Appunti su autonomia privata e diritto di famiglia: nuove frontiere

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Appunti su autonomia privata e diritto di famiglia: nuove frontiere
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Argomenti
I singoli contratti
Famiglia
Appunti su autonomia privata e
diritto di famiglia: nuove
frontiere della negozialità
di Roberto Amagliani
Il saggio si occupa di delineare sinteticamente i rapporti tra autonomia privata e diritto di famiglia riguardandoli sotto tre diversi punti di vista: l’evoluzione normativa, l’approccio della dottrina ed il formante giurisprudenziale. Si manifesta così un rilievo sempre crescente del ruolo dell’autonomia privata
nella disciplina dei rapporti familiari secondo un trend che deve essere condiviso, ma nella consapevolezza che l’ambito specifico impone, più di altri settori del diritto, la tutela del soggetto debole. A questo compito è votata essenzialmente la giurisprudenza la quale è in grado, per un verso, di dare contenuto specifico ad alcune previsioni legislative che in particolare a ciò si prestano (come quelle concernenti l’adeguatezza dei redditi ed il controllo delle pattuizioni individuali in funzione dell’equità) e, dall’altro, può valutare il rilievo concreto dell’interesse individuale nell’attività negoziale che tocchi i rapporti familiari.
Premessa
Nel convegno messinese dedicato all’insegnamento
ed alla scienza del diritto in Italia, chi ha svolto il
tema del rapporto tra privatizzazione della famiglia
e globalizzazione ha osservato che “nelle pagine degli studi dedicati alla famiglia, nelle decisioni giurisprudenziali, nelle indagini sociologiche campeggia
una parola: autonomia” (1). Ed una tale constatazione, si abbia riguardo al diritto vivente (2) ovvero si considerino i temi maggiormente cari alla dottrina, non può che essere confermata alla luce delle più recenti tendenze manifestatesi nella materia
che ci occupa.
Una rassegna sia pure sintetica dello stato dell’arte va quindi necessariamente rivolta a porre in
luce i diversi punti di vista dai quali si può guardare il rapporto tra autonomia e diritto di famiglia (3).
(1) M. Fortino, Verso una nuova privatizzazione della famiglia
nella società globale, in Scienza e insegnamento del diritto civile
in Italia, Atti del Convegno di Studi in onore del prof. Angelo
Falzea, Messina 4-7 giugno 2002, a cura di V. Scalisi, Milano,
2004, 643.
(2) La categoria è stata indagata da F. Macario, Dottrina del
diritto vivente e sistema delle fonti del diritto civile, in Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, a cura di N. Lipari, Napoli, 2006, passim; più di recente, sul tema, v. V. Carbone, Le dif-
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In una prima approssimazione (e da un punto di
vista assai generale) ci si può interrogare, allo stato
attuale dell’evoluzione ordinamentale, circa il rilievo assunto dall’autonomia privata nella disciplina
dei rapporti familiari.
Un approccio dotato di maggiore specificità è quello teso ad indagare l’adattabilità al diritto di famiglia di strumenti tradizionalmente considerati quali
modi di esplicazione dell’autonomia privata nel
complesso dei rapporti patrimoniali.
Un terzo ed ultimo (ma imprescindibile) livello di
indagine è quello proprio del diritto giurisprudenziale che permette di esaminare, nell’ambito dei
più significativi orientamenti e sia pure, talvolta,
attraverso veri e propri obiter dicta, il rapporto che
qui occupa (tra autonomia privata e diritto di famiglia, appunto) in talune soluzioni dettate dai Giudici.
ficoltà dell’interpretazione giuridica nell’attuale contesto normativo: il diritto vivente, in Corr. giur., 2011, 153 ss.
(3) Un ampio ed approfondito panorama dei temi cui si farà
cenno in questo scritto si deve a G. Oberto, Contratto e famiglia, in Trattato del Contratto di V. Roppo, vol. VI, Milano, 2006,
Interferenze, 107 ss.; per una recente esposizione dei termini
della questione v. E. Lucchini Guastalla, Autonomia privata e
diritto di famiglia, in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, 77 ss.
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Il primo degli ambiti appena segnalati vede oggi
certamente protagonisti i fautori (4) di una visione
(evoluta) del diritto di famiglia dominata dall’autonomia privata, forse non onnipotente, ma certamente onnipresente.
Momenti decisivi di questa trasformazione sono individuati intanto nel passaggio dalla concezione
istituzionale della famiglia a quella costituzionale.
La prima è caratterizzata da una forte connotazione
pubblicistica/statalistica (5) (propria della temperie
ideologica dominante nel codice del 1942, ove, però, quest’ultimo venga letto in modo coordinato
con la legislazione speciale in materia dell’epoca (6)), mentre la seconda (ancorata ai principi
della Carta del 1948) è volta invece a valorizzare
la famiglia come formazione sociale, e quindi, innanzitutto, l’individuo che ne è parte, con le istanze di piena realizzazione della sua personalità di cui
si fa portatore (7).
Si sottolinea quindi, in questa prospettiva diacronica, l’avvento della riforma del diritto di famiglia,
ed infine la contrattualizzazione del rapporto di
coppia che vede nel matrimonio solo uno dei pos-
sibili atti di autonomia idonei a fondare una comunità familiare (8).
A sostegno della centralità da riconoscere oggi al
valore dell’autonomia privata nel diritto di famiglia
si invocano, ancora, le norme qualificanti della novella del 1975: in primo luogo la regola dell’accordo sancita nell’art. 144 c.c. (9), ed una disciplina
dei rapporti patrimoniali largamente influenzata
dalle scelte coniugali (10); ma non minore rilievo
si attribuisce alla disciplina della crisi dell’unione
coniugale che vede nell’accordo di vivere separati,
rispetto al quale l’omologazione è ridotta ormai al
rango di mera condicio iuris (11), e nel divorzio a
domanda congiunta (12) indubbie esplicazioni dell’autonomia coniugale.
