Conversione di obbligazioni o esercizio di warrant?

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Conversione di obbligazioni o esercizio di warrant?
Obbligazioni
Conversione di obbligazioni
o esercizio di warrant?
L’emissione di obbligazioni convertibili o cum warrant risulta particolarmente utile quando la
società è alla ricerca di fonti di finanziamento flessibili, che si collocano a metà strada tra i titoli di
debito e i conferimenti a patrimonio netto; le obbligazioni convertibili o cum warrant sono infatti
formalmente titoli di debito, che contengono però anche un’opzione che può essere esercitata
dal sottoscrittore (e pertanto un’opzione call) per un aumento di capitale differito nel tempo.
Premessa
Un’obbligazione
convertibile
incorpora
un’opzione call, la quale attribuisce al detentore la facoltà di acquistare un determinato
titolo sottostante, di solito azioni dell’ente
che ha emesso l’obbligazione, ad un prezzo
di esercizio rappresentato dal valore nominale dell’obbligazione (1).
Le obbligazioni cum warrant (o con diritto di
opzione su azioni) attribuiscono all’obbligazionista il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di altra
società, ferma restando la posizione di creditore per le obbligazioni possedute.
Nel caso delle obbligazioni convertibili, l’opzione è incorporata nell’obbligazione e pertanto si tratta di un’opzione di conversione,
in base alla quale il sottoscrittore cessa di
essere obbligazionista per diventare azionista; nei warrant, tipicamente emessi assieme
ad obbligazioni (in sé e per sé non convertibili), l’opzione call ha una circolazione separata rispetto al titolo di debito.
Il prestito obbligazionario convertibile è un
valido strumento per quelle imprese che incontrano difficoltà a reperire mezzi finanziari attraverso semplici aumenti di capitale a
pagamento, dovuti ad una redditività dell’azienda poco soddisfacente o ad una situazione dei mercati finanziari sfavorevole o tramite emissione di obbligazioni ordinarie.
L’utilizzo di warrant e obbligazioni convertibili può inoltre risultare particolarmente utile nei gruppi, soprattutto per aumenti di capitale che devono essere pianificati ex ante in
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modo flessibile (tale da garantire al sottoscrittore la facoltà, ma non l’obbligo, di effettuarli, anche parzialmente).
La differenza fondamentale risiede nel fatto
che l’opzione di conversione nell’obbligazione è insita nel titolo, mentre il warrant rappresenta esclusivamente l’opzione; per esercitare l’opzione, l’obbligazionista cessa forzatamente di essere tale. Si può trattare di
aumenti di capitale che promanano a cascata
(tipicamente dalla holding sulle controllate)
ovvero localizzati in singole società.
L’emissione di obbligazioni convertibili o
cum warrant riduce i conflitti di interesse
tra azionisti e obbligazionisti, in quanto consente a questi ultimi di poter beneficiare di
una redditività positiva, esercitando la loro
opzione.
Note:
(*) Università Cattolica del sacro cuore di Milano, Dottore
commercialista in Milano
(1) Per approfondimenti bibliografici, si veda: Bajo E.,
(2003), Le obbligazioni convertibili, Carocci, Bari; Banfi A.,
(1990), Le obbligazioni convertibili in azioni, Il Mulino, Bologna; Bussoletti M.,(1988), «Obbligazioni convertibili, con
Warrant, con partecipazione agli utili», in Rivista di diritto
commerciale; Corapi D., (1991), «Obbligazioni convertibili
e diritto di opzione», in Rivista di diritto d’impresa; Domenichini G., (1993), Le obbligazioni convertibili in azioni, Giuffrè Milano; Galligani G., (1993), «Le obbligazioni convertibili», in Nuovo diritto; Garcia De Enterria J., (1989), Le obbligazioni convertibili in azioni, Giuffrè, Milano; Geraci L.,
(1990), «L’azione attraverso l’obbligazione. Note in tema di
obbligazioni convertibili», in Rivista delle società; Quatraro
B., (1993), «Le obbligazioni convertibili in azioni», in Rivista
dei dottori commercialisti; Quatraro B., D’Amora S., (1994),
Le operazioni sul capitale, Giuffrè, Milano.
