HEARTLINE HSM Genoa Cardiology Meeting

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HEARTLINE HSM Genoa Cardiology Meeting
HEARTLINE BOOK
HEARTLINE
HSM Genoa
Cardiology
Meeting
Genova, Hotel NH Marina
21/22 Ottobre 2011
IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino
IST - Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro
Largo Rosanna Benzi, 10 16132 GENOVA
Perché Heartline
Genoa Cardiology Meeting 2011
Sono lieto di dare il più cordiale benvenuto a tutti i partecipanti ad Heartline 2011.
In un mondo sempre più globalizzato e dinamico basta un click per far conoscere avanzamenti scientifici e tecnologici. Le difficoltà nascono quando si tratta di portare le innovazioni nel mondo reale, quando si deve interagire con le realtà locali, le Istituzioni, le Regioni,
gli Ospedali, quando si fanno i conti con le risorse disponibili.
Perchè questo Meeting? Per riflettere sui propri dati e discutere in un contesto macroregionale le innovazioni della Cardiologia: solo l’interazione tra Professionisti, Direzioni Aziendali e Decisori Pubblici può farci progredire.
In questa prima edizione di Heartline sono al centro della attenzione l’Infarto Miocardico
Acuto (STEMI) e l’Impianto Transcatetere di protesi Valvolare Aortica (TAVI).
Verranno presentate e discusse le esperienze della Rete per l’Infarto di diverse Regioni ed
il Protocollo della Regione Liguria per la gestione dello STEMI.
E’ possibile riparare il danno cellulare provocato dall’infarto stimolando le Cellule Staminali con la somministrazione in acuto di Citochine? La comunità scientifica italiana approfondirà presupposti e prospettive di questa avvincente tematica e presenterà per la prima
volta un trial randomizzato con endpoint clinici.
Riguardo all’impianto transcatetere di bioprotesi aortica si confronteranno i successi, i
dubbi ed i problemi sollevati da una metodica che in brevissimo tempo ha rivoluzionato le
frontiere della Cardiologia.
Il Meeting è dedicato a chi non si accontenta, a chi vuole crescere nelle conoscenze e migliorare la qualità delle cure, a chi persegue obiettivi di Salute Pubblica, a chi ha la responsabilità di scelte programmatiche ed amministrative, agli Specialisti di grande
esperienza, agli Specialisti più giovani, a chi sta completando il percorso di formazione.
Per tutti la crescita esige l’apertura degli orizzonti, il coraggio delle scelte, la determinazione
a renderle operative.
Francesco Chiarella
Direttore S.C. Cardiologia IRCCS AOU San Martino IST. Genova
Infarto Miocardico Acuto Esteso:
c’è bisogno di nuove terapie?
Stefano De Servi
Dipartimento Cardiovascolare, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano
La riperfusione dell’infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) con angioplastica
primaria (PPCI ) rappresenta la modalità più ampiamente utilizzata sia in Europa che in Italia. L’utilizzo di agenti fibrinolitici ha insegnato che il tempo è una variabile molto importante: più precoce l’intervento farmacologico infatti e più ridotta risulta l’area infartuale
finale, essendo quindi migliore l’esito della terapia. Anche per quanto riguarda la PPCI vale
sostanzialmente lo stesso principio, sintetizzato dallo slogan “the earlier the better”. Tuttavia esistono segnalazioni della letteratura che mostrano come l’esito di PPCI tardive ottengano risultati clinici superiori rispetto a quelli ottenuti con la fibrinolisi. Infatti il vantaggio
offerto dalla riperfusione meccanica in termini prognostici sulla trombolisi si amplifica a
mano a mano che il tempo di ischemia si allunga. Dati del gruppo di Monaco inoltre evidenziano come l’area di miocardio salvato dalla PPCI possa essere molto ampia, anche se
la riperfusione meccanica viene effettuata alcune ore dopo l’insorgenza dei sintomi.
L’estensione finale dell’area necrotica è quella che determina l’entità della disfunzione ventricolare sinistra ed in ultima analisi la prognosi a distanza del singolo paziente. E’ evidente
che più estesa è l’area a rischio, maggiore deve essere il salvataggio di miocardio ottenuto
dalla tecnica riperfusiva . In questa ottica, la tempestività dell’intervento può giocare un
ruolo rilevante.
In questa presentazione abbiamo voluto verificare l’interrelazione tra ampiezza dell’area a
rischio, ritardo riperfusivo e mortalità a 0 giorni in pazienti con STEMI inclusi nel registro
LOMBARDIMA, che ha arruolato 901 pazienti che negli anni 200 e 2006 sono stati trattati con PPCI.
Un tempo di ischemia inferiore ai 180’ ( gruppo 1 ) e’ stato osservato nel 0% dei pazienti,
mentre il 60% aveva un ritardo superiore a 180’ ( gruppo 2 ) . I due gruppi differivano per
età, prevalenza di sesso femminile e diabete, tutte caratteristiche più frequenti nel gruppo
2. I pazienti con accesso tardivo inoltre si presentavano direttamente all’ospedale o, più frequentemente, si recavano presso centri spoke. Globalmente i pazienti del gruppo 2 avevano un TIMI Risk Index più elevato rispetto ai pazienti del gruppo 1 e una minore
riperfusione efficace (valutata come percentuale di riduzione del sopraslivellamento del
tratto ST dopo PPCI ).
La mortalità a 0 gg era significativamente maggiore nel gruppo 2 (6%) che nel gruppo 1
(.1%). Particolarmente elevata risultava la mortalità nei pazienti con infarto anteriore (7.6%
nel gruppo 2 vs .% nel gruppo 1), ma sussisteva differenza di mortalità anche nei pazienti con infarto a sede non anteriore (.7% vs 2%). Particolarmente ampia risultava la dif-
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ferenza di mortalità a favore di un trattamento precoce nei pazienti con ampia area di rischio all’ingresso: infatti quando lo STEMI interessava > derivazioni la mortalità risultava
del .6% nel gruppo 1 e del 12% nel gruppo 2.
Anche nei pazienti a rischio clinico elevato la mortalità a 0 giorni risultava più alta se il
tempo di ischemia era superiore a 180’: nei pazienti ultrasettantacinquenni essa era del
9.2% nel gruppo 1 e del 1.% nel gruppo 2 . Minore era la differenza, ma pur sempre presente, nei pazienti più giovani (2.1% vs .8%). Anche nei pazienti con TIMI Risk Index più
elevato, la mortalità risultava dell’8.% nel gruppo 1 e del 12% nel gruppo 2.
Questi dati evidenziano il diverso outcome cui vanno incontro pazienti con caratteristiche
cliniche analoghe, a seconda che la riperfusione avvenga in tempi differenti. E’ evidente che
ogni sforzo organizzativo deve essere messo in atto per ridurre i ritardi cosiddetti di sistema, cioè quelli che si verificano una volta che il paziente ha avuto il primo contatto medico. Dall’analisi della letteratura non sembra che la prognosi possa essere migliorata da
interventi farmacologici o strumentali. I farmaci che inibiscono il recettore piastrinico IIbIIIa
sono efficaci infatti solo nei pazienti che vengano riperfusi rapidamente. Il recente studio
CRISP AMI non ha inoltre mostrato un beneficio dell’uso del contropulsatore in pazienti con
infarto anteriore. In quello studio il tempo medio di ischemia era di 20’.
Studi futuri dovranno verificare se differenti approcci di trattamento, basati ad esempio
sulla terapia cellulare rigenerativa, possano migliorare la prognosi dei pazienti riperfusi
tardivamente.
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La fisiopatologia cellulare
dell’infarto miocardico acuto:
ruolo delle citochine
G. Pompilio, B. Bassetti, E . Gambini
Laboratorio di Biologia Vascolare e Medicina Rigenerativa, Centro Cardiologico Monzino
IRCCS, Milano
M.C . Capogrossi
Laboratorio di Patologia Vascolare, Istituto Dermopatico dell’Immacolata (IDI), Roma
E’ acquisizione relativamente recente che il tessuto miocardico ischemico rilasci segnali
che inducono l’aumento dei livelli circolanti di cellule provenienti dal midollo osseo e il loro
attecchimento nel miocardio ischemico. Tali segnali sono soprattutto molecole dette citochine, favorenti la mobilizzazione di cellule staminali, incluse granulocyte colony-stimulating factor (G-CSF), stem cell factor (SCF), ligando per Flt- (FL) e eritropoietina (EPO).
Shintani et al. ha dimostrato per la prima volta nell’uomo la mobilizzazione di progenitori
endoteliali dopo infarto del miocardio (IMA), correlandola con il significativo aumento dei
livelli plasmatici di vari fattori di crescita. E’ stato poi dimostrato che una tale risposta biologica sia correlata al recupero della performance ventricolare dopo infarto ed anche alla
prognosi. Questi studi hanno fornito le premesse scientifiche necessarie per i futuri tentativi di incrementare gli stimoli citochinici con lo scopo di potenziare la mobilizzazione cellulare ed il conseguente attecchimento nel miocardio.
In particolare il G-CSF è una glicoproteina di 19 kDa costituita da 17 aminoacidi e prodotta,
in risposta a vari stimoli, da cellule del midollo osseo, cellule monocito-macrofagiche, cellule endoteliali, fibroblasti e astrociti. Il recettore per G-CSF (G-CSFR) è costituito da una porzione extracellulare, un solo dominio transmembrana e uno citoplasmatico. La stimolazione
del recettore attiva il differenziamento, la proliferazione e l’attivazione funzionale dei granulociti. Benché non sia del tutto noto il meccanismo di attivazione del segnale in risposta
a G-CSF, è stato riportato un coinvolgimento di STAT, proteina di trascrizione, nei processi
di differenziamento e di proliferazione di varie sottopopolazioni di cellule derivate da midollo osseo (BMCs). G-CSF partecipa non solo alla mobilizzazione di granulociti da midollo
a sangue periferico ma anche di cellule staminali e progenitori midollari. Studi recenti in
pazienti colpiti da IMA hanno evidenziato un incremento dei livelli di progenitori cellulari e
di G-CSF endogeno nel sangue periferico, sottolineando l’importanza del ruolo di G-CSF
nelle patologie cardiache di origine ischemica.
Benché la mobilizzazione e il reclutamento di cellule midollari sia alla base del meccanismo di
azione di G-CSF nei confronti del miocardio ischemico, recenti studi hanno scoperto nuovi effetti legati alla citochina nella rigenerazione miocardica e includono: inibizione dell’apoptosi, attività citoprotettiva diretta, induzione di angiogenesi e arteriogenesi ed effetti di tipo paracrino.
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Gli effetti benefici riportati in numerosi studi sono associati prevalentemente a trattamenti
con citochine combinate (G-CSF + SCF e G-CSF + FL) piuttosto che terapia con solo GCSF. Nello studio condotto da Asaki et al. il trapianto nelle zone perinfartuali di fibroblasti
cardiaci singenici trasfettati con SDF-1, in combinazione a G-CSF, ha indotto la mobilizzazione di cellule CD117+ dal midollo al miocardio e ha portato ad un miglioramento globale della funzione cardiaca. Nello studio di Kawada et al., la somministrazione del fattore
G-CSF dopo IMA ha favorito il reclutamento e differenziamento cardiomiocitario di cellule
cardiomiogeniche mobilizzate. Allo stesso modo è stato riportato, in seguito a terapia con
G-CSF, un aumento dell’infiltrazione nella zona infartuata di BMCs. Tuttavia è ancora oggetto di indagine la capacità dei progenitori midollari mobilizzati di differenziare in senso
cardiomiogenico. L’importanza del reclutamento di BMCs nelle zone infartuate è stata dimostrata ulteriormente da uno studio nel quale la somministrazione di AMD100, un inibitore di CXCR, ha portato ad una riduzione del reclutamento miocardico di cellule CXCR
derivate da midollo, abolendo così l’efficacia della terapia con G-CSF. Complessivamente,
questi risultati hanno messo in luce l’importanza che riveste l’asse SDF-1/CXCR nel mediare gli effetti della terapia con G-CSF per il reclutamento miocardico di cellule del midollo osseo.
Numerosi studi confermano la presenza del recettore G-CSFR sulla superficie di varie popolazioni residenti cardiache tra cui cardiomiociti, cellule endoteliali e cellule interstiziali.
È possibile che G-CSF eserciti un’azione citoprotettiva e proliferativa diretta sul tessuto
miocardico grazie all’attivazione, ad opera del G-CSFR, del fattore di trascrizione JAK/STAT
(vedi Fig. 1). Harada et al. hanno dimostrato in vitro la possibilità di inibire l’apoptosi di
miociti e la riduzione indotta da H2O2 di protine anti-apoptotiche come Bcl-2 grazie a trattamento con G-CSF. In topi transgenici che overesprimevano una mutazione dominante
negativa per STAT, la terapia con G-CSF, pur incrementando i livelli di c-kit+/Sca-1+ midollari nel sangue periferico, risultava inefficace nel migliorare la funzione cardiaca. In aggiunta, l’azione positiva di G-CSF dopo danno ischemico è stata dimostrata anche in
modello di cuore di Langendorff. I risultati ottenuti suggeriscono un’azione, almeno in parte,
anti-apoptotica di G-CSF attraverso la trasduzione del segnale JAK/STAT. Ulteriori evidenze
attribuiscono a G-CSF un ruolo nella modulazione delle molecole coinvolte nel ciclo cellulare (incluso p27, inibitore delle chinasi ciclino-dipendente) riducendo la fase G0 /G1 e promuovendo la proliferazione e la sopravvivenza cellulare. G-CSF ha dimostrato, in modello
di ischemia miocardica, di indurre la proliferazione di cardiomiociti di topo e di incrementare i livelli di cellule cardiache residenti Sca-1+, suggerendo un coinvolgimento della citochina nell’attivazione di progenitori cardiaci. Un effetto cardioprotettivo diretto di G-CSF
è stato riportato anche in un modello di cardiomiopatia dilatativa nel criceto. Benché non
sia stato osservato un effetto protettivo anti-apoptotico, è stato dimostrato un effetto cardioprotettivo contro la degradazione cellulare attraverso la via di trascrizione JAK/STAT, limitando la progressione dell’insufficienza cardiaca. In cuori di ratto isolati perfusi, la
somministrazione di G-CSF in fase precoce ha indotto l’attivazione del segnale Akt/eNOS,
portando ad un aumento della produzione di ossido nitrico (NO) e riduzione dell’area infartuata. Gli studi sopracitati suggeriscono come attraverso l’attivazione di numerosi segnali di sopravvivenza cellulare, G-CSF sia in grado di esercitare molteplici effetti benefici
a livello miocardico anche in assenza di mobilizzazione cellulare.
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Fig. 1
Rappresentazione
schematica dei segnali
di trasduzione attivati da
G-CSF. L’attivazione del
recettore JAK/STAT,
MAPK, e PI-K/Akt
favorisce l’inibizione
del’apoptosi, della
sopravvivenza e del
differenziamento cellulare
(Santosh K et al., Basic
Res Cardiol 2011).
Sia in modelli di piccola che di grossa taglia è stata dimostrata la capacità di G-CSF di indurre neovascolarizzazione nelle zone perinfartuali e ridurre l’apoptosi di cellule endoteliali.
In un modello di ischemia miocardica nel ratto la terapia con G-CSF protratta per giorni
ha portato ad un migliorato significativo della funzione cardiaca globale, attenuando il rimodellamento miocardico post-ischemico e incrementando il numero di capillari nelle zone
perinfartuali, in assenza tuttavia di rigenerazione in senso cardiomiocitario. Benché il meccanismo di azione sia ancora oggetto di studio, è stato riportato da Ohki e Capoccia una
stimolazione di neutrofili e monociti mediata da G-CSF in grado di promuovere la neovascolarizzazione in tessuti ischemici attraverso meccanismi di tipo paracrino. Inoltre G-CSF
mobilizza progenitori endoteliali (EPCs) i quali possono favorire l’angiogenesi e ridurre la
progressione dell’aterosclerosi. Date le capacità di G-CSF di incrementare l’espressione
di molecole di adesione e chemochine (SDF-1), è possibile che un forte aumento di cellule
CXCR+, EPCs e leucociti circolanti sia responsabile dell’incremento della vascolarizzazione evidenziata in numerosi studi a livello perinfartuale. Oltre all’angiogenesi, è possibile
che G-CSF, attraverso il coinvolgimento di molecole di adesione (ICAM-1), citochine e leucociti, stimoli anche l’arteriogenesi. A dimostrazione è stato riportato un aumento di ICAM-1,
un accumulo di leucociti e una proliferazione di cellule endoteliali e muscolari lisce in seguito a somministrazione di G-CSF in un modello di IMA.
L’infarto miocardico acuto è caratterizzato da stress ossidativo e stato infiammatorio che
influenzano il successivo rimodellamento avverso del ventricolo sinistro. In seguito ad insulto ischemico, cellule infiammatorie e miociti rilasciano citochine che agiscono nei processi di sopravvivenza, apoptosi, angiogenesi e alterazione della matrice cellulare. G-CSF
endogeno ha dimostrato di esercitare un ruolo antinfiammatorio modulando il rilascio di citochine coinvolte nell’infiammazione e nei processi di rimodellamento post-infartuale. In
particolare, è dimostrato il coinvolgimento di un recettore specifico per G-CSF a livello monocitario. Un effetto protettivo del G-CSF nei confronti dello stress ossidativo è stato ripor-
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tato in un recente studio condotto da Hou et al., nel quale il trattamento con citochina ha
portato ad una diminuzione dei livelli di mondialdeide (MDA) e un aumento dei livelli di glutatione in un modello murino di cardiotossicità indotta da doxorubicina. L’effetto antiossidante contribuisce probabilmente al miglioramento della funzionalità e dell’omeostasi
cardiaca post-infartuale. Ulteriori studi aiuteranno ad identificare quei markers e quelle
molecole coinvolte nel miglioramento dello stress ossidativo miocardico indotto da terapia
con G-CSF.
È probabile che gli effetti benefici delle citochine coinvolte nella rigenerazione miocardica
dipendano da numerose variabili, alcune ben note altre ancora in fase di studio, e che ulteriori studi preclinici e clinici siano auspicabili per determinare le potenzialità terapeutiche del trattamento con G-CSF.
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Citochine nell’infarto miocardico acuto:
dati clinici e sperimentali
Cristina Malafronte
Dipartimento Cardiologia, A.O. “Manzoni”, Lecco
L'infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) continua ad essere un problema importante di salute pubblica sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (1-2) così come l’insufficienza cardiaca post-infartuale rimane una causa importante
di morbilità e mortalità (). Anche se le nuove strategie di riperfusione precoce (angioplastica primaria) hanno ridotto significativamente i tassi iniziali di mortalità (), modesti sono
i miglioramenti registrati in termini di recupero di funzione ventricolare sinistra globale
(FE), con un aumento che va dal 2 % al % di FE sei mesi dopo uno STEMI.
L’insufficienza cardiaca dovuta a perdita del miocardio può essere trattata con due modalità: trapianto cardiaco, molto limitato dalla scarsità di donatori, ed impianto di dispositivi
di supporto cardiaco, limitato dall'alta incidenza di gravi complicanze durante l’utilizzo a
lungo termine. Così in futuro sarà necessaria la ricerca di nuove strategie per il trattamento
dei pazienti affetti da STEMI ().
Nell’ultimo decennio diversi sono i lavori pubblicati in letteratura riguardanti la mobilizzazione di cellule staminali da midollo verso sangue periferico nel setting dell’infarto acuto,
mediante la somministrazione di citochine, in particolare di granulocyte colony stimulating
factor (G-CSF)
Il G-CSF è una citochina ematopoietica prodotta dai monociti, dai fibroblasti e dalle cellule
endoteliali. Il G-CSF è riconosciuto avere funzioni molteplici nell’ematopoiesi nel soggetto
normale, nella regolazione della produzione di neutrofili e nel loro rilascio dal midollo osseo,
nella proliferazione e differenziazione delle cellule progenitrici dei neutrofili, e nella attivazione funzionale dei neutrofili (6). L'utilizzo del ricombinante umano G-CSF al giorno d'oggi
è utilizzato come opzione terapeutica per il trattamento delle malattie ematologiche. Infatti,
è utilizzato di routine per mobilizzare le cellule staminali ematopoietiche CD+ dal midollo
osseo al sangue periferico, permettendo così la loro più facile raccolta in confronto alla
procedura di aspirazione del midollo osseo. L'utilizzo di cellule staminali CD+ raccolte
utilizzando questa procedura è approvato dalla American Society for Clinical Oncology (7).
L'efficacia e la sicurezza provate di G-CSF, sia in donatori sani che in pazienti con malattia ematologica, insieme ai risultati favorevoli ottenuti dagli studi clinici e sperimentali di
mobilizzazione cellulare nell’IMA suggeriscono che tale trattamento possa ritenersi una
valida terapia aggiuntiva alla terapia standard dell’infarto acuto.
Partendo dagli studi sperimentali, uno dei primi lavori storici pubblicato nel 2001 da
P. Anversa (8), fu condotto su 1 topi, splenectomizzati, trattati con colony stimulating factor + G-CSF giorni prima e giorni dopo un infarto esteso condizionante severa disfunzione Vsx. I topi venivano poi sacrificati a 27 giorni. Evidenti sono i risultati in termini di
mortalità con una sopravvivenza all’interno del gruppo trattato pari ad oltre il 70% versus
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il 20% circa del gruppo controllo.
L’analisi delle sezioni di miocardio infartuato ha permesso di evidenziare come il trattamento di mobilizzazione abbia stimolato la rigenerazione miocardica all’interno dell’area infartuata dall’endocardio verso l’epicardio e dalla border zone verso l’interno dell’area
danneggiata. Lo studio anatomico ha permesso inoltre di visualizzare la formazione di neovasi funzionalmente competenti e connessi all’albero coronarico. Lo studio ha dimostrato
come la riparazione strutturale dell’area infartuata si traducesse in un miglioramento in
termini di rimodellamento Vsx e in termini di ripresa di funzione contrattile.
Lo studio di Harada (9), pubblicato qualche anno più tardi e condotto su conigli, dimostrò un
miglioramento in termini di funzione contrattile nel gruppo trattato, ma con un’efficacia di
trattamento dose e tempo dipendenti. In particolare i risultati migliori sono stati osservati
nel gruppo trattato precocemente e ad alte dosi.
Le evidenze più significative, in ambito clinico, sono state pubblicate dal 200 ad oggi (10-19).
Si tratta di studi relativamente piccoli che hanno arruolato complessivamente 0 Pts con
STEMI, di cui 197 trattati con G-CSF. Tra questi, due studi (12-16) hanno considerato l’arruolamento di soli infarti anteriori, infarti anteriori presenti in una percentuale di circa il 0%
nei restanti trial. La maggior parte dei protocolli prevedeva la rivascolarizzazione mediante
angioplastica primaria, due studi italiani hanno arruolato pazienti sottoposto a PCI rescue
e/o trombolisi (12,18), e un solo studio ha inserito come criterio di inclusione pazienti con
STEMI subacuto (1). Il G-CSF veniva somministrato a dosi variabili da 2. a 10 mcg/kg generalmente per giorni consecutivi e con tempi di somministrazione dalla riapertura del
vaso molto variabili, in particolare solo nel FIRSTLINE AMI i pazienti vennero trattati molto
precocemente (10,11).
Diverse furono le metodiche utilizzate per studiare il rimodellamento ventricolare, la funzione ventricolare sx e l’infarct size, in particolare pochi studi hanno utilizzato più metodiche a confronto inserendo tra queste anche la risonanza cardiaca. La FEVsx al basale risulta
pressoché conservata in molti dei trial ad eccezione degli studi di Ellis e Leone che furono
gli unici a definire un cut-off di FE all’arruolamento. In termini di safety nessuno degli studi
ha registrato percentuali di restenosi significativamente differenti tra i due gruppi.
In termini di efficacia il G-CSF si è dimostrato efficace nel migliorare la funzione Vsx al follow up solo nei due trial in cui vennero arruolati solo infarti anteriori (Takano e Rigenera) e
nel FIRSTLINE trial caratterizzato da somministrazione molto precoce di G-CSF.
In particolare il FIRSTLINE ha registrato un incremento di FE di 8 punti % rispetto al basale
con una variazione significativa del wall motion score index (WMSI) ad un anno di follow up.
Circa punti % di incremento di FE sono stati documentati da Takano, apparentemente
senza differenze statisticamente significative per quanto riguarda i volumi ma con un trend
favorevole nel gruppo trattamento per quanto riguarda il volume telesistolico.
Il RIGENERA ha dimostrato un incremento significativo di FE valutata all’eco, senza nessuna
variazione significativa del gruppo controllo. L’analisi dei volumi dimostra variazioni significative in termini di rimodellamento sfavorevole a carico del gruppo controllo con un incremento di volumi telesistolico e telediastolico di circa 20 ml al follow up.
Come spiegare la discrepanza evidente tra i risultati dei trial clinici e dei trial sperimentali
e come mai risultati così controversi emergono dagli studi clinici. La risposta a queste do-
1
mande ci viene probabilmente suggerita dalla letteratura analizzando i disegni degli studi
animali e clinici. Ricordiamo che studi sperimentali sono stati condotti su infarti omogenei
per sede, con severa disfunzione Vsx, utilizzando alte dosi di G-CSF somministrato molto
precocemente. Mentre i trial clinici sono stati condotti su infarti eterogenei per sede, rivascolarizzati con modalità e tempi differenti, con FE Vsx al basale sostanzialmente conservata, utilizzando dosi e tempi di somministrazione di G-CSF molto variabili a cui se vogliamo
possiamo aggiungere i limiti legati all’utilizzo di campioni a numerosità probabilmente non
adeguata, follow up brevi, e utilizzo di diverse metodiche per la valutazione del rimodellamento cardiaco.
Incoraggianti sono i dati suggeriti da una recente sotto-analisi pubblicata da Latif (20) nel
2008 che comprende 8 studi randomizzati, per un totale di 8 Pts arruolati, in cui si dimostra l’efficacia del trattamento di mobilizzazione nei pazienti con FE basale depressa (in
particolare minore del 0%) e con tempi di trattamento precoci (entro 7 ore dalla riapertura del vaso)Gli autori concludono la loro meta-analisi sottolineando come il G-CSF possa
essere efficace in pazienti con infarto acuto e disfunzione Vsx al basale, e quando la terapia venga somministrata precocemente.
Per quanto riguarda la safety, le meta-analisi (21) non hanno osservato nessuna differenza
significativa tra gruppo controllo e gruppo trattamento in termini di in-stent restenosis,
trombosi, re-infarti e morte.
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1
L’ecocontrastografia nello studio
di vitalità e perfusione: applicabilità
in studi con terapia cellulare
Francesco Gentile
Divisione di Cardiologia e U.T.I.C. “M.O. Triulzi”, Ospedale Bassini, Milano
Nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi studi che hanno cercato di convalidare lo studio della perfusione miocardica con metodica eco-contrastografica mediante confronto con le altre metodiche già consolidate che rappresentano il gold-standard
di riferimento.
L’ecocontrastografia miocardica per la valutazione della malattia coronarica stabile
Lo studio della perfusione miocardica mediante eco-contrastografia miocardica (ECM) può
essere effettuato sia in modo qualitativo, mediante analisi visiva della distribuzione del segnale derivato dalle microbolle presenti a livello del miocardio, sia in modo quantitativo.
Il modello di studio quantitativo della perfusione miocardica prevede la distruzione delle microbolle con impulsi ultrasonori ad elevata energia, la registrazione della loro ricomparsa
nel miocardio con imaging intermittente (se si utilizza imaging ad elevata potenza) o con
imaging continuo (imaging a bassa potenza) e la valutazione successiva della intensità del
contrasto miocardico e della velocità delle microbolle. Per ciascun segmento miocardico,
i punti di intensità nel tempo, vengono descritti da una funzione esponenziale (fig. 1) :
Y = A x (1 – e ß t)
Fig. 1
Curva
distruzione-riperfusione
dove A rappresenta il plateau di Videointensità e corrisponde al Volume di Sangue Miocardico, ß è la pendenza della curva che rappresenta la velocità di incremento della video intensità e corrisponde alla velocità delle microbolle (e quindi del microcircolo). Il Flusso di
Sangue Miocardico Regionale (MBV) è rappresentato dal prodotto “A x ß”.
16
La presenza di una stenosi di una arteria coronarica epicardica limitante il flusso, determina
una riduzione del volume di sangue miocardico nella porzione di microcircolo che si trova
distalmente alla stenosi. Durante infusione continua di mezzo di contrasto ecocardiografico, se si trasmettono impulsi ultrasonori ad elevata energia per distruggere le microbolle
e successivamente si misura la velocità di ricomparsa delle microbolle nel miocardio insonificato si osserva un ritardo della velocità delle microbolle ed una riduzione del plateau
di videointensità che esprime la riduzione del volume di sangue capillare; la riduzione di
questi due parametri rappresenta la base per la dimostrazione della cardiopatia ischemica
mediante ecocontrastografia miocardica. L’ECM valuta contemporaneamente la contrattilità regionale e la perfusione miocardia, rispetto alla sola analisi della wall motion con ecobidimensionale, migliorando in questo modo la sensibilità della metodica stessa. Numerosi
studi hanno confrontato l’accuratezza dell’ECM, per la valutazione della perfusione miocardica, in confronto alla SPECT ed all’eco-stress con dobutamina osservando una elevata
concordanza che varia dal 6 % al 92% (1-9). A sostegno della validità della metodica
ECM, vi sono anche studi di confronto dell’ECM con la metodica angiografica coronarica:
la sensibilità dell’ECM per la dimostrazione di cardiopatia ischemica varia dal 6 al 97 %,
rispetto alla SPECT che presenta una sensibilità che varia dal % al 100% (1-1).
Limiti della metodica eco-contrastografica per lo studio della perfusione: i territori di vascolarizzazione della discendente anteriore sono studiati con ECM in modo più accurato rispetto ai territori della Coronaria Destra o della Circonflessa. In base ai territori analizzati
la concordanza tra ECM e SPECT è risultata elevata (81-9 % a seconda dei ricercatori) per
il territorio della discendente anteriore, minore per la Circonflessa (72-89 %), e per il territorio della Coronaria destra (76-79 %) (1, 11,1).
Valutazione dell’area a rischio in corso di infarto miocardico acuto
La valutazione della perfusione miocardica rispetto alla semplice valutazione della wall
motion regionale è più accurata per definire l’area a rischio per la presenza di disfunzione contrattile nelle aree di miocardio rifornite dal circolo collaterale (1). Nel corso di occlusione coronarica acuta, la presenza di circolo collaterale in alcune regioni dell’area a
rischio può essere sufficiente per mantenere la vitalità, ma il flusso del sangue nel microcircolo, in queste regioni rifornite dal circolo collaterale, è più lento: questo può essere
dimostrato con metodica ECM con la dimostrazione di una ridotta velocità delle curve di
refilling delle microbolle (16).
L’ECM è anche in grado di fornire anche importanti informazioni prognostiche nel paziente
affetto da infarto miocardico per la possibilità di dimostrare la presenza ed entità del fenomeno di non reflow (fig. 2); l’estensione del fenomeno di non-reflow si correla con uno
scarso recupero della funzione ventricolare, una maggiore espansione dell’area infartuale,
un maggiore rimodellamento e dilatazione ventricolare (17, 18), una più elevata incidenza di
eventi cardiaci nel primo anno dopo l’infarto. E’ stato osservato che non sempre la presenza
di perfusione con ECM nell’area a rischio indica la ripresa di funzione contrattile (19-21): la
ripresa della contrattilità dipenderà infatti dalla estensione di necrosi a livello del miocardio subendocardico, che può essere analizzata con la metodica ECM (19,21). Le informazioni
spaziali transmurali del flusso miocardico ottenute con ECM si correlano molto bene con
quelle osservate mediante Risonanza Magnetica con Gadolinio (22). Le ricerche in corso di
17
Fig 2
Fenomeno di non-reflow
dopo procedura di
angioplastica coronarica
in corso di infarto
miocardico acuto: a
livello del miocardio
dell’apice e della parete
anteriore non sono
visualizzabili microbolle,
espressione del
fenomeno di non-reflow
imaging molecolare con ECM, permetteranno lo sviluppo di metodi di monitoraggio degli
eventi molecolari che determinano il fenomeno di non-reflow e successivamente di identificare le strategie in grado di limitarlo.
Vitalità miocardica
La presenza di vitalità miocardica sia nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica
che nei pazienti dopo un recente IMA è importante ai fini prognostici e per valutare la necessità di un intervento di rivascolarizzazione miocardica (2, 2).Comunemente il termine di
vitalità viene utilizzato per indicare la presenza di risposta contrattile durante infusione di
dobutamina a basse dosi; questo metodo si è dimostrato impreciso in quanto la dobutamina a basse dosi valuta la vitalità dei settori subendocardici, responsabili dell’ispessimento miocardico, senza considerare la vitalità dei settori medi o epicardici. Per questo
motivo negli studi che hanno utilizzato il recupero della funzione contrattile come endpoint, la metodica ECM ha dimostrato una elevata sensibilità ma una bassa specificità (2,
26): l’ECM valuta la perfusione nelle zone medie ed epicardiche che non necessariamente
contribuiranno alla ripresa della funzione contrattile ma che sono importanti per la prevenzione del rimodellamento ventricolare. E’ quindi indispensabile integrare i dati di perfusione con quelli della dobutamina a basse dosi per migliorare la sensibilità e specificità
di diagnosi di vitalità.
Potenziali applicazioni dell’ecocardiografia con contrasto durante terapia cellulare
L’imaging ultrasonoro con utilizzo di mezzi di contrasto può essere impiegato nell’ambito
della terapia cellulare con le seguenti finalità: 1) valutazione del rilascio delle cellule staminali, 2) studio della funzione ventricolare, ) perfusione miocardica e angiogenesi, ) vitalità miocardica, ) targeted imaging.
1) Rilascio delle cellule staminali
18
La metodica ultrasonora attualmente riveste un ruolo limitato nel valutare il rilascio di cellule staminali nell’organo bersaglio; altre metodiche di imaging quali la risonanza magnetica e la medicina nucleare sono state utilizzate con buoni risultati per questa finalità. Un
vantaggio dell’ecocardiografia è quello di potere essere eseguita in tempo reale al momento della iniezione delle cellule staminali. L'ecocardiografia transesofagea permette una
eccellente visualizzazione in tempo reale del miocardio e può essere eseguita al momento
del cateterismo cardiaco durante iniezione delle cellule staminali. Per tale scopo sono state
utilizzate nanoparticelle per contrassegnare cellule CD1+ iniettate nel miocardio ischemico dell’animale da esperimento(27); la metodica ecocardiografica transesofagea ha permesso la visualizzazione delle cellule impiantate nel miocardio sia durante l’iniezione che
durante il follow-up.
2) Funzione ventricolare sinistra
La maggior parte degli studi con le cellule staminali utilizzano l’ecocardiografia per la valutazione dei volumi, della massa e della frazione di eiezione del ventricolo sinistro. L'utilizzo della formula di Simpson per il calcolo dei volumi con ecocardiografia è meno
riproducibile della misurazione dei volumi mediante risonanza magnetica. L’iniezione di
microbolle per via endovenosa, aumenta la definizione del miocardio migliorando l'accuratezza e la riproducibilità dei volumi con la metodica ecocardiografica.
)Perfusione miocardica nella terapia cellulare e studio della angiogenesi
Il trapianto di cellule midollari nel cuore o la somministrazione di citochine possono essere
in grado di favorire la rigenerazione cardiaca e la induzione di nuova angiogenesi. I microvasi che si formano in seguito al trapianto di cellule midollari sono troppo piccoli per essere visualizzabili con la metodica angiografica. Per questo motivo è stata impiegata la
metodica ECM per la valutazione della angiogenesi dopo terapia cellulare. Nell’animale da
esperimento, è stata osservata una correlazione tra l’intensità di contrasto miocardico e la
densità capillare osservata all’esame istologico a livello miocardico, confermando come la
metodica ECM possa essere una metodica promettente nell’ambito della ricerca clinica
della terapia cellulare (28).
)Vitalità miocardica
La valutazione della vitalità miocardica e quindi della integrità del microcircolo, effettuata
mediante ECM, è importante nel determinare la prognosi del paziente e stratificare il paziente in previsione di terapia cellulare.
)Targeted Imaging
Il “Targeted Imaging” rimane un'area di ricerca molto interessante che utilizza differenti modalità per identificare e visualizzare specifiche componenti tissutali con la finalità di identificare meglio le regioni miocardiche idonee per la terapia cellulare. Mentre il Targeted
Imaging non è ancora utilizzato da un punto di vista clinico, è stato dimostrato avere un
grande potenziale in studi sull'animale. Il targeted imaging può essere effettuato con ultrasuoni utilizzando microbolle dirette a markers specifici. Per esempio, alcuni tipi di microbolle si possono legare a leucociti permettendo di visualizzare l'infiammazione legata
alla lesione miocardica da riperfusione nel corso di infarto miocardico acuto. E’ stato di-
19
mostrato che il miocardio ischemico può essere visualizzato utilizzando microbolle che si
legano alla P-Selectina (29). È possibile che queste tecniche possano essere estese in futuro per permettere la visualizzazione delle cellule staminali.
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20
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21
Trial Clinici sulla Terapia Cellulare:
End Point Strumentali o Clinici?