Più di recente, militano a favore della tesi che vede il diritto di famiglia fortemente condizionato
dal dispiegarsi nel suo ambito dell’autonomia privata le notevoli aperture all’accordo tra i genitori
manifestate, a proposito dell’affidamento condiviso, dall’art. 337-ter c.c. (13) e, pure se in un contesto certamente più articolato (14), la disciplina del
patto di famiglia (artt. 768-bis ss. c.c.).
Sono, quelle appena riferite, idee assai diffuse così
come difficilmente confutabili appaiono i rilievi effettuati sulla base dei dati normativi sopra indicati.
(4) Riferisce ampiamente sulle varie tesi che si contendono
il campo A. Zoppini, L’autonomia privata nel diritto di famiglia,
sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, I, 213 ss. Per qualche
ulteriore considerazione sia permesso rinviare anche a R.
Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, Torino, 2005,
spec. 1 ss.
(5) Tale concezione, pur se con qualche fraintendimento
del pensiero dell’illustre dottrina, si fa risalire ad A. Cicu che
l’ha espressa in vari scritti, tra i quali si può qui ricordare Il diritto di famiglia, Athenaeum, Roma, 1914, Il diritto di famiglia
nello stato fascista, oggi in Scritti minori di Antonio Cicu, I, 1,
1965, 157 ss. e Lo spirito del diritto familiare nel nuovo codice
civile, ivi, 145 ss. Sul contributo dell’illustre A. alla scienza giuridica vedi le relazioni svolte il 14 gennaio 2013 presso l’Accademia delle scienze di Bologna, per celebrarne il cinquantenario della scomparsa, pubblicate in Riv. trim. dir. proc. civ.,
2013, 805 ss.
(6) L’influenza della ideologia fascista sulla disciplina del diritto di famiglia, attraverso la legislazione speciale, viene sottolineata efficacemente da S. Rodotà, Diritti e libertà nella storia
d’Italia, Roma, 2011, 80 s.
(7) È veduta oggi assolutamente dominante quella che instaura un necessario collegamento tra gli artt. 2 e 29 Cost., come è sottolineato di recente da M. Sesta, Costituzione e disposizioni a tutela dei diritti fondamentali, in Codice della famiglia, t.
I, Milano, 2007, 3 s.
(8) Per questa prospettiva v., tra gli altri, P. Zatti, Familia, familiae, Declinazioni di un’idea. Valori e figure della convivenza e
della filiazione, in Familia, 2002, spec. 344 ss.
(9) Osserva M. Paradiso, I rapporti personali tra i coniugi, in
Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano,
1990, che quella dettata dall’art. 144 c.c. è “regola fondamentale”, rispetto alla quale non sono ammissibili “deroghe patti-
zie” e che “la ricerca di un accordo - e la disponibilità concreta
al suo raggiungimento - costituisce oggetto di un puntuale obbligo” (ivi, 138).
(10) Di recente sul punto cfr. G. Oberto, La comunione legale di fonte negoziale: riflessione circa i rapporti tra legge e contratto nel momento genetico del regime patrimoniale tra i coniugi, in Dir. fam., 2011, 835 ss.
(11) Si tratta di opinione ormai incontrastata, come riferisce
da ultimo G. Ferrando, Separazione consensuale, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Della famiglia, sub
commento art. 158 c.c., Torino, 2010, 875.
(12) Seppure generalmente si affermi che, pure nell’ipotesi
del divorzio a domanda congiunta, rimane comunque demandato al Giudice verificare la sussistenza dei presupposti per la
pronuncia dello scioglimento del matrimonio o della cessazione degli effetti civili (così da ultimo M. A. Lupoi, sub commento all’art. 4 l. 1° dicembre 1970 n. 898, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Della Famiglia, Torino, 2010,
724 s.), non è dubitabile che il comma 16 dell’art. 4 l. n.
898/70 attribuisca ai coniugi il potere di indicare “compiutamente” le condizioni inerenti ai rapporti economici. Né può essere trascurato l’orientamento, ormai largamente rappresentato, che ammette la compatibilità con i principi dell’ordine pubblico del divorzio consensuale, ammesso da numerosi ordinamenti stranieri (per tutti cfr. Cass., 21 giugno 1995, n. 6973).
(13) Su questo argomento cfr. E. Russo, Affido condiviso e
attività negoziale determinativa dei genitori, in Riv. dir. civ.,
2009, 243 ss. e M. A. Urcioli, Gli accordi tra genitori nella legge
8 febbraio 2006, n. 54, in Rass. dir. civ., 2011, 181 ss.
(14) Dal momento che si tratta di istituto, quello del patto
di famiglia, al quale deve ricondursi una “funzione complessa”, come sottolinea G. Amadio, Profili funzionali del patto di
famiglia, in Riv. dir. civ., 2007, II, 347.
Evoluzione della disciplina in materia di
rapporti familiari, accresciuto ruolo
dell’autonomia privata ed individuazione
degli interessi in gioco
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E tuttavia, non può mancarsi di osservare, tra l’altro, che l’accordo di cui all’art. 144 c.c. è funzionale
alla realizzazione dei valori della solidarietà e della
eguaglianza in senso sostanziale, valori questi che
non sempre risultano pienamente garantiti dall’autonomia privata (15), e che invece appaiono sicuramente soddisfatti attraverso il dovere, inderogabile
e primario, della contribuzione (art. 143 c.c.) (16).
A quest’ultimo proposito occorre pure segnalare
che l’art. 160 c.c. prevede la inderogabilità dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio (17).
Né può essere trascurato che, in più luoghi delle
disposizioni introdotte dalla novella del 1975, si
evidenzia il rilievo dell’interesse della famiglia (o
dei suoi bisogni) che, seppure non identificabile
con un interesse superindividuale e neanche come
un interesse di matrice pubblicistica, non coincide
nemmeno con la mera somma degli interessi dei
componenti la comunità familiare, ma ne costituisce una sorta di risultante unitaria (18).