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Finanza Aziendale
di Roberto Moro Visconti (*)
Obbligazioni
Strumenti convertibili ed impatto
sul controllo
Finanza Aziendale
L’emissione di strumenti convertibili può
avere un impatto anche rilevante sulla composizione azionaria, con un’eventuale diluizione dei soci storici nota a priori, come evidenziato anche nella figura riportata in Tavola 1.
L’opzione insita nel warrant o nell’obbligazione convertibile contiene di norma la facoltà di sottoscrivere un aumento di capitale
presso la stessa società emittente, anche se
talora vengono emesse opzioni che hanno
come sottostante azioni di altra società, tipicamente del gruppo. In questo caso, i meccanismi civilistici di tipo autorizzativo (aumento di capitale deliberato, per creare spazio ai
potenziali sottoscrittori, ma con esecuzione
differita) devono essere adattati alla cointeressenza che essi generano in più società.
I warrant
Un warrant è un contratto che conferisce al
possessore il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare un numero prestabilito di azioni
della società (di norma, emittente) a un dato
prezzo entro una data stabilita.
All’atto dell’emissione un warrant è parte di
un altro titolo; i warrant sono tipicamente
legati a obbligazioni non convertibili o azioni privilegiate. Nel primo caso, sono spesso
utilizzati per rendere più attraenti per l’investitore le condizioni di una emissione di obbligazioni. L’investitore ottiene non solo il
rendimento fisso assicurato dal titolo di credito, ma ha anche la facoltà di acquistare
azioni ordinarie ad un prezzo prestabilito.
Se il prezzo di mercato delle azioni tende a
salire, questo diritto viene ad assumere valore in quanto il detentore del warrant avrà
convenienza a esercitare l’opzione che gli
viene offerta solo se il prezzo dell’azione risulta superiore all’exercise price. In questo
modo la società è in grado di emettere i titoli
ad un tasso di interesse più basso di quello
che, altrimenti, avrebbe dovuto corrispondere.
Per le società che presentano un grado di
rischio finanziario difficilmente accettabile
dal mercato, l’impiego dei warrant può consentire di raccogliere fondi mediante un’emissione di titoli di debito. Di solito, i warrant possono essere staccati dal titolo cui
erano legati, e quindi scambiati separata-
Tavola 1 - Emissione di warrant od obbligazioni convertibili ed impatto sul controllo
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mente, cosa che non avviene con le obbligazioni convertibili.
Il valore teorico di un warrant può essere
determinato secondo la seguente formula:
W = N * (PS - E)
dove
N = numero di azioni che possono essere acquistate con un warrant
E = prezzo al quale può essere effettuato l’acquisto di N azioni (exercise price)
PS = quotazione di una azione.
Quindi, il valore teorico del warrant è pari in
ogni periodo alla differenza tra il corso azionario e il prezzo di esercizio.
La maggior parte dei warrant sono quotati ad
un prezzo superiore al loro valore teorico. Le
ragioni vanno ricercate nella volatilità dei
corsi delle azioni ordinarie, nella durata dell’intervallo di tempo precedente la data di
scadenza e nel valore temporale della moneta.
Il warrant rappresenta in definitiva un’opzione di acquisto, esercitabile in un ottica pluriennale, il cui valore è funzione della durata
del periodo di esercizio, della variabilità del
titolo di riferimento, del livello dei tassi di
interesse correnti. I primi due fattori amplificano la probabilità dei potenziali guadagni,
mentre il terzo esprime la possibilità, da parte dell’investitore, di ottenere un reddito aggiuntivo per il semplice differimento dell’esborso necessario all’acquisizione dei titoli
di compendio.
Le ragioni che inducono un’impresa ad offrire obbligazioni con warrant, sono essenzialmente tre:
1) ottenere un finanziamento a tassi inferiori
a quelli correnti per obbligazioni ordinarie
dalle caratteristiche analoghe (il che si giustifica con la messa a disposizione del sottoscrittore di un diritto aggiuntivo);
2) diversificare le proprie fonti di provvista;
3) ampliare, almeno potenzialmente, la base
azionaria (difatti, normalmente il lancio di
un prestito con warrant viene preceduto da
un aumento di capitale, che troverà esecuzione a mano a mano che il diritto viene
esercitato).
