioni genetiche correlate al fenotipo resistente. Inoltre, allo scopo di
ottenerne una più corretta discriminazione, i ceppi sono stati caratterizzati mediante
spoligotyping e 24 loci Variable Number of Tandem Repeat (VNTR).
Il nostro obiettivo ulteriore in questo studio è stato quello di verificare l’eventuale persistenza
dell’ST34 in Sicilia e di descrivere questo clade con maggiori dettagli genetici.
I risultati ottenuti confermano che vi è un basso tasso di trasmissione recente di tubercolosi in
Sicilia occidentale e che l'immigrazione è diventata la forza trainante dei casi di tubercolosi in
quest’area geografica.
132
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
DETERMINANTI, CONTESTI, ED ELEMENTI GENETICI ASSOCIATI
ALLA RESISTENZA AI MACROLIDI E AD ALTRI ANTIBIOTICI IN
STREPTOCOCCHI DI GRUPPO viridans.
1
1
Andrea Brenciani,1 Erika Tiberi, Emily Tili, Marina Mingoia,1 Claudio Palmieri,1
Pietro E. Varaldo1 e Eleonora Giovanetti2
Unità di Microbiologia, Dipartimenti di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica1 e di Scienze
della Vita e dell’Ambiente,2 Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia.
Nell’uomo gli streptococchi di gruppo viridans (VGS) sono parte del microbiota delle vie
aeree superiori, del tratto gastrointestinale e del tratto genitale femminile. Sebbene nell’ospite
immunocompetente questi microrganismi mostrino uno scarso potenziale di patogenicità, in
alcune tipologie di pazienti i VGS possono rendersi responsabili di gravi infezioni invasive
(endocarditi, infezioni intra-addominali, polmoniti e shock). I beta-lattamici rappresentano il
trattamento di prima scelta per queste infezioni, ma un aumento della resistenza alla
penicillina è stato segnalato in molte parti dei mondo. I macrolidi rappresentano una valida
alternativa, ma recenti studi hanno dimostrato che anche con questi antibiotici la resistenza
può rappresentare un problema.
Questo studio ha puntato a chiarire la distribuzione nei VGS dei meccanismi e dei geni di
antibiotico-resistenza e i relativi contesti/elementi genetici. Sono stati studiati 263 ceppi,
isolati nel 2010-2012 e identificati a livello di specie. 148 isolati erano eritromicino-resistenti
(56,3%, 37 appartenenti al fenotipo cMLS e 111 al fenotipo M) mentre gli isolati tetraciclinoe cloramfenicolo-resistenti erano rispettivamente 72 (27,4%) e 7 (2,7%). Sono stati rilevati
una varietà di elementi genetici noti o loro varianti (mega, Φ10394.4, Tn2009, Tn2010, IQ,
Tn917, Tn3872, Tn6002, Tn916, Tn5801, ICESp23FST81). 2 ceppi (0,8%) erano
levofloxacino-resistenti a causa di mutazioni in gyrA e/o parC. 19 ceppi (7,2%) erano
penicillino-resistenti: di essi, 14 mostravano mutazioni specifiche in motivi aminoacidici
conservati delle PBP 1A, 2X e 2B.
Questo è il primo studio mirato ad analizzare la distribuzione di determinanti, contesti, ed
elementi genetici di antibiotico-resistenza nei VGS. L'alta frequenza e la varietà di questi
elementi rafforzano l’ipotesi che i VGS possano rappresentare un importante serbatoio di geni
di resistenza per gli streptococchi più patogeni.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
133
Poster
DUE CASI DI PLEUROPOLMONITE DA
STREPTOCOCCUS PYOGENES INVASIVO DI TIPO M1
Di Luca Maria Chiara1, Petrelli Dezemona1, Bernaschi Paola3, Carletti Michaela3, Lucignano
Barbara3, D'Argenio Patrizia4, Cecchetti Corrado5, Gherardi Giovanni6, Prenna Manuela1,
Ripa Sandro1, Vitali Luca Agostino2.
1
Scuola di Bioscienze e Biotecnologie e 2Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della
Salute - Università di Camerino – Camerino, 3Laboratorio di Microbiologia e 4Dipartimento
Pediatrico Universitario Ospedaliero Unità Operativa Complessa di Immunoinfettivologia e
5
Dipartimento di Emergenza UOSD Area Rossa - Ospedale Pediatrico Bambino Gesù –
Roma, 6Campus Biomedico - Roma
La terapia antibiotica ha portato ad una diminuzione dell’incidenza di polmoniti da S.
pyogenes (GAS) con valori dell’ordine di 0,1-0,9 casi/100000 ab. Tuttavia le infezioni
invasive da GAS rimangono importanti per i quadri clinici e gli indici di morbidità/mortalità
ad esse associati.
Presentiamo le caratteristiche cliniche e microbiologiche di due casi di polmonite acquisita in
comunità occorsi nell’aprile 2013 in due soggetti in età pediatrica ricoverati in regime
d'urgenza presso il reparto di Immunoinfettivologia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù di Roma. La diagnosi alla dimissione è stata di insufficienza respiratoria acuta
e pleuropolmonite acuta (in un caso con versamento pleurico). I due ceppi di GAS sono stati
isolati dal liquido pleurico in un caso e dal liquido di drenaggio toracico nel secondo.
Gli isolati sono risultati sensibili alla penicillina, eritromicina, telitromicina, clindamicina,
tetraciclina, linezolid, quinupristina/dalfopristina, levofloxacina e rifampicina dopo test di
diffusione in agar secondo le linee guida dell’EUCAST. Entrambi i ceppi sono risultati di
emm-tipo 1.0 e l’analisi MLST li ha classificati appartenenti al ST28. L’analisi di
macrorestrizione con SmaI mediante PFGE ha mostrato profili identici, confermando che i
ceppi con altissima probabilità appartenevano allo stesso clone. Anche l’analisi dei geni di
virulenza principali (speA/B/C/F/G/J/H/I/L/M, smeZ, ssa, sdn e sla) ha sortito lo stesso
risultato per tutti e due i ceppi, che sono risultati positivi all’amplificazione mediante PCR dei
geni speA, speB, speF, speG e smeZ.
I casi descritti si aggiungono ad altri episodi di polmonite recentemente osservati nel nostro
paese e dovuti a ceppi di GAS di emm-tipo 1 e ST28 o varianti correlate allo stesso complesso
clonale. E’ quindi evidente come in Italia sia in circolazione un clone emm1.0/ST28 con
elevate potenzialità invasive che possono anche interessare i polmoni e le pleure.
134
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ICE TANDEM ARRAY IN STREPTOCOCCUS: FORMAZIONE DI ICE
IBRIDI E NUOVE COMBINAZIONE DI GENI DI RESISTENZA
C. Palmieri, G. Magi, P.E. Varaldo, B. Facinelli.
Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione Microbiologia, Università
Politecnica delle Marche, Via Tronto 10/A, 60126 Ancona, Italy.
Gli elementi integrativi e coniugativi (ICE) sono un gruppo eterogeneo di elementi genetici
mobili diffusi sia in batteri Gram-positivi che Gram-negativi. Gli ICE sono costituiti da
distinti moduli funzionali e possono considerarsi come degli scaffolds capaci di incorporare
dei geni cargo (spesso di niche adaptation, come i geni di resistenza agli antibiotici) e
garantirne la mobilizzazione. Recentemente abbiamo caratterizzato, in Streptococcus suis, un
nuovo ICE (ICESsu32457), che veicola geni di resistenza a tetraciclina [tet(O/W/32/O),
tet(40)], eritromicina [erm(B)], e aminoglicosidi [aphA, e aadE], e che è in grado di trasferirsi
ad alta frequenza sia in incroci intra- che inter-specifici. I geni cargo di ICESsu32457 sono
all’interno di un elemento genetico instabile di ~ 15 kb, denominato 15K. Tale elemento è
fiancheggiato da due sequenze ripetute dirette (DR) di ~1.3 kb e risulta in grado di escindersi
in forma circolare, nonostante sia privo di proprie ricombinasi. Le due DR si comportano
come due lunghi siti att ch si ricombinano generando (i) un elemento escisso in forma
circolare, (ii) un ICE che non ha traccia di 15K. La sequenza di ~1.3-kb è conservata nelle
ICE di Streptococcus, ed in particolare è presente in ICESa2603 un ICE che veicola geni di
resistenza a metalli pesanti (cadC/cadA, mer), descritta nel ceppo sequenziato S. agalactiae
2603V/R. In questo studio, abbiamo ottenuto transconiuganti di S. agalactiae 2603V/R che
presentano un ICE tandem array ICESsu32457/ICESa2603. Mediante opportuni esperimenti
di re-transfer, condotti usando S. pyogenes come ricevente, è stato possibile ottenere
transconiuganti caratterizzati dalla presenza di un ICE ibrido, portatore sia della regione cargo
di ICESsu32457 che di ICESa2603. Analisi di PCR e sequenziamento hanno dimostrato che
tale ICE si è originata mediante eventi di ricombinazione avvenuti tra la sequenza di ~1.3-kb
di ICESsu32457 (DR sinistra) e la sequenza di ~1.3-kb di ICESa2603. La formazione di ICE
ibridi a partire da ICE tandem array è un ulteriore meccanismo di evoluzione per gli ICE che
hanno lo stesso sito di inserzione cromosomica.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
135
Poster
EVIDENZA SIEROLOGICA DELL’INFEZIONE DA
BARTONELLA HENSELAE IN PAZIENTI IN ATTESA DI
TRAPIANTO DI CUORE
P. Salvatore1,2, C. Pagliuca1, R. Colicchio1, A. Picascia3, V. Grisolia2, L. Sommese3,
A. Casamassimi4, F. Labonia2, F. Castaldo2, E. Mezza5, F. D’Armiento5, C. Napoli3,4
1
DMMBM, Università degli Studi di Napoli Federico II; 2Area Funzionale di Microbiologia,
DAI di Medicina di Laboratorio, AOU Federico II, Napoli; 3Servizio di Immunoematologia e
Medicina trasfusionale [SIMT], Laboratorio di Riferimento Regionale di Immunologia dei
Trapianti [LIT], AOU Policlinico, SUN; 4Dip. di Biochimica Biofisica e Patologia Generale e
Centro di Eccellenza per le Malattie Cardiovascolari, SUN; 5Dip. di Scienze Biomediche
Avanzate, Università di Napoli Federico II.
Bartonella henselae è l’agente eziologico della malattia da graffio del gatto o linfoadenopatia
granulomatosa cronica. La malattia può essere auto-limitante o evolvere in forme cliniche
atipiche difficilmente diagnosticabili. In ospiti immunocompromessi B. henselae è associata a
singolari patologie come angiomatosi o peliosi bacillare, una grave malattia disseminata,
caratterizzata da vasoproliferazione patologica. Il ruolo della risposta immunitaria contro B.
henselae è fondamentale nel prevenire la progressione della malattia sistemica. Ad oggi lo
spettro delle manifestazioni cliniche, la diagnosi e la gestione dell’infezione da B. henselae
nei pazienti in attesa di trapianto d’organo non è ben caratterizzata. Sono stati segnalati solo
rari casi di bartonellosi nei pazienti trapiantati. Lo scopo di questo studio è stato quello di
determinare la siero-prevalenza di B. henselae in pazienti in attesa di trapianto di cuore,
presso il Laboratorio di Riferimento Regionale Trapianti della Regione Campania. La
diagnosi di B. henselae è soprattutto basata su metodi sierologici (IgM e IgG) metodiche
pratiche, semplici e veloci. Nel presente studio sono stati esaminati mediante test di
immunofluorescenza indiretta i campioni di siero di 32 pazienti in attesa di trapianto di cuore,
con un’età media di 53±15 DS (8-68 anni). Nei pazienti in attesa di trapianto di cuore, è stato
rilevato un tasso di positività ad anticorpi per B. henselae del 19%, in particolare, il 9,4%
(3/32) dei pazienti ha presentato reazioni positive alle IgM e il 9,4% (3/32) alle IgG. Inoltre,
nessuno dei controlli (23 donatori sani) è risultato positivo all’infezione da B. henselae. Tali
dati preliminari confermano che B. henselae è presente nella nostra area geografica ed ancor
più interessante risulta la sua identificazione in pazienti in attesa di trapianto cardiaco, tanto
che potrebbe essere consigliabile includere la ricerca attraverso metodi sierologici di B.
henselae in questi pazienti.
136
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
IMPACT OF PROTEIN DOMAINS ON PE_PGRS30 LOCALIZATION AND
POLARIZATION IN MYCOBACTERIA
Flavio De Maio1, Mariachiara Minerva1, Ivana Palucci1, Raffaella Iantomasi1, Michela Sali1,
Giuseppe Maulucci2, Valentina Palmieri2, Marco De Spirito2, Maurizio Sanguinetti1, Riccardo
Manganelli3 and Giovanni Delogu1
1
Institutes of Microbiology and 2Physics, Universita’ Cattolica del Sacro Cuore, Roma
3
Department of Histology, Microbiology and Medical Biotechnologies, University of Padua,
Padua
PE_PGRS proteins are unique to MTB complex and few other pathogenic mycobacteria.
PE_PGRS30, which is required for the full virulence of Mtb, has three main domains (PE, PGRS
and the unique C-terminal domain).
To investigate the role of these domains, we expressed the GFP-tagged PE_PGRS30 protein and
a series of functional deletion mutants in different mycobacterial species (Mtb, M. bovis BCG
and M. smegmatis) and protein localization was analysed by confocal microscopy and
immunoblotting. We show that PE_PGRS30 localize at the poles of mycobacterial cells in Mtb
and in M. bovis BCG but not in M. smegmatis. In all three mycobacterial species, the chimeras of
the PE_PGRS30 lacking C-terminal domain chimera showed a polar localization while PE-GFP
chimera showed diffused fluorescence. We also compared the phenotype of PE_PGRS30-GFP,
and its chimeras, with PE_PGRS33-GFP chimera. Surprisingly PE domain of PE_PGRS33
localized to the mycobacterial cell poles but not the native PE_PGRS33. Hence, differences
observed between these two closely related PE_PGRS proteins may be the result of small but
important amminoacidic differences in the PE domain, upstream of GRPLI domain, that it is
considered the cell envelope anchoring domain. It is likely that the different patterns in the
PE_PGRS30 localization observed in different mycobacterial species may results from the lack
or defects in T7SS observed among these species which may impact cell wall structure or protein
conformation.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
137
Poster
PRESENZA DI ESCHERICHIA COLI ST131, ST3680, ST3681 KPC
PRODUTTORI IN DIFFERENTI STRUTTURE DEL NORD ITALIA
1
M. Caltagirone, 1A. Piazza, 1R. Migliavacca, 2R. D’Angelo, 3A. Navarra, 4P. Casella, 1M.
Spalla, 1E. Nucleo, 1F. Zara, 1L. Pagani.
1
Dip. di S.C.C.D.P., Unità di Microbiologia, Università di Pavia, Pavia; 2Lab. Microbiologia,
Istituto Geriatrico “Piero Redaelli”, Milano; 3Lab. Microbiologia, I.R.C.C.S. “Fondazione
S. Maugeri”, Pavia; 4Lab. Microbiologia, Ospedale di Vimercate, Vimercate (MB).
Introduzione: Sebbene la resistenza ai carbapenemi in E. coli sia principalmente dovuta a
difetti di permeabilità associati alla produzione di ESBL e/o AmpC, l’isolamento di ceppi
KPC-positivi risulta in preoccupante aumento. Tale fenomeno è emergente anche in Italia. Di
particolare rilevanza clinica è l’ampia diffusione a livello mondiale del clone E. coli MDR
ST131 associato ad infezioni ospedaliere o acquisite in comunità.
Scopo dello studio è stato caratterizzare a livello epidemiologico 17 isolati clinici di E. coli
blaKPC-produttori.
Metodi: Nel periodo Aprile 2011 - Dicembre 2012 sono stati isolati, da 4 strutture del Nord
Italia, 17 stipiti non replicati di E. coli MDR con MIC dell’ertapenem (ETP) >0,5 mg/L
mediante Vitek2 e/o E-test (bioMérieux). Le MIC di meropenem (MER) ed imipenem (IMI)
sono state determinate mediante E-test. La presenza del gene blaKPC è stata confermata sia con
metodi fenotipici (test in disco-combinazione ETP/ETP più acido boronico) che molecolari
(PCR e sequenziamento). Le BL sono state caratterizzate mediante IEF ed amplificazione dei
geni blaCTX-M/SHV/TEM/OXA. Analisi filogenetica, PFGE (XbaI) ed MLST hanno permesso la
genotipzzazione.
Risultati: Quindici/17 ceppi provenivano da urina (13), escreato ed essudati da ulcera; 2/17
sono stati isolati da tamponi rettali di sorveglianza. 15/17 E. coli erano sensibili a MER ed
IMI; 5/17 (29.4%) mostravano intermedia resistenza ad ETP (breakpoint EUCAST 2012).
Sedici/17 ceppi sono risultati positivi per i determinanti blaKPC/TEM/OXA-type; tutti gli isolati
tranne uno non tipizzabile appartenevano al gruppo filogenetico B2. Dieci/17 isolati
rappresentativi, di cui 9 KPC-2 ed 1 KPC-3, mostravano 6 differenti profili PFGE. Otto/9
ceppi blaKPC-2 positivi, provenienti da differenti ospedali, appartenevano al ST131 e
mostravano 4 profili PFGE; il rimanente presentava il ST3680. Il ceppo KPC-3 positivo
mostrava un caratteristico fingerprint PFGE ed apparteneva al nuovo ST3681. Il gene blaKPC-3
è risultato localizzato su un plasmide coniugativo di gruppo IncFIIk; tale plasmide è stato
trasferito ad E. coli da uno stipite di K. pneumoniae KPC-3 produttore isolato dal medesimo
paziente.
Conclusioni: Segnaliamo la diffusione di E. coli ST131 KPC-2 produttori in 4 strutture del
Nord Italia ed il primo ritrovamento di un isolato di ST3681 e KPC-3 produttore. I bassi
valori di MIC per MER ed IMI indubbiamente contribuiscono alla disseminazione interospedaliera di tali ceppi.
138
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
LA PROTEINA PE_PGRS33 MEDIA L’UPTAKE DI MYCOBACTERIUM
TUBERCULOSIS ATTRAVERSO UN PROCESSO DI INSIDE-OUT
SIGNALING
Ivana Palucci 1, Serena Camassa 1, Mariachiara Minerva1, Michela Sali1, Alessandro
Cascioferro2, Gabriele Di Sante3, Valentina Palmieri4, Giuseppe Maulucci4, Francesco Ria3,
Marco De Spirito4, Giovanni Fadda1, Maurizio Sanguinetti, M1, Manganelli R. 2, Delogu G1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
2
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università di Padova.
3
Istituto di Patologia Generale Istologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
4
Istituto Fisica di Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Il ruolo delle proteine PE_PGRS è ancora poco noto ma diversi lavori hanno evidenziato
come i geni PE_PGRS codificano per proteine di superficie che posso influenzare la virulenza
e la capacità infettiva di Mycobacterium tuberculosis (Mtb).
Nei nostri studi ci siamo interessati della di 498 amino acidi proteina PE_PGRS33, codificata
in Mtb H37Rv dal gene Rv1818c.
Per comprenderne il ruolo abbiamo ottenuto, mediante ricombinazione omologa, un ceppo
knock-out di Mtb per il gene PE_PGRS33 (ΔPE-PGRS33).
Dagli esperimenti in vitro si è evidenziato che ΔPE-PGRS33 ha una minore capacità, 10 volte
meno, di penetrare sia nei macrofagi murini (J774) che in quelli umani (THP-1), rispetto ai
ceppi wt (H37Rv) e complementato ( PE-PGRS33). Questa capacità non è stata riscontrata
nell’infezione con gli stessi ceppi di pneumociti umani (A549) suggerendo il tropismo della
PE_PGRS33 per le cellule macrofagiche. Inoltre, PE_PGRS33 non è essenziale per la crescita
intracellulare di Mtb.
Infettando macrofagi peritoneali murini con una MOI 1:1 è stato possibile valutare il numero
di micobatteri intracellulari rispetto agli extracellulari a 4h post-infezione. I dati ottenuti
insieme ai risultati della microscopia SEM (Scanning Electron Microscopy) e confocale
hanno confermato la maggiore presenza di Mtb ∆PE_PGRS33 nel compartimento
extracellulare, causata dalla sua mancata adesione. Usando mutanti funzionali complementati
con Mtb ∆PE_PGRS33, si è dimostrato come il dominio PE_PGRS sia richiesto per l’ingresso
nelle cellule dell’ospite.
Questo stesso fenotipo mediato da PE_PGRS33 non si osserva nei topi knoch-out per TLR2,
così come nei macrofagi di topi wild-type trattati prima dell’infezione con wortmannina e con
un anticorpo anti recettore del complemento (CR3), ciò suggerisce che l’interazione con
TLR2 potrebbe servire ad attivare la fagocitosi mediata da un sistema di inside-out signaling.
I risultati mostrano come PE_PGRS33 sia essenziale per i meccanismi di patogenesi di Mtb e
suggeriscono che questa proteina potrebbe essere utilizzata come target per vaccini e farmaci
antitubercolari.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
139
Poster
CARATTERIZZAZIONE FUNZIONALE DEI DOMINI PROTEICI DI
PE-PGRS33 IMPORTANTI PER L’ADESIONE E LA REPLICAZIONE
DI M. TUBERCULOSIS NEI MACROFAGI.
Serena Camassa1, Ivana Palucci1, Flavio De Maio1 , Valentina Palmieri2, Giuseppe Maulucci2,
Antonella Zumbo1, Michela Sali1, Marco De Spirito2, Maurizio Sanguinetti1, Riccardo
Manganelli3, Giovanni Delogu1
1
Istituto di Microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.
2
Istituto di Fisica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.
3
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università di Padova.
La PE-PGRS33 di M. tuberculosis è una proteina di 498 aminoacidi, esposta in superficie,
costitutivamente espressa e coinvolta nel meccanismo di patogenesi della TB grazie alla
capacità di interagire con il TLR2, che media sia l’ingresso di M. tuberculosis nei macrofagi
sia la modulazione di citochine e chemochine.
Nel presente lavoro, al fine di individuare i domini funzionali della proteina PE-PGRS33
coinvolti nel legame al TLR2, è stata studiata la capacità di adesione ed ingresso di ceppi di
M. tuberculosis mutanti per la PE-PGRS33 complementati con cinque diversi costrutti
troncati del gene PE_PGRS33, codificanti rispettivamente la proteina di 260, 341, 401, 472 e
482 aminoacidi, in cellule macrofagiche murine (PMΦ) ed umane (MDM). In entrambi i
modelli cellulari, il frammento più corto è quello maggiormente capace di mediare l’adesione
e l’ingresso di M. tuberculosis all’interno dei macrofagi rispetto ai frammenti più lunghi.
Esperimenti in vitro sulla persistenza di M. tuberculosis mostrano inoltre come i vari ceppi
replichino diversamente all’interno dei macrofagi umani. In particolare, si osserva
un’aumentata replicazione di tutti i ceppi studiati, ad eccezione di quello complementato con
il frammento codificante 472 aminoacidi.
I risultati ottenuti evidenziano come il frammento di 260 aminoacidi della proteina PEPGRS33 sia necessario e sufficiente per l’adesione e l’ingresso di M. tuberculosis all’interno
dei macrofagi. Inoltre i risultati sulla cinetica dell’infezione condotta a 4 ore e 7 giorni nei
macrofagi umani dimostrano come l’espressione dei diversi frammenti della proteina
condizioni la persistenza intracellulare di M. tuberculosis e suggeriscono il coinvolgimento
dei domini a valle della posizione 260 nelle proprietà immunomodulatorie di PE_PGRS33.
140
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
PERFORMANCE OF THE QUANTIFERON TB GOLD ASSAY IN THE
DIAGNOSIS OF MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS INFECTION IN
CHILDREN.
Michela Sali1, Danilo Buonsenso2, Pamela D’Alfonso1, Delia Goletti3, Piero Valentini2 ,
Giovanni Fadda1, Maurizio Sanguinetti1 and Giovanni Delogu1
1
Institute of Microbiology, Rome, Italy;
2
Department of Pediatrics, School of Medicine, Universita’ Cattolica del Sacro Cuore, Rome,
Italy.
3
Translational Research , L. Spallanzani National Institute of Infectious Diseases, Rome, Italy
Interferon-gamma release assays (IGRAs) have been developed to replace TST for the
detection of Latent tuberculosis infection (LTBI) and the results obtained in the adult
populations demonstrated an overall superior accuracy. However, the performance of these
tests in the pediatric populations is still debated, and it has been suggested that the immune
system in newborns and infants may not be properly mature to respond to the antigenic
stimuli. In our study we evaluated the performances of the QuantiFERON-TB Gold assay
(QFT-IT) in children with suspected TB.
A retrospective study was conducted on 623 children aged 0 to 14 years evaluated for TB
infection during the period from Jan. 2007 through July 2010 at the Catholic University of the
Sacred Heart in Rome. All patients were evaluated clinically and tested with QFT-IT assay
according the manufacturer’s instructions.
Of the 623 children tested at the QFT-IT assay, 59 (9.5%) scored positive, 532 (86.3%)
scored negative and 26 (4.2%) gave an indeterminate result. Percent of positivity ranged from
7,59% for the 25-36 months group to 10,94% for the 37-48 months group.
Among the positive results 21 cases of active TB and 38 cases of LTBI were detected. 95% of
active TB cases were diagnosed in children younger than 5 years and 57% were pulmonary
TB. Almost all active TB cases and LTBIs were diagnosed in foreign children.
The sensitivity of QFT-IT in children with active TB was 80%, ranging from 62.5% in
children 25-36 months to 100% in children > 49 months. No statistically significant effect of
age on the magnitude of the immune response as assessed by the amount of IFN-g secreted
following RD1 antigens restimulation was found. No differences were observed in the ability
of children of different age to respond to the mitogenic stimuli.
Our study indicate that children < 5 years of age are capable of properly responding to RD1
antigens and mitogen included in the QFT-IT assay, supporting the usefulness of QFT-IT in
the diagnosis of Mtb infection in children.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
141
Poster
VARIABILITÀ DEL TRASPOSONE TN5801.SAG IN ISOLATI CLINICI
DI STREPTOCOCCUS AGALACTIAE
Eleonora Morici1, Emily Tili2, Eleonora Giovanetti3, Marina Mingoia1, Pietro E. Varaldo1
1
Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, UNIVPM, Ancona
2
U.O. Patologia clinica, Jesi
3
Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente, UNIVPM, Ancona
Tn5801.Sag (20,6 kb) rappresenta una variante, da noi recentemente riconosciuta e
caratterizzata, del trasposone Tn5801, identificato originariamente in Staphylococcus aureus
Mu50.
Tn5801 appartiene agli elementi genetici della famiglia Tn916, ma l’identità nucleotidica nei
confronti di quest’ultimo è piuttosto bassa, in particolare a livello della regione di
ricombinazione, dove un unico gene int (int5801) sostituisce la coppia int (int916) e xis
(xis916) di Tn916.
Trasposoni Tn5801-like sono stati evidenziati anche in altri isolati umani di S. aureus e nel
genoma sequenziato di Streptococcus mitis B6, dove è mancante dell’ultima ORF, che
codifica per una trasposasi. In tutti gli elementi Tn5801-like l’integrazione cromosomica
risulta essere sito-specifica, invariabilmente a livello dell’estremità 3’ del gene guaA.
Nonostante la somiglianza strutturale con Tn916, Tn5801.Sag non è trasferibile per
coniugazione e non produce un intermedio circolare. La stessa cosa abbiamo dimostrato
valere per l’originale Tn5801 di S. aureus Mu50, che abbiamo saggiato parallelamente. Dal
momento che l’analisi della sequenza di due ampie regioni terminali, comprendenti le
giunzioni cromosomiche ed i cluster genici che presiedono alle funzioni di ricombinazione,
non aveva evidenziato modificazioni genetiche tali da giustificare la non trasferibilità di
Tn5801.Sag, abbiamo eseguito un’attenta analisi della porzione centrale, comprendente alcuni
geni putativamente coinvolti nella coniugazione, completando la sequenza dell’elemento
stesso.