Filippo Crea
Dipartimento di Medicina Cardiovascolare, Policlinico Universitario Sacro Cuore "Agostino
Gemelli", Università Cattolica, Roma
Negli ultimi 10 anni, dopo la dimostrazione sperimentale che il cuore non è un organo terminalmente differenziato e che la somministrazione intramiocardica di cellule staminali è
in grado di migliorare la funzione cardiaca dopo un infarto, probabilmente anche attraverso
la rigenerazione tessuto miocardico, numerosi trial clinici hanno confermato che la somministrazione intracoronarica o intramiocardica di cellule staminali di derivazione midollare,
in pazienti con infarto recente, è associata ad un miglioramento della frazione d’eiezione
(FE). Simili risultati sono stati ottenuti con la somministrazione intracoronarica di cellule staminali in pazienti con cardiomiopatia ischemica. Tre meta-analisi hanno dimostrato che il
miglioramento della FE nei pazienti trattati con cellule staminali rispetto ai pazienti non
trattati è del -%. Il numero di pazienti arruolato in questi trial non raggiunge la potenza
statistica necessaria per stabilire se il miglioramento della FE si traduce in un miglioramento
della sopravvivenza. Tuttavia, esso è simile a quello osservato nei grandi trial che hanno valutato i beta-bloccanti e gli antagonisti del sistema renina-angiotensina in pazienti con
scompenso cardiaco: in questi trial che avevano una potenza statistica sufficiente per valutare end point clinici, il miglioramento della FE era, in effetti, associato ad una riduzione
della mortalità.
Queste considerazioni lasciano sospettare che l’utilizzazione di cellule staminali in pazienti
con scompenso cardiaco possa non solo migliorare la FE, ma anche la sopravvivenza. Tuttavia è ovvio che la correttezza di questa estrapolazione può solo essere dimostrata da un
trial di grandi dimensioni con end point clinici. Gli end point strumentali sono molto utili per
stabilire l’opportunità di un trial clinico di grandi dimensioni. Infatti, se un intervento terapeutico non li migliora, un trial clinico di grandi dimensioni è probabilmente inutile. Se invece un intervento terapeutico li migliora diventa opportuno un trial clinico di grandi
dimensioni per verificare se questo miglioramento si trasla in un una riduzione di end point
clinici. L’esperienza recente con il Torcetrapib che migliora in maniera spettacolare il profilo lipidico ma aumenta la mortalità è un esempio, certamente non l’unico, che dimostra
la necessità di operare questa verifica.
22
STEM AMI OUTCOME:
razionale e protocollo.
STem cElls Mobilization in Acute Myocardial Infarction OUTCOME
Trial: STEM-AMI OUTCOME Trial
Felice Achilli,
U.O.C. Cardiologia A.O. “Manzoni”, Lecco
Il precedente studio di fase II, multicentrico, placebo-controllo (STEM-AMI trial), ha dimostrato
che la somministrazione precoce di alte dosi di G-CSF può attenuare il rimodellamento sfavorevole a 6 mesi in pazienti con infarto miocardico acuto (STEMI) anteriore esteso, sottoposti ad
angioplastica primaria (PCI) tra 2-12 ore e con evidenza di disfunzione ventricolare sinistra
(frazione di eiezione dopo riperfusione < %). Sessanta pazienti consecutivi con STEMI anteriore, sottoposti a PCI primaria sono stati randomizzati a G-CSF mcg/kg b.i.d. sottocute
(n° 0) o placebo (n° 0) iniettato entro 12 h dalla riperfusione per giorni consecutivi. E’ stato
valutato come end-point primario l’incremento a 6 mesi del % di frazione d’eiezione (FE) misurata alla risonanza magnetica (RMN) e come end point co-primario un incremento di volume telediastolico (EDV) ≥ 20 mL. Sono state effettuate, inoltre,una stima dell’area di necrosi
con metodica late gadolinium enhancement (LGE) alla RMN e una valutazione della perfusione
miocardica con 99mTechnetium Sestamibi single-photon emission computed tomography
(SPECT). A 6 mesi nel gruppo placebo è stato dimostrato un incremento dei volumi telediastolici e telesistolici ventricolari sx (81.7 + 2. vs 9. + 26.0 mL/m2, p=0.0000 e
.2 + 20.0 vs .2 + 2.8 mL/m2, p=0.016) mentre non è stata osservata nessuna differenza
significativa nel gruppo G-CSF (82.2 + 20. vs 8.7 + 2.7 mL/m2, p=0.0 e 6.0 + 18.2
vs 8.+20.8 mL/m2, p=0.8). Nessuna differenza significativa è stata misurata in termini di
FE e perfusione in entrambi i gruppi. Una significativa riduzione del numero di segmenti
con necrosi transmurale (LGE > 7%) è stata osservata a 6 mesi solo nel gruppo G-CSF
(.8 + 2.9 vs . + 2.6, p=0.0). Un maggior numero di pazienti nel gruppo placebo vs controllo ha mostrato un incremento significativo di EDV al di sopra del valore mediano (9. mL/m2)
quando riperfusi oltre i 180 min (valore mediano time-to-reperfusion) (p=0.012).
La mobilizzazione di cellule staminali da midollo a sangue periferico, mediante somministrazione di G-CSF, potrebbe quindi modificare il substrato biologico del miocardio infartuato
con una riduzione dell’area di necrosi ed una conseguente attenuazione del rimodellamento inverso migliorando la prognosi del paziente.
Sulla base di questi risultatati abbiamo proposto uno studio nazionale, multicentrico, randomizzato, placebo-controllo di fase III (STEM AMI OUTCOME).
Obiettivo dello studio è quello di dimostrare che la terapia con G-CSF in aggiunta alla terapia standard dell’IMA è sicura ed efficace nel migliorare significativamente l’outcome
clinico nei pazienti con disfunzione Vsx (FE≤%) dopo riperfusione efficace in corso di infarto miocardio acuto anteriore esteso.
Lo studio prevede l’arruolamento di 1200 pazienti con infarto miocardico acuto anteriore esteso
sottoposti ad angioplastica primaria tra -2 ore e con evidenza di disfunzione ventricolare si-
2
nistra dopo riperfusione efficace. I pazienti verranno randomizzati 1:1 a gruppo trattamento o
gruppo controllo (600 pazienti per gruppo). Granulocyte colony-stimulating factor (Lenograstim) µ/kg o placebo verrà somministrato sottocute b.i.d. per 6 giorni (dal giorno 0 al giorno
), entro 12 ore dalla rivascolarizzazione. Il gruppo placebo riceverà soluzione salina. Una conta
di globuli bianchi > 0.000/mm verrà considerato il cut-off per l’interruzione del trattamento.
Criteri di inclusione:
1. Approvazione del paziente mediante consenso informato
2. Uomini e donne di età ≥ 18 anni e ≤ 7 anniì
. Pazienti affetti da STEMI anteriore sottoposti a PCI primaria (time symptom-toreperfusion > h and < 2 h) o PCI rescue con evidenza di occlusione coronarica
. Evidenza di disfunzione Vsx (2-D Echocardiography FE ≤%) misurata entro 12 ore
dalla rivascolarizzazione
. TIMI flow > 1 post PCI
Criteri di esclusione:
1. Pregresso infarto miocardico anteriore
2. Pregressa documentazione di disfunzione ventricolare sinistra
. Pregressa o attuale documentazione di leucemia, malattie mieloproliferative
. Pregressa o attuale documentazione di malattie neoplastiche
. Pregressa o attuale documentazione di patologie autoimmuni
6. Documentazione di concomitanti gravi patologie (non cardiache) non adeguatamente
controllate
7. Aspettativa di vita < 6 mesi
8. Pregresso intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante by-pass aorto-coronarico (CABG) o angioplastica nei 6 mesi precedenti.
9. Pazienti con evidenza angiografica di stenosi coronariche non trattabili mediante PCI
ma candidati a CABG
10. Conta piastrinica < 0.000/mm
11. Hb < 10 g%
12. Documentato abuso di alcool e/o droghe
1. Scarsa compliance
End point primari
1. morte o
2. recidiva di infarto miocardico o
. ospedalizzazione per scompenso cardiaco.
End point secondari
1. morte cardiovascolare (scompenso/morte improvvisa)
2. necessità di rivascolarizzazione coronarica urgente per insorgenza di ischemia dopo la dimissione
. stroke fatale/non fatale
. trapianto cardiaco o necessità di VAD
. livelli sierici di pro-BNP alla randomizzazione, 6 12 e 2 mesi
2
Endpoint di sicurezza
1. incidenza e severità delle complicanze emorragiche
2. variazione di parametri ematochimici (WBC, RBC, HT, HB, PLT, CREA, UREA, CRP, AST,
ALT, CK, TNI alla dimissione e a 6-12-2 mesi)
Lo studio prevede un disegno per gruppi sequenziale con un’analisi ad interim ed un’analisi finale
e una rivalutazione della numerosità del campione ad interim.All’analisi ad interim lo studio potrà
essere precocemente interrotto se dimostrata l’efficacia del trattamento, altrimenti lo studio verrà
proseguito e il numero degli eventi necessari verrà ricalcolato ed eventualmente modificato.
L’incidenza di eventi a 2 anni in questa popolazione di malati è stimata essere circa il 20%
nel gruppo controllo. Lo scopo dello studio è dimostrare una riduzione di incidenza di eventi
nel gruppo trattamento. Si considera rilevante una riduzione di eventi del 0% a 2 anni.
Questo corrisponde ad un’incidenza di eventi del 1%. La numerosità del campione per
l’analisi finale è stata calcolata considerando un’incidenza di eventi del 20% nei controlli
e del 1% nel gruppo trattamento.
E’ inoltre contemplata la possibilità che l’effetto del trattamento sia maggiore di quello stimato per calcolare il sample size. E’ stata quindi pianificata un’analisi ad interim. Per questa analisi è stata stimata un’incidenza di eventi dell’8% nel gruppo trattamento.
Bibliografia
1. Achilli F, Malafronte C, Lenatti L, Gentile F, Dadone V, Gibelli G, Maggiolini S, Squadroni L, Di Leo C, Burba I, Pesce M, Mircoli
L, Capogrossi MC, Di Lelio A, Camisasca P, Morabito A, Colombo G, Pompilio G. Granulocyte colony-stimulating factor attenuates
left ventricular remodelling after acute anterior STEMI: results of the single-blind, randomized, placebo-controlled multicentre
STem cEll Mobilization in Acute Myocardial Infarction (STEM-AMI) Trial. Eur J Heart Failure (2010) 12, 1111–1121
2. Chronic Heart Failure in the Adult: ACC/AHA Practice Guidelines for Evaluation and Management. JACC 2001; 8: 2101-1.
. Guidelines for the diagnosis and treatment of chronic heart failure: executive summary (update 200). Eur Heart Journal
200;26:111-0
. Management of acute myocardial infarction in patients presenting with persistent ST-segment elevation. European Heart
Journal (2008) 29, 2909–29
2
“Apical Ballooning Syndrome”:
casistica della Cardiologia
San Martino di Genova.
Alberto Valbusa
Cardiologia IRCCS AOU San Martino - IST Genova
La sindrome di Tako-Tsubo nota anche come “Apical Ballooning Syndrome” (ABS) è stata descritta per la prima volta da Sato et al in Giappone nel 1990 (1). Da allora sono apparse in letteratura numerose segnalazioni in diversi paesi in tutto il mondo. Nella lingua giapponese, il
“Tako-Tsubo” è uno strumento utilizzato dai pescatori del luogo per catturare i polpi, ed è caratterizzato da un fondo di aspetto “balloniforme” e da un collo ristretto ( Fig. 1). Il termine “TakoTsubo like Syndrome” deriva appunto dalla straordinaria somiglianza in fase acuta, del ventricolo
sinistro in telesistole con il vaso da polpi stesso (Fig. 2). Il quadro d’esordio della ABS mima generalmente quello di una sindrome coronarica acuta, con comparsa di dolore toracico e/o equivalenti anginosi come sintomi d’esordio, generalmente scatenati da uno stress emotivo e/o
fisico intenso; modificazioni ECG de novo a tipo sopra ST o sotto ST o T negative ; minimo rilascio enzimatico; circolo coronarico indenne da lesioni critiche. La disfunzione ventricolare sinistra acuta all’ecocardiogramma e alla ventricolografia sinistra ha il classico aspetto di
ballonizzazione apicale più o meno estesa, con normo-ipercinesia dei segmenti basali (2). L’evoluzione elettrocardiografica è contraddistinta da QT lungo e T giganti negative diffuse, nelle successive 2-72 h. Tipico è il completo recupero funzionale del ventricolo sinistro a breve medio
termine, in assenza del quale non è possibile fare diagnosi. La prognosi generalmente è benigna, superata la fase acuta. La prevalenza è nel sesso femminile, in età post-menopausale ().
La casistica complessiva di S. Martino comprende n=8 pazienti (pz) ABS di cui 2 pz valutati retrospettivamente (anni 2001-2006) e pz valutati prospetticamente (anni 2006-2011)
con follow-up medio di 6.2 ± . mesi (max 121 mesi; minimo 0 mesi).
Per quanto riguarda la casistica retrospettiva abbiamo rivalutato le cartelle cliniche e la relativa documentazione angiografica di 22 pz ricoverati nel nostro reparto dal gennaio 2001
Fig. 1
Tako-Tsubo strumento
utilizzato dai pescatori
giapponesi per la pesca
dei polpi.
Fig. 2
Immagine TC del
ventricolo sinistro in
telesistole, notare la
somiglianza con il
Tako-Tsubo in Fig. 1
26
al gennaio 2006 con diagnosi di Sindrome Coronarica Acuta (117 STEMI e 109 NSTEMI).
Tra questi abbiamo identificato 12 pz con albero coronarico indenne da lesioni critiche alla
valutazione angiografica. I pz che non presentavano il tipico aspetto di “Apical Ballooning” alla
ventricolografia e/o Ecocardiografia sono stati esclusi (100/12 pazienti). I restanti 2 pz che
rappresentano circa l’1% di tutti i pz ricoverati per Sindrome Coronarica Acuta nel nostro reparto tra il 2001 e il 2006 sono stati riconosciuti come ABS ed inclusi nello studio. Di questi
sono stati raccolti retrospettivamente i dati anamnestici, i dati clinici di presentazione e le relative complicanze, il quadro ECG, ecocardiografico, angiografico e i valori di troponina I (cTnI)
al picco. Tutti i pz hanno eseguito follow-up clinico ed ecografico prospettico ().
Dei pz raccolti in maniera prospettica abbiamo valutato i dati anamnestici, i dati clinici di presentazione, le relative complicanze, il quadro ECG, ecocardiografico, angiografico, i valori cTn I al picco, la terapia alla dimissione, il follow-up ecografico alla dimissione,
ad 1--6-12 mesi o comunque fino alla normalizzazione. Trascorsi i primi 12 mesi tutti i
pz sono stati ricontattati annualmente per follow-up telefonici periodici.
Dei 8 pz complessivi ABS, 7/8 (12%) maschi e 1/8 (88%) femmine, di età media
72.6± 10.6 anni.
I principali fattori di rischio cardiovascolare sono riportati in Tabella 1, il quadro ECG in fase
acuta è elencato nella Fig. . 1/8 (.%) pz descrivevano uno stress emotivo come scatenante l’evento acuto, 17/8 (29.%) uno stress fisico, mentre 10/8 (17.2%) non riconoscevano alcun evento stressante. Il picco di cTnI medio è stato di .±7. ug/l. La FE valutata
in fase acuta era di 2.1 ± 8.9% con un parziale recupero già alla dimissione 0.1±10.%.
7/8 pz presentavano un’insufficienza mitralica almeno moderata (12%); 11/8 pz (19%)
presentavano un’ ipertensione polmonare all’ingresso, 2/8 (%) pz presentavano ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro in fase acuta. 6/8 pz (10%) presentavano una classe
NYHA III-IV. Le principali complicanze di fase acuta sono elencate in Fig. .
Tabella 1
ABS: principali fattori di
rischio cardiovascolare
Famigliarità
Ipertensione
Diabete mellito
Dislipidemia
Fumo
Ex fumo
Menopausa
Totale pz
%
8/8
8/8
7/8
2/8
/8
1/8
8/1
1.8
6.
12.1
9.7
8.6
1.7
9.1
In particolare /8 (.1%) pz hanno sviluppato una trombosi endoventricolare sinistra, in
2 casi sintomatica per ischemia acuta periferica secondaria a cardioembolismo (Fig. ) ed
in un caso asintomatica. Tutti questi casi sono stati gestiti avviando trattamento anticoagulante orale embricato in fase acuta a trattamento antitrombotico con eparina. Nessun paziente è stato avviato a trattamento chirurgico (). 2/8 (90%) pz presentavano un quadro
tipico di Apical Ballooning mentre 6/8 pz (10%) presentavano un quadro di Ballonizzazione Medio-Ventricolare, in altre casistiche è riportato in circa il 17% (). Nessun paziente
presentava un quadro di “Reverse Ballooning” o “Ballooning Biventricolare”. Le terapie
prescritte in dimissione sono elencate in Tabella 2.
27
Fig. 3
ABS: ECG di presentazione
in fase acuta
Fig. 4
ABS: Complicanze in fase
acuta di ricovero
Fig. 5
ABS: Trombosi
endoventricolare sinistra
stratificata (A) con
successiva evoluzione a
trombosi mobile flottante
ad alto rischio emboligeno
dopo recupero della cinesi
apicale (B).
A
B
28
Tabella 2
ABS: Farmaci
alla dimissione
Farmaco alla dimissione
ASA
Bbloccanti
ACE inibitori
Ca antagonisti
Diuretici
Statine
Clopidogrel
Nitroderivati
Warfarin
Numero pazienti (tot 58)
%
8
2
10
10
1
18
7
82.8
7.9
72.
17.2
17.2
70.7
1
12.1
0.
Il follow-up medio è di 6.2 ± . mesi (max 121 mesi; minimo 0 mesi). 2 pz sono stati persi
al follow-up. Dei restanti 6 pz, 12 (21.%) hanno completato un follow-up di piu’ di 70 mesi,
22 pz (.9%) di 6 mesi, 8 pz (67.9%) di piu’ di 1 anno. Al follow-up medio la mortalità complessiva per tutte le cause è stata dell’8.9% (/6 pz). La mortalità intraospedaliera è stata
dell’1.8% (1/6, pz con ABS e ictus cerebrale ischemico deceduto per aggravamento delle complicanze neurologiche preesistenti). Dei restanti pz, 1 pz è deceduto ad un anno da ABS (complicanze ipopitituarismo e sepsi), 2 pz sono deceduti a 2 anni (rispettivamente per sclerosi
multipla ed emorragia cerebrale post caduta accidentale), 1 pz è deceduto a 6 anni per verosimile
neoplasia non meglio precisata.La mortalità è probabilmente correlata all’età dei pz (7.8 ± .2 anni
dei pz deceduti vs 72.6± 10.6 anni della casistica complessiva) e alle comorbidità.
Per quanto concerne gli eventi cardiovascolari al follow-up, /6 pz (.%) hanno presentato una recidiva di ABS, indipendentemente dal trattamento in corso, 1.7% in altre casistiche (6); 2/6 pz (.%) hanno avuto un ricovero per cardioversione di fibrillazione atriale,
6/6 pz (10.7%) hanno avuto un ricovero per altre cause o un accesso in DEA per dolore
toracico ad accertamenti cardiologici negativi. In tutti i pz si è assistito ad un recupero funzionale completo con FE media di 60 ± %.
In conclusione ad un follow-up medio di 6.2 ± . mesi (max 121 mesi; minimo 0 mesi)
la mortalità totale per ABS è stata del 8.9%, la mortalità intraospedaliera è stata del 1.8%.
.% dei pz ha sviluppato una recidiva indipendentemente dal trattamento in corso. In tutti
i pazienti si è assistito ad un completo recupero funzionale con FE media di 60 ± %.
Dal 2011 insieme alla Cardiologia del Policlinico S Matteo di Pavia e dell’Ospedale Villa
Scassi di Genova abbiamo costituito un database comune, condividendo le nostre casistiche. Nel Registro sono già disponibili dati relativi a 17 pz, si tratta in termini di casistica
di uno dei data base prospettici di maggior ampiezza nel contesto nazionale. Considerando
le tre ampie casistiche unite assieme, l’esperienza dei tre centri e la numerosità dei dati
raccolti siamo ad oggi in grado di sviluppare più campi di ricerca in ambito di ABS.
Bibliografia
1) Sato H et al. Tako-Tsubo-type cardiomyopathy due to multi vessel spasm. In: Kodama K, Haze k, Hon M editors. Clinical aspect
of myocardial injury: from ischemia to heart failure. Tokyo:Kagakuhyouronsya;1990.pp6-6.
2) Tsuchihashi K et al. Transient left ventricular apical ballooning without coronary artery stenosis: a novel heart syndrome
mimicking acute myocardial infarction. J Am Coll Cardiol 2001;8:11-18
) A.Valbusa et al.“Long-term follow-up of Tako-Tsubo-like syndrome: a retrospective study of 22 cases.“J Cardiovasc Med 9:80-809.
) Michael J Seitz et al. A rare cause of Takotsubo Cardiomyopathy related Left Ventricular Apical Thrombus Requiring Surgery.
Heart, Lung and Circulation 2011 Article in press)
) Ingo Eitel et al. Clinical Characteristics and cardiovascular magnetic Resonance findings in stress (Takotsubo) Cardiomyopathy.
JAMA 2011; 06():277-286
6) Parodi G et al for the Tuscany registry of Tako-Tsubo cardiomyopathy. Natural History of tako-Tsubo cardiomyopathy. CHEST
2011; 19():887-892.
29
Lesioni Coronariche critiche
in sindromi Tako Tsubo-like
Gabriele Crimi
Dipartimento Cardiologia Ospedale Villa Scassi, Genova
La Cardiomiopatia di Tako-tsubo (TTC) è una sindrome caratterizzata da asinergie regionali della funzione ventricolare sinistra che possono simulare un infarto miocardico acuto.
Le alterazioni della cinesi nella TTC coinvolgono generalmente l’apice, le porzioni medioventricolari e sono generalmente reversibili in alcune settimane.
Nonostante l’assenza di malattia coronarica ostruttiva (>0%) sia un criterio necessario per
definire la Sindrome di Tako Tsubo, sono stati segnalati in letteratura casi sporadici in cui
le alterazioni cliniche, strumentali e il decorso appaiono del tutto sovrapponibili ai pazienti
con TTC eccetto che per la presenza di lesioni coronariche critiche (> 0%). Il territorio tributario di tali lesioni non coincide generalmente con le asinergie regionali.
I casi e i dati che presentati sono stati raccolti prospettivamente a partire dall’anno 2002
e coinvolgono attivamente tre Ospedali tra Lombardia e Liguria. L’Ospedale IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, l’Ospedale Villa Scassi e L’Ospedale San Martino di Genova.
Scopo dello studio è:
• Indentificare pazienti con TTC e lesioni coronariche critiche in una popolazione di pazienti
studiati precocemente con coronarografia
• Paragonare le due popolazioni di TTC e TTC con stenosi critiche per quanto riguarda caratteristiche di base, eventi maggiori e prognosi.
• Stabilire il ruolo patogenetico delle lesioni coronariche nelle TTC
A partire da Gennaio dell’anno 2002 abbiamo raccolto 17 pazienti consecutivi ammessi
con sintomi coronarici acuti e con i seguenti criteri di inclusione:
• Alterazioni della cinetica regionale coinvolgenti l’apice e/o le porzioni medio – ventricolari
• Alterazioni dinamiche del tratto ST o dell’onda T associate a minimo movimento enzimatico
• Angiografia coronarica e ventricolografia eseguita precocemente
• Recupero delle asinergie regionali durante il periodo di follow - up
17 pazienti sono stati divisi in tre gruppi a seconda della presenza o meno di stenosi coronariche > 0%.
Il gruppo TTC comprende 16/17 pazienti, il gruppo TTC + CAD comprende 12/17 pazienti con stenosi coronariche critiche (> 0%) o storia di pregresso infarto o rivascolarizzazione miocardica. Tutti i pazienti hanno avuto valutazioni ecocardiografiche seriate per
valutare la cinesi regionale
I pazienti con TTC + CAD sono più frequentemente di sesso maschile (2% Vs 10%,
p<0.007), mentre non vi sono differenze significative per quanto riguarda le variabili di
0
presentazione e procedurali. I pazienti con TTC + CAD hanno un decorso Ospedaliero più
complicato e una prognosi più sfavorevole (tabella 1)
Eventi maggiori
Morte (%)
Morte – scompenso cardiaco –
Trombosi – aritmie maggiori (%)
TTC (N=163)
TTC + CAD (N=12)
(2.)
(20)
7 ()
()
Tabella 1. Eventi clinici
La sindrome di Tako Tsubo non si osserva soltanto nei pazienti con coronarie normali o
malattia ostruttiva minima, ma può verificarsi anche in casi con coronaropatia ostruttiva critica (prevalenza di CAD nella Ns popolazione del 7%).
Nei casi di TTC + CAD non c’è generalmente corrispondenza tra territorio tributario della
coronaria stenotica e le alterazioni della cinesi. Questo dato suggerisce che le lesioni ostruttive siano da considerarsi degli “innocent bystander”, ma anche la presenza di un meccanismo patogenetico comune può essere considerato.
1
Infarto Miocardico Acuto:
nuovi orizzonti nella terapia
con farmaci anticoagulanti
Giuseppe Musumeci
USC Cardiologia - Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti di Bergamo
Dott. Giuseppe Musumeci
USC Cardiologia - Dipartimento Cardiovascolare
Ospedali Riuniti di Bergamo - Largo Barozzi, 1 - 24128 Bergamo
Tel 035266455 - Fax 035400491 - Mail: [email protected]
Attualmente, l’obiettivo della terapia antitrombotica nei pazienti con sindromi coronariche
acute è quello di ridurre gli eventi ischemici coronarici di tipo trombotico senza aumentare il rischio di eventi emorragici, come espresso nelle linee guida della Società Europea
di Cardiologia sulle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST (1).
Negli ultimi anni è emersa chiaramente in letteratura una stretta associazione tra eventi
emorragici e prognosi sfavorevole sia a breve che a lungo termine. Il potere prognostico
sfavorevole dei sanguinamenti ha una sua plausibilità biologica anche in quanto la comparsa di un sanguinamento potrebbe comportare la sospensione della terapia antitrombotica, con conseguente aumentato rischio di infarto miocardico, ictus e morte
cardiovascolare (2-).
La bivalirudina, inibisce in modo diretto sia la trombina legata al coagulo, sia la trombina
circolante tramite uno specifico legame bivalente al sito catalitico attivo e al sito esterno.
Questo meccanismo d’azione implica che, per produrre un effetto anticoagulante, la bivalirudina non richiede la presenza dell’antitrombina, mostrando, a differenza dell’eparina,
un’attivita’ anticoagulante piu’ stabile e indipendente dalle variazioni tra paziente e paziente dei livelli di antitrombina. La bivalirudina mostra un profilo farmacocinetico prevedibile e lineare nei pazienti sottoposti a PCI. La somministrazione e.v. di bivalirudina produce
un effetto anticoagulante immediato; il volume di distribuzione e’ ridotto, mentre la breve
emivita (2 minuti) implica che i tempi richiesti affinche’ la coagulazione ritorni alle condizioni basali siano circa pari a 1-2 ore dopo l’interruzione della sua infusione. Questa clearance rapida nel plasma fa ridurre il rischio emorragico, caratteristica che la differenzia
notevolemnte dagli altri farmaci antitrombotici (6).
I risultati dei trial pubblicati negli ultimi anni hanno evidenziato la capacità della bivalirudina di ridurre l’incidenza di eventi ischemici in misura analoga rispetto all’associazione eparina non frazionata + inibitori dei recettori piastrinici GPIIb/IIIa garantendo,
rispetto a quest’ultima associazione, una marcata e significativa riduzione dell’incidenza di eventi emorragici sia in pazienti trattati con angioplastica coronarica elettiva
sia in pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (7-9).
2
In particolar modo la riduzione dei sanguinamenti era più consistente nei pazienti ad alto
rischio e, in quest’ultimi, si associava a una riduzione significativa della mortalità a un
anno (Figura 1).
Figura 1
I risultati a un anno del
Trial Replace 2 hanno
evidenziato che nei
pazienti ad alto rischio i
benefici in termini di
sanguinamento garantiti
dalla bivalirudina a 0
giorni si sono tradotti in
una riduzione della
mortalità ad un anno
Per questa ragione, negli ultimi anni la bivalirudina è stata messa alla prova in setting di
pazienti sempre più complessi ed in particolare nei pazienti con sindromi coronariche acute
senza sopraslivellamento ST nell’ambito del Trial ACUITY e nei pazienti con sopraslivellamento del tratto ST nell’ambito del trial HORZONS AMI.
Il trial HORIZONS AMI è uno studio, prospettico, randomizzato ed in aperto, che ha arruolato .602 pazienti consecutivi con infarto miocardico associato a sopraslivellamento del
tratto ST (STEMI), ricoverati entro 12 h dall’insorgenza dei sintomi e sottoposti a PCI primaria. I pazienti sono stati randomizzati a trattamento con eparina non frazionata più inibitore della glicoproteina IIb/IIIa o a trattamento con la sola bivalirudina. I due endpoint
primari dello studio erano costituiti da sanguinamento maggiore ed eventi clinici avversi
combinati, definiti come emorragie maggiori ed eventi cardiovascolari avversi, rappresentati da morte, reinfarto, rivascolarizzazione del vaso “target” per ischemia e ictus a 0 giorni
(da qui in poi definiti come eventi clinici avversi netti). Rispetto alla terapia con eparina più
inibitore della glicoproteina IIb/IIIa, il trattamento con la sola bivalirudina ha comportato
una riduzione a 0 giorni dell’incidenza degli eventi clinici avversi netti (9.2 vs 12.1%; rischio relativo 0.76; p =0.00) in virtù di una minore incidenza di sanguinamenti maggiori
(.9 vs 8.%; rischio relativo 0.60; p <0.001). Il trattamento con la sola bivalirudina ha
comportato, inoltre, una riduzione significativa a 0 giorni dell’incidenza di morte per cause
cardiache (1.8 vs 2.9%; rischio relativo 0.62; p = 0.0) e per tutte le cause (2.1 vs .1%;
rischio relativo 0.66; p = 0.07). Tuttavia, al beneficio in termini di sanguinamento si
associava un aumento significativo di trombosi acuta dello stent, che risultava più alta
(1. vs 0.%, p=0.0002) nei pazienti trattati con bivalirudina. Emergeva, altresì, che la
trombosi dello stent era ridottta in modo significativo nei due gruppi quando i pazienti venivano pre-trattati con un bolo di eparina non frazionata (Figura 2). Inoltre, i pazienti trattati con 600 mg di clopidogrel mostravano un’incidenza molto bassa di mortalità a 0 giorni
(1.9%), indipendentemente dal trattamento aggiuntivo con bivalirudina o inbitori GPIIb/IIIa,
con una riduzione significativa dell’incidenza di trombosi sub-acuta nel sottogruppo trattato con bivalirudina (Figura ) (10-12).
Figura 2
IL Trial HORIZONS AMI ha
evidenziato che la
trombosi acuta dello stent
era ridottta in modo
significativo nei due
gruppi di trattamento
quando i pazienti
venivano pretrattati con
un bolo di eparina non
frazionata
Figura 3
Nell’ambito del Trial
HORIZONS AMI i pazienti
trattati con 600 mg di
clopidogrel mostravano
una riduzione significativa
dell’incidenza di trombosi
sub-acuta nel sottogruppo
trattato con bivalirudina
Se i dati a 0 giorni erano quindi molto incoraggianti, ancora più significativi sono risultati
quelli a lungo termine (1). Ad un anno, infatti, i pazienti trattati con bivalirudina presentavano
una riduzione del 1% della mortalità globale (.8% vs .%; HR [9%CI] = 0.69 [0.0, 0.97]
P=0.029), determinata da una riduzione della mortalità cardiaca del % (.8% vs 2.1%;
HR [9%CI] = 0.7 [0.8, 0.8] P=0.00; Figura ). Erano ovviamente mantenuti i vantaggi
in termini di sanguinamenti (9.2% vs .8% HR [9%CI] =0.61 [0.8, 0.78] P<0.0001) e in
termini di eventi clinici avversi netti (18.% vs 1.7% HR [9%CI] = 0.8 [0.71, 0.98] P=0.0)
nei pazienti trattati con bivalirudina. Non sono emerse invece differenze significative tra i due
gruppi in termini di trombosi dello stent (.2% vs .% HR [9%CI] =1.11 [0.76, 1.6] P=0.9).
Figura 4
I risultati a un anno del
Trial HORIZONS AMI
hanno evidenziato che i
pazienti trattati con
bivalirudina presentavano
una riduzione del 1%
della mortalità globale
determinata da una
riduzione della mortalità
cardiaca del %
Il follow-up angiografico a 1 mesi ha dato la possibilità di raccogliere ulteriori dati in favore
del trattamento con bivalirudina. In particolare, presso il nostro centro, che è risultato il secondo centro mondiale per numero di pazienti arruolati con il coinvolgimento di 200 pazienti,
è stato completato un sottostudio con l’ausilio della tomografia a coerenza ottica (OCT).
L’ OCT, è una tecnica di immagine intravascolare ad altissima risoluzione (10-1µm di risoluzione assiale, almeno 10 volte superiore a quella degli ultrasuoni intracoronarici - IVUS),
in grado di effettuare un’analisi quantitativa dettagliata delle coronarie. La visualizzazione
OCT dei microdettagli strutturali nelle coronarie permette di definire la struttura, la composizione e la distribuzione delle placche aterosclerotiche così come i processi di ricopertura degli stents in diversi momenti temporali dopo l’impianto. Un’altra caratteristica
peculiare dell’OCT e’ la sua elevata capacità di riconoscimento dei trombi intracoronarici.
Nel nostro centro, 117 pazienti arruolati nel Trial Horizons sono stati sottoposti a controllo
angiografico e valutazione con OCT nell’ambito del sottostudio HORIZONS OCT che ha evidenziato, tra l’altro, l’assenza di differenze significative in termini di evidenza OCT di trombi
subclinici (Figura ) tra pazienti randomizzati a bivalirudina rispetto a quelli randomizzati
a UHF+GPIIb/IIIa (2.9% vs 2.8%; p=0.) (1).
Figura 5
Alle immagini della
tomografia a coerenza
ottica (OCT) sono evidenti
dei piccoli trombi subclinici (frecce). L’analisi
OCT a 1 mesi di 117
pazienti arruolati nel Trial
Horizons ha evidenziato
l’assenza di differenze
significative in termini di
trombi subclinici tra
pazienti randomizzati a
bivalirudina rispetto a
quelli randomizzati a
UHF+GPIIb/IIIa
I dati clinici a tre anni del Trial HORIZONS AMI pubblicati sul numero del Giugno 2011, di The
Lancet hanno confermato e rafforzato i vantaggi offerti dal trattamento dei pazienti con
STEMI con la bivalirudina rispetto alla combinazione tra eparina non frazionata ed inibitore
GPIIb/IIIa già evidenti a un anno (1). Dopo anni, il trattamento con sola bivalirudina rispetto
all'eparina più un GP IIb / IIIa inibitore portato a tassi significativamente ridotto di mortalità
per qualsiasi causa (.9% vs 7.7%), la mortalità cardiaca (2.9% vs .1%; Figura 6) reinfarto
(6,2% vs 8,2%) e di emorragie maggiori non correlate alla chirurgia di bypass graft (6.9%
vs 10.%). Non ci sono state differenze significative nell'incidenza di ischemia-driven rivascolarizzazione del vaso target, trombosi da stent, infarto, o composito eventi avversi.
Figura 6
I risultati a tre anni del
Trial HORIZONS AMI
hanno evidenziato che i
pazienti trattati con
bivalirudina infatti
presentavano una
significativa riduzione
della mortalità globale
La notevole riduzione dei sanguinamenti maggiori nei primi trenta giorni garantita dalla bivalirudina si traduce in un beneficio netto in termini di mortalità sia ad uno che a due anni. Questo dato
è particolarmente importante se si considera che i criteri di inclusione ed esclusione del trial permettevano di includere pazienti ad alto rischio trombotico (tronco comune, malattia multivasale,
diabetici, classe Killip III/IV) che teoricamente potrebbero più beneficiare del trattamento con inibitori piastrinici (l’utilizzo in bail-out degli inibitori GPIIb/IIIa nel gruppo trattato con bivalirudina è
stato solo del .%). Viceversa, i pazienti ad alto rischio di sanguinamento (pazienti trattati con
terapia anticoagulante orale, severa anemia, storia di diatesi emorragica etc.) che potevano maggiormente beneficiare del trattatamento con un farmaco che riduce i sanguinamenti come la bivalirudina risultano esclusi dallo studio (Tabella 1) e questo conferisce ancora più valore ai vantaggi
garantiti dalla bivalirudina, che potrebbero essere ancora più rilevanti nel mondo reale.