Di solito tali ragioni valgono anche per un
prestito obbligazionario convertibile; ciò
che rende, invece, un’emissione con warrant
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preferibile dal punto di vista dell’emittente è
la presenza di un nuovo apporto di denaro
con la sottoscrizione di nuove azioni. Pertanto, un prestito con warrant consente la realizzazione di un’opportuna pianificazione finanziaria mediante la creazione di programmi di nuovi apporti di capitale ed il posizionamento delle relative entrate con le effettive
esigenze della società.
Le obbligazioni convertibili
Le obbligazioni convertibili sono titoli rappresentativi di un credito (il valore nominale
dell’obbligazione rimborsabile) che comprende la facoltà, concessa dalla società
emittente al singolo sottoscrittore, di mutare
tale rapporto in una partecipazione sociale
tipicamente nella stessa società emittente o
talora in un’altra società (del gruppo ...), a
semplice richiesta ed entro un dato termine
(se l’opzione insita nell’obbligazione convertibile è di tipo c.d. «europeo», la convertibilità si ha solo alla scadenza, mentre se l’opzione è «americana», la conversione può avvenire anche prima della scadenza).
Le obbligazioni convertibili permettono, pertanto, di investire in uno strumento finanziario che prevede il rimborso del valore nominale alla scadenza e che consente nel contempo di beneficiare dell’andamento di un
investimento azionario. L’investitore ha infatti la facoltà di convertire il capitale in
azioni alle condizioni (exercise price) definite
per ciascuna obbligazione al momento dell’emissione.
L’emissione di un prestito obbligazionario
convertibile trova disciplina nell’art. 2420bis c.c.: «L’assemblea straordinaria può deliberare l’emissione di obbligazioni convertibili
in azioni, determinando il rapporto di cambio,
il periodo e le modalità della conversione (...)».
Particolare rilevanza assume il rapporto di
cambio o prezzo di conversione. Esso indica
il rapporto tra il numero delle obbligazioni e
quello delle azioni ad esso riservate, o meglio
il rapporto con cui ogni obbligazione o gruppo di obbligazioni può essere convertito in
azioni, ovvero il valore nominale delle obbligazioni e delle azioni di compendio.
Il rapporto di cambio può essere fissato alla
pari o non alla pari. Considerato che le obbligazioni convertibili non possono essere
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Finanza Aziendale
Obbligazioni
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emesse sotto la pari, ovvero per somme inferiori rispetto al loro valore nominale, ne consegue che:
1) in caso di rapporto di conversione alla pari, la società convertirà obbligazioni in azioni al loro valore nominale;
2) in caso di rapporto di conversione sopra la
pari, la società registrerà un aumento di capitale sociale per l’importo del valore nominale delle azioni emesse e rileverà la differenza in un fondo sovrapprezzo azioni;
3) in caso di emissione per un prezzo superiore rispetto al valore nominale, la società,
al pari della fattispecie precedente, rileverà
un aumento di capitale sociale per l’importo
del valore nominale delle azioni emesse e registrerà la differenza in un fondo sovrapprezzo azioni.
Un’obbligazione convertibile è un’obbligazione con un’opzione call, la quale attribuisce al detentore la facoltà di acquistare un
determinato titolo sottostante, di solito azioni dell’ente che ha emesso l’obbligazione, dove il prezzo venga rappresentato dall’obbligazione stessa.
Il prezzo del titolo sarà esprimibile come:
PCB = Po + C
ove:
PCB = prezzo di un convertible bond
Po = prezzo di un’obbligazione senza opzioni
C = prezzo della call option.
La clausola di conversione in un’emissione
obbligazionaria societaria garantisce al detentore dell’obbligazione il diritto di convertirla in un numero prestabilito di quote di
azioni ordinarie dell’emittente.