I risultati ottenuti su 19 ceppi di S. agalactiae, in parallelo con le analisi in silico delle
sequenze genomiche presenti nel database di S. agalactiae, hanno evidenziato (i) una
frequenza inaspettata di Tn5801.Sag in questa particolare specie streptococcica e (ii) una certa
variabilità strutturale dell’elemento, soprattutto a livello della sua porzione terminale.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITA’ DI BIOFENOLI DI OLEA EUROPEA L. SU BATTERI
GRAM-POSITIVI
Bisignano C.2, Filocamo A.1, Giofrè S.1, Mandalari G.1
1
Dipartimento di Scienze del Farmaco e Prodotti per la Salute, Università di Messina
2
Dipartimento di Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali Università di Messina
Diversi studi hanno dimostrato l’attivita’ antimicrobica di biofenoli contenuti nell’olio di
oliva (Olea europea L.). L’oleuropeina, presente in grandi quantita’ nelle foglie di olivo ed in
misura piu’ ridotta nell’olio extra-vergine, si degrada nello stomaco per idrolisi acida, con
formazione di un range di metaboliti la cui concentrazione e’ funzione dell’acidita’
dell’ambiente gastrico. Lo scopo del presente lavoro e’ stato quello di valutare l’effetto
antimicrobico di 3,4-DHPEA-EA, secoiroide trasposto originato dalla degradazione
dell’oleuropeina nello stomaco. I seguenti batteri Gram-positivi sono stati impiegati nello
studio: Staphylococcus aureus ATCC 51153, Staphylococcus aureus ATCC 6538P,
Staphylococcus aureus ATCC 33832, Staphylococcus epidermidis ATCC 94134,
Staphylococcus epidermidis ATCC 49461, Streptococcus pneumoniae ATCC 6003,
Streptococcus pyogenes ATCC 19615, Streptococcus pyogenes ATCC 10782, Listeria
monocytogenes ATCC 7644, Listeria monocytogenes ATCC 1392, Enterococcus hirae ATCC
10541, Moraxella catarrhalis ATCC 8176, 10 isolati di L. monocytogenes sierotipo 1/2a (7
ceppi) e 1/2b (3 ceppi), 14 isolati clinici di S. aureus ottenuti da lesioni cutanee ed infezioni
chirurgiche, 13 isolati clinici di S. pneumoniae ottenuti da pazienti ospedalieri, 14 isolati
clinici di S. pyogenes ottenuti da pazienti ospedalieri, 16 isolati clinici di M. catarrhalis
ottenuti da infezioni oculari e del tratto respiratorio, 13 isolati clinici di S. epidermidis ottenuti
da protesi ortopediche, 13 isolati di E. fecium e 15 isolati di E. faecalis ottenuti da infezioni
del tratto urinario.
I risultati ottenuti hanno dimostrato un effetto batteriostatico del 3,4-DHPEA-EA, con valori
di MIC compresi tra 31.25 e 62.5 µg/mL. Gli isolati clinici di M. catarrhalis e S. pneumonia
sono stati i ceppi piu’ resistenti, e 125 µg/mL 3,4-DHPEA-EA ne hanno inibito il 90%.
I metaboliti di Olea europea L. potrebbero dunque essere valutati come agenti antinfettivi.
La ricerca e’ stata finanziata dall’Universita’ di Messina.
[1] Bisignano G et al. J Pharm Pharmacol 1999; 51: 971-4.
[2] Bisignano G et al. FEMS Microbiol Lett. 2001; 198: 9-13.
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143
Poster
CARATTERISTICHE FENOTIPICHE E GENOTIPICHE DI
ESCHERICHIA COLI ADERENTI/INVASIVI (AIEC) ISOLATI DA
PAZIENTI PEDIATRICI CON MALATTIA DI CROHN
Marazzato M., Totino V., Conte AL., Lepanto MS., Aleandri M., Longhi C., Schippa
S., Conte MP.
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, “Sapienza” Università di Roma
Escherichia coli aderenti/invasivi (AIEC) sono stati riconosciuti avere un ruolo eziologico
nella malattia di Crohn (MC). La presenza di isolati AIEC in soggetti sani, fa ipotizzare che
essi possano giocare il ruolo di agenti patogeni facoltativi (patobionti) in grado di dare il via
alla malattia in ospiti suscettibili o contribuire al suo manifestarsi.
Allo scopo di meglio comprendere il ruolo dei ceppi AIEC nella eziopatogenesi della
malattia, è stata valutata la presenza di tali ceppi su popolazioni di E. coli mucosali isolati da
pazienti pediatrici con MC e da soggetti controllo. Su tali ceppi sono state studiate le
caratteristiche fenotipiche e genotipiche comuni che potrebbero rendere tale patotipo
“favorito” nel contesto di un ospite suscettibile.
Il riscontro di un significativo aumento di ceppi altamente adesivi/ invasivi, all’interno delle
popolazioni di E.coli mucosali provenienti da pazienti con MC rispetto ai controlli, supporta
l’ipotesi che questo patotipo possa avere un ruolo eziologico nella malattia. L’analisi del
fenotipo adesivo, mostra come tutti i ceppi di E. coli AIEC siano riconducibili al tipo AA
(adesione aggregativa). Questo specifico fenotipo adesivo è di particolare interesse in quanto
risulta essere correlato alla formazione di biofilm sulla superficie della mucosa ileale di
pazienti con MC. L’analisi genotipica dei ceppi AIEC ha messo in evidenza la tendenza nei
pazienti con MC allo sviluppo di un maggior numero di varianti genetiche che sono risultati
essere unici all’interno di ogni paziente, la maggiore persistenza nell’ambiente intestinale dei
pazienti con MC potrebbe eventualmente contribuire alla diversificazione osservata in questi
ceppi. La ricerca di fattori di virulenza ha mostrato una significativa prevalenza, nei ceppi
AIEC isolati dai pazienti con MC, dei geni associati alla sintesi di capsula, di siderofori e
determinanti dell’invasività. La presenza di tali geni potrebbe conferire a tali ceppi la
capacità di persistere in un ambiente ostile.
I risultati di questo studio rafforzano l’ipotesi che i ceppi AIEC siano il risultato di una
espansione selettiva generata dal contesto patologico e/o da fattori genetici-ambientali che
agiscono sull’ospite.
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41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
CONTROLLO DELLA DIFFUSIONE DI KLEBSIELLA PNEUMONIAE
PRODUTTORI DI CARBAPENEMASI IN UN OSPEDALE DEL
CENTRO ITALIA
Luca Merlini, Maria Cacioni, Emanuela Nardelli, Antonella Mencacci, Amedeo Moretti,
Angelica Cesarini, Enrico Ciurnella, Antonella Repetto , Manuela Pioppo, Anna Vecchiarelli,
Claudia Monari
Università degli Studi di Perugia. Azienda Ospedaliera di Perugia. Perugia .Italia
Klebsiella pneumoniae (K. pneumoniae) è un batterio componente del microbiota normale
della bocca, dell'intestino e della pelle. A partire dal 1996 negli Stati Uniti si è isolato un
ceppo di K. pneumoniae divenuto resistente ai betalattamici e carbapememici attraverso la
produzione di un enzima: la carbapenemasi .
I ceppi K. pneumoniae produttrici di carbapenemasi ( KPC) si sono diffusi rapidamente
anche in Europa dove sono stati segnalati per primi in Grecia e in seguito in tutto il
continente europeo. Attualmente tali ceppi sono responsabili, in molti Ospedali, di infezioni
importanti e di difficile cura. Quindi il controllo di tali infezioni a livello ospedaliero è di
vitale importanza
Lo scopo di questo lavoro era di identificare i ceppi KPC e di studiare la relazione genetica
tra gli isolati in un Ospedale del centro Italia, nell’anno 2012, da pazienti ospedalizzati
colonizzati o infetti .
L’identificazione era basata su test biochimici convenzionali e sistemi automatici Phoenix e
Vitek. La produzione di carbapenemasi era evidenziata mediante test biochimici di sinergia
con acido boronico , EDTA,acido dipicolinico e tets di Hodge . L’ analisi genetica era
studiata mediante repetitive sequence-based PCR (rep-PCR) DiversiLab system.
I risultati ottenuti mostrano che: 1) sono stati ottenuti nell’anno 2012 nel nostro Ospedale 31
isolati KPC , più frequentemente nei mesi giugno e agosto; 2)in un reparto in particolare è
stata evidenziata la persistenza (marzo-dicembre) di un ceppo; 3) l’analisi genotipica ha
evidenziato essenzialmente la presenza di due cluster; 4) il maggior numero di KPC è stato
isolato da urine, tampone da piaga , espettorato, sangue, tampone rettale, nell’ordine.
In conclusione abbiamo
evidenziato che nell’anno 2012 gli isolati KPC in pazienti
ospedalizzati appartengono essenzialmente a due clusters e che non c’è stato in questo
periodo un aumento progressivo nel tempo .
Questi risultati contribuiscono a chiarire la diffusione, in pazienti ospedalizzati in Italia, di
KPC che sono patogeni endemici in molti ospedali ed estremamente resistenti agli antibiotici
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
145
Poster
PROPRIETÀ INVASIVE IN CELLULE PROSTATICHE E PROFILO DI
VIRULENZA DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA INFEZIONI DEL
TRATTO URINARIO IN PAZIENTI COMUNITARI
Catia Longhi1, Anna Riccioli2, Fioretta Palombi2, Massimiliano Marazzato1, Marta Aleandri1 ,
Antonella Comanducci1, Paola Goldoni1, Maria Pia Conte1
1
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, “Sapienza” Università di Roma.
Piazzale Aldo Moro, 5 00185, Roma, Italia.
2
Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico-Legali dell’Apparato Locomotore.
“Sapienza” Università di Roma, 00161 Roma, Italia.
E. coli è il batterio più frequentemente isolato da infezioni del tratto urinario (ITU) sia in
ospedale che in comunità. Queste ultime sono comunemente non complicate sebbene E. coli
possa risalire gli ureteri e causare infezioni di maggior gravità quali pielonefriti e prostatiti. E.
coli è altamente adattato alla colonizzazione del tratto urinario: la presenza di numerose
adesine, siderofori, tossine, rivestimenti polisaccaridici e altri fattori di virulenza (VFs)
possono favorire l’adesione al tessuto mucoso dell’ospite permettendo l’elusione della difesa
immune e l’invasione dei tessuti. In particolare nella prostatite acuta è stata osservata un
maggior frequenza di ceppi produttori di biofilm rispetto a quelli isolati da cistiti e
pielonefriti. La formazione dei biofilm batterici e la correlata resistenza agli antibiotici è
ritenuta essere la principale causa delle recidive e delle persistenze nelle prostatiti. Di recente
è stato dimostrato che E. coli urinari sono in grado di invadere e persistere nel citoplasma di
cellule epiteliali prostatiche.
In questo studio ceppi di E. coli isolati da pazienti comunitari con ITU (maschi e femmine di
ogni età e condizione clinica) sono stati caratterizzati per la capacità adesiva ed invasiva in
cellule prostatiche (RWPE-1) e sono state valutate le possibile relazioni tra fattori di
virulenza, produzione di biofilm e resistenza agli antibiotici.
L’analisi dei VFs del campione non ha permesso di stabilire una correlazione tra un
particolare spettro di virulenza ed invasività sebbene la presenza del gene papEF, la capacità
di produrre biofilm e la resistenza multipla agli antibiotici sia significativamente associata al
fenotipo invasivo. I ceppi invasivi provenivano prevalentemente da soggetti maschi e con una
età inferiore a 30 anni. L’insieme di tutte queste caratteristiche fa supporre che particolari
sottotipi di E.coli siano in grado di invadere e probabilmente persistere nelle cellule
prostatiche favorendo l’elusione dei meccanismi immuni dell’ospite e determinando così la
stimolazione immunologica e la seguente infiammazione che caratterizza le prostatiti acute e
croniche.
146
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
IL MICROBIOTA FECALE IN PAZIENTI ADULTI CON
CIRROSI EPATICA.
Santangelo F*, Iebba V*, Totino V*, Gagliardi A*, Conte MP*, Giannelli V**, Di Gregorio
V**, Merli M**, Schippa S*.
*Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive. Università degli Studi di Roma "La
Sapienza"
** Divisione di Gastroenterologia del Policlinico “Umberto I”. Università degli Studi di
Roma "La Sapienza
Introduzione:Il Microbiota Intestinale, responsabile di diverse funzioni benefiche nell’ospite
sano, può essere perturbato da condizioni patologiche che interferiscono con la fisiologia
intestinale. In alcune patologie (MICI, Celiachia e Obesità) è stata dimostrata l’esistenza di
una “disbiosi intestinale” in cui si osserva il sopravanzo di gruppi/specie batteriche
potenzialmente patogene a scapito di gruppi/specie potenzialmente benefiche. In pazienti con
Cirrosi Epatica è stata ipotizzata un’alterazione del normale equilibrio ospite/flora secondaria
ad una compromissione nella funzione immunitaria e nella motilita’ intestinale. Tale
squilibrio, insieme all’aumentata traslocazione batterica dall’intestino ai linfonodi
mesenterici, è responsabile di una maggiore frequenza di infezioni batteriche e di uno stato
pro-infiammatorio sistemico. Scopo:Caratterizzazione del microbiota fecale in pazienti affetti
da Cirrosi Epatica. Materiali e metodi:Sono stati analizzati campioni fecali raccolti da 15
pazienti affetti da Cirrosi Epatica e 15 soggetti di controllo non affetti da patologia, di età e
sesso comparabili, provenienti dalla Divisione di Gastroenterologia del Policlinico “Umberto
I” di Roma. Il microbiota è stato valutato attraverso “Temperal Temperature Gel
Elettrophoresis” (TTGE) ed è stata quantificata la carica totale delle specie batteriche E.coli e
F.prausnitzi, mediante qPCR, eseguita con primer specie specifici. Come indicato da altri
autori, il rapporto tra le specie F. prausnitzi ed E.coli è stato utilizzato come marker della
presenza di una disbiosi intestinale. Risultati:Risultati preliminari riferiti a 6 pazienti affetti
da Cirrosi Epatica e 6 soggetti controllo, indicano una diminuzione di 5 volte di F.prausnitzi
nel gruppo dei malati rispetto ai soggetti controllo ed un aumento di 23 volte di E. coli. Il
rapporto tra le due specie è 59 per il gruppo dei malati e 3 per il gruppo dei controlli, a
sostegno dell’ipotesi che l’alterazione immunitaria e la ridotta motilità intestinale tendono ad
abbassare la carica della specie benefica F.prausnitzi a vantaggio della specie patogena E.coli
creando una disbiosi. Conclusioni:Come già osservato in altre patologie, anche nel soggetto
con Cirrosi Epatica è presente una selezione delle specie microbiche potenzialmente patogene
a scapito di specie potenzialmente benefiche.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
147
Poster
MENINGITE TUBERCOLARE IN PAZIENTE
IMMUNOCOMPETENTE: CASE REPORT
G. Aquilina, C. Colomba, C. Bonura, R. Immordino, R. Chiaramonte, R. Virruso,
T. Fasciana, A. Giammanco.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
"G.D'Alessandro". Università degli Studi di Palermo
La meningite tubercolare, una delle forme più gravi di tubercolosi, si manifesta in circa il 15%
dei casi extrapolmonari, nello 0,7% di tutti i casi clinici di tubercolosi e prevalentemente in
età infantile. Nell’ambito della popolazione adulta si registrano casi soprattutto negli anziani
in particolare se immunodepressi. In questo studio riferiamo di un caso di positività al
Mycobacterium tuberculosis complex rilevata tardivamente nel liquido cefalorachidiano di un
soggetto di 24 anni sano.
Il paziente, originario del Bangladesh, nell'Aprile 2013 è stato ricoverato presso l’U.O. di
Malattie Infettive (A.O.U.P. P. Giaccone, Palermo) per sospetto di tubercolosi a
localizzazione meningea. Le indagini chimico fisiche del liquor, la TAC encefalo e la TAC
torace erano suggestive di quadro tubercolare; negative risultavano invece le indagini
microbiologiche su liquor e quelle immunologiche su plasma. Pur tuttavia il paziente è stato
sottoposto a terapia steroidea, antiedemigena, antitubercolare empirica con isoniazide e
rifampicina a seguito della quale si assisteva alla regressione dei sintomi ed al miglioramento
delle condizioni generali che ne hanno determinato le dimissioni. Ricoverato nuovamente per
ripresa dei sintomi a Giugno, in seguito ad un rapido peggioramento delle condizioni generali,
è stato trasferito all’U.O. di Anestesia e Rianimazione. Unicamente durante il secondo
ricovero, su due campioni di liquor, è stato possibile tramite BD Probetec Strand
Displacement Amplification (SDA) rilevare la presenza dell’acido nucleico e tramite BBL
MGIT (Becton Dickinson) ottenere l’isolamento del microrganismo. Il saggio Quantiferon TB
Gold invece, ha dato fino ad oggi esito negativo in tutti i campioni esaminati. Il caso da noi
riportato conferma quanto in letteratura affermato sulla urgente necessità di effettuare ulteriori
studi atti a valutare strategie diagnostiche in grado di ridurre mortalità e morbidità per
ritardata o mancata diagnosi di meningite tubercolare anche in pazienti adulti
immunocompetenti.
148
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
TRASMISSIONE INTRAFAMILIARE DI HELICOBACTER PYLORI:
UTILIZZAZIONE DELLA RAPD-PCR.
Palermo I.*a, Fasciana T.M.G.*a, Mascarella C.*a, Fasciana T.*, Calà C.*, Bonura C.*,
Scarpulla G.**, Manganaro M.**, Camilleri S.**, La Ferrera G.**, Giammanco A*.
* Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile, Sezione di
Microbiologia “Alfredo Chiarini” Università degli Studi di Palermo.
**Presidio Ospedaliero “M. Raimondi” U.O.C. di Gastroenterologia ed Endoscopia
Interventistica. San Cataldo, ASL 2 Caltanissetta
a
Autori che hanno analogamente contribuito alla realizzazione del lavoro
La presenza di Helicobacter pylori (H. pylori), riconosciuta come uno dei principali fattori di
rischio nella genesi della gastrite, dell'ulcera peptica, del carcinoma gastrico e del MALT
linfoma, è riscontrata nel 60% della popolazione dei paesi industrializzati.
La prevalenza dell’infezione è più alta nelle comunità chiuse e tra i membri di una stessa
famiglia rispetto alla popolazione generale e sembra essere influenzata da fattori ambientali,
dallo stato socio-economico e dal livello culturale.
Sebbene la modalità di trasmissione del microrganismo non sia ancora ben nota, alcuni autori
sostengono che la trasmissione intrafamiliare sia una delle vie principali di diffusione. Tale
fenomeno può essere legato a recidive o a reinfezioni tra i membri della stessa famiglia.
Analisi molecolari condotte su microrganismi isolati dagli stessi membri di una famiglia
hanno infatti dimostrato la circolazione dello stesso ceppo in ambito familiare ed il ruolo
principale sembra essere svolto dalla madre.
Per verificare l’identità degli stipiti isolati è stato proposta come applicazione molecolare la
RAPD-PCR (Amplificazione casuale di DNA polimorfici).
Questa metodica, grazie alla velocità di esecuzione e all’elevato potere discriminante, è
ampiamente utilizzata in letteratura per valutare l’elevata eterogeneità e la modalità di
trasmissione del microrganismo.
Nell’ambito di indagini volte alla valutazione del ruolo di H. pylori nella nostra area
geografica, sono stati isolati da madre e figlia due ceppi di H. pylori; abbiamo anche noi
utilizzato la RAPD-PCR per documentare la trasmissione intrafamiliare dell’infezione.
Nei due ceppi sono stati inoltre ricercati i geni vacA, cagA, oipA ed è stata valutata la
resistenza alla claritromicina.
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149
Poster
VARIABILITÀ GENETICA TRA STIPITI DI DIPODASCUS CAPITATUS
ISOLATI A PALERMO.
Di Trapani L., Fasciana T., Calà C., Bonura C., Sottile D., Virruso R., Pitarresi G.L.,
Giammanco A.
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile, Sezione di
Microbiologia “Alfredo Chiarini” Università degli Studi di Palermo.
Le infezioni nosocomiali di origine fungina sono causate principalmente da Candida spp,
Aspergillus spp e da Geotricum capitatum, un fungo non frequentemente isolato, descritto per
la prima volta nel 1942 da Diddens e Lodder.
Dal punto di vista tassonomico G. capitatum è il nome della forma anamorfa corretta mentre
la forma teleomorfa prende il nome di Dipodascus capitatus, oggi considerato come un
patogeno opportunista emergente.
Negli ultimi due decenni, infatti, in seguito all’aumento di fattori predisponenti alle infezioni
fungine (neutropenia, chemioterapia, utilizzo di terapie antibiotiche ad ampio spettro, terapie
steroidee e pratiche invasive come la cateterizzazione), anche il numero di infezioni dovute a
questa specie ha subito un incremento.
D. capitatus sembra oggi essere coinvolto sempre più frequentemente nelle infezioni del tratto
urinario, nelle meningiti, nelle osteomieliti, nelle endocardite e nelle infezioni sistemiche. Si
tratta di manifestazioni simili alle candidosi ma che nei pazienti neutropenici risultano fatali,
nonostante la somministrazione di una terapia antifungina per via sistemica.
Già nel 2012, presso l’A.O.U.P “P.Giaccone” di Palermo, da pazienti immunocompromessi è
stato descritto l’isolamento di D. capitatus, la cui identificazione, effettuata mediante crescita
su CHROMagar Candida (BD), è stata confermata mediante amplificazione e sequenziamento
della regione ITS (Internal trascriber spacer).
In questo lavoro, al fine di valutare l’eventuale diffusione epidemica del microrganismo,
proponiamo la tipizzazione dei nostri isolati di D. capitatus mediante PCR fingerprinting
utilizzando la sequenza core del fago M13 e mediante RAPD (Random Amplification of
Polymorphic DNA) utilizzando il primer Ope-4 e la combinazione dei primer W80A-Ap12h.
150
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Poster
GIARDIA INTESTINALIS E MICROBIOTA FECALE DI PAZIENTI
PROVENIENTI DALLA COSTA D’AVORIO
Totino V.1, Iebba V.1, Santangelo F 1., Nicoletti V1., DI Cave D2., Berrilli F2, D'Alfonso R.3,
Schippa S.1
1
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive. Università degli Studi di Roma "La
Sapienza”, 2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università degli Studi di
Roma Tor Vergata, 3 Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università degli Studi di Roma
Tor Vergata
Introduzione: I protozoi intestinali costituiscono un vasto gruppo di agenti infettivi
appartenenti a diversi generi e specie. Tra i parassiti di rilevante interesse medico troviamo
Giardia intestinalis. La trasmissione avviene per via oro-fecale: le cisti del protozoo vengono
eliminate con le feci dall'uomo e da altri ospiti vertebrati, contaminano l'ambiente, l'acqua e
gli alimenti, rappresentando una fonte di contagio per nuovi individui. La giardiasi è
un’infezione ubiquitaria con aree di endemia dove le strutture di approvvigionamento idrico e
le condizioni igienico-sanitarie sono carenti. Alla luce della coesistenza nel lume intestinale
della flora batterica e dei protozoi parassiti, agenti di affezioni enteriche, si è ritenuto
opportuno indagare la prevalenza dei suddetti parassiti e metterla in relazione con eventuali
dismicrobismi intestinali. Scopo. Valutare eventuali differenze nel microbiota intestinale di
pazienti positivi e negativi a Giardia i.. Metodi. I campioni fecali raccolti da soggetti
provenienti da due villaggi rurali della Costa d’Avorio sono stati analizzati per la presenza di
parassiti intestinali mediante tecniche microscopiche e molecolari e la caratterizzazione del
microbiota fecale è stata eseguita tramite “Temperal Temperature Gel Elettrophoresis”
(TTGE) e qPCR sulle specie batteriche: E.coli e F.prausnitzi. Come indicato da altri autori, il
rapporto tra le specie F. prausnitzi ed E.coli, verrà utilizzato come marker della presenza di
una disbiosi intestinale. Risultati: I nostri risultati preliminari condotti su 10 campioni fecali
indicano che la presenza del parassita influenza l’ecosistema intestinale: nei soggetti positivi
per Giardia i. (6/10) si è osservata una diminuzione di 3,5 volte della specie benefica
F.prausnitzi ed un aumento di 18 volte della specie potenzialmente patogena E. coli.
Conclusioni. Questi dati preliminari indicherebbero un’influenza del parassita sulla
composizione del microbiota intestinale, ponendo questi soggetti al rischio di sovrapposizione
di altri tipi di patologie infettive e non, note per essere associate ad un microbiota alterato e ad
una inevitabile perdita della funzione “barriera verso patogeni”, esercitata da una normale
flora microbica.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
151
Poster
ELEMENTI GENETICI MOBILI: STRUTTURE CIRCOLARIZZABILI
NON CONVENZIONALI E INSIDIE DELLA PCR
1
1
1
2
Claudio Palmieri, Andrea Brenciani, Marina Mingoia, Eleonora Giovanetti, Bruna
1
1
Facinelli e Pietro E. Varaldo
Unità di Microbiologia, Dipartimenti di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica1 e di Scienze
della Vita e dell’Ambiente,2 Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italia.
L’avvento delle tecniche di sequenziamento di nuova generazione ha aumentato notevolmente
la nostra conoscenza riguardo agli elementi genetici mobili (MGE). Allo stesso tempo lo
sviluppo di approcci di studio single-cell based sta rendendo sempre più chiaro il fatto che la
popolazione batterica può presentare una marcata eterogeneità anche all’interno di una singola
colonia. Il nostro gruppo di ricerca ha di recente posto particolare attenzione ad una nuova
classe di strutture genetiche (unconventional circularizable structures, UCS) spesso ritrovate
all’interno di MGE come regioni cargo instabili. Gli UCS sono privi di proprie ricombinasi,
ma sono fiancheggiati da lunghe sequenze dirette ripetute che ne permettono l’escissione in
forma circolare senza che ne resti traccia nel contesto genetico che lo ospita. La presenza di
un UCS all’interno di un MGE implica che nella popolazione batterica esista quindi una
sottopopolazione con l’UCS integrato nell’MGE e un’altra con l’MGE in cui l’evento di
escissione non ha lasciato traccia dell’UCS. Il crescente utilizzo di tecniche PCR-based per lo
studio di nuovi MGE richiede una attenta considerazione dei possibili bersagli di PCR
associati alle differenti sottopopolazioni batteriche, per garantire che i risultati ottenuti non
siano interpretati erroneamente.
152
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ISOLAMENTO, IDENTIFICAZIONE E PROPRIETÀ PROBIOTICHE
DI LATTOBACILLI ORO-FECALI UMANI.
Virginia Fuochi1, Giulio Petronio Petronio1,2, Gianna Tempera1 e Pio Maria Furneri1
1
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, Via Androne 83,
95124 Catania, Italia
2
IRCCS San Raffaele Pisana, 00163 Roma, Italia
Il termine probiotico è una parola relativamente nuova parola che letteralmente significa "per
la vita" ed è attualmente utilizzato per quei batteri che mostrano effetti benefici per l'uomo e
gli animali. L’uso dei Lattobacilli come probiotici negli ultimi anni ha avuto un notevole
aumento e sono noti molti marchi industriali, che troviamo sul mercato, a rivendicare tale
attività. I test quali la tolleranza all'acido gastrico, alla bile, la produzione di sostanze ad
attività antimicrobica e la capacità di aderire alle cellule intestinali umane fanno parte dei
test eseguiti a seconda del beneficio per la salute che si vuole indagare. In particolare è di
fondamentale importanza la sopravvivenza al transito gastro-intestinale e quindi la resistenza
al pH acido nello stomaco e ai sali biliari rilasciati nell’intestino tenue per tutte le
somministrazioni orali contenti batteri vivi. Il nostro scopo è stato di isolare, identificare e
tentare di mostrare l'eventuale attività probiotica di specie di Lattobacilli da tamponi orofecali. Per lo scopo alcuni preparati commerciali, sottoposti allo stesso schema di
identificazione, sono stati usati in paragone. Gli isolati sono stati identificati mediante un
approccio polifasico fenotipico [crescita in terreni specifici come LSM (0.05% w/v cisteina) e
Rogosa] e genotipico [16rDNA/RFLP e una multiplex PRC basata sulle sequenze
nucleotidiche di 16S-ITS-23S rDNA e della regione fiancheggiante la 23S rDNA] . Inoltre per
consentire una più corretta identificazione di alcune specie [L. rhamnosus, L.casei e
L. paracasei] è stata impiegato un test specifico sul gene tuf.
Sono stato identificati 44 ceppi così divisi per specie: L. gastricus n.10, L. gasseri n.8,
L. salivarius n.6, L. fermentum n.5, L. paracasei n.4, L. rhamnosus n.4, L. plantarum n.3,
L. reuteri n.2, L. crispatus n.1 e L. delbruekii n.1.
I test condotti sugli isolati e sul lattobacillo, trovato nel prodotto commerciale, hanno
dimostrato una scarsa o quasi nulla resistenza ai sali biliari e all'acidità. Suggestivo e
particolarmente allarmante è stato il non aver riscontrato alcuna resistenza nel L.paracasei,
per altro indicato come L. casei, ottenuto nel prodotto commerciale a marchio registrato.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
153
Poster
ATTIVITÀ ANTIBATTERICA E ANTIMICOTICA DEL MIELE DI
CASTAGNO ETNEO
Edmondo Lissandrello1, Carlo Genovese1, Giulio Petronio Petronio1,2, Pio Maria Furneri1 e
Gianna Tempera1
1
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, Via Androne 83,
95124 Catania, Italia
2
IRCCS San Raffaele Pisana, 00163 Roma, Italia
L’attività antimicrobica e le proprietà conservanti del miele sono da tempo conosciute, in
particolare, quelle del miele di Acacia, di Manuka, millefiori, mentre poco o nulla si conosce
sul miele di castagno, e nell’innanzi su quello etneo. Poiché la composizione del miele è
fortemente influenzata dall’ambiente in cui esso viene prodotto si è voluta studiare l’attività
antibatterica e antimicotica di questa particolare produzione autoctona.