Criteri di esclusione del Trial HORIZONS AMI per alto rischio di sanguinamento
• Pazienti già trattati (durante l’evento acuto in corso) con terapia trombolitica, LMWH o fondaparinux
• Terapia anticoagulante orale in atto
• Paziente con storia di diatesi emorragiche o coagulopatie note (tra cui HIT), o che rifiuta le
trasfusioni sanguigne
• Storia di massa intracerebrale, aneurisma, AVM, o ictus emorragico, ictus ischemico o TIA entro 6
mesi o ogni deficit neurologico permanente; emorragie gastriche o genitourinarie negli ultimi due
mesi, o interventi di chirurgia maggiore entro 6 settimane; conta piastrinica recente o nota
<100.000 cellule / mm o Hb <10 g / dL
• Interventi chirurgici elettivi programmati che necessitano l’interruzione della duplice terapia
antiaggregante nei successivi sei mesi
Tabella 1
6
In base a questi dati sembra emergere, quindi, una indicazione chiara a trattare i pazienti
con STEMI con bivalirudina piuttosto che con l’associazione inibitore piastrinico ed eparina
non frazionata. La recente update delle linee guida americane AHA/ACC inseriscono infatti
l’utilizzo della bivalirudina in corso di angioplastica primaria in Classe I con livello di evidenza B (16; Tabella 2). Inoltre, la ridotta incidenza di trombosi sub-acuta nei pazienti trattati con il carico di clopidogrel di 600 mg ci fa protendere verso l’indicazione a un carico
sistematico con 600 mg di clopidogrel o attualmente prasugrel 60 mg nei pazienti con
STEMI trattati con PCI primaria e bivalirudina.
Tabella 2
Linee Guida STEMI & PCI Update 2009
Classe I:
1. Dose di carico di tienopiridine nello STEMI: 600 mg clopidogrel o 60 mg Prasugrel
2. Durata del trattamento con tienopiridine dopo PCI: BMS (1 mese), DES (12 mesi)
. Terapia anticoagulante durante PCI primaria: eparina non frazionata o bivalirudina
Bibliografia
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7
Cardiopatia Ischemica:
nuovi orizzonti nella terapia
con antiaggreganti orali
Giancarlo Casolo
UO Cardiologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore (LU)
Introduzione
L’importanza della terapia antiaggregante nella malattia coronarica e nella cardiopatia
ischemica è ormai parte integrante del bagaglio terapeutico di ogni Medico. La consapevolezza che le manifestazioni cliniche e la progressione dell’aterosclerosi includono fenomeni trombotici ed in particolare il ruolo centrale delle piastrine hanno portato allo sviluppo
di farmaci sempre più potenti ed efficaci. Nelle sindromi coronariche acute (SCA) l’attivazione e l’aggregazione piastrinica giocano un ruolo fondamentale nella formazione e propagazione del trombo arterioso. Perciò le piastrine sono considerati importanti target
terapeutici ed i farmaci impiegati per modularne la funzione sono stati oggetto di una intensa ricerca farmacologia e clinica, soprattutto negli ultimi anni.
La rottura di una placca aterosclerotica o l’applicazione di stent sull’albero coronarico promuovono l’aggregazione piastrinica che viene stimolata ed amplificata da vari fattori quali
la trombina, il trombossano A2, e l’ADP. L’ADP stimola le piastrine attraverso due recettori:
il P2Y1 ed il P2Y12. Il legame dell’ADP al recettore P2Y1 stimola l’attivazione del recettore
GPIIb/IIIa che a sua volta mobilizza il calcio, promuove il cambiamento di forma delle piastrine, e l’aggregazione piastrinica transitoria. Il legame dell’ADP al recettore P2Y12 stimola
l’attivazione del recettore e promuove la degranulazione delle piastrine, la produzione di TxA
e l’aggregazione piastrinica più prolungata.
Le terapie raccomandate per controllare l’aggregazione piastrinica nelle SCA comprendono l’aspirina e gli inibitori del recettore P2Y12 quali il clopidogrel. Nella pratica questa
strategia non inibisce completamente le piastrine e di fatto esistono casi di scarsa risposta alle tienopiridine classiche (ticlopidina, clopidogrel) che si traducono in eventi clinici.
I progressi della ricerca in questo campo hanno prodotto risultati che per la loro rilevanza
sono stati imediatamente incorporati nelle Linee Guida dell’ESC 2011 per il trattamento
delle SCA.
Le Tienopiridine
Questa categoria di farmaci è quella che maggiormente è in grado di influenzare la funzione piastrinica inibendo sia l’adesione che l’aggregazione fin dalle prime fasi attraverso il legame con il recettore P2Y12. Questo legame è covalente ed irreversibile per le
tienopiridine classiche e per il più recente Prasugrel. Ciò risulta in una inibizione che
perdura per tutta la durata di vita delle piastrine. Viceversa, le tienopiridine più recenti
quali il Cangrelor ed il Ticagrelor modificano in modo reversibile il sito di legame del recettore P2Y12 determinando così una inibizione di breve durata seppure altrettanto potente ed efficace.
8
Clopidogrel
Ticlopidina e Clopidogrel , approvati per la terapia antiaggregante, sono farmaci che richiedono almeno un processo ossidativo per divenire attivi sul recettore P2Y12, loro target finale. Clopidogrel, in particolare, necessita di una metabolizzazione epatica da parte
della catena dei citocromi. Il legame con il recettore è irreversibile e richiede alcuni giorni
per avere massima efficacia. Il Clopidogrel è preferito alla ticlopidina per il suo maggior profilo di sicurezza e la maggior velocità di azione.
L’inibizione piastrinica avviene entro1-2ore dopo una dose di carico di Clopidogrel. Il livello
massimo si ottiene - ore dopo 00mg e produce una inibizione del 0% c.ca dell’attività piastrinica che si mantiene per 2 ore circa. L’inibizione cessa completamente dopo
una settimana di sospensione. L’inibizione piastrinica può essere aumentata con dosi di carico fino a 600mg; questo dosaggio consente di accorciare i tempi di inibizione (2- ore)
con un aumento dell’inibizione fino al 0-%. I pazienti soprappeso ed i diabetici mostrano una risposta subottimale al clopidogrel.
Nel CURRENT-OASIS 7 il mantenimento per una settimana del dosaggio di 10mg anziché
di 7 mg ha portato ad una significativa riduzione di trombosi dello stent e di eventi nei pazienti con SCA avviati alla PCI. Per effetto di ciò le recenti linee guida ESC per il trattamento del paziente con NSTEMI hanno ricevuto una raccomandazione IIa con livello di
evidenza B per questa indicazione.
La cosiddetta “resistenza al clopidogrel”
Si ritiene che una quota compresa i tra il 10 ed il 0% dei pazienti che assumono Clopidogrel non abbiano una efficace inibizione piastrinica quando valutata in vitro con il test dell’aggregazione con ADP. In realtà, una stima precisa della prevalenza della cosiddetta
resistenza alla terapia antipiastrinica non è possibile. Il problema principale sembra essere una univoca definizione e di un metodo di misurazione standardizzato.
Sebbene la risposta individuale al Clopidogrel possa dipendere dalla variabilità tra pazienti
nell’assorbimento del farmaco, la causa sembra essere legata a differenze genetiche nell’espressione dei numerosi geni che regolano il metabolismo del citocromo P0 (CYP0)
e nella espressione dei recettori piastrinici.
Dei tre maggiori citocromi facenti parte del sistema CYP0 epatico quello che ha ricevuto
maggior attenzione quale imputato della risposta individuale è il CYP2C19. Sono state identificate varianti fenotipiche di questo citocromo che sono associate ad una inibizione piastrinica meno efficace ed ad eventi clinici. Nelle diverse razze sono state rilevate varianti
difettose del CYP2C19 anche significative. Pertanto sono state ipotizzate variazioni anche
significative nella risposta al Clopidogrel in base all’etnia di appartenenza (minor efficacia
nei paesi asiatici e negli afro-americani rispetto ai caucasici).
Per migliorare la risposta al Clopidogrel una misura comune è quella di aumentarne la dose.Tuttavia
al momento non esistono raccomandazioni sull’impiego dei sistemi di monitoraggio della risposta
terapeutica al Clopidogrel né del loro utilizzo a seguito dell’aumento della dose. (AHA ACC 2011).
In genere l’aumento del dosaggio comporta un miglioramento dell’inibizione del recettore P2Y12
ma esistono anche notevoli differenze tra individui nell’inibizione piastrinica che si ottiene così che
diventa difficile prevedere nel singolo individuo quale sia la risposta. Nelle recenti Linee Guida della
ESC il dosaggio di mantenimento del Clopidogrel può essere individualizzato in casi selezionati
impiegando i test di funzionalità piastrinica con un livello di evidenza B, classe IIb.
9
Prasugrel
Anche il Prasugrel è un profarmaco appartenente alle tienopiridine che viene trasformato
attivamente in una molecola che lega in modo irreversibile il recettore P2Y12. Il primo passaggio metabolico avviene ad opera delle esterasi plasmatiche che danno luogo ad un tiolattone intermedio; il secondo passaggio è invece mediato dai citocromi epatici. Rispetto
al clopidogrel , il passaggio citocromico epatico è singolo (e non doppio come per il clopidogrel) e non dipende dal polimorfismo genetico né dalla interazione con altri farmaci. Ne
risulta una inibizione piastrinica più rapida e potente, ma soprattutto priva di risposte significativamente differenti tra individui.
L’inibizione piastrinica si rileva entro 1-0 minuti dalla somministrazione di 60mg di Prasugrel e si ottiene una inibizione del 60-70% entro 2- ore. Con il mantenimento a 10mg
si osserva una inibizione del 0% dell’attività piastrinica che torna a valori ormali dopo
7-10 giorni dalla sospensione della terapia. L’inibizione piastrinica è dose dipendente anche
se dosi più alte di 60mg non sono state testate. L’utilizzo della dose da carico comporta una
inibizione piastrinica più rapida e sostenuta. Con Prasugrel non si evidenzia resistenza al
trattamento ed i pazienti che non rispondono a Clopidogrel raggiungono una inibizione efficace in breve tempo dopo switch terapeutico.
Prasugrel è stato studiato in varie condizioni cliniche . Nello studio TRITON TIMI 8 Prasugrel si è dimostrato efficace, rispetto a Clopidogrel, nel ridurre gli eventi ischemici al prezzo
di un maggior rischio di emorragie nei pazienti con sindrome coronarica acuta avviati alla
PCI. Questo rischio emorragico è stato osservato maggiormente nei soggetti anziani ed in
quelli con basso peso corporeo. Il benefico aggiuntivo rispetto a Clopidogrel è stato tuttavia rilevato nei diabetici e nei pazienti con STEMI avviati alla PCI.
Come risultato, le linee guida ESC del 2011 raccomandano l’uso di Prasugrel con dose di
carico di 60mg e successivo mantenimento a 10mg nei pazienti che non assumono già inibitori P2Y12 (specie se diabetici) in cui è nota l’anatomia coronarica e sono avviati all’angioplastica sempre che non vi siano rischi di sanguinamento che mettono a rischio la vita
o altre controindicazioni .
Ticagrelor
Il Ticagrelor agisce direttamente sul recettore P2Y12 con una inibizione dell’attività piastrinica del 0-60% dopo 2 ore dalal dose di carico di 180mg. La dose di mantenimento è
di 90mg bid e mantiene il grado di inibizione per breve tempo dopo la sospensione. Rispetto
a Clopidogrel questo farmaco produce una inibizione piatrinica più precoce e più potente
e sostenuta. Inoltre, inibisce le piastrine anche nei pazienti “resistenti” al Clopidogrel con
un effetto che non dipende dal grado di inibizione raggiunto in precedenza. Il Cangrelor, è
un farmaco simile, utilizzabile per via endovenosa. L’inibizione piastrinica di Cangrelor si osserva dopo 1 minuti, lo steady state è raggiunto a 0 minuti e cessa dopo un’ora dalla sospensione della terapia.
Ticagrelor è un farmaco di grande interesse ; infatti non necessita di un passaggio epatico
prima di agire, ed è attivo fin dal suo assorbimento. Rispetto a Clopidogrel, dopo dosa di
carico, l’inibizione piastrinica inizia più precocemente, comporta una maggior inibizione
piastrinica (70-90% vs 0-60%) e cessa più rapidamente.
Nello studio PLATO, condotto in pazienti con SCA NTEMI a rischio moderato ed alto e STEMI
avviati alla PCI Ticagrelor è stato confrontato vs Clopidogrel per un anno. L’end-point pri-
0
mario composito di morte, infarto e stroke è risultato significativamente ridotto da Ticagrelor
rispetto a Clopidogrel. Anche tutti gli obiettivi secondari escluso lo stroke e la trombosi su
stent sono stati significativamente meno nel gruppo trattato con Ticagrelor. Questa maggior efficacia è stata osservata qualunque fosse la dose da carico di Clopidogrel impiegata. Tutto ciò non è stato gravato da maggiori sanguinamenti.
Nelle linee guida ESC 2011 relative ai pazienti con SCA senza STEMI Ticagrelor viene raccomandato per tutti i pazienti a rischio moderato od alto di eventi ischemici qualunque sia
il trattamento precedente e qualunque sia la strategia prevista.
Conclusioni
Nel corso degli ultimi anni è stata riconosciuta l’importanza dell’inibizione del recettore
P2Y12 piastrinico quale target chiave per la terapia antiaggregante delle sindromi coronariche acute. Il Clopidogrel, che si è andato affermando quale antiaggregante di riferimento
non è in grado di garantire in tutti i pazienti una inibizione piastrinica efficace ed il suo
semplice aumento di dosaggio non appare una strada che garantisca l’obiettivo terapeutico. Pertanto la ricerca farmacologica e clinica hanno individuato nuovi farmaci in grado
di migliorare la risposta terapeutica antiaggregante. Prasugrel e Ticagrelor sono entrati a
tutti gli effetti tra i farmaci raccomandati seppure per indicazioni diverse. Ticagrelor, nuovo
farmaco già attivo fin dal suo assorbimento, inibisce in modo reversibile il recettore P2Y12,
favorisce un’inibizione piastrinica rapida e potente, e si è dimostrato assai efficace nelle
SCA con rischio moderato ed elevato. Ticagrelor , in particolare, ha ridotto la mortalità cardiovascolare e quella per tutte le cause senza causare un aumento di mortalità per sanguinamento. Esistono differenze nel disegno degli studi dei nuovi antiaggreganti che
possono rendere difficile il confronto dei dati di mortalità .
Con la dovuta attenzione questi nuovi farmaci sono in grado di offrire una potente azione
antiaggregante e di migliorare l’outcome rispetto al trattamento con Clopidogrel.
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2
La rete per lo STEMI in Lombardia,
l’Archivio Regionale STEMI
e il Progetto Strategico
“Sindrome coronarica acuta”
Maurizio Marzegalli
U.O.C. Cardiologia - A.O. Ospedale San carlo Borromeo, Milano
In questi ultimi anni una attenzione particolare è stata dedicata in regione Lombardia alla
realizzazioni di una rete di emergenza sempre più efficacie per il trattamento dell’infarto
con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Questo è dovuto al fatto che lo STEMI richiede
interventi efficaci nel più breve tempo possibile (90-120’), e quindi era evidente che si dovesse dedicare una particolare cura nella realizzazione di reti efficienti ed efficaci in questa patologia. Ci si è resi conto che anche l’infarto senza ST sopraslivellato (NSTEMI), pur
consentendo margini di tempo più lunghi (120’-2 ore), ha un’alta mortalità che si può e
si deve combattere con una rete adeguata in linea con quanto già sperimentato per lo
STEMI. Il compito attualmente non è finito, poiché le reti richiedono continui miglioramenti
ed un attento monitoraggio nel tempo perché non ci si adagi sui risultati ottenuti.
Le linee operative regionali per la costituzione di una “Rete regionale per lo STEMI“ sono
state indicate in un Decreto Regionale N° 106 del 1-10-2009 dal titolo “Determinazioni in merito alla rete per il trattamento dei pazienti con infarto miocardico con tratto ST
sopaslivellato (STEMI)”. Le indicazioni sono quelle espresse nelle linee guida europee ed
italiane e pertanto non necessitano ulteriori chiarimenti. E’ infatti ormai un dato consolidato
che il trattamento dello STEMI si sia giovato di reti di emergenza adeguate allo scopo. Le reti
si basano sul fatto che questi pazienti vengano soccorsi tramite sistemi di emergenza (CO
118) dotati di teleECG (sia mezzi di soccorso avanzati che di base) e di defibrillatore automatico e non trasportati con mezzi privati, vengano portati in sicurezza con triage primario
ad un centro Hub cioè dotati di un laboratorio con emodinamica interventistica operativo
sulle 2 ore 7 giorni su 7. Qualora per l’autopresentazione o per l’arrivo con un mezzo di base
del 118 i pazienti giungano in un ospedale non dotato di questa opzione (centro Spoke) devono essere trasferiti in un centro hub secondo protocolli locali specifici che tengano conto
del tempo ischemico totale, della possibilità di praticare una PCI primaria entro 90-120’ altrimenti dovrebbero esser trattati localmente con farmaci fibrinolitici. La letteratura è ricca
di linee guida internazionali e nazionali che si esprimono in tal senso e di contributi che continuano a documentare come con la rete si possa ridurre la mortalità ed il danno miocardico.
In regione Lombardia il coordinamento di una rete locale è stabilito su base territoriale coincidente con quella della Centrale Operativa 118 di riferimento. Tutte le centrali rispondono alla
Azienda Regionale Emergenza Urgenza che ha attivamente partecipato alla stesura del decreto e contribuisce significativamente alla sua realizzazione. La collaborazione tra AREU ed
ospedali avviene tramite un organismo l’ACEU (area di coordinamento emergenza urgenza)
che riunisce tutti gli ospedali con pronto soccorso e la CO 118 territoriale ed è in grado di definire protocolli condivisi da tutti i partecipanti per la fase di intervento preospedaliero.
Lo stesso provvedimento stabiliva già la costituzione di un “archivio regionale” per lo STEMI
quale strumento per migliorare l’intervento in questo campo e per monitorare l’efficacia e
l’efficienza dei singoli centri e indicare i necessari cambiamenti operativi. L’archivio regionale STEMI, che raccoglie i dati di tutti i pazienti ricoverati in Lombardia per infarto miocardico con ST sopraslivellato è lo strumento innovativo di monitoraggio della efficienza ed
efficacia dell’intervento su questa patologia.
L’innovazione di questo archivio consiste nel fatto che questa raccolta dati è sostenuto direttamente dall’Assessorato Regionale Sanità con la collaborazione di tutte le Società Scientifiche Cardiologiche. Tutti gli ospedali che dimettano un paziente con una SDO classificata
come “Infarto miocardico con ST sopraslivellato” sono tenute a completare una scheda
redatta in accordo con le società scientifiche con i principali dati che consentano di ricavare gli indicatori individuati a livello internazionale come più significativi per valutare il
grado di efficienza del sistema. Fra questi sono indicatori direttamente correlati alla mortalità in questa patologia: i tempi dal primo contatto medico (sia che sia avvenuto sul territorio con una ambulanza del 118 che direttamente in ospedale) alla somministrazione
della terapia interventistica con angioplastica o farmacologica.
Molto importante è che il registro è web based ed è direttamente gestito da Lombardia Informatica all’interno del progetto di reti di patologia che la regione sta sviluppando. Questo ha consentito di correlare subito, sin dall’inizio della compilazione la scheda, con i dati
“amministrativi” già in possesso della regione, sia quelli inerenti i ricoveri pregressi e quindi
le procedure eseguite, sia quelli sul consumo di farmaci o sulle prestazioni ambulatoriali
eseguite. Anche il dato anagrafico è correlato e quindi è già possibile con questo strumento
innovativo effettuare un follow up sulla mortalità totale nei mesi successivi al ricovero, valutare i reinterventi, i ricoveri successivi e il consumo reale dei farmaci consigliati in fase
di dimissione. Il tutto garantendo l’anonimato del singolo paziente per il rispetto della privacy. Ogni ospedale può avere i propri dati sia per una propria elaborazione che per un confronto con la media degli indicatori della attività degli altri ospedali a livello regionale.
Un archivio così concepito è stato usato per la prima volta in Lombardia ed in Italia ma
sembra destinato ad un uso più estensivo sia in campo cardiologico su altre patologie della
sindrome coronarica acuta (come l’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto
ST o le sue complicanze quali lo shock cardiogeno o l’arresto cardiaco extraospedaliero)
che su altre patologie quali l’ictus cerebrale. Proprio questa patologia è la prima che sta
iniziando a percorrere la stessa strada di modalità di raccolta dati.
L’importanza di questo archivio è evidente poiché è finito il tempo dell’autoreferenzialità dei
singoli centri ed operatori ma occorre misurare l’efficienza e soprattutto l’efficacia in termini di riduzione della mortalità dell’azione dei singoli centri e del sistema di emergenza
territoriale. Con questo metodo si potrebbe ottenere un eventuale accreditamento clinico
(professionale o istituzionale). A livello della programmazione regionale poi i dati serviranno
per acquisire dati per la programmazione e per la razionalizzazione del Servizio Sanitario
Regionale (ruolo delle singole Cardiologie, ubicazione e ruolo dei Laboratori di Emodinamica)
I primi risultati parziali ricavati dalla seconda estrazione dati effettuata su 1889 pazienti dimessi tra il 1° novembre 2010 e il 0 giugno 2011 sono molto incoraggianti. I dati (tab I)
per ora confermano l’ottima organizzazione regionale che per ora ha ottenuto una elevata
percentuale di pazienti sottoposti a trattamento riperfusivo, una ridotta mortalità intraospedaliera almeno per i pazienti che sono stati dimessi dalle cardiologie e nelle UTIC.
Tab I
N° 1.889 da UTIC e/o Cardiologie
➢ 7 a. : 27% - > 80 a. : 17%
Riperfusi tot : 8 %
PCI primaria : 78 %
Fibrinolisi intraosp : % preosp : 0.16 %
Non riperfusi : 17 % (non noto .7%)
Diagnosi tardiva ,12%, emodinamica non disponibile .1%,
riperfusione spont. 21.1%, rifiuto 6.1%, comorbilità .7%, decesso 0.9%,
Mortalità intraospedaliera tot. = .2 % ;
Killip IV (.02 %) = 1. % ; ACC preosp. (.08 %) = 28.6 %
Indicatori di processo: door to balloon 7’ (mediana)
Gli altri dati sembrano indicare che 1) non sembrerebbe esservi una correlazione tra numero dei casi trattati ed efficienza del singolo centro; 2) singole cardiologie hanno importanti margini di miglioramento in efficienza; ) si possono aumentare i casi trasportati dal
118 con teleECG e ridurre gli autopresentati; ) ancora una volta per ridurre il numero dei
pazienti non riperfusi occorrerebbe ridurre il ritardo decisionale
Tutte le Società Scientifiche in varie occasioni hanno sottolineato come questa iniziativa si
inserisca nella storia e tradizione delle società lombarde che da anni hanno condotto studi
di registro sullo STEMI ma hanno ben presente la limitatezza delle informazioni ottenute e
le difficoltà incontrate. La speranza è che un registro comune integrato dalla BDA regionale
possa essere uno strumento molto più efficace.
Si è deciso peraltro di limitare i periodi di raccolta dati a due periodi di due mesi all’anno
per non sovraccaricare l’onere della immissione dati e per dare tempo ai centri di analizzare i propri dati ed apportare le modifiche organizzative necessarie. I centri aderenti sono
stati avvisati pertanto di immettere nell’archivio solo tutti i casi dimessi in ottobre e novembre 2011, poiché la prossima estrazioni avverrà entro fine anno.
In autunno si procederà anche a presentare i risultati fin qui ottenuti e ogni centro avrà i propri
dati confrontati con la media regionale per poter migliorare ulteriormente le proprie prestazioni.
Nell’ambito del “Progetto Strategico SCA” finanziato dal Ministero della Salute sono stati
elaborati dal dott. Barbieri i soli dati amministrativi degli ultimi 10 anni di regione Lombardia che hanno fatto veder anche come la mortalità per classe di età si sia costantemente
ridotta negli ultimi anni e che l’incidenza degli IMA negli ultimi anni 2009-2010 appare in
leggera diminuzione.
Costituzione di reti per lo shock cardiogeno e per i pz sopravvissuti ad arresto cardiaco
Entrambe le patologie infartuali come altre cardiopatie, quali le miocarditi o le valvulopatie, possono presentarsi o evolvere in modo drammatico con un arresto cardiaco o con
una grave instabilità emodinamica che può sfociare nello shock cardiogeno. Entrambe le
complicazioni sono ad alta mortalità e richiedono interventi integrati multidisciplinari in
centri altrettanto adeguati. Anche in questi casi l’identificazione di reti di “secondo / terzo
livello” potrebbe ridurre l’alta mortalità della fase acuta di queste complicazioni. Successivamente si potrebbero indirizzare i sopravvissuti, qualora non riescano a recuperare una
stabilità emodinamica e nei casi appropriati, verso ulteriori interventi terapeutici, ora possibili, quali il trapianto cardiaco o i VAD. In entrambi i casi quindi, i pazienti dovrebbero essere portati con triage primario o con trasferimento secondario precoce in centri adeguati
poiché questa può essere l’unica opportunità per sopravvivere. Per questo in regione Lombardia è stato costituito un Gruppo di approfondimento tecnico per realizzare una rete di
secondo livello per queste complicazioni ad alta mortalità
In sintesi le indicazioni date dalla regione sono che occorre ulteriormente ottimizzare il percorso del paziente su tutto il territorio di competenza. Elementi :
1) Portare il paziente alla riperfusione ottimale il più celermente possibile (sia PCI primaria
che, se occorre, fibrinolisi specialmente preospedaliera)
2) Identificazione di percorsi particolari per : shock cardiogeno, postarresto cardiaco, aneurismi dell’aorta toracica,…., ruolo cardiochirurgia
) Sinergia con l’AREU e sviluppo di protocolli integrati (rete per il trasporto secondario in
emergenza)
) Sinergia tra tutti i componenti della rete che superi logiche puramente aziendali e che
segua la miglior qualità per il paziente (tempi di attuazione e qualità della prestazione)
• Valutazione della situazione attuale
1. Non in tutte le aree è stata attivata una rete e/o con protocolli operativi adeguati
2. L’offerta di PCI primaria è disomogenea: in genere eccedente la domanda ma tendenzialmente disomogenea e non ben distribuita
. La fibrinolisi preospedaliera è quasi assente e sottoutilizzata quella ospedaliera
. Il trasporto “secondario in emergenza” non è organizzato in modo omogeneo ed ha in
linea di massima tempi troppo lunghi
. Non è diffusa la disponibilità della teletrasmissione dell’ECG (anche dai mezzi di base)
• Ogni progetto locale deve valutare ed esprimere i vantaggi e gli svantaggi in termine di :
1. Tempo alla riperfusione : sintomi / chiamata, chiamata / arrivo in PS, door (first medical contact)/ balloon o needle . Tempi e modalità di trasferimento Hub – Spoke ; eventuale ritrasferimento. Attivazione del fast track non condizionato dai posti letto in UTIC
2. Qualità delle prestazioni : numero di procedure per centro e per operatore , out come;
requisiti di personale e di struttura
. Costi : ottimizzazione delle risorse : reperibilità, trasferimenti, apertura operativa 2/2 ore…..
. Valorizzazione delle risorse esistenti e loro possibili integrazioni : flussi, razionalizzazione del ruolo dei centri Hub e dei centri Spoke
6
STEMI oggi
in Emilia Romagna
Pier Camillo Pavesi
UTIC Cardiologia Ospedale Maggiore Bologna
Il ruolo dell’angioplastica primaria (PCI) nel trattamento dell’IMA con sopraslivellamento di
ST (STEMI) ha cambiato lo scenario organizzativo delle UTIC.
L’esigenza di trattare il maggior numero di pazienti con STEMI con PCI primaria in modo
appropriato e con costi sostenibili ha determinato la riorganizzazione degli ospedali in un
sistema di rete interospedaliera, al cui interno le UTIC dotate di laboratorio di emodinamica h2 sette giorni su sette hanno funzioni di Hub (sede di destinazione e trattamento
con PCI primaria dei pazienti con STEMI), mentre le restanti UTIC hanno quello di Spoke
(luogo di selezione, invio all’Hub e rientro dopo la PCI degli stessi pazienti per la gestione
del follow-up successivo). Grazie a questo modello, che prevede anche una stretta collaborazione con il sistema dell’Emergenza Territoriale (118), un maggior numero di pazienti
con STEMI afferisce ai laboratori di emodinamica per eseguire una PCI primaria.
In quest’ottica nel 200 in Emilia-Romagna è stata effettuata una riorganizzazione delle
UTIC su base provinciale per garantire un tempestivo accesso ai laboratori di emodinamica dei pazienti con STEMI, tramite anche una definizione dei protocolli di trasmissione
dell’elettrocardiogramma dal territorio da parte dei servizi di emergenza territoriale (118).
Scopo di questa comunicazione è valutare, sulla base dei flussi informativi amministrativi
regionali, i nuovi percorsi assistenziali e di esaminare l’impatto della nuova organizzazione
sull’attività complessiva delle UTIC della regione Emilia-Romagna.
Materiali e metodi
Con un approccio analitico di tipo osservazionale retrospettivo sono state estratte dalla
banca dati della Regione Emilia-Romagna tutte le schede di dimissione ospedaliera (SDO)
relative ai pazienti ricoverati nelle UTIC della regione dal il 1° gennaio 2002 al il 1 dicembre 2007 (ricovero indice).
Sono state valutate le caratteristiche degli ospedali della rete interospedaliera, definendo
come UTIC Hub le strutture dotate di laboratorio di emodinamica interventistica h 2 sette
giorni su sette e come UTIC Spoke quelle senza laboratorio di emodinamica interventistica.
Tutti gli altri ospedali per acuti delle Regione, non provvisti di UTIC, sono stati infine catalogati come “Altri Ospedali per acuti”.
Nel caso di una successione di più ricoveri con data di dimissione e di ammissione coincidenti per ogni paziente è stato ricostruito il percorso assistenziale: le relative SDO sono
state unite per costruire un unico episodio di cura, mantenendo la tracciabilità dei trasferimenti da un ospedale all’altro.
Il percorso per ogni episodio di cura è stato definito in base al numero dei ricoveri, alla tipologia delle UTIC coinvolte e alla sequenza temporale del loro coinvolgimento. Sono stati
quindi individuati i seguenti percorsi:
• Hub: un solo ricovero con ammissione e dimissione da Hub;
7
•
•
•
•
Hub vs OspRER: due ricoveri, ammissione in Hub, dimissione da ospedale non sede di UTIC;
Hub vs Spoke: due ricoveri; ammissione in Hub, trasferimento e dimissione da Spoke;
Spoke: un solo ricovero con ammissione e dimissione da Spoke;
Spoke vs EmoHub (Emodinamica in Service): ammissione e dimissione da Spoke, con effettuazione di coronarografia e/o angioplastica durante la degenza in Spoke. In questi casi
il paziente viene inviato al laboratorio di emodinamica dell’Hub per la sola procedura e
rientra rapidamente in Spoke dopo la sua esecuzione.
• Spoke vs Hub: due ricoveri; ammissione in Spoke, trasferimento e dimissione dall’Hub;
• Spoke vs Hub vs Spoke: tre ricoveri con la seguente sequenza: ammissione in Spoke,
transito in Hub, nuovo trasferimento e dimissione da Spoke;
Nella categoria STEMI sono stati raccolti i percorsi con diagnosi principale 10.X eccettuato
10.7. Nella categoria SCA no STEMI sono stati raggruppati i percorsi con diagnosi principale 10.7 e 11 (angina instabile). La categoria noSCA raccoglie tutta la restante popolazione ricoverata in UTIC.
Risultati
Nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 1 dicembre 2007 sono state estratte
11.7 SDO relative a tutti i ricoveri nelle UTIC della regione e sono stati individuati
92. episodi di cura corrispondenti ad altrettanti pazienti definiti da una successione di
più ricoveri con data di dimissione e di ammissione coincidenti.
UTIC-Hub
La valutazione globale dell’attività di queste strutture evidenzia nel 2007 rispetto al 2002
un aumento del 1% dei pazienti che iniziano il loro percorso in un’UTIC Hub.
STEMI
Nonostante che nel periodo di osservazione vi sia stata una riduzione del numero complessivo degli STEMI in Regione, nelle UTIC Hub si è verificato un aumento progressivo
degli STEMI, dovuto all’aumento degli accessi diretti, mentre è stabile il numero dei pazienti
con STEMI trasferiti dagli Spoke. Le caratteristiche demografiche di questi pazienti sono rimaste sostanzialmente invariate. Si è osservato un aumento delle PCI primarie e una riduzione significativa della mortalità intra-ospedaliera del 20% e a 1 anno del 18%.
La mediana della durata della degenza complessiva dei pazienti ricoverati per STEMI in
Hub nel 2007 si è ridotta di 2 giorni rispetto al 2002.
SCA noSTEMI
Dal 2002 al 2007 aumenta progressivamente il numero dei pazienti ricoverati nelle UTIC
Hub per SCA noSTEMI (+26%). Anche in questo caso l’incremento è determinato da pazienti
che iniziano il loro percorso in Hub, mentre è stabile la quota di soggetti con SCA noSTEMI
trasferiti dagli Spoke. In questa popolazione aumenta significativamente la percentuale di
soggetti con età superiore a 80 anni e con comorbilità associate. La percentuale dei pazienti con SCA noSTEMI ricoverati in Hub che esegue una PCI cresce considerevolmente.
Si riducono di un giorno la mediana della durata del tempo di attesa per la coronarografia
e quella della degenza complessiva. La mortalità intraospedaliera rimane stabile e tende a
ridursi del 7%, ma in modo non significativo a 1 anno.
8
Patologie non SCA
Tra il 2002 ed il 2007 i pazienti ricoverati nelle UTIC Hub per patologia nonSCA sono aumentati del 6%, con un significativo aumento di soggetti con età superiore a 80 e con
un’elevata incidenza di comorbilità associate. Per questa categoria non si sono osservate
modificazioni né nelle diagnosi di dimissione, sempre eterogenee, né dei percorsi esaminati, infatti questi pazienti nella quasi totalità dei casi rimangono ricoverati in Hub. È da rilevare infine un aumento della durata della degenza totale in ospedale.
Attività delle UTIC Spoke
L’analisi complessiva dell’attività delle UTIC Spoke evidenzia nel 2007 se confrontata con
il 2002 un calo del 1% dei pazienti che iniziano il loro percorso in queste strutture.
STEMI
Nel 2007 i pazienti con STEMI che iniziano il loro percorso in UTIC Spoke sono diminuiti del
7% rispetto al 2002 e questo calo non è stato compensato dai rientri dall’Hub dopo esecuzione di una PCI. Relativamente alle caratteristiche dei pazienti ricoverati in UTIC Spoke si evidenzia un significativo incremento dei soggetti di genere feminile, di quelli con età superiore
a 80 anni e con comorbilità associate. Aumentano in modo significativo il numero dei pazienti con STEMI che PCI esegue nelle prime 2 ore dal ricovero e la percentuale dei pazienti
STEMI che completa il proprio percorso di cura nello Spoke, senza entrare in rete, scende dal
% del 2002 al 28% del 2007. Si verifica inoltre anche una riduzione della durata della degenza complessiva in ospedale, la cui entità è però minore rispetto a quella rilevata negli
Hub. La mortalità intra-ospedaliera si osserva riduce del 1%, ma non in modo significativo.
SCA noSTEMI
Contrariamente agli STEMI, tra il 2002 ed il 2007 i pazienti con SCA noSTEMI ricoverati nelle
UTIC Spoke sono aumentati del 20%. Le loro caratteristiche cliniche non presentano variazioni significative a parte un aumento della percentuale degli ottuagenari. La mortalità
intraospedaliera è stabile, così come quella ad un anno.
Tra i pazienti con SCA noSTEMI la quota di pazienti che viene a contatto con l’Hub sale nel
2007 al 70% rispetto al % del 2002, con un significativo aumento delle coronarografie
e delle PCI, grazie al frequente ricorso a procedure “in service”, con rientro immediato allo
Spoke, mentre il numero dei trasferimenti tra Hub e Spoke è rimasto sostanzialmente invariato. È interessante constatare che la mediana del tempo di esecuzione per la coronarografia si riduce di giorni, passando dai sei giorni del 2002 a tre giorni nel 2007.
Contestualmente la durata complessiva della degenza dei pazienti che entrano in rete si riduce di due giorni, mentre non si modifica quella dei soggetti non trasferiti.
Patologie non SCA
Anche negli Spoke la quota dei pazienti ricoverati per patologie no SCA è rimasta stabile, pari
quasi al 0% dell’attività complessiva e l’analisi dei relativi percorsi non mostra nel tempo
sostanziali variazioni, in quanto solo in una piccola percentuale di soggetti entra in rete.
Analogamente alle UTIC Hub in questo gruppo rientrano varie condizioni cliniche e una percentuale consistente di pazienti (circa il 7%) presenta nel 2007 una diagnosi di dimissione
non cardiologica.
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Discussione
Lo studio ha analizzato l’epidemiologia dei ricoveri in UTIC e valutato per primo gli effetti
dell’attivazione della rete interospedaliera per la riperfusione dello STEMI con PCI primaria sulle attività delle UTIC su scala regionale.
I nostri dati, derivati da data-base amministrativi, confermano che le SCA rimangono la
causa più frequente di ricovero in UTIC, ma con diversa distribuzione negli anni tra STEMI
e SCAnoSTEMI. Essi evidenziano anche che il numero di ricoveri per patologie cardiologiche non SCA è costantemente elevato.
L’implementazione della rete per lo STEMI ha determinato un incremento dei ricoveri per
STEMI nelle UTIC Hub e una loro contestuale riduzione in quelle Spoke, non compensata
dal rientro dei pazienti dopo trattamento in Hub, né dall’aumento dei ricoveri per SCA noSTEMI o per patologie non correlate a SCA.
