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ULTIME NOTIZIE
DALLA PROVINCIA
di Andrea Cottone
ECCO GLI INTERESSI
CHE PASSAVANO IN PERIFERIA
O LONTANO DAL CAPOLUOGO:
DA VILLAGRAZIA, CROCEVIA
DELLA DROGA,
A SAN MAURO CASTELVERDE,
TUTTA COSA NOSTRA
ERA IN FERMENTO
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S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA
L
a rifondazione di Cosa nostra passava anche per la provincia e per la cintura metropolitana di Palermo. Mandamenti storicamente strategici per la solidità dell’organizzazione attraverso i quali passavano anche droga e armi.
VILLAGRAZIA-SANTA MARIA DI GESÙ
“Vossia lo sa che mio padre non è nato oggi, hai capito? E da
lontano stesso dipinge il quadro, delle mentalità (...) se qualcuno vuole alzare la cricchia se la cali perché ci lascia la pelle,
chiaro?”. Benedetto Capizzi, in carcere, diceva al figlio Sandro
cosa doveva andare a dire agli altri capimafia e, di contro, il
figlio lo ragguagliava di tutte le notizie. Il mandamento che
comprende le famiglie di Villagrazia e Santa Maria di Gesù,
è stato sotto gli occhi dei carabinieri dal settembre 2007. Ma
nel territorio di colui che ambiva al ruolo di nuovo ‘capo’ della commissione c’erano attriti con la famiglia di Villagrazia,
rappresentata da Giovanni e Francesco Adelfio, poi arrestati
nell’operazione “Old Bridge” di febbraio. Da qui passava la
cocaina. L’uomo fidato di Sandro Capizzi, Salvatore Freschi,
detto “Spadduzza”, tramite il fratello Antonino in Brasile, si
occupava di importare coca grezza. Il pentito Andrea Bonaccorso parla di “10 kg di pasta di coca messa in un container
mischiata con il carbone”, raffinata in una villa di Casteldaccia intestato proprio ad Antonino Freschi. “Dagli originari
10 chilogrammi di pasta di coca – continua Bonaccorso - ne
erano usciti circa 7,5 kg (...) i Lo Piccolo si erano lamentati del
quantitativo. Questo acquisto costituiva una prova perché a
gennaio doveva arrivarne un carico di 100 kg”. Solo che, nel
gennaio 2008, un giorno prima del programmato ritorno in
Italia, Antonino Freschi è arrestato in Paraguay in una raffineria dove la coca veniva mischiata al carbone, creando la coca
negra. Nelle mani di Sandro Capizzi è stata mantenuta per
alcuni mesi anche la cassa della famiglia di Pagliarelli.
BOCCADIFALCO
Nel mandamento le famiglie di Uditore, Boccadifalco e Torretta. Il capo sarebbe Giovanni Bosco. Un ruolo importante
l’hanno Rosario Sansone, detto Mimmo, cognato di Nino
Rotolo. Dopo l’arresto dei Lo Piccolo, di lui dicono che “ha
preso tutte cose in mano a Palermo… sta ricomponendo
tutte cose….dal lato loro, escludendo tutti quelli che erano
con Lo Piccolo... perciò si sta facendo di nuovo la sua squadra”. Secondo il pentito Andrea Bonaccorso, doveva essere
fatto fuori per volere dei Lo Piccolo. Dopo l’arresto di Rotolo nell’operazione Gotha (giugno 2006), il denaro della sala
bingo “Las Vegas” era “bloccato” nella cassa tenuta da Sandro
Capizzi. Mimmo Sansone aveva replicato che “i soldi li potevano bloccare soltanto gli sbirri”. Chi era stato incaricato si
era tirato indietro e dopo l’arresto dei boss di Tommaso Natale, Calogero Lo Piccolo sosteneva che l’omicidio andava
fatto per dare un “segnale”. Rosario Sansone sarebbe anche
il reale proprietario del centro scommesse di via Bernini, che
gestiva tramite il suo uomo di fiducia, Gaspare Perna. Altro
“uomo d’onore” della famiglia è Baldo Migliore. Ricadente
nello stesso mandamento anche la famiglia di Borgo Molara,
rappresentata da Benedetto Cappello che aveva preso il posto
del fratello Giuseppe, arrestato nell’operazione “Gotha”.
SAN GIUSEPPE JATO
Uno dei più vasti e importanti mandamenti. Al suo interno
ci sarebbero le famiglie di San Giuseppe Jato, San Cipirello, Altofonte, Piana degli Albanesi, Camporeale e Monreale. Retto fino al 2000 da Salvatore Genovese, il suo posto è
stato preso dal figlio Giovanni, arrestato nell’aprile del 2007.
A riorganizzare il mandamento ci pensa Giuseppe Caiola
con il decisivo supporto di Gregorio Agrigento che diverrà il
reggente del mandamento. Contrasti si verificano fra questa
BOCCADIFALCO STAVA PER SPORCARSI
DI SANGUE: L’OMICIDIO DI ROSARIO
SANSONE, SECONDO CALOGERO LO PICCOLO,
SAREBBE STATO UN SEGNALE.