A tal fine è stato utilizzato miele prodotto da due diverse aziende etnee: "Antica Natura" e
"Casa del miele" entrambe di Zafferana Etnea (CT). L’attività antimicrobica è stata studiata
nei confronti di Candida albicans. Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella
pneumoniae, Staphylococcus aureus ATCC 29213, Staphylococcus epidermidis,
Acinetobacter baumannii, Enterococcus faecalis ATCC 29211, Streptococcus mutans ATCC
25175, Streptococcus sanguinis ATCC 10556, Streptococcus anginosus ATCC 12395,
Streptococcus mitis ATCC 49456,, Streptococcus gordonii ATCC 10558, Streptococcus
salivarius ATCC 7073, Streptococcus parasanguinis ATCC 15912, Streptococcus oralis
ATCC 35037.
L'attività antimicrobica dei campioni è stata valutata su una stock solution pari all’80% (v/v)
in acqua. I risultati ottenuti hanno evidenziato valori di MIC più bassi per il prodotto
proveniente dall’azienda "Casa del miele": in particolare le MIC erano pari a 2,5% (v/v) per
Staphylococcus epidermidis, 5% (v/v) per Acinetobacter baumannii, 5% (v/v) per
Staphylococcus aureus ATCC 29213, 10% (v/v) per Streptococcus gordonii DSMZ 6777,
10% (v/v) per Streptococcus parasanguinis DSMZ 6778 e 20% (v/v) per gli altri ceppi
saggiati. La MIC per Candida albicans, é stata del 5%.
In conclusione, il miele di castagno etneo, ha dimostrato una discreta attività
antistafilococcica ed antimicotica. Interessante l'attività nei confronti del ceppo di A.
baumannii (multiresistente). Almeno di una diluizione più alta le MIC nei confronti della
maggior parte degli streptococchi orali, di E. coli, di P. aeruginosa e di K. Pneumoniae.
Saranno necessari ulteriori studi per individuare i principi attivi contenuti nel miele di
castagno responsabili di tale attività.
154
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITA’ ANTIBIOTICA DEI BATTERI ASSOCIATI ALLE
SPUGNE ANTARTICHE
PRATO OLEANA OLGA1, MICHAUD LUIGI2, TEMPERA GIANNA1, STIVALA ALDO1, GAROZZO
ADRIANA1, LO GIUDICE ANGELINA2
1
DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMEDICHE, UNIVERSITÀ DI CATANIA
2
DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOLOGICHE E AMBIENTALI, UNIVERSITÀ DI MESSINA
I batteri estremofili colonizzatori di invertebrati marini possono essere considerati fonti di
nuove molecole ad attività antibiotica. Lo scopo del lavoro è stato quello di verificare
l’eventuale produzione di composti bioattivi da parte di batteri isolati da spugne di
provenienza Antartica, raccolte nell’ambito della “20^ Spedizione Italia in Antartide – Estate
Australe 2004-2005”.
Preliminarmente per tutti i ceppi batterici isolati ( n.833 ) è stato condotto uno screening
preliminare ( mediante test dello striscio perpendicolare) nei confronti di 7 ceppi ATCC di
patogeni di interesse umano : Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Pseudomonas
aeruginosa, Bacillus subtilis, Salmonella enterica, Micrococcus luteus, Proteus mirabilis.
Il 19.7% degli isolati batterici ha mostrato di possedere attività antibatterica verso almeno un
ceppo target; tra questi E.coli ha dimostrato una maggiore sensibilità all’attività antibatterica
degli isolati, mentre B. subtilis e S. enterica hanno dimostrato una minore inibizione.
Sui ceppi “attivi” è stata effettuata l’analisi filogenetica; la sequenza del gene rRNA 16S ha
rilevato che la maggior parte dei batteri attivi appartenevano al phylum
Gammaproteobacteria (65.9% - generi Pseudoalteromonas (52 ceppi), Psychrobacter (13
ceppi) e Shewanella (8 ceppi).), seguito da Actinobacteria (28.6% - Arthrobacter (29 ceppi),),
Firmicutes (2.4%), Bacteroidetes (2.4%) e Alphaproteobacteria (0.7%).
Da 3 ceppi ( Pseudoalteromonas sp., Psychrobacter sp. e Arthrobacter sp.) sono stati estratti
composti bioattivi mediante trattamento con etilacetato (50%, v/v) dopo un’incubazione in
Marine Broth di circa 15 giorni e a diverse temperature (10 e 15°C).
La attività antibiotica degli estratti è stata confermata mediante dosaggio biologico (test di
diffusione su piastra), incubando le piastre a 28°C e 37°C. I risultati migliori sono stati
ottenuti incubando a 28°C e suggeriscono che i batteri associati alle spugne Antartiche
possono essere considerati una nuova importante e promettente fonte di composti con attività
antibatterica.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
155
Poster
ASSENZA DI PENICILLINO RESISTENZA IN CEPPI DI
STREPTOCOCCUS AGALACTIAE ISOLATI IN SICILIA
Pio Maria Furneri1, Carlo Genovese1, Giulio Petronio Petronio1,2, Edmondo Lissandrello1 e
Gianna Tempera1
1
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania, Via Androne 83,
95124 Catania, Italia
2
IRCCS San Raffaele Pisana, 00163 Roma, Italia
Fino alla fine del secolo scorso, Streptococcus agalactiae (GBS) era noto in medicina
veterinaria come agente eziologico della mastite bovina, solo nel 1935 Lancefield e Hare
hanno isolato un ceppo nell'uomo e nel 1938, Fray, descrisse i primi casi di morte a causa di
sepsi puerperale da GBS. Fu da quel momento che cominciarono gli studi sui GBS come
patogeni umani. Ci sono molti fattori che hanno contribuito a questo rinnovato interesse, i
principali sono l' aumento della resistenza contro i macrolidi, e la particolare attenzione verso
la loro invasività.
Attualmente la profilassi intrapartum utilizza penicillina o ampicillina, tuttavia, la presenza di
pazienti allergici impone l'uso di altri farmaci come macrolidi. La resistenza verso gli
antibiotici del gruppo MLSB è aumentata negli ultimi anni, e di recente è stata descritta una
ridotta sensibilità ai betalattamici.
Scopo di questo studio è quello di esaminare l'eventuale incidenza di sensibilità intermedia o
bassa resistenza di GBS alla penicillina, nonché indagare sull'epidemiologia molecolare della
resistenza all'eritromicina.
127 ceppi di GBS isolati da tamponi vaginali e rettali sono stati identificati mediante test
biochimici e molecolari.
I valori di MIC sono stati determinati con il metodo della microdiluizione brodo in Müeller Hinton II Broth con 2,5 % di sangue di cavallo lisato. I profili di sensibilità/resistenza sono
stati determinati in accordo al CLSI. Tutti i ceppi sono stati studiati per la loro suscettibilità a
penicillina, ampicillina, cefazolina, cefepime, cefotaxime, cefditoren, eritromicina e
clindamicina, ed è stato determinato sia il fenotipo sia il genotipo di resistenza
all’eritromicina. Nessun ceppo è stato trovato intermedio o resistente alla penicillina e ad altri
farmaci β-lattamici; i valori di MIC più bassi sono stati quelli mostrati dal Cefditoren. La
percentuale di resistenza all'eritromicina è stata l' 8,50 % mentre quella per clindamicina del
4,70 %. Per quanto attiene alla distribuzione fenotipica: 5 ceppi hanno mostrato un fenotipo
costitutivo, 4 un fenotipo inducibile, e solo uno M- fenotipo. Tutti i ceppi con fenotipo
costitutivo e inducibile possedevano il gene erm(B), mentre quelli con M - fenotipo il mef(A).
Il progetto è stato finanziato dal MIUR PRIN prot. 2009P5EKH4
156
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
VALUTAZIONE DELL'ATTIVITÀ DELL'ACIDO FUSIDICO NEI
CONFRONTI DI BATTERI GRAM-POSITIVI E GRAM-NEGATIVI,
ISOLATI DA INFEZIONI CUTANEE, MEDIANTE INCAPSULAZIONE
IN LIPOSOMI FUSOGENICI.
Carlo Genovese, Rosanna Inturri, Edmondo Lissandrello, Silvana Mastrojeni, Daria Nicolosi
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche sezione Microbiologia, Università degli Studi di
Catania
Le infezioni cutanee sono molto comuni nella pratica clinica e possono manifestarsi come
infezioni primarie o secondarie. Le infezioni primarie, causate solitamente da una singola
specie microbica, si originano nella cute integra e presentano una morfologia caratteristica. La
via d'ingresso del germe è spesso sconosciuta. Le infezioni secondarie, generalmente
polimicrobiche, si sviluppano su lesioni preesistenti che facilitano l'ingresso dei
microrganismi. I batteri isolati con maggiore frequenza sono S. aureus ed S. pyogenes,
sebbene possano riscontrarsi anche batteri Gram-negativi e miceti lievitiformi. Nelle infezioni
cutanee superficiali, la terapia antibiotica topica offre notevoli vantaggi rispetto a quella
sistemica, in quanto può essere applicata direttamente nel sito d'infezione, rendendo
disponibile elevate concentrazioni dell'agente antimicrobico. L'acido fusidico, un antibiotico a
spettro ristretto attivo nei confronti di batteri Gram-positivi e cocchi Gram-negativi, mostra
nelle formulazioni per uso topico una buona permeabilità ed un basso potere allergenico. In
tale studio, si è pensato di incorporare l’acido fusidico all'interno di piccoli liposomi
unilamellari, di dimensioni <100 nm, preparati mediante la tecnica dell'estrusione (SUVET) e
partendo da una miscela di fosfolipidi-colesterolo emisuccinato, conosciuta per le proprietà
fusogeniche con la membrana delle cellule eucariotiche. L'acido fusidico, incorporato nei
liposomi fusogenici, è stato sottoposto a saggi per la determinazione della sensibilità nei
confronti di ceppi batterici Gram-positivi (S. aureus, S. epidermidis) e Gram negativi (E. coli,
P. aeruginosa, K. pneumoniae, A. baumannii) nel range di concentrazioni compreso tra 25 e
512 µg/ml . Per il controllo, sono stati saggiati acido fusidico puro e liposomi fusogenici privi
di antibiotico. Quest’ultimi non hanno mostrato alcuna attività; i liposomi fusogenici
contenenti acido fusidico, rispetto all’antibiotico puro, hanno portato ad un miglioramento di
attività nei confronti degli stafilococchi e dei batteri Gram-negativi, escluso A. baumannii.
Tali risultati indicano che il sistema SUVET-acido fusidico, se opportunamente incorporato in
formulazioni per uso topico, potrebbe favorire l’efficacia in situ dell’agente antimicrobico.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
157
Poster
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS IN PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI
CISTICA E VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI NUOVI COMPOSTI
BETA-LATTAMICI COME POSSIBILI AGENTI ANTI BATTERICI.
Musumeci R1, Oggioni D1, Ferrante M1, Teri A3, Madeo M1, Careddu AML1, Giacomini D2,
Galletti P2, Cariani L3, Cocuzza CE1.
1
Dipartimento di Chirurgia e Medicina Interdisciplinare, Università di Milano-Bicocca
2
Dipartimento di Chimica "G. Ciamician", Università di Bologna
3
Laboratorio di Microbiologia per la Fibrosi Cistica, Fondazione IRCCS CA’ GRANDA,
Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Progetto FFC11#2011 finanziato dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica - Onlus
Le infezioni delle vie respiratorie sono causa importante di morbilità e mortalità in pazienti
con fibrosi cistica (FC). Lo Staphylococcus aureus rappresenta uno dei più importanti
patogeni polmonari, fortemente associato all’antibiotico-resistenza, in questi pazienti.
Lo scopo del lavoro è stato quello di caratterizzare, dal punto di vista fenotipico e molecolare,
isolati clinici di S. aureus, provenienti da pazienti con fibrosi cistica. Tali isolati sono stati
successivamente utilizzati per la valutazione di nuove molecole con potenziale attività
antistafilococcica, sintetizzate a partire dalla struttura dei monobattami.
Un totale di 63 ceppi di Staphylococcus aureus, isolati da 21 pazienti con FC, sono stati
caratterizzati per il fenotipo di sensibilità alle diverse classi di antibiotici mediante il sistema
automatico Vitek (Biomérieux). Il profilo genotipico dei diversi isolati di S. aureus è stato
analizzato utilizzando diverse metodiche molecolari quali, la tipizzazione della Cassetta
Stafilococcica Cromosomica mecA (SCCmecA), mediante Multiplex PCR, e caratterizzazione
della proteina A di Staphylococcus aureus (spa-typing), mediante PCR e sequenziamento.
La valutazione dell’attività antibatterica “in vitro” di 16 nuovi composti azetidinonici è stata
effettuata mediante la determinazione delle minime concentrazioni inibenti.
L’analisi fenotipica ha rivelato 59 ceppi meticillino-resistenti (MRSA), con profili di
resistenza crociata alle diverse classi di antibiotici saggiati. I dati emersi dall’SCCmec-typing
hanno evidenziato che i diversi isolati di S. aureus possedevano una cassetta cromosomica
appartenente principalmente ai tipi I, II e IV. Lo spa typing ha dimostrato la presenza di
un’eterogenea distribuzione dei diversi sottotipi.
La valutazione dell’attività antibatterica condotta su 16 nuove molecole di sintesi ha permesso
di selezionare alcuni buoni candidati come potenziali agenti antibatterici per un futuro
sviluppo clinico. In particolare i composti FB05 e FB11, due enantiomeri della stessa
molecola, hanno mostrato una buona attività sia su ceppi MRSA che su ceppi meticillinosensibili.
158
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
STUDIO EPIDEMIOLOGICO SULL’INFEZIONE DA CHLAMYDIA
TRACHOMATIS IN DONNE CON DISPLASIA CERVICALE NELLA
MACROAREA DI MONZA-BRIANZA.
Musumeci R1, Salerio FA1, Epifano I1, Del Bianco S1, Madeo M1, Careddu AML1, Piana A3,
Castiglia P3, Pirovano C2, Dell’Anna T2, Cocuzza CE1
1
Dipartimento di Chirurgia e Medicina Interdisciplinare, Università di Milano-Bicocca
2
Divisione di Ginecologia, A.O. San Gerardo, Monza (MB)
3
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Igiene e Medicina Preventiva, Università di
Sassari
Chlamydia trachomatis (Ct) è principale causa di malattie sessualmente trasmissibili. La
World Health Organisation (WHO) stima ogni anno almeno 92.000.000 nuovi casi
d’infezione nel Mondo, di cui almeno 5.000.000 in Europa. La natura asintomatica
dell’infezione, in più dell’80% delle donne, risulta spesso in una mancata diagnosi e quindi
trattamento, con possibili gravi complicanze quali uretriti, cerviciti, malattia infiammatoria
pelvica e sterilità. Ct è inoltre considerato un importante cofattore insieme ad HPV nella
progressione della displasia cervicale.
Obiettivo dello studio è stato la valutazione epidemiologica delle infezioni cervicali da C.
trachomatis in donne con displasia cervicale di grado lieve (ASCUS/LSIL).
Uno studio longitudinale, della durata di 18 mesi, è stato effettuato in una coorte di 45 donne
positive per HPV 16, 18, 31 e/o 45, su 227 riferite al A.O. San Gerardo, Monza con
ASCUS/LSIL, per valutare la prevalenza, incidenza e persistenza di infezione associata ai
diversi sierotipi di C. trachomatis.
La presenza di Ct ed HPV è stata eseguita utilizzando saggi “in house” di Real-Time PCR e
successiva genotipizzazione mediante PCR-RFLP, per determinare i diversi serovars di C.
trachomatis.
L’infezione da Ct alla prima visita è stata riscontrata nel 16% delle 227 pazienti, con una
prevalenza dei sierotipi F, E, K, D e G rispettivamente del 6,2%, 4,4%, 2,2%, 1,8% e 1,3%.
Co-infezione da HPV e C. trachomatis era presente nell’11,5% (26/227).
Nelle 45 donne arruolate nello studio, l’incidenza dell’infezione da Ct è stata del 49%,
associata prevalentemente al sierotipo F (36%), E e K (23% rispettivamente). La persistenza
dell’infezione per almeno 6 mesi è stata dimostrata nel 25% delle pazienti ed associata
maggiormente al sierotipo E (40%) seguita da F e K (25% rispettivamente). Il 10% delle
pazienti ha inoltre mostrato reinfezioni correlate ad un diverso serovar di Ct.
Una maggiore comprensione dell’epidemiologia dell’infezione cervicale da Ct potrebbe
migliorare la diagnosi e terapia della malattia e permettere lo sviluppo di nuove strategie per
la prevenzione delle complicanze ad essa correlate.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
159
Poster
QUATTRO CASI DI BATTERIEMIA DA CUPRIAVIDUS
METALLIDURANS IN UN POLICLINICO UNIVERSITARIO
ITALIANO.
Tiziana D’Inzeoa, Rosaria Santangeloa, Barbara Fioria, Alessia Giaquintoa, Ivana Paluccia,
Giancarlo Scoppettuolob, Viviana Di Florioa, Tommaso Gianic, Maurizio Sanguinettia,
Gian Maria Rossolinic and Teresa Spanua.
Istituti di aMicrobiologia e bMalattie Infettive, Università Cattolica del S. Cuore, Roma;
c
Dipartimento di Biotecnologie Mediche, Università di Siena.
Il genere Cupriavidus è formato da batteri Gram-negativi non fermentanti, abitualmente
ambientali. Recenti evidenze hanno tuttavia mostrato come questi batteri siano in grado di
causare infezioni soprattutto nell’ospite immunodepresso o con patologie concomitanti. Lo
scopo di questo lavoro è stato di identificare con metodiche avanzate, quali spettrometria di
massa, sequenziamento molecolare e genotipizzazione, C. metallidurans in campioni di
sangue di 4 pazienti ricoverati presso il Policlinico “A. Gemelli” di Roma. Di questi 4
pazienti, 2 erano affetti da patologie neoplastiche ed erano portatori di catetere venoso
centrale (CVC). Le emocolture erano giustificate dalla presenza di febbre, leucocitosi
neutrofila ed alterazioni a carico del fibrinogeno e della proteina-C reattiva. In tutti e 4 i casi,
si è avuta la positivizzazione delle emocolture sia da sangue periferico che dal CVC
rispettivamente dopo 33-59 ore e 15-17 ore. Le metodiche colturali di routine avevano
evidenziato la presenza in questi campioni di bacilli aerobi Gram-negativi ossidasi e catalasi
positivi. La successiva identificazione attraverso spettrometria di massa (MALDI-BioTyper)
direttamente dall’emocoltura, aveva consentito l’identificazione di C. metallidurans (score
1.363) e C. pauculus (score 1.755) nei campioni provenienti da 2 dei 4 pazienti. La successiva
analisi spettrometrica dagli isolati clinici, effettuata con due diversi sistemi, aveva identificato
C. pauculus nei campioni di tutti e quattro pazienti se eseguita con MALDI-TOF-VITEK MS,
mentre C. metallidurans e C. pauculus erano stati identificati tramite MALDI BioTyper
ciascuno negli isolati di due pazienti su quattro. Con lo scopo di effettuare una diagnosi di
specie definitiva, è stata utilizzata la metodica di sequenziamento da rDNA 16S seguita da
genotipizzazione tramite pulsed-field gel electrophoresis. Esse hanno consentito
l’identificazione definitiva di C. metallidurans nei campioni provenienti da tutti e 4 i pazienti.
In conclusione, la spettrometria di massa integrata da sequenziamento molecolare e
genotipizzazione ha consentito la diagnosi di sepsi da C. metallidurans altrimenti resa
impossibile dai comuni sistemi di identificazione.
160
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ANISAKIASI A LOCALIZZAZIONE INTESTINALER
R. GRAFFEO1, M. FANTONI2, R. RICCI3, C. ARCHIBUSACCI1, S. MAGALINI4, D. GUI,
M. SANGUINETTI1, L. MASUCCI1
1
Istituto di Microbiologia,2 Istituto Clinica delle Malattie Infettive, 3 Istituto di Clinica
Chirurgica, Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli Roma
L’Anisakiasi è una parassitosi umana causata dall’ingestione accidentale di larve di parassiti
Anisakidi appartenenti prevalentemente ai generi Anisakis e Pseudomoterranova, più
raramente al genere Contracaecum.
L’uomo contrae l’infestazione a seguito del consumo di prodotti della pesca crudi, poco cotti
o sottoposti a processi di conservazione quali salagione, affumicatura e marinatura, non in
grado di provocare la morte delle forme larvali del parassita
Nel ciclo biologico di Anisakis spp. l’uomo rappresenta un ospite “accidentale” o “dead end”
in quanto non riveste alcun ruolo nella trasmissione della parassitosi e all’interno
dell’organismo umano, le larve non vanno incontro a mute, interrompendo così il loro ciclo
biologico
Si possono distinguere tre principali forme di anisakiasi: una “forma acuta”, una “forma
cronica”, entrambe ad interessamento gastrico e/o intestinale e infine una “forma extragastrointesinale o ectopica”.
Nella forma cronica generalmente vengono interessati i primi tratti del canale digerente quali
stomaco ed piccolo intestino; raramente sono stati segnalati casi di anisakiasi con
interessamento del colon ascendente.
Riportiamo un caso di anisakiasi cronica in una paziente emicolectomizzata per sospetta
neoplasia intestinale nell’area ileo-cecale.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
161
Poster
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN NUOVO DATABASE PER
L’IDENTIFICAZIONE RAPIDA DI LIEVITI PATOGENI NELLA
DIAGNOSTICA MICOLOGICA MEDIANTE SPETTROMETRIA DI
MASSA MALDI-TOF
De Carolis E1., Vella A1., Vaccaro L1., Torelli R1., Posteraro B2., and Sanguinetti M1.
Istituto di Microbiologia1 e Igiene2, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
La spettrometria di massa MALDI-TOF (matrix assisted laser desorption ionization-time of
flight) ha costituito una rivoluzione nella diagnostica microbiologica riducendo i tempi
necessari per l’analisi rispetto all’identificazione biochimica convenzionale e dimostrandosi
una valida alternativa ai costosi metodi molecolari.
Negli ultimi anni si è assistito ad importanti cambiamenti nell’epidemiologia dei lieviti isolati
nella diagnostica micologica; l’aumentata incidenza di specie precedentemente considerate
rare opportuniste (non-albicans), e caratterizzate da sensibilità ai farmaci antifungini dissimili
da quelle note per Candida albicans, determinano la necessità di un’identificazione rapida ed
affidabile a livello di specie. La tecnologia molecolare ha inoltre rivelato l’esistenza di specie
“criptiche” difficilmente rilevabili mediante i metodi convenzionali ma il cui riconoscimento
è di fondamentale importanza per approntare una terapia adeguata.
A causa delle differenze biologiche a livello della parete fungina tuttavia l’estrazione delle
biomolecole necessarie per l’identificazione mediante MALDI-TOF MS necessita di tempi
più lunghi rispetto alle metodiche applicate in batteriologia.
In questo studio è stato messo a punto un protocollo per l’estrazione rapida delle proteine dei
lieviti partendo dalla colonia isolata su SDA dopo incubazione overnight a 37°C che prevede
l’utilizzo di acido formico al 10% e la deposizione direttamente su piastra della sospensione
ed è stato costruito un nuovo database che include i profili proteici di 157 isolati tra cui 56
specie non-albicans appartenenti a 12 generi.
Il protocollo e il database “fastyeasts”, sono stati validati mediante challenge con 100 isolati,
77 non-albicans e 23 C. albicans identificati attraverso il metodo standard di preparazione e il
database fornito dalla casa (Bruker Daltonics); i risultati sono stati confrontati con quelli
ottenuti mediante identificazione molecolare.
La metodica è stata quindi applicata all’analisi di 4137 isolati provenienti dai reparti e dagli
ambulatori del Policlinico Gemelli. Il 97.7 % degli isolati è stato correttamente identificato a
livello di specie in cinque minuti.
L’utilizzo del protocollo rapido di estrazione e del nuovo database ha permesso la corretta
identificazione a livello di specie in tempi rapidi con risultati soddisfacenti anche per quanto
riguarda le specie “criptiche”.
162
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
CONFRONTO TRA I SISTEMI BD PHOENIX E VITEK 2 PER
L’IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI PATOGENI NELLA
DIAGNOSTICA MICOLOGICA.
Vella A.1, Posteraro B.2, Ruggeri A.1, De Carolis E.1, Torelli R.1, Vaccaro L.1, Posteraro P.3 e
Sanguinetti M.1
Istituto di Microbiologia1 e Igiene2, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.
Ospedale San Carlo3, Roma
Negli ultimi decenni, con l’aumento dei pazienti immunocompromessi, il numero di infezioni
causate da lieviti opportunisti è fortemente aumentato. Sebbene Candida albicans rappresenti
il lievito principalmente isolato dai campioni biologici, altre specie, con diversa sensibilità
agli antimicotici, vengono sempre più spesso isolate. Per questo motivo è di fondamentale
importanza una identificazione a livello di specie accurata e rapida. In questo studio sono state
messe a confronto le performance del pannello DB Phoenix Yeast ID in uso nel sistema BD
Phoenix (Becton Dickinson Diagnostics, Sparks, MD) con quelle della card colorimetrica
Vitek2 YST in uso con il sistema Vitek 2 (bioMerieux, Marcy l’Etoile, France). A questo
scopo, sono stati utilizzati 250 isolati appartenenti a 29 specie di 7 generi di lieviti provenienti
da colture di campioni biologici ottenuti da pazienti ricoverati presso l’Ospedale A. Gemelli
di Roma. Tutti gli isolati sono stati coltivati su Sabouraud dextrose agar (SDA) e su agar
Columbia (COL5B) per 48h a 30°C e sono stati identificati inizialmente sia mediante
spettrometria di massa MALDI-TOF (Bruker Daltonics) che mediante il sequenziamento della
regione ITS. Successivamente sono stati saggiati con i sistemi BD Phoenix e Vitek 2, in
accordo con le istruzioni delle case produttrici.
Dei 224 isolati appartenenti alle specie più comuni, (C. albicans, C. glabrata, C. parapsilosis
sensu stricto, C. tropicalis, C. krusei, C. neoformans e C. cerevisiae), il sistema DB Phoenix
ha identificato correttamente il 98,2%, ed il restante 1,8% è stato o identificato erroneamente
o non identificato in egual misura. Invece il sistema Vitek 2 ha identificato correttamente il
94,2%, il 3,6% è stato identificato erroneamente e il 2,2% non è stato identificato.
Per quanto riguarda i 26 isolati appartenenti alle specie rare dei generi Candida,
Blastoschizomyces, Pichia, Rhodotorula e Trichosporon il sistema DB Phoenix ha identificato
correttamente il 65,4 % e il sistema Vitek 2 il 50%.
In conclusione dei 250 isolati analizzati, il sistema DB Phoenix ha fornito una identificazione
accurata nel 94,8% dei casi, mentre il sistema Vitek 2 del 89,6%, infine mediante il sistema
BD Phoenix i tempi di attesa per le identificazioni sono stati più rapidi rispetto al sistema
Vitek 2 (9,68 ore vs 18,25).
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
163
Poster
CONFRONTO DI METODI PER L’ISOLAMENTO DI DNA DA
ZIGOMICETI
Massimiliano Bergallo, Giuliana Banche, Paola Montanari, Vivian Tullio, Janira Roana,
Narcisa Mandras, Daniela Scalas, Valeria Allizond, Tilde Manetta, Alda Alfarano, Giovanna
Rizzo, Pier-Angelo Tovo, Anna Maria Cuffini.
Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Scuola di Medicina, Università
degli Studi di Torino
In questo studio sono stati sviluppati e confrontati cinque metodi di estrazione del DNA di
zigomiceti. La parete dei funghi rende l’operazione della purificazione del DNA
particolarmente difficoltosa ed è per questo motivo che necessita di messa a punto e
valutazione. Lo scopo del lavoro è stato quello di ottenere un DNA di qualità e quantità
sufficienti per la successiva amplificazione.
Sono stati usati un ceppo di Rhizopus spp. e tre di Mucor spp.. Piastre di Sabouraud dextrose
agar sono state inoculate con i funghi e incubate a 25 °C per 24-72 ore fino alla formazione
del micelio. Una porzione del micelio di circa 10-20 mg è stata prelevata e posta in una
provetta Eppendorf con 600μl di soluzione fisiologica sterile e congelata a -20°C fino all’uso.