Bibliografia di riferimento:
Pavesi PC, Nobilio L, De Palma R, et al. L’evoluzione delle unità di terapia intensiva cardiologica nell’era della rete interospedaliera
Hub e Spoke. Analisi dell’attività in Emilia-Romagna dal 2002 al 2007. G Ital Cardiol 2011;12:1-2.
0
STEMI oggi in Piemonte
Maria Rosa Conte
Unità di Cardiologia/UTIC - Ospedale “Degli Infermi”, Torino
Fasi del progetto
In Piemonte sin dal 200 e’ stato creato un “ tavolo tecnico “ in Regione Assessoratio alla
Sanita', a cui partecipano cardiologi, medici del emergenza territoriale 118, medici operanti
i presso i DEA e decisori pubblici per la RETE dell’EMERGENZA CORONARICA ed il trattamento dello STEMI.
La PRIMA FASE del lavoro era consistita nel traslare le indicazioni delle Societa’ Scientifiche , delle linee guida vigenti in materia, nella pratica clinica e nel formulare delle ipotesi
di lavoro comune che portassero alla definizione di protocolli diagnostico terapeutici condivisi, percorsi comuni finalizzati ad offrire al cittadino , in qualsiasi luogo riesieda , il miglior trattamento dell’infarto acuto con ST sopra slivellato in accordo con la Consenusus FIC
del 200.
L’ambizione era stata quella di creare una rete REGIONALE e non solo cittadina o provinciale, di uniformare il trattamento dello STEMI su tutto il territorio piemontese..
Tale obiettivo ambizioso e’ stato pero’ anche la causa di un certo rallentamento del
progetto stesso.
In una PRIMA FASE sono stati definiti:
• Dati epidemiologici dello STEMI in Piemonte ( dati Nazionali e del registro PRIMA )
• Protocolli diagnostici
• Modalita’ della trasmissione dell’ECG dal domicilio / autoambulanza 118
• Protocolli terapeutici
• Scheda dati da inviare unitamente all’ECG
• Flow-chart decisionale ( PTCA primaria – fibrinolisi )
• Definizione a livello regionale dei centri Hub e spoke
• Rientro del paziente al centro di riferimento territoriale
• diffusione dell'informazione capillare . Per ES giornata con il patrocinio ANMCO in cui e’ra
stato presentato il progetto ai cardiologia piemontesi
In una SECONDA FASE
• E’ stata fatta la gara del sistema di trasmissione dati / ECG
• Sono state affrontate le tematiche piu’ strettamente tecniche della trasmissione
• Sono stati effettuati corsi di addestramento sulla lettura del ‘ECG, la ccinica e la fisiopatologia dello STEMI ai medici del 118 ed agli infermieri in tutti i quadranti della regione piemonte.
• Si e’ attivata la collaborazione tra il CSI regione piemonte ed i vari CED delle aziende
ospedaliere.
1
Nella TERZA FASE
• Il progetto e’ stato attivato in forma pilota nel quadrante di Cuneo
• Sono state rilevate le criticita’
Nella QUARTA ed ATTUALE FASE ( gennaio 2011 )
• il progetto e’ stato avviato sull’intero territorio piemontese
• sono state ricontatte tutte le UTIC i Laboratori di emodinamica ed i DEA
• e’ stato inviato alle UTIC il data base per la raccolta dei dati minimi
• sono state informate dell'attivazione del progetto ufficialmente da parte dell'assessorato alla Sanita' le Direzioni generali e Sanitarie delle varie aziende .
• e’ stata organizzata una tavola rotonda con i responsabili UTIC , 118 , medici di DEA e
funzionari regionali nell’ambito del congresso ANMCO regionale dell’Aprile 2010 per discutere i dati dei primi mesi.
• e' stata predisposta una raccolta dati minimal data set
• sono state istutuite 2 sotto commissioni per l ' ottimizzazione del percorso intr a ed
extra ospdaliero.
Filosofia della rete dello STEMI piemontese
Uno degli obiettivi della rete dello STEMi piemontese e’ stato quello di cercare di salvaguardare la territorialita’ del progetto coinvolgendo attivamente le UTIC di riferimento territoriale. Ciò dovrebbe da un lato sottolineare l’importanza della collaborazione e del
coinvolgimento di tutte le UTIC, comprese le piu’ piccole , nel processo d i diagnosi e cura
dei propri pazienti, dall’altro facilitare il rientro tempestivo del paziente nell’ospedale di
competenza territoriale .
Il “ prezzo” che si paga con questo tipo di impostazione e' stato stimato in un ritardo massimo di ca m' (tempo da protocollo consentito per avere la risposta dalle UTIC) . In caso
di mancanza di risposta entro i tempi definiti , il 118 invia l'ecg , la scheda dati ed il pazienete al centro Hub piu' vicino.
Descrizione del progetto
Il Piemonte e' diviso in quadranti; nel quadrante 1 ( Torino e provincia ) risiedeil 1% della
popolazione del Piemonte . Sono presenti in totale 1 UTIC spoke e 16 Hub di cui ben 9 nel
quadrante 1 . La dotazione di mezzi di soccorso e' di 72 ambulanze ed 8 elicotteri
Percorso
• Il paziente chiama il 118 –> viene eseguito L’ ECG a domicilio o sull’autoambulanza –
>ECG e SCHEDA DATI sintetica ( dati angrafici, ora di insorgenza dei sintomi, PA, FC, killip)
vengono inviati alla UTIC ( sia Hub che spoke ) di competenza territoriale. LA terapia farmacologica e' esposta nella tabella
• Il medico del 118 ed il cardiologo UTIC che risponde , concordano la strategia riperfusiva in base a ora di insorgenza sintomi alto medio basso rischio , distanza da UTIC Hub
e tempi di percorrenza
• Il paziente viene inviato alla UTIC Hub ( in ogni caso ) o per PTCA primaria o in seguito a
fibrinolisi pre-ospedaliera.
• La centrale 118 invia il paziente nella UTIC HUB piu’ vicina e con Laboratorio disponibile
2
FLOW CHART DECISIONALE
• Controindicazioni alla fibrinolisi e shock cariogeno → PTCA primaria
• Dolore <2 ore STEMI alto rischio D2B <90 m’ → PTCA primaria D2B > 90 m→ fibrinolisi
• Dolore < 2 ore STEMI medio Basso rischio D2B < 90 m → PTCA primaria D2B > 90 m→
fibrinolisi
• Dolore > 2 ore <12 , D2B < 120→ PTCA primaria, D2B > 120 → fibrinolisi
Dati epidemiologici dei primi due mesi gennaio-febbraio 2011
• STEMI totali 6: 7 < 12 h ( 80 % ) → % ( 191 ) con 118, 7% ( 26) con mezzi proprii
TO 9%, NO 0%, Al 7%,CN 0%
• 20 % arrivo in UTIC spoke 80% in UTIC HuB
• TRASMISSIONI ECG primi 5 mesi totale 343 tab 1
Tab 1
• data una media di 220 STEMI <12 ore / mese in 5 mesi -->1.100 STEMI di questi
trasmissione ECG da parte del 118--> 343 pari al 32% ca !!
Tab 2
Breve commento e principali criticita'
Pochi trasporti con 118 , poche trasmissioni ECG specie nelle citta' in cui data la vicinanza
degi centri Hub si continua a conttare telefonicamente l'UTIC .
Difficolota' al riilevamento sistematico dei dati ( minimal data set) da parte delle UTIC.
Percorsi intraopedalieri disomogenei ( in alcuni casi lunghi )
Ancora problemi tecnici di trasmissione ( pochi ).
Tali dati sono in via di elaborazione.
Infarto miocardico acuto
con ST sopralivellato (STEMI)
STEMI in Liguria
Esperienza Ospedale San Martino
Francesco Abbadessa
C. Giachero, M. Vischi, A. Zingarelli, M. Balbi, A. Valbusa, R. Delfino, P. Moscatelli, L. Borgo,
F. Bermano, M. Comaschi, P. Rubartelli, S. Chierchia, L. Oltrona Visconti, F. Copello, F. Chiarella.
IRCCS “Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino”
IST Istituto Nazionale per la ricerca sul Cancro
L’Ospedale San Martino ha avviato il programma di trattamento sistematico dello STEMI con
angioplastica primaria (pPCI), nel 2002. Il programma prevede l’invio diretto del paziente
con STEMI, in Emodinamica, dopo una diagnosi ECG effettuata sia sul territorio, con ECG
pre-ospedaliero teletrasmesso dal 118, sia al DEA, con ECG trasmesso in UTIC attraverso
la rete interna. Ormai da diversi anni 1,2, la pPCI è il trattamento di prima scelta nell’infarto
miocardico con sopralivellamento del tratto ST (STEMI), secondo quanto attualmente indicato dalle linee guida europee e statunitensi. La pPCI, effettuata tempestivamente nei
tempi indicati, ha sostituito la fibrinolisi, che per oltre 1 anni, dalla metà degli anni 80 fino
ai primi anni del 2000, è stato il trattamento riperfusivo di riferimento nello STEMI. Dal
2002 ad oggi, al San Martino sono state effettuate oltre 1700 pPCI. Questa esperienza ha
riguardato l’intera area metropolitana genovese, in collaborazione con il servizio 118, il
DEA e gli Ospedali Galliera e Villa Scassi.
Volumi annuali di pPCI al San Martino dal 2002 al 2011.
Dopo una fase iniziale di sperimentazione tecnica di trasmissione dell’ECG, da 118 ad UTIC,
avvenuta nella seconda metà del 2002, il trattamento sistematico dello STEMI, con angioplastica primaria (pPCI) , è andato a regime dall’inizio del 200, nell’ambito di una rete
cardiologica inter-ospedaliera, costituita inizialmente da due Hub, San Martino e Galliera e
dal 200 anche Villa Scassi.
Da allora al San Martino, il volume annuale di pPCI ha avuto modeste variazioni: da oltre
10 a circa 200 procedure per anno.
Complessivamente, dal 2002, al San Martino sono state effettuate oltre 1700 procedure di pPCI.
La Cardiologia Universitaria partecipa al programma di pPCI dal luglio 2010, effettuando il
20% dell’attività totale del San Martino.
Liguria : prima regione italiana per numero di pPCI in rapporto alla popolazione.
Nel 2010, come già nel 2009, la Liguria è stata la prima regione italiana per numero di
pPCI rispetto alla popolazione: 700 pPCI, per milione di abitanti, per anno. Media italiana: 6, media europea: 8pPCI/mil.abitanti/anno.
Nel 2010 in Italia sono state effettuate 2791 pPCI, con un incremento del 9.7% rispetto
al 2009. Su un totale di 262 Cath-Lab, 21 sono attivi h2.
Numero annuale di pPCI per centro.
Per quanto riguarda il volume annuale per centro, di angioplastiche primarie (pPCI), la mediana nazionale nel 2009 è stata di 11 pPCI per centro.6
Il San Martino, con 172 pPCI, nel 2009, si colloca nella fascia alta della distribuzione nazionale, oltre il 7° percentile.
L’elevato numero di pPCI in rapporto alla popolazione è dovuto verosimilmente alle caratteristiche demografiche della popolazione ligure.
La Liguria è infatti la regione più vecchia d’Italia. L’indice di vecchiaia, 2,6, è il più alto in Italia, ed indica la presenza di oltre 2 anziani,
con oltre 6 anni, per ogni giovane di età inferiore ai 1 anni.
La percentuale di abitanti con età superiore a 6 anni, in Liguria, è la più alta fra tutte le
regioni italiane: 26.8% .
La distribuzione degli anziani è disomogenea nelle varie zone cittadine. La quota di over 6
è maggiore nelle aree del mediolevante che costituiscono il principale bacino d’utenza del
San Martino.
Confronto tra le età riscontrate, nel 2010, nel registro STEMI del San Martino, nel registro
nazionale Blitz 7 e nell’ampio registro nordamericano, Medicare-Medicaid 8, da poco pubblicato, che comprende, nei primi nove mesi del 2010, 2 10 pz.
6
Nel registro STEMI del San Martino è presente una popolazione più anziana di almeno anni
rispetto al Blitz ed ai dati di Krumholz.
Volumi annuali di pPCI a Genova, dopo l’attivazione del programma di pPCI.
E’ attiva una rete cardiologica interospedaliera che comprende centri che effettuano pPCI,
ed una UTIC senza emodinamica.
Villa Scassi ha iniziato nel 200.
(Dati ricavati dai registri nazionali GISE, disponibili al 0 settembre 2011.)6
Il bacino di utenza del 118 corrisponde al territorio della ASL genovese, la cosiddetta
area metropolitana, che comprende 77227 abitanti, distribuiti nel comune di Genova ed
in 0 comuni minori limitrofi, su una superficie di oltre 1000 Km2.
L’assegnazione dei pz STEMI ai tre HUB, Galliera, Villa Scassi e San Martino, viene effettuata dal 118 in base in base a criteri territoriali e di disponibilità delle sale.
Isocrone di accesso: i comuni in celeste hanno un tempo di trasporto all’HUB superiore a
0 min.
L’efficacia delle procedure di pPCI dipende dal tempo di intervento, il cosiddetto door-toballon (D2B)10-1. Questo indice è risultato in rapporto direttamente proporzionale alla mortalità intra-ospedaliera.11
7
Il tempo D2B è stato utilizzato dalle società cardiologiche internazionali nelle diverse iniziative finalizzate lanciate negli scorsi anni.
L’obiettivo indicato è stato il raggiungimento di un tempo D2B uguale od inferiore a 90 min,
in almeno il 7% dei pz non trasferiti.
Analisi sui primi 500 pz consecutivi.
Per valutare l’impatto dei tempi d’intervento (D2B) sugli outcome a breve e medio termine,
abbiamo effettuato un follow-up dei primi 00 pz consecutivi, trattati al San Martino nell’ambito del programma di pPCI nello STEMI. Il follow-up mediano è stato di 2 mesi.
E’ stato effettuato un confronto sugli outcome rilevati in due gruppi di pazienti: quelli trattati entro il tempo D2B di 90 minuti e quelli oltre 90 min.
Il cosiddetto tempo “door-to-balloon” è stato calcolato dal primo contatto medico, inteso
come il tempo registrato sul primo ECG diagnostico di STEMI 1, effettuato sia in fase preospedaliera, sia all’interno dell’ospedale.
L’endpoint primario era costituito da un composito dei seguenti outcome: mortalità, scompenso cardiaco, re-intervento sul vaso trattato.
Door-to-Balloon Time and Late Prognosis in Primary Angioplasty for ST-Segment
Elevation Acute Myocardial Infarction
Francesco Abbadessa, MD, Corinna Giachero, MD, Paolo Rubartelli, MD, Massimo Vischi,
MD, Antonio Zingarelli, MD, Lorenzo Borgo, MD, Alberto Valbusa, MD, Francesco
Bermano, MD, Paolo Moscatelli, MD, Sergio Chierchia, MD, Luigi Oltrona Visconti, MD.
The purpose of this study was to evaluate whether <90 minutes door-to-balloon time
(D2B) retains a late favourable prognostic value in a system of care achieving this
interval in a high rate of patients undergoing primary angioplasty (pPCI) for STelevation
acute myocardial infarction (STEMI). In a series of consecutive patients with STEMI
treated with pPCI, the occurrence, at median follow-up of 2 months, of a composite of
cardiac events, was evaluated according to D2B <90 or >90 minutes. Cardiac events
occurred in 20.9% and 2.2% of patients with D2B <90 and >90 minutes, respectively
(OR 0.6, CI 0.7-0.8; p<0.01).
8
Un terzo dei pz. proveniva dal 118, dopo diagnosi ECG preospedaliera. Il % proveniva dal DEA.
Attualmente al San Martino non ci sono trasferimenti da altri ospedali, che fanno riferimento agli altri due HUB, Galliera e Villa Scassi.
Il 27% dei pz. aveva un’età superiore a 7 anni.
Circa un quarto dei pz era diabetico.
Oltre il 60% dei pz era ad alto rischio, definito dalla presenza di almeno uno dei TIMI risk
factor (FC>100; PA<100; età >70; IMA ant). 1 Il 1% dei pz era in shock; il 6% aveva
avuto un arresto cardiaco prima dell’arrivo in Emodinamica.
La mortalità ospedaliera, nei trattati con tempo D2B entro 90 min, è stata significativamente inferiore rispetto a quella dei trattati oltre 90 min. : . vs 11.2 %.
Il tempo D2B mediano, nel totale dei pz, è stato 70 min. La distribuzione dei tempi D2B è
rappresentata con questo tipo di grafico , denominato box plot, che consente di visualizzare la quota di pz trattati entro l’obiettivo, rappresentato dalla linea dei 90 min, tratteggiata in rosso. Il rettangolo giallo del box comprende i pz dal 2° al 7° percentile (range
inter-quartile).
Dalla posizione del box rispetto alla linea del tempo critico di 90 min, si vede che la quota
dei trattati nel tempo critico è di poco inferiore al 7%.
9
Nel sottogruppo di pz con STEMI anteriore, presentazione precoce, entro 120 min, ed età
inferiore a 6 anni, il massimo ritardo accettabile affinché la pPCI mantenga un miglior beneficio rispetto alla fibrinolisi, è risultato di 0 min16, equivalente quindi ad un D2B di 70
min. Nella nostra casistica, in questo sottogruppo di pz, la quota dei trattati entro 70 min
è stata 76%.
Tempi di trattamento diversi in base alle modalità di arrivo.
Per i pz 118 la quota di trattamento entro 90 min è stata 89% contro il 66% dei pz provenienti dal DEA.
Complessivamente la quota di pz non trasferiti, trattata entro 90 min, è stata 7%.
Per i pz trasferiti da altri ospedali la quota si riduceva a 8%.
Outcome in base ai percorsi
Nonostante la differenza dei tempi di trattamento nei percorsi effettuati dai pz per arrivare
in Emodinamica, la mortalità intra-ospedaliera non è stata differente in modo significativo.
Nel follow-up è stata rilevata una tendenza, non significativa, ad una minor incidenza di
eventi sfavorevoli nei pz 118.
E’ probabile che le diverse modalità di presentazione caratterizzino popolazioni differenti, per la presenza di variabili non ancora identificate ed indipendenti dai tempi
door-to-balloon. 17
60
Outcome in base al rischio ed al ritardo di presentazione
Nel follow-up, tempi D2B < 90 min sono associati ad una minor incidenza di eventi sfavorevoli nei pz ad alto rischio ed in quelli con presentazione entro tre ore dall’esordio dei sintomi.
Non è risultata differenza di eventi sfavorevoli nei pz a basso rischio ed in quelli con presentazione oltre le tre ore.
Grafico riassuntivo, forest plot, dell’analisi multivariata che esprime gli OR degli outcome
rispetto ai tempi D2B. Tempi D2B inferiori a 90 min hanno ridotto gli eventi cardiaci sfavorevoli, in modo altamente significativo.
Dati dal 200 al 2011
Tempi D2B dal 2003 ad oggi
Il tempo D2B mediano è stato 7 (,106) min.
Il registro nazionale più recente, il “Blitz qualità” riporta un D2B di 78 (7, 107) min. in 12 pPCI. 7
Le quote di trattamento entro 90 min risultano 6% al San Martino e 62% nel Blitz .
La campagna dell’ANMCO sul “Ritardo evitabile”, lanciata nel 2008, rileva i dati su base annuale dal 2009. La quota di trattati con D2B inferiore a 90 min è stata 68, 77, 72%, rispettivamente nel 2009, 2010 e 2011. 2
Nel recente registro nazionale “Mantra”, che comprende 288 pz con STEMI, il tempo D2B
mediano, nei pz non trasferiti, era 81 (,10). 27
61
Andamento annuale dei tempi ECG-to-balloon al San Martino, dall’inizio del programma
nel 200 al 1 agosto 2011. Si può notare come la quota dei trattati entro 90 min, già dal
200, era quella indicata dalle linee guida: intorno al 7%. Negli ultimi anni questa quota
si è ridotta, di poco, ma in modo significativo.Una tendenza simile è presente anche in alcune rilevazioni nazionali come quelle annuali della campagna ANMCO sul “Ritardo evitabile” ( 77% nel 2010, 72% nel 2011). Nel registro nord americano invece la quota di
partenza era molto più bassa, intorno al 0%, ed attualmente è arrivata ad oltre il 90%.
I tempi di presentazione (S2B) sono un indice surrogato, rappresentativo del tempo totale
di ischemia miocardica. 18
Al San Martino la quota di presentazione entro le due “golden hours”, in cui è massimo il
salvataggio miocardico, è risultata 2%. Nel Blitz è stata %. A livello nazionale, secondo
i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, solo il 10% dei pz con STEMI si presenta entro 120 min.
dall’inizio dei sintomi.
Le variazioni dei tempi di presentazione, nel corso degli anni, non sono state significative.
La quota di pz STEMI, con presentazione entro le due ore dall’inizio dei sintomi, è rimasta
intorno al 2%.
Rispetto invece al percorso seguito dai pz, le differenze nei tempi di presentazione sono significative. I pz che si rivolgono al 118 hanno tempi di presentazione dall’inizio dei sintomi
62
più rapidi rispetto a quelli che si presentano al DEA: presentazione entro 120 m’, % (118)
vs 2% (DEA).
Alcune caratteristiche procedurali delle pPCI effettuate al San Martino nel periodo dal
1 gennaio al 0 settembre 2011.
Il registro Blitz si è svolto con due periodi di arruolamento dei pz, di 10 settimane ciascuno, tra il settembre 2009 ed il maggio 2010. Hanno partecipato 16 centri nazionali che
hanno arruolato complessivamente 11 706 pz di cui 8 con STEMI. 7
Il San Martino ha contribuito con 7 pz STEMI nelle due fasi di arruolamento. Confronto tra
l’incidenza degli eventi intraospedalieri del San Martino e la media nazionale.
Dati ricavati dalle SDO 2010.
Sono stati selezionati i casi con DRG 10.X nella diagnosi principale, escludendo gli infarti
subendocardici (107).
Sono stati considerati i seguenti parametri:
reparto di dimissione n° di pz età e genere giornate di degenza mortalità .
Circa un terzo degli STEMI, così definiti, è risultato ricoverato in reparti diversi dalla
Cardiologia, come Medicina, Medicina d’urgenza, Rianimazione.
Questo gruppo di pz è caratterizzato da una maggiore età, una maggior percentuale di
donne ed una mortalità ospedaliera nettamente più alta.
Conclusioni
Al San Martino il programma di angioplastica primaria nello STEMI è attivo da ormai quasi
dieci anni.
La nostra popolazione di riferimento ha la maggiore anzianità in Italia ed ha anche la maggior mortalità ospedaliera per infarto miocardico 9.
Fin dall’inizio, nel 200, è stato raggiunto l’obiettivo che è stato successivamente indicato nelle
campagne cardiologiche internazionali come ad esempio quella del “Door-to-balloon” dell’American College of Cardiology nel 2006 19, “Mission for life” dell’American Heart Association nel 2007 ed infine quella della Società Europea di Cardiologia, “Stent for life” nel 2009.
L’obiettivo principale di queste campagne era infatti il raggiungimento della quota del 7%
di STEMI trattati con pPCI entro 90 minuti dal primo contatto medico.
6
Nei primi anni della nostra esperienza, la quota dei pz. non trasferiti trattati entro 90 minuti, era intorno al 7%, cioè quella indicata come obiettivo dalle società cardiologiche internazionali. Successivamente, nonostante la collaudata esperienza organizzativa, i tempi
di trattamento non si sono ulteriormente ridotti, come pure non si è ridotto il tempo di presentazione dei pazienti: solo il 2% ha una presentazione entro il tempo critico dei 120 minuti,
in cui è massima la possibilità di salvataggio miocardico.
La possibile spiegazione del mancato miglioramento è verosimilmente dovuta alle caratteristiche della nostra popolazione di pazienti, che insieme ad una maggiore anzianità, ha
anche un maggior numero di comorbidità ed altre caratteristiche non ancora chiaramente
identificate: ad esempio una maggior complessità con necessità di stabilizzazione prima
del trasporto in Emodinamica.
Nella nostra esperienza abbiamo finora valutato l’impatto favorevole dei tempi di intervento sugli
outcome, a breve termine e, in minor misura anche a distanza, nei primi 00 casi consecutivi.
Il controllo di qualità sul lavoro svolto, nel trattamento interventistico dello STEMI, è stato
effettuato con una analisi basata sul confronto tra indici di processo, come il tempo di intervento (D2B) e indici di esito, come la mortalità a distanza. 20-2
Questo tipo di analisi, sulla qualità del lavoro svolto, è stato finora effettuato da noi cardiologi, a scopo scientifico, ma prossimamente potrebbe essere realizzato in collaborazione con gli specialisti del controllo di gestione, sia a livello delle aziende ospedaliere, sia
a livello delle agenzie regionali sanitarie. Secondo la nostra esperienza occorre continuare
a monitorare i principali indici procedurali, utilizzando un database prospettico, condiviso
con i centri che effettuano la pPCI. Il database comune dovrebbe essere accessibile via
web. Le analisi sui dati dovrebbero essere periodiche ed i risultati dovrebbero essere condivisi tra i centri partecipanti, in modo da poter disporre delle informazioni necessarie per
una maggiore efficacia nella gestione delle procedure.
Da questo punto di vista il lavoro da fare è ancora tanto ed il percorso è lungo, ma la realizzazione di un progetto unitario è necessaria per migliorare l’efficienza, nell’attuale contesto generale caratterizzato da una progressiva riduzione delle risorse.
6
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66
Infarto miocardico acuto
con ST sopralivellato:
esperienza ASL3 Genovese
Paolo Rubartelli, Davide Bartolini, Sandro Bellotti, Gabriele Crimi, Alessandro Iannone
Cardiologia, Ospedale Villa Scassi, ASL3, Genova
La rete per il trattamento dello STEMI nell’area genovese (770.000 abitanti) è attiva dal
2000. Dal 200 l’Ospedale Villa Scassi di Sampierdarena ha iniziato a far parte della rete
come centro Hub insieme agli Ospedali San Martino e Galliera.
Schema operativo genovese
Il protocollo vigente nell’area genovese è stato sottoposto a successive revisioni, ma i punti
sottoelencati ne hanno sempre costituito l’asse portante.
1. I pazienti con STEMI entro le 12 ore dall’esordio dei sintomi, o entro le 2 ore in caso di
persistenza di sintomi, sono considerati candidati alla riperfusione immediata.
2. Sebbene il protocollo abbia sempre mantenuto possibilità di utilizzare la fibrinolisi, in
pratica l’angioplastica primaria (pPCI) è stata utilizzata nella quasi totalità dei casi.
. I pazienti con sospetto STEMI che chiamano il servizio 118 (S118) vengono immediatamente sottoposti ad ecg a 12 derivazioni, che può essere teletrasmesso all’UTIC. Se si
conferma lo STEMI, il paziente viene condotto direttamente in sala di Emodinamica per
la pPCI.
. I pazienti con STEMI che si autopresentano ad un Ospedale senza Emodinamica, sono
immediatamente trasferiti ad un Ospedale con Emodinamica attiva a cura del S118.
Raccolta dei dati
Dal 1° gennaio 2006 è disponibile un database con i dati relativi ai pazienti con STEMI afferiti all’Ospedale Villa Scassi. Verrà qui presentata la casistica dei pazienti con STEMI dal
gennaio 2006 all’agosto 2011 (Figura 1). Per la diagnosi ecg, sono stati considerati i seguenti criteri: sopralivellamento di ST di almeno 1 mm in almeno 2 derivazioni contigue, o
blocco di branca sinistra non preesistente, o sottolivellamento di ST in sede anteriore compatibile con ischemia transmurale posteriore.
In questo periodo sono stati dimessi con diagnosi ISTAT di STEMI, verificata dall’analisi
delle SDO, 116 pazienti. Di questi, 2 non presentavano i criteri ecg sopraesposti oppure
sono giunti oltre la finestra temporale in cui è indicata la riperfusione immediata. I dati dei
restanti 92 pazienti sono oggetto di questa analisi (Figura 1).
67
Figura 1
Pazienti con STEMI
giunti a Villa Scassi
dal 1-1-2006
al 1-8-2011
Risultati
Va innanzitutto notato che solo 29 pazienti su 92 (.1%), sulla base di una complessiva
valutazione clinica, non sono stati considerati candidati alla riperfusione. La fibrinolisi è
stata utilizzata in soli 1 pazienti (1.%), di cui 2 sono stati successivamente sottoposti a
rescue PCI.
I restanti 890 pazienti sono stati avviati alla coronarografia immediata finalizzata alla pPCI,
che è stata effettivamente tentata nel 9.% dei pazienti. I motivi per non iniziare la pPCI
sono stati principalmente lo scarso territorio di distribuzione del vaso colpevole o l’avvenuta riperfusione; più raramente la pPCI non è stata tentata per sopravvenute complicanze.
Abbiamo analizzato i dati dei pazienti sulla base di tre modalità di afferenza: accesso al nostro Pronto Soccorso, arrivo accompagnati dall’automedica del S118, trasferimento da altri
Ospedali (Tabella 1). Le modalità di accesso più comuni sono risultate essere il S118 (%)
ed il Pronto Soccorso di Villa Scassi (%). Circa un quarto dei pazienti sono stati trasferiti da altri Ospedali della ASL , ed una minoranza erano già in Ospedale o sono giunti con
altre modalità.
In Tabella 1 sono esposte le caratteristiche e l’outcome dei pazienti divisi sulla base delle
modalità di afferenza. I pazienti che giungono via S118 sono più frequentemente maschi
e con sintomi tipici, meno frequentemente diabetici. I pazienti che si presentano al Pronto
Soccorso di Villa Scassi presentano un profilo di rischio più elevato (maggior prevalenza di
diabete e sesso femminile, scores di rischio più elevati) ed hanno una mortalità ospedaliera nettamente superiore.
68
Tabella 1
Caratteristiche ed outcome
Età
Età ≥80 aa (%)
Maschi (%)
Diabete (%)
Pregresso Infarto (%)
Angina cronica (%)
Sintomi atipici (%)
STEMI anteriore (%)
Killip >1 (%)
TIMI Risk Score > (%)
Fibrinolisi (%)
Nessuna riperfusione (%)
Coronarografia per pPCI (%)
pPCI non eseguita (%)
Mortalità ospedaliera (%)
S118
(n=29, %)
67.0±12.1
16.
77.8
22.2
12.2
.8
8.0
1.6
.9
21.9
0.
2.1
97.6
.9
6.
PS Villa Scassi
Transfer
(n=09, %) (n=228, 2%)
68.1±1.8
67.±1.2
22.9
20.6
6.
71.9
29.
22.8
10.
9.2
6.7
7.
22.1
19.
9.0
.6
8.6
.7
26.7
2.
.2
0
.
0.
91.2
99.6
.7
.
11.
.7
Totale pazienti
(n=92)
67.6±1.1
20.1
71.
2.2
10.7
6.
16.
8.9
6.6
2.7
1.
.1
9.
.2
8.
Tempistica
Gli intervalli di tempo tra esordio dei sintomi, contatto con i servizi medici e riperfusione con
pPCI sono esposti in Tabella 2. L’intervallo tra esordio dei sintomi e primo contatto medico
nella nostra popolazione è minore nei pazienti che si rivolgono al S118, e maggiore nei
pazienti che si presentano negli Ospedali. L’intervallo tra primo contatto medico e pPCI è
invece simile nei casi gestiti dal S118 e nei pazienti che si presentano al Pronto Soccorso
di Villa Scassi ma, grazie ad un minor ritardo decisionale, i pazienti che giungono con il S118
hanno un minor tempo ischemico totale (esordio-pPCI). I pazienti trasferiti dagli altri Ospedali hanno il maggior tempo ischemico totale a causa di un maggior ritardo decisionale che
si somma al maggior intervallo 1° contatto medico-pPCI.
L’intervallo door to balloon, ovvero dal momento in cui il paziente giunge all’Ospedale Villa
Scassi alla pPCI, è nettamente inferiore sia nei pazienti trasportati dal S118 sia nei pazienti
trasferiti da altri Ospedali rispetto ai pazienti che si presentano al nostro ospedale. Ciò è
dovuto al fatto che sia il medico del 118 che il medico dell’Ospedale che trasferisce preavvisano il personale della cardiologia dell’Ospedale Villa Scassi che possono così attivare
la sala di emodinamica ed accelerare la procedura di pPCI.
Tabella 2
Tempistica (minuti). I dati sono espressi come mediana, (quartili)
Esordio-1° contatto medico
1° contatto medico-pPCI
Esordio-pPCI
Door (finale) to balloon
Automedica 118 PS Villa Scassi
Transfer
Totale pazienti
(n=29)
(n=7)
(n=228)
(n=92)
7 (0, 16)
120 (68, 26) 116 (6, 29) 100 (0, 211)
78 (6, 97)
77 (60, 102) 10 (88, 11)
86 (67, 109)
162 (118, 22) 21 (16, 69) 229 (17, 2) 197 (1, 18)
1 (22, 8)
77 (60, 102)
27 (21, 8)
2 (26, 7)
69
Variabili procedurali e risultati angiografici
I risultati esposti in Tabella si riferiscono agli 8 pazienti in cui la pPCI è stata tentata.
Una riapertura del vaso con flusso TIMI 2 o è stata ottenuta nel 97% dei casi.
Variabili procedurali e risultati angiografici sui pazienti avviati alla pPCI (n=844)
Flusso finale TIMI 2
Flusso finale TIMI Sistema aspirazione trombo
Impianto di stent
Tabella 3
107 (1%)
70 (8%)
97 (7%)
7 (87%)
Effetti della tempistica sulla mortalità ospedaliera
Abbiamo analizzato gli effetti del tempo ischemico totale e del tempo door-to balloon (1) ed
abbiamo trovato una forte associazione tra aumento del tempo door-to-balloon e mortalità. Questa associazione rimaneva significativa anche all’analisi multivariata, ed anche per
tempi di door-to-balloon ben al di sotto di quelli raccomandati dalle linee guida (Figura 2).
Figura 2
In-hospital mortality
vs DTB and symptomonset-to-balloon time
Fattori associati al ritardo
Le linee guida internazionali raccomandano un intervallo 1° contatto medico-pPCI non superiore ad un valore compreso tra 90’ (linee guida americane) e 120’ (linee guida europee).
Nella nostra esperienza, circa 2/ dei pazienti che non richiedono trasferimento interospedaliero hanno un tempo 1° contatto medico-pPCI<90’ ed in circa 2/ dei pazienti trasferiti questo tempo è <120’. Nel 1/ dei pazienti che superano questi limiti, abbiamo
cercato di individuare i fattori associati al ritardo (2). L’analisi multivariata ha identificato i
seguenti fattori come predittori indipendenti di ritardo: sintomi atipici, ecg poco significativo, ritardo decisionale del paziente, classe Killip >2.
Impatto dell’orario notturno o festivo
Il % delle pPCI sono state eseguite in orario notturno o festivo, il che indica che i criteri
logistici non influenzano l’indicazione alla pPCI. L’orario notturno e festivo non è associato
ad un allungamento dei tempi di trattamento né ad un peggior out come dei pazienti ().
Ruolo degli inibitori IIb/IIIa
All’inizio della nostra esperienza era stato incoraggiato il pretrattamento con Abciximab
subito dopo la diagnosi di STEMI, durante il trasporto o comunque durante li preparativi per
la pPCI. Nel 2010 le linee guida dell’ESC hanno posto questo trattamento in classe III, e per-
70
tanto è stato eliminato dal protocollo della rete genovese. Pur con il limite di una analisi di
dati non randomizzati, la nostra esperienza aveva evidenziato una associazione tra pretrattamento con Abciximab e riduzione della mortalità ospedaliera ().
Ruolo dell’accesso radiale
L’utilizzo dell’accesso arterioso radiale anziché femorale nella pPCI è passato dal 0%
all’80% nel corso della nostra esperienza (). I dati indicano che l’accesso radiale non comporta ritardo nella riapertura del vaso ma è associato a minori complicanze emorragiche e
vascolari.
Conclusioni
Il nostro centro è inserito in un collaudato sistema di rete per il trattamento dello STEMI.
La nostra esperienza indica che una elevatissima percentuale di pazienti con STEMI può
essere trattata con successo con pPCI, senza differenze tra ore lavorative, notturne o festive. Sono state individuate variabili cliniche ed organizzative che influenzano i tempi di
trattamento, che appaiono sicuramente migliorabili, pur confrontandosi favorevolmente
con quelli di altre esperienze italiane ed internazionali. La mortalità ospedaliera osservata
è relativamente elevata (8.%), ma riteniamo sia conseguenza della scarsissima selezione
dei pazienti (97% avviati alla pPCI) e dell’età (20% ultraottantenni). Attualmente più
dell’80% dei pazienti sono riperfusi mediante l’accesso radiale, con minori complicanze
emorragiche e vascolari, maggior comfort del paziente, e senza che ciò comporti un allungamento dei tempi di riperfusione.