Un’obbligazione convertibile è come una ordinaria dotata di opzione call emessa da un
soggetto, l’ente emittente, a favore di un altro
soggetto, il detentore del titolo. Questa opzione assicura un diritto di acquisto al possessore dell’obbligazione ed impone un obbligo di vendita all’ente emittente.
In molti casi, come si è visto, i titoli convertibili vengono utilizzati come finanziamento
attraverso azioni ordinarie differito nel tempo. Tecnicamente, questi titoli prendono la
forma di una obbligazione, ma in effetti sono
azioni ordinarie differite. Le società che
emettono titoli convertibili si attendono di
norma la loro conversione in futuro. Emettendo un titolo convertibile, anziché un’azio-
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ne ordinaria, le società determinano una minore diluizione degli utili per azione, sia al
momento dell’emissione sia in futuro. E ciò
perché il prezzo di conversione di un titolo è
più elevato del prezzo di emissione di una
nuova azione ordinaria.
I detentori pagano il diritto di acquisto accettando sulle obbligazioni una cedola inferiore a quella che richiederebbero se le obbligazioni non fossero convertibili. Società
con un grado di credito relativamente basso,
ma con buone prospettive di crescita, possono incontrare parecchie difficoltà qualora
vogliano collocare obbligazioni ordinarie. Il
mercato potrebbe reagire più favorevolmente
all’emissione di titoli convertibili, non tanto
per le loro caratteristiche di obbligazioni,
quanto piuttosto per la loro natura di potenziali azioni ordinarie.
L’obiettivo di ampliare la base azionaria interessando alle sorti dell’impresa il maggior
numero di risparmiatori, viene raggiunto anche utilizzando le obbligazioni convertibili
come titoli di «transizione»: il loro classamento (rispetto ad un’offerta di azioni), infatti, normalmente incontra un più diffuso
interesse tra il pubblico e ciò, evidentemente
non può che favorire, una volta esercitato il
diritto alla conversione, l’ampliamento della
base azionaria.
La ratio dell’emissione di obbligazioni convertibili risiede essenzialmente nel perseguimento di finalità di retention per i key managers sottoscrittori delle obbligazioni, consentendo loro di diventare azionisti, seppure in
un intervallo temporale differito durante il
quale i key managers saranno incentivati a
massimizzare il valore di mercato a termine
della società, al fine di massimizzare il valore
intrinseco delle loro obbligazioni convertibili
(rappresentato dalla differenza, se positiva,
tra il valore di mercato del titolo sottostante
e l’exercise o striking price).
Fusioni, scissioni e conferimenti
in presenza di obbligazioni
convertibili
Quando una delle società partecipanti alla
fusione ha emesso obbligazioni convertibili
ovvero quando esse sono presenti nel bilancio della scindenda (e appartengono al ramo
oggetto di scissione) emergono delicati pro1/2010
blemi, in merito all’architettura dell’operazione straordinaria, ai riflessi di natura civilistica, contabile e finanziaria, alla determinazione del rapporto di concambio.
Nel caso in cui le società partecipanti alla
fusione abbiano emesso obbligazioni, il progetto di fusione deve indicare il trattamento
riservato agli obbligazionisti; in particolare,
qualora si tratti di un prestito obbligazionario convertibile, il progetto dovrà contenere
il rapporto di conversione delle obbligazioni
ordinarie con le azioni della società incorporante o della società derivante dalla fusione.
La società che ha emesso un prestito obbligazionario convertibile può deliberare la fusione solo dopo aver proposto la conversione
anticipata delle obbligazioni. In caso di mancato esercizio del diritto, agli obbligazionisti
devono comunque essere garantiti diritti
equivalenti a quelli loro spettanti prima dell’operazione, salvo che la modifica sia stata
autorizzata dall’assemblea degli obbligazionisti.
Ai possessori di obbligazioni deve essere data
facoltà, mediante avviso pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale (2) almeno 3 mesi prima
dall’iscrizione del progetto di fusione, di
esercitare il diritto di conversione nel termine di un mese dalla pubblicazione dell’avviso.