A SAN GIUSEPPE JATO, INVECE, C’ERA
UNO SCONTRO FRA GREGORIO AGRIGENTO
E I FRATELLI VASSALLO DI SAN CIPIRELLO:
UNO DI QUESTI ULTIMI DOVEVA ESSERE UCCISO
Dall’alto da sinistra
Antonio Alamia,
Paolo Bellino,
Giuseppe Caiola,
Pietro Calvo
e Alessandro Capizzi
fazione (che vede anche Giuseppe D’Anna, figlio di Salvatore)
e quella risalente ai fratelli Vassallo di San Cipirello, vicini allo
zio anziano di Giovanni Brusca. “Ricordo vi fu a Giardinello
– rivela agli inquirenti il pentito Gaspare Pulizzi - un incontro
con i Lo Piccolo, Salvatore e Sandro, Andrea Adamo, Genovese Salvatore e Pipitone Antonino. Oggetto della discussione
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A BELMONTE GLI AFFARI ERANO LA GESTIONE
DELLE “MACCHINETTE” E IL TRAFFICO
D’ARMI. DA BAGHERIA, INVECE, PASSAVA
L’INTERA RIORGANIZZAZIONE DELLA CUPOLA,
CHE POTEVA CONTARE SU PINO SCADUTO
Benedetto Cappello
Giuseppe Casella
Gaspare Di Maggio
Baldassare Migliore
Salvatore Mulè
Gaspare Perna
Girolamo Catania
Salvatore Catania
Onofrio Prestigiacomo
Giuseppe Russo
Rosario Sansone
Benedetto Tumminia
furono sia il proposito di portare a termine l’omicidio di uno
dei Vassallo e dello zio di Brusca sia i rapporti con il latitante Raccuglia”. Altri uomini d’onore sarebbero: Gaspare Di
Maggio, Antonino Alamia e Salvatore Mulè (della famiglia di
San Cipirello). Nella riorganizzazione la famiglia di Monreale
sarebbe dovuta rientrare nell’ambito di competenza del mandamento e il capofamiglia Antonio Badagliacca, aveva tentato,
invece, di stringere legami con le famiglia di Altofonte e Piana
degli Albanesi per rafforzare la sua posizione.
BELMONTE MEZZAGNO
Terra di aspri contrasti fra famiglie mafiose. Dopo le ‘tragedie’
e il suicidio in carcere di Ciccio Pastoia e l’arresto di Provenzano, la famiglia Spera ha recuperato l’egemonia. Benedetto
Tumminia “ha assunto le redini della famiglia – racconta agli
inquirenti Giacomo Greco, genero di Pastoia e collaboratore
di giustizia - coadiuvato da suo figlioccio Salvatore Barrale, suo
figlio Michele, suo nipote Michele Parisi e Giuseppe Ciancimino (...) spalleggiato e protetto da Giovanni Spera figlio di
Benedetto che gli aveva dato mandato di gestire la famiglia
mafiosa”. A fine 2006 viene scarcerato Pietro Calvo, un uomo
sopra le parti, che assume la reggenza, ma si occupa solo degli
‘affari interni’. Ma in realtà il capomandamento sarebbe Antonino Spera, nipote di Benedetto che parla anche a nome di
Corleone e San Giuseppe Jato e assume un ruolo ‘politico’
nella formazione della commissione. Il clan, gestito da Calvo,
si sarebbe occupato della gestione delle ‘macchinette’, con referente Alessandro Capizzi, mentre Giuseppe Casella curava
il traffico d’armi.
BAGHERIA
Dopo l’azzeramento con l’operazione “Grande Mandamento” del 2005 la reggenza è andata a Gioacchino Mineo, detto
Gino, che aveva rapporti anche con Provenzano ma apparteneva all’ala rotoliana di Cosa nostra così, dopo l’operazione
Gotha non godeva del consenso determinante dei Lo Piccolo.
Farà un passo indietro nel giugno 2007 alla scarcerazione di
Giuseppe Scaduto, di cui diverrà vice. Scaduto avrà un ruolo
centrale nella rifondazione della cupola, “a noi ci spetta – si
sente in una intercettazione - partecipare… per due motivi…
uno perché facciamo mandamento ed io voglio essere informato… e un altro perché siamo nel discorso della pace”. Suo
uomo di fiducia, pedina fondamentale per l’organizzazione
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dei summit di mafia, è Onofrio Prestigiacomo.
SAN MAURO CASTELVERDE
Famiglia mafiosa storicamente vicina al mandamento Villagrazia-Santa Maria di Gesù per vincoli di parentela, sarebbe
retta da Franco Bonomo, nonostante la sorveglianza speciale
a cui è sottoposto. A lui farebbe riferimento Sandro Capizzi
parlando con Scaduto e Giovanni Adelfio, considerandolo il
canale per comunicare con le famiglie della provincia di Agrigento. “Tramite Franco Bonomo (...) siamo tutti… ci stiamo
andando”.