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STEMI patients undergoing timely primary PCI is independently associated with lower in-hospital mortality (Abs). ESC Congress
2010
. Crimi G, Bartolini D, Bellotti S, Iannone A, Rubartelli P. Radial approach for primary PCI: no delays, but less bleeding and
complications (Abs). ESC Congress 2010
71
STEMI oggi in Liguria
Esperienza Ospedale Galliera
Andrea Rolandi
S.S.C. Emodinamica - Ospedale Galliera, Genova
Il trattamento dell’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI)
mediante angioplastica primaria è stato introdotto presso l’Ente Ospedaliero Galliera nel
200. Da allora il Laboratorio di Emodinamica è operativo come centro HUB nelle modalità di guardia attiva e reperibilità di 2 ore al giorno, 7 giorni a settimana (2/7). Dallo
stesso anno sono stati introdotti protocolli per il trattamento dell’infarto miocardico acuto
(STEMI) in relazione alle differenti modalità di afferenza del paziente. In particolare, per i
pazienti inviati al Laboratorio di Emodinamica mediante il Servizio di Soccorso 118, è stato
introdotto un protocollo condiviso con gli altri Ospedali dotati di Emodinamica operativa
2/7 dell’area metropolitana. Tale servizio include sia i casi di primo intervento del 118 sul
territorio, sia il trasporto secondario, cioè di pazienti con accesso presso ospedale privo di
servizio di emodinamica 2/7. Per i pazienti afferenti direttamente al Pronto Soccorso dell’ospedale o già degenti al momento dell’esordio dei sintomi, sono stati allestiti protocolli
terapeutici “interni” .
Dal 200 ad oggi 1187 pazienti sono stati trattati presso il laboratorio di emodinamica dell’E.O. Galliera per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST.
Attività del laboratorio
per il trattamento
dell’infarto STEMI con
PTCA primaria e rescue
dal 200 al 2010
72
L’età media della popolazione è di 6 anni (da 2 a 97 anni), 76% di sesso maschile. I pazienti con età superiore a 79 anni sono il 12.%.
Pazienti con STEMI
suddivisi per classe di età
L'afferenza dei pazienti è stata nel 2.0% dei casi dal territorio tramite Servizio Soccorso
118, nel 1.0% dal Pronto Soccorso dell' ospedale, nel 12. % da altro ospedale, nel .%
da altri reparti dell'ospedale e nell'1.2 % da guardia medica.
Afferenza dei pazienti
con STEMI
La presentazione clinica al momento dell'ingresso in Laboratorio è stata nel 90.% Classe
Killip 1, nel .2% classe Killip 2, nel 1.% classe Killip e nel .1% classe Killip .
In relazione al trattamento farmacologico, in aggiunta al trattamento con aspirina, clopidogrel
ed eparina, nell' 87% dei casi è stato impiegato un inibitore del recettore piastrinico gp IIbIIIa. Nel 76.9 % è stato impiegato Abiciximab, nel 8.% Eptidifibatide e nell' 1.7% Tirofiban.
Per quanto riguarda le tecniche di rivascolarizzazione, nel 9% dei casi è stata eseguita una
trombectomia con un progressivo aumento del tasso di impiego della metodica negli ultimi
anni. Nel 6.2% dei casi è stato impiegato uno stent metallico non rivestito, nel 20.1 % è
7
stato impiegato uno stent a rilascio di farmaco, nell'1.7% sono stati impiegati entrambi, infine nel .9% dei casi non è stata impiantata una endoprotesi. Nel 7.7% dei casi è stato
impiegato un contropulsatore aortico.
Percentuale annua di
impiego di trombectomia
e stent medicato.
L’accesso arterioso femorale risulta complessivamente il più utilizzato. L’accesso radiale è
stato impiegato in modo crescente fino a costituire, nell’ anno 2010, il più impiegato.
Percentuale annua di
accesso arterioso
femorale e radiale nei
pazienti con STEMI
L’analisi dei tempi, effettuata sui dati del registro WebSTEMI, riferita a 86 pazienti trattati
tra il 2006 ed il 2010, evidenzia che il tempo medio intercorso tra l'esordio dei sintomi e
l'esecuzione dell'ECG diagnostico è stata di 178 minuti. Il tempo medio tra la diagnosi (ECG
diagnostico) e la riapertura del vaso è stata di 97 minuti. Il tempo medio tra l'accesso all'ospedale (door finale) e la riapertura del vaso (balloon) è stato di 76 minuti.
L'outcome procedurale è stato nel 9.1% un flusso TIMI , nel .% TIMI 2, nello 0.% TIMI 1
e nel 1.% dei casi TIMI 0.
7
Flusso TIMI al termine
della procedura
La mortalità intra-ospedaliera è stata del 7.8%. L'incidenza di reinfarto intra-ospedaliero
è stata dello 0.%.
Nel .9% dei casi è stata eseguita una nuova procedura di rivascolarizzazione nel corso del
ricovero. Nello 0.% dei casi è stato necessario un ulteriore trattamento della lesione target. Nel .% dei casi è stata trattata un’ altra lesione.
Il ricorso ad intervento cardiochirurgico si è verificato nello 0.9% dei casi. Nello 0.2% dei
casi è stato necessario un intervento in elezione, nello 0.7% in urgenza.
L'incidenza complessiva di eventi emorragici è stata del 6.6%. L’incidenza di sanguinamenti
minori è stata del .7%, l’incidenza di sanguinamenti maggiori è stata del 2.9% .
Eventi
%
Mortalità intra-ospedaliera
Re-infarto intra-ospedaliero
PTCA su lesione target
PTCA su altra lesione
CABG in urgenza
CABG elettivo
Sanguinamenti minori
Sanguinamenti maggiori
7.8
0.
0.
.
0.7
0.2
.7
2.9
La degenza media è stata di 7.6 giorni. La dimissione è avvenuta nel 76 % dei casi dal reparto Cardiologia UTIC e nel 2% dei casi da altri reparti.
7
STEMI.
L’esperienza della Spezia nel 2010.
Gianfranco Mazzotta
S.C. di Cardiologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia
Dalla primavera del 2009, il Servizio 118 della ASL si è organizzato per offrire a tutti gli
STEMI con presentazione precoce la terapia con angioplastica primaria. Il protocollo farmacologico durante il trasporto prevedeva il classico schema MANO, clopidogrel in dose di
carico, eparina UHF e abcximab. Il Servizio 118 ha sempre avuto la possibilità di inviare il
tracciato elettrocardiografico al Cardiologi di Guardia dell’Ospedale S. Andrea. Fino ad agosto 2009, la Sala di Emodinamica è stata aperta 6 ore al mattino (8-1); dal 1 agosto al
1 dicembre, per 12 ore (8-20). Di conseguenza, i malati con STEMI venivano trattati alla
Spezia in quelle ore, e venivano inviati, previi accordi telefonici, alla Sala di Emodinamica
dell’O.P.A. di Massa negli altri orari. Dal 1 dicembre 2009, la Sala di Emodinamica della
Spezia è aperta H2 per 6 giorni l’anno.
Da questa data, quindi, tutti i malati con STEMI vengono gestiti dalla S.C. di Cardiologia della
Spezia, per la ASL . Gli STEMI che si sono presentati alla nostra osservazione nell’anno
solare 2010 sono stati 2, di cui 8 presentazioni molto tardive (superiori alle 12 ore). 170
hanno eseguito coronarografia d’urgenza e angioplastica primaria. In 6 casi si è proceduto a tromboaspirazione diretta, in casi ad IVUS. In 16 casi, per protocollo interno concordato, si è eseguita PTCA solo sul vaso colpevole; in 6 casi, 2 lesioni erano co-culprit,
oppure non era possibile comprendere con esattezza quale delle 2 avesse più peso nel
determinare lo STEMI, e quindi sono state trattate entrambe. Non vi è stata mortalità all’interno della Sala di Emodinamica nei malati con STEMI. Sempre nel 2010, sono state eseguite altre 97 PTCA su angina stabile, instabile, NON STEMI, STEMI tardivi, con 2 decessi
in Sala di Emodinamica (grave NON-STEMI con malattia del tronco comune in ottantasettente, trivasale in dialisi con angina instabile in settantacinquenne). La mortalità totale intraospedaliera per tutti gli infarti è stata del 6,2%, con un’età mediana di 7 anni.
Tornando agli STEMI sottoposti a PTCA primaria, 170 appunto, il 21% è arrivato direttamente in Sala di Emodinamica provenendo dal 118; il 6% provenendo dal Pronto Soccorso
della Spezia, il 29% da quello di Sarzana, l’1% dal Pronto Soccorso di Levanto; il restante
% proveniva da ricoverati all’interno dell’Ospedale S. Andrea stesso. Il tempo dal dolore
al primo contatto medico è stato di 110 minuti quando il Malato chiamava il 118, 212 minuti nelle altre presentazioni; il tempo dal primo contatto al pallone è stato di 99 minuti con
il 118, 126 minuti con le presentazioni alternative; il tempo door to balloon è simile e molto
buono, 0 e 2 minuti rispettivamente (unica differenza non significativa). Il tempo totale
dall’inizio del dolore al pallone è di 210 minuti nei malati con STEMI che decidono di chiamare il Servizio 118, 8 minuti negli altri. Da Febbraio 2011, il protocollo farmacologico
in atto presso il Servizio 118 è cambiato, e si è uniformato a quello elaborato ex novo il Liguria, non comprende più l’abcximab che è somministrato solo in Sala di Emodinamica.
76
Poche riflessioni. I cittadini che chiamano direttamente il 118 sono troppo pochi. Questo dipende verosimilmente dal fatto che il servizio di emergenza nello STEMI è in atto da un
tempo limitato e che una buona parte della popolazione deve prenderne coscienza. Sono
in atto campagne pubblicitarie congiunte con la Neurologia (per la trombo lisi nell’isctus)
per sensibilizzare a questo scopo, giacché la differenza sulla tempistica è enorme. La concentrazione di tutte le strutture dell’emergenza in un solo padiglione dotato di 2 ascensori
avvantaggia la movimentazione dei malati e contribuisce a realizzare tempi interni veramente brevi. Emergono quindi problemi di consapevolezza della cittadinanza e restano
problematiche gestionali che presentano margini di miglioramento soprattutto per il distretto meno vicino, quello di Levanto.
77
Protocollo di Gestione
dell'Infarto Miocardico Acuto
a ST sopraslivellato (STEMI)
nell’ambito della Regione Liguria
A cura del Gruppo Collaborativo Interdisciplinare della Regione Liguria per il Percorso di
Cura dello STEMI
F. Abbadessa, F. Arcidiacono, P. Ballarino, D. Bartolini, P. Bellotti, L. Beringheli, F. Bermano,
L. Borgo, M. Brignole, F. Chiarella, M. Comaschi, P. Cremonesi, R. Delfino, F. Della Rovere,
C. Del Prato, S. Domenicucci, S. Esposito, S. Ferlito, R. Griffo, P. Iannoni, G. Lerza, G. Mazzotta, F. Miccoli, P. Moscatelli, G. Orengo, E. Puggioni, G. Regolini, P. Rubartelli, P. Spirito, F.
Torracca, M. Zanna
Presentazione di Marco Comaschi
Introduzione
Ridurre la mortalità nei pazienti con STEMI rimane l’obiettivo a cui tendono tutti gli sforzi
terapeutici, pertanto cruciale diventa anche ridurre il tempo tra il primo contatto medico e
l’inizio di una strategia riperfusiva volta a salvare quanto più muscolo cardiaco possibile,
secondo l’ormai consolidata evidenza che il tempo è muscolo.
Le due terapie riperfusive attualmente disponibili sono l’angioplastica coronarica (PCI) e la
fibrinolisi. Chiedersi quale sia l’opzione immediatamente utilizzabile in un determinato limite temporale è prioritario nella decisione su quale strategia seguire dopo la diagnosi di
STEMI, piuttosto che considerare semplicemente quale trattamento offra i maggiori benefici da un punto di vista teorico, senza tener conto dei tempi e della quantità di tessuto cardiaco ischemico che sta andando incontro a necrosi.
Sebbene l’angioplastica primaria sia il trattamento di scelta quando può essere effettuata
entro 90 – 120 minuti dal primo contatto medico, a volte non è possibile praticarla nella
finestra temporale utile. La procedura, inoltre, oltre che dal fattore tempo dipende da altri
due aspetti importanti: dall’esperienza dell’operatore e dal volume di procedure del Centro. E’, infatti, ormai acquisito che la mortalità risulta significativamente più alta nei Centri
e per gli operatori “low – volume”.
E’ dimostrato, inoltre, che i vantaggi dell’angioplastica spesso si annullano quando il ritardo per l’esecuzione della PCI, rispetto al tempo necessario per eseguire la trombolisi, è
superiore a 60 minuti. I vantaggi variano considerevolmente in funzione di alcuni fattori
come l’età e il rischio emorragico del paziente, il tempo trascorso dall’inizio dei sintomi, la
sede dell’infarto. Nella scelta della terapia riperfusiva questi fattori devono essere valutati
attentamente. In molti casi è opportuno, quindi, considerare la fibrinolisi precoce da effettuarsi anche in ambito pre – ospedaliero e la disponibilità di una PCI di routine o di salvataggio da eseguirsi nei casi di non completa risoluzione del tratto ST all’ECG.
78
A tutt'oggi la diagnosi e la cura dell’infarto spesso si basano su atti terapeutici concentrati
in un unico luogo rappresentato dall’Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) dell’ospedale più prossimo al paziente. Oggi deve essere previsto un ambito d’azione differente e concettualmente più ampio in cui diagnosi e terapia coinvolgano sedi diverse
dall’UTIC, quali il territorio…
Il diverso e più ampio ambito d’azione deve coinvolgere nella rete per la gestione dello
STEMI nuove figure professionali, e tra queste il personale dell’Area Emergenza – Urgenza
extraospedaliera. Si anticipa quindi il percorso diagnostico – terapeutico del paziente con
STEMI individuando nel Servizio Sanitario di Urgenza – Emergenza (S.S.U.Em) l’elemento
di continuità tra territorio, ospedale non dotato di emodinamica interventistica e ospedale
con emodinamica interventistica.
Al S.S.U.Em viene pertanto richiesto un ruolo attivo nella gestione diagnostica e terapeutica del paziente e nel concorrere a favorire lo sviluppo della rete delle strutture deputate
al trattamento dello STEMI, in linea con quanto definito dalla normativa regionale.
L’attività coordinata delle figure professionali coinvolte nella gestione del paziente con
STEMI determina obbligatoriamente la definizione di protocolli operativi e terapeutici concordati e contestualizzati al livello locale, riferiti alla fase diagnostica e terapeutica extraospedaliera,oltre a quella inter ed intraospedaliera
Obiettivi
Il documento riporta gli obiettivi prioritari per la gestione in emergenza – urgenza dell’ Infarto Miocardico con Tratto ST Elevato (STEMI) e che si possono così riassumere:
1. trasmettere il segnale elettrocardiografico dal territorio all’UTIC di riferimento territoriale
2. diagnosticare lo STEMI nel più breve tempo possibile
. rendere disponibili, nel minor tempo possibile, trattamenti adeguati per tutti i pazienti
con STEMI, indipendentemente dal luogo dove viene formulata la diagnosi
. aumentare il numero dei pazienti che giungono vivi in ospedale
. garantire percorsi diagnostici e terapeutici tempestivi e preordinati
6. accogliere in modo appropriato i pazienti con IMA acuto nelle UTIC con Emodinamica
7. iniziare il più rapidamente possibile un trattamento riperfusivo
8. aumentare la percentuale dei pazienti trattati con le terapie di riperfusione
9. assicurare il trattamento interventistico ai pazienti a più alto rischio
10.garantire una corretta e tempestiva informazione al paziente e ai suoi familiari
Situazione attuale nella diverse aree della Regione Liguria.
La Regione Liguria, comprendente capoluoghi di provincia, è suddivisa in ASL, oltre ad
un’Azienda Ospedaliera Universitaria e un Ente Ospedaliero afferenti all'area metropolitana genovese.
ASL 1 “Imperiese”
ASL 2 “Savonese”
Area Metropolitana genovese (ASL 3; A.O.U. Ospedale S.Martino; E.O.Ospedali Galliera)
ASL 4 Chiavarese
ASL 5 Spezzino
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Ogni ASL, come di seguito espresso, comprende almeno un DEA di I o II livello, uno o più
Pronto Soccorsi e, laddove l'estensione territoriale è maggiore o impervia, uno o più Punti
di Primo Intervento che si integrano con i rispettivi centri di riferimento come sotto indicato.
ASL 1 “Imperiese”
• ASL 1 OSPEDALE DI IMPERIA
Via S.AGATA 7 IMPERIA DEA di I livello (Presidi Riuniti)- Pronto Soccorso - Cardiologia /UTIC
• ASL 1 OSPEDALE DI SANREMO
Via G.Borea 6 SANREMO - DEA di I livello (Presidi Riuniti) - Pronto Soccorso - Cardiologia /UTIC
Laboratorio di emodinamica
• ASL 1 OSPEDALE DI BORDIGHERA
Via Aurelia 122 BORDIGHERA -DEA di I livello (Presidi Riuniti) -Pronto Soccorso
ASL 2 “Savonese”
• ASL 2 OSPEDALE S.PAOLO
Via Genova SavonaDEA 1°livello Pronto Soccorso/Cardiologia/UTIC
Laboratorio di emodinamica
• ASL 2 OSPEDALE S.MARIA DI MISERICORDIA Viale Martiri della Foce, Regione Banoli,
ALBENGA
Pronto Soccorso Cardiologia di riferimento DEA S.Corona
• ASL 2 OSPEDALE S.GIUSEPPE
V.le Martiri della Libertà 0 Cairo Montenotte P.S. Cardiologia di riferimento DEA Osp.
S.Paolo SV
• ASL 2 OSPEDALE S.CORONA
Via XXV Aprile 8 PIETRA LIGURE DEA II Livello Cardiologia /UTIC
Laboratorio di emodinamica
Area Metropolitana genovese
• ASL OSPEDALE VILLA SCASSI
Corso Onofrio Scassi 1 Genova –Sampierdarena DEA 1° livello Cardiologia /UTIC
Laboratorio di emodinamica
• OSPEDALE S.CARLO
Piazzale Giannasso (Ge-Voltri) Pronto Soccorso/Cardiologia (Servizio)
• OSPEDALE PADRE ANTERO MICONE
Via Domenico Oliva 22 (Ge-Sestri Ponente) Pronto Soccorso/Cardiologia/UTIC NO
Emodinamica
• OSPEDALE LA COLLETTA
Via del Giappone Arenzano (GE) Cardiologia Riabilitativa
• OSPEDALE ANDREA GALLINO
Via Ospedale Gallino (Ge-Pontedecimo) Primo intervento h12 Cardiologia/UTIC NO
Emodinamica
• A.O. U. S.MARTINO
L.go Rosanna Benzi 10 Genova DEA II Livello Cardiologia/UTIC
80
Laboratorio di emodinamica
• E.O. OSPEDALI GALLIERA
Via Mura delle Cappuccine 1 Genova DEA I Livello Cardiologia/UTIC
Laboratorio di emodinamica
ASL 4 Chiavarese
• ASL OSPEDALI RIUNITI LEONARDI E RIBOLI
Via Don Bobbio 2 LAVAGNA (Ge) DEA I Livello Cardiologia/UTIC
Laboratorio di Emodinamica
• ASL OSPEDALE CIVILE SESTRI LEVANTE
Via Terzi Pronto Soccorso (Cardiologia di riferimento Ospedale Lavagna)
• ASL OSPEDALE CIVILE S.MARGHERITA LIGURE
Via Fratelli Arpe 1 Primo intervento (Cardiologia di riferimento Ospedale Lavagna)
• OSPEDALE “Nostra Signora di Montallegro” Rapallo
Via San Pietro 8 Rapallo (GE)
ASL 5 Spezzina
• OSPEDALE SANT'ANDREA LA SPEZIA
Via Vittorio Veneto 197 La Spezia DEA I Livello Cardiologia /UTIC
Laboratorio di emodinamica
• OSPEDALE FELETTINO
Via del Forno-Loc Felettino La Spezia
Pronto Soccorso (Cardiologia di riferimento Osp.S.Andrea, La Spezia)
• OSPEDALE S.NICOLO' LEVANTO
Via Madonna della Guardia LEVANTO La Spezia
Primo intervento (PS e Cardiologia di riferimento Osp.S.Andrea, La Spezia)
• PRESIDIO OSPEDALIERO SAN BARTOLOMEO
Via Cisa (Sp) - Pronto Soccorso (Cardiologia di riferimento Osp.S.Andrea La Spezia)
Un dolore toracico di sospetta natura cardiaca implica la registrazione di un ECG nel più
breve tempo possibile
Il Servizio di 118 garantisce su tutto il territorio automediche dotate di elettrocardiografi
a 12 derivazioni. La lettura e l'interpretazione dell'ECG può essere effettuata dal medico
dell'automedica o dal cardiologo di guardia dell'Ospedale S.Martino per l'area metropolitana genovese, dal cardiologo di guardia di Sanremo o di Imperia a seconda del territorio di pertinenza per la ASL 1; dal cardiologo dell'Ospedale di Savona o di Pietra Ligure
a seconda del territorio di pertinenza per la ASL 2: dal Cardiologo dell'Ospedale di Lavagna per la ASL ; dal cardiologo dell'Ospedale di Spezia per la ASL . I tracciati vengono
inviati per via telematica.
I Pazienti da sottoporre a PTCA presi in carico dal 118 verranno trasportati presso il laboratorio di emodinamica secondo il criterio della competenza territoriale: in caso di indisponibilità anche temporanea dell'emodinamica di riferimento accertata dal 118 (mancanza
posti UTIC, procedura in corso etc), il Paziente verrà trasportato ad altra emodinamica.
Resta inteso che il Servizio 118 mantiene la più alta discrezionalità sull'individuazione dell'emodinamica più idonea in relazione a situazioni particolari (traffico, logistica, situazioni
81
di criticità etc.), fermo restando che presso ciascuna azienda il Servizio deve essere immediatamente fruibile, 2 ore su 2, per 6 giorni all'anno.
Sarà compito del personale del Laboratorio di Emodinamica garantire l'attivazione della
sala nei tempi più brevi e avvertire tempestivamente il medico della centrale del 118 sull'operatività della sala stessa.
Qualora il Paziente trasportato dal personale del 118 dovesse arrivare nella struttura ospedaliera preposta prima dell'attivazione della sala, il Paziente verrà trasferito presso:
.Il PS per quanto riguarda l'Ospedale Galliera.
.L'UTIC del Monoblocco per quanto riguarda l'Osp San Martino
.il PS per quanto riguarda l’Ospedale Villa Scassi
.il PS per quanto riguarda l'Osp.S.Paolo di SV
.il PS per quanto riguarda l'Osp. di Pietra Ligure
.il PS per quanto riguarda l'Osp di Lavagna
.il PS per quanto riguarda l'Osp.S.Andrea di La Spezia.
.il PS per quanto riguarda l'Osp. di Sanremo
Per i pazienti trasportati presso un Laboratorio di Emodinamica per l’esecuzione di
una procedura di angioplastica primaria è auspicabile lo sviluppo di un protocollo
operativo che permetta la ricollocazione presso l’ Ospedale di competenza territoriale una volta superata la fase critica.
Basi scientifiche
Linee Guida ESC
STEMI:
• Presenza di dolore toracico prolungato insorto da più di venti minuti e da meno di sei ore.
• Tratto ST sopraslivellato oltre 1mm (0,1mV) in almeno due derivazioni contigue, oppure
BBS completo di nuova insorgenza.
Il trattamento dello STEMI è mirato ad una quanto mai precoce rivascolarizzazione:
Primary PCI: rivascolarizzazione percutanea senza precedente o concomitante trattamento
fibrinolitico
Secondo le attuali linee guida (ESC/EACTS GUIDELINES European Heart Journal (2010) 31,
2501–2555 doi:10.1093/eurheartj/ehq277) è necessario concentrare ogni sforzo per ridurre al minimo ogni ritardo, specialmente nelle prime due ore dall'insorgenza dei sintomi.
La preferenza è l'immediato trasferimento dello STEMI verso un centro in grado di eseguire
PCI e nessun fibrinolitico dovrebbe essere somministrato se è prevedibile un intervallo dall'insorgenza del dolore alla PCI inferiore alle due ore.
Se il ritardo è prevedibilmente superiore alle due ore, (o >90 min in Pazienti di età inferiore a 7 anni) il Paziente deve essere sottoposto a fibrinolisi e quindi trasportato a un
82
centro dove angiografia e PCI possano essere organizzate in un intervallo compreso fra
le e le 2 ore.
STEMI : terapia antiaggregante piastrinica
Aspirina
L'aspirina acetila irreversibilmente la ciclossigenasi prevenendo la formazione di trombossano A2 ed esercita un'azione antiflogistica. Alcuni studi realizzati negli anni ‘70, prima
della diffusione dell'angioplastica e del bypass, hanno confermato l'efficacia dell'ASA (somministrata, a seconda del trial, a dosi variabili da 2 a 7 mg/die) rispetto a placebo e la
revisione che è stata fatta dal Antithrombotic Trialists’ Collaboration ha osservato una riduzione del 22% dell'indice composito comprendente morte cardiovascolare, IMA o ictus
(1.2% vs 10.7%, p < 0.0001), del 1% della mortalità cardiovascolare (p < 0.0001) e nei
pazienti con angina instabile una riduzione del 6% degli eventi vascolari (1.% vs 8.0%,
p < 0.0001). Tuttavia, nonostante i benefici mostrati dall'ASA, la mortalità e la morbilità
dopo una sindrome coronarica rimangono elevate e questo ha spinto la ricerca al fine di
trovare molecole per ridurre questo rischio da usare a breve e a lungo termine, da sole od
in associazione all'ASA.
Tienopiridinici
Gli antagonisti del recettore dell'ADP, ticlopidina, clopidogrel e prasugrel, agiscono prevenendo la degranulazione piastrinica e la reazione di attivazione piastrinica, inibendo la trasformazione del recettore GP IIb/IIIa allo stato che lega il fibrinogeno e prevenendo in modo
selettivo ed irreversibile il legame dell’ADP al recettore piastrinicoP2Y12.
La ticlopidina è una molecola attiva mentre clopidogrel e prasugrel sono profarmaci e necessitano pertanto di attivazione in vivo. La ticlopidina tuttavia agisce lentamente esercitando la sua azione dopo alcuni giorni e pertanto non è utile nel trattamento acuto delle
sindromi coronariche, al contrario clopidogrel e prasugrel somministrati in bolo (00 mg
o 60 mg, rispettivamente) agiscono rapidamente. Pertanto la ticlopidina sembrerebbe dal
punto di vista teorico maggiormente indicata nel trattamento dell'angina instabile in cui
si è rivelata effettivamente efficace in base ai risultati di un trial randomizzato che ha
comparato la ticlopidina con il placebo in 662 pazienti con angina instabile dando luogo
ad una riduzione del 6% dell'indice combinato comprendente morte cardiovascolare e
IMA (p = 0.009).
Il clopidogrel è stato comparato all'ASA nello studio CAPRIE, per la prevenzione secondaria degli eventi ischemici. Rispetto all'ASA, ad 1,9 anni di follow-up, clopidogrel è risultato
associato ad una riduzione dell' 8.7% dell'end point combinato morte cardiovascolare, IMA
e ictus ischemico (9% CI da 0.% a 16.%).
8
La doppia antiaggregazione:m ASA e Tienopiridinici
Dopo un evento coronarico l'inibizione piastrinica conferisce vantaggi sensibili in termini
di mortalità e morbilità. Attualmente viene abitualmente praticata una doppia inibizione attraverso l'associazione di ASA e di una tienopiridina. Il farmaco maggiormente impiegato
è il clopidogrel, ma alcuni pazienti rispondono in modo inadeguato, pertanto sono stati sviluppati altri farmaci allo scopo: uno di questi è il prasugrel, che come il clopidogrel è un profarmaco e dunque necessita di attivazione in metabolita attivo prima di poter esercitare il
suo effetto farmacodinamico.
Teoricamente rispetto al clopidogrel il prasugrel potrebbe giovarsi anche sul piano clinico
della maggiore e più riproducibile trasformazione epatica del profarmaco nel metabolita attivo, inducendo un' inibizione dell’aggregazione piastrinica più rapida e pronunciata e con
minore variabilità interindividuale. I risultati dello studio TRITON-TIMI 8, che è stato condotto in modo mirabile, avendo registrato un numero bassissimo di casi perduti al followup, ha dimostrato una maggiore efficacia di prasugrel rispetto a clopidogrel, con una
maggiore inibizione dell'aggregazione piastrinica con il prasugrel rispetto a clopidogrel,
sia a 6 ore dal carico ( 7,8% vs 1,8% p < 0,0001), che nella fase di mantenimento
(61,% vs 6,1% p < 0,0001) e un miglioramento significativo dell'indice combinato.
Questo risultato si paga con un maggior numero di emorragie gravi, tanto che la mortalità per
tutte le cause non è significativamente diversa tra i pazienti trattati con clopidogrel o prasugrel
Nei pazienti con sindrome coronarica acuta che devono sottoporsi a PCI, la combinazione
prasugrel + ASA rispetto a clopidogrel + ASA è risultata associata con un minor numero di
eventi ischemici ma anche ad un maggior numero di emorragie maggiori e fatali senza differenze in termini di mortalità globale tra i due gruppi. Sulla base di quanto sopra si enfatizza la necessità di valutare sia il rischio cardiovascolare che il rischio emorragico del singolo
paziente, ai fini di una scelta individualizzata della terapia antitrombotica più adeguata.
Un'analisi di sottogruppo predefinito ha dimostrato che i pazienti STEMI o NSTE-ACS candidati a PCI traggono significativo vantaggio da ticagrelor, rispetto a clopidogrel, con sovrapponibile incidenza di sanguinamento. La maggior parte degli studi sugli inibitori della
glicoproteina IIb-IIIa in STEMI ha valutato Abciximab (0,2 mg / kg ev in bolo seguito da
un'infusione di 0,12 mg / kg / min fino ad un massimo di 10 mg / min per 12 h). I risultati sono discordanti riguardo l'efficacia della modalità di somministrazione (somministrazione precoce) con gli inibitori della glicoproteina IIb-IIIa prima del cateterismo. Mentre il
solo disponibile RCT86 non ha mostrato alcun beneficio, studi, meta-analisi, e analisi post
hoc di APEX-AMI2 evidenziano risultati positivi. I controversi dati di letteratura, l'esito
negativo del solo RCT 86 prospettico, e gli effetti benefici della più rapida azione e della
maggior efficacia degli ADP- bloccanti nella PCI primaria non supportano l'impiego preospedaliero o pre-cateterismo degli inibitori della glicoproteina IIb-IIIa.
Terapia anticoagulante
Le opzioni per la terapia anticoagulante includono: 1) eparina frazionata 60 UI / kg bolo ev
con inibitore della glicoproteina IIb-IIIa; 2) eparina frazionata 100 UI / kg iv bolo senza inibitore della glicoproteina IIb-IIIa; ) bivalirudina 0,7 mg / kg in bolo seguito da 1,7 mg /
kg / h. Gli antitrombinici possono essere sospesi dopo PCI per STEMI con alcune eccezioni
8
(aneurisma del ventricolo sinistro e / o trombo, FA, prolungato riposo a letto, ritardata rimozione della cannula). Uno studio recente ha valutato l'uso della bivalirudina in monoterapia in alternativa alla UFH combinata con un GPIIb / IIIa inhibitor: tassi significativamente
più bassi di emorragia severa indicano che nei pazienti con STEMI ad alto rischio di sanguinamento la bivalirudina è preferibile. Ulteriori outcome clinici valutati nel corso di un
anno (RCT HORIZONS) hanno confermato il maggior beneficio di bivalirudina in monoterapia vs UFH in associazione ad un inibitore della glicoproteina IIb-IIIa. Ancora incertezza
invece rimane nella prima fase della PCI, quando le complicanze trombotiche sembrano essere più elevate con bivaluridina in monoterapia. Tuttavia, questo non ha modificato a lungo
termine i risultati clinici, probabilmente perché la trombosi acuta dello stent in ospedale può
essere affrontata tempestivamente, a differenza del ritardo che comporta la stenosi dello
stent fuori dall'ospedale. Fondaparinux infine è risultato inferiore a UFH nel contesto della
PCI primaria nei pazienti con STEMI (OASIS-6)
Stratificazione del rischio.
La valutazione del rischio è un aspetto fondamentale della pratica clinica , di rilevante importanza non solo per il paziente ma anche per il medico. Nel lungo termine permette infatti un controllo di qualità e una valutazione di economia sanitaria, di sussidio ai singoli
operatori, alle istituzioni e agli organismi per valutare, confrontare e regolamentare le prestazioni. La rivascolarizzazione miocardica infatti è appropriata quando i risultati positivi attesi, in termini di sopravvivenza o outcomes (sintomi, stato funzionale e/o qualità della
vita), superano le prevedibili conseguenze negative della procedura. Numerosi modelli
sono stati sviluppati per la stratificazione del rischio: un'analisi comparativa di questi ha
dimostrato che negli studi disponibili sono in gran parte valutati modelli di rischio individuali in diverse popolazioni di pazienti con misure di outcome diverse presentate in momenti diversi. Restringendo queste limitazioni l'indicazione ad attenersi ad un modello
piuttosto che ad un altro, è importante sottolineare che nessun punteggio di rischio può
prevedere con precisione gli eventi in un singolo paziente. In definitiva la stratificazione del
rischio dovrebbe essere utilizzata come una guida, mentre il giudizio clinico e il dialogo
multidisciplinare (Heart Team) restano indispensabili.
Per quanto concerne la Regione Liguria, coerentemente con le altre Regioni italiane, il Medico di Guardia di P.S. e/o Cardiologo ,contestualmente alla interpretazione del tracciato ed
alla ipotesi diagnostica di STEMI, potrà comunque, per individuare i pazienti ad alto e basso
rischio, seguire lo schema proposto dal gruppo TIMI qui di seguito riportato.
TIMI RISK SCORE STEMI
Età > 7 anni
Età > 6 anni e < 7 anni
Diabete – Ipertensione arteriosa – Angina
P.A. sistolica < 100 mmHg
Frequenza cardiaca > 100
Killip II – III – IV
Peso minore di 67 Kg
IMA anteriore o BBSin di nuova insorgenza
Tempo pre-trombolisi > ore
Punti
2
1
2
1
1
1
1
8
Punteggio
Mortalità a 30 giorni (%)
0
1
2
6
7
8
>8
0,8
1,6
2,2
,
7,
12
16
2
27
6
Sono considerati pazienti ad alto rischio quelli il cui TIMI SCORE è > .
Poiché tale schema attribuisce un punteggio elevato all’età, si è deciso di considerare come
pazienti ad alto rischio, indipendentemente dall’età, anche i pazienti con STEMI che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:
• Shock cardiogeno
• Sopralivellamento di ST in almeno cinque derivazioni (periferiche e/o precordiali)
• IMA anteriore
• Recidiva di IMA eterosede
Nei pazienti ad alto rischio è indicato come trattamento terapeutico ideale la riperfusione meccanica con angioplastica coronarica, da eseguirsi entro 90’ dalla diagnosi.
L’angioplastica primaria è inoltre indicata in tutti quei pazienti che presentano controindicazione alla fibrinolisi.
Nei pazienti con età > 80 anni l’effettuazione dell’esame coronarografico e l’eventuale
PTCA primaria deve tenere conto dell’età biologica più che di quella anagrafica e comunque risultano controindicate nelle seguenti condizioni:
• Insufficienza renale di grado elevato (creatinina > )
• Vasculopatia polidistrettuale di grado severo
• Encefalopatia multinfartuale
• Scadenti condizioni generali
• Gammopatia monoclonale nota
E 'importante ancora sottolineare che nessun punteggio di rischio può prevedere con precisione gli eventi in un singolo paziente. In definitiva la stratificazione del rischio dovrebbe
essere utilizzata come una guida, mentre il giudizio clinico e il dialogo multidisciplinare
(Heart Team) restano indispensabili.
L’indicazione di rigidi schemi temporali è stata recentemente, e più pragmaticamente, sostituita dalla proposta di introdurre criteri di maggiore flessibilità, poiché è preferibile l’intervento di angioplastica se eseguito entro 120 minuti dalla presentazione in ospedale, per
pazienti che giungano con tempi di ischemia che superano le 2 ore. Per ingressi più pre-
86
coci e con ampia area a rischio, la raccomandazione è di ridurre tale tempo a 90 minuti.
In altri termini, per IMA anche estesi diagnosticati precocemente e per i quali la fibrinolisi
si rivela molto spesso efficace, si propone di procedere ad angioplastica primaria solo
quando la realtà organizzativa (comprendente anche il trasporto ad un’altra struttura in
grado di eseguire in tempi brevi la rivascolarizzazione meccanica) comporti ritardi temporali contenuti. Per STEMI diagnosticati più tardivamente (per i quali la fibrinolisi si è dimostrata poco efficace) il ritardo tollerabile per l’esecuzione della PCI primaria può essere
anche maggiore, orientativamente è accettato un tempo fino a 120 minuti”
Trombolisi pre-ospedaliera
Se ne raccomanda l’utilizzo in fase preospedaliera soprattutto nei pazienti a presentazione
precoce.