Anche agli obbligazionisti è data facoltà di
esercitare l’azione di opposizione, secondo
le stesse modalità di quella dei creditori sociali. Tuttavia tale diritto può essere esercitato solo dal rappresentante comune, in base
ad una delibera in tal senso da parte dell’assemblea degli obbligazionisti, e salvo che
quest’ultima non abbia dato autorizzazione
preventiva all’operazione di fusione stessa.
Gli obbligazionisti possono opporsi quando
non siano stati rispettati i diritti loro spettanti, ossia:
– non gli sia stata concessa facoltà di esercitare il diritto della conversione;
– non abbiano proceduto prima della fusione
alla conversione e non siano stati loro assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti in precedenza.
Tuttavia, l’eventuale contenzioso relativo alla
congruità di trattamento delle obbligazioni
non incide sulla validità e sull’efficacia della
fusione.
Nelle scissioni, anche per gli obbligazionisti
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è previsto il diritto di opporsi all’operazione
qualora ne ottengano pregiudizio; tale facoltà viene meno quando la scissione è stata
approvata dall’assemblea degli obbligazionisti.
Nei conferimenti d’azienda comprendenti
obbligazioni convertibili, invece, pur nel silenzio della normativa civilistica, tipicamente si pongono le seguenti problematiche:
– a seguito del conferimento, la conferitaria
deve rispettare i limiti all’emissione di prestiti obbligazionari, ex art. 2412 c.c.;
– della presenza di obbligazioni convertibili
nel ramo d’azienda conferendo va tenuto
conto nella determinazione dell’aumento di
capitale della conferitaria a servizio del conferimento e del sovrapprezzo a tutela dei soci
preesistenti della conferitaria; con la conversione delle obbligazioni, infatti, gli obbligazionisti diventano soci della conferitaria, insieme ai soci storici e ai soci della conferente.
L’interpretazione della struttura
finanziaria in termini di opzioni
Gli aumenti di capitale differiti modificano
la struttura finanziaria dell’impresa, imperniata sul leverage (rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri), rilevante anche ai fini
di Basilea 2.
In base allo studio originario di Black e
Scholes del 1973 (3), la relazione fra struttura finanziaria e valore dell’impresa può essere analizzata con riferimento al modello di
determinazione del prezzo delle opzioni. Il
capitale azionario dell’impresa può essere visto come un’opzione call sul valore totale dell’impresa, essendo il valore dell’impresa l’attività sottostante all’opzione. I venditori della
facoltà di acquisto sono, in questo caso, i
creditori.
Per semplicità si può ipotizzare che:
1) il debito dell’impresa sia costituito da obbligazioni quotate sotto la pari e rimborsabili
alla scadenza al valore nominale, con il tasso
Note:
(2) È l’unico adempimento ancora operante nelle fusioni
e scissioni per quanto concerne la Gazzetta Ufficiale, ex
art. 2503 bis, 2 comma, c.c.
(3) Black F., Scholes M., (1973), The Pricing of Options and
Corporate Liabilities, in Journal of Political Economy, 5-6.
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Finanza Aziendale
Obbligazioni
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Finanza Aziendale
di interesse incorporato nello sconto rispetto
al prezzo di rimborso, non prevedendo
esborsi di cassa prima della scadenza;
2) non vi siano costi di transazione o imposte
in modo che il valore dell’impresa non venga
influenzato dalla sua struttura finanziaria (4);
3) si abbia un tasso di interesse privo di rischio non stocastico noto;
4) vi siano aspettative omogenee per quanto
riguarda il processo stocastico che descrive il
valore delle attività dell’impresa.
L’opzione ha, quindi, un prezzo d’esercizio
uguale al valore nominale del debito e la
sua scadenza risulta essere quella del debito
stesso.
Il valore dell’opzione alla scadenza, per definizione pari al valore del capitale proprio,
corrisponde a:
Impatto dell’aumento di capitale
sul leverage, anche ai fini di Basilea 2
tendo ai creditori di compartecipare alla
creazione di valore da parte dell’impresa.
Il leverage (o leva finanziaria, espressione del
rapporto tra debiti finanziari e patrimonio
netto) può subire modifiche anche rilevanti
a seguito dell’aumento di capitale con conversione del prestito obbligazionario. Ciò dipende dallo spostamento di debiti finanziari
(obbligazioni), che con la conversione incrementano il capitale sociale, nel patrimonio
netto.