Infine, utilizzando anche acquisizioni proprie, ma
non soltanto (19) della sociologia del diritto, si è negato che la famiglia abbia perso ogni rilievo istituzionale. Ciò sicuramente non nel senso, ormai definitivamente superato, di mantenere, la famiglia appunto,
la connotazione di gruppo dominato dall’autorità e
gerarchicamente organizzato per attingere un interesse superiore ed eterodeterminato. Piuttosto il gruppo
familiare va considerato ineliminabile punto di riferimento da parte delle istituzioni pubbliche, del mercato e dei movimenti di opinione forti (religiosi, politici, di costume) che sulla famiglia “contano” (20) per
l’assolvimento di compiti e l’assunzione di ruoli che
hanno indiscutibile rilievo generale (si pensi all’istruzione, alla cura dei malati ed all’assistenza degli anziani, al consumo dei beni, al proselitismo).
Anche queste proposizioni, che si muovono – non
meno di quelle prima richiamate – ad un livello
estremo di generalità, sono agevolmente condivisibili.
Piuttosto è opportuno sottolineare come il grado di
approssimazione che denota queste prospettive ha
un preciso e tutto sommato coerente riscontro in
una sostanziale indeterminatezza (e/o variabilità)
di almeno uno dei poli della dialettica (autonomia
privata versus diritto di famiglia) da cui si sono prese le mosse.
Già Pugliatti osservava che nell’espressione autonomia privata “l’ambiguità del sostantivo si cumula
con quella dell’aggettivo” (21).
Si potrebbe poi sottolineare, come puntualmente è
stato fatto (22), che manca un riscontro positivo
del concetto di autonomia privata: si ritiene allora
di superare l’obiezione sostituendo l’aggettivazione
“privata” con quella “negoziale”.
Si tratta tuttavia, come ognun vede, di un avanzamento più apparente che reale in quanto la categoria del negozio non ha, ovviamente rimanendo ancorati al piano delle definizioni legislative, maggiore concretezza (23).
Esito scontato del percorso intrapreso è, dunque,
risolvere l’espressione autonomia privata in quella
di autonomia contrattuale, ben conosciuta dal nostro codice (art. 1322 c.c.). E tuttavia in questo
svolgimento ci si imbatte necessariamente, da un
lato, nella definizione di contratto di cui all’art.
1321 c.c. (nella quale è essenzialmente connaturato il carattere della patrimonialità), e dall’altro nei
limiti del rinvio (ai soli atti unilaterali tra vivi a
contenuto patrimoniale) autorizzato dall’art. 1324
stesso codice. Questi rilievi rendono (certamente
non impossibile, ma) quanto meno problematica
l’osmosi della disciplina contrattuale con il diritto
di famiglia e con i rapporti familiari (24).
Consci di queste difficoltà si propongono alcune
varianti semantiche.
(15) La necessità che l’accordo coniugale venga adeguatamente funzionalizzato e valutato non solo sotto il profilo della
liceità, ma anche in ordine alla sua meritevolezza viene particolarmente messa in evidenza da F. Ruscello, Diritti e doveri
nascenti dal matrimonio, in Trattato di diritto di famiglia diretto
da P. Zatti, vol. I, t. I, Milano, 2002, spec. 779 ss.
(16) A. Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 609 ss.
(17) Indicazioni illuminanti sulla interpretazione dell’art. 160
c.c. si trovano in G. Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio in difesa dell’orientamento adottato
dalla giurisprudenza, in Riv. dir. civ., 1996, I, 695 ss. ed in R.
Sacco, sub Commento all’art. 160 c.c., in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Ciano, Oppo e Trabucchi,
Padova, 1992, 15 ss.
(18) A. Falzea, op. ult. cit., 612.
(19) Se è vero che un giurista della sensibilità di Luigi Men-
goni auspicava da tempo (La famiglia in una società complessa,
in Iustitia, 1990, 1 ss.) la riflessione dell’interprete sui profili istituzionali che ancora sono rintracciabili all’interno della famiglia.
(20) Per questa constatazione cfr. P. Donati, Famiglia, in Enciclopedia Italiana App. 2000, Roma, 636 ss.
(21) S. Pugliatti, Autonomia privata, in Enc. dir., Vol. IV, Milano, 1959, 266.
(22) G. Cian, Autonomia privata e diritto di famiglia, in Confini attuali dell’autonomia privata, a cura di D. Belvedere e C.
Granelli, Padova, 2001, 37.
(23) Una nota prospettiva critica si trova in F. Galgano, Negozio giuridico (dottrine gen.), in Enc. dir., vol. XVII, Milano,
1977, passim.
(24) I limiti entro i quali può essere proposto e condiviso
l’accostamento del matrimonio al negozio giuridico sono sottolineati da G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato Cicu Messi-
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tanto) al libero esplicarsi della volontà (dato al
quale tradizionalmente è stato legato il concetto di
autonomia privata), quanto alla maturità ed alla
consapevolezza che deve presiedere alle scelte soprattutto di carattere esistenziale (29).
A chiusura di queste prime osservazioni, si potrebbe
forse essere tentati di sostenere che la famiglia si presenta come una medaglia in grado di mostrare due diverse facce, e che dipende dal punto di vista dell’osservatore cogliere la prevalenza di un profilo sull’altro.
Ciò che oggi non può essere discusso è il (notevole)
rilievo che l’autonomia privata ha ormai acquisito in
seno alla disciplina dei rapporti familiari e che certamente inattendibile sarebbe una prospettiva che volesse negare tale trend. Ma nemmeno è consentito
trascurare la dialettica con i valori concorrenti.
E così a proposito del diritto di famiglia e dei soggetti delle sue vicende, si è parlato (25) di autoregolamentazione, espressione quest’ultima che meglio si adatterebbe (rispetto a quella usuale di autonomia privata) all’ambiente familiare caratterizzato
dalla coesistenza di interessi anche non meramente
individuali.
Assai frequente è pure il ricorso all’idea di privatizzazione della famiglia che starebbe ad indicare, in
una prima e del tutto indistinta accezione, una sorta di istanza alla degiuridificazione (deregulation)
proveniente dagli stessi componenti del gruppo familiare (26).
Ma, in un significato più aderente all’evoluzione normativa, “privatizzazione” alluderebbe, in una prima
fase, al percorso indicato dalla riforma del 75, fondato sull’accordo circa l’indirizzo della vita familiare
improntato alla visione solidaristica della comunione
di vita, e, diversamente, nell’epoca a noi più vicina,
ad una visione della famiglia quale “partnership” che
si regge sulla combinazione delle volontà individuali” (27), e come tale “aperta alla logica dello scambio, nella quale tutto ha un prezzo” (28).