Nel rapporto integrato con l’angioplastica primaria, invece, se ne raccomanda l’utilizzo se:
1. il ritardo all’angioplastica (ECG to balloon) è stimato superiore ai 90 minuti per i pazienti
con tempo di esordio dei sintomi inferiore alle 2 ore (*o superiore ai 60’ se i pazienti, ad
esordio entro 2 ore, presentano infarto anteriore e età <6 anni)
2. il ritardo all’angioplastica (ECG to balloon) è stimato superiore ai 120 minuti per i pazienti
con tempo di esordi dei sintomi superiori alle 2 ore
Indicazioni elettive per la terapia trombolitica nello STEMI
Presentazione entro 12 ore dall’inizio del dolore toracico suggestivo per IMA e:
• sopraslivellamento del tratto ST > 0,2 mV in 2 derivazioni precordiali adiacenti oppure
> 0,1 mV in 2 o più derivazioni periferiche “adiacenti”
Oppure
• onde R dominanti e depressione del tratto ST in V1 – V (IMA posteriore)
Oppure
• blocco di branca sinistra completo di nuova insorgenza (o presunto tale)
In pz trattati entro 6-12 ore dall’ insorgenza dei sintomi in centri di esperienza con alti volumi di lavoro, con la PCI primaria si ottiene una maggiore efficacia per quanto riguarda la
pervietà del vaso, riduzione della riocclusione, miglioramento della funzione residua del
ventricolo sn e migliore clinical out come.
Nonostante le frequenti controindicazioni, la limitata efficacia nel favorire la riperfusione e
il più alto rischio di sanguinamento, la terapia fibrinolitica, preferibilmente somministrata
come trattamento pre-ospedaliero, rimane una alternativa importante alla rivascolarizzazione meccanica.
Controindicazioni alla terapia fibrinolitica
Controindicazioni relative
• ipertensione grave non controllata dalla terapia al momento della presentazione (PA
180/110 mmHg)
• malattia cerebrovascolare
• attacco ischemico transitorio nei 6 mesi precedenti
• gravidanza o allattamento
87
•
•
•
•
•
•
•
sanguinamento gastrointestinale o urogenitale negli ultimi 10 giorni
valvulopatia (es. SM con FA cronica)
puntura arteriosa non comprimibile
iniezione i.m. entro 2 giorni
emorragie oftalmiche, retinopatia diabetica emorragica
età > 7 anni
peso < 60 Kg (valutato in relazione alla staura corporea)
Controindicazioni assolute
• RCP prolungata (> 2 min)
• pregresso ictus emorragico
• ictus ischemico nei 6 mesi precedenti
• malattie SNC (aneurisma, neoplasia, recente trauma cranico, ESA o intervento NCH nei
6 mesi precedenti)
• paziente in TAO con INR > 2
• emorragia interna in atto (escluse le mestruazioni) o sanguinamento gastrointestinale
nelle settimane precedenti
• diatesi emorragica nota
• recente intervento di chirurgia maggiore o biopsia organo parenchimale negli ultimi
2 mesi
• trauma maggiore (entro settimane)
• dissecazione aortica diagnosticata o sospetta
• ulcera peptica attiva, pancreatine acuta, cirrosi epatica, varici esofagee, epatite attiva,
insufficienza epatica
• endocardite batterica sub - acuta
• pericardite acuta
• aneurisma arterioso o malformazione AV ota
• ipersensibilità nota al TNK
Il trattamento riperfusivo va applicato sempre se la diagnosi viene fatta entro 12 ore
dall’esordio e, in caso di persistenza di sintomi o sopralivellamento di ST, fino a 2 ore
dall’esordio.
L’opportunità di sottoporre il paziente alla terapia riperfusiva è comunque subordinata alla
valutazione delle sue condizioni cliniche generali e/o alla presenza di gravi comorbidità
evidenziabili in tempi brevi.
In caso di persistenza di dubbi o sulla diagnosi o sulla scelta del trattamento riperfusivo è
opportuno l’ invio del paziente a un DEA con una Cardiologia dotata di Emodinamica
Centralizzazione
I pazienti trasportati in Ospedali senza PCI facilities dovrebbero essere trasferiti senza essere trattati con terapia fibrinolitica, se il tempo stimato tra il primo contatto medico e il balloon inflation e’ inferiore a 2 ore.
• Se il tempo stimato tra il primo contatto medico e il balloon inflation e’ superiore a 2 ore
( o superiore a 90 minuti in pazienti di eta’ inferiore a 7 anni con Stemi anteriore esteso
e recente insorgenza di sintomi ) i pazienti dovrebbero ricevere immediatamente la fi-
88
brinolisi e poi trasferiti per eseguire PCI in -2 ore.
• Non e’ stata dimostrata l’ utilità di una seconda dose di trombolitico, per cui in caso di
persistente sopraslivellamento del tratto ST dopo fibrinolisi, e/o dolore toracico persistente, e’ da prendere in considerazione un rapido trasferimento a un PCI centre per rescue angioplasty.
Si raccomanda una stretta adesione ai tempi riportati e si sottolinea la non utilità di alcuni
comportamenti che possono allungare i tempi di trattamento : fondamentali la lettura dell’
Ecg e il tentativo, quando possibile, di assicurare al pz la rivascolarizzazione meccanica.
Indicazione alla trombolisi
• Stemi insorto entro 0 minuti e arrivo a un centro di emodinamica oltre 0 minuti
• Stemi insorto entro 1 ora e arrivo a un centro di emodinamica oltre 1 ora
• Stemi tra 1 e 2 ore e arrivo a un centro di emodinamica oltre un’ ora e mezza
Indicazioni alla PTCA
• controindicazioni alla trombolisi
• eta’ > 6 anni
• fc > 100 b/min
• p.a. sistolica < 100 mmHg
• edema polmonare acuto
• > derivazioni Ecg interessate dal sopraslivellamento del tratto ST
• Shock cardiogeno
• Reinfarto in sede elettrocardiograficamente diversa da un pregresso infarto
• Infarto in pregresso by-pass aorto-coronarico
Tutti gli altri pazienti con STEMI devono essere trattati con angioplastica primaria
Altre condizioni che indicano il trasporto a un centro con emodinamica anziché la fibrinolisi:
• Diagnosi di STEMI dubbia
• Classe Killip >1 (vedi sotto)
• Età > 6 anni
• Sintomi insorti da più di 2 ore ??
• Pregresso intervento di Bypass Coronarico ??
Classe KILLIP
Eupnea
Presenza di rantoli
Edema polmonare acuto
Shock
Killip I
Killip II
Killip III
Killip IV
Resta inteso che il medico mantiene potere decisionale per ogni singolo caso in relazione
a situazioni particolari (traffico, logistica, situazioni di criticità ecc.)
• La riperfusione deve essere ottenuta al più presto possibile, quindi, in caso di fibrinolisi,
questa deve essere praticata il più precocemente possibile (preospedaliera a cura del 118
89
o in Pronto Soccorso se la diagnosi è fatta in Pronto Soccorso); in caso di pPTCA i tempi
di trasporto devono essere velocizzati al massimo.
• Per i pazienti con STEMI che si presentino in PS periferici, il servizio 118 si impegna nei
casi previsti ad effettuare il trasporto assistito presso il Laboratorio di Emodinamica di
riferimento e/o presso le UTIC di riferimento.
Protocollo regionale
Documento di consenso operativo fra 118-cardiologie-DEA della
Liguria
1. Gestione in centrale operativa
a. Indicazione da parte dell’operatore della centrale operativa del 118, sulla base della
procedura prevista dal Dispatch, di far assumere al paziente, se possibile e se ne ha
disponibilità, 00-00 mg di aspirina.
2. Gestione da parte del medico della automedica
a. Somministrare Morfina-Aspirina-Nitrati-Ossigeno come indicato
b. Somministrare EPARINA UFH al dosaggio di 60 U/kg, nel caso sia possibile determinare il peso corporeo con precisione, altrimenti utilizzare un dosaggio compreso tra
000 e 000U, preferibilmente senza superare le 000 U.
c. Non vi è indicazione a utilizzare FONDAPARINUX
d. Somministrare PRASUGREL 60 mg
i. nei pazienti che non hanno avuto un pregresso TIA o stroke,
ii. nei pazienti di età inferiore a 7 anni.
iii. nei pazienti diabetici
e. Somministrare CLOPIDOGREL 600 mg:
i. nei pazienti con pregresso TIA/stroke,
ii. nei pazienti con età superiore ai 7 anni,
iii. nel caso vi sia indicazione alla trombolisi
f. Somministrare beta-bloccante se giudicato utile.
Servizi 118 & Pronto Soccorso
3. indicazione alla trombolisi
a. STEMI insorto entro 0’ e arrivo ad un centro di Emodinamica oltre 0’
b. STEMI insorto entro 1 ora e arrivo ad un centro di Emodinamica oltre 1 ora
c. STEMI tra 1 e 2 ore e arrivo ad un centro di Emodinamica oltre un’ora e mezza
4. Indicazione alla PTCA
a. Controindicazioni alla trombolisi
b. Età > 6 anni
c. FC > 100/min
d. PA sistolica < 100 mmHg
e. Edema polmonare
f. Più di derivazioni ECG interessate dal sopralivellamento di ST
g. Shock Cardiogeno
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h. Reinfarto in sede elettrocardiograficamente diversa da un pregresso infarto
i. Infarto in pregresso bypass aorto-coronarico
Tutti gli altri malati con STEMI debbono essere trattati con angioplastica primaria
Eventuale somministrazione di abciximab in fase preospedaliera viene decisa localmente,
in attesa dell’approvazione da parte della Federazione Italiana di Cardiologia in merito alle
linee guida europee
Gestione preospedaliera dei pazienti con STEMI
Scelta della terapia riperfusiva:
se nella tabella tutte le risposte sono NO è indicata la trombolisi:
Data _____________
Cognome __________________________ Nome ____________________________
SI
Sintomi insorti entro 0’ e arrivo ad un centro di Emodinamica entro 0’
Sintomi insorti tra 0’ e 60’ e arrivo ad un centro di Emodinamica entro 1 ora
Sintomi insorti oltre 60’ e < 6 ore e arrivo ad un centro di Emodinamica
entro un’ora e mezza
Paziente con più di 6 anni
FC superiore a 100’
PA sistolica inferiore a 100 mmHg
ST elevato in più di derivazioni ECG
Paziente in EPA o shock cardiogeno
Reinfarto in sede ECG diversa da un pregresso IMA
Infarto in pregresso by-pass aorto-coronarico
Controindicazioni assolute alla fibrinolisi
Precedente ictus emorragico
Precedenti eventi cerebrovascolari entro l’anno precedente.
Neoplasia intracranica o spinale nota
Emorragia interna attiva (ulcera, rettocolite ulcerosa, sanguinamenti emorroidari)
Chirurgia maggiore nelle 2 settimane precedenti
Evidenti sospetti di dissezione aortica
Gravidanza
Controindicazioni relative alla fibrinolisi
Attuale uso di anticoagulanti (inr>2-)
Significativi disordini emorragici negli ultimi 6 mesi
Trauma recente ( settimane),incluso trauma cranico
Cpr prolungata (>10 min)e potenzialmente traumatica
Chirurgia maggiore (>2 settimane prima),o biopsia parenchimale
Punture vascolari non comprimibili
Recente (2- settimane) emorragia interna
Ulcera peptica attiva
Insufficienza renale cronica in trattamento dialitico
Ipertensione grave e incontrollata
NO
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Terapia aggiuntiva
. Morfina-Aspirina-Nitrati-Ossigeno, secondo le indicazioni
6. Somministrare EPARINA UFH al dosaggio di 60 U/kg, nel caso sia possibile determinare il peso corporeo con precisione, altrimenti utilizzare un dosaggio compreso tra 000 e 000U, preferibilmente senza superare le 000 U
7. Somministrare PRASUGREL 60 mg (6 compresse)
a. nei pazienti che non hanno avuto un pregresso TIA o stroke,
b. nei pazienti di età inferiore a 7 anni.
c. nei pazienti diabetici indipendentemente dall’età
8. Somministrare CLOPIDOGREL 600 mg (2 compresse)
a. nei pazienti con pregresso TIA/stroke,
b. nei pazienti di età superiore ai 7 anni,
c. nel caso vi sia indicazione alla trombolisi
9. Somministrare beta-bloccante, se giudicato utile
Scenari:
1. Chiamata per dolore toracico alla CO 118
a. Invio automedica e ambulanza
b. ECG
c. ECG positivo per STEMI > sintomi insorti da meno di due ore
d. Terapia come da schema
e. Trasporto diretto Emodinamica di riferimento
f. Ingresso in ED – IIb/IIIa inib – PCI – UTIC
g. Dimissione in 8 – 72 h
2. Autopresentazione in PS di DEA I - II Livello
a. ECG entro 10’ dal Triage I livello
b. ECG positivo per STEMI> sintomi insorti da meno di due ore
c. Terapia come da schema
d. Scelta della terapia riperfusiva come da schema
e. Trasporto protetto (Medico 118 quando disponibile o, in alternativa, Cardiologo o Anestesista) in
Emodinamica di Riferimento
f. Invio in ED
. Autopresentazione in PS periferico
a. ECG entro 10’ dal Triage
b. ECG positivo per STEMI> sintomi insorti da meno di due ore
c. Terapia come da schema
d. Scelta della terapia riperfusiva come da schema
e. Attivazione CO 118
f. Trasporto protetto (Medico 118 quando disponibile o, in alternativa, Cardiologo o Anestesista) in
Emodinamica di Riferimento
92
Raccolta dati
Dati da Raccogliere a cura del 118
Di seguito vengono indicati alcuni dati temporali del servizio 118 che devono essere raccolti per poter eseguire il monitoraggio del progetto:
• data e ora di insorgenza dei sintomi
• data e ora chiamata al 118
• data e ora ecg
• data e ora arrivo in Ps o emodinamica
Sono da definire i tempi dalla porta del PS / emodinamica in poi
Dati da raccogliere a cura dei DEA, PS:
Dati anagrafici (DOB, Sesso, Codice fiscale, altezza e peso)
Fattori di rischio CV
Eventi CV pregressi (infarto miocardico, ictus, CABG, scompenso cardiaco)
Percorsi (118, autopresentazione PS Spoke, PS Hub, già in ospedale)
Dati da raccogliere a cura dei Servizi di Emodinamica:
Data e ora inizio sintomi, tipo sintomo, 1° contatto medico, 1° ecg diagnostico, porta primo
ospedale, porta ospedale definitivo, inizio fibrinolisi, ingresso in emodinamica, coronarografia, gonfiaggio palloncino.
Sede infarto, numero derivazioni ST elevato, recidiva eterosede, PA, FC, Classe Killip alla
presentazione, arresto cardiaco.
Terapia antiaggregante, tipo di terapia riperfusiva
Estensione malattia coronarica, vaso colpevole, flusso TIMI basale e finale, tecnica PTCA
Eventi intraospedalieri, data dimissione
Picco Tn - CKMB, FE alla dimissione, creatinina all’ingresso e di picco, Hb all’ingresso e nadir
Eventi nel follow-up
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-Federazione Italiana di Cardiologia. Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri Società Italiana di Cardiologia. SIMEU.
SIS 118. Documento di Consenso. La rete interospedaliera emergenza coronarica. Ital Heart J 200;6 (Suppl 6):S-6S
Si ringraziano:
ELI LILLY Italia SpA per il supporto non condizionante alla preparazione e diffusione del Protocollo
Dr.ssa Giulia Regolini per l’opera editoriale di stesura e di ricerca bibliografica
Aristea International s.r.l. per l’organizzazione e la logistica delle Riunioni del Gruppo
Autori ed appartenenza
9
Real World Pace Maker
esperienze e prospettive
dell’elettrostimolazione definitiva
Paolo Rossi
Divisione di Cardiologia, Ospedale San Martino, Genova
Gli sviluppi della tecnologia bio - medica e dell’elettronica hanno consentito una straordinaria evoluzione nel settore dell’elettrostimolazione cardiaca permanente, associandosi ad
un’ampia crescita degli impianti negli ultimi decenni.
L’attività del Laboratorio di Elettrostimolazione dell’Ospedale S. Martino di Genova è iniziata nel 196, 1° Centro in Liguria e tra i primi in Italia. Il primo impianto definitivo è
stato eseguito il 1 novembre 196: un elettrodo epicardico + un collare esterno con collegamento mediante trasmissione a radiofrequenza (n.° impianti). Dal 196 è stata intrapresa la “ tecnica epicardica “ (n.° 80 impianti); dal 1971 è stata avviata “ la tecnica
transvenosa “, con tasca del Pace-maker in sede sottoclaveare. Nel tempo sono stati
messi a disposizione stimolatori sempre più piccoli, corredati di ” pile al litio “, di longevità maggiore e prevedibile.
Casistica Ospedale San Martino
Attualmente il ns. Laboratorio ha all’attivo > 5.500 impianti totali di Pace-maker (de
novo + sostituzioni).
Ogni anno, negli ultimi 10 anni, la Cardiologia Ospedaliera di San Martino ha effettuato
circa 00 procedure.
L’età media dei pazienti impiantati è 81+/- 9 anni, in conformità con l’età media elevata
della popolazione ligure. Negli ultimi anni abbiamo eseguito n.° 881 impianti, 6 erano
maschi e femmine (62% e 8% della casistica, rispettivamente); i primi impianti sono
stati n.° 6 e le sostituzioni n.° 27 (il 2% dell’attività complessiva). La Tabella 1 sintetizza l’attività negli anni 2008, 2009 e 2010, suddivisa per l’eziologia aritmica (BAV= blocchi atrio-ventricolari, SSS= malattia aritmica atriale, FA= fibrillazione atriale). Le modalità
di stimolazione sono così suddivise: VR= n.° 192 (29%), DR= n.° 2 (2%), VDD= n.°
120 (19%), i tricamerali = n.° 19 (2%). La Tabella 2 raffronta le percentuali delle modalità
di stimolazione attuate del ns. Centro con i dati nazionali ed internazionali per l’anno 2009.
Il Registro WSA (World Society of Arrhythmias), che ha raccolto i dati per l’anno 2009 da
61 Nazioni, fornisce per l’Italia un numero totale di impianti di .6, di cui il 29% sono
sostituzioni, un’età media di primo impianto di 78 anni e, quanto al genere, i maschi rappresentano il % e le femmine il %. (Tabella ) (1).
Anno
Totale P.M.
P.M. de novo
BAV
SSS
FA
2008
2009
2010
299
217 (7%)
100 (6%)
79 (7%)
8 (17%)
29
222 (7%)
10 (7%)
76 (%)
(19%)
287
20 (71%)
99 (8%)
70 (%)
6 (18%)
Tabella 1
Eziologia impianti
Pace-maker de-novo
Cardiologia – Ospedale
S. Martino
96
Tabella 2
Confronto modalità di
stimolazione Osp. S. Martino
con i dati nazionali e
internazionali (anno 2009).
Tabella 3
Cardiac Pace-makers 2009
- The 11th World Survey of
Cardiac Pacing
and Implantable
Cardioverter-Defibrillators:
Calendar Year 2009 (Mond
HG, Proclemer A, 2011)
Modalità VR
Modalità DR
Modalità VDD
Country
Population
( million )
Europe
Belgium
10
France
62
Germany
82
Italy
60
Spain
UK
62
Asia Pacific
Australia
22
China
100
India
1200
Japan
128
Taiwan
2
Africa/ Middle East
Israel
7
South Africa
9
The Americas
Argentina
0
Brazil
18
USA
07
S. Martino
Italia
Giappone
USA
26%
0%
2%
0%
8%
10%
29%
1%
18%
19%
81%
1%
N.of
Centers
New
New Implants Replacements
Implants
per million
( % of Total )
12
0
986
00
116
211
6266
887
7606
6
29
21
627
782
927
7
69
18
298 (2)
16162 ()
29 ()
1797 (29)
81 ()
10176 (1)
111
78
78
200
8
122
0728
20000
81
92
6
1
17
272
172
72 (2)
7187 (1)
00 (2)
22 (0)
868 (18)
20
7
000
299
29
60
1200 (29)
7 (20)
600
17
00
1178
2966
267
287
16
767
800 (2)
9981 (29)
10102 (0)
Complicanze osservate
Figura 1
Decubiti/infezioni in
pazienti con Pace-maker.
Dati della Cardiologia San
Martino dal 2001 al 2011:
nel 2007 ( freccia ) inizio
antibiotico-profilassi.
Infettive: per quanto attiene alla revisione retrospettiva di 10 anni di complicanze, possiamo suddividere i ns. risultati ante- e post- 2007, anno in cui è iniziata la profilassi antibiotica indicata dalle Linee Guida e concordata con gli Infettivologi del ns. Ospedale
( amoxicillina+ ac.clavulanico ). Figura 1.
97
Tabella 4
Casistica Cardiologia San Martino anni 2008-2010
Totale impianti/ sostituzioni n.° = 881
Complicanze infettive n.°= 12 (1.3%)
Anno 2008
Anno 2009
Anno 2010
F
87 anni
M
77 anni
F
92 anni
M
82anni
F
8 anni
F
81 anni
M
81 anni
F
8anni
M
90 anni
M
6 anni
M
8 anni
M
89 anni
1° impianto
PM 197
1° impianto
PM 1998
1° impianto
PM 1997
1° impianto
PM 2006
1° impianto
PM 2009
1° impianto
PM 2009
1° impianto
PM 2009
1° impianto
PM 1989
1° impianto
PM 200
1° impianto
PM 2001
1° impianto
PM 1990
1° impianto
PM 1996
Procedura:
a sostituzione PM
Procedura:
1a sostituzione PM
Procedura:
1a sostituzione PM
Decubito dopo mesi
Decubito dopo anni
Decubito dopo 2 anni
Decubito dopo 2 anni
Decubito dopo 6 mesi
Decubito dopo 2 mesi
Infezione dopo 1 gg
??
Decubito
Decubito dopo anni
Procedura:
2a sostituzione PM
Procedura:
a sostituzione PM
Procedura:
2a sostituzione PM
Decubito dopo mesi
Decubito dopo mesi
Decubito dopo 12 mesi
Nella Tabella sono riportati i dettagli dei pazienti con decubito e/ o infezione del sistema
di stimolazione negli anni 2008, 2009 e 2010: due casi hanno richiesto l’espianto dell’intero sistema di stimolazione, gli altri casi sono stati risolti con terapia antibiotica, recentazione chirurgica del decubito ed impianto controlaterale del Pace-maker.
Le complicanze infettive sono un problema emergente. Greenspon e coll. (2) hanno recentemente analizzato negli Stati Uniti d’America un periodo di 16 anni (dal 199 al 2008), osservando che il numero d’infezioni si è mantenuto costante negli anni compresi tra il 199
ed il 200, con un’incidenza dell’1.%, che è aumentata al 2.1% nel 2008 (Fig. 2 A, 2 B).
Figura 2
percentuale di infezioni
(A); costi dei ricoveri (B).
Dati relativi a USA
dal 199 al 2008
(Greenspon 2011).
98
Le ragioni di questo fenomeno non sono chiare ma si suppone che sia cambiata la tipologia dei pazienti sottoposti ad impianto perché più anziani ed affetti da comorbidità, quali
insufficienza renale, respiratoria, cardiaca e diabete mellito (tutti fattori predisponenti le
infezioni del sistema di stimolazione). Inoltre sono aumentati gli impianti più complessi per
la resincronizzazione cardiaca, che richiedono più frequenti sostituzioni chirurgiche. Parallelamente è incrementata la mortalità per infezione che è passata dal 2.91% nel 199
al .69% nel 2008 (cioè un incremento dell’1% per decade). Queste osservazioni implicano
l’applicazione di protocolli di antibiotico-profilassi nei confronti dei patogeni più comunemente in causa (cioè gli Stafilococchi) e la crescente diffusione di tecniche e di materiali
per le procedure di espianto endovascolare degli elettrocateteri definitivi infetti (). Nel ns.
Laboratorio è in uso dal 2007 un protocollo di profilassi con Amoxicillina+ Acido Clavulanico 2 gr. e.v. in singola somministrazione, 1 ora prima dell’impianto; le medesime dosi
sono ripetute ogni 8 ore e continuate per giorni nel post-operatorio solo in categorie di
pazienti ad alto rischio di infezione quali i portatori di protesi valvolari cardiache. Questa pratica, concordata con gli Infettivologi e ponderata per le caratteristiche microbiologiche della
flora batterica isolata nel ns. Ospedale, è facilmente attuabile, a basso costo e molto efficace. Infatti, il numero di infezioni riscontrate negli anni 2008-2010 a livello della tasca del
Pace-maker, è inferiore a quanto riportato in letteratura (Figura 1 e Tabella ).
Oltre alle disposizioni di regola (“ zona filtro “ antistante alla Sala, norme antisettiche, meticoloso lavaggio delle mani degli operatori, decontaminazione e disinfezione della Sala
Operatoria con vapori di Iodio), il nostro protocollo prevede l’impiego di teli sterili plastificati sulla cute e il trattamento della cute integra del paziente con antibatterici (Clorexidina):
si ritiene verisimile che il rigore nell’applicazione del protocollo abbia contribuito all’abbattimento del numero di infezioni locali e sistemiche.
Contributo del Laboratorio di Elettrostimolazione a studi multicentrici
• Il ns. laboratorio ha partecipato allo studio internazionale OPTI-MIND (Clinical Outcome
of Pacemaker paTIents according to pacing Modality and primary INDications) con l’invio del database relativo alla raccolta prospettica ed osservazionale di pazienti n° = 70,
impiantati con pace-maker mono- o bicamerali in conformità all’attuale pratica clinica.
Gli scopi dello studio, che ha completato l’arruolamento a giugno 2011 di > 1700 pazienti
in 68 Centri da 1 Nazioni, sono:
• la valutazione della mortalità per tutte le cause ad un follow-up di 2 anni (endpoint
primario);
• la valutazione della mortalità cardiaca o della prima causa cardiaca di ospedalizzazione
correlate al tipo di stimolazione, la necessità di up-grading a stimolazione bi-ventricolare o cardio-defibrillatore ad un follow-up di 2 anni (endpoint secondari).
Una sottoanalisi del database ha esaminato l’impatto nella pratica clinica dei siti di stimolazione alternativa nel ventricolo destro, partendo da presupposto che la stimolazione apicale del ventricolo destro sia fonte di effetti deleteri sul ventricolo sinistro (-8). I risultati
preliminari del registro OPTI-MIND, presentati al 12° Workshop Internazionale Venice
Arrhythmias 2011, riportano che solo il 14.8% dei primi impianti era effettuato con elettrodo ventricolare collocato in sede medio-settale o nel tratto di efflusso del ventricolo de-
99
stro, siti alternativi preferiti nei pazienti con cardiomiopatia; il follow-up a 2 anni fornirà dati
sulle complicazioni (es. dislocazioni) ed eventi clinici avversi (9).
Esperienza originale del ns. Laboratorio riguardo all’approccio per la stimolazione
epicardica ventricolare sinistra per via toracospica video-assistita
In letteratura sono descritti accessi alternativi per la stimolazione permanente del ventricolo sinistro quando non è fattibile la più classica via transvenosa: epicardico sinistro per
via (mini)-toracotomica o subxifoideo; endocardico sinistro per via transettale.
Esistono, infatti, complicanze specifiche per la stimolazione ventricolare sinistra con approccio transvenoso, che richiede pazienza, abilità ed un po’ di fortuna (10-11):
• Successo dell’impianto di CRT dall’89% al 9.6% (12);
• Dislocazione dell’elettrocatetere sinistro: rappresenta il “ tallone d’Achille “ della CRT,
stimata tra .8% ed il 12% (mediamente il 7%, anche con i nuovi materiali). Fattori favorenti sono il grosso calibro dei rami venosi del Seno Coronarico e/o l’estrema curvatura della porzione distale dell’elettrodo che può creare una forza dislocante;
• Stimolazione diaframmatica: presente nell’1.6-12% in cronico. Può essere assente in
posizione supina ma rendersi manifesta con le variazioni di postura, favorita anche da
microdislocazioni dell’elettrocatetere. La possibilità di cambiare il vettore di pacing (c.d.
“ riposizionamento elettrico “) può eliminare il disturbo evitando una revisione chirurgica;
• Dissezione/o Perforazione del seno Coronarico: si verifica nel 2.1-2.2% (studi MIRACLE
e CARE-HF) per trauma da manipolazione del filo-guida, catetere –guida o da iniezione
forzata del contrasto per venografia. Nella maggior parte dei casi non dà tamponamento
cardiaco perché è un sistema venoso a bassa pressione, ma può ostacolare il posizionamento dell’elettrodo definitivo.
Una tecnica originale di cui esistono solo poche segnalazioni ed attuata nel ns. Laboratorio è quella epicardica per via toracospica video-assistita, meno invasiva rispetto alla
tradizionale toracotomia laterale sinistra ma di pari efficacia. Dal maggio 2007 sono stati
trattati n.° pazienti ( maschi e 1 femmina); la procedura è stata eseguita in collaborazione con i chirurghi toracici ed è stata completata in soggetti. in un caso invece non è
stata realizzata per un’estrema fragilità del tessuto miocardico all’impianto dell’elettrodo
epicardico. Non si è verificato un aumento della durata di degenza (media= n.° giorni) e
n.° pazienti sono tuttora viventi ed in buone condizioni di salute a distanza dall’impianto,
con follow-up medio di 8 mesi.
Le novità nel campo della elettrostimolazione ed il loro sviluppo al San Martino
• Controllo remoto dei Pace-maker:
Pacemaker di ultima generazione sono equipaggiati con tecnologia wireless e possono fornire informazioni automatiche sullo stato dell’impianto e sulle condizioni cardiache del paziente. I vantaggi includono: il precoce riconoscimento di problemi tecnici, la diagnosi
precoce di aritmie o di progressione dello scompenso cardiaco, la riduzione di controlli
ambulatoriali non necessari e l’ottimizzazione delle risorse sanitarie. Prevediamo di avviare questa attività presso il ns. Centro all’inizio del 2012.
• Impianto di Pace-maker senza utilizzo di radiazioni ionizzanti:
MediGuide ha elaborato è un raffinato sistema di navigazione (Medical Positioning System
100
(“gMPS"), che consiste di multipli sensori montati su aghi, fili-guida, cateteri, permettendone la localizzazione sulla base della distanza dei sensori dalle numerose sorgenti di
campi magnetici, con una accuratezza sub-millimetrica. La posizione -D e l’orientamento
dei sensori possono essere proiettata graficamente su uno schermo ultrasonico, fluoroscopico, TAC, RMN, sottraendo gli artefatti da battito cardiaco, respirazione o altri movimenti, e minimizzando l’uso di radiazioni ionizzanti. Attualmente la ricerca è limitata agli
Stati Uniti d’America, pur disponendo già della certificazione CE.
Al momento è possibile utilizzare un altro sistema (“ NAVEX SJM “ ) per la visualizzazione
non fluoroscopica, lungo il decorso dei vasi e nelle cavità cardiache, degli elettrocateteri per
la stimolazione cardiaca. Da qualche mese, infatti, nel ns. Laboratorio si maturano esperienze con tale sistema di mappaggio elettro-anatomico, comunemente utilizzato per le
ablazioni delle aritmie. Questa rappresenta un’interessante ed inesplorata applicazione,
che permette di ridurre i tempi ed il carico di esposizione radiologica, sia per il paziente sia
per gli operatori.
• Pace-maker senza elettrodo/i:
Due aziende hanno in avanzata fase di sperimentazione un Pace-maker miniaturizzato, più
piccolo di un penny, impiantabile per via transcatetere, che si fissa direttamente sull’endocardio del ventricolo destro; tramite uno smartphone è possibile monitorare e controllare l’impianto a breve distanza. E’ prevista la disponibilità in clinica tra - anni; potrebbe
eliminare i problemi connessi con gli elettrocateteri definitivi.
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101
Real World ICD e CRT-D:
esperienze e prospettive
Paolo Sartori
Divisione di Cardiologia, Ospedale San Martino, Genova
La morte improvvisa rappresenta una delle cause più frequenti di decesso nelle popolazioni economicamente più sviluppate.
Nella popolazione generale la sua incidenza varia tra 0. e 1. per 1000 persone/anno con
una distribuzione influenzata prevalentemente dall’età, dal tipo e dalla gravità della patologia cardiaca sottostante . Generalmente la morte improvvisa (MI) è dovuta ad un arresto
cardiaco conseguente ad una tachicardia ventricolare (TV) sostenuta o ad una fibrillazione
ventricolare (FV) che portano rapidamente al decesso se non viene somministrata una terapia adeguata entro pochi minuti dall’esordio.
L’arresto cardiaco avviene in oltre tre quarti dei casi al di fuori dell’ospedale e anche quando
i servizi sanitari d’emergenza sul territorio operano in modo ottimale solo il % dei soggetti
colpiti riesce a sopravvivere. Per tale motivo e per la scarsa efficacia della terapia medica
nella prevenzione della morte improvvisa è stato necessario identificare nuovi trattamenti
terapeutici in grado di ridurre questo drammatico evento.
Il primo impianto al mondo di defibrillatore è stato eseguito nel 1980. L’esperienza del nostro centro nasce circa 1 anni dopo, nell’aprile 199, quando presso la sala di cardiochirurgia del San Martino (HSM) è stato impiantato il primo cardio-defibrillatore (ICD)
monocamerale Guardian Telectronics in una paziente con una grave cardiomiopatia dilatativa post ischemica in prevenzione secondaria. Solo dal 2002 il numero di impianti ICD
ha iniziato a crescere, anche a seguito della pubblicazione dei risultati dei trials randomizzati (MADIT II, COMPANION, SCD-HeFT); basti pensare che presso la Cardiologia Ospedale San Martino dal 199 al 2001 sono stati impiantati 8 (8, %) ICD mentre dal 2002
ad oggi sono stati impiantati 1 (91,%) ICD dei 79 totali.
Figura 1
102
Figura 2
Dall’aprile 199 al settembre 2011 sono stati impiantati 79 pazienti e seguiti presso il nostro ambulatorio semestralmente pazienti con queste caratteristiche cliniche e tecniche.
Tabella 1
Tabella 2
10
Tabella 3
Casistica HSM: analisi degli eventi
1) Scarica appropriata (Intervento corretto sia nel riconoscimento sia nel trattamento
dell’aritmia)
2) Scarica inappropriata (Intervento scorretto o nel riconoscimento o nel trattamento
dell’aritmia)
) ATP efficace (Intervento corretto sia nel riconoscimento sia nel trattamento dell’aritmia)
) ATP Inefficace (Intervento scorretto o nel riconoscimento o nel trattamento dell’aritmia)
Analizzando i Pz abbiamo rilevato che i nostri ICD sono interventi su 19 dei pazienti,
pari al 2%.
(Tabella )
Analizzando i devices, che in uno stesso Pz possono avere più e differenti interventi, abbiamo rilevato 70 interventi sui 19 pazienti.
Abbiamo osservato pertanto che
• 0/ pz (68 %) non hanno mai avuto interventi da parte del generatore
• 62/ pz (1%) hanno ricevuto shock appropriati
• 9/ pz (11 %) hanno subito shock inappropriati
• 72/ pz (16 %) hanno subito ATP efficaci
• 20/ pz (%) hanno subito ATP inefficaci
Quanto alla analisi degli shock inappropriati 1/9 Pz, pari al 7% del totale pazienti, ha ricevuto solo shock inappropriati mentre nei restanti 18 Pz il devices aveva scaricato anche
appropriatamente con un follow-up medio di mesi. (Tabella )
Esaminando i Pz con ICD impiantati in Prevenzione Primaria 19/ (72 %) osserviamo
che 90/19 (28 %) pz hanno avuto interventi del devices mentre 228/19 (72%) pz non
hanno avuto interventi del devices.
Esaminando i Pz con ICD impiantati in Prevenzione Secondaria 12/ (28%) osserviamo
10
che 6/12 (7,6%%) hanno avuto interventi del devices mentre 78/12 (62,%) non
hanno avuto interventi del devices.
Si evince pertanto che i Pz impiantati in Prevenzione Secondaria sono maggiormente esposti a interventi rispetto ai Pz impiantati in Prevenzione Primaria
Tabella 4
Un altro dato significativo rilevato è l’elevata percentuale di efficacia degli interventi noshock ossia Anti Tachicardial Pacing (ATP); il 16,2% dei nostri assistiti infatti ha ricevuto
un ATP efficace e solo il 2,7% dei pazienti un ATP inefficace. Del numero totale di ATP
(176 interventi) l’ 88,6% è risultata efficace.
Tabella 5
10
Casistica HSM: distribuzione impianti per fasce d’età e patologia
E’ stato oggetto di analisi la fascia di età e la rispettiva patologia per cui è stato effettuato
il primo impianto di ICD
Tabella 6
I pazienti impiantati sotto i 0 anni sono n = pari al 7,6% ed in n=2 pari al % sopra gli 80
anni. In entrambe le fasce d’età l’indicazione all’impianto risulta equamente distribuita tra prevenzione primaria e secondaria; i pazienti delle tre decadi rimanenti (0-79 anni) hanno ricevuto impianto dell’87% dei device (6% in prevenzione primaria, 2% in prevenzione secondaria).
Casistica HSM: complicanze
Le complicanze totali assommano al 18, %, pari a 81 pazienti, ma all’interno di tale dato
vanno diversificati i tipi di evento avverso. Abbiamo scorporato tale dato in quattro sottogruppi all’interno dei quali i pazienti possono essere rappresentati in più di un sottogruppo:
• A Complicanze cliniche 6,1% (infezioni, pneumotoraci, decubiti, perforazioni, PNX)
• B Riposizionamenti ,8%
• C Mancato inserimento dell’elettrocatetere in seno coronarico , %
• D Alterazioni di elettrocateteri e generatori % (fratture, doppi conteggi, recall ecc.).