Con la conversione del prestito obbligazionario, si assiste dunque ad un aumento del patrimonio netto, a fronte di una diminuzione
dei debiti finanziari, con positivi risvolti anche ai fini dei parametri richiesti dall’accordo di Basilea 2.
Anche prima dell’eventuale conversione, il
prestito obbligazionario convertibile ha una
natura di quasi equity ed è tipicamente postergato rispetto ad altri debiti privilegiati.
Da un punto di vista finanziario, le obbligazioni convertibili infatti sono una via di mezzo tra le obbligazioni e le azioni. Per la loro
natura ibrida rendono meno di un’azione
quando il mercato azionario sale, ma al tempo stesso perdono meno di valore quando il
mercato azionario scende.
Già in sede di emissione, bisogna tenere conto dell’effetto di diluizione che si può verificare in capo ai soci originari e alla possibilità
che i loro pacchetti di partecipazione possano scendere al di sotto di determinate soglie
strategiche. Tale aspetto, da valutare accuratamente ex ante, può modificare anche il vote
segment, che identifica il valore attribuibile
al diritto di voto di ciascun pacchetto azionario (cosı̀, ad esempio, se con la diluizione
si scende dal 51 % al 49 % ...).
Nella valutazione delle aziende, è opportuno
tenere conto della presenza di obbligazioni
convertibili, considerandone anzitutto la natura ibrida, che ne può consentire una valorizzazione nel valore dell’azienda per gli
azionisti (market value of equity), in ogni caso - ovviamente - quando la conversione è già
avvenuta e seguendo un modello probabili-
La capacità di indebitamento per finanziare
investimenti difficilmente controllabili dall’esterno cresce in presenza di titoli ibridi
(obbligazioni convertibili o cum warrant
...), che riducono i costi di agenzia, consen-
Nota:
(4) Ossia, si suppone che la Proposizione I di ModiglianiMiller sull’irrilevanza della struttura finanziaria nell’influenzare il valore di mercato della società sia valida.
Vo = Max (Vf -D, 0)
in cui Vf è il valore dell’impresa alla scadenza
dell’opzione, D il valore nominale del debito,
cioè il prezzo di esercizio dell’opzione e Max
significa il valore più alto fra la differenza Vf
- D e zero. Il payoff del capitale azionario
diviene perciò analogo a quello di una call
option europea su azioni ordinarie. Il valore
del debito alla scadenza è semplicemente:
Vd = Min (Vf, D)
in cui Min significa «il minore» fra Vf e D.
Quando un’impresa s’indebita, cede di fatto
agli obbligazionisti (termine che inteso in
senso lato ricomprende tutti i creditori) le
sue attività con l’opzione di riacquistarle
rimborsando il debito. La relazione fra obbligazionisti-creditori ed azionisti può essere
espressa con riferimento al modello di determinazione del prezzo delle opzioni. Alla data
di scadenza pagando l’ultima cedola e il valore nominale delle obbligazioni, l’azionista
esercita l’opzione di acquistare la società dall’obbligazionista al valore nominale del debito.
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Obbligazioni
Il «valore normale»
delle obbligazioni convertibili
La determinazione del «valore normale» di
azioni e obbligazioni è particolarmente delicata, soprattutto quando ci si riferisce a titoli
di società non quotate. Il valore normale (fair
value) assume rilevanza anzitutto sotto il
profilo fiscale, ai sensi dell’art. 9 del d.p.r.
917/1986, 3 e 4 comma.
Il valore del patrimonio netto della società
che ha emesso obbligazioni convertibili assume un rilievo fondamentale per determinare
- per relationem - il valore insito nell’opzione
di convertibilità, soprattutto nell’ipotesi in
cui tale convertibilità risulti economicamente conveniente, essendo l’opzione (rappresentata dalla clausola di convertibilità del
prestito obbligazionario) in-the-money (5).