Il materiale contenuto nelle provette è stato omogenato tramite l’utilizzo di una siringa e
processato con cinque differenti protocolli di estrazione. Il protocollo A ha previsto una lisi e
una successiva bollitura prima della precipitazione; il protocollo B ha accoppiato alla lisi
l’uso delle microonde; il protocollo C ha sfruttato il congelamento e scongelamento lento; il
protocollo D ha sfruttato l’uso del b-mercaptoetanolo come riducente delle proteine contenute
nel campione; il protocollo E ha sfruttato un tampone a base di acetato di potassio e acido
acetico, dopo la lisi, al fine di favorire la precipitazione di grosse molecole derivanti dalla
rottura della parete fungina. I protocolli C e D hanno utilizzato un buffer con il 3% di
detergenti (1% SDS e 2% Triton x-100 il protocollo C e 3% SDS il protocollo D). Al fine di
quantificare il DNA estratto per fini amplificativi è stata messa a punto una real time PCR
quantitativa duplex.
I protocolli migliori sono risultati il C e D che hanno determinato rese paragonabili. In
particolare il protocollo C è risultato il migliore per Rhizopus spp., mentre il protocollo D per
i tre ceppi di Mucor spp.. Nel dettaglio il protocollo C per Rhizopus spp. ha dato risultati
migliori del 32% rispetto al D e del 92-93% rispetto agli altri, mentre per i ceppi di Mucor
spp. il protocollo D ha evidenziato risultati migliori del 18% rispetto al C, del 35% rispetto
all’A e oltre l’87% rispetto a tutti gli altri. In conclusione, si può affermare che i protocolli C
e D si sono rivelati i migliori per l’estrazione di DNA amplificabile da zigomiceti: l’uso dei
detergenti in questi protocolli testimonia che per i funghi il passaggio fondamentale risulta
essere dunque la rottura della parete.
164
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
SCREENING DI UNA LIBRERIA PEPTIDICA BASATA SULLA
SEQUENZA DELLA PROTEINA MAP2694 ED IDENTIFICAZIONE DI
EPITOPI IMMUNODOMINANTI ALTAMENTE RICONOSCIUTI DA
PAZIENTI SARDI AFFETTI DA SCLEROSI MULTIPLA
Davide Cossu, a Speranza Masala, a Jessica Frau, b Giuseppe Mameli, a Maria Giovanna
Marrosu, b Eleonora Cocco b and Leonardo Antonio Sechia*
a
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Microbiologia e Virologia, Università di
Sassari, Italy.
b
Centro Sclerosi Multipla, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Neurologiche,
Università di Cagliari, Italy.
Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (MAP) è l’agente eziologico della malattia di
Johne, una affezione granulomatosa enterica dei ruminanti, ed è stato associato a diverse
malattie autoimmuni come il morbo di Crohn, il diabete di tipo 1 e più recentemente alla
sclerosi multipla (SM).
Di recente è stata riportata un'associazione tra il MAP e la Sclerosi Multipla (SM) in
Sardegna, sia a livello molecolare con il rilevamento del DNA batterico nel sangue periferico
di pazienti affetti da SM, sia con il riscontro di una forte risposta umorale contro alcune
proteine del MAP. Uno di questi antigeni, la MAP2694 (UniProt accession no. Q73WG6), è
una proteina transmembrana che presenta omologia di sequenza con il T-cell receptor gammachain ed il complement component C1q dell’uomo. In uno studio pilota condotto su una
coorte sarda composta da 50 pazienti affetti da SM e 56 controlli sani (HCs), questo antigene
ha dato elevati valori ELISA nel 32% dei pazienti con SM e solo nel 2% degli HCs.
Successivamente, in uno studio effettuato su un campione più ampio (436 pazienti e 264
HCs), la positività alla MAP2694 è stata rilevata nel 33,7% e nel 3,8% rispettivamente. In
entrambi gli studi, è stato testata la proteina intera fusa alla sua tag, la maltose binding
protein.
È stata quindi sintetizzata una libreria peptidica costituita da 58 nonameri comprendente
l’intera sequenza della MAP2694, con lo scopo di identificare le regioni maggiormente
immunogeniche della proteina e per comprendere meglio la struttura antigenica della stessa.
In primo luogo, è stato eseguito uno screening mediante saggio ELISA su 47 pazienti affetti
da SM e 42 volontari sani con lo scopo di individuare i peptidi più antigenici e per
determinare la posizione degli epitopi rilevanti. Due dei 58 peptidi sintetici sono stati
fortemente riconosciuti dagli anticorpi dei pazienti SM rispetto ai HCs: MAP2694 97-105 e
MAP2694 295-303. Successivamente è stato eseguito un saggio di inibizione competitiva tra i 2
peptidi presi singolarmente e la MAP2694 in toto. Questi esperimenti dimostrano che i due
epitopi identificati sono immunodominanti, infatti il pre-assorbimento di sieri Ab+ con questi
peptidi, è stato in grado di inibire il legame degli Abs alla proteina MAP2694 in maniera
specifica.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
165
Poster
ELEVATI LIVELLI DI IGG EBNA-1 IN PAZIENTI SARDI CON
SCLEROSI MULTIPLA RISPETTO A CONTROLLI SANI.
Giuseppe Mameli 1, Davide Cossu 1, Eleonora Cocco 2, Speranza Masala 1, Jessica Frau 2,
Maria Giovanna Marrosu 2 and Leonardo A. Sechi 1*
1
Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Microbiologia, Università di Sassari, Italy.
2
Centro Sclerosi Multipla, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Neurologiche,
Università di
Cagliari, Italy.
La sclerosi multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica del sistema nervoso centrale
(SNC), con vari gradi di patologia assonale e episodica e una progressiva disabilità
neurologica. Eventi immunopatogenici sono probabilmente scatenati da fattori ambientali che
agiscono su un background genetico predisponente . Geneticamente la Sardegna rappresenta
un'eccezione insolita per la distribuzione nord-sud della SM , in quanto vi è una netta
differenza nella frequenza di SM rispetto ad altre popolazioni mediterranee. Infatti, i sardi
mostrano un tasso di incidenza tra i più alti al mondo. Il crescente tasso di incidenza MS
durante gli ultimi 50 anni è imputabile all’azione di diversi fattori ambientali. In questo studio
abbiamo valutato il titolo anticorpale IgG anti EBNA-1 del virus di Epstein-Barr in una
coorte di popolazione sarda. Diversi studi prospettici su EBV hanno mostrato che la
comparsa di anticorpi anti-EBV (Abs) è associato con l'insorgenza della SM dopo 5-20 anni.
In questo studio 125 pazienti con SM senza terapia per almeno 6 mesi e 140 controlli sani
sono stati analizzati per valutare la risposta immunitaria contro EBNA-1, è stato inoltre
valutato il titolo degli anticorpi IgG contro EBNA-1 prima dell'applicazione di IFN-β e dopo
6 mesi di trattamento. I risultati mostrano una maggiore positività di EBNA-1 IgG in pazienti
con SM rispetto ai controlli sani, infatti il 91% pazienti dei pazienti con SM risultano positivi
a EBNA-1 IgG , mentre nei controlli sani solo il 69% erano Ab positivo (AUC = 0,75, p
<0,0001). Per quanto riguarda Il titolo degli anticorpi IgG anti EBNA-1 nella sclerosi multipla
era 81,5 [57,8-107,17] RU / ml, contro 46,4 [21,12-75,97] RU / ml in HC . Questo risultato
mostra una forte significatività statistica (p <0,0001), mostrando che Il rischio di sviluppare la
SM è maggiore di 4,6 volte nei soggetti con titoli superiori di EBNA-1 IgG al quartile più
alto, rispetto a quelli nei quartili più bassi (OR = 4.6, 95% CI, 1.5-14). Inoltre in 37 pazienti
con SM è stato determinato Il titolo delle IgG EBNA1-specifiche prima e dopo 6 mesi di
terapia con IFN-β. I risultati hanno evidenziato una diminuzione dei titolo di EBNA-1 IgG,
che mostra una media di 70,75 [47,71-95,55] RU / ml dopo il trattamento rispetto a una media
di 99.37 [65,7-128,52] RU / ml prima del trattamento. Questa differenza è statisticamente
significativa (p = 0,0003). Questi risultati ottenuti per la prima volta in una popolazione sarda,
confermano i risultati precedenti e rafforzano l'associazione tra EBV e SM .
166
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
EPITOPI DELLA PROTEINA MAP3865C OMOLOGA ALLA
PROTEINA BETA-CELLULARE ZNT8 SONO RICONOSCIUTI IN
BAMBINI ITALIANI ALL’ESORDIO DEL DIABETE DI TIPO 1 E IN
BAMBINI A RISCHIO.
Speranza Masala, 1 Davide Cossu, 1 Simona Piccinini, 2 Giuseppe Mameli, 1 Novella Rapini,
2
Maria Luisa Manca Bitti,2 and Leonardo Antonio Sechi 1.
1
Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di
Microbiologia e Virologia, 07100 Sassari,
2
Pediatric Diabetology Unit, Policlinico di Tor Vergata, University of Rome Tor Vergata,
00133 Rome, Italy
Il Diabete di tipo 1 (T1D) è una malattia autoimmune mediata dai linfociti T, culminante nella
distruzione delle cellule β pancreatiche secernenti insulina. Benché sia stato stabilito che
questa malattia autoimmune sia il risultato dell’interazione tra fattori genetici e ambientali,
questi ultimi sono ancora poco definiti. Durante il periodo che precede la manifestazione
clinica del T1D, autoanticorpi (aAbs) diretti contro gli antigeni delle isole pancreatiche
glutamic acid decarboxylase (GAD65), insulinoma associated protein-2 (IA-2) and zinc
transporter 8 (Znt8) possono essere individuati, fornendo quindi un sistema per predire la
malattia in soggetti sani geneticamente predisposti. Gli Abs diretti contro questi auto-antigeni
possono comparire da mesi ad anni prima dell’insorgenza della malattia per poi decrescere
lentamente dopo la diagnosi. Circa il 65% di bambini all’esordio del T1D presenta annticorpi
diretti contro la Znt-8. Dati sperimentali confermano la presenza di un’associazione tra
l’infezione da parte del Mycobacterium avium ss. paratuberculosis (MAP) e il T1D nella
popolazione sarda. Inoltre l’associazione tra il MAP e il T1D è stata osservata più di recente
in una coorte italiana di bambini affetti da T1D e aventi una struttura genetica differente. Ci
siamo quindi prefissi di confermare la presenza di anticorpi anti-MAP in un’altra popolazione
pediatrica italiana, studiando sia soggetti all’esordio della malattia, sia a rischio. In tutto, 59
bambini all’esordio del T1D, 45 a rischio, e 110 controlli sani (HC) confrontabili per età e
sesso sono stati testati mediante ELISA indiretto. I saggi ELISA sono stati eseguiti per
ricercare la presenza di Abs diretti verso le coppie di epitopi omologhi MAP3865c/Znt8, il
peptide C-terminale MAP3865c281-287, e la proteina MAP specifica MptD. È stata riscontrata
una differenza significativa nella frequenza di sieri positivi agli anticorpi (Abs+) sia tra
bambini all’esordio del T1D e gli HC, sia tra bambini a rischio e HC. I risultati ottenuti
confermano quanto dimostrano in precedenza studiando bambini sardi, supportando quindi la
teoria postulante che la cross reattività tra gli anticorpi che riconoscono gli epitopi omologhi
della MAP3865c e della Znt8 possa essere coinvolta nella patogenesi del T1D. L’elevata
frequenza di sieri Abs+ diretti contro questi peptidi sia nel caso dei soggetti all’esordio sia nel
caso dei bambini a rischio (40.6%-53.3%), suggerisce che la ricerca di anticorpi Abs diretti
contro questi 5 peptidi potrebbe essere utilizzata come biomarkers predittivo del T1D. Ora è
importante seguire questa corte di bambini a rischio per chiarire se i titoli anticorpali diretti
contro questi MAP/Znt8 epitopi si riducono dopo la diagnosi.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
167
Poster
URPIM: UNO SGUARDO SULLE PREVALENZE DELLE
PARASSITOSI INTESTINALI
S. Alfano (1), M. Piemonte (1), M.E. Della Pepa (1), D. Ianniello (2), M. Galdiero (1), E. Finamore (1),
L. Rinaldi (2), L. Gualdieri (3), G. Cringoli (2), M. Galdiero (1)
1.
2.
3.
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università degli Studi di Napoli
Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli studi di Napoli “Federico II”
Centro per la Tutela della Salute degli Immigrati, A.O. Ascalesi di Napoli
Il crescente fenomeno dell’immigrazione dai Paesi in via di sviluppo verso l’Europa ha fatto
emergere il problema della cura e del controllo di malattie parassitarie ormai eradicate nel
nostro territorio. La città di Napoli accoglie ogni anno un numero sempre maggiore di
migranti; nel 2008 è stata la città del sud Italia con il maggior numero di immigrati. Presso il
Dipartimento di Medicina Sperimentale della Seconda Università degli Studi di Napoli
(SUN), l’ Unità di Ricerca per il Monitoraggio delle Parassitosi Intestinali dei Migranti
dell’area del Mediterraneo (URPIM) svolge indagini sulla prevalenza delle parassitosi
intestinali sia nelle popolazioni di migranti in Italia sia in quelle ancora residenti nei Paesi
endemici per queste patologie.
Ad un monitoraggio sulle parassitosi intestinali dei migranti nell’area del Mediterraneo sono
stati affiancati uno studio su campioni pediatrici prelevati nelle scuole primarie di Capo Verde
e una indagine sulla prevalenza di parassitosi intestinali in soggetti residenti in Liberia.
I campioni sono stati analizzati con l’innovativa FLOTAC dual technique, che prevede
l’utilizzo di soluzioni flottanti.
Dai dati è emerso che il 49% dei migranti monitorati sono risultati infetti da almeno uno dei
seguenti parassiti: Ancylostoma duodenalis, Ascaris lumbricoides, Trichostrongylus spp.,
Strongyloides stercoralis, Trichuris trichiura, Enterobius vermicularis, Schistosoma mansoni,
Dicrocoelium dendriticum, Hymenolepis nana, Taenia spp., Balantidium coli, Dientamoeba
fragilis, Blastocystis hominis, Entamoeba histolytica/dispar, Entamoeba hartmanni,
Entamoeba coli, Endolimax nana, Giardia lamblia, Enteromonas hominis, Chilomastix
mesnili, Iodamoeba butschlii, Isospora belli. Le prevalenze, per gli stessi parassiti, nei
bambini delle scuole di Capo Verde e nei soggetti residenti in Liberia sono rispettivamente del
78,5% e del 44%.
Questi dati, oltre a confermare l’importanza di effettuare un costante monitoraggio di queste
patologie tutt’altro che eradicate, inducono alcune riflessioni: considerando la sostanziale
differenza delle condizioni igienico-sanitarie delle diverse popolazioni studiate, sarebbe
opportuno indagare su quale sia la persistenza dei parassiti intestinali dopo mesi dall’evento
migratorio in ambienti di vita in cui è ridotta la possibilità di infettarsi e, contestualmente, se
possa verificarsi una eventuale trasmissione di parassiti nel Paese ospite all’interno di nuclei
di coabitanti.
168
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
PHAGOCYTES IN MULTIPLE SCLEROSIS: ALTERED
MICROBICIDAL FUNCTIONS RELATED TO THE DISEASE
V. Allizond, S. Scutera, T. Musso, N. Mandras, V. Tullio, E. Marra, A. M. Cuffini, G. Banche
Public Health and Pediatrics Dept., University of Torino, Turin, Italy
A growing body of evidence indicates that the central nervous system (CNS) and immune
system are two super-systems closely linked and that this functional interaction could pave
the way to appearance of immunological manifestations as the result of CNS injury, and vice
versa. Multiple sclerosis (MS) is considered a T-cell-mediated autoimmune disease of the
CNS. Literature data report that MS patients are at a noticeably infection raised risk leading to
hospital admission and infection-related mortality, and also immunotherapy may influence
this increasing risk. Data on the relationship among microbial factors, immunotherapies and
alterations of the innate immunity in MS patients are still lacking. This study investigated the
role of innate immune system in MS patients either treated or untreated with
immunosuppressant/immunomodulatory drugs, at different stages of development and with
different clinical classification, in comparison with healthy subjects (HSs). We compared the
in vitro functional activity (phagocyte microbicidal activity and cytokine release profile) of
granulocytes (PMNs) harvested from 15 MS patients with that of 9 HS-PMNs against
Klebsiella pneumoniae. The microbicidal activity towards intracellular bacteria by MS-PMNs
was significantly depressed within 60’ of incubation: intracellular Survival Index (SI) was >2
for treated patients, indicating total absence of killing and active intracellular multiplication of
klebsiellae and 1.96 (4% of killing) for untreated patients. On the contrary, HS-PMNs in the
same experimental conditions were effectively able to kill ingested bacteria (IS= 1.48; 52% of
killing at 30’ and IS=1.74; 26% of killing at 60’). The proinflammatory cytokine release in the
supernatants of PMNs after 30’ of incubation with bacteria revealed a gradual increased level
of all cytokines during the incubation time, but no statistically significant differences were
observed in these values between MS patients and HSs. These findings provide evidence that
even though in MS patients the number of PMNs is normal, their primary functions are
altered, independently to MS status but in a way related to the treatment. This altered PMN
function seems not dependent on the cytokine release pattern and could be due to a decreased
activity of the respiratory burst. The validation of these results could help in identifying a
subset of patients at high infection risk who could benefit from a closer follow-up or
antibiotic prophylaxis.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
169
Poster
ALTERNARIA IS AN INFREQUENT CAUSE OF KERATITIS: A CASE
REPORT AND REVIEW OF THE LITERATURE
Rosa Monno1,3, Giuseppina Caggiano2, Luciana Fumarola1, Carmen Capolongo3, Carla
Calia1, Silvana Guerriero1.
1
Dept. Basic Medical Science, Neuroscience and Sense Organs, 2Department of Biomedical
Sciences and Human Oncology, University of Bari, 3U.O.C. Microbiology and Virology,
Policlinico Hospital, Bari.
Objective: To report a case of fungal keratitis caused by Alternaria in a 49 year-old female
who had an acute onset of eye infection after ocular trauma caused by an olive leaf.
Methods: The clinical presentation, microbiological diagnosis and therapeutic approaches are
reported.
Results: The patient was referred to our university hospital clinic with corneal abscess in her
left eye. Before the start of an empirical antibacterial therapy (both topical and systemic), a
swab of the cornea was obtained which at microscopic examination revealed a few fragments
of hyphal elements, probably for the paucity of material collected. After one week the corneal
abscess had increased in size and the corneal stroma was filled with filamentous structures
similar to fungal hyphae. Oral and topical voriconazole was administered due to the clinical
picture and the response of microbiological laboratory whose examination of the material
removed from the anterior chamber showed numerous hyphal fragments identified by culture
as Alternaria spp. The corneal abscess healed in two weeks, but the patient now has a corneal
scar and is awaiting a corneal transplant.
Conclusions: Ophthalmologists and microbiologists must take fungi into greater
consideration as a possible cause of keratitis as they are emerging as the cause of this
infectious disease in many countries. Voriconazole, one of the new echinocandins, spreads
well in the eye and is very effective in the cure of fungal keratitis including those due to
Alternaria.
170
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ANALISI IN VITRO DELLA RISPOSTA IMMUNE INNATA DELL’OSPITE IN
CELLULE EPITELIALI POLMONARI DI LINEA INFETTATE CON
PSEUDOMONAS FLUORESCENS
Alessandra Fusco, Iole Paoletti, Brunella Perfetto, Maria Antonietta Tufano,
Giovanna Donnarumma,
Seconda Università degli Studi di Napoli
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica
Pseudomonas fluorescens, specie strettamente correlata al patogeno opportunista
P. aeruginosa, si isola frequentemente in ambiente ospedaliero ed è oggi ritenuto una delle
causa dell’insorgenza di setticemie post-trasfusionali. L’epitelio polmonare rappresenta una
barriera fisica non inerte contro le infezioni. Infatti, le cellule epiteliali polmonari esplicano
protezione attraverso la sintesi di citochine proinfiammatorie e peptidi antimicrobici,
molecole effettrici della risposta immunitaria. E’ ormai noto, che le citochine prodotte dalle
cellule Th17, tra cui IL-17 e IL-22, mediando il “crosstalk” tra il sistema immune e i tessuti
dell’ospite, inducono e amplificano un’appropriata risposta infiammatoria da parte di cellule
del sistema immune e di cellule epiteliali della mucosa. In questo studio, è stato valutato
l’effetto delle citochine IL-17 e IL-22 sull’espressione di molecole proinfiammatorie in
cellule epiteliali polmonari (A549) infettate con P. fluorescens AF181, ceppo d’isolamento
clinico. I nostri risultati indicano che IL-17 e IL-22 up-regolano i livelli di mRNA e proteine
di IL-1β, IL-6, IL-8 e HBD-2 indotti da P. fluorescens potenziando, quindi, la risposta
infiammatoria a conferma del fatto che queste citochine giocano un ruolo cruciale nei
meccanismi di risposta dell’ospite.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
171
Poster
VALUTAZIONE DEI MECCANISMI DI DIFESA DELL’OSPITE INDOTTI DA
C. ALBICANS, C. TROPICALIS, C. PARAPSILOSIS E C. GLABRATA
Iole Paoletti, Alessandra Fusco, Lorena Coretti, Elena Grimaldi, Giovanna Donnarumma
Seconda Università degli Studi di Napoli
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Microbiologia e Microbiologia Clinica
Sebbene Candida albicans sia considerata la specie maggiormente coinvolta nelle candidosi
sottocutanee e profonde, l’incidenza delle infezione da C. tropicalis, C. parapsilosis, C.
krusei, C. glabrata e C. famata è in costante aumento in pazienti immunocompromessi e,
attualmente, sono ritenute una delle principali cause di morte in pazienti neutropenici.
E’ ben noto che le cellule epiteliali, non solo hanno un ruolo strutturale importante nella
formazione della barriera fisica cutanea contro antigeni e microrganismi, ma mediano,
nell’ospite immunocompetente, anche la reazione immune mediante secrezione di citochine e
peptidi antimicrobici che richiamano neutrofili e fagociti mononucleati nel sito d’infezione.
Questi ultimi sono in grado di secernere citochine immunomodulanti e rilasciare granuli
contenenti molecole ad attività citolitica, in particolare granzyme B e perforine che, oltre a
determinare killing del microrganismo patogeno, sono in grado di modulare la risposta
infiammatoria
In questo studio, sono stati valutati i meccanismi di difesa dell’ospite indotti da C. albicans ed
altre specie di candida, in monociti e cellule epiteliali, al fine di stabilire l’esistenza di una
risposta cellulare specie-specifica.
I risultati ottenuti indicano che durante le infezioni da Candida spp, le cellule epiteliali
partecipano attivamente alla difesa dell’ospite rilasciando peptidi antimicrobici e citochine
proinfiammatorie.
Nelle infezioni da C. tropicalis e C. glabrata le difese dell’ospite vengono potenziate dal
rilascio di perforine da parte dei leucociti polimorfonucleati reclutati nel sito d’infezione,
mentre solo nelle infezioni sostenute da C. glabrata granzime B è up-reglolato.
172
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
STUDIO IN MICROSCOPIA ELETTRONICA DEL MECCANISMO DI
ATTIVAZIONE DI CELLULE NK UMANE IN SEGUITO
ALL’INTERAZIONE DIRETTA CON MYCOBACTERIUM BOVIS
BACILLO DI CALMETTE E GUÉRIN (BCG)
Marisa Colone1, Anna Aulicino2, Semih Esin2, Giovanna Batoni2, Mario Campa2 e Annarita
Stringaro1
1. Dipartimento di Tecnologie e Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma
2. Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia,
Università di Pisa, Pisa
La tubercolosi rappresenta oggi la più frequente e diffusa infezione opportunistica nei pazienti
con AIDS conclamato. Inoltre, M. tuberculosis (MTB) è anche la causa principale di morte
nelle persone HIV positive essendo in grado di accelerare il corso dell’infezione da HIV.
Le cellule del sistema immunitario innato come, macrofagi, cellule dendritiche, granulociti o
cellule Natural Killer (NK) svolgono un ruolo chiave nelle fasi iniziali del rapporto tra MTB e
l’ospite umano da cui dipende, in gran parte, l’esito più o meno favorevole dell’infezione
tubercolare.
Studi recenti hanno dimostrato che, analogamente ad altre cellule del sistema immunitario
innato, le cellule NK possono riconoscere direttamente gli agenti patogeni attraverso alcuni
dei loro recettori di superficie, partecipando così all’immunità antibatterica. A tale riguardo è
stato dimostrato che cellule NK umane interagiscono direttamente con BCG in assenza di
monociti/macrofagi o IL-12 e che, in seguito a tale interazione, vanno incontro a
proliferazione, a produzione di IFN-γ e ad un aumento della loro attività citotossica.
Allo scopo di studiare gli effetti morfologici indotti su cellule NK umane dall’interazione
diretta con BCG, nel presente studio sono state analizzate, in microscopia elettronica a
scansione (SEM), cellule NK “resting” e cellule NK attivate con IL-2 (LAK) incubate con i
batteri per vari tempi utilizzando diversi rapporti di coniugazione.
Le micrografie ottenute al SEM di cellule NK “resting”, isolate da sangue periferico di
donatori sani, incubate per 4 ore con le cellule batteriche (rapporto di coniugazione 1:10),
hanno mostrato che solo una piccola percentuale di cellule NK forma coniugati con BCG. Al
contrario, quando le cellule NK vengono attivate con IL-2 per 3 giorni il numero di coniugati
aumenta sensibilmente e si accompagna ad un significativo cambiamento della morfologia di
superficie rispetto alle cellule incubate in assenza di batteri.
Studi di microscopia elettronica a trasmissione attualmente in corso permetteranno di
valutare se l’interazione diretta batteri:cellule si associ anche a modificazioni ultrastrutturali
intracitoplasmatiche delle cellule NK aiutando a chiarire come tale interazione possa
contribuire all’attivazione cellulare.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
173
Poster
ANALISI DEL RUOLO PATOGENETICO DEL GENE SIAA DI
NEISSERIA MENINGITIDIS IN UN MODELLO MURINO DI
MENINGITE MENINGOCOCCICA.
R. Colicchio1, C. Pagliuca1, G. Pastore2, A.G. Cicatiello1, S. Ricci3, P. Alifano4, G. Pozzi3,
P. Salvatore1,5.
1
DMMBM, Università degli Studi di Napoli Federico II; 2DST, Università degli Studi del
Sannio; 3LAMMB, Dipartimento di Biotecnologie Mediche, Università di Siena; 4DSTBA,
Università degli Studi di Lecce; 5Area Funzionale di Microbiologia, DAI di Medicina di
Laboratorio AOU Federico II, Napoli.
Il polisaccaride capsulare di Neisseria meningitidis è uno dei principali fattori di virulenza che
permette al batterio di eludere l’immunità dell’ospite consentendogli di sopravvivere nel
circolo emetico. Tuttavia, la capsula meningococcica svolge ruoli contrastanti nella
patogenesi della malattia: se da un lato, le proprietà anti-fagocitiche sono essenziali per la
crescita batterica nel sangue, dall’altro, l’espressione del polisaccaride capsulare inibisce la
colonizzazione e l’invasione della barriera naso-faringea. La presenza della capsula dipende
dall’espressione dei geni coinvolti nella biosintesi, modificazione e trasporto della capsula,
che si trovano nelle regioni A, B e C del locus cps.
I polisaccaridi capsulari dei sierogruppi B, C, W135 e Y contengono acido sialico, la regione
A del locus cps presenta un set di geni conservati, siaA, siaB e siaC, necessari per la sua
sintesi, e il gene sierogruppo-specifico siaD, codificante per l’enzima polisialiltransferasi. Per
valutare il ruolo della capsula nell’instaurarsi dell’infezione meningococcica nel modello
murino d’infezione abbiamo utilizzato il ceppo 93/4286 di sierogruppo C, inattivato nel locus
genico siaA (93/4286ΩsiaA), mediante inserimento di una cassetta circolare recante il gene
per la resistenza all’eritromicina (ermC’). Dati di sopravvivenza, parametri clinici e
microbiologici hanno consentito di dimostrare che il ceppo isogenico difettivo nella
componente enzimatica SiaA mostra una ridotta capacità di stabilire malattia meningococcica
nell’ospite murino.
Il ceppo isogenico 93/4286ΩsiaA ha mostrato una LD50 > 108 CFU rispetto alla LD50 di 104
CFU del ceppo selvatico. La meningite indotta sperimentalmente è stata costantemente
associata a disseminazione dei meningococchi dal cervello al sangue ed agli organi vitali, in
particolare milza e fegato. A 48h dall’infezione il ceppo mutante 93/4286ΩsiaA subisce una
completa clearance in tutti gli organi interessati. Tali dati hanno evidenziato che il ceppo
isogenico difettivo nel locus genico siaA esibisce una drastica attenuazione della virulenza,
confermando un ruolo cruciale della capsula nella disseminazione dei meningococchi nel
modello murino d’infezione.
174
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
MODULAZIONE DEL CONTENUTO INTRACELLULARE DI
GLUTATIONE DA PARTE DEL VIRUS HCV:
UNA STATEGIA DI CRONICIZZAZIONE DELL’INFEZIONE?