Tabella 7
106
Le complicanze cliniche sono state così suddivise:
• Ematomi 7 pz 1,6%
• Affossamenti (ossia necessità di re-intervento sulla tasca) 6 pz 1,%
• Estrazioni 6 pz 1,%
• Infezioni 7 pz 1,6%
• Pneumotoraci 2 pz 0, %
• Perforazioni pz 0,7%
• Ictus 2 pz 0,%
• Cateteri epicardici 7 pz 1,6%.
Tabella 8
Abbiamo inoltre osservato che la probabilità di comparsa di complicanze non è legata
alla complessità della procedura né all’età dei pazienti (età media dei pazienti complicati 66 anni).
Tabella 9
107
La percentuale di lesioni si è osservata su 22 pazienti attestandosi ad un % con un follow-up di oltre mesi (l’analisi riguarda cateteri posizionati dal 199 ad oggi).
Tabella 10
Casistica HSM: decessi
In un periodo di osservazione di oltre 1 anni (follow-up medio di mesi) la mortalità
totale è stata del 29,6%. (Tab 11 A,B,C) Nei primi quattro anni dalla data dell’impianto si
osserva il decesso del 76% dei pazienti impiantati.
Tabella 11 A
108
Tabella 11 B
Tabella 11 C
Nella maggior parte dei pazienti deceduti non si è verificato alcun intervento da parte del
defibrillatore. Nei Pz deceduti il numero e la percentuale di shock appropriati risulta significativamente maggiore rispetto alla popolazione generale dello studio, mentre non vi sono
differenze riguardo al numero ed alla percentuale degli shock inappropriati (Tabella 12)
109
Tabella 12
Confrontando i nostri dati con le casistiche Madit II, SCD-HeFT e COMPANION e DEFINITE
si riportano le seguenti impressioni
Nella nostra casistica:
• L’età media dei pazienti è tendenzialmente più elevata
• Disponiamo di un follow up più lungo
• Maggior numero di complicanze
• Il numero dei pazienti senza interventi da parte dell’ICD è più basso
• Il numero di shock inappropriati è più elevato
• La percentuale di efficacia degli ATP è più alta
• Bassa percentuale di interventi (shock, ATP) nei controlli di follow-up nei Pz deceduti
110
Monitoraggio in remoto
dei pazienti portatori di ICD e CRT
Daniele Molini
S.C. Cardiologia, Ospedale Galliera, Genova
Nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati i risultati di importanti studi sulla terapia
dello scompenso cardiaco (Companion, Care-HF, SCDeHFT) che hanno dimostrato, in modo
definitivo, l'efficacia dei defibrillatori automatici, nel ritardare l'evento morte e della stimolazione biventricolare (CRT), nel migliorare la qualità di vita e ridurre la mortalità nei pazienti arruolati.
Risultati così importanti hanno indotto le società scientifiche ad aggiornare le proprie Linee
Guida della terapia dello scompenso cardiaco, riportando in classe 1 l'indicazione a sottoporre i pazienti con scompenso cardiaco e con severa compromissione della funzione sistolica del ventricolo sinistro ad impianto di ICD e CRT.
Ad un aumento del numero di impianti ha fatto seguito un ancora maggiore numero di controlli elettronici ambulatoriali. Infatti gli ICD ed i CRT richiedono una gestione molto più
complessa rispetto ai pacemaker. L'aritmologo ora deve controllare dispositivi complessi
e pazienti a loro volta delicati ed instabili.
Gli ICD ed i CRT forniscono numerose informazioni utili ai fini clinici ma richiedono una
programmazione personalizzata per garantire risultati efficaci nella terapia del paziente. E
ancora gli ICD presentano malfunzionamenti, del dispositivo o degli elettrocateteri, con una
incidenza rilevante rispetto ai pacemaker. Inoltre una programmazione non adeguata, non
solo vanifica la terapia, ma espone il paziente a rischi anche gravi (shock inappropriati).
Quindi, se il monitoraggio remoto dei pacemaker offre indubbi vantaggi organizzativi e può
migliorare la qualità di vita dei pazienti ed anche dei medici, nel caso dei pazienti portatori
di ICD e CRT credo che il monitoraggio remoto sia necessario al fine di ottenere i migliori
risultati di gestione clinica ed elettronica.
Oggi in Italia sono ormai decine di migliaia i pazienti seguiti in remoto. Purtroppo questo
avviene in modo non omogeno, cioè esistono alcuni Centri in cui il monitoraggio remoto è
diffusamente utilizzato a fronte di altri centri dove questo non avviene. Gli ostacoli alla diffusione dell'HM sono rappresentati da problemi organizzativi, di responsabilità medico legale, di mancato riconoscimento delle prestazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
L'esperienza dell'Ospedale Galliera è nata dalla necessità di aumentare la sicurezza dei pazienti portatori di ICD e CRT-D ai quali era stato impiantato un elettrocatetere che successivamente ha dimostrato performance inferiori rispetto agli standard, e per i quali l' azienda
produttrice ha emesso un avviso di sicurezza.
A tal fine HM si è dimostrato efficace e semplice da usare.
111
Dopo oltre 000 trasmissioni possiamo confermare anche che HM permette di ottenere
importanti vantaggi nella gestione dei pazienti con scompenso cardiaco portatori di ICD, quali:
1) Identificazione precoce di problemi tecnici del dispositivo e degli elettrocateteri; valutazione continua dello stato della batteria, delle funzioni di sensing, della soglia di cattura
e delle impedenze;
2) Gestione tempestiva ed efficace di problemi tecnologici;
) Identificazione precoce dei cambiamenti dello stato clinico del paziente:aritmie atriali e
ventricolari, trend della frequenza cardiaca, progressione dello scompenso,attività fisica;
) Reazione tempestiva alle variazioni dello stato clinico e valutazione dei cambiamenti terapeutici introdotti;
) Riduzione ed ottimizzazione del numero dei controlli in ambulatorio.
112
Percutaneous LAA Closure
for Stroke Prevention in AF
Matteo Montorfano
Cardiologia Interventistica ed Emodinamica - Fondazione S. Raffaele, Milano
Background
Atrial Fibrillation (AF) is the most common arrhythmia seen in clinical practice. This condition
has been recognized as one of the most serious current medical epidemics. The prevalence
of AF increases with the patient's age: it is detected in 0.1% of adults younger than
years but in more than 9% of those aged 80 years or older. It is important to recognize
that prevalence data are reported only for clinically recognized, symptomatic AF. The actual
occurrence of asymptomatic AF is probably considerably higher.1It is estimated that
2. million adults in the United States have clinically recognized AF and have sought
medical attention for this condition. This number is expected to increase to approximately
6 million by 200.1 This increasing number brings with it an increasing need for clinicians
to counsel patients with AF by addressing several important issues, including a
determination of the patient's risk of thromboembolic stroke.
Patients with AF have a -fold higher risk of stroke: over 87% of strokes are thromboembolic
and greater than 90% of thrombus accumulation originates in the Left Atrial Appendage.
Preventing thromboembolic complications, especially stroke, is a primary goal of AF treatment.2
Stasis and a hypercoagulability state associated with AF can lead to atrial thrombus
formation, particularly in the LAA. Left atrial thrombus can embolize to the brain, thereby
resulting in an ischemic stroke. The presence of a thrombus in the LAA is associated with
a -fold increase in the risk of stroke. The risk of stroke varies widely among patients with
AF, depending on the presence or absence of several risk factors. -9
Risk factors that put AF patients at high risk of future stroke include rheumatic mitral valve
disease, the presence of a mechanical heart valve, and prior thromboembolism.8
Among patients with so-called nonvalvular AF (no rheumatic mitral valve disease and no
mechanical heart valve), the risk factors for stroke can be conveniently remembered by
using the mnemonic CHADS2, which stands for cardiac failure (recent congestive heart
failure), history of hypertension, age 7 years or older, diabetes mellitus, and history of
stroke or transient ischemic attack (TIA).8
The CHADS2 score system provides an estimate of a patient's risk of stroke. The system
assigns 1 point each for cardiac failure (recent congestive heart failure), history of
hypertension, age 7 years or older, and diabetes and assigns 2 points for a history of
stroke or TIA (thus the inclusion of the number 2 in the mnemonic). The sum of the points
determines the CHADS2 score. The adjusted annual stroke rate increases from 1.9% for
patients with a CHADS2 score of 0 to 18.2% for patients with a CHADS2 score of 6.
Device closure of the LAA (LAA) may provide an alternative to warfarin therapy as a stroke
prevention strategy in patients with AF.
11
PROTECT AF Clinical Trial
Holmes reported promising data from the PROTECT AF Trial.10 This trial was a prospective,
multicenter randomized trial of percutaneous LAA occlusion vs long-term Warfarin therapy
in patients with non-valvular AF.11 The WATCHMAN® LAA Closure device (Atritech,
Plymouth, MN, Figure 1), was intended as an alternative to warfarin therapy for patients with
non-valvular AF: the device is designed to prevent embolization of thrombi that may form
in the LAA (Figure 1).
Figure 1
To implant the WATCHMAN®, the interventional cardiologist guides the device into the heart
through a catheter inserted in a vein in the upper leg. The catheter is threaded first into the
right atrium, then into the left atrium through a puncture in the wall separating the two
upper chambers of the heart. Once the catheter is positioned in the opening of LAA, the
WATCHMAN is released and left permanently in place to block the formation and release
of blood clots. Eight-hundreds patients were enrolled from Feb 200 to Jun 2008: 6
patients in the device group vs. 2 patients in the control Group in 9 Enrolling Centers
(U.S. & Europe) Follow-up requirements included TEE follow-up at days, 6 months and
1 year; clinical follow-up biannually up to years. Regular INR monitoring while taking
warfarin was mandatrory.10
Primary Efficacy Endpoint were:
• All stroke: ischemic or hemorrhagic with deficit with symptoms persisting more than
2 hours or symptoms less than 2 hours confirmed by CT or MRI;
• Cardiovascular and unexplained death: sudden death, MI, CVA, cardiac arrhythmia and
heart failure;
• Systemic embolization.
11
Primary Safety Endpoint included:
• Device embolization requiring retrieval;
• Pericardial effusion requiring intervention;
• Cranial bleeds and gastrointestinal bleeds;
• Any bleed that requires ≥ 2uPRBC;
Eighty-seven percent of implanted subjects were able to cease warfarin at days and the
rate further increased at later time points; reasons for remaining on warfarin therapy after
-days were observation of flow in the LAA (n = 0), physician order (n = 1), other
reasons (n = 9).
As far as safety endpoints are concerned events in device group were classified as
ischemic stroke: they were all periprocedural and extended hospitalization by 7 days; three
events were related to air embolism; one hemorrhagic stroke in device group vs 6 in control
group were adjudicated. By note, device events occurred 1 days post implant while patient
was on warfarin and /6 stroke events in control group patients resulted in death.
In conclusion, in AF patients who were candidates for warfarin therapy, device closure of
the LAA using the Watchman device (Atritech, Plymouth, MN) was associated with a
reduction in hemorrhagic stroke risk vs warfarin, and all-cause stroke and all-cause
mortality outcomes were noninferior to warfarin.10
Safety events, particularly pericardial effusion, were more common in the device group, but
these have decreased over time with procedural modifications and enhanced training, the
researchers noted.
Indications
Currently, when to close LAA?
Patients with:
• Permanent atrial fibrillation
• High risk of stroke
And with:
• Contraindication to warfarin
• High risk of bleeding with OAC
• Difficult to maintain INR within the therapeutic range
• Poor compliance
• Difficulty to manage the patient because of logistic problems
AMPLATZER® Cardiac Plug (AGA Medical Corporation)
The AMPLATZER Cardiac Plug (ACP; Figure 2) is a transcatheter self-expanding device
constructed from a nitinol mesh and polyester patch, ACP consists of a lobe and a disc
connected by a central waist.
The ACP is available in 8 sizes: 16, 18, 20, 22, 2, 26, 28, and 0 mm.
11
Figure 2
References
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prevention in atrial fibrillation: How well do randomized trials translate into clinical practice? Jama. 200;290:268-2692
10.Holmes DR, Reddy VY, Turi ZG et al. Percutaneous closure of the left atrial appendage versus warfarin therapy for prevention
of stroke in patients with atrial fibrillation: a randomised non-inferiority trial. Lancet 2009; 7:–2.
116
Fibrillazione Atriale:
nuovi scenari terapeutici
e conseguenti
implicazioni gestionali
Giuseppe Di Pasquale, Letizia Riva, Gloria Coutsoumbas
Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Azienda USL di Bologna, Bologna
Indirizzo per corrispondenza:
Dr. Giuseppe Di Pasquale
Unità Operativa di Cardiologia - Ospedale Maggiore
Largo Bartolo Nigrisoli, 2 - 40133 Bologna
Tel. 051-6478202 - Fax 051-6478635 - e-mail: [email protected]
La terapia anticoagulante orale (TAO) con gli inibitori della vitamina K, ed in particolare il
warfarin, da oltre 0 anni costituisce la terapia di provata efficacia per la profilassi cardioembolica nei pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA), mediante l’inibizione di multipli fattori della coagulazione vitamina K dipendenti (II, VII, IX e X). A fronte di un’elevata efficacia
il warfarin presenta tuttavia numerose limitazioni secondarie ai suoi non prevedibili effetti
farmacocinetici e farmacodinamici. Ha un lento inizio di azione, richiedendo diversi giorni
per raggiungere i livelli terapeutici e presenta una variabilità interindividuale nel metabolismo legata ai polimorfismi genetici del citocromo P0 2C9 (CYP2C9). Inoltre esistono
molteplici interazioni con la dieta e con altri farmaci, con la conseguente necessità di frequenti aggiustamenti della dose per mantenere i livelli terapeutici. La risposta non prevedibile, la necessità di un monitoraggio routinario dei fattori della coagulazione e la stretta
finestra terapeutica rendono pertanto difficoltoso l’impiego del warfarin nella pratica clinica,
con il risultato che molti pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) non sono anticoagulati
ed in quelli trattati la qualità dell’anticoagulazione è spesso insoddisfacente.
In considerazione degli importanti limiti della terapia anticoagulante orale con warfarin, la
ricerca clinica degli ultimi 1 anni si è indirizzata a valutare l’efficacia e la sicurezza di
nuove strategie antitrombotiche, in particolare degli inibitori diretti della trombina e degli
inibitori diretti del fattore X attivato.
I nuovi anticoagulanti orali sono stati dapprima testati nella prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’ embolia polmonare in pazienti sottoposti a chirurgia elettiva dell’anca
o del ginocchio. Tale approccio è particolarmente vantaggioso per lo sviluppo dei nuovi anticoagulanti dal momento che in questa popolazione di pazienti ortopedici l’incidenza di
eventi trombotici è particolarmente elevata ed esiste la possibilità di monitorare gli eventi
emorragici in ambiente di ricovero ospedaliero. Successivamente sono stati testati nei pazienti affetti da FA per la prevenzione dello stroke e delle embolie sistemiche (1).
117
Inibitori diretti orali della trombina
Gli inibitori diretti orali della trombina hanno effetti plurimi sulla coagulazione, inibendo la
formazione di fibrina, l’attivazione trombina-mediata dei fattori V, VIII, XI e XIII e l’aggregazione piastrinica trombina-mediata. Inoltre riducono la generazione di trombina indotta dal
tissue factor.
Gli inibitori diretti della trombina sviluppati per uso orale, monovalenti, sono rappresentati
dallo ximelagatran, dal dabigatran e dall’ AZD-087.
Lo ximelagatran, inibitore diretto orale della trombina, confrontato con il warfarin in due
ampi studi, SPORTIF III (2) condotto in aperto e SPORTIF V () condotto in doppio cieco, ha dimostrato una non inferiorità rispetto al warfarin. Purtroppo i problemi di epatotossicità
hanno portato all’interruzione dei programmi di sviluppo del farmaco.
Il dabigatran è un inibitore diretto reversibile della trombina. Il suo profarmaco dabigatran
etexilato, che è convertito dalle esterasi plasmatiche a dabigatran, ha una biodisponibilità
del 6.%, un’emivita di 12-17 ore ed ha per l’80% un’eliminazione renale. Non richiede un
monitoraggio della coagulazione, tuttavia il livello di anticoagulazione può essere valutato
misurando il trombin clotting time o l’ecarin clotting time, determinazioni di possibile utilità in caso di emorragie. Analogamente l’aPTT può essere utile per identificare una eccessiva anticoagulazione in situazioni di emergenza. L’efficacia e la sicurezza del dabigatran
nella prevenzione dello stroke nella FA non valvolare sono state testate nell’ampio studio
di fase III RE-LY che ha incluso 18.11 pazienti con FA (, ). Nel RE-LY i pazienti sono stati
randomizzati a ricevere in aperto warfarin oppure in doppia cecità due dosi fisse di dabigatran 110 mg bid oppure 10 mg bid. L’outcome primario di stroke ed embolia sistemica
in un follow-up mediano di due anni ha avuto un’incidenza simile nei pazienti trattati con
dabigatran 110 mg rispetto al warfarin (1.% vs 1.71%) ed un’incidenza minore del %,
statisticamente significativa (p<0.001), nei pazienti trattati con dabigatran 10 mg rispetto
al warfarin (1.11 % vs 1.71%). Per quanto riguarda la sicurezza, l’incidenza di sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin è risultata inferiore con il dosaggio di dabigatran 110 mg
(2.87% vs .7%) e sovrapponibile con il dosaggio 10 mg (.2% vs .7%). L’incidenza
di sanguinamenti cerebrali correlata all’utilizzo di dabigatran, indipendentemente dal dosaggio, è risultata significativamente inferiore rispetto a quella in corso di warfarin. Al contrario con il dabigatran 10 mg più frequentemente rispetto che con il warfarin sono state
osservate emorragie gastrointestinali. L’efficacia del dabigatran confrontato con il warfarin è risultata consistente in tutti i sottogruppi di pazienti con FA a rischio tromboembolico
basso, moderato o elevato e indipendentemente dalla qualità dell’anticoagulazione
espressa dal TTR (time in therapeutic range) ottenuto nei pazienti in warfarin. Un dato assolutamente importante è inoltre la sovrapponibilità dei risultati del confronto dabigatran
- warfarin nei pazienti warfarin naïve ed in quelli warfarin experienced che erano rappresentati in percentuali simili all’interno del braccio dei pazienti randomizzati al warfarin. Tra
gli effetti collaterali del farmaco rispetto al warfarin è stata riportata una maggiore frequenza di dispepsia (11% vs .8%, p<0.001) che sembra essere in relazione alla formulazione della compressa di dabigatran addizionata di acido tartarico per favorirne
l’assorbimento con l’abbassamento del pH gastrico.
L’ AZD-087 è risultato promettente nella FA in studi di fase II, dimostrando una non inferiorità rispetto al warfarin con un ridotto rischio emorragico (6).
118
Inibitori diretti del fattore X attivato
Gli inibitori diretti del fattore Xa, attraverso l’inibizione del fattore X attivato riducono la formazione di trombina dalla protrombina. Inoltre inibiscono la generazione di trombina indotta
dal tissue factor.
Gli inibitori diretti del fattore X attivato sviluppati per uso orale sono il rivaroxaban, l’apixaban, l’edoxaban ed il betrixaban. L’idraparinux è un inibitore indiretto parenterale del fattore X attivato, analogo del fondaparinux, somministrabile grazie alla sua farmacocinetica
per via sottocutanea una sola volta alla settimana, il cui programma di sviluppo è stato recentemente interrotto per un eccesso di rischio emorragico rispetto al warfarin (7).
Il rivaroxaban è un inibitore diretto orale del fattore X attivato che ha una biodisponibilità
dell’80% ed un’ emivita plasmatica di 7-11 ore. E’ metabolizzato per 2/ nel fegato mentre per 1/ è eliminato immodificato per escrezione renale. L’efficacia del rivaroxaban nella
FA è stata valutata nello studio di fase III ROCKET AF (8) nel quale 1.171 pazienti con FA
sono stati randomizzati a ricevere in doppia cecità rivaroxaban 20 mg/die, ridotto a 1 mg/die
nei pazienti con insufficienza renale moderata (clearance creatinina 0-9 ml/min), oppure warfarin (INR 2.0 – .0). I pazienti con FA inclusi nello studio ROCKET AF erano caratterizzati da un profilo di rischio tromboembolico maggiore rispetto a quelli dello studio
RE-LY (CHADS2 score ≥ nell’ 87% vs 2% nel RE-LY e pregresso stroke o TIA nel % vs 20%
nel RE-LY). Nell’analisi intention to treat il rivaroxaban è risultato non inferiore rispetto al
warfarin con un tasso annuale di stroke ed embolia sistemica dell’ 2.12 % vs il 2.2 % riportato con il warfarin, mentre nell’analisi on treatment è emersa una superiorità (1.71% vs 2.16%).
Analogamente al dabigatran il rivaroxaban è risultato associato ad una riduzione di emorragie cerebrali di circa il 0% rispetto al warfarin.
L’apixaban è un inibitore diretto orale del fattore X attivato a rapido assorbimento, con
un’emivita plasmatica di circa 12 ore, escreto per il 2% per via renale. E’ stato dapprima
confrontato con l’aspirina nello studio AVERROES in .99 pazienti affetti da FA non eleggibili alla terapia anticoagulante orale con warfarin (9). Lo studio è stato prematuramente
interrotto per l’evidenza di superiorità dell’apixaban al dosaggio di mg bid nella riduzione
degli eventi tromboembolici rispetto all’aspirina a vari dosaggi (81-2 mg/die) (riduzione
del rischio di stroke o embolia sistemica del %), con un tasso di emorragie maggiori ed
in particolare intracraniche sovrapponibile nei due gruppi di pazienti (1.% vs 1.2% per
anno). L’ARISTOTLE, studio di fase III, recentemente pubblicato ha dimostrato la superiorità dell’apixaban al dosaggio di mg bid nei confronti del warfarin (INR 2.0-.0) su 18.201
pazienti affetti da FA e con un fattore di rischio per l’ictus ischemico (10). L’incidenza annuale
di stroke ed embolia sistemica è risultata pari all’ 1.27% nel gruppo di pazienti trattati con
apixaban e all’ 1.6% nei pazienti trattati con warfarin (p<0.001 per non inferiorità, p=0.01
per superiorità). L’impiego di apixaban vs il warfarin ha comportato una riduzione delle
emorragie maggiori (2.1% vs .09%, p<0.001) e delle emorragie cerebrali (0.% vs 0.80%,
p<0.001) ed inoltre una riduzione della mortalità totale (.2% vs .9%, p=0.07).
Attualmente è in corso uno studio di fase III con l’edoxaban (ENGAGE-AF TIMI 8), che viene
confrontato in due differenti dosaggi (0 mg/die e 60 mg/die), in doppio cieco con il warfarin (INR 2.0-.0) con l’obiettivo di non inferiorità (11). Nello studio sono stati arruolati
119
20.00 pazienti affetti da FA ad elevato rischio tromboembolico (CHADS2 score ≥ 2), ed è
previsto un follow-up di circa due anni (Figura 1).
Figura 1
Studi clinici di fase III dei
nuovi anticoagulanti orali
Il betrixaban è un nuovo anticoagulante orale reversibile inibitore del fattore X attivato,
escreto quasi completamente per via biliare con una minima eliminazione renale (< %),
caratteristica farmacocinetica che lo rende potenzialmente attraente per i pazienti con disfunzione renale. E’ in corso uno studio di fase II denominato EXPLORE-Xa di confronto
con il warfarin.
Implicazioni gestionali
Al momento attuale soltanto il dabigatran ha ottenuto l’approvazione da parte delle autorità regolatorie FDA (novembre 2010) ed EMA (agosto 2011) ed è già disponibile per
l’indicazione FA sul mercato nord-americano ed asiatico. Inoltre è in corso l’iter regolatorio per il rivaroxaban e per l’apixaban. Non è tuttavia noto quali saranno le modalità prescrittive stabilite dall’AIFA per la rimborsabilità dei nuovi farmaci anticoagulanti
da parte del SSN (piano terapeutico, registro ?). E’ questo sicuramente un tema che
susciterà ampio dibattito in considerazione del costo significativamente più elevato dei
nuovi farmaci anticoagulanti orali in confronto al vecchio ed economico warfarin, soprattutto in un momento di congiuntura economica come quello attuale (12). E’ vero che
nei costi complessivi del trattamento devono essere considerati non solo il costo del farmaco ma anche quelli connessi al monitoraggio tradizionale della TAO e con il dabigatran sono già state prodotte analisi di costo-efficacia sicuramente favorevoli. Resta
comunque il problema che nei capitoli della spesa sanitaria occupa un posto rilevante
il budget della farmaceutica, il cui contenimento è tra gli obiettivi prioritari di bilancio
per tutte le regioni e Aziende Sanitarie territoriali. Al di là del problema dei costi, per i
pazienti con FA di nuovo riscontro ed indicazioni alla TAO (warfarin naïve) i nuovi anticoagulanti orali si collocano come l’anticoagulante di scelta. La possibilità di limitarne
l’impiego ai pazienti con difficoltà logistiche per la gestione della TAO sarebbe difficilmente attuabile, anche per le aspettative da parte dei pazienti ormai fortemente sensibilizzati all’avvento dei nuovi anticoagulanti orali. Diverso è lo scenario dei pazienti con
FA già in TAO (warfarin experienced). Se il controllo della TAO è affidabile e ben orga-
120
nizzato non esistono motivi per uno switch immediato ai nuovi anticoagulanti orali.
E’ importante che per questi pazienti da parte del medico venga fornita un’informazione corretta sui relativi vantaggi ma anche sui potenziali svantaggi dei nuovi farmaci
nei confronti del warfarin (Tabella 1).
Tabella 1
Vantaggi e svantaggi dei
nuovi anticoagulanti orali
VANTAGGI
- Dose - risposta prevedibile → dose fissa giornaliera
- Non necessità di monitoraggio dell’ anticoagulazione
- Elevata efficacia e sicurezza
- Significativa riduzione del rischio emorragico
- Inizio e termine d’azione rapidi → non necessità di bridge con eparina
- Minime interazioni farmacologiche
- Assenza di interazioni alimentari
SVANTAGGI
- Aggiustamento empirico del dosaggio
- Mancanza di monitoraggio laboratoristico in caso di eventi emorragici o trombotici
- Difficoltà a valutare l’aderenza del paziente alla terapia
- Mancanza di antidoto in caso di sovradosaggio o emorragie
- Inizio e termine d’azione rapidi → potenziale svantaggio nei pazienti con bassa aderenza terapeutica
- Possibile ridotta consapevolezza della terapia da parte del paziente
- Costo elevato
Esiste invece un significativo numero di pazienti in TAO nei quali la qualità del trattamento
non è soddisfacente (TTR < 60%) oppure esistono difficoltà logistiche per la gestione
della TAO o infine si sono verificati eventi tromboembolici o emorragici eventualmente
correlati ad ampie fluttuazioni dell’INR. In questi pazienti, che complessivamente costituiscono circa un terzo dei pazienti in TAO, è ragionevole lo switch dal warfarin ai nuovi
anticoagulanti orali. Esiste infine un’ampia categoria di pazienti con FA già nota che sono
esclusi dalla TAO, oppure sono trattati con aspirina pur in presenza di un profilo di rischio
tromboembolico non basso. Sicuramente una quota di questi pazienti è candidabile ai
nuovi farmaci previo accertamento della compliance alla terapia, se l’esclusione dalla TAO
è stata condizionata da problemi di tipo logistico di gestione del warfarin. Se invece la non
eleggibilità per la TAO è stata condizionata dalla stima di un elevato profilo di rischio emorragico, probabilmente molti di questi pazienti non saranno candidati neppure per i nuovi
anticoagulanti orali.
Due sono le principali condizioni necessarie per l’introduzione sicura dei nuovi farmaci anticoagulanti orali nella routine clinica quotidiana: (1) la conferma di efficacia e sicurezza dei
nuovi anticoagulanti orali nel contesto del real world e (2) l’implementazione di un sistema
di sorveglianza (non laboratoristica) dei nuovi trattamenti. La mancanza della necessità di
un monitoraggio dei parametri emocoagulativi con i nuovi anticoagulanti può comportare
il rischio di una sorveglianza non adeguata del paziente anticoagulato che d’altra parte potrebbe non percepire la consapevolezza dell’importanza e dei rischi della nuova terapia.
I possibili strumenti proponibili per un’implementazione sicura di questi farmaci innovativi
includono: colloquio informativo con il paziente all’inizio della terapia; controlli periodici
(ogni - mesi) per verificare tolleranza e compliance e per la registrazione di eventuali
eventi emorragici; controlli periodici della funzionalità renale.
121
Conclusioni
Sulla base degli studi RE-LY, ROCKET AF ed ARISTOTLE i nuovi anticoagulanti orali dabigatran, rivaroxaban ed apixaban hanno dimostrato un’ efficacia sostanzialmente sovrapponibile a quella del warfarin nella prevenzione del rischio tromboembolico nei pazienti affetti
da FA, associata ad un migliore profilo di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda la significativa riduzione delle emorragie intracraniche, che rappresentano la complicanza più
temibile della TAO. Presentano inoltre il vantaggio della non necessità di un monitoraggio
periodico dell’anticoagulazione e della scarsa interferenza con concomitanti terapie (1).
E’ auspicabile che dopo l’immissione in commercio dei nuovi anticoagulanti orali i risultati
favorevoli dei trial vengano confermati anche nella pratica clinica quotidiana, eventualmente con una verifica attraverso la realizzazione di registri prospettici osservazionali.
Bibliografia
1. Schirmer SH, Baumhäkel M, Neuberger HR et al. Novel Anticoagulants for Stroke Prevention in Atrial Fibrillation. Current clinical
evidence and future developments. J Am Coll Cardiol 2010;6:2067-76
2. Olsson SB, for the Executive Steering Committee of the SPORTIF III Investigators. Stroke prevention with the oral direct thrombin
inhibitor ximelagatran compared with warfarin in patients with non-valvular atrial fibrillation (SPORTIF III): randomised controlled
trial. Lancet 200;62:1691-98
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with nonvalvular atrial fibrillation: a randomized trial. JAMA 200;29:690-98
. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S et al. Dabigatran versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med
2009;61(12):119-1
. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S et al.; Randomized Evaluation of Long-Term Anticoagulation Therapy Investigators. Newly
identified events in the RE-LY trial. N Engl J Med 2010;6(19):187-6 (Letter)
6. Olsson SB, Rasmussen LH, Tveit A et al. Safety and tolerability of an immediate-release formulation of theoral direct thrombin
inhibitor AZD087 in the prevention of stroke and systemic embolism in patients with atrial fibrillation. Thromb Haemost
2010;10():60-12
7. Amadeus Investigators, Bousser MG, Bouthier J, Büller HR et al. Comparison of idraparinux with vitamin K antagonists for
prevention of thromboembolism in patients with atrial fibrillation: a randomised, open-label, non-inferiority trial. Lancet
2008;71:1-21
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Fibrillation. N Engl J Med 2011; 6: 88-891
9. Connolly SJ, Eikelboom J, Joyner C, et al for the AVERROES Steering Committee and Investigators. Apixaban in Patients with
Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2011;6:806-17
10.Granger CB, Alexander JH, McMurray JJV, et al for the ARISTOTLE Committees and Investigators. Apixaban versus Warfarin in
Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2011; 68: 981-992
11.Ruff CT, Giugliano RP, Antman EM et al. Evaluation of the novel factor Xa inhibitor edoxaban compared with warfarin in patients
with atrial fibrillation: design and rationale for the Effective aNticoaGulation with factor xA next GEneration in Atrial FibrillationThrombolysis In Myocardial Infarction study 8 (ENGAGE AF-TIMI 8). Am Heart J 2010;160():6-1
12.Di Pasquale G, Riva L. Profilassi cardioembolica 2011: siamo vicini al tramonto del warfarin? G Ital Cardiol 2011;12(9):6-6
1.Mega JL. A new era for anticoagulation in atrial fibrillation. N Engl J Med 2011;6:102- (Editorial).
122
TAVI oggi in Toscana
Sergio Berti
La stenosi aortica degenerativa è la valvulopatia più frequente nella popolazione occidentale (1). Dal momento in cui diviene sintomatica o determina disfunzione ventricolare
sinistra, la stenosi aortica è una malattia con prognosi non buona a breve termine. La sostituzione valvolare è la terapia di elezione poiché è l’unica in grado di modificare la prognosi e di migliorare significativamente la qualità di vita del paziente. Tuttavia l’intervento
chirurgico, considerato a basso rischio di mortalità nella popolazione generale, può rappresentare un'opzione terapeutica non percorribile per un sottogruppo di pazienti, nei
quali il rischio operatorio è molto elevato o che sono giudicati inoperabili (Euro- SCORE
>20). Pertanto la possibilità di impiantare una protesi aortica, per via percutanea o per via
transapicale, rende disponibile un trattamento efficace per molti pazienti ad alto rischio
o non operabili.
Il primo impianto di protesi aortica per via percutanea, è stato eseguito nel 2002 da Alain
Cribier (2). Da allora, sono stati perfezionati ed introdotti in commercio, due tipi di dispositivi per il trattamento transcatetere della valvulopatia aortica: la CoreValve (Medtronic) e la
Edwards SAPIEN transcatheter heart valve (Edwards).
Queste due bioprotesi possiedono peculiarità morfologiche e tecniche di seguito accennate.
Il “CoreValve” Revalving System (CoreValve Inc., Irvine, CA, USA), è una protesi costituita,
nella sua prima versione commerciale, da lembi di pericardio bovino (poi sostituiti con
quelli di provenienza suina), montati su uno stent di nitinolo autoespandibile. Essa è disponibile in due misure, 26 e 29 mm di inflow, e viene introdotta per via transarteriosa (femorale o succlavia), mediante introduttore “18F” (protesi di terza generazione). La Edwards
SAPIEN Valve (Edwards Lifesciences Inc., Irvine, CA, USA), presenta tre lembi di pericardio
bovino (nella prima versione commerciale era pericardio equino), montati su uno stent di
acciaio espandibile con palloncino. Essa è attualmente disponibile in due misure, 2 e 26
mm, che necessitano rispettivamente di introduttori 22F e 2F per l’approccio transfemorale retrogrado. Per l’approccio transapicale, veniva utilizzato l’introduttore F che ora è
sostituito dal 26F. Le valvole disponibili arrivano fino a 29 mm. Dal primo intervento di impianto per via percutanea di protesi aortica da parte di Alain Cribier nel 2002, più di 000
pazienti anziani ad alto rischio chirurgico (Euro- SCORE >20) o giudicati inoperabili, sono
stati sottoposti ad impianto transcatetere di valvola aortica (,).
La procedura viene eseguita da staff multidisciplinari, sia in fase preoperatoria che durante l'intervento (cardiochirurgo, cardiologo interventista, anestesista, infermiere di sala,
ecografista). Inoltre, ai fini di una maggiore sicurezza del paziente, l'intervento viene condotto in sala operatoria cardiochirurgica o ibrida ().
12
Negli anni, il numero degli interventi in Italia è aumentato significativamente, passando da
98 impianti effettuati nel 2007 a 0 nel 2008 ed a 112 impianti nel 2009 (www.il giornale.gise.it).
Attualmente in Toscana quattro sono i Centri che propongono questo tipo di procedura:
1. Dipartimento Cardiotoracico (Cisanello, Pisa);
2. Fondazione Toscana Gabriele Monasterio (FTGM, Massa);
. Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi (Firenze);
. Azienda Ospedaliera Senese (Siena).
Per quanto riguarda il nostro Centro (FTGM Massa), le procedure TAVI vengono effettuate
da una équipe formata da cardiologo interventista, cardiochirurgo, cardiologo ecografista
e cardio-anestesista, in sala operatoria per le procedure transapicali ed in sala di emodinamica per le procedura transfemorali. Ruolo fondamentale è svolto da personale infermieristico altamente specializzato nel condurre sia la procedura che la preparazione della
valvola. A partire dal 2008 fino ad oggi, sono stati effettuati 70 impianti di protesi trans catetere di cui impianti con la tecnica “valve in valve’’, 6 per via trans apicale e 28 per via
trans femorale.
Ulteriori dettagli (anche per gli altri Centri toscani), sono riportati nelle seguenti Tabelle:
Dispositivi
Sapien
Centro
FI
MS
PI
SI
Totale
TF
1
1
6
22
TA
11
1
1
27
Tabella 1
Volume Attività
Corevalve
TOT
12
0
7
9
Legenda: TF = transfemorale; TA = transapicale; TS = trans-succlavia.
TF
0
1
6
11
98
TA
1
2
17
TOT
0
1
1
1
11
12
Tabella 2
Tipologia di Operatori
coinvolti nella TAVI (TF).
Via di accesso
TF
Centro
FI
MS
PI
SI
PRE
INT
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
CardiolClin
EmoDin
CCh
EmoDin
CCh
EmoDin
CCh
-
EmoDin
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CardioAn
EcoCardioGr
-
Legenda: PRE = pre-intervento; INT = durante l'intervento; EmoDin = emodinamista; CCh = cardiochirurgo;
CardioAn = cardioanestesista; EcoCardioGr = ecocardiografista; CardiolClin = cardiologo clinico.
Tabella 3
Tipologia di Operatori
coinvolti nella TAVI (TA).
Via di accesso
TA
Centro
FI
MS
PI
SI
PRE
INT
EmoDin
CCh
CardioAn
CardiolClin
EmoDin
CCh
CardioAn
CardiolClin
EmoDin
CCh
CardioAn
CardiolClin
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
-
Legenda: PRE = pre-intervento; INT = durante l'intervento; EmoDin = emodinamista; CCh = cardiochirurgo;
CardioAn = cardioanestesista; EcoCardioGr = ecocardiografista; CardiolClin = cardiologo clinico.