La dottrina e la prassi si sono a lungo interrogate sul significato del termine ‘‘patrimonio netto’’, atteso che ci si può riferire al mero patrimonio netto contabile, ovvero al patrimonio netto effettivo (di mercato), di norma ben più rilevante. Una risoluzione (n. 3/E
dell’8 gennaio 2002) consolida l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria in materia (6): ‘‘il valore normale è fissato in proporzione al ‘‘valore del patrimonio netto effettivo
della società o ente (e non in proporzione al
patrimonio netto contabile)’’.
Interessante è anche il riferimento contenuto
nella Circolare ministeriale n. 188/E/1998,
ove si ribadisce il principio della valorizzazione pro quota delle partecipazioni (senza
applicare premi di maggioranza o - specularmente - sconti di minoranza).
Il concetto di ‘‘valore effettivo del patrimonio
netto assegnato’’ viene richiamato anche nell’art. 2506 quater, 3 comma, c.c., che tratta
degli effetti della scissione, ove si rileva che
‘‘ciascuna società è solidamente responsabile,
nei limiti del valore effettivo del patrimonio
netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti
della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico’’ (7). Si tratta, nel suo
complesso, del patrimonio netto della società
scindenda, che viene trasferito - in tutto o in
parte - a una o più società beneficiarie (8).
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Ristrutturazione del debito
attraverso le obbligazioni
convertibili
La ristrutturazione del debito, frequente in
periodi di recesso, comprende quegli accordi
mediante il quale le condizioni originarie di
un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo
di garanzia ...) vengono modificate per alleggerire l’onere del debitore, che si trova in
difficoltà finanziaria o, nei casi peggiori, in
stato di insolvenza.
In questi casi, spesso, i potenziali azionisti
non vogliono assumersi il rischio di sottoscrivere nuove azioni della società in difficoltà, e preferiscono pertanto sottoscrivere titoli
ibridi, come le obbligazioni convertibili, rimandando al futuro la scelta di convertire o
meno le obbligazioni e diventare soci.
Gli accordi di ristrutturazione del debito sono stati introdotti con la riforma fallimentare
dall’art. 182 bis l.fall., secondo cui il debitore
può depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei.
Conclusioni
L’emissione di obbligazioni convertibili consente alle società di raccogliere risorse finanziarie con un onere a servizio del debito (tasso di interesse) più basso rispetto ad una
normale emissione obbligazionaria (non
Note:
(5) Le opzioni sono in-the-money quando il prezzo di esercizio è inferiore rispetto al valore di mercato del titolo sottostante.
(6) Si veda anche la Circ. n. 12/E del 31 gennaio 2002.
(7) Per approfondimenti, si veda Moro Visconti R., (2006),
«Scissioni di società e valore effettivo del patrimonio netto», in Impresa c.i., 9.
(8) Il concetto è richiamato anche dall’art. 2506 bis, 3
comma, che sancisce la solidarietà delle società beneficiarie nell’ipotesi dell’insorgere di passività la cui destinazione non sia desumibile dal progetto di scissione, secondo cui «la responsabilità solidale è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria».
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Finanza Aziendale
stico (che stimi il valore dell’opzione nel tempo), prima che sia spirato il diritto alla conversione.
Obbligazioni
Finanza Aziendale
convertibile), valorizzando l’opzione di conversione.
La possibilità di fare aumenti di capitale differiti nel tempo consente una grande elasticità alla società e ai sottoscrittori. La flessibilità può trovare agevole applicazione anche
all’interno di operazioni straordinarie - fusioni, scissioni o conferimenti - nell’ambito
di operazioni infragruppo ovvero nell’ambito
di procedure di ristrutturazione del debito.
L’eventuale conversione delle obbligazioni in
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azioni può avere un impatto positivo sul leverage, anche ai fini dei parametri previsti da
Basilea 2, in quanto riduce l’indebitamento
finanziario a favore della patrimonializzazione delle società.
In tempi di recessione e di credit crunch, in cui
è particolarmente difficile per le società raccogliere risorse sia dai terzi finanziatori, sia dai
soci, questo strumento ibrido e flessibile, a
metà strada tra debito e capitale, può risultare
particolarmente prezioso e incentivante.
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