S. Anticoli1, A. Ruggieri2, I. Celestino1, L. Nencioni, 1 A.T. Palamara1, E. Garaci3
1
Dip. Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Univ Roma, 2Dip. Malattie Infettive,
Parassitarie e Immuno mediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma,3Dip. Medicina
Sperimentale e Chirurgia, Univ Roma Tor Vergata
Uno squilibrio dello stato redox intracellulare in senso pro-ossidante è stato ampiamente
descritto durante l’infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV). Tuttavia gli effetti della
replicazione virale sui livelli intracellulari di glutatione (GSH) ed i meccanismi molecolari
coinvolti restano a tutt’oggi da chiarire, soprattutto per la mancanza di sistemi modello di
infezione in vitro e in vivo. L’obiettivo del nostro studio è stato pertanto lo sviluppo di un
modello di infezione cronica in vitro, basato sul clone Jc1Luc (fornito da C. Rice), per
analizzare le correlazioni tra lo stato redox intracellulare e la replicazione di HCV, attraverso
la misurazione dei livelli di GSH in diversi momenti dell’infezione. I risultati hanno mostrato
che nel nostro modello in vitro l’infezione delle cellule Huh7.5 induceva estesa morte delle
cellule in coltura (crisi) tra i passaggi p2 e p3 post-infezione (p.i.). Circa 20 giorni p.i. la
coltura si riprendeva e veniva mantenuta cronicamente infettata fino al passaggio p10 p.i.
L’analisi del contenuto intracellulare di GSH dimostrava che al p2 p.i. (8 gg p.i.), che
precedeva la fase di crisi della coltura, si verificava una significativa diminuzione (30% circa)
del rapporto GSH ridotto/GSH ossidato (GSH/GSSG), dovuta ad aumento della forma
ossidata GSSG. In questo stesso stadio di infezione (p2) il numero di copie di RNA virale
all’interno delle cellule aumentava in modo significativo fino a 5,6x106/µg di RNA. Circa 20
giorni p.i, quando le cellule nella coltura infettata recuperavano dalla crisi, il rapporto
GSH/GSSG aumentava a causa di un incremento di circa il 40% del GSH ridotto. A questo
stadio di infezione il titolo virale scendeva ai valori delle fasi precoci dell’infezione
(2,5x106/µg di RNA), e si manteneva tale per i passaggi successivi. I risultati ottenuti
suggeriscono che, nelle prime fasi dell’infezione, HCV induce un’alterazione del rapporto
GSH/GSSG in senso pro-ossidante, che potrebbe provocare la crisi della coltura. Il successivo
aumento del GSH ridotto ed il recupero della coltura infettata, suggeriscono che le cellule
reagiscono all’infezione e limitano la replicazione di HCV alterando lo stato redox; in tal
modo il virus a sua volta può continuare a replicare nella cellula ospite e stabilire un’infezione
cronica.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
175
Poster
L’INFEZIONE DI CELLULE INTESTINALI CON IL VIRUS
INFLUENZALE A PROMUOVE L’ADESIVITÀ DI CEPPI E. COLI
ISOLATI DA PAZIENTI CON MALATTIA DI CROHN
Aleandri Ma,, Conte MPa,, Simonetti Ga, Panella Sa, Celestino Ia,b, Checconi Pa, Longhi Ca, Garaci Ec,
Palamara Aa,c, Schippa Sa,, Nencioni La
a
Dip. San. Pub. Mal. Inf., Univ “Sapienza” Roma, bCEINGE-Biotec Avanzate, Napoli, cS.Raffaele
Pisana, Roma
La malattia di Crohn (MC) è una patologia infiammatoria cronica intestinale caratterizzata da
modificazioni glicosidiche di proteine sulla mucosa intestinale, che causano la sovra-espressione di
alcuni antigeni quali Thomson-Friedenreich (TF) e CEACAM6. Nostri studi precedenti hanno
mostrato che il pre-trattamento di cellule intestinali con neuraminidasi (NA) purificata, promuove
l’esposizione del TF aumentando significativamente l’adesione di ceppi E. coli isolati da pazienti con
MC. Il virus influenzale utilizza la NA virale durante il suo ciclo replicativo per rimuovere l’acido
sialico che lo ancora alla cellula ospite.
Dati in letteratura mostrano che il virus influenzale, pandemico 2009/H1N1 ed il recente H7N9, sono
stati rilevati nelle feci di pazienti ospedalizzati. Inoltre è stato riportato un caso di colite emorragica in
seguito ad infezione con il virus influenzale stagionale H3N2. L’infezione di cellule epiteliali
polmonari con virus influenzale aumenta l’espressione di CEACAM6, recettore dei ceppi E. coli
adesivi/invasivi (AIEC) presenti sulla mucosa intestinale di pazienti con MC.
Scopo del presente studio è stato verificare se il virus influenzale A/PR8/34/H1N1 (PR8) promuovesse
l’adesione batterica su cellule epiteliali intestinali Caco-2 di due ceppi E. coli (patotipo AIEC LF82 e
S15), isolati da pazienti con MC.
I risultati mostrano che l'infezione virale aumenta significativamente l’adesione batterica di entrambi i
ceppi in maniera dose-dipendente. L’analisi in immunofluorescenza di cellule infettate con PR8 ha
messo in relazione il progredire dell’infezione virale con l’esposizione dei recettori TF e CEACAM6
sulla superficie cellulare. Inoltre in queste cellule sono stati rilevati maggiori livelli di espressione del
CEACAM6 sia a livello trascrizionale che proteico. L’inibizione dell’adesione batterica, attraverso
l’utilizzo di anticorpi anti-TF e anti-CEACAM6, in cellule infettate con PR8, ha portato ad una
diminuzione significativa del numero di batteri adesi.
In conclusione i nostri risultati dimostrano che l’infezione virale favorisce l’adesione batterica di ceppi
isolati da pazienti con MC promuovendo l’espressione di specifici recettori e suggeriscono un
possibile coinvolgimento del virus influenzale nelle riacutizzazioni delle malattie infiammatorie
croniche intestinali.
176
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
“CASE REPORT” : VALUTAZIONE DEL MICROBIOTA MUCOSA
ASSOCIATO IN UN PAZIENTE PEDIATRICO AFFETTO DA
DIARREA DA MUCOSA GASTRICA ETEROTOPICA.
Gagliardi A*, Iebba V *, Santangelo F*, Totino V*, Di Nardo G. **, Marcheggiano A. **,
Cucchiara S., Schippa S*.
*Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive. Università degli Studi di Roma
"La Sapienza"
** Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria infantile del Policlinico “Umberto I”,
Università degli Studi di Roma "La Sapienza
Introduzione: Con il termine malattia rara si fa riferimento ad ogni malattia che ha, nella
popolazione generale, una prevalenza inferiore ad una data soglia. L’ origine può essere
diversa (rara e congenita, infettiva, tumorale, genetica, degenerativa) e può colpire tutti i
distretti del corpo umano. Un'affezione rara di cui sono stati documentati solo sei casi al
mondo e la cui insorgenza in età infantile è eccezionale, è rappresentata dalla diarrea da
mucosa gastrica eterotopica. Questa patologia, a livello del colon del paziente si presenta
come un “patch” che porta sulla superficie cellule epiteliali gastriche e un sottostante tessuto
colonico normale. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare eventuali variazioni
del microbiota mucosa adeso in sede colonica, sia della mucosa gastrica eterotopica (2 biopsie
di circa 2 cm) che della mucosa colonica adiacente (2 biopsie di circa 2cm), di un paziente
pediatrico con diarrea da mucosa gastrica eterotopica. Metodi: il DNA totale dei campioni
bioptici collezionati è stato estratto con l’utilizzo di Kit in commercio. Sono state condotte
PCR con l’utilizzo di primers universali batterici, amplificanti la regione V6-V8 dell’RNA16
batterico utilizzando come stampo il DNA totale estratto. La TTGE (Temporal Temperature
Gradient Gel Electrophoresis) è stata utilizzata per analizzare i prodotti di PCR ottenuti e
descrivere la comunità microbica dei suddetti campioni. Risultati: In base ad analisi statistica
multivariata si evidenzia una netta separazione tra i profili TTGE provenienti dalle biopsie
della mucosa gastrica eterotopica e i profili TTGE provenienti dalle biopsie della mucosa
adiacente del colon. La separazione è predittiva al 100% (probabilità di Fisher P=0,0011)
indicando che i profili TTGE sono predittivi del tipo di tessuto. L’analisi dei profili ha inoltre
permesso di evidenziare la banda TTGE indicativa della separazione tra i profili.
Conclusioni: I risultati indicano una chiara alterazione nella composizione del microbiota a
livello della mucosa gastrica eterotopica rispetto al microbiota adeso alla mucosa del colon,
indicando che il tipo cellulare presente sullo strato superiore della mucosa sembrerebbe
influenzare la composizione del microbiota adeso.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
177
Poster
LO STATO REDOX REGOLA LA DIFFERENTE RISPOSTA
ALL’INFEZIONE DA VIRUS INFLUENZALE NEI DUE SESSI.
Celestino I.1,2, Coluccio P.1, Garaci E.3, Palamara A.T.1,4, Nencioni L.1
1
Dip. San. Pubb. Mal. Inf. Sapienza Roma; 2Ceinge, Napoli; 3Dip. Med. Sper. Chir. Tor
Vergata Roma; 4IRCCS S. Raffaele Roma
Il virus influenzale utilizza strutture e vie metaboliche della cellula per la propria replicazione,
quindi il tipo cellulare, il suo stato duplicativo e metabolico, possono fortemente condizionare
la suscettibilità all’infezione e la sua progressione. Molte di queste vie cellulari attivate dal
virus regolano anche il destino della cellula infettata e le risposte infiammatoria e immunitaria
dell’ospite. Nostri studi precedenti mostrano che PBMC ottenuti da donatori uomini e donne e
infettati con virus influenzale producevano diversi livelli di citochine infiammatorie, a
dimostrazione che la risposta dell’ospite dipende da condizioni cellulari differenti nei due
sessi.
Molte vie cellulari risentono di modificazioni redox che a loro volta sono finemente regolate
dallo stato metabolico cellulare. Il virus influenzale induce uno stato ossidato, dovuto a
deplezione di glutatione (GSH), produzione di Specie Reattive dell’Ossigeno e attivazione di
pathways redox-sensibili, utile al virus per specifici steps della replicazione virale e per la
risposta della cellula infettata. Ad oggi però non è chiaro se lo stato redox dell’ospite possa
giocare un ruolo nella diversa suscettibilità fra i sessi all’infezione virale. In questo studio
sono stati infettati topi maschi e femmine con virus influenzale A/PR8/H1N1 e sono stati
valutati diversi parametri metabolici.
I risultati dimostrano che le femmine sono più resistenti all’infezione rispetto ai maschi, in
termini di sopravvivenza e segni clinici. Il danno polmonare, valutato a livello istopatologico
e come contenuto di proteine rilasciate nel lavaggio bronco-alveolare, e la replicazione virale,
misurata come livelli di RNA nei polmoni e nel lavaggio bronco-alveolare, è ridotta nelle
femmine. Infine, lo stato redox, valutato in termini di potere antiossidante nel plasma, di
attività della catalasi, dei livelli di GSH, degli mRNA di enzimi coinvolti nella sua biosintesi,
di espressione di proteine redox-regolate nei polmoni, era più compromesso nei maschi,
soprattutto nei giorni di massima produzione virale ed elevata mortalità.
Complessivamente i dati indicano che, tra i due sessi, esistono sostanziali differenze nella
capacità antiossidante basale che possono giocare un ruolo chiave nel determinare la diversa
suscettibilità all’infezione. La conoscenza dei meccanismi sottesi a tali differenze può favorire
una maggiore appropriatezza della terapia per entrambi i generi.
178
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
CORRELAZIONE TRA PRESENZA DI VIRUS INFLUENZALE E
AUMENTO DI E. COLI IN CAMPIONI BIOPTICI PRELEVATI DA
PAZIENTI PEDIATRICI CON MORBO DI CROHN.
Limongi D.1*, Iebba V.2,3*, Bellizzi A.2*, Pietropaolo V.2, Palamara A.T.1,2, Schippa S.2,
Nencioni L.2
1
IRCCS, Università Telematica San Raffaele Roma; 2Dip. Sanità Pubblica e Malattie Infettive
Sapienza Università di Roma; 3Ceinge, Napoli
*Autori che hanno dato lo stesso contributo al lavoro.
La Malattia di Crohn (MC) è una malattia infiammatoria in cui si osserva una reattività
aberrante contro antigeni endoluminali. Molti autori riportano in pazienti con MC un aumento
significativo di alcune specie batteriche, in particolare Escherichia coli. Nostri recenti studi
hanno dimostrato che l’infezione da virus influenzale di cellule intestinali CaCo-2 causa
l’aumento della adesione di due ceppi E. coli isolati da pazienti con MC, mediante alterazione
della membrana e conseguente over-esposizione di recettori specifici per l’adesione batterica.
D’altra parte la presenza di RNA virale è stata ritrovata nelle feci di pazienti infettati con il
virus pandemico o con ceppi aviari, compreso il recente H7N9. E’ noto inoltre un caso di
colite emorragica dopo infezione con il ceppo stagionale H3N2.
Lo scopo dello studio è stato valutare se in biopsie intestinali ottenute da pazienti pediatrici
con MC fosse presente RNA del virus influenzale e se vi fosse una correlazione tra presenza
di virus ed aumento del livello di colonizzazione/adesione da parte della specie E. coli. A tal
fine, campioni bioptici (dell’ileo e del colon) di pazienti con MC sono stati collezionati. Il
DNA/RNA totale estratto dai campioni è stato utilizzato per rilevare la presenza di virus
mediante PCR e per valutare e quantificare la presenza di E. coli tramite Real time PCR.
Risultati preliminari mostrano la presenza di RNA virale nel 50% dei campioni testati. I
campioni positivi per il virus mostrano una chiara tendenza all'aumento della colonizzazione
da parte di E. coli. Infatti, quando il virus è presente, la carica batterica aumenta di circa 2
volte rispetto a quella misurata nei pazienti negativi per il virus.
In conclusione i risultati indicano che l’infezione virale facilita la colonizzazione da parte di
specie potenzialmente patogene come E. coli e suggeriscono che il virus possa rappresentare
un ulteriore fattore di rischio nei pazienti affetti da MC.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
179
Poster
EFFICACIA DEGLI ANTIOSSIDANTI NEL COMBATTERE
L’INFLUENZA: UNA QUESTIONE APERTA
R Sgarbanti1, D Amatore2,3, I Celestino2,3, L Nencioni3, E Garaci4, AT Palamara3
1
IRCCS, Università Telematica S. Raffaele Roma; 2Ceinge, Napoli; 3Dip San Pubbl Mal Inf
Sapienza Roma; 4Dip Med Sp Chirurgia, Università di Roma Tor Vergata
Numerose evidenze hanno dimostrato che il virus influenzale è in grado di indurre uno
sbilanciamento dello stato redox nelle cellule ospiti, caratterizzato dalla deplezione del
glutatione, principale antiossidante intracellulare (GSH), e un aumento delle specie reattive
dell'ossigeno (ROS). Questo stress ossidativo può giocare un ruolo nell'attivazione di pathway
intracellulari redox-sensibili che vengono sfruttati dal virus per la propria replicazione e per
l’innesco della risposta pro-infiammatoria responsabile delle gravi lesioni polmonari causate
da virus influenzali ad alta patogenicità.
Recentemente abbiamo dimostrato che il ripristino delle condizioni riducenti fisiologiche,
mediante l'utilizzo di un derivato del GSH, il GSH-C4, blocca il processo di maturazione
dell'emoagglutinina virale (HA) con conseguente inibizione della replicazione virale, sia in
vitro che in vivo.
L'obiettivo dello studio è stato quello di valutare: i) la capacità dei ceppi virali umani e aviari
nell'indurre uno stato intracellulare pro-ossidante; ii) la capacità di composti in grado di
modulare lo stato redox intracellulare nell'inibire la replicazione virale in cellule epiteliali
polmonari e/o di prevenire l'eccessiva produzione citochinica indotta dall'infezione.
I risultati ottenuti dimostrano che, in cellule epiteliali polmonari infettate con il ceppo umano
e aviario, si riscontra un'iperproduzione di ROS che si diversifica sia in termini di durata che
di entità. Tra i diversi composti antiossidanti testati, la NAC (pro-GSH) e il Trolox,
(scavenger dei ROS) mostrano, diversamente dal GSH-C4, una attività antivirale che si perde
in poche ore, mentre quella esercitata dal GSH-C4 dura nel tempo. Inoltre mentre
quest’ultimo interferisce con il folding e l’espressione dell’HA, gli altri antiossidanti non
interferiscono con l'espressione delle proteine virali. I diversi composti producono diversi
effetti anche sulla produzione delle citochine, suggerendo che diversi pathway redox regolati
(mediati dal GSH o dai ROS) possono essere specificatamente coinvolti nella regolazione del
ciclo replicativo virale e/o nella risposta infiammatoria.
I dati ottenuti dimostrano che non tutte le cosiddette molecole antiossidanti sono capaci di
controllare l'infezione virale e la risposta infiammatoria. Quindi, l'efficacia di uno specifico
composto dipende dalla sua reale capacità di modulare specifiche vie di signaling in diversi
contesti cellulari.
180
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
INDAGINE SIEROPROTEOMICA IN PAZIENTI AFFETTI DA SEPSI E
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELL’ANTIOSSIDANTE ACS-15
IN UN MODELLO MURINO DI SHOCK SETTICO.
D Limongi1, R Sgarbanti1, P Coluccio2, L Nencioni2, AT Palamara1,2 , E Garaci3
1
IRCCS, Univ. Telem. San Raffaele Roma
2
Dip San Pubb Mal Inf Sapienza Roma
3
Dip Med Sper Chir Tor Vergata Roma
La sepsi è una delle principali cause di mortalità nei reparti di terapia intensiva. Molti degli
eventi che a livello locale e sistemico sono coinvolti nella sua patogenesi sono dovuti alla
capacità dell’endotossina batterica LPS di indurre il rilascio di numerosi mediatori
dell’infiammazione, cui consegue un’alterazione dello stato redox in senso pro-ossidante che
può indurre danni cellulari. La correzione dello stress ossidativo può rappresentare pertanto
un obiettivo importante per il controllo dell’evoluzione del quadro clinico. Tuttavia, alcuni
trial clinici condotti per valutare l’efficacia di composti antiossidanti non hanno dato risultati
positivi e a tutt’oggi non sono state ancora identificate strategie terapeutiche efficaci per
contrastare questa patologia. Inoltre, non sono stati ancora individuati specifici biomarcatori
diagnostici (BD) e prognostici che possano consentire di effettuare una diagnosi predittiva in
tempi rapidi.
Pertanto, tale studio ha avuto lo scopo di:
individuare potenziali BD correlati alla evoluzione della sindrome in pazienti in cui sia stata
diagnosticata una sepsi;
valutare l’efficacia terapeutica di ACS-15, una nuova molecola antiossidante, in un modello
murino di shock settico (SS) indotto da LPS.
Sono stati analizzati i sieri provenienti da 56 pazienti, suddivisi in tre gruppi: sopravvissuti,
non-sopravvissuti e sani. In tutti i pazienti settici è stato rilevato un significativo aumento nei
livelli sierici di Apoliproteine, PAF4, CCL18 e fattori del Complemento.
È interessante notare che, nei pazienti sopravvissuti, i livelli di IL-2 erano significativamente
inferiori a quelli osservati nei pazienti deceduti.
Al fine di valutare l’efficacia di ACS-15 nell’aumentare la sopravvivenza di topi trattati con
LPS e verificare se tale effetto fosse correlato alla diminuzione di IL-2 sono stati utilizzati
topi BALB/c trattati con LPS e inoculati i.p. con ACS-15.
La somministrazione di ACS-15 ha incrementato la sopravvivenza dei topi del 32% ed anche
in questo caso, i livelli sierici di IL-2 erano significativamente inferiori rispetto ai topi di
controllo.
I risultati ottenuti nei pazienti e confermati nel modello murino suggeriscono una
correlazione tra bassi livelli di IL-2 e sopravvivenza allo SS. Essi indicano inoltre che ACS15, per le sue capacità antiossidanti, possa rappresentare una nuova strategia da sviluppare per
il trattamento dello SS.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
181
Poster
LA PRODUZIONE DI ROS MEDIATA DALLA NOX4 REGOLA LA
REPLICAZIONE DEL VIRUS DELL’ INFLUENZA A
D Amatore1,2, R Sgarbanti3, K Aquilano4, S Baldelli3, D Limongi3, L Civitelli1, MR Ciriolo4,
E Garaci5, L Nencioni1, AT Palamara1
1
Dip San Pub Mal Inf Sapienza Roma, 2Ceinge, Napoli, 3IRCCS, Università Telematica S.
Raffaele Roma, 4Dip Biol e 5Dip Med Sper e Chir Tor Vergata Roma
Le infezioni virali, compresa quella da virus influenzale, sono associate ad alterazioni dello
stato redox intracellulare che contribuiscono, mediante diversi meccanismi, alla patogenesi,
severità e progressione della malattia. Queste alterazioni possono essere dovute ad
un’aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e/o a deplezione di
glutatione, principale antiossidante cellulare. Nostri precedenti dati indicano che queste
alterazioni contribuiscono alla replicazione virale, ma i meccanismi molecolari sottostanti tali
modificazioni ed il loro ruolo nell’attivazione di pathway redox sensibili sfruttati dal virus,
rimangono ancora da chiarire.
A tal fine lo scopo del nostro studio è stato identificare la sorgente dei ROS prodotti durante
l’infezione da virus influenzale e caratterizzare i pathway intracellulari attivati dallo stress
ossidativo indotto dal virus ed il loro ruolo nella replicazione virale.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che il virus influenzale in cellule epiteliali polmonari
induce un incremento del contenuto intracellulare di ROS dovuto all’attività della NOX4,
membro della famiglia della NADPH ossidasi, principale enzima cellulare responsabile della
produzione di ROS. Questo incremento determina l’attivazione delle chinasi p38 ed ERK le
quali, a loro volta, permettono l’esporto dei complessi ribonucleoproteici virali dal nucleo al
citoplasma, evento chiave per l’assemblamento ed il rilascio dei virioni. Infatti, l’inibizione
chimica della NOX4 riduce significativamente la fosforilazione di p38 ed ERK, il traffico
della nucleoproteina e conseguentemente la replicazione virale. Questi dati sono stati
confermati anche in colture primarie di cellule epiteliali polmonari estratte da topi Balb-c ed
infettate con virus influenzale A.
Complessivamente questi risultati indicano che la NOX4 gioca un ruolo fondamentale nella
regolazione del ciclo replicativo del virus influenzale e suggeriscono che la modulazione
farmacologica dei pathway intracellulari redox sensibili possa rappresentare un nuovo
approccio terapeutico per il controllo dell’infezione virale.
182
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITÀ ANTIVIRALE DI NANOPARTICELLE D’ARGENTO
BIOSINTETIZZATE
Incoronato N. (1), Galdiero M. (1), Galdiero M. (1), Vitiello M. (2), Mignogna E. (1), Russo
L. (1), Martora F. (1), Rai M. (3).
1. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università degli Studi di Napoli
2. Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, “Scuola
Medica Salernitana”, Salerno
3. Department of Biotechnology, Sant Gadge Baba Amravati University, Amravati – 444
602, Maharashtra, India.
Allo stato attuale il mondo dei nanomateriali è uno dei settori di ricerca e sviluppo con
maggior attesa di ricadute importanti per l’innovazione tecnologica e scientifica. Le
nanoparticelle sono entità di dimensioni comprese tra 1 e 100 nm e possiedono peculiari
proprietà fisiche, elettroniche e chimiche strettamente dipendenti dalla dimensione, dalla
disposizione spaziale, dalle caratteristiche della superficie e dalla forma. Alla luce di tutte
queste proprietà e dello stato corrente della ricerca, abbiamo sintetizzato nanoparticelle
d’argento in modo ecologico, semplice, economico e molto veloce allo scopo di individuare
sostanze capaci di avere azione antivirale. Abbiamo utilizzato 5 tipi di funghi (Alternaria sp.,
F. Oxysporum, Curvularia sp., Indicum sp. e Phoma sp.) associati a 5 piante diverse
(Dryopteris sp., Musa paradisiaca, Catharanthus roseus, Selaginella bryopteris e Syzygium
cumini). L’estratto fungino è stato raccolto e filtrato; a questo abbiamo aggiunto il nitrato
d’argento (AgNO3). Il sale viene ridotto ad opera delle reduttasi secrete dai funghi e libera in
soluzione le nanoparticelle di argento (AgNPs). Le nanoparticelle ottenute sono state
caratterizzate e analizzate. L’effetto inibitorio dei vari estratti è stato testato su 3 virus
differenti (HSV-1, HSV-2 e HPIV-3) seguendo metodologie sperimentali in vitro: saggio di
co-trattamento, saggio di pre-trattamento cellule, saggio di post-trattamento e saggio di
pretrattamento virus. Tutti gli esperimenti sono stati effettuati in triplicato e la tossicità delle
nanoparticelle è stata valutata attraverso l’MTT assay. Dai risultati ottenuti si evince che
alcune di queste nanoparticelle mostrano un’elevata attività antivirale. Nonostante i
meccanismi d’azione delle nanoparticelle siano ancora oggetto di studio, le nanoparticelle
d’argento potranno essere prese in considerazione per il loro utilizzo futuro nella medicina
moderna e nella sperimentazione di nuove sostanze potenzialmente antivirali.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
183
Poster
DIVERSIFICAZIONE INTRA-LINEAGGIO IN CEPPI G4P[8] DI
ROTAVIRUS
Medici MC, Tummolo F, Guerra P, Chezzi C, De Conto F, Arcangeletti MC, Calderaro A.
Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi di Parma
La sorveglianza dei genotipi di rotavirus (RV) circolanti nell’area di Parma in bambini con
gastroenterite ha dimostrato che tra i molteplici genotipi di RV rivelati, i ceppi G4P[8],
sebbene subiscano marcate fluttuazioni di prevalenza nel corso degli anni, sono tra i più
frequenti dopo i ceppi G1P[8] e G3P[8]. Diversi studi hanno riportato la co-circolazione di
molteplici lineaggi intra-genotipici di G4P[8] che sembrano mantenersi nel tempo in diversi
contesti geografici. In questa nota viene riportata l’analisi di sequenza e filogenetica dei geni
VP7 e VP4 di ceppi G4P[8] di RV rivelati in 2 periodi distinti di sorveglianza (2004-2005 e
2010-2012). Ventisei (48,2%) di 54 G4P[8] complessivamente identificati sono stati
sottoposti a sequenziamento genico. L’allineamento delle sequenze nucleotidiche con quelle
di ceppi di riferimento e le successive analisi filogenetiche hanno rivelato che tutti i ceppi
identificati a Parma possedevano il gene VP7 di lineaggio IC e il gene VP4 di lineaggio P8III. Nei relativi dendogrammi i ceppi presentavano una progressiva segregazione temporale
con una differenza nucleotidica intra-lineaggio compresa tra 1% e 4% e nessuno di loro
appariva strettamente correlato ai ceppi compresi nelle formazioni dei vaccini RotaTeq e
Rotarix. Inoltre l’analisi delle sequenze aminoacidiche dedotte di VP7 e VP4 di questi ceppi
ha mostrato diverse sostituzioni nei domini ipervariabili rispetto ai ceppi di riferimento come
pure negli epitopi neutralizzanti rispetto ai ceppi vaccinali. Nonostante il numero elevato di
lineaggi genetici di G4 e P[8] identificati finora, i ceppi G4P[8] circolanti nella popolazione
geograficamente definita dell’area di Parma nel corso di quasi un decennio sembrano aver
conservato l’assetto G4-IC e P[8]-III. La progressiva diversificazione intra-lineaggio
osservata nei geni VP7 e VP4 di questi ceppi e la diversità nucleotidica e aminoacidica
dimostrata a confronto con ceppi di riferimento e con i ceppi vaccinali inducono ad ipotizzare
che nel corso degli anni si possano generare ceppi di RV G4P[8] in grado di sfuggire alla
protezione indotta dagli attuali vaccini.
184
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
POLYOMAVIRUS JC MONITORING AND REGULATORY REGION
ANALYSIS IN DYNAMIC COHORTS OF IMMUNE-MEDIATED
DISEASES TREATED WITH BIOLOGICS: AN OBSERVATIONAL
STUDY.
Bellizzi A1, Anzivino E1, Rodio DM1, Cioccolo S1, Scrivo R2, Morreale M3, Ferrari F4,
Di Nardo G4, Nencioni L5, Cucchiara S4, Francia A6, Valesini G4, Palamara AT5,7,
Pietropaolo V1
1
Dep..Public Health and Infectious Diseases, 2Dep. Internal Medicine and Medical
Disciplines, Rheumatology, 3Dep. Medico-Surgical Sciences and Biotechnologies, Neurology
Section, 4Dep. Pediatrics, Pediatric Gastroenterology and Liver Unit, 5Dep. Public Health
and Infectious Diseases, Institute Pasteur, Cenci-Bolognetti Foundation, 6Dep. Neurology and
Psychiatry, Sapienza University of Rome;
7
San Raffaele Pisana Scientific Institute for Research, Hospitalization and Health Care,
Rome.