12
Tabella 4
Tipologia di Operatori
coinvolti nella TAVI (TS).
Via di accesso
TS
Centro
FI
MS
PI
SI
PRE
INT
EmoDin
CCh
CardioAn
CardiolClin
EmoDin
CCh
CardioAn
CardiolClin
ChVasc
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
EmoDin
CCh
CardioAn
EcoCardioGr
ChVasc
Legenda: PRE = pre-intervento; INT = durante l'intervento; EmoDin = emodinamista; CCh = cardiochirurgo;
CardioAn = cardioanestesista; EcoCardioGr = ecocardiografista; CardiolClin = cardiologo clinico; ChVasc = chirurgo vascolare.
Bibliografia
1. Vahanian A, Alfieri O, Al-Attar N, et al. Transcatheter valve, implantation for patients with aortic stenosis: a position statement
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collaboration with the European Association of Percutaneous Cardiovascular. Eur. J. Cardiothorac. Surg. 2008 Jul.; (1): 1-8.
Epub. 2008 May 27.
2. Cribier A, Eltchaninoff H, Bash A, et al. Percutaneous transcatheter implantation of an aortic valve prosthesis for calcific aortic
stenosis: first human case description. Circulation 2002; 106: 006-8.
. Cribier A, Eltchaninoff H, Tron C, et al. Early experience with percutaneous transcatheter implantation of heart valve prosthesis
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. Cribier A, Eltchaninoff H, Tron C, et al. Treatment of calcific aortic stenosis with the percutaneous heart valve: mid-term follow-up
from the initial feasibility studies. The French experience. J. Am. Coll. Cardiol. 2006; 7: 121-2.
. Vahanian A, Alfieri O, Al-Attar N, Antunes M, Bax J, Cormier B, Cribier A, De Jaegere P, Fournial G, Kappetein AP, Kovac J,
Ludgate S, Maisano F, Moat N, Mohr F, Nataf P, Pierard L, Pomar JL, Schofer J, Tornos P, Tuzcu M, van Hout B, Von Segesser
LK, Walther T. Transcatheter valve implantation for patients with aortic stenosis: a position statement from the European
association of cardio-thoracic surgery (EACTS) and the European Society of Cardiology (ESC), in collaboration with the European
Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (EAPCI). EuroIntervention. 2008 Aug; (2): 19-9.
126
Sostituzione transcatetere
di valvola aortica (TAVI)
L’esperienza della Regione Liguria
M. Vischi, M. Balbi, A. Zingarelli, S. Pansini, F. Rapetto, T. Regesta, F. Scarano, F. Chiarella,
GC. Passerone P., IRCCS AOU S. Martino IST
C. Rapetto, M. Vercellino, Asl 1
P. Bellone, S. Moshiri, Asl 2
P. Rubartelli, S. Bellotti, Asl 3
S. Robotti, Asl 4
A. Al Jabri, R. Gistri, Asl 5
Introduzione
La stenosi valvolare aortica è la valvulopatia più frequente nella popolazione generale e colpisce soprattutto i soggetti anziani: la sua incidenza è circa il ,% nei soggetti che hanno
più di 7 anni e circa l’8% nei soggetti che hanno più di 8 anni. E’ una patologia a prognosi infausta, con una sopravvivenza media di - anni dall’insorgenza della sintomatologia e la terapia medica non è efficace nel migliorare tale prognosi. La sostituzione
valvolare aortica chirurgica è la terapia di scelta della stenosi aortica, ma circa il 0% dei
pazienti ultrasettantacinquenni non può essere sottoposto all’intervento cardiochirurgico per
via dell’età avanzata e delle frequenti comorbidità presenti. Per questi pazienti, la TAVI
(Transcatheter Aortic Valve Implantation) rappresenta un’opzione terapeutica valida.
Da Novembre 2009 presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino abbiamo iniziato
ad eseguire TAVI sui pazienti affetti da stenosi aortica severa non trattabili mediante sostituzione valvolare aortica.
Metodi
Nel nostro centro sono afferite le équipe interventistiche delle Cardiologie della Liguria dotate
di Laboratorio di Emodinamica (Sanremo, Pietra Ligure, Savona, Sampierdarena, Galliera, Lavagna e La Spezia) permettendo di ottenere rapidamente una casistica numerosa con una
media attuale di 2 procedure alla settimana. Per avere informazioni omogenee e complete sui
candidati alla TAVI abbiamo condiviso un Form di Presentazione dei Pazienti [Allegato 1]
Abbiamo costituito un Team multidisciplinare e multiprofessionale composto da Cardiochirurghi, Cardiologi, Cardioanestesisti, Perfusionisti, Tecnici di Radiologia, Infermieri di
sala operatoria e di emodinamica. Tutti gli impianti vengono eseguiti presso il Laboratorio
di Emodinamica della Cardiologia dell’Ospedale San Martino di Genova.
Il Centro è dotato di Cardiochirurgia e di Rianimazione Cardiochirurgica; la sala è attrezzata
per procedure interventistiche endovascolari sia coronariche che periferiche e per interventi
di chirurgia cardiaca e vascolare con l’eventuale allestimento di bypass cardiopolmonare.
Criteri di inclusione
Da Novembre 2009 a Luglio 2011 abbiamo selezionato 88 pazienti da sottoporre a TA-AVI,
127
TF-AVI o TAVI in approccio transascellare (1 caso). Le caratteristiche preoperatorie dei pazienti sono illustrate in Tabella 1.
Caratteristiche dei pazienti
Numero pazienti
Età (anni)
Sesso maschile
Diabete mellito
IRC (Creat > 2,2 mg/dl)
BPCO
Vasculopatia cerebrale
Vasculopatia periferica
FA permanente
Pregresso IMA
Pregressa PCI
PCI < 90 gg
Pregresso CABG
STS score
Gradiente medio (mmHg)
FEVS
Bassa FEVS (< 0%)
Totale
Transfemorale
Transapicale
88
8 ± 26 (29,%)
2 (27,%)
7 (7,9%)
9 (10,2%)
7 (7,9%)
18 (20,%)
2 (27,%)
1 (17,0%)
26 (29,%)
7 (7,9%)
7 (7,9%)
1,1 ± 6,0
6,1 ± 16,7
, ± 1,
7
7 (8,2%)
8 ± 21 (28,0%)
2 (0,7%)
(6,7%)
8 (10,7%)
6 (8%)
1 (20%)
21 (28%)
1 (17,%)
2 (0,7%)
(6,7%)
(6,7%)
1,0 ± 6,
6, ± 1,0
,1 ± 11,
7 (9,%)
12 (1,7%)
81 ± 6
(1,7%)
1 (8,%)
2 (16,7%)
1 (8,%)
1 (8,%)
2 (16,7%)
(2%)
2 (16,7%)
(2%)
2 (16,7%)
2 (16,7%)
1, ± ,6
,9 ± 9,
6,0 ± ,7
0
Per ogni paziente l’indicazione alla TAVI è stata posta in seguito al confronto tra cardiochirurghi, cardiologi clinici, cardiologi interventisti e cardioanestesisti. Abbiamo incluso pazienti affetti da stenosi aortica sintomatica e severa (gradiente medio ≥ 0 mmHg,AVA ≤ 1 cm2,
AVA indicizzata ≤ 0,6 cm2/m2, velocità di picco del jet sistolico aortico ≥ m/s) con Euroscore
logistico ≥ 20 per i soggetti con età fino a 8 anni, e ≥ 10 per i soggetti con età > 8 anni,
oppure con STS score ≥ 10. Inoltre nei casi in cui gli score sono risultati inferiori a tali valori abbiamo considerato come elemento a favore di TAVI la presenza di alcune comorbidità e condizioni sfavorevoli alla sostituzione valvolare aortica che non sono contemplate
nel calcolo degli stessi (fragilità, aorta a porcellana, bioprotesi disfunzionante, pregresso
CABG con graft pervi, insufficienza respiratoria, cirrosi epatica, neoplasia maligna, pregressa radioterapia in sede mediastinica, malformazioni toraciche).
Protesi Valvolare
Presso il nostro Centro abbiamo impiantato bioprotesi Edwards SAPIEN (Edwards Lifesciences,
Irvine, California) per via transfemorale e transapicale e bioprotesi Medtronic CoreValve
(Medtronic, Minneapolis, Minnesota) per via transfemorale e transascellare.
Selezione e gestione preoperatoria dei pazienti
I pazienti vengono selezionati direttamente dai Cardiologi e Cardiochirurghi dell’Ospedale San
Martino oppure vi afferiscono attraverso le altre strutture cardiologiche liguri. Ogni paziente,
una volta posta l’indicazione alla TAVI, viene sottoposto alle seguenti indagini diagnostiche:
• Radiografia del torace
• Ecocardiogramma transtoracico
• Ecocardiogramma transesofageo
Tabella 1
Caratteristiche di base dei
pazienti sottoposti a TAVI
128
• Ecocolordoppler dei tronchi sovraortici
• Angiografia coronarica. Se riscontrate stenosi coronariche critiche, queste vengono trattate mediante PCI.
• Angio-TC dell’aorta toracica e addominale, dei vasi iliaci e dei vasi femorali
I candidati alla TAVI vengono ricoverati presso il reparto di Cardiochirurgia dell’Ospedale
San Martino 1 o 2 giorni prima della procedura. Tutti vengono premedicati con ASA e
clopidogrel; qualora il soggetto non sia già in terapia di mantenimento con clopidogrel
7 mg/die si effettua un carico di clopidogrel da 00 mg.
Inoltre si provvede al posizionamento di un catetere venoso centrale il giorno prima
della procedura.
Gestione intraoperatoria dei pazienti (TAVI transfemorale)
Le prime procedure si svolgono in presenza di un Proctor; ogni operatore può eseguire una
procedura autonomamente dopo averne eseguite 10 sotto la supervisione del Proctor. Ogni
impianto viene eseguito da parte del cardiologo interventista del Centro che ha inviato il paziente. Per quanto riguarda le TAVI in accesso transfemorale (TF-AVI) totalmente percutanee, il cardiologo interventista porta a termine la procedura senza l’ausilio del
cardiochirurgo, che è comunque presente in sala di emodinamica per la gestione delle
eventuali complicanze; qualora invece sia necessario l’isolamento chirurgico dell’accesso
arterioso, questo viene effettuato dal cardiochirurgo. Le procedure si svolgono in presenza
di un cardioanestesista, di norma a paziente sveglio e blandamente sedato con midazolam;
la sala è comunque attrezzata per poter ottenere rapidamente una sedazione più profonda
o effettuare una conversione in anestesia generale. Gli accessi vascolari che utilizziamo per
eseguire la procedura sono i seguenti :
• Catetere venoso centrale
• Catetere venoso periferico
• Arteria radiale per il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa
• Due accessi arteriosi femorali (uno per posizionare la protesi, l’altro per effettuare i controlli angiografici e per il passaggio dei devices emostatici)
• Vena femorale per il posizionamento di un pace-maker temporaneo, necessario per eseguire il rapid pacing (qualora si impianti una protesi Edwards SAPIEN) e come copertura
in caso di bradiaritmia intra- o post-procedurale
Di norma non utilizziamo l’ecocardiografia transesofagea intraprocedurale, poiché è difficilmente compatibile con l’esecuzione della procedura a paziente sveglio; siamo comunque attrezzati per poter effettuare un ecocardiogramma transesofageo in breve tempo.
Gestione intraoperatoria dei pazienti (TAVI transapicale)
Per quanto riguarda le TAVI in accesso transapicale (TA-AVI) il primo operatore è sempre il
cardiochirurgo, aiutato dal cardiologo interventista. L’impianto è effettuato in anestesia generale con intubazione orotracheale. Gli accessi vascolari necessari sono gli stessi descritti
per le TF-AVI; è però sufficiente un solo accesso arterioso femorale, dal momento che la
protesi viene impiantata per via transapicale. Tutte le TA-AVI vengono effettuate con l’ausilio dell’ecocardiogramma transesofageo intraprocedurale. L’apice cardiaco viene aggredito mediante una mini-toracotomia al V-VI spazio intercostale sinistro.
129
Gestione postoperatoria dei pazienti
Una volta conclusa la procedura, di norma il paziente viene trasferito presso la Rianimazione Cardiochirurgica almeno fino al mattino della I giornata postoperatoria. Per tutta la
durata della degenza in Rianimazione si effettua monitoraggio cruento e continuo della
pressione arteriosa, oltre che della pressione venosa centrale e dell’elettrocardiogramma.
Successivamente si trasferisce il paziente nella sezione di Terapia Subintensiva del reparto
di Cardiochirurgia (con monitoraggio continuo non invasivo della pressione arteriosa e dell’elettrocardiogramma) e quindi presso la Degenza dello stesso reparto. Una volta terminato il ricovero presso il nostro Centro, il paziente viene inviato alla Cardiologia di
provenienza o ad un Centro di Riabilitazione Cardiologica. Fin dall’immediato postoperatorio viene continuata la somministrazione di doppia terapia antiaggregante con ASA 100 mg/die
(indefinitamente) e clopidogrel 7 mg/die (per 1-2 mesi).
Risultati
Abbiamo eseguito una TAVI su 88 pazienti.
La protesi è stata correttamente posizionata in 87 pazienti (98,9%). Due pz sono deceduti
per complicanze intraprocedurali: un Pz per insufficienza aortica paraprotesica massiva e
shock cardiogeno, il secondo Pz per occlusione irreversibile del tronco comune della coronaria sinistra (mortalità intraprocedurale del 2,%).
Sono stati dimessi vivi n = 8/88 Pz ( 9%)
Sopravvivenza a 0 gg n = 82/88 Pz ( 9%) (Tabella 2).
La curva di Kaplan-Meier dimostra a un anno una sopravvivenza dell’86% (Tabella ).
Risultati a 30 giorni
Pazienti
Edwards Sapien XT
Medtronic CoreValve
Successo procedurale
Embolizzazione protesi
Valve in valve
Decessi a 0 giorni
Decessi intraprocedurali
Conversione cardiochirurgica
Tamponamento cardiaco
Complicanze vascolari maggiori
Stroke
IRA con emodialisi
Impianto PM permanente
Complicanze coronariche
Totale
88
8
87 (98,9%)
0
1 (1,2%)
6 (6,8%)
2 (2,%)
0
2 (2,%)
12 (1,6%)
0
0
0
2 (2,%)
Transfemorale
7
7
2
7 (98,7%)
0
1 (1,%)
(,%)
2 (2,7%)
0
2 (2,7%)
11 (1,7%)
0
0
0
1 (1,%)
Transapicale
12
12
0
12 (100%)
0
0
2 (16,7%)
0
0
0
1 (8,%)
0
0
0
1 (8,%)
Il nostro follow-up medio è di 10 mesi (range 1-22). Al follow-up sono deceduti 10 pazienti. Il seguente grafico (Tabella ) riporta la curva di sopravvivenza dei nostri pazienti
usando il metodo. di Kaplan-Meier
Tabella 2
Risultati a 0 giorni.
10
Tabella 3
Curva di sopravvivenza
Complicanze
• 1 paziente è stato necessario 1 impianto valve-in-valve per IAo paraprotesica importante.
• 2 pazienti dovevano essere inizialmente sottoposti a TF-AVI, ma è stata eseguita solo la
valvuloplastica per inadeguatezza dell’asse arterioso iliaco-femorale; uno di questi è
stato poi sottoposto a TA-AVI, l’altro a TAVI transascellare.
• 7 (8,2%) pazienti sono stati sottoposti a TF-AVI, 12 (1,7%) a TA-AVI e 1 (1,2%) a
TAVI transascellare.
• 6 (6,9%) pazienti sono deceduti a 0 giorni, di cui (,%) erano stati sottoposti a
TF-AVI e 2 (16,7%) a TA-AVI.
• I 2 pazienti deceduti durante la procedura erano stati sottoposti a TF-AVI. Occorre precisare che il dato di mortalità dei pazienti sottoposti a TA-AVI è influenzato dal fatto che il
numero di pazienti è minore e dal fatto che uno dei pazienti deceduti aveva comorbidità
respiratoria e renale ed era stato precedentemente sottoposto a bypass aortocoronarico.
Per quanto riguarda le TF-AVI abbiamo avuto 1 complicanze totali a 0 giorni, pari al 20%
dei pazienti, distribuite nel seguente modo:
• 11 (1,7%) complicanze vascolari maggiori, tutte localizzate in sede iliaco-femorale e
tutte trattate con successo. In casi è stata necessaria una revisione chirurgica dell’arteria femorale e in 7 casi è stato posizionato un device endovascolare (endoprotesi o
stent). Non si è verificato nessun ematoma retroperitoneale
• 2 (2,7%) emopericardi con tamponamento cardiaco in seguito a perforazione del ventricolo destro da parte di un catetere stimolatore temporaneo. Entrambi questi pazienti
sono stati trattati mediante pericardiocentesi e posizionamento di drenaggio pericardico
in giornata operatoria. Entrambi sono stati dimessi dall’ospedale senza ulteriori complicanze ed erano vivi a 0 giorni
• 1 (1,%) occlusione acuta del tronco comune della coronaria sinistra, verificatasi immediatamente dopo l’espansione della protesi. L’occlusione è stata determinata dal ribaltamento della cuspide coronarica sinistra della valvola nativa sull’ostio coronarico.
L’occlusione ha causato immediato arresto cardiocircolatorio irreversibile; è stato tentata
una PCI in emergenza senza risultato e il paziente è deceduto in sala di emodinamica
11
• 1 insufficienza aortica paraprotesica importante con conseguente ipotensione acuta. Il
paziente è stato sottoposto a una procedura di impianto valve-in-valve ed è stata inoltre allestita una circolazione extracorporea femoro-femorale in emergenza. Il paziente è
deceduto in sala di emodinamica
Per quanto riguarda le TA-AVI abbiamo avuto le seguenti (2%) complicanze a 0 giorni:
• 1 insufficienza ventricolare sinistra acuta che ha richiesto rianimazione cardiopolmonare prolungata in sala di emodinamica precedentemente all’impianto della protesi. Abbiamo proceduto immediatamente ad allestimento di una circolazione extracorporea
femoro-femorale, la protesi è stata correttamente impiantata nel contesto della stessa
seduta ed il paziente è stato svezzato dalla CEC. Il paziente è deceduto in X giornata in
seguito a sindrome da bassa portata irreversibile
• 1 occlusione acuta del tronco comune della coronaria sinistra, immediatamente successiva all’impianto. La lesione è stata trattata con successo mediante PTCA + stenting
del TC, il paziente è stato dimesso dall’ospedale ed era vivo a 0 giorni
• 1 (2%) complicanza emorragica. Il paziente è deceduto in III giornata postoperatoria in
seguito ad anemizzazione acuta; non era presente sangue in cavo pericardico e non è
stato possibile identificare la sede di origine dell’anemia.
Nessun paziente tra quelli sottoposti a TA-AVI o TF-AVI ha necessitato dell’impianto di un
pace-maker permanente. In nessun caso è insorta una insufficienza renale acuta tale da
richiedere terapia emodialitica. Infine, non si sono verificati stroke a 0 giorni. I risultati a
0 giorni sono riassunti in Tabella 2.
Discussione
La stenosi valvolare aortica severa sintomatica è una patologia frequente nella popolazione generale e ha una prognosi infausta se non trattata. La terapia medica da sola non
è efficace nel migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da tale patologia e la sostituzione valvolare aortica è un’opzione terapeutica valida e sicura per la maggior parte dei soggetti. Tuttavia, esiste un sottogruppo di pazienti di entità non trascurabile (circa il 0% dei
pazienti con età > 7 anni) per i quali la chirurgia è controindicata o comunque considerata a rischio troppo alto. Alcuni di questi, qualora soddisfino requisiti clinici e anatomici che
sono stati definiti dalla comunità scientifica, possono essere trattati mediante TAVI.
Dal 2002 ad oggi sono stati intrapresi numerosi studi con l’obiettivo di dimostrare la reale
efficacia della TAVI, che si sta affermando come superiore alla terapia medica per questi
pazienti. Il PARTNER trial, il primo trial randomizzato multicentrico designato per confrontare la TAVI con la terapia medica, conferma questa tesi.
Presso l’Ospedale San Martino di Genova abbiamo impiantato fino ad oggi 88 bioprotesi in
sede aortica per via transfemorale, transapicale o transascellare. Nella nostra esperienza
la TAVI è un’opzione terapeutica valida per i pazienti anziani affetti da stenosi valvolare
aortica severa sintomatica per i quali non sia indicata la terapia chirurgica. La mortalità e
l’incidenza di complicanze a cui sono andati incontro i nostri pazienti sono in linea con
quelle riportate in letteratura. Le principali casistiche disponibili riportano una mortalità intraprocedurale tra il e il 10% ed una mortalità a 1 mese tra il 10 e il 1%. Nella nostra
12
esperienza abbiamo avuto una mortalità intraprocedurale del 2,% e intraospedaliera del
6,8% ; pertanto i risultati finora conseguiti presso l’Ospedale San Martino sono allineati con
i migliori tra quelli finora presentati.
È necessario ricordare alcuni concetti. La TAVI è una procedura che viene effettuata su pazienti ad alto rischio per età e comorbidità; di conseguenza il verificarsi di una complicanza
grave durante o dopo la procedura rappresenta sempre un problema di difficile soluzione,
soprattutto se si rende necessario eseguire una sternotomia o allestire una CEC in emergenza, dal momento che esse erano state controindicate in precedenza. Inoltre eseguire
una TAVI e gestirne le possibili complicanze presuppone la stretta collaborazione tra diversi
specialisti, che devono prendere parte ad ogni decisione clinica riguardante il paziente lavorando come un team. Infine, non si dispone ancora di dati sul follow-up a lungo termine
dei pazienti sottoposti a TAVI, né sulla performance a lungo termine delle bioprotesi impiantate con tale tecnica.
Il nostro gruppo si trova ad operare in Liguria, la regione italiana con l’età media più elevata e quindi ad alta prevalenza di pazienti affetti da stenosi aortica e potenzialmente trattabili con TAVI. D’altra parte la TAVI è una procedura che si può effettuare solo in Centri
altamente specializzati e che dispongano di cardiochirurgia, emodinamica, rianimazione
con esperienza cardiochirurgica; in Liguria l’Ospedale San Martino è l’unico che soddisfi
questi requisiti. Il presupposto per una corretta gestione dei pazienti è un modello organizzativo che preveda la creazione di un Heart Team composto anche dai Cardiologi degli
altri Ospedali Liguri. Nella Figura 1 viene illustrata la distribuzione dei pazienti in base al
Centro inviante.
Fig 1
Suddivisione dei pazienti
in base al Centro inviante
In conclusione, attualmente i pazienti da trattare mediante TAVI rimangono quelli per i quali
esista una controindicazione alla sostituzione valvolare aortica, o per i quali tale intervento
viene considerato eccessivamente rischioso. Queste valutazioni devono essere effettuate
collegialmente da un gruppo di diversi specialisti. Ulteriori studi sono indispensabili per
approfondire le nostre conoscenze sull’andamento clinico dei pazienti e per definire eventuali ampliamenti delle indicazioni alla TAVI.
1
Allegato 1
Modulo di presentazione per TAVI
(Pz non ammessi all’intervento dal cardiochirurgo)
Reparto che invia la richiesta ................................. data di invio della richiesta ...................................
Cardiologo Referente ....................................... tel ................................ cellulare ................................
Nome e Cognome ......................................................................... data nascita ...................................
Indirizzo ........................................................... tel ................................ cellulare ................................
Sesso ...... Peso ..... Altezza .......... Euroscore log ............................... Score STS ..............................
Storia clinica Classe NYHA: .................................................................................................................
..............................................................................................................................................................
Comorbilità - renali (VFG.…)
- Polmonari (BPCO, FEV1….)
- neurologiche
- altre (neoplasie…)
- indice di fragilità*
Elettrocardiogramma
Ecocardiografia
Transtoracica Misura anulus ..... Dimensioni bulbo al seno Valsalva ..... Giunzione sinotubulare .....
Gradiente massimo: ..... mm Hg Gradiente medio: ..... mm Hg Velocità di picco: ..... Area Valvolare: .....
Grado insuff mitralica:
DTD:
DTS:
FE .....%
n° cuspidi aortiche
Ipertrofia settale: ..... mm grado di calcificazione (1/2//)** PAPs ..... Grado insuff aortica .....
Transesofagea (se TTE incompleto) Misura anulus ..... Bulbo al seno Valsalva ..... Giunzione sinotubulare .....
Coronarografia
Coronaropatia critica rami principali
Distanza anulus/coronaria
Aorta a porcellana
trattata .............
non trattabile .............
Miglior proiezione per il piano valvolare:
Angio TAC
Arco aortico: calcificazione
Diametro succlavia:
Asse iliaco-femorale:
Grado calcificazione a destra:
Tortuosità a destra:
Grado calcificazione sinistra:
Tortuosità a sinistra:
Diametro minimo asse iliaco destro
Diametro minimo asse iliaco sinistro
nessuna
lieve
moderata
severa
nessuna
lieve
moderata
severa
nessuna
lieve
moderata
severa
nessuna
lieve
moderata
severa
nessuna
lieve
moderata
severa
della femorale comune
della iliaca
della femorale comune
della iliaca
Doppler TSA : .......................................................................................................................................
Via di impianto e lato proposto ...........................................................................................................
Protesi proposta ( Tipo e taglia) ........................................................................................................
Firma del Medico proponente
1
Bibliografia
Webb JG, Chandavimol M, Thompson CR, et al. Percutaneous aortic valve implantation retrograde from the femoral artery.
Circulation. 2006 Feb 14;113(6):842-50.
Ye J, Cheung A, Lichtenstein SV, Carere RG, et al. Transapical aortic valve implantation in humans. J Thorac Cardiovasc Surg.
2006 May;131(5):1194-6.
Grube E, Buellesfeld L, Mueller R, et al. Prog¬ress and current status of percutaneous aortic valve replace¬ment: results of three
device generations of the CoreValve Revalving system. Circulation Cardiovasc Interv 2008 Dec;1(3):167-175.
Holmes DR and Mack MJ Transcatheter Valve Therapy: A Professional Society Overview from the American College of Cardiology
Foundation and The Society of Thoracic Surgeons Ann Thorac Surg 2011 Jul;92:380-389
Jagroop Basraon, DO, Yellapragada S. Chandrashekhar, MD, et al. Comparison of risk scores to estimate perioperative mortality
in aortic valve replacement surgery. Ann Thorac Surg 2011 Aug;92(2):535-540.
Tamburino C, Capodanno D, Ramondo A, et al. Incidence and predictors of early and late mortality after transcatheter aortic valve
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Rodés-Cabau J, Webb JG, Cheung A, Ye J, et al. Transcatheter aortic valve implantation for the treatment of severe symptomatic
aortic stenosis in patients at very high or prohibitive surgical risk: acute and late outcomes of the multicenter Canadian experience.
J Am Coll Cardiol 2010 Mar;55(11):1080-1090.
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and valve related outcomes. Circulation 2009 Jun;119(23):3009–16.
Godino C, Maisano F, Montorfano M, et al. Outcomes after transcatheter aortic valve implantation with both Edwards-SAPIEN and
CoreValve devices in a single center: the Milan experience. J Am Coll Cardiol Cardiovasc Interv 2010 Nov;3(11):1110-21.
Leon MB, Smith CR,Mack M, et al for the PARTNER Trial Investigators. Transcatheter aortic-valve implantation for aortic stenosis
in patients who cannot undergo surgery. N Engl J Med. 2010 Oct;363(17):1597-607.
1
Difetto del setto interventricolare:
caso clinico
Giacomo Terzi
Cardiologia ISCCR AOU S. Martino - IST
L’incidenza di cardiopatie congenite negli adulti secondo la seconda conferenza di Bethesda del 2000 è di circa 2800 casi per milione con difetti moderati severi. Tali patologie sono
difficilmente quantificabili dato spesso l’asintomaticità delle stesse. Il difetto del setto interventricolare è la più frequente malformazione congenita alla nascita e si presenta in
-, per 1000 nati vivi . Difetti interventricolari lievi spesso col tempo si autorisolvono. Vi
sono quattro tipi anatomici: perimembranosi (80%), muscolari (circa 1%), sopracristali nel
tratto di efflusso (circa %), del canale AV, quest’ultimo specie nella s. di Down (2). Il difetto
perimembranoso può essere adiacente alla cuspide settale della tricuspide o alle cuspidi aortiche talora condizionando un’insufficienza .Il difetto si definisce ampio quando il suo diametro è pari o superiore al 7% del diametro dell’aorta con importante shunt destro sinistro,
e successiva dilatazione del ventricolo destro ed incremento delle pressioni polmonari. Il
presentarsi dei sintomi è legato all’entità del difetto ed alle possibili complicanze come endocardite, prolasso di una cuspide aortica, cianosi e facile stancabilità secondarie allo sviluppo d’ipertensione polmonare. La diagnosi si basa sull’esecuzione di vari accertamenti
che partono oltre che dall’esame clinico per la presenza di un soffio olosistolico al °-° spazio intercostale anche all’esecuzione dell’ecg per la ricerca di ipertrofia ventricolare destra
o biventricolare, all’rx torace per la valutazione di eventuale accentuazione del secondo
arco di sinistra o di ingrandimento dell’atrio o del ventricolo sinistro. L’ecocardiogramma
transtoracico permette di porre la diagnosi, in alternativa anche la risonanza magnetica o la
TC. A completamento diagnostico sull’esatta localizzazione in fase preoperatoria può essere utile l’esecuzione di un ecocardiogramma transesofageo ed il cateterismo cardiaco
anche per la valutazioni delle pressioni e delle resistenze (rapporto Qp QS).
Devono essere sottoposti a chiusura del DIV
• i pazienti sintomatici che non presentano malattia vascolare polmonare grave (evidenza 1C)
• i pazienti asintomatici con evidenza di sovraccarico di volume con rapporto Qp/Qs > 2 (1 B)
• i pazienti con storia di endocardite infettiva (2a C)
• i pazienti con prolasso della cuspide aortica con insufficienza associata (2 a C)
• i pazienti con shunt e Qp/Qs > 1, (2a C)
La chiusura chirurgica è il trattamento di scelta, la chiusura per via percutanea rimane riservata
ai difetti muscolari e fattibile nei perimembranosi o in particolari condizioni anatomiche (1).
Presentiamo il caso di una donna di anni di origini sud americane, in anamnesi due parti
cesarei, afferita per dispnea ed astenia. Nel 2002 era stata posta diagnosi di DIV, solo recentemente si era verificato un progressivo peggioramento della dispnea con presentazione
anche a riposo. All’ecocardiogramma si evidenziava il difetto settale parte membranosa con
16
Fig 1
Ecocardiografia
transesofagea
Figura 1a
aneurisma pars
membranacea siv
Figura 1b
gradiente di picco
Figura 1c
diametro massimo
di 1,2 cm
Figura 1d
immagine color doppler
shunt sin→dx con gradiente di picco 76 mm Hg. L’indagine con ecocardiografia transesofagea confermava la presenza di shunt ed evidenziava aneurisma destro convesso della
pars membranacea del setto interventricolare e prolasso del corrispondente lembo tricuspidalico (fig 1a). Nella parte sinistra della Fig. 2 sono riportati i dati dell’esame emodinamico (rapporto Qp/Qs : 1.8). Nella ventricolografia (mdc iniettato in VS) presentata nella
parte destra della Figura 2 si può notare il passaggio del mdc da sin a dx. La paziente è
stata quindi sottoposta con successo ad intervento cardichirurgico con riparazione del difetto con doppia sutura ed utilizzando il tessuto sovrabbondante del setto. Da segnalare
che inizialmente l’approccio cardiochirurgico è stato fatto con incisione trasversale della
polmonare ipotizzando un anomalia sopracrestale ma che non ha permesso di trovare il difetto. Con l’incisione del cono di efflusso del ventricolo destro invece è stato raggiunto il
difetto interventricolare. In predimissione il controllo ecocardiografico dimostrava l’assenza di shunt interventricolare. La paziente è stata dimessa in 6 ° giornata con netto miglioramento clinico.
17
Fig 2 A
cateterismo
cardiaco destro
Fig 2 B
ventricolografia
Commento : abbiamo presentato questo caso come emblematico della superiorità diagnostica dell’eco transesofageo che ha consentito al cardiochirurgo di avere una precisa
localizzazione del difetto e che ne ha permesso un’ottimale approccio nell’intervento cosa
che era risultata fuorviante con l’esame emodinamico.
Bibliografia:
1 Linee guida per il trattamento delle cardiopatie congenite dell’ adulto G Ital Cardiol 2011;12 (7-8):0-0.
2 ACC/AHA 2008 Guidelines for the Management of Adults With Congenital Heart Disease: Executive Summary Circulation. 2008;
118: 29-21,
18
Indice
pag.
Infarto Miocardico Acuto Esteso: c’è bisogno di nuove terapie? ............................ 5
Stefano De Servi
La fisiopatologia cellulare dell’infarto miocardico acuto: ruolo delle citochine ..... 7
G. Pompilio, B. Bassetti, E. Gambini, M.C . Capogrossi
Citochine nell’infarto miocardico acuto: dati clinici e sperimentali ..................... 11
Cristina Malafronte
L’ecocontrastografia nello studio di vitalità e perfusione:
applicabilità in studi con terapia cellulare ............................................................. 15
Francesco Gentile
Trial Clinici sulla Terapia Cellulare: End Point Strumentali o Clinici? .................... 21
Filippo Crea
STEM AMI OUTCOME: razionale e protocollo. ........................................................ 22
Felice Achilli
“Apical Ballooning Syndrome”:
casistica della Cardiologia San Martino di Genova. ............................................... 25
Alberto Valbusa
Lesioni Coronariche critiche in sindromi Tako-Tsubo-like .................................... 29
Infarto Miocardico Acuto:
nuovi orizzonti nella terapia con farmaci anticoagulanti ....................................... 31
Giuseppe Musumeci
Cardiopatia Ischemica: nuovi orizzonti nella terapia con antiaggreganti orali ..... 37
Giancarlo Casolo
La rete per lo STEMI in Lombardia, l’Archivio Regionale STEMI
e il Progetto Strategico “Sindrome coronarica acuta” ........................................... 42
Maurizio Marzegalli
STEMI oggi in Emilia Romagna ................................................................................ 46
Pier Camillo Pavesi
STEMI oggi in Piemonte ........................................................................................... 50
Maria Rosa Conte
Infarto miocardico acuto con ST sopralivellato (STEMI)
STEMI in Liguria - Esperienza Ospedale San Martino ............................................ 54
Francesco Abbadessa, C. Giachero, M. Vischi, A. Zingarelli, M. Balbi,
A. Valbusa, R. Delfino, P. Moscatelli, L. Borgo, F. Bermano, M. Comaschi,
P. Rubartelli, S. Chierchia, L. Oltrona Visconti, F. Copello, F. Chiarella
19
pag.
Infarto miocardico acuto con ST sopralivellato: esperienza ASL3 Genovese ....... 66
Paolo Rubartelli, Davide Bartolini, Sandro Bellotti, Gabriele Crimi, Alessandro Iannone
STEMI oggi in Liguria Esperienza Ospedale Galliera .............................................. 71
Andrea Rolandi
STEMI. L’esperienza della Spezia nel 2010. ............................................................ 75
Gianfranco Mazzotta
Protocollo di Gestione dell'Infarto Miocardico Acuto
a ST sopraslivellato (STEMI) nell’ambito della Regione Liguria ............................ 77
F. Abbadessa, F. Arcidiacono, P. Ballarino, D. Bartolini, P. Bellotti, L. Beringheli,
F. Bermano, L. Borgo, M. Brignole, F. Chiarella, M. Comaschi, P. Cremonesi,
R. Delfino, F. Della Rovere, C. Del Prato, S. Domenicucci, S. Esposito, S. Ferlito,
R. Griffo, P. Iannoni, G. Lerza, G. Mazzotta, F. Miccoli, P. Moscatelli, G. Orengo,
E. Puggioni, G. Regolini, P. Rubartelli, P. Spirito, F. Torracca, M. Zanna
Real World Pace Maker ............................................................................................ 95
Paolo Rossi
Real World ICD e CRT-D: esperienze e prospettive ............................................... 101
Paolo Sartori
Monitoraggio in remoto dei pazienti portatori di ICD e CRT ................................. 110
Daniele Molini
Percutaneous LAA Closure for Stroke Prevention in AF ....................................... 112
Matteo Montorfano
Fibrillazione Atriale: nuovi scenari terapeutici
e conseguenti implicazioni gestionali ................................................................... 116
Giuseppe Di Pasquale, Letizia Riva, Gloria Coutsoumbas
TAVI oggi in Toscana .............................................................................................. 122
Sergio Berti
Sostituzione transcatetere di valvola aortica (TAVI)
L’esperienza della Regione Liguria ....................................................................... 126
M. Vischi, M. Balbi, A. Zingarelli, S. Pansini, F. Rapetto, T. Regesta, F. Scarano,
F. Chiarella, GC. Passerone P., C. Rapetto, M. Vercellino, P. Bellone, S. Moshiri,
P. Rubartelli, S. Bellotti, S. Robotti, A. Al Jabri, R. Gistri
Difetto del setto interventricolare: caso clinico .................................................... 135
Giacomo Terzi