lettera pastorale per la quaresima

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lettera pastorale per la quaresima
LETTERA PASTORALE PER LA QUARESIMA
LA VIRTÙ CRISTIANA DELLA SOBRIETÀ
SFIDA EVANGELICA AL CONSUMISMO
E VIA ALLA CARITÀ
Introduzione
Carissimi fedeli veronesi,
la riflessione sul Vangelo della carità sta accompagnando il cammino delle nostre comunità cristiane in
attuazione del progetto pastorale, che ci siamo dati attraverso il convegno diocesano dello scorso settembre
e che abbiamo posto sotto la materna intercessione della Madonna del Popolo.
Il tempo quaresimale, che sta per iniziare, è un tratto particolarmente forte e impegnativo di quel
cammino, sulla traccia dell'antichissima tradizione della Chiesa.
Non vi dispiaccia, perciò, che io riprenda la parola, esortando ad approfondire - proprio in questo
tempo santo che è “momento favorevole e giorno di salvezza” (cf. seconda lettura del Mercoledì
delle Ceneri - 2 Cor 5,20-6,2) - qualche aspetto dell'inesauribile prospettiva del Vangelo dell' amore
propostoci da Gesù, il rivelatore del vero Dio, perché ne cogliamo le forti esigenze e ci lasciamo
provocare a un generoso rinnovamento di vita personale, familiare, comunitaria.
La Quaresima ci incammina verso la Pasqua e ci prepara a celebrarla come riscatto della nostra
libertà di figli e come sua gioiosa celebrazione nel servizio dell' amore. Con Gesù e come Gesù, il
quale, tutto affidato a quella Parola di Dio della quale soltanto vive l'uomo, si dispone a morire per noi,
amandoci fino al segno supremo, sin dal tempo - ricco di mistero e di grazia - dei 40 giorni trascorsi nel
deserto all'ombra dello Spirito e in compagnia degli angeli.
Là, vivendo nella solitudine e nell'austerità volontaria, Gesù prova la fame, e nel distacco radicale dalle
cose conosce la tentazione e la vittoria, conquistando nella sua umanità la perfetta libertà di vivere il
compito messianico non come pretesa ma come obbedienza, non come dominio ma come servizio e
sacrificio (cf. Vangelo della prima Domenica di Quaresima - Mt 4,1-11).
La virtù cristiana della sobrietà è un modo specifico e concreto di rivivere il deserto di Gesù, facendo
nostra la sua oblazione d'amore e disponendoci a condividere la sua vittoria sull'egoismo e sulla morte
per la salvezza nostra e dell'umanità.
Vogliate dunque accogliere con attenzione e in atteggiamento di interiore disponibilità le riflessioni che
il vostro Vescovo sente di dovervi proporre nel nome del Signore, con affetto e con fiducia, su questo
tema, ravvivando e sviluppando il grande annuncio del Vangelo della carità.
1. Pasqua: vita di comunione e senso del limite
Pasqua è festa di vita. Gesù ha detto: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in
abbondanza” (Gv 10,10b). La vita del Risorto è LA VITA 1N PIENEZZA, “in abbondanza”, a cui tutti siamo
chiamati. È la VITA DI COMUNIONE con il Padre e i fratelli: “Sarò con voi fino alla fine del mondo”. È la
vita di Colui che si realizza in pienezza ed è felice in quanto anche tutti gli altri sono realizzati, felici