Non è però nemmeno estraneo al campo che ci occupa il concetto di autodeterminazione con il quale si intende fare riferimento non tanto (o non sol-
In una prospettiva dettata da una maggiore attenzione per i profili dogmatici, la strada è segnata
dalle dottrine tese a verificare l’adattabilità al diritto di famiglia delle categorie proprie dell’autonomia privata (atti, negozi, contratti).
Questo percorso è stato in inizialmente battuto da
chi (30), in un clima assai meno propenso del nostro a riconoscere spazio all’autonomia privata nella
neo, Milano, 2002, 177 e da M. C. Bianca, Diritto civile, Milano,
2001, ove si sottolinea che i negozi giuridici familiari “rappresentano una categoria a sé sul piano funzionale” (ivi, 19) pur
non mettendosi in dubbio che “il matrimonio è un atto di autonomia privata” (ivi, 39).
(25) C. Donisi, Limiti all’autoregolamentazione degli interessi
nel diritto di famiglia, in Rass. dir. civ., 1997, 499, il quale fonda
la propria tesi sul rilievo che in ambito familiare rilevano interessi che «non possono di certo esaurirsi in quelli meramente
individuali, cioè di pertinenza esclusiva di ciascuno dei suoi
componenti, considerati quindi uti singuli, essendo coinvolti
anche interessi comuni a tutti i suoi membri in quanto inseriti
in una “società naturale” caratterizzata da una intrinseca impronta comunitaria e solidaristica» (ivi, 498). In una siffatta
prospettiva il concetto di autoregolamentazione potrebbe essere utilmente utilizzato e mostrarsi particolarmente fecondo a
proposito dell’accordo tra i genitori in tema di esercizio della
potestà ex art. 155 c.c., come novellato dalla l. n. 54/2006.
(26) Osserva G. Ferrando, Il matrimonio, cit., 62, “se è vero, infatti, che la famiglia è pur sempre dominio degli status, in quanto
le posizioni di diritto e di dovere sono stabilite dal legislatore, tuttavia esse non sono più fissate in modo rigido e immutabile, ma
si arricchiscono dell’autonomia dei soggetti ai quali spetta determinarle nella concretezza delle diverse situazioni”.
(27) Disegna in questi termini «la parabola della “privatizzazione” del diritto di famiglia», P. Zatti, Famiglia e matrimonio,
in Trattato di Diritto di famiglia diretto da P. Zatti, Milano, 2002,
vol. I/1, Introduzione, 1 ss, spec. 19 ss.
(28) M. Fortino, op. cit., 645.
(29) In tali termini può essere letto, tra gli altri, l’art. 84 c.c.,
così come novellato dalla riforma del 75, ma indicazioni ancora
più esplicite si traggono dalla normativa di matrice sopranazionale ed oggi, dopo la l. n. 219 del 2012 ed il d.lgs. n. 154 del 2013,
dall’art. 336-bis c.c. Il rinvio alla capacità di discernimento si ritro-
va infatti, seppure non testuale, nell’art. 12 della Convenzione del
1989 ove si prevede l’obbligo di dare “alle opinioni del fanciullo il
giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità”.
L’art. 3 della Convenzione Europea di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con la l. n. 77
del 2003, subordina l’attribuzione al fanciullo del diritto “a ricevere ogni informazione pertinente”, “ad essere consultato ed esprimere la sua opinione”, “ad essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione”, alla circostanza che il fanciullo medesimo sia “considerato dal diritto interno come avente un discernimento sufficiente”. La Convenzione dell’Aia del 29 maggio 1993
per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione
internazionale, ratificata con la l. 31 dicembre 1998 che ha modificato in parte qua la l. n. 184 del 1983, all’art. 4 impone che l’adozione internazionale avvenga dopo avere accertato, “tenuto
conto dell’età e della maturità del minore”, l’acquisita informazione
sulle conseguenze dell’adozione, il suo consenso ove richiesto; che
i desideri e le opinioni del minore sono stati presi in considerazione; che il consenso sia stato prestato liberamente”; l’art. 24 della
Carta di Nizza, citato nel testo, stabilisce che i bambini “possono
esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in
considerazione nelle questioni che li riguardano in funzione della
loro età e maturità”; la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997
sui diritti dell’uomo e la biomedicina, all’art. 6 comma 2, sancisce
che “il parere di un minore è preso in considerazione come un
fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del
suo grado di maturità”. Infine, l’art. 336-bis cit. dispone che “il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove
capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o
dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano”.
(30) F. Santoro Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di
famiglia, ora in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, 381 ss.
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Categorie civilistiche e rapporti familiari
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famiglia, ne ha invece ipotizzato la operatività, sebbene più ridotta rispetto all’ambito contrattuale.
Con la conseguenza che si è ritenuto possibile rinvenire “nell’ambito della più vasta categoria del
negozio giuridico la figura generale del negozio familiare” il quale contro la regola dei negozi patrimoniali “è personalissimo, formale, nominato e legittimo” (31).
Tale ricostruzione e le conseguenze che se ne fanno derivare sono (state) tuttavia notevolmente
condizionate “dalla funzione di interesse superiore
che debbono genericamente adempiere i vari negozi del diritto di famiglia” (32).
In un’epoca a noi ben più vicina, abbandonata la
dimensione legata all’esistenza di un interesse della
famiglia di natura superindividuale (33), la causa familiare è stata utilizzata (34) per orientare l’indagine
verso la individuazione di una pluralità di categorie
di atti familiari corrispondenti ai vari settori del diritto di famiglia, ciascuna retta da principi peculiari.
Ma anche in questa visione articolata possono trovarsi degli elementi unificanti individuati ora nella
natura dell’atto (atti legittimi costitutivi di status,
atti determinativi in tema di indirizzo della vita familiare, atti diretti ad incidere sui profili patrimoniali, atti dispositivi conclusi in sede di separazione
e divorzio) ora nel nucleo fondamentale degli interessi protetti (distinguendo quindi atti connessi alla filiazione ed al matrimonio, considerato ora come atto ora come rapporto).
