Incendio boschivo (codice penale artt. 423

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Incendio boschivo (codice penale artt. 423
Incendio boschivo (codice penale artt. 423 - 425, 449)
tipo provvedimento: CODICE PENALE
giorno: 19
mese: ottobre
anno: 1930
Art. 423.
Incendio.
Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica.
Art. 423-bis.
Incendio boschivo.
Chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione
da quattro a dieci anni.
Se l'incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall'incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente
all'ambiente.
Art. 424.
Danneggiamento seguito da incendio.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 423-bis, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è
punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni.
Se segue l'incendio, si applicano le disposizioni dell'articolo 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.
Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue incendio, si applicano le pene previste
dall'articolo 423-bis.
Art. 425.
Circostanze aggravanti.
Nei casi preveduti dagli articoli 423 e 424, la pena è aumentata se il fatto è commesso:
1. su edifici pubblici o destinati a uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;
2. su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, o su miniere, cave, sorgenti o su acquedotti o altri manufatti destinati a
raccogliere e condurre le acque;
3. su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;
4. su scali ferroviari o marittimi, o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti,
infiammabili o combustibili;
[5. su boschi, selve e foreste.] (1)
(1) Numero abrogato dall'art. 11, L. 21 novembre 2000, n. 353.
Capo III
Dei delitti colposi di comune pericolo
Art. 449.
Delitti colposi di danno.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell'articolo 423-bis, cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo
primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un
aeromobile adibito a trasporto di persone.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 4 marzo - 27 aprile 2010, n. 16295
(Presidente Fazzioli - Relatore Bonito)
Motivi della decisione
1. P. A., assistito dal suo difensore di fiducia, ricorre per l’annullamento della sentenza resa dalla Corte di Appello di Napoli con la
quale, in data 30 maggio 2008, era stata confermata quella resa in prime cure, all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di
Benevento, in composizione monocratica, e con essa la sua condanna - previa applicazione della disciplina sulla continuazione, delle
attenuanti generiche e col riconoscimento del vizio parziale di mente - alla pena di mesi quattro di reclusione, perché giudicato
colpevole dei seguenti reati, meglio in rubrica descritti: capo A) art. 81 e 658 c.p., in **** il **** ed il ****; capo B) art. 658 c.p., in **** il
****; capo C) art. 658 c.p., in **** il ****; capo D) art. 424 c.p., in **** il ****; proc. n. 664/2005: artt. 81 e 424 c.p., in ****, il **** ed il ****.
1.2 Per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, i giudici di merito ponevano a sostegno del giudizio di colpevolezza
relativo ai reati di cui ai capi A) e C) della rubrica, sia la prova fornita dai tabulati telefonici, da cui si rilevava che le telefonate al 118 alle
ore indicate dall’accusa provenivano dal telefono cellulare nella disponibilità dell’imputato e da questi usato, sia le dichiarazioni
testimoniali di D. L. C. e L. M., le quali hanno riferito dell’agitazione in cui vivevano i condomini del palazzo, ove tutti i protagonisti della
vicenda alloggiavano, per le minacce dell’imputato, aduso a chiamare ambulanze e ad appiccare fuoco ai citofoni.
In ordine ai reati di cui al capo D) e di cui al proc. n. 664/2005, rilevavano invece i giudici territoriali che, sia con riferimento al fuoco
appiccato alla sterpaglia, sia con riferimento al fuoco appiccato alla tenda da sole posta sul balcone della p.l. D. L., l’incendio era
provato dall’intervento dei vigili del fuoco.
2. A sostegno della doglianza la difesa illustra tre motivi di ricorso.
2.1. Col primo di essi il ricorrente denuncia difetto di motivazione, travisamento della prova e violazione dell’art. 424 c.p., con riferimento
alla condanna relativa a tale reato, contestato con proc. n. 664/2005. A sostegno della doglianza la difesa assume:
- con riferimento all’episodio del ****, rilevato non già dalla persona offesa, come erroneamente assunto dalla Corte distrettuale, bensì
dai CC che si trovarono a passare per quei luoghi notando il bizzarro comportamento dell’imputato, risulta agli atti (ed allegato al
presente ricorso) il verbale di sequestro, redatto dagli stessi CC, dell’accappatoio blu della D. L., sul quale i verbalizzanti riscontrarono
nulla più che “bruciature”. In tale occasione, annota il difensore, non vi fu alcun intervento dei vigili del fuoco, arbitrariamente introdotto
nel processo dalla Corte di merito;
- con riferimento, invece, all’episodio del ****, il danno riscontrato dai pompieri, questa volta intervenuti, risultante dalla relativa scheda
dai medesimi redatta nella circostanza (documento allegato al ricorso) è dato dalla bruciatura della bordatura della tenda per una
larghezza di centimetri venti circa, con l’annotazione istituzionale che “l’attività interessata dal sinistro non rientra fra quelle soggette ai
controlli dei VV.FF.”;
- le due premesse evidenziano un ripetuto travisamento della prova e la inesistenza dei reati contestati, dovendosi ritenere le condotte
accertate come condotte di mero danneggiamento.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione con riferimento alla violazione dell’art. 658
c.p. contestata al capo A) della rubrica e questo sul rilievo che l’unico elemento di accusa è dato, nel caso di specie, dall’uso in capo
all’imputato del telefono cellulare utilizzato per le chiamate alle pubbliche autorità amministrative.