MONREALE
Il territorio di Monreale rappresenta il crocevia dei movimenti dentro Cosa nostra. All’hotel “Villa Medea” di Salvatore e
Girolamo Catania si tenevano summit di mafia, vi si rifugiava
Sandro Capizzi quando temeva l’arresto e, soprattutto, venivano intercettati i discorsi fra padre e figlio che offrivano agli
investigatori aggiornamenti in tempo reale sulle evoluzioni
di Cosa nostra. Non a caso per una controversia sul mancato
pagamento di parte dell’affitto di un deposito di proprietà dei
Catania, si incontrano e scontrano diverse famiglia mafiose: da
Tumminia di Altarello, a Seidita di Cruillas, fino a Sandro Capizzi. Il reggente della famiglia sarebbe Antonio Badagliacca,
contrastato però dalla contrarietà dei Capizzi, a capo del mandamento nel quale ancora ricade la famiglia mafiosa. “C’è da
uscire pazzi (...) è uscito dalla porta ed è entrato dalla finestra”,
si sfoga col suo braccio destro Giuseppe Russo facendo riferimento a Benedetto Capizzi. “A me hanno detto – continua
- che qua Monreale… viene assorbita di nuovo per com’era
MAFIA DIXIT
“Perché se noialtri facciamo ognuno di testa sua… non
abbiamo fatto niente... non appartiene né a te, né tu, né io e
neanche a quella persona… allora dice se noialtri siamo tutti
per uno e uno per tutti allora siamo qua… se no dice non
abbiamo fatto niente…”
• Giuseppe D’Anna ad Antonino Alamia (San Giuseppe Jato)
sulla strategia da tenere
“Diceva mio padre… gli asini buoni, gli asini mansueti, dice si
vedono dice quando il box è stretto, perché quando scalciano
quando si avvicinano gli altri cavalli sai cosa facevano… si
azzoppavano, invece quando il box è stretto loro non scalciano
e i cavalli sono calmi…”
• Giuseppe D’Anna ad Antonino Alamia (San Giuseppe Jato)
a proposito di Caiola
“Se scendono quelli, ti ricordi il ‘L’ora’ che il pomeriggio tu lo
aprivi il pomeriggio, che ce n’erano uno due tre quattro morti,
uno due tre quattro morti”
• Paolo Bellino (Monreale) parla di una possibile ascesa di
Matteo Messina Denaro a Palermo
“Perché io sono andato a scuola… so che la scuola si comincia dalla prima e poi si arriva all’università, si fa il master… se
io nasco e mio padre mi va a iscrivere all’università, faccio solo
brutta figura… perché non posso fare l’università senza sapere
cosa si fa nel diploma! Prima… e io lo so e sono a posto perché lo so e sono qua e continuerò sempre a essere qua!”
• Paolo Bellino (Monreale) a suo cognato sulla gavetta in Cosa
nostra
LA FAMIGLIA DI VILLAGRAZIA ERA COLLEGATA
CON QUELLA DI SAN MAURO. A MONREALE,
INVECE, SI TENEVANO SUMMIT DI MAFIA
E SI RIFUGIAVA SANDRO CAPIZZI
QUANDO SPARIVA DALLA CIRCOLAZIONE
all’antica”. Il nuovo progetto faceva ricadere la famiglia di
Monreale nel mandamento di San Giuseppe. Badagliacca non
sopportava di dover essere ‘comandato’ da un “picciutteddu”
(Sandro Capizzi) e prospetta già dei movimenti per reagire:
“Allora, fammi capire – dice parlando al suo braccio destro fammi entrare piano piano alla Chiana (Piana degli Albanesi, ndr), Camporeale, al Parco (Altofonte, ndr), capito? Se io
rientro, diciamo… riesco a entrare qua, a lui ti faccio vedere
se poi devo stare attento io o lui”, riferendosi sempre a Benedetto Capizzi. Un attivismo che porta Badagliacca a incontrare anche Gianni Nicchi. Secondo quanto racconta a Russo,
Nicchi gli avrebbe detto di avere in mente di ricostruire Cosa
nostra. “Questo appena… (...)…un firriuni gli fanno fare –
dice Badagliacca - troppo piccolo per la mia età... deve andare
qualche 50 anni a scuola... quelli lo sanno chi, chi l’ha quello…
sì... e questo u picciutteddu secondo me non sarà furbo per
niente... non la vedi che la corrente è voltata, fatti il latitante stai
buono, vatti a chiudere, che vai scavando discussioni”. All’interno della sua stessa famiglia Badagliacca si sentiva minacciato
da Paolo Bellino, considerandolo vicino al latitante Mimmo
Raccuglia. Bellino alla fine passerà dalla famiglia di Monreale
a quella di Palermo.
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