Le vedute così sinteticamente tratteggiate non
hanno ovviamente rilievo meramente teorico: invero permettono di segnare almeno due esiti.
Innanzitutto, la specificità dei negozi familiari, non
assimilabili tout court alle figure contrattuali nominate, ed in relazione ai quali, come ammonisce la dottrina più avvertita a proposito dei vizi del matrimonio (35), non sempre è applicabile per mera estensione la disciplina propria dei contratti in generale.
(31) Ibidem, 383.
(32) Ibidem, 382.
(33) Per questa acquisizione si deve rinviare, ancora una
volta, a A. Falzea, op. loc. ult. cit.
(34) Questa è la tesi sostenuta da E. Russo, Le convenzioni
matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano,
1983, spec. 149 ss. e 221 ss., Idem, Le convenzioni matrimoniali, in Codice civile. Commentario, fondato da Piero Schlesinger e continuato da F. D. Busnelli, Milano, 2004, 22 ss., e da
G. Doria, Autonomia privata e “causa familiare”, Milano, 1996,
spec. 51ss.
(35) V. Scalisi, Consenso e rapporto nella teoria del matrimonio civile, in Riv. dir. civ., 1990, I, spec. 172 ss.
(36) La distinzione segnalata nel testo è comune tra gli studiosi del diritto di famiglia: in luogo di tanti cfr., da ultimo, M.
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E poi, la direzione intrapresa dal diritto di famiglia,
che sempre più tende a mostrare una divaricazione
netta tra due ambiti (36): quello relativo ai rapporti tra i coniugi e la materia della responsabilità genitoriale (37).
Nel primo l’autonomia privata ha modo di produrre i suoi frutti in modo certamente più cospicuo rispetto al secondo, ove il controllo sulle modalità
del suo esplicarsi deve essere più penetrante
Prospettive giurisprudenziali
È difficilmente contestabile, riprendendo tale ultima constatazione, che, almeno in ambito giuridico,
possa parlarsi di autonomia privata solo ed in
quanto alla stessa siano posti limiti (più o meno
accentuati).
L’idea di limite, d’altra parte ed in una considerazione
necessariamente assiologica del fenomeno giuridico (38), si sostanzia nella rilevazione di interessi che,
di natura diversa ed in diversa misura, si frappongono
alla (piena) esplicazione dell’autonomia medesima. In
vista, e per la soluzione, di questa contrapposizione/dialettica l’ordinamento appresta i noti rimedi/parametri della invalidità, della inefficacia, della (in)opponibilità e dell’interesse meritevole di tutela (39).
Con queste categorie deve necessariamente confrontarsi chi, superate le prime approssimazioni alle
quali si è già accennato, voglia (o debba) verificare
lo spazio in concreto guadagnato dall’autonomia
privata o che a quest’ultima debba essere operativamente assegnato nel settore del diritto di famiglia.
È codesto il terreno elettivo del diritto vivente impegnato non solo a rintracciare negli atti rilevanti
per il diritto di famiglia i sintomi della negozialità,
ma altresì (e forse soprattutto) a valutarne la portata, ed il grado di incidenza sugli interessi in gioco
(che è poi il proprium della negozialità).
Vi sono ovviamente, in questo ambito, ipotesi nelle
quali l’operazione risulta agevolata talora da elementi
di patrimonialità insiti nella vicenda sottoposta al
Sesta, Manuale del diritto di famiglia, Padova, 2013, 21.
(37) In tali termini si definisce il rapporto che lega i genitori
ai figli minori dopo la modifica dell’art. 316 c.c. operata dal
d.lgs. n. 154 del 2013, sulla scorta delle indicazioni provenienti
dalla normativa sovranazionale (reg. UE 2201/2003 e reg. UE
n. 1259/2010) e dalla l. n. 219 del 2012. La novella che ha introdotto l’unico stato di figlio ha imposto ed attuata, attraverso
il decreto delegato, la sostituzione dell’espressione “responsabilità genitoriale” a “potestà dei genitori” in tutte le disposizioni che di quest’ultima facevano menzione.
(38) Per questa impostazione è necessario rinviare a A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Parte prima, Il concetto
di diritto, Milano, 1996, 382 ss.
(39) Su questi profili cfr. A. Federico, Illiceità contrattuale ed
ordine pubblico economico, Torino, 2004, 98 ss., spec. 108 ss.
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giudizio delle Corti, in qualche altro caso dalla rilevanza di un consenso normativamente formalizzato.
Ma altrettanto rilevanti (anche se forse meno sottolineati) sono i casi nei quali, pur non venendo
esplicitamente in gioco il carattere della negozialità, l’autonomia privata ha modo di esplicarsi – proprio nel diritto di famiglia – con effetti assai più
marcati rispetto a quelli che si è disposti a riconoscerle nel campo del contratto.
Si possono inscrivere nel primo gruppo note pronunce che hanno ritenuto di volta in volta applicabile alla separazione consensuale omologata la
disciplina dettata in tema di annullabilità per errore (40), ammissibile (sia pure solo in astratto) l’impugnativa per simulazione (41); e che, ancora, hanno sancito la revocabilità, ai sensi dell’art. 2901
c.c., delle attribuzioni patrimoniali realizzate con
gli accordi di separazione (42).
In queste ipotesi il dato della negozialità non risulta posto seriamente in discussione sicché non solo
si utilizza senza remore la categoria del “negozio” (43), ma non si dubita nemmeno dell’applicabilità della disciplina generale dettata dagli artt.
1321 ss. c.c. (44). Anzi il percorso argomentativo
si snoda attraverso questi concetti come se si trattasse di passaggi quasi scontati.
Altro elemento comune è poi il riferimento all’art.
1322: si osserva che con i negozi familiari si perseguono di solito interessi meritevoli di tutela i quali,
tuttavia, hanno caratteri difformi rispetto ai negozi
patrimoniali in genere. Così è possibile ipotizzarne
una “tipicità propria” (45).