Ciò premesso, assume la difesa che tale dato integrerebbe elemento indiziario, da solo inidoneo a sostenere l’accusa e, quindi, la
condanna, anche perché non accertato il tempo in cui l’imputato ebbe la disponibilità del telefono cellulare, peraltro non di sua proprietà,
di guisa che esso poteva ben essere utilizzato da altri.
2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia, infine, la difesa ricorrente la violazione del principio del ne bis in idem, dappoiché le condotte
contestate ai capi A) e C) della rubrica risulterebbero giudicati con sentenza del 2005, n. 837, resa dal Tribunale di Benevento, di guisa
che in relazione ad esse andava dichiarata la improcedibilità dell’azione penale.
A riprova dell’assunto la difesa ricorrente ha depositato la sentenza in parola e posto a confronto le contestazioni dei due processi,
sottolineando la sovrapponibilità dei tempi in cui le condotte stesse furono consumate.
3. Il ricorso è fondato ancorché nei limiti che si passa ad esporre.
3.1 È fondato il primo motivo di ricorso.
Prospetta il difensore l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale nel ritenere la sussistenza del reato di
danneggiamento seguito da incendio in luogo del semplice danneggiamento.
Giova a questo punto una premessa sui principi di diritto affermati da questa Corte.
Il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) richiede, quale elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di
incendio, sicché non è ravvisabile il reato in questione, ma eventualmente il semplice danneggiamento, nell’ipotesi in cui il
fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo. In questo caso, ovvero nel caso in cui
colui che, nel l’appiccare il fuoco alla cosa altrui, al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza cagionare né un
incendio né il pericolo di un incendio, sussiste il reato di danneggiamento previsto e punito dall’art. 635 c.p.. Se, per contro,
detto pericolo sorge o se segue l’incendio, il delitto contro il patrimonio diventa, più propriamente, un delitto contro la
pubblica incolumità, e trovano applicazione, rispettivamente, gli art. 424 e 423 c.p.. (Cass., Sez. III, 26/11/1998, n. 1731 tra le
tante).
Nel caso di specie va pertanto esclusa l’ipotizzabilità del reato di cui all’art. 424 c.p., in favore di quella di danneggiamento di cui all’art.
635 c.p..
Giova infatti osservare, quanto all’elemento oggettivo del reato, che là dove, come nelle ipotesi in esame, l’incendio non appare
neppure ipotizzabile e non già perché lo stesso non risulta caratterizzato da particolare proporzione, da diffusività, da tendenza a
progredire, da difficoltà di spegnimento, ma perché nulla di apprezzabile ed individuabile in tal guisa appare essersi concretamente
verificato, la conclusione non può che essere nel senso appena detto.
Il ricorrente ha provato attraverso documenti pubblici o comunque di pubblica rilevanza redatti da PP.UU. che le conseguenze dannose
riconducibili alle condotte dell’imputato furono, il ****, alcune bruciature su un accappatoio ed il ****, la bruciatura di circa 20 centimetri di
tenda, per la quale i VV.FF. annotarono la loro incompetenza ad intervenire.
Orbene, in costanza di siffatte acquisizioni istruttorie, provenienti da pubblici operatori, VV.FF. e CC e nonostante l’indicazione difensiva
di essi perché venissero valutati ai fini della decisione, il giudice di merito non ha argomentato per nulla, ignorandoli ed in parte
travisandoli, con ciò violando l’obbligo di motivazione posto dall’ordinamento a suo carico (art. 125 co. 3 c.p.p.) violazione sussumibile,
secondo costante insegnamento di questa Corte, nell’ipotesi della violazione di legge a mente dell’art. 606 co. 1 lett. b), ovvero del
difetto assoluto di motivazione ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. e) codice di rito.
Da tali premesse consegue, conclusivamente, che la sentenza impugnata, relativamente alla condotta di cui innanzi, va annullata con
rinvio e gli atti restituiti alla Corte distrettuale affinché provveda a nuovo giudizio sul punto in coerenza con i principi di diritto innanzi
affermati.
3.2 Infondati vanno viceversa giudicati i due restanti motivi di censura.
3.2.1 Quanto, in particolare, al secondo motivo, vertesi in ipotesi palese di doglianza di merito, volta ad accreditare un diverso giudizio,
quello difensivo, sui fatti di causa così come ricostruiti con logica motivazione dai giudicanti di merito, i quali, oltre a valorizzare il dato
probatorio e non certo indiziario che le telefonate di cui all’imputazione risultavano eseguite dal telefono cellulare di proprietà e nella
disponibilità dell’imputato, hanno irrobustito probatoriamente detta circostanza con la notorietà tra i condomini dell’anomala inclinazione
del prevenuto il quale in precedenza aveva ripetutamente reiterato condotte similari, peraltro confermatale dagli stessi precedenti penali
evocati dalla difesa a sostegno dell’assunta violazione del principio del ne bis in idem.
3.2.2. In relazione al terzo motivo di censura osserva la Corte che non vi è affatto sovrapponibilità tra le contestazione A) e C) della
sentenza impugnata e quelle richiamate dal difensore, dappoiché diverse le date di consumazione indicate nei relativi capi di
imputazione (****, da una parte, e dall’**** al **** dall’altra) palesemente generica, quest’ultima, rispetto alla precisa indicazione delle
prime, perché risultino adeguatamente individuate condotte sovrapponigli.
P.Q.M.
la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo di cui al proc. pen. n. 664/2005 R.G.T. e rinvia per nuovo giudizio
sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.