Progressive multifocal leukoencephalopathy (PML) onset, caused by Polyomavirus JC (JCV)
in individuals affected by immune-mediated diseases during biological treatment, raised
concerns about the safety profile of these agents. Therefore, the aims of this study were JCV
reactivation monitoring and regulatory region (RR) and viral protein 1 (VP1) analysis in
different immune-mediated diseases treated with biologics.
JCV-specific quantitative PCR of biological samples, collected at moment of recruitment (t0)
and every 4 months (t1, t2, t3, t4), and sequence analysis of RR and VP1 were performed.
Results showed that patients with chronic rheumatic diseases presented at t0 a JC viruria
significantly higher (p≤0.05) than that of patients with multiple sclerosis (MS) and Crohn’s
disease (CD). A significant association between JC viruria and antibodies after 1 year of
natalizumab (p=0.04) in MS patients was also observed. RR analysis showed the presence of
JCV archetype in all urine samples, whereas a rearranged RR Type IR was found in 2 colonrectal biopsies of CD patients after 16 months of infliximab. Furthermore, sequences isolated
from PBMCs of 2 MS patients with JCV antibodies at t0 and t3, showed a rearranged RR
Type IIR with a boxB deletion and a nucleotide transversion into the Spi-B binding site. In all
patients the European JCV genotypes 1A and 1B were detected.
In conclusion, the specific inflammatory scenario of different immune-mediated diseases
seems to affect JCV reactivation from latency, in particular from kidneys. Moreover, for a
more accurate PML risk stratification, JC viruria testing could be useful to identify patients
who harbor JCV with an undetectable JCV-specific humoral response. In these patients, it
may also be important a JCV RR sequence analysis, since Spi-B expression in PBMCs could
play a crucial role in JCV replication and RR rearrangement.
1
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
185
Poster
POSSIBLE ANTIVIRAL EFFECT OF CIPROFLOXACIN TREATMENT
ON POLYOMAVIRUS BK REPLICATION AND ANALYSIS OF NONCODING CONTROL REGION SEQUENCES IN A PATIENT WITH
ACUTE RENAL DYSFUNCTION.
E. Anzivino1, A. Bellizzi1, D.M. Rodio1, I. Umbro2, F. Tinti2, A.P. Mitterhofer2, C. Mancini1,
V. Pietropaolo1.
1
Department of Public Health and Infectious Diseases,"Sapienza" University; 2Department of
Clinical Medicine, Nephrology and Dialysis Unit, "Sapienza" University, Rome, Italy;
Acute renal dysfunction (ARD) is a common complication in renal transplant recipients.
Multiple factors contribute to ARD development, including acute rejection and microbial
infections. Many viral infections after kidney transplantation result from reactivation of
“latent” viruses in the host or from the graft, such as the human Polyomavirus BK (BKV). We
report the case of a 39 year-old recipient of a 2nd kidney graft who experienced BKV
reactivation after a second episode of acute humoral rejection. A 10-day treatment with the
quinolone antibiotic ciprofloxacin was administered with an increase of immunosuppressive
therapy despite the active BKV replication. Real Time PCR analysis performed after
treatment with ciprofloxacin, unexpectedly showed clearance of BK viremia and regression of
BK viruria. During the follow-up, BK viremia persisted undetectable while viruria decreased
further and disappeared after 3 months.
The molecular characterization of BKV non-coding control region from all positive samples
always showed the presence of archetypal sequences, with two single-nucleotide substitutions
and one nucleotide deletion that, interestingly, were all representative of the subtype/subgroup
I/b-1 we identified by the viral protein 1 sequencing analysis.
This is the first report showing a progressive reduction in BKV replication in a patient who
underwent ciprofloxacin treatment concurrently with an increase of immunosuppressive
therapy. The most relevant contribute of this report is that the quinolone antibiotic
ciprofloxacin administration could have played an active role in reducing BKV replication
and eradicated the BKV load in both urinary and circulatory compartments.
186
1
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
VALUTAZIONE DELLA CARICA VIRALE DI EBV E DELLA
RISPOSTA T-MEDIATA EBV-SPECIFICA IN PAZIENTI
TRAPIANTATI DI ORGANO SOLIDO.
Massimo Rittà, Alessia Di Nauta, Samantha Mantovani, Franca Sinesi, Francesca Sidoti,
Cristina Costa, Rossana Cavallo.
S.C. Microbiologia e Virologia U., Laboratorio di Virologia, Azienda Ospedaliera Città della
Salute e della Scienza di Torino e Università degli Studi di Torino
L’infezione primaria o la riattivazione del virus di Epstein-Barr (EBV) nel paziente
trapiantato possono associarsi all’insorgenza di disordini linfoproliferativi (PTLD) variabili
da forme oligoclonali a monoclonali linfomatose. I PTLD sono reversibili se prontamente
diagnosticati e trattati; tuttavia, la sola valutazione della carica virale di EBV è caratterizzata
da sensibilità e specificità basse. Pertanto, è stata proposta la valutazione combinata della
carica virale e della risposta T-mediata EBV-specifica per valutare il rischio di PTLD,
sebbene i dati a proposito della letteratura siano scarsi. Obiettivo di questo studio è stata la
valutazione della replicazione virale e della risposta EBV-specifica in una popolazione di
trapiantati. Sono stati valutati 197 pazienti (M/F, 71/126; età media al trapianto 50.6 anni,
range 5-78) trapiantati di organo solido (156 rene, 33 polmone, 3 fegato, 1 fegato-rene, 1
polmone-fegato, 2 cuore, 1 rene-pancreas). La risposta immunitaria è stata studiata mediante
saggio Elispot. La carica virale di EBV è stata valutata mediante real-time PCR su sangue
(almeno una determinazione in 95 pazienti, ≥3 in 56 a intervalli di 3 mesi);
Il 51.8% dei pazienti (102/197) presentava una risposta T-mediata EBV-specifica, mentre i
restanti soggetti risultavano persistentemente non responders. Sui 95 pazienti per cui erano
disponibili i dati di EBV-DNA, il 16.8% (16/95) evidenziava almeno un episodio di
replicazione virale (10 responders, 6 non responders; p = n.s.). L’insorgenza di replicazione
virale non differiva significativamente in relazione allo status della risposta immunitaria, così
come la carica virale media. La carica virale media tendeva a essere maggiore nei non
responders versus i responders a > 1 anno dal trapianto, mentre tendenza opposta si osservava
a < 1 anno. Nella popolazione studiata si sono verificati due casi di particolare interesse: un
bambino di 8 anni portatore di trapianto di fegato con episodi continui di EBV-DNAemia a 5
anni post-trapianto (picco di carica virale 2.1 x 104 copie/ml), non responder, senza sviluppo
di PTLD, sottoposto a monitoraggio continuo; una donna di 58 anni portatrice di trapianto di
rene da 12 anni, responder per EBV, con linfoma NH non associato a EBV.
Il valore della determinazione combinata di EBV-DNA e risposta T-mediata EBV-specifica ai
fini della valutazione del rischio di PTLD resta da definire. Questo può essere conseguito con
l’attuazione di studi su un’ampia popolazione monitorizzata per lunghi periodi di tempo al
fine di definire la cinetica della ricostituzione della risposta immunitaria posttrapianto e gli
intervalli di monitoraggio da adottare.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
187
Poster
LIPIDI NEUTRI E ANGIOGENESI IN CELLULE PRIMARIE UMANE
INFETTATE COL VIRUS HERPES 8.
F. Angius, S. Uda, E. Piras, S. Spolitu, A. Ingianni, B. Batetta, R. Pompei.
Dip. Scienze Biomediche, Università di Cagliari
Premessa. È noto che le cellule tumorali presentano un metabolismo alterato rispetto alle
cellule normali. Questo fenomeno è stato osservato anche in cellule infette da virus oncogeni.
Piano di lavoro. In questo lavoro abbiamo esaminato le alterazioni metaboliche di cellule
primarie di cordone ombelicale umano (HUVEC) indotte del virus Herpes 8 (HHV8), agente
causale del sarcoma di Kaposi. L'infezione è stata seguita per circa 3 settimane al fine di
osservare il comportamento delle cellule sia nella fase litica che latente dell'infezione da
HHV8.
Metodi. Il virus HHV8 è stato ricavato da cellule BC3. L'infezione delle cellule HUVEC è
stata effettuata come indicato da Ingianni et al. (1). La cinetica dell'infezione è stata esaminata
con RT-PCR su geni della fase litica (orf26 e orf50) e latente (orf73). La quantificazione dei
lipidi è stata fatta con l'uso di coloranti fluorescenti, come il Nile Red (2) e il LipidTox.
L'analisi della neo-angiogenesi è stata effettuata come indicato da Wang & Damania (3).
Risultati. I dati acquisiti dimostrano che l'infezione da HHV8 induce un accumulo di lipidi
neutri nelle cellule infette, con aumento di lipid droplets intra-citoplasmatiche. L'analisi dei
lipidi neutri ha permesso di dimostrare che inizialmente (prime 2 settimane di infezione) si ha
un aumento dei trigliceridi e una diminuzione del colesterolo e dei suoi esteri;
successivamente (3° settimana) i trigliceridi diminuiscono rapidamente, mentre si nota un
significativo incremento di colesterolo e suoi esteri fino ad un 60% circa superiore al
controllo. Infine il trattamento delle cellule infette con un inibitore dell’esterificazione ha
indotto una significativa riduzione della formazione di micro-tubuli capillari, sopratutto in
terreni privi di siero.
Conclusioni. L'infezione latente da HHV8 induce un accumulo di lipidi neutri nelle cellule
infette, probabilmente dovuto ad un aumento della richiesta di energia e membrane necessarie
per sostenere l'elevata proliferazione tipica delle cellule neoplastiche.
Questo lavoro è stato finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna 2012.
1) Ingianni A. et al. (2013).. Latent Herpesvirus 8 infection improves both insulin and glucose
uptake in primary endothelial cells. New Microbiologica 36, 257.
2) Diaz G. et al. (2008). Histochem Cell Biol 129: 611-621.
3) Wang L.& Damania B. (2008). Kaposi’s sarcoma-associated herpesvirus confers a
survival advantage to endothelial cell. Cancer Res 68, 4640-4648.
188
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
INFEZIONE DA CORONAVIRUS-MERS A FIRENZE IN DUE ADULTI
Alessandro Bartoloni1, Dario Bartolozzi2, Maria Grazia Santini3, Rosaria Arvia4, Fabiana
Corcioli4, Federica Pierucci4, Alberta Azzi4.
1
Unità di Malattie Infettive e Tropicali e 2 Unità di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliero
Universitaria Careggi, Firenze; 3 Servizio Igiene Pubblica, ASL 10, Firenze; 4 Dipartimento
di Medicina Sperimentale e Clinica, Università di Firenze, Laboratorio di Riferimento
Regione Toscana per l’Influenza.
Al 27 luglio 2013 i casi confermati di infezione da Middle East Respiratory Coronavirus
(MERS-CoV) ammontavano a 91, 46 dei quali fatali. Alla fine di maggio del 2013 il MERSCoV è stato segnalato per la prima volta anche in Italia, dove l’infezione è stata diagnosticata
in un uomo di 45 anni, di ritorno a Firenze, dove risiede, dopo una vacanza in Giordania,
presso la sua famiglia. L’infezione da MERS-CoV è stata sospettata nel paziente al momento
del ricovero nel reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’Azienda Ospedaliero
Universitaria Careggi di Firenze, in base ai dati clinici ed epidemiologici. Sono stati quindi
prelevati un tampone faringeo ed uno nasale che sono stati analizzati per la ricerca del MERSCoV dal laboratorio di riferimento per l’Influenza della Regione Toscana. Entrambi i
campioni sono risultati positivi al test molecolare di screening (RT PCR real time per la
regione UpE), cui ha fatto seguito rapidamente la conferma da parte dell’Istituto Superiore di
Sanità ( Centro Nazionale Influenza). In seguito all’immediata attivazione della sorveglianza
da parte del servizio preposto, sono stati rintracciati prontamente oltre 140 contatti, tra
familiari, colleghi di lavoro e personale sanitario che sono stati sottoposti a sorveglianza per
10 giorni dopo l’esposizione al caso confermato . Grazie a questo intervento, a distanza di
pochi giorni l’infezione è stata diagnosticata anche in una bambina, nipote del primo caso, e
in una collega di lavoro dello stesso. Verranno presentati e discussi i principali aspetti clinici
e virologici dell’infezione da MERS-CoV nei due pazienti adulti.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
189
Poster
DETERMINAZIONE DELLA EFFICACIA DI COMPOSTI DI INIBIRE
LA TRASCRITTASI INVERSA DI HIV MEDIANTE UN NUOVO
SAGGIO BASATO SULLA REAZIONE DI PCR
Caterina Frezza1, Emanuela Balestrieri1, Francesca Marino-Merlo2, Sandro Grelli1, Beatrice
Macchi3, e Antonio Mastino2,4
1
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, Università di Roma "Tor Vergata",
Roma; 2Dipartimento di Scienze Biologiche ed Ambientali, Università di Messina, Messina;
3
Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Università di Roma “Tor Vergata”, Roma; 4Istituto
di Farmacologia Traslazionale, C.N.R., Roma.
Nonostante gli indiscussi successi delle ultime decadi nella terapia anti-HIV, c’è ancora
necessità di sviluppare nuovi farmaci antiretrovirali principalmente a causa dell’emergenza
della resistenza ai farmaci. Lo sviluppo di nuovi farmaci è un processo lungo e
l’accelerazione delle relative procedure rappresenta l’obiettivo della farmacologia
traslazionale. Lo sviluppo di nuovi farmaci antiretrovirali potrebbe beneficiare notevolmente
della disponibilità di nuovi saggi semplici, accurate, sensibili e sicuri per il personale addetto
alla loro esecuzione. E’ stato messo a punto un nuovo saggio, basato sulla metodologia della
PCR, per determinare l’efficacia di un composto di inibire l’attività enzimatica della
trascrittasi inversa (RT) di HIV, in modo cell/virus-free. Il saggio utilizza RNA RNase free
trattato con DNase di cellule trasfettate esprimenti la glicoproteina D di HSV-1, come RNA
stampo. L’RNA stampo è retrotrascritto mediante reverse primers specifici e una miscela di
reazione contenente HIV-RT commerciale ovvero lisato di cellule H9, come sorgente di
HIV-RT, in presenza o assenza dei composti da saggiare. Il cDNA prodotto è poi usato per
una DNA PCR. La nevirapina e l’efavirenz sono stati utilizzati quali composti inibitori di
riferimento. I risultati hanno confermato l’adeguatezza del metodo per gli obiettivi attesi,
mostrando la sua maggiore sensibilità rispetto al più recente metodo commerciale in uso.
190
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
NMR-BASED METABOLIC APPROACH AND POLYOMAVIRUS JC
DNA DETECTION: PRELIMINARY RESULTS IN URINE SAMPLES
OF INDIVIDUALS AFFECTED BY IMMUNE-MEDIATED DISEASES*
Rodio DMa, Anzivino Ea, Bellizzi Aa, Cioccolo Sa, Campanella Cb, Capitani Dc, Sobolev APc,
Marini Fd, Mannina Lb,c,§, Pietropaolo Va,§
d
Dip. Sanità Pubblica e Malattie Infettive, bDip. Chimica e Tecnologie del Farmaco,
d
Dip. Chimica, Sapienza Università di Roma
c
Istituto Metodologie Chimiche, Laboratorio di Risonanza Magnetica “Annalaura Segre”,
CNR, Roma
§
Equal contribution to this work
*This study has been developed within the “Unità di Metabolomica: Studi su Alimenti,
Nutraceutici e Fluidi biologici”- Sapienza Università di Roma
The introduction of biologics in the management of immune-mediated disease, such as
multiple sclerosis (MS) and chronic rheumatic diseases (CRDs) has been recently associated
with the development of the progressive multifocal leukoencephalopathy (PML). PML is a
fatal demyelinating disease caused by Polyomavirus JC (JCV) reactivation, a virus wildly
spread in the human population. Therefore it is important to clearly understand the risk of
PML associated with these therapies in order to better inform risk/benefit decision-making.
To date, there are no methods that can reliably predict which patients have a higher risk of
developing PML. No clear-cut associations can be established between JCV DNA in the
blood or urine and PML, although JCV DNA quantification in urine seems to be useful to
identify JCV infected subject when antibodies are still undetectable. Recently, the
combination of Nuclear Magnetic Resonance (NMR) spectra of biofluids and pattern
recognition methods has driven forward the application of metabolomics in the field of
biomarker discovery. The importance of metabolomics in diagnostics, e.g. in identifying
biomarkers or defining pathological status, has been growing exponentially. Metabolic
profiles can be particularly valuable to determine when a healthy state becomes dysfunctional
in the early stage of the disease and provide new possibilities for preventing therapies. All
data produced in metabolomics are highly multivariate. Therefore, the use of chemometrics is
required to find trends or significant information in the data, i.e. relevant metabolites.
Nowadays, NMR is a well-established powerful analytical method for generating
metabolomics profiles and it requires limited sample preparation and is untargeted,
quantitative (absolute), non-destructive, reproducible and unbiased.
Preliminary results, obtained applying NMR-based metabolomic approach, suggested a
correlation between metabolic profiles and Polyomavirus JC DNA detection in urine samples
of CRDs patients.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
191
Poster
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA PROTETTIVA E DELLA
CAPACITA’ DI INDURRE ANTICORPI CROSS-REATTIVI NEI
CONFRONTI DI VIRUS INFLUENZALI DI TIPO B APPARTENENTI
AI LINEAGGI YAMAGATA E VICTORIA DA PARTE DI DUE
VACCINI INFLUENZALI TRIVALENTI
(FLUAD® E INTANZA®) IN ANZIANI ISTITUZIONALIZZATI
M Basileo1, AM Iorio2, G Bartolini3, C Bianchini4, G Menculini5, P Tozzi6, B Camilloni2
1
Polo Innovazione GGB. Perugia; 2Dip. Spec. Med. Chirur. e San. Pubbl. Università di
Perugia; 3Opera Pia B.- Castori, Foligno; 4Coop. Soc. A.I.D.A.S. Terni; 5RP Bittoni Città
della Pieve, Perugia; 6Az. USL2, Foligno
Per fronteggiare la co-circolazione di virus influenzali di tipo B appartenenti a due diversi
lineaggi (Victoria e Yamagata), recentemente è stata approvata la commercializzazione di
vaccini influenzali quadrivalenti contenenti due virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e due di tipo
B appartenenti ai due lineaggi.
Scopo dello studio è stato verificare l’efficacia protettiva di due vaccini influenzali trivalenti
disponibili per la stagione 2012-13 e la loro capacità di evocare una risposta anticorpale verso
un virus B appartenente ad un lineaggio diverso da quello vaccinale. A 137 volontari è stato
somministrato un vaccino adiuvato con MF-59 (FLUAD®) e a 89 un vaccino intradermico
non adiuvato (INTANZA®) contenenti, come antigene B, un virus Yamagata-like. La risposta
anticorpale è stata valutata mediante test IEA effettuato in sieri prelevati prima e 1 mese dopo
la vaccinazione utilizzando come antigeni i virus vaccinali e il virus B/Victoria-like incluso
nei vaccini quadrivalenti. L’efficacia protettiva è stata valutata in 191 dei 226 volontari
mediante l’analisi di un terzo prelievo effettuato in fase post-epidemica. È stato considerato
segno di infezione il riscontro nel terzo campione di un incremento di almeno 4 volte del
titolo anticorpale rispetto a quello riscontrato ad 1 mese dalla vaccinazione.
L’efficacia protettiva dei due vaccini, in una stagione durante la quale si è verificata cocircolazione di virus di tipo A (H3N2 e H1N1) e B appartenenti a entrambi i lineaggi, è stata
buona e non sono state riscontrate infezioni diagnosticate sierologicamente.
Nei confronti dell’antigene B vaccinale i criteri dell’European Medicine Agency sono stati
soddisfatti da parte di entrambi i vaccini, tuttavia la risposta indotta da INTANZA tende ad
essere superiore.
La risposta al virus eterologo B/Victoria-like è risultata simile e poco soddisfacente per
entrambi i vaccini.
I risultati ottenuti indicano dunque una scarsa capacità dei vaccini trivalenti utilizzati di
indurre risposta anticorpale nei confronti di virus B appartenenti ad un lineaggio diverso da
quello vaccinale e supportano la scelta della messa in commercio di vaccini quadrivalenti.
192
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
IL GENE INTERFERON-INDUCIBILE IFI16: POTENZIALE FATTORE
ANTIVIRALE E MARCATORE DIAGNOSTICO DELLE INFEZIONI
DA PAPILLOMAVIRUS UMANI
M. Biolatti1, I. Lo Cigno1,2, M.M. Landini1,2 , V. Dell’Oste1, C. Borgogna2, Valeria
Caneparo1,2, S. Landolfo1, M. Gariglio2, M. De Andrea1
1
Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università degli Studi di
Torino, Torino, Italia; 2Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università del Piemonte
Orientale “A. Avogadro”, Novara, Italia
I recenti progressi nel campo dell’immunità innata hanno portato alla scoperta di numerose
classi di pattern recognition receptors (PRRs), sensori in grado di rilevare i cosiddetti
pathogen-associated molecular patterns (PAMPs). Tra i PRRs intracellulari, alcune proteine
della famiglia dei geni IFN-inducibili HIN200 sono state caratterizzate quali sensori del DNA
degli Herpesvirus. Dal momento che i Papillomavirus sono virus a DNA con replicazione
nucleare come gli Herpesvirus si è voluto verificare se la famiglia HIN200, in particolare la
proteina IFI16, fosse coinvolta nel riconoscimento e nella modulazione della replicazione di
questi virus. Sono state condotte indagini sia in vitro, su un modello di replicazione per
HPV18, sia in vivo su sezioni di cervice uterina HPV positive. L’analisi in
immunofluorescenza di sezioni di cervice uterina con vari gradi di displasia HPV-associata ha
evidenziato una ridotta espressione di IFI16 soprattutto nelle cellule con attiva replicazione
del genoma virale dimostrata mediante ibridazione in situ. Per confermare i dati ottenuti in
vivo, cheratinociti umani primari spontaneamente immortalizzati (NIKS), sono stati
elettroporati con il genoma completo circolare di HPV18. Per riprodurre il normale
differenziamento epiteliale necessario per supportare la replicazione virale di HPV, sono stati
utilizzati due diversi approcci: i)cellule coltivate in monostrato, indotte alla differenziazione
con metilcellulosa per 72h; oppure ii)cellule utilizzate per allestire colture organotipiche, un
sistema di coltivazione in 3D che permette la formazione di un epitelio completo in vitro
(skin-like structures). I risultati ottenuti hanno permesso di confermare che la replicazione di
HPV18 si accompagna ad una riduzione dell’espressione di IFI16. Inoltre, cellule silenziate
per IFI16 tramite siRNA specifici presentano una maggiore resa virale, come dimostrato da
analisi in Real-Time PCR quantitativa; mentre, in cellule overesprimenti IFI16, tramite un
vettore adenovirale (AdvIFI16), la replicazione risulta ridotta rispetto a cellule infettate con
un vettore adenovirale di controllo (AdvLACZ). Nell’insieme i risultati ottenuti indicano che
IFI16 agisce come sensore del DNA e come fattore di restrizione anche nei confronti di altri
virus a DNA quali i Papillomavirus.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
193
Poster
L’INIBITORE DEL PROTEASOMA MG-132 RIDUCE IL RILASCIO DI
VIRUS ERPETICO BOVINO 1
Filomena Fiorito1,*, Antonietta Cantiello1, Gabriella Marfè2, Ugo Pagnini1, Giuseppe Iovane1,
Luisa De Martino1
1
Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali; Università of Napoli ‘Federico II’,
Napoli;
2
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Seconda Università degli Studi di Napoli ‘SUN’,
Napoli.
E-mail: [email protected]
Bovine Herpesvirus-1 (BHV-1), membro della sottofamiglia α-herpesvirinae, può provocare
rinotracheite infettiva, congiuntivite, aborto e ‘shipping fever’. In cellule epiteliali bovine (MDBK),
BHV-1 induce apoptosi mediante l’attivazione delle caspasi 8, 9 e 3, mediante i membri della famiglia
Bcl-2 (Devireddy and Jones, 1999; Fiorito et al., 2008). Il fattore di trascrizione NF-κB regola un
ampio range di geni importanti nello sviluppo e nella prevenzione dell’apoptosi. NF-κB è sequestrato
nel citoplasma e, per azione sul pathway del proteasoma, può traslocare nel nucleo dove agisce come
regolatore nella trascrizione di molti geni ad esso correlati. La proteina immediate-early bICP0, che
rappresenta il principale regolatore nella trascrizione di BHV-1, può stimolare NF-κB a traslocare dal
citoplasma al nucleo (Diao et al., 2005). In questo lavoro, per evidenziare il ruolo di NF-κB e di bICP0
nell’apoptosi indotta da BHV-1, abbiamo impiegato MG-132, un peptide sintetico inibitore del
proteasoma. Cellule MDBK sono state infettate con BHV-1 (ceppo Cooper), in presenza o non di MG132. MG-132 induceva una diminuzione significativa tempo-dipendente nella citotossicità delle
cellule infettate. Inoltre, inibiva l’apoptosi BHV-1 indotta, bloccando sia l’attivazione di caspasi 9 e 3,
che il clivaggio di PARP, e riducendo i livelli proteici di alcuni membri della famiglia Bcl-2 e di p53.
L’espressione della proteina bICP0, che normalmente si riscontra sia nella frazione nucleare che
citosolica (Fiorito et al., 2010), era inibita da MG-132, che ritardava pure la traslocazione di NF-κB
dal citoplasma al nucleo. Poiché l’infezione con il ceppo BHV-1 ‘bICP0 null-mutant’ produce nelle
MDBK un accumulo di autofagosomi, comune segno di autofagia che non si riscontra nell’infezione
prodotta dal virus che esprime bICP0 (Geiser et al., 2008), qui in presenza di MG-132, abbiamo
evidenziato un aumento tempo-dipendente delle proteine LC3-II, ATG-5 e Beclin-1, principali
markers d’autofagia. Infine, l’efficiente rilascio di virus indotto dall’apoptosi risultava sensibilmente
ridotto da MG-132, sia nell’effetto citopatico che nel titolo virale. Questi risultati confermavano la
complessità del ruolo di bICP0 nell’infezione da BHV-1. Infatti, l’infezione con il ceppo ‘bICP0 null
mutant’ produce una diminuzione del titolo virale di almeno 100 volte, indicando che l’espressione
della proteina bICP0 è importante, ma non è richiesta per la produzione di virus (Geiser et al., 2005).
BHV-1 è responsabile di problemi economici sia per la malattia che per le conseguenti restrizioni nel
commercio. I dati qui riportati suggeriscono che l’inibitore del proteasoma MG-132 potrebbe
possedere potenziali attività anti-erpetiche.
194
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
SORVEGLIANZA DELLE PARALISI DA VIRUS POLIO IN SICILIA,
2002-2012
Marzia Di Franco (a), Laura Saporito (a), Giovanni M. Giammanco (a), Simona De Grazia
(a), Floriana Bonura (a), Daniela Pistoia (a), Rossana Mangione (b), Salvatore La Cagnina (c),
Sebastiano Rinnone (d), Mario Balistreri (e), Fernanda Marano (f), Claudio D’Angelo (g),
Filippo Giurdanella (h), Daniela Cannarella (i), Gaspare Canzoneri (j), Mario Palermo (k),
Salvatore Scondotto (k)
(a) Centro di Riferimento Regionale per la Sorveglianza delle Paralisi Flaccide Acute, Dipartimento di Scienze per la
Promozione della Salute e Materno-Infantile “G. D’Alessandro”, Università di Palermo, Via del Vespro 133, 90127
Palermo
(b) Dipartimento di Prevenzione, Servizio Sanità Pubblica, Epidemiologia, Medicina Preventiva, ASP Agrigento, Viale della
Vittoria 321, 92100 Agrigento
(c) Dipartimento di Prevenzione, U.O. Sanità Pubblica Epidemiologia e Medicina Preventiva, ASP Caltanissetta, via
Cusmano, 93100 Caltanissetta
(d) Dipartimento di Prevenzione, U.O.C. Epidemiologia e Medicina Preventiva, ASP Catania, via Tevere 39, 95027 Cerza –
San Gregorio di Catania (CT)
(e) Servizio di Igiene e Sanità Pubblica, ASP Enna, Via Pietra Perisa 2, 94100 Enna
(f) Dipartimento di Prevenzione, U.O.S. Epidemiologia, ASP Messina, via La Farina 263, 98123 Messina
(g) Dipartimento di Prevenzione, U.O.C. di Sanità Pubblica, Epidemiologia e Medicina Preventiva, ASP Palermo, via
Siracusa 45, 90141 Palermo
(h) Servizio di Epidemiologia, ASP Ragusa, Via Resistenza Partigiana, 97015 Modica (RG)
(i) U.O.C. di Epidemiologia e Medicina Preventiva, ASP Siracusa, traversa La Pizzuta, 96100 Siracusa
(j) Dipartimento di Prevenzione, Servizio Epidemiologia, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, ASP Trapani, via Mazzini
1, 91100 Trapani
(k) Regione Sicilia, Assessorato della Salute, Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (DASOE), via
Vaccaro 5, 90100 Palermo
La poliomielite è una malattia virale acuta con manifestazioni neurologiche gravi, spesso irreversibili.