(40) Per la soluzione indicata nel testo cfr. Cass., 4 settembre 2004, n. 17902.
(41) Così Cass., 20 novembre 2003, n. 17607.
(42) In questo senso, Cass., 23 marzo 2004, n. 5741 e, seppure con esiti parzialmente diversi, Cass., 14 marzo 2006, n.
5473.
(43) Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, cit., qualifica l’accordo di separazione “come atto essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, tanto da definirlo, riprendendo una efficace espressione
della dottrina, come uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia … atteso che in tale accordo si dispiega pienamente l'autonomia dei coniugi e la loro valutazione della gravità della crisi coniugale, con esclusione di ogni
potere di indagine del giudice sui motivi della decisione di separarsi e di valutazione circa la validità di tali motivi, in piena coerenza con la centralità del principio del consenso nel modello di
famiglia delineato dalla legge di riforma ed in ragione del tasso di
negozialità dalla stessa legge riconosciuto in relazione ai diversi
momenti ed aspetti della dinamica familiare”.
(44) Si osserva da Cass., 4 settembre 2004, n. 17902, cit.,
che «secondo la posizione “privatistica”, la separazione consensuale omologata è essenzialmente costituita dalla volontà
concorde dei coniugi di separarsi (e di definire altri eventuali
aspetti della vita coniugale e familiare), mentre la successiva
omologazione assume una valenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accor-
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Al secondo ambito si possono invece ricondurre
ipotesi in cui il profilo contrattuale rimane sullo
sfondo, ma gli effetti dell’accordo coniugale talora
incidono (ponendosi addirittura in contrasto con i
principi generali di cui agli artt. 1372 e 1406 c.c.)
sulla sfera giuridica di un terzo (come avviene nel
caso in cui la convenzione tra i conviventi more
uxorio, in presenza di prole naturale, determina la
successione ex lege nel contratto di locazione (46))
ovvero paralizzano addirittura l’esercizio di un’azione di stato (laddove l’accordo tra i coniugi sul ricorso alla procreazione medicalmente assistita costituisce valida ed irrevocabile disposizione dell’azione di disconoscimento della paternità (47)).
Privatizzazione della gestione della crisi
della famiglia e tutela del familiare debole
Gli ultimi (due) precedenti richiamati mostrano in
modo emblematico come l’autonomia privata nel
diritto di famiglia ben possa essere indirizzata (e/o
funzionalizzata) alla realizzazione di interessi degni
di preminente tutela.
Questo criterio – a nostro avviso – dovrebbe essere
tenuto presente anche nella valutazione delle fattispecie che, più di ogni altra, hanno formato oggetto di vivace dibattito nella dottrina e ricevuto soluzioni non omogenee in giurisprudenza.
Intendiamo riferirci al problema della sorte da riservarsi agli accordi intervenuti tra i coniugi in vista della separazione e del divorzio, o nell’ambito
dei correlativi procedimenti (48).
do (salvo per quanto riguarda i patti relativi all'affidamento ed
al mantenimento dei figli minorenni, sui quali il giudice è dotato di un potere d'intervento più penetrante: art. 158, comma 2,
c.c.). Nell'ambito di questa concezione, gli aspetti privatistici
della s.c.o. - riguardata nella sua natura di negozio familiare ottengono la massima considerazione, sicché la validità del
consenso come effetto del libero incontro delle volontà delle
parti, è presidiata dall'esperibilità dell'azione di annullamento
per vizi, non limitata alla materia contrattuale (art. 1321 c.c.),
ma estensibile ai negozi relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, genus cui appartengono quelli di diritto familiare».
(45) Così testualmente, in motivazione, Cass., 23 marzo
2004, n. 5741 e Cass., 14 marzo 2006, n. 5473 citt.
(46) Questa la portata dell’art. 6 della l. n. 392 del 1978 dopo Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404. Sul tema sia consentito il
rinvio a R. Amagliani, L’assegnazione della casa familiare, in
Persona, Famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale a cura di M. Sesta e V. Cuffaro, Napoli, 2006, 417 ss.
(47) Cfr. Cass., 16 marzo 1999, n. 2315, il cui decisum è stato sostanzialmente recepito dall’art. 9 della l. n. 40 del 2004
ove, ancora una volta, si dà sicuro rilievo al consenso manifestato eventualmente per atti concludenti.
(48) Tra i più recenti contributi cfr. A. Fusaro, Assetti patrimoniali in occasione della separazione, in Famiglia, persone e
successioni, 2011, 23 ss., F. R. Fanetti, I contratti matrimoniali,
ivi, 2010, 537 ss.
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Va detto senza mezzi termini che talune delle giustificazioni adottate per negare la validità di tali
pattuizioni non sono del tutto convincenti.
Sostenere infatti che ricorre in questa ipotesi un
contrasto con l’ordine pubblico perché si realizzerebbe un vulnus al principio della indisponibilità dello
status di coniuge (49) contrasta (innanzitutto con la
tipologia che in concreto rivestono le ipotesi poste
all’attenzione della giurisprudenza, ove lo scopo di fare commercio dello status è certamente ben lungi da
quello effettivamente perseguito dalle parti (50), ma
soprattutto) con la natura che ormai deve a quest’ultima situazione pare doversi oggi riconoscere.
Invero, a seguito della introduzione della separazione
giudiziale per intollerabilità della prosecuzione della
convivenza anche per fatti indipendenti dalla volontà dei coniugi (che fornisce elementi forse decisivi a
supporto della tesi che configura la relativa azione
come espressione di un diritto potestativo (51)), del
divorzio a domanda congiunta e della non rilevabilità d’ufficio della interruzione della separazione (52),
altra soluzione, rispetto alla sostanziale disponibilità
dello status di coniuge, non pare prospettabile.
Né si mostra condivisibile, almeno nella sua formulazione più rigorosa, l’orientamento giurisprudenziale (53) che invoca la nullità di alcune delle pattuizio-
(49) Come deciso, ancora di recente, da Trib. Varese, 29
marzo 2010, in Fam. dir., 2010, 295 ss. con nota adesiva di E.
Patania; ma vedi già, nello stesso senso, Cass., 18 febbraio
2000, n. 1810.
(50) In realtà, l’esame delle vicende che hanno sollecitato l’attenzione della giurisprudenza non vedono mai i coniugi convenire
la rinuncia verso corrispettivo a costituirsi nel giudizio di separazione e/o di divorzio o barattare lo status di coniuge con una somma di denaro, bensì concordare, eventualmente ex ante, gli effetti
patrimoniali della separazione o del divorzio. Un apporto significativo ad una corretta valutazione degli accordi raggiunti dai coniugi
potrebbe certamente essere dato dal ricorso alla categoria della
causa in concreto. In questa prospettiva si muove, forse inconsapevolmente, Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713, in Guida dir.,
2013, 22 ss. Apprendiamo dalla sentenza in questione che, nel
caso deciso, “La scrittura privata, sottoscritta dai nubendi il giorno
prima della celebrazione del matrimonio, prevede che, in caso di
suo fallimento (separazione o divorzio), la (A) cederà al marito un
immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute
dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua
proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, l’(B)
trasferirà alla moglie un titolo BOT di lire 20.000.000”. Il Giudice
della legittimità si sofferma quindi sulla qualificazione del fatto
ove ricorrerebbe “una sorta di datio in solutum legato alle spese
per la sistemazione di altro immobile adibito a casa coniugale, e il
fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell’accordo”. Si tratterebbe, insomma, secondo la S.C. di
“un accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia
negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in
vista del divorzio, che intendono regolare l’intero assetto economico tra i coniugi”. Considerato infatti, proprio a tal ultimo riguardo, che “il fallimento del matrimonio” sarebbe stato “degradato”
dai coniugi a condizione sospensiva dell’accordo in parola, reputata nella specie né meramente potestativa né illecita, la Corte
della legittimità ritiene sussistere, nell’ipotesi in esame, “un contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi,
sicuramente diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela”.
Gli argomenti illustrati consentono al Giudice della legittimità di
non prendere apertamente posizione sul trend giurisprudenziale
di cui si discorre nel testo. La Corte, tuttavia, non manca di ricordare, senza esplicitamente dissentirne, il consolidato orientamento che predica la nullità “per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio” degli accordi “assunti prima del matrimonio o
magari in sede di separazione consensuale, e in vista del futuro
divorzio”; la “singolare” deviazione da tale assunto nell’ipotesi degli accordi presi “in vista di una dichiarazione di nullità”; ed infine
la più recente opinione che prospetta, a proposito degli accordi
sull’assegno divorzile, la ricorrenza di una nullità relativa perché
posta a tutela “del coniuge economicamente più debole”.
Fa espresso riferimento alla causa in concreto, pervenendo
nella specie alla negazione della liceità dell’accordo intercorso tra
i coniugi, Trib. Varese, 29 marzo 2010, cit. Anche in questo caso è
possibile rintracciare, nella ricostruzione che il decidente fa della
vicenda controversa, uno scampolo della convenzione intercorsa
tra i coniugi. Il Tribunale di Varese infatti ricorda in limine che «La
transazione oggetto di lite è stata sottoscritta il 7 dicembre 2005.
Essa nella parte dedicata alle premesse espressamente introduce
una ragione causale: “è specifico intento delle parti addivenire ad
una composizione convenzionale della complessa vertenza, trasformando il procedimento instaurato in divorzio congiunto, dirimendo ogni questione economica passata, presente e futura con
la presente scrittura conciliativa”». Argomenta poi il Tribunale che
«l’accordo transattivo anteriore al divorzio, in tanto può ritenersi
valido in quanto nel tessuto causale non vada a soggiornare l’intento (esplicito o mascherato) di “condizionare” le future condizioni scolpite nella sentenza di cessazione degli effetti civili» dovendosi ritenere, sempre a stare al ragionamento del Giudice del merito, «che il discrimine tra accordo transattivo valido ed accordo illecito non è il mero dato formale, ma il rilievo causale, oggi da intendere nella versione di causa “concreta”». È da verificare, però,
nell’ordine, quale sia la nozione di causa in concreto (e quindi se
nella specie sia stata correttamente intesa ed utilizzata), il ruolo
che quest’ultima possa giocare nella valutazione degli atti negoziali ed in particolare di quelli che riguardano i rapporti familiari,
ed infine se debba condividersi l’esito prospettato nella ipotesi in
questione.
Per un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali sul tema cfr. V. Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo
(non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e
di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 957 ss.
(51) Questa la risalente intuizione di A. Falzea, La separazione personale, Milano, 1943, 127, cui sostanzialmente adde la
più recente dottrina: in quest’ultimo senso cfr. infatti F. Finocchiaro, Matrimonio, in Commentario del Codice Civile Scialoja e
Branca, t. II, Bologna - Roma, 1993, 348. Tale configurazione
non comporta, ovviamente, che la separazione personale giudiziale costituisca un diritto senza confini, anche se, nella pratica, assai rari sono i casi in cui la correlativa domanda viene respinta: su questo aspetto si vedano le interessanti considerazioni di U. Breccia, Separazione personale dei coniugi, in Digesto IV, Discipline privatistiche. Sezione civile, Torino, 1998,
spec. 382 ss. e di M. Calogero, La separazione giudiziale, in
Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, vol. I, t. II, Milano, 2002, 1037.
(52) Sicché, la sequenza che passa dalla separazione consensuale al divorzio a domanda congiunta, attraverso una riconciliazione/interruzione della separazione non eccepita, più che una
ipotesi scolastica appare oggi come una realistica evenienza.
(53) Di recente ribadito in Cass., 10 marzo 2006, n. 5302,
ma già affermato da Cass., 9 maggio 2000, n. 5866; nella giurisprudenza di merito, nello stesso senso, v. Trib. Novara, 3 ottobre 2006.
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ni di cui si discute per illiceità della causa stante la
indisponibilità dell’assegno di divorzio avente funzione assistenziale. Invero la indisponibilità dell’assegno
è tutta da dimostrare (54) e non può essere affermata
in virtù di prese di posizione in ordine alla inderogabilità della relativa disciplina (55)
Ciò non significa affatto che debba rinunciarsi al
controllo sulla eventualità che (con gli accordi in
esame) venga lesa la posizione del familiare debole.