La campagna di vaccinazione portata avanti in tutto il mondo a partire dagli anni ’50 grazie
all’introduzione delle due formulazioni vaccinali (Salk, inattivato; Sabin, attenuato) ha consentito
grandi progressi nel controllo della malattia. Nel 1988 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha avviato un programma di eradicazione della poliomielite basato su tre obiettivi fondamentali: il
mantenimento dei livelli di immunizzazione mediante vaccinazione, la sorveglianza dei casi di paralisi
flaccida acuta (PFA) e la ricerca di poliovirus selvaggi nell’ambiente. Grazie a questo programma
nell’ultimo decennio Americhe, Pacifico Occidentale ed Europa sono state dichiarate “polio-free”,
mentre tutt’oggi la polio rimane endemica in tre soli Paesi: Afghanistan, Nigeria e Pakistan. L'Italia è
stata ufficialmente certificata “polio-free” nel 2002 ma la Sicilia si trova in una posizione di
particolare esposizione al rischio di reintroduzione a causa del continuo flusso migratorio da Paesi in
via di sviluppo, inclusi quelli in cui la poliomielite è ancora endemica.
La rete di sorveglianza dei casi di PFA della Regione Sicilia è coordinata da un centro di riferimento
regionale (CRR), con sede a Palermo, ed è composta da 72 reparti di centri ospedalieri, variamente
dislocati nel territorio che fanno capo ad un referente provinciale del settore di Igiene Pubblica. Per
ogni paziente di età 0-14 anni ricoverato con PFA il protocollo nazionale prevede la ricerca dei
poliovirus e degli anticorpi specifici rispettivamente su campioni di feci e siero, e un follow-up clinico
di 60-90 giorni per la definitiva conferma diagnostica.
In base all’incidenza annuale stimata di PFA da qualunque causa nei soggetti tra 0 e 14 anni di età
(1/100.000), il numero di casi di PFA attesi in Sicilia è di circa 8 per anno.
Nel periodo di sorveglianza dal 2002 al 2012 sono stati segnalati in Sicilia 80 casi di PFA, ma in
nessun caso è stato isolato virus polio. La diagnosi finale più frequente è stata di sindrome di GuillainBarrè (50%), seguita da poliradicoloneurite (10%), mielite/mielite traversa (5,6%),
encefalite/encefalomielite (2,4%).
Alla luce dei casi di recente reintroduzione nella prima parte del 2013 della poliomielite in Paesi già
dichiarati “polio-free”: Somalia (128 casi), Kenya (13 casi) ed Etiopia (1 caso), e il ritrovamento del
virus nelle acque reflue in Israele, assume una particolare importanza proseguire l’attività di
sorveglianza fino alla sua eradicazione globale.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
195
Poster
EVIDENZA DELLA INTRODUZIONE DI UNA NUOVA
COSTELLAZIONE GENICA DI ROTAVIRUS G2P[4] NEGLI ANNI
2000 A PALERMO
Bonura Floriana1, De Grazia Simona1, Saporito Laura1, Di Franco Marzia1, Cascio
Antonio2, Colomba Claudia1, Di Bernardo Francesca3, Giammanco Giovanni Maurizio1
1. Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile "Giuseppe
D'Alessandro", Università di Palermo, Italia
2. Dipartimento di Patologia Umana, Unità di Medicina Tropicale e Parassitologia –
Università di Messina, Italia.
3. Unità di Microbiologia and Virologia, ARNAS “Ospedale Civico”, Palermo, Italia
I Rotavirus di Gruppo A (RVA), appartenenti alla famiglia Reoviridae, rappresentano la
principale causa di gastroenterite virale nei bambini al di sotto dei 5 anni. I RVA sono
classificati, in base alle proteine del capside esterno VP7 e VP4 in più di 27 tipi G e 35 tipi
P. I RVA G1P[8] rappresentano il genotipo maggiormente circolante in tutto il mondo, ma i
G2P[4] spesso acquisiscono una rilevanza epidemiologica. Dopo l'introduzione della
vaccinazione anti-RVA è stato segnalato un aumento della circolazione dei G2P[4] in diversi
paesi. L’attività di sorveglianza sulla circolazione dei RVA condotta dal 1985 ha permesso di
evidenziare a Palermo un trend fluttuante della prevalenza dei G2P[4], con elevati tassi di
circolazione nel 1996-97 (49% e 35,3%), 2003 (22,6%), 2007 (14%) e 2011 (15,2%). Per
tentare di comprendere i meccanismi che regolano la circolazione dei ceppi G2P[4] nel
tempo, è stata effettuata un’analisi del genoma completo di 9 ceppi selezionati tra quelli
coinvolti nei picchi epidemici fra il 1996 e il 2011.
L’analisi filogenetica degli 11 segmenti genici ha permesso di evidenziare che il ceppo
G2P[4] del 1996 mostrava una costellazione genica consistentemente diversa rispetto al
G2P[4] di riferimento ancestrale DS-1 (isolato negli Stati Uniti nel 1976), ma anche rispetto
agli altri 8 ceppi Italiani identificati dal 2004 al 2011. Questi ultimi risultano essere
geneticamente simili ai ceppi G2P[4] circolanti negli anni 2000 a livello globale. I ceppi
appartenenti alla costellazione genica più recente segregavano in 2 distinti sottolineaggi, sia
in VP7 che in VP4, con una precisa successione temporale. I due diversi sottolineaggi di
VP7 e VP4 mostravano sostituzioni aminoacidiche a livello degli epitopi antigenici. I più
recenti isolati della costellazione genica degli anni 2000 mostrano la presenza di segmenti
genici di origine animale, probabilmente derivati da eventi di riassortimento genico tra ceppi
di ruminanti e ceppi umani.
I risultati di questo studio hanno dimostrato la periodica comparsa di nuove costellazioni
geniche all’interno dei G2P[4] il cui impatto epidemiologico in epoca vaccinale necessita
una stretta sorveglianza.
196
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
IL NITAZOXANIDE, UN NUOVO POTENZIALE FARMACO ANTIINFLUENZALE AD AZIONE SINERGICA CON GLI INIBITORI
DELLA NEURAMINIDASI
Orlando Cenciarelli1, Giuseppe Belardo1, Simone La Frazia1, Stefania Carta1, Jean-Francois
Rossignol2, e M. Gabriella Santoro1
1
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
2
Romark Laboratories L.C., Tampa, FL, USA
L’emergenza di nuovi virus influenzali altamente patogeni per l’uomo rappresenta una seria
minaccia per la salute globale. La possibile insorgenza di resistenze ai farmaci antivirali
attualmente in uso sottolinea la necessità di sviluppare nuove strategie terapeutiche,
comprendenti più molecole con diversi bersagli farmacologici. Il nostro laboratorio ha
recentemente identificato i tiazolidi come una nuova classe di potenziali farmaci antiinfluenzali caratterizzati da un meccanismo d’azione innovativo. Utilizzando come modello il
ceppo influenzale H1N1 A/PR/8/34 (PR8), abbiamo dimostrato che il nitazoxanide (NTZ) ed
il suo metabolita attivo tizoxanide (TIZ) agiscono a livello post-traduzionale, alterando la
maturazione dell’emoagglutinina virale ed interferendo con il processo di morfogenesi virale.
Nel presente lavoro è stata studiata l'attività antivirale di NTZ e TIZ in un ampio spettro di
ceppi influenzali umani ed aviari, ed è stata valutata la potenziale sinergia di NTZ con gli
inibitori della neuraminidasi oseltamivir (OST) e zanamivir (ZAN). L'attività antivirale di
NTZ/TIZ è stata studiata in cellule MDCK dopo infezione con 10 diversi ceppi influenzali di
tipo A (H1N1, H3N2, H5N9, H7N1) alcuni dei quali resistenti al trattamento con amantadina
e oseltamivir, ed un ceppo di tipo B. La progenie virale è stata determinata attraverso saggi
standard di emoagglutinazione e di infettività, mentre la vitalità cellulare veniva valutata
attraverso il saggio MTT. Per la valutazione dell’azione sinergica di NTZ con gli inibitori di
neuraminidasi OST e ZAN, e la determinazione dell’indice di combinazione (CI), l’analisi
statistica è stata effettuata utilizzando il software CalcuSyn V2. Entrambi i tiazolidi sono
risultati efficaci contro tutti i ceppi analizzati con valori di IC50 tra 0,3-1,5 µg/ml, e con valori
di LD50 superiori a 50 µg/ml. Il trattamento combinato di 1 µg/ml NTZ con OST e ZAN
causava un incremento dell’attività antivirale dei due farmaci di 3 e 7 volte rispettivamente,
con valori di CI compresi tra 0,32-0,58. I risultati indicano che il nitazoxanide, possedendo
una potente attività antivirale contro virus influenzali umani ed aviari a concentrazioni
utilizzate nella pratica clinica, e mostrando attività sinergica con inibitori della neuraminidasi
attualmente in uso, rappresenta un nuovo potenziale farmaco efficace nel trattamento
dell’influenza.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
197
Poster
ATTIVITA’ ANTIVIRALE ED ANTI-INFIAMMATORIA DEL
PROSTANOIDE 15-DEOXY-DELTA12,14-PGJ2 NELL’INFEZIONE DA
ROTAVIRUS
Simone La Frazia1, Laura Ciuffini1, Marta Coccia1,2, Sara Piacentini1, Antonio Rossi2,
M. Gabriella Santoro1,2
1
Dipartimento di Biologia, Università di Roma Tor Vergata; 2Istituto di Farmacologia
Traslazionale, CNR, Roma
I rotavirus rappresentano la causa principale delle infezioni gastrointestinali non batteriche
infantili. Attualmente non esiste una terapia antivirale efficace per le infezioni da rotavirus;
inoltre, l’evidenza di limitazioni relative sia alla disponibilità che all’efficacia fornita dai
vaccini in uso sottolinea la necessità di sviluppare nuove strategie terapeutiche. I prostanoidi
ciclopentenonici (cyPG), caratterizzati dalla presenza di un gruppo carbonilico alpha,betainsaturo nell’anello ciclopentano, possiedono attività antivirale verso alcuni virus ad RNA.
Nel presente lavoro e’ stato analizzato l’effetto del cyPG naturale 15-deoxy-Delta12,14-PGJ2
(15d-PGJ2) nell’infezione da rotavirus in vitro, utilizzando come modello i virus A/SA11G3P[2] (SA11) e A/Wa-G1P[8] (Wa), ed e’ stato studiato il possibile meccanismo alla base
dell’attività antivirale. I risultati ottenuti dimostrano una potente attività antivirale del 15dPGJ2 indipendentemente dal ceppo virale, dal tipo di cellula ospite (MA104, HT-29 e Caco2), e dalla molteplicità di infezione. E’ stato evidenziato che il prostanoide non interferisce
con l’adsorbimento e l’entrata del virus nella cellula ospite, e non causa un’inibizione
generale della sintesi proteica virale, mentre agisce a livello post-traduzionale inibendo la
morfogenesi del virus. E’ stato inoltre dimostrato che i rotavirus SA11 e Wa sono dei potenti
induttori del fattore cellulare NF-kB a partire da 4 ore p.i., attivando la trascrizione di geni
pro-infiammatori tra cui il TNFa. Il trattamento con 15d-PGJ2 e’ risultato efficace nel
prevenire l’attivazione di NF-kB e la trascrizione di geni pro-infiammatori NF-kB-dipendenti,
bloccando la degradazione della proteina inibitoria IkBa in cellule infette. Nell’infezione da
rotavirus il prostanoide 15d-PGJ2 possiede quindi sia attivita’ antivirale, agendo attraverso un
meccanismo innovativo che interferisce con la morfogenesi del virus, che attivita’ antiinfiammatoria, bloccando l’espressione di citochine pro-infiammatorie nella cellula infetta. I
risultati suggeriscono nuove strategie terapeutiche nel trattamento delle gastroenteriti da
rotavirus.
198
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
PREVALENZA DI HPV MUCOSALI E CUTANEI NEL CARCINOMA
SQUAMO-CELLULARE CHERATINIZZATO VULVARE,
PENIENO E ANALE
Pasta M.M.1, Cabibi D.1, Viviano E.M.R.2, Caleca M.P. 1, Giovannelli L.1, Capra G. 1
1
Dip. di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile,2Clinica Dermatologica e
M.S.T.- Università di Palermo
I Papillomavirus umani (HPV) infettano gli strati basali degli epiteli cutanei e mucosali. I 120
genotipi finora caratterizzati sono classificati in 5 principali generi filogenetici: α-, β-, γ-, μ- e
ν-HPV. Il genere α include genotipi responsabili di infezioni sessualmente trasmesse, che
possono essere asintomatiche o associate a lesioni benigne, potenzialmente maligne o
maligne: in particolare, i genotipi “ad alto rischio” (HR) di HPV sono causalmente associati al
cancro cervicale. I generi β e γ comprendono genotipi virali responsabili di infezioni cutanee,
evidenziate anche in individui sani. Sebbene non siano stati identificati HR-HPV cutanei,
alcuni tipi (genere β-HPV, specie 2) sono ritrovati in lesioni precancerose e cancri nonmelanomi della pelle di individui immunocompetenti e immunocompromessi. Il ruolo di HPV
nell’insorgenza delle lesioni maligne ano-genitali-non cervicali è poco studiato, data la rarità
di questi tumori. Le neoplasie più frequentemente riscontrate sono i carcinomi squamocellulari (SCC) vulvari, penieni e anali, suddivisi istologicamente nei sottotipi cheratinizzato
(il più comune), verrucoso e basaloide.
In questo studio retrospettivo abbiamo analizzato la prevalenza dei genotipi mucosali e
cutanei di HPV in 49 casi di SCC, sottotipo cheratinizzato, vulvare (n=12), penieno (n=17) e
anale (n=20). La tipizzazione virale è stata eseguita utilizzando il metodo SPF/LiPA
(Innogenetics) per i genotipi mucosali e l’RHA Skin (beta) HPV (Diassay) per i cutanei. Dei
campioni analizzati, 23 (46.9%) erano positivi per genotipi mucosali di HPV e 7 (14.3%) per
genotipi cutanei. In particolare, 2/12 (16.7%) SCC vulvari erano positivi solo per genotipi
cutanei; 7/17 (41.2%) SCC penieni contenevano genotipi mucosali e 2 (11.8%) sia genotipi
mucosali che cutanei; 12/20 (60%) SCC anali contenevano HPV mucosali, 1 (5%) HPV
cutanei e 2 (10%) sia HPV mucosali che cutanei. In 22/23 (95.6%) dei campioni positivi per
HPV mucosali erano presenti HR-HPV; in 2/7 (28%) dei casi d’infezione con HPV cutanei
erano presenti genotipi di β-HPV, specie 2.
L’elevata prevalenza di HR-HPV mucosali in SCC cheratinizzati penieni ed anali motiva
l’analisi di un possibile ruolo del virus nella carcinogenesi di tali siti. Ulteriori studi sono
sicuramente necessari per chiarire il ruolo dell’infezione dei β-HPV nella carcinogenesi
genitale extra-cervicale.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
199
Poster
MODULAZIONE DELL’ACETILAZIONE DI PROTEINE CELLULARI
COME NUOVO TARGET PER IL CONTROLLO DELLA
REPLICAZIONE DEL VIRUS DELL’INFLUENZA A
Panella S1, Checconi1 P, Celestino2 I, Buglia3 GL, Civitelli1 L, Sgarbanti4 R, Marcocci ME1,
Nencioni1 L, Simonetti G1, Palamara1,4 AT.
1
Dip. San. Pub. e Mal. Inf., 3Dip. Biol e Biotec, Sapienza Univ di Roma
2
CEINGE-Biotec Avanzate, Napoli, 4S. Raffaele Pisana, Roma
Il ciclo replicativo del virus influenzale è legato alla modulazione post traduzionale di alcune
proteine della cellula ospite. L’acetilazione di proteine nucleari e citoplasmatiche è regolato
da istone acetiltrasferasi (HATs) e istone deacetilasi (HDACs). E’ noto che l’interazione
delle HDACs con proteine target regola processi cellulari coinvolti nella replicazione di
alcuni virus. In questo studio abbiamo valutato il ruolo delle HDACs, in un sistema
sperimentale in vitro di infezione da virus influenzale A/PR8/H1N1, utilizzando HDAC
inibitori (HDACi) selettivi per le diversi classi. Dopo aver identificato la deacetilasi
maggiormente coinvolta, abbiamo analizzato lo stato di acetilazione delle sue proteine target e
approfondito il loro ruolo nelle diverse fasi del ciclo replicativo del virus. I risultati mostrano
che MC1568, HDACi selettivo di classe II, inibisce il ciclo replicativo in cellule epiteliali
infettate e induce nel loro nucleo un decremento dei livelli delle polimerasi virali. MC1568 è
un HDAC6i e i target citoplamatici di HDAC6 includono α-tubulina, Hsp90 e cortactina.
Hsp90 è coinvolta nella traslocazione delle polimerasi virali nel nucleo di cellule infettate.
Nel nostro sistema sperimentale, abbiamo osservato che il virus induce una iperacetilazione di
Hsp90 ma non della α-tubulina e che il trattamento con MC1568, in cellule infettate, non
modifica lo stato di acetilazione di HSP90 mentre iperacetila la tubulina. Questi dati
suggeriscono la possibilità che Hsp90 iperacetilata possa essere coinvolta in un pathway
essenziale per il ciclo replicativo del virus. I risultati degli studi condotti durante le fasi
tardive del ciclo replicativo mostrano una riduzione dei livelli di espressione e di mRNA di
HDAC6. Inoltre abbiamo dimostrato un incremento dello stato di acetilazione della
cortactina. Durante il pathway autofagico coinvolto nel ciclo replicativo del virus, la
cortactina promuove la fusione tra autofagosomi e lisosomi attraverso il rimodellamento della
F-actina. I risultati mostano che, in cellule infettate con il virus influenzale, la cortactina
iperacetilata blocca il processo di fusione. In conclusione la modulazione dello stato di
acetilazione di proteine cellulari potrebbe rappresentare un nuovo target per il controllo della
replicazione del virus dell’influenza A.
200
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
SPONTANEOUSLY OCCURRING RESISTANCE-ASSOCIATED
VARIANTS AMONG HCV SUBTYPE 1b PATIENTS NAIVE TO
PROTEASE INHIBITORS
Donatella Ferraroa, Noemi Uronea, Vito Di Marcob, Antonio Craxı`b
a Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e
Materno Infantile ‘‘G. D’Alessandro’’; b Sezione di Gastroenterologia, Dipartimento
Biomedico di Medicina Interna e Specialistica (Di.Bi.M.I.S.), Università degli Studi di
Palermo, Palermo, Italy
Nuovi farmaci ad azione antivirale diretta, sono stati approvati in associazione a PegInterferon e ribavirina, per la cura della malattia cronica HCV-correlata. Tra questi, gli
inibitori della proteasi (PIs) sono stati disegnati sulla struttura tridimensionale della proteina
NS3 di HCV genotype 1. L’efficacia dei PIs è condizionata dalle loro caratteristiche
farmacologiche e da fattori virali quali il genotipo e la barriera genetica, definita come il
numero e il tipo (transioni/transversioni) di mutazioni necessarie per lo sviluppo della
resistenza.
A causa dell’elevata variabilità genetica di HCV, dovuta all’elevato ritmo replicativo del virus
e all’attività errore-prone della polimerasi, varianti associate a resistenza (RAV) vengono
selezionate anche in assenza della pressione selettiva esercitata dai farmaci. Ad oggi, sono
stati identificati tredici loci nel gene NS3 implicati nella resistenza ai PIs.
Un protocollo in-house di sequenziamento diretto di elevata sensibilità (15 UI/ml) ha
permesso di analizzare un frammento di 495 bp codificante il dominio catalitico dell’HCV
NS3 proteasi. La frequenza di RAV è stata valutata in 125 isolati virali ottenuti da pazienti
mono-infetti con HCV genotipo 1b naive al trattamento con PIs.
Le RAVs sono state evidenziate nel 14% degli isolati virali, nella maggior parte dei casi come
singole mutazioni di bassa e media resistenza (V36L , F43S, T54S, I153V, R155Q, D168A,
D168G) sono state riscontrate. In un isolato è stata identificata la mutazione di alta resistenza,
D168A, e in un altro isolato una doppia mutazione, F43S + T54S.
Lo studio della variabilità genetica intra-sottotipo, attraverso il calcolo del minimal score, ha
identificato in alcuni isolati di HCV-1b, la presenza di polimorfismi nucleotidici e
aminoacidici capaci di alterare la barriera genetica ai PIs, aumentando la probabilità di
selezione delle RAVs principali (locus 36 e 155).
Sulla base dei risultati ottenuti, l’analisi del profilo genetico di HCV attraverso il
sequenziamento diretto rappresenta un utile strumento per identificare i pazienti che possono
beneficiare del trattamento con PIs principalmente in regimi terapeutici IFN-free.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
201
Poster
I RETROVIRUS ENDOGENI NELLA SINDROME DA DEFICIT DI
ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ (ADHD).
1
Balestrieri E., 1Matteucci C., 1Sorrentino R., 1Denboba A.A., 2Pitzianti M., 2D’Agati E.,
2
Pasini A., 1Garaci E., 1Sinibaldi-Vallebona P.
(1) Dipartimento di Medicina Sperimentale e Chirurgia, (2) Dipartimento di Neuropsichiatria
Infantile, Università di Roma “Tor Vergata”.
I Retrovirus Endogeni Umani (HERVs) rappresentano ciò che resta nel genoma umano di
infezioni ancestrali di cellule della linea germinale, ad opera di retrovirus esogeni. Gli
HERVs, che nell’uomo rappresentano circa l’8% del genoma, hanno accumulato, durante
l’evoluzione, numerose mutazioni, causando frequentemente la perdita della capacità
codificante e l’impossibilità di formare virioni maturi. Molti HERVs sono però ancora
trascrizionalmente attivi, ed in grado di svolgere importanti funzioni fisiologiche e
patologiche. L’espressione di geni virali di diverse famiglie di HERV è stata associata a
patologie di diversa natura: neoplastica (cancro della mammella, melanoma, linfoma, tumore
germinale del testicolo), autoimmunitaria (sclerosi multipla, lupus eritematoso sistemico,
artrite reumatoide) e neurologica (schizofrenia, disturbo bipolare). Recentemente il nostro
gruppo di ricerca ha dimostrato la presenza di una maggiore espressione di messaggeri di una
particolare famiglia di HERV (HERV-H) nel linfomonociti di bambini autistici rispetto a
quanto rilevato in controlli sani (Balestrieri et al. 2012). Al fine di estendere la conoscenza
riguardo al coinvolgimento degli HERVs nell'eziologia delle malattie del neurosviluppo,
abbiamo valutato l'espressione di diverse famiglie HERV in un altro disturbo neurologico, la
sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), caratterizzata da disattenzione,
iperattività ed impulsività. Così come l’autismo, anche la ADHD ha una eziologia
multifattoriale ed un’importante componente genetica, tanto da essere considerata il risultato
di una complessa interazione tra fattori ambientali, biologici e genetici.
In questo studio abbiamo dimostrato che nei linfomonociti di pazienti ADHD, HERV-H è
significativamente più espresso, rispetto ai controlli sani e che tale iper-espressione è correlata
con i sintomi di disattenzione e iperattività. Tali risultati suggeriscono quindi il
coinvolgimento degli HERVs nell’eziologia anche di tale patologia, rappresentando
probabilmente l’anello di congiunzione tra geni ed ambiente, e suggerendo il loro potenziale
utilizzo sia come biomarcatori che come target terapeutici della malattia.
202
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
ATTIVITA’ ANTIVIRALE DEL MIELE DI CASTAGNO DELL’ ETNA
B. Bisignano, R. Timpanaro, C. Bonaccorso, E. Lissandrello, A. Garozzo, G. Tempera.
Dipartimento di Scienze Bio-Mediche, Università degli Studi di Catania
L’uso del miele come rimedio naturale è noto nella medicina tradizionale e recentemente ha
suscitato un notevole interesse nella medicina moderna soprattutto per l’attività antimicrobica,
antiossidante e antitumorale.
Il miele di castagno è stato studiato per le sue spiccate proprietà biologiche e terapeutiche, in
particolare, è utilizzato sin dall’antichità per il trattamento di patologie dell’ apparato
respiratorio e della pelle come eczema, psoriasi, ulcere, etc.
Numerosi studi in letteratura riportano un’elevata attività antimicrobica del miele nei
confronti di numerosi agenti patogeni, quali batteri aerobi e anaerobi, funghi, lieviti e virus.
In questo lavoro è stata studiata l’attività antivirale in vitro del miele di castagno prodotto
dall’azienda etnea "Casa del miele" di Zafferana Etnea (CT) nei confronti di RNA virus
(Polio 1, Influenza A H1N1, Echo 9, Coxsackie B4) e DNA virus (Adeno 2, Adeno 5, HSV-1,
HSV-2, CMV) mediante il test d’inibizione diretta del numero delle placche.
Gli esperimenti effettuati mediante aggiunta del campione durante il ciclo replicativo dei virus
in esame hanno dimostrato attività inibente nei confronti di HSV-1.
Sono stati condotti, inoltre, esperimenti atti a dimostrare un effetto neutralizzante degli estratti
nei confronti dei virus in esame. Gli esperimenti di virucidia hanno evidenziato un’attività
virucida dose e tempo dipendente nei confronti di HSV-1 e influenza A H1N1.
In particolare, nei confronti del virus dell’Influenza A H1N1 si è osservato un maggiore
effetto neutralizzante, con una riduzione del 100% del titolo virale fino alla concentrazione di
0.3 % p/v.
Ulteriori studi saranno necessari per individuare i principi attivi contenuti nel miele di
castagno responsabili di tale attività.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
203
Poster
ATTIVITA’ ANTIVIRALE DI DERIVATI CATECOLICI DI
NUOVA SINTESI
R. Timpanaro1, B. Bisignano1, A. Garozzo1, R.Saladino2, L. Nencioni3, G. Tempera1.
1
Dipartimento di Scienze Bio-mediche, Università degli Studi di Catania
2
Dipartimento di Agrobiologia ed Agrochimica, Università della Tuscia, Viterbo.
3
Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Università Sapienza di Roma.
I composti a nucleo catecolico sono noti in letteratura per la loro attività antiossidante e
antimicrobica ad ampio spettro. Studi recenti riguardanti l’attività antivirale di composti a
struttura catecolica hanno fornito lo spunto per lo studio di nove nuovi derivati catecolici
sintetizzati in maniera selettiva attraverso una biocatalisi, ottenendo dei prodotti con una resa
elevata.
Lo studio dell’attività antivirale in vitro è stato condotto nei confronti di RNA virus (Polio 1,
Coxsackie B3, Echo 9) e DNA virus (Adeno 2, Adeno 5, HSV-1, HSV-2, CMV) mediante il
test d’inibizione diretta del numero delle placche.
I risultati ottenuti dimostrano che HSV-1, HSV-2, CMV e Coxsackie B3 sono maggiormente
sensibili all’azione di alcuni derivati catecolici della nuova serie ad una concentrazione
inferiore alla dose citotossica.
In particolare il composto più attivo ha presentato un indice terapeutico pari a 5 nei confronti
di HSV-1, pari a 2.5 nei confronti di HSV-2, pari a 4 nei confronti di CMV e di 3.75 nei
confronti del Coxsackie B3.
Nessuna attività antivirale è stata osservata nei confronti degli altri virus testati.
Ulteriori studi sono in corso allo scopo di studiare il meccanismo d’azione dei derivati attivi.
Questo studio è stato condotto nell’ambito del progetto PON 01_01802 dal titolo “Sviluppo di
molecole capaci di modulare vie metaboliche intracellulari redox-sensibili per la prevenzione
e la cura di patologie infettive, tumorali, neurodegenerative e loro delivery mediante
piattaforme nanotecnologiche”.
204
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Poster
INFEZIONI RESPIRATORIE VIRALI ACUTE: DIAGNOSI MEDIANTE
METODICHE TRADIZIONALI E MOLECOLARI
V. Prete, R. Martucci, L. Romano, G. Delogu, M. Sanguinetti, R. Santangelo.
Istituto di Microbiologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Le infezioni respiratorie virali acute interessano sia le alte che le basse vie e sono associate ad
una significativa morbidità e mortalità. L’incidenza dell’infezione è stagionale, invernoprimavera, e può essere determinata da diversi tipi di virus con caratteristiche differenti. Tra
questi troviamo: Virus Influenzali A e B, Virus Parainfluenzali, Rhinovirus, Coronavirus,
Adenovirus, Virus Respiratorio Sinciziale e virus di recente scoperta quali Metapneumovirus
e Bocavirus e tutti possono determinare una sintomatologia simile.