Non si tratta qui, a nostro avviso, di imboccare processi involutivi ovvero di immolare sull’altare della
solidarietà postconiugale condivisibili aperture giurisprudenziali (56), bensì di prestare attenzione a ineludibili considerazioni di ordine sistematico.
Invero, in un diritto privato contrattuale decisamente orientato verso la tutela del contraente
svantaggiato, veramente singolare apparirebbe ipotizzare una opposta propensione proprio del diritto
di famiglia (in cui, ancor prima della rilevata generale depatrimonializzazione del diritto privato (57),
si doveva prestare massimo riguardo per la tutela
della persona già in forza dei principi costituzionali
e della concretizzazione realizzatane dalla riforma).
Ove, poi, l’autonomia privata si debba misurare
con l’interesse della prole non è dubbio che il secondo non possa essere in alcun modo sacrificato
stante il suo carattere preminente ed esclusivo, che
emerge senza incertezze dal tessuto normativo (58)
e del quale la giurisprudenza ha ormai da tempo
preso atto (59).
Il coniuge debole, infine, è garantito da una serie
di prescrizioni normative ove dominano i riferimenti all’adeguatezza (artt. 128, 156 c.c., art. 5
comma 6 l. n. 898/70) o all’equità (art. 5 cit. comma 8): la prima clausola generale (dotata della flessibilità e dell’adattabilità che le è propria (60)), la
seconda veicolo di giustizia per il caso singolo (61).
Sicché il vero problema, a ben vedere, non è quello di predicare in astratto la tutela del coniuge debole quanto di individuarlo correttamente e concretamente nelle singole ipotesi: e questo, nel nostro ordinamento, è compito precipuo del Giudiceche, da una posizione del tutto privilegiata, osserva
l’inverarsi della prassi, ne apprezza i profili giuridicamente rilevanti e promuove la realizzazione degli
interessi di cui l’ordinamento assume la tutela.
(54) Per qualche considerazione critica sulla communis opinio ci permettiamo di rinviare a R. Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, cit., 131 ss.
(55) E deve invece essere tratta, caso per caso, in relazione
al modo in cui si pone il rapporto tra la concreta pattuizione e
l’interesse protetto, come evidenziato, in vario modo, da Cass.,
1° dicembre 2000, n. 15349, da Cass., 14 giugno 2000, n.
8109 e, nella giurisprudenza di merito, da Trib. Messina, 10 dicembre 2002.
(56) Come paventa invece G. Oberto, Contratto e famiglia,
cit., 108
(57) Secondo la nota impostazione che si deve a C. Donisi,
Verso la “depatrimonializzazione” del diritto privato, in Rass. dir.
civ., 1980, 644 ss. ed a P. Perlingieri, Depatrimonializzazione e
diritto civile, in Rass. dir. civ., 1983, 1 ss.
(58) Il riferimento all’interesse superiore del minore è testuale in numerosi articoli della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre1989 (artt. 3, 9, 18, 21).
Nel diritto civile nazionale è frequente l’uso dell’espressione
“esclusivo interesse morale materiale della prole” (art. 337-ter
c.c. e art. 6 l. n. 898/70) o “interesse del minore” tout court
(come accade nella l. n. 184 del 1983). Di interesse “preminente” si parla invece nelle sentenze della CEDU: «L’adozione è
“dare una famiglia ad un bambino e non un bambino ad una
famiglia”» … La Corte ricorda al riguardo che, quando si instaura un legame familiare tra genitore e bambino, “una importanza particolare deve essere conferita all’interesse preminente del bambini, che per la sua natura e gravità, può prevalere su quello del genitore (v. sent. 16 settembre 1999 nel caso
E.P. c. Italia par. 62, e la sentenza 7 agosto 1996 nel caso Johansen c. Norvegia par. 78)” (così nella sentenza CEDU Frettè
c. Francia del 26 febbraio 2002).
(59) “E pertanto una pattuizione concernente l'obbligo di
mantenimento dei figli, se in sede di separazione consensuale
deve essere sottoposta al controllo del giudice della omologazione nell'unica prospettiva consentita del superiore interesse
della prole, non esime il giudice chiamato a pronunciare nel
giudizio di divorzio in primo luogo dal verificare se essa, nella
sua effettiva portata, abbia avuto ad oggetto la sola pretesa
azionata nella causa di separazione, e si sia quindi posta come
momento di composizione di quella controversia, ovvero sia
stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa futura, e successivamente, e solo nella seconda ipotesi, dall'accertare se nella
sua concreta attuazione essa abbia lasciato in tutto o in parte
inadempiuto l'obbligo nei confronti della prole, tenuto conto
dei principi di eteroregolamentazione e di indisponibilità che
governano tale prestazione, ed in tal caso dall'emettere i provvedimenti idonei ad assicurare il mantenimento dei figli”; così
Cass., 2 febbraio 2005, n. 2088.
(60) Su questo punto deve essere sottolineato criticamente
il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale volto ad attribuire il medesimo significato alla clausola in discorso in tutte
le ipotesi (nullità matrimoniale, separazione e divorzio) in cui il
legislatore la utilizza, nel senso che dovrebbe sempre farsi riferimento al tenore di vita goduto in costanza del matrimonio
dal coniuge richiedente/beneficiario; così, tra le tante, Cass., 4
febbraio 2011, n. 2747 e, nella giurisprudenza di merito, Trib.
Milano, 11 luglio 2013, n. 9839. Avvertito della necessità di distinguere, in parte qua, la disciplina della separazione da quella
del divorzio ci pare invece Trib. Messina, 18 gennaio 2013, in
Dir. fam., 2013,I, 995 ss.
(61) È specificamente dedicata alle prestazioni una tantum
effettuate nell’ambito della patologia del matrimonio l’indagine
di A. La Spina, Accordi in materia di separazione e assolvimento
dell’obbligo di mantenimento del coniuge mediante corresponsione una tantum, in Riv. dir. civ., 2010, 453 ss.
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