Obiettivo di questo studio è stato quello di valutare, mediante sistemi diagnostici tradizionali
e molecolari, le infezioni multiple ad esordio acuto sostenute da virus respiratori.
Sono stati analizzati 120 campioni di essudati nasofaringei, di pazienti che presentavano
sintomi di infezione respiratoria acuta afferenti al Policlinico “A. Gemelli” di Roma. Tutti i
120 campioni sono stati saggiati mediante due metodiche molecolari (FilmArray Respiratory
Panel e Anyplex II RV16 Detection), saggi di immunofluorescenza diretta ed esame colturale.
Con le metodiche molecolari sono risultati positivi il 54% dei campioni. La maggiore
positività è stata riscontrata per il Virus Influenzale (43,2%) seguita da quella per i Virus
Parainfluenzali (38.0%), i Rhinovirus (20,4 %), per il Virus Respiratorio Sinciziale (17.0%);
percentuali minori sono state riscontrate per gli Adenovirirus (7,2%), i Coronavirus (2,4%), i
Metapneumovirus (1,2%) e Enterovirus (1,2%). Questi risultati suggerivano la presenza di
infezioni virale multiple. Infatti, il Virus dell’Influenza era associato ai Virus Parainfluenzali
nel 14.0 % dei casi, ai Rhinovirus nel 5,4% al Virus Respiratorio Sinciziale nel 4,9%;
percentuali minori sono state riscontrate per l’associazione con gli Adenovirus (2.0 %) e i
Coronavirus (1,5%). In un solo paziente è stata riscontrata la coinfezione da
Metapneumovirus ed Enterovirus. L’esame colturale è risultato positivo per la crescita di un
unico virus nel 52% dei casi mentre l’esame diretto nel 40% dei casi.
Si può concludere che mediante i saggi molecolari, in tutti i campioni analizzati è stato
possibile determinare la presenza delle eventuali infezioni respiratorie multiple. Quindi si può
affermare che tali saggi si sono dimostrati un valido strumento per una diagnosi veloce e
accurata anche in caso di confezioni virali respiratorie.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
205
Poster
INTERAZIONI TRA VIBRIONI E PLANCTON NELLE ACQUE
COSTIERE DEL MAR LIGURE.
Schito A.M.1, Vezzulli L.2, Debbia E.1, Pruzzo C.2, e Schito G.C.1.
Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Diagnostiche Integrate 1, Dipartimento di Scienze
della Terra, dell’Ambiente e della Vita2, Università di Genova.
I vibrioni sono batteri marini che comprendono specie innocue e potenzialmente patogene per
l’uomo e gli animali. Questi microorganismi sono capaci di persistere nelle acque costiere per
lunghi periodi di tempo anche quando le condizioni non sono favorevoli al loro sviluppo
grazie all’attivazione di diverse strategie di sopravvivenza (e.g., trasformazione in forme vitali
ma non coltivabili, formazione di biofilm su substrati biotici e abiotici). In particolare, i
vibrioni sono in grado di aderire all’esoscheletro chitinoso dello zooplancton e di
moltiplicarsi su questo substrato raggiungendo concentrazioni più elevate di quelle
riscontrabili nella colonna d’acqua circostante. Per comprendere meglio il rapporto tra
vibrioni e plancton, è stata monitorata per un periodo di 18 mesi (giugno 2011 – dicembre
2012) la concentrazione dei vibrioni coltivabili, a vita libera e associati al plancton (frazione
dimensionale da 63 a 200 μm e frazione dimensionale > 200 μm) nelle acque costiere liguri. I
campioni raccolti mensilmente sono stati seminati su terreno di coltura TCBS e le colonie
sviluppatesi sono state identificate mediante saggi coltura dipendenti e/o molecolari (PCR). I
cambiamenti stagionali nella concentrazione totale di Vibrio spp. sono stati messi in relazione
con le variazioni dei parametri chimico-fisici delle acque (e.g., temperatura, salinità).
Vibrioni, prevalentemente appartenenti alla specie Vibrio alginolyticus, sono stati isolati sia
dalle acque che dai campioni di plancton da giugno a novembre 2011 e da marzo a novembre
2012. Le concentrazioni dei vibrioni coltivabili si sono mostrate in forte relazione con la
temperatura delle acque. I campioni negativi all’analisi colturale (dicembre 2011 – febbraio
2012) sono stati analizzati per la presenza di vibrioni mediante PCR con primer generespecifici. Uno dei campioni di plancton di dimensioni > 200 μm e tutti quelli della frazione
dimensionale compresa tra 63 e 200 μm sono risultati positivi. Questi risultati confermano il
ruolo del plancton quale serbatoio di vibrioni e sostengono la necessità di utilizzare saggi
coltura indipendenti per la valutazione corretta della qualità microbiologica delle acque.
206
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Indice degli Autori
41° Congresso Nazionale
Indice degli Autori
Alberta A.
Aleandri M.
Aleo A.
Alessandrini F.
Alfano S.
Alfarano A.
Alifano P.
Allizond V.
Allocati N.
Alvisi G.
Amato T.
Amatore D.
Amberkar S.
Ambrosi C.
Andreoni S.
Angiolella L.
Angius F.
Annunziata. M.
Anticoli S.
Antonelli G.
Anzivino . E.
Apostoli P.
Aquilano K.
Aquilina G.
Arcangeletti M.C.
189
144 , 146 , 176
132
38
168
164
111 , 174
11 , 44 , 125 , 126 , 164 , 169
114
34
132
180 , 182
34
55 , 80
116
14
188
120
175
74 , 75 , 85
185 , 186 , 191
8
182
148
68 , 69 , 70 , 71 , 76 , 77 ,
87 , 88 , 91 , 92 , 98 , 110 , 184
Archibusacci C.
161
Ardizzoni A.
107
Argenziano M.
126
Artini M.
55 , 56 , 57 , 109
Arvia R.
89 , 90
Aulicino A.
173
Auriemma P.P.
122
Azzi A.
89 , 90 , 97
Baffone W.
118
Baffoni M.
106
Bagnarelli P.
20
Baiocchini A.
93
Baldelli S.
182
Baldi M.T.
58
Balestrieri E.
40 , 190 , 202
Balistreri M.
195
Balsano C.
78
Banche G.
11 , 44 , 125 , 126 , 164 , 169
Barnini S.
113
Bartenschlager R. 34
Bartolini G.
192
Bartoloni A.
189
Bartolozzi D.
189
Basileo M.
192
Basta D.
43
Batetta B.
188
Batoni G.
115 , 173
Bavestrello M.
127
Bawadekar M.
73
Belardo G.
197
Belingheri M.
95
Bellizzi A.
179 , 185 , 186 , 191
Beninati C.
107
Bergallo M.
164
208
Berlutti F.
Bernaschi P.
Berrilli F.
Berto E.
Bertoni S.
Bessa L.
Bianchini C.
Biggiogera M.
Biolatti M.
Bisignano B.
Bisignano C.
Bisignano G.
Bistolfi A.
Blanco A.
Blandino G.
Blasi E.
Boffano M.
Boldorini R.
Bonaccorso C.
Bonafè M.
Bonfanti C.
Bonura C.
Bonura F.
Bonura L.
Borghi E.
Borgogna C.
Borraccino A.
Borriello F.
Bracco P.
Braidotti P.
Brenciani A.
Brettar I.
Broccolo F.
Bua A.
Bucci M.
Bugli F.
Buglia G.L.
Buommino E.
Buonaugurio M.L.
Buonsenso D.
Busetti M.
Buttrini M.
Cabibi D.
Cacaci M.
Cacciotti G.
Caccuri F.
Cacioni M.
Caggiano G.
Cagno V.
Calà C.
Calà C.
Calconi A.
Calderaro A.
Caleca M.P.
Calia C.
Caltagirone M.
Camassa S.
Camilleri S.
Camilloni B
30
62 , 134
151
82
38
106
192
60
72 , 73 , 193
203 , 204
64 , 143
12 , 61
125
61
123
26 , 67 , 107
125
35
123 , 203
38
117
63 , 132 , 148 , 149 , 150
37 , 86 , 195 , 196
37
45 , 60 , 67
35 , 193
58
121
125
45
133 , 152
128
99
104
85
49
80 , 200
121
74
141
54
70 , 92 , 110
199
49
74
8 , 43
145
170
83 , 84
63
149 , 150
80
68 , 69 , 70 , 71 , 76 , 77 86 ,
87 , 88 , 91 , 92 , 98 , 110 , 184
199
170
138
139 , 140
63 , 149
192
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Indice degli Autori
Cammarota G.
Campa M.
Campagna P.
Campana R.
Campanella C.
Campanile F.
Caneparo V.
Canesi L.
Cannarella D.
Cannas S.
Cannella F.
Cantiello A.
Canzoneri G.
Capitani D.
Capobianchi M.R.
Capolongo C.
Capra G.
Caputo A.
Careddu A.M.L.
Cariani L.
Carillo S.
Carletti M.
Carlucci G.
Carluccio S.
Carretto E.
Carta S.
Caruso A.
Casamassimi A.
Cascio A.
Cascioferro A.
Casella P.
Castaldo F.
Castiglia P.
Castiglione G.
Catania M.R.
Cavallari E.N.
Cavalli R.
Cavallo M.
Cavallo R.
Ceccarelli C.
Ceccherini Nelli L.
Cecchetti C.
Cecchi D.
Celestino I.
Cellini A.
Cellini L.
Cenciarelli O.
Cento V.
Ceresa C.
Cesarini A.
Checconi P.
Chezzi C.
Chiaramonte R.
Ciandrini E.
Cicatiello A.G.
Ciccosanti F.
Cimino A.
Cinco M.
Cioccolo S.
23
113 , 115 , 173
11
118
191
47
193
127
195
105
75
121 , 194
195
191
93
170
199
82
158 , 159
158
56
134
114
95
131
197
8 , 43 , 117
136
37 , 196
139
138
136
159
58 , 100
108
85
83 , 126
116
187
38
94 , 99
134
82
175 , 176 , 178 , 180 , 200
55 , 57 , 109
106
197
96
116
145
176 , 200
68 , 69 , 70 , 71 , 76 , 87 , 88 ,
91 , 92 , 98 , 110 , 184
132 , 148
118
111 , 174
79
125
54
191 , 185
Ciotoli L.
Ciotti M.
Cirasola D.
Ciriolo M.R.
Ciuffini L.
Ciurnella E.
Civitelli L.
Civra A.
Clausi V.
Coccia M.
Cocco E.
Cocuzza C.E.
Colasanti M.
Colavita F.
Colicchio R.
Collino N.
Colomba C.
Colombari B.
Colombo E.
Colone M.
Coluccio P.
Colwell R.R.
Comanducci A.
Congiu A.
Conte AL.
Conte M.P.
Conti A.
Conti B.
Corcioli F.
Coretti L.
Corsaro M.
Cossu D.
Costa C.
Costanzo C.M.
Cotugno S.
Craxı` A.
Cricca M.
Cringoli G.
Crocetta V.
Cubeddu M.
Cucchiara S.
Cuffini A.M.
Cuntrò M.
D’Agati E.
D’Alfonso P.
D’Angelo C.
D’Angelo R.
D’Armiento F.
D’Errico V.
D’Ettorre G.
D’Inzeo T.
D’Oriano V.
D'Alfonso R.
Dallari S.
D'Argenio P.
De Andrea M.
De Carolis E.
De Conto F.
55
96
45 , 60
182
198
145
182 , 200
83 , 84
97
198
165 , 166
66 , 158 , 159
124
79
111 , 136 , 174
125
37 , 148 , 196
67 , 107
35
173
178 , 181
128
146
112
144
144 , 146 , 147 , 176
100
78
89 , 90
52 , 172
56
165 , 166 , 167
187
100
75
201
38
168
129 , 130 , 131
104
177 , 185
11 , 44 , 125 , 126 , 164 , 169
132
202
141
195
138
136
122
85
160
122
151
95
134
35 , 72 , 73 , 193
162 , 163
68 , 69 , 70 , 71 , 76 , 77 , 87 ,
88 , 91 , 92 , 98 , 110 , 184
De Francesco M.A. 117
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
209
Indice degli Autori
De Grazia S.
de Koening M.
De Leo A.
De Maio F.
De Martino L.
De Nicola S.
De Spirito M.
Del Bianco S.
del Grosso A.
Delbue S.
Dell’Anna M.L.
Dell’Anna T.
Dell’Oste V.
Della Pepa M.E.
Dell'Anna M.L.
Debbia E.
Delogu D.
Delogu G.
Delogu M.
Denboba A.A.
Destro F.
Di Bernardo F.
Di Bonaventura G.
Di Campli E.
Di Cave D.
Di Cicco M.
Di Florio V.
Di Franco M.
Di Giulio M.
Di Gregorio V.
Di Ilio C.
Di Luca D.
Di Luca M.C.
Di Marco V.
Di Martino S.
Di Nardo G.
Di Nauta A.
Di Sante G.
Di Trapani L.
Distefano S.
Donalisio M.
Donelli G.
Donnarumma G.
Doorbar J.
Elia F.
Ensoli B.
Epifano I.
Esin S.
Esposito M.
Fabiana C.
Fabiani B.
Fabiani M.
Facinelli B.
Fadda G.
Falasca F.
Fantoni M.
Fasciana T.
Fasciana T.M.A.
Fasciana T.M.G.
Favalli C.
210
37 , 86 , 91 , 195 , 196
35
79
137 , 140
121 , 194
129 , 130 , 131
137 , 139 , 140
159
81
95
71
159
72 , 73 , 193
168
69
206
104
137 , 139 , 140 , 141 , 205
18
40 , 202
82
37 , 196
46 , 129 130 131
106
25 , 151
81
160
195 , 196
106
147
114
7
62 , 134
201
122
177 , 185
187
139
150
132
83 , 84
53
52 , 121 , 171 , 172
35
95
82
159
115 , 173
108
189
113
74
135 , 152
139 , 141
85
161
63 , 148 , 149 , 150
132
149
78
Fazii P.
Fazio S.
Fazzi A.
Federica P.
Federici S.
Felici F.
Fernandes P.
Ferraglia F.
Ferrante M.
Ferrante P.
Ferraresso M.
Ferrari F.
Ferraro D.
Ferruti P.
Filocamo A.
Fimia G.M.
Finamore E.
Finessi V.
Fiorentini S.
Fiori B.
Fiorito F.
Fiscarelli E.
Fischl W.
Focosi D.
Fogli M.
Folgore A.
Fontana C.
Fracchia L.
Franchina C.
Francia A.
Frau J.
Fraulo M.
Freer G.
Frezza C.
Frioni A.
Fumarola L.
Fuochi V.
Furneri P.M.
Fusco A.
Fusetti L.
Gabrielli E.
Gagliardi A.
Galdiero M.
Galdiero M.
Galimberti V.
Gallamini M.
Gallerani E.
Galletti P.
Gallucci L.
Garaci E.
Gariglio M.
Garozzo A.
Gatta D.
Gatti D.
Gavioli R.
Gennaro R.
Genovese C.
Germini D.
Gherardi G.
106
99
87
189
118
107
117
98
158
6 , 95
95
185
201
84
64 , 143
79
168
82
8 , 43
160
121 , 194
129 , 130
34
94
8
122
31
116
100
185
165 , 166
74
99
190
30
170
153
29 , 65 , 153 , 154 , 156
171 , 172
99
59
147 , 177
168 , 183
168 , 183
60
112
82
158
38
40 , 175 , 176 , 178 , 180 , 181
182 , 202
35 , 72 , 73 , 193
155 , 203 , 204
129
72 , 73
82
129
56 , 57 , 154 , 156 , 157
68 , 77 , 88
129 , 134
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Indice degli Autori
Gherlone E.F.
Ghio L.
Ghiraldi E.
Giacomini D.
Giagulli C.
Giammanco A.
Giammanco G.M.
Giani T.
Giannecchini S.
Giannelli V.
Giaquinto A.
Giard J.C.
Giofrè S.
Giorgio A.
Giovanetti E.
Giovannelli I.
Giovannelli L.
Giribaldi G.
Giuliano L.
Giurdanella F.
Goldoni P.
Goletti D.
Gorrini C.
Graffeo R.
Grande C.
Grelli S.
Grimaldi E.
Grisolia V.
Gualdieri L.
Guarnieri S.
Guerra P.
Guerriero S.
Gugliesi F.
Gui D.
Guida F.
Guida. L.
Guiot C.
Hamprecht F.
Hartke A.
Höfle Manfred G.
Ianniello D.
Iantomasi R.
Iaria M.
Iebba V.
Imbriani A.
Immordino R.
Incoronato N.
Ingianni A.
Innelli F.
Inturri R.
Iorio A.M.
Iovane G.
Iovino F.
Iula D.V.
Kaderali L.
Kenno S.
Khadjavi A.
Kiani N.A.
La Cagnina S.
La Ferrera G.
28
95
58
158
8 , 43
63 , 132 , 148 , 149 , 150
37 , 86 , 91 , 195 , 196
160
97
147
160
49
143
72
133 , 142 , 152
97
199
126
100
195
146
141
69 , 70 , 71 , 110
161
127 , 128
78 , 190
172
136
168
130 , 131
184
170
72 , 73
161
129
120
126
34
49
128
168
137
8
55 , 80 , 147 , 151 , 177 , 179
58
148
183
188
48
123 , 157
192
194
122
108
34
59
126
34
195
149
La Frazia S.
Labonia F.
Lai M.
Landini M.
Landini M.M.
Landolfo S.
Lanfredini S.
Lembo D.
Leonardi A.
Lepanto MS.
Licata G.
Limongi D.
Lionetti R.
Lissandrello E.
Lo Cigno I.
Lo Giudice A.
Locatelli M.
Longhi C.
Losacco A.
Luciano E.
Lucignano B.
Macchi B.
Macera L.
Madeo M.
Magalini S.
Maggi F.
Magi G.
Magnetto C.
Maida P.
Maisetta G.
Mameli G.
Mammina C.
Manca Bitti M.L.
Manca L.
Mancini C.
Mancini N.
Mancuso R.
Mandalari G.
Mandras N.
Manetta T.
Manganaro M.
Manganelli R.
Mangione R.
Mannina L.
Manservigi R.
Mantovani S.
Marano F.
Marazzato M.
Marcheggiano A.
Marcocci M.E.
Marconi P.C.
Mardirossian M.
Marfè G.
Marini F.
Marino A.
Marino-Merlo F.
Marotta A.
Marra E.
Marrollo R.
Marrosu M.G.
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
197 , 198
136
81
35
193
72 , 73 , 193
35
83 , 84
65
144
99
179 , 181 , 182
93
56 , 57 , 154 , 156 , 157 , 203
72 , 73 , 193
155
114
144 , 146 , 176
119 , 120
59
134
190
94
158 , 159
161
94
135
126
85
115
165 , 166 , 167
132
167
107
186
39
122
64 , 143
11 , 44 , 126 , 164 , 169
164
63 , 149
137 , 139 , 140
195
191
82
187
195
144 , 146
177
200
82
129
194
191
61
190
58
44 , 169
131
165 , 166
211
Indice degli Autori
Marschall M.
Martella V.
Martini C.
Martora F.
Martorana D.
Martucci R.
Masala S.
Mascarella C.
Massacesi L.
Mastino A.
Mastrantonio P.
Mastroianni C.
Mastrojeni S.
Masucci L.
Masulli M.
Matteoli B.
Matteucci C.
Mattia E.
Maulucci G.
Mazzola. N.
Medici C.
Medici M.C.
Mencacci A.
Menculini G.
Menzo S.
Merli M.
Merlini L.
Mezza E.
Michaud L.
Michelucci A.
Midulla F.
Migliavacca R.
Miglio U.
Mignogna E.
Milardi G.
Minerva M.
Mingoia M.
Minosse C.
Minutolo A.
Mirandola P.
Mitterhofer A.P.
Molicotti P.
Monari C.
Mondello F.
Monno R.
Montanari P.
Montecchini S.
Montroni I.
Morace G.
Moretti A.
Morici E.
Morreale. M.
Mosci P.
Motta F.
Musella F.
Musso T.
Musumeci R.
Napoli C.
Nardelli E.
212
73
86 , 91
49
183
88
205
165 , 166 , 167
149
97
190
21
22
157
161
114
99
40 , 202
79
137 , 139 , 140
120
115
68 , 69 , 70 , 71 , 76 , 77 , 86 ,
87 , 88 , 91 , 92 , 98 , 110 , 184
145
192
93
147
145
136
155
81
74
138
35
183
74
137 , 139
133 , 142 , 152
93
78
68 , 77
186
13 , 104 , 105
145
10
170
164
69 , 70 , 71 , 98 , 110
38
15 , 45 , 60 , 67
145
142
185
59
92
131
169
66 , 158 , 159
136
145
Natalizi T.
Navarra A.
Navarra M.
Neglia R.G.
Nencioni L.
Nicoletti M.
Nicoletti V.
Nicoli F.
Nicolosi D.
Nizza S.
Nocerino M.
Nostro A.
Nucleo E.
Oggioni D.
Oliveri S.
Orsi C.F.
Paba P.
Padron J.
Pagani E.
Pagani. L.
Pagliarulo C.
Pagliuca C.
Pagnini U.
Palamara A.T.
Palermo C.I.
Palermo I.
Palermo M.
Palma S.
Palmieri C.
Palmieri V.
Palombi F.
Palù G.
Palucci I.
Panella S.
Pantanella F.
Paoletti F.
Paoletti I.
Papa R.
Parisi A.
Paroni Sterbini F.
Parrilli E.
Pasini A.
Passariello C.
Pasta M.M.
Pastore G.
Peppoloni S.
Perdoni F.
Perfetto B.
Pericolini E.
Pericolini E.
Perito S.
Perno C.F.
Persichini T.
Peruch M.
Petix V.
Petrelli D.
Petrelli D.
Petronio G.P.
30
138
64
67
55 , 175 , 176 , 178, 179 , 180
181 , 182 , 185 , 200 , 204
55 , 80
151
82
123 , 157
121
52
12 , 61
138
158
58
67
96
124
95
138
111
111 , 136 , 174
194
175 , 176 , 178 , 179 , 180 ,
181, 182 , 185 , 200
100
149
195
109
133 , 135 , 152
137 , 139 , 140
146
34
137 , 139 , 140 , 160
176 , 200
30 , 55
85
52 , 171 , 172
56 , 57 , 109
121
49
56
202
55
199
111 , 174
107
45 , 60
171
41
59
59
96
124
54
54
62
134
65 , 153 , 154 , 156
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
Indice degli Autori
Petruzzelli S.
Pezzati E.
Pezzati E.
Piacentini S.
Piana A.
Piazza A.
Picascia A.
Piccinelli G.
Piccinini S.
Piccoli E.
Piccolo G.
Piccolo L.A.
Piemonte M.
Pierangeli A.
Piergianni M.
Piersigilli G.
Pierucci F.
Pietropaolo V.
Pifferi M.
Pignatello R.
Pinardi F.
Pioppo M.
Piras E.
Piras M.
Pirovano C.
Pistello M.
Pistoia D.
Pitarresi G.L.
Pitzianti M.
Poenisch M.
Polimeni A.
Pollicita M.
Pompei R.
Pompili M.
Pompilio A.
Posteraro B.
Posteraro P.
Pozzi G.
Prato M.
Prato O.O.
Prenna M.
Prete V.
Preti S.
Prigitano A.
Privitera A.
Pruzzo C.
Puglisi G.
Pulcrano G.
Quaglino D.
Quaranta P.
Quattrucci S.
Quint K.
Rai M.
Ranucci E.
Rapini N.
Recine N.
Reid P.C.
Repetto A.
Repice A.
Ria F.
112
127 , 128
128
198
159
138
136
117
167
113
69 , 70 , 71 , 98 , 110
121
168
74 , 75
70 , 98 , 110
125
89 , 90
179 , 185 , 186 , 191
81
65
98
145
188
81
159
9 , 81 , 94
195
150
202
34
28
96
112 , 188
55
129 , 130 , 131
49 , 162 , 163
163
48 , 174
126
155
62 , 134
205
98
19
58
127 , 128 , 206
65
108
67
81
55
35
183
84
167
75
128
62 , 145
97
139
Ricci M.L.
16
Ricci R.
161
Ricci S.
107 , 174
Riccioli A.
146
Rinaldi L.
168
Rincé A.
49
Rinnone S.
195
Ripa S.
62 , 134
Rittà M.
187
Riva A.
60
Rizzo A.
119 , 120
Rizzo G.
164
Roana J.
44 , 126 , 164
Rodighiero I.
68 , 77 , 88 , 92
Rodio. D.M.
185 , 186 , 191
Romagnoli S.
45
Romano Carratelli C. 119 , 120
Romano L.
205
Romeo A.
58
Rosaria A.
189
Roscetto E.
108
Rossano F.
108
Rossi A.
198
Rossi M.
27
Rossi S.
69 , 70 , 71 , 110
Rossignol J.F.
197
Rossolini G.M.
160
Ruggeri A.
163
Ruggeri M.
105
Ruggieri A.
175
Ruozi B.
65
Russo L.
183
Russo R.
100
Saladino R.
204
Salerio F.A.
159
Sali M.
137 , 139 , 140 , 141
Salvatore P.
111 , 136 , 174
Samuelli M.
95
Sanguinetti M.
49 , 137 , 139 , 140 , 141 ,
160 , 161 , 162 , 163 , 205
Sannino F.
56
Santangelo F.
55 , 147 , 151 , 177
Santangelo R.
160 , 205
Santi M.
94
Santini D.
38
Santini M.G.
189
Santoro F.
48
Santoro M.G.
197 , 198
Saporito L.
86 , 195 , 196
Savini C.
38
Savini V.
131
Scagnolari C.
36 , 74 , 75
Scalas D.
11 , 126 , 164
Scalia G.
100
Scarpellini E.
78
Scarpulla G.
63 , 149
Schippa S.
55 , 144 , 147 , 151 , 176 ,
177 , 179
Schito A.M.
206
Schito G.C.
206
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
213
Indice degli Autori
Scoarughi G.L.
109
Scocchi M.
129
Scondotto S.
195
Scoppettuolo G.
160
Scozzoli M.
11
Scribano D.
80
Scrivo. R.
185
Scutera S.
169
Sechi L.A.
165 , 166 , 167
Selan L.
55 , 56 , 57 , 109
Selvaggi C.
74 , 75
Serror P.
49
Sgarbanti R.
180 , 181 , 182 , 200
Sicurella M.
82
Sidoti F.
187
Signorelli P.
60
Signorini L.
95
Signorino G.
42
Simonetti G.
176 , 200
Sinatra F.
123
Sinesi F.
187
Sinibaldi Vallebona P. 40 , 202
Sobolev A.P.
191
Sofia V.
100
Sola C.
132
Sommer C.
34
Sommese L.
136
Soriano A.A.
108
Sorrentino C.
122
Sorrentino R.
40 , 202
Sottile D.
150
Spadafora C.
40
Spalla M.
138
Spanu T.
160
Spataro F.
61
Speziale P.
107
Spolitu S.
188
Stagnaro L.
127
Stauder M.
127 , 128
Stentella P.
75
Stimoli F.
58
Stivala A.
123 , 155
Stoeck I.K.
34
Stratta P.
35
Stringaro A.
173
Sudano Roccaro A. 61
Taffurelli M.
38
Tagliaferri E.
99
Tantillo E.
81
Tempera G.
123 , 153 , 154 , 155 , 156 ,
203 , 204
Teri A.
158
Tetè S.
28
Teti G.
107
133
Tiberi E.
Ticozzi R.
95
Tili E.
133 , 142
Tilotta M.
56 , 57 , 109
Timpanaro R.
203 , 204
Tinti F.
186
214
Torelli R.
49 , 162 , 163
Torri D.
76
Tosi D.
45
Totino V.
55 , 144 , 147 , 151 , 177
Tovo P.A.
164
Tozzi P.
192
Trancassini M.
55
Tripolino O.
85
Trovato L.
58
Tufano M.A.
121 , 171
Tullio V.
11 , 44 , 126 , 164 , 169
Tummolo F.
86 , 87 , 91 , 184
Turrini P.
124
Turriziani O.
24 , 85
Tutino M.L.
56
Uda S.
188
Umbro I.
186
Urone N.
201
Usai D.
105
Vaccaro L.
162 , 163
Valenti P.
30
Valentini P.
141
Valesini G.
185
Vallino M.
73
Varaldo P.E.
53 , 133 , 135 , 142 , 152
Vecchiarelli A.
59 , 145
Vella A.
162 , 163
Verginelli F.
130
Vezzulli L.
17 , 127 , 128 , 206
Virruso R.
148 , 150
Visco Comandini U. 93
Viscomi C.
78
Vitali L.A.
62 , 134
Vitiello M.
183
Viviano E.M.R.
199
Volpi I.
82
Vrenna G.
57
Vuotto C.
53
Zagaglia C.
80
Zanetti S.
104 , 105
Zappacosta R.
129
Zara F.
138
Zavattaro E.
35
Zumbo A.
140
41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Microbiologia
ELITechGroup
E L I T E C H
I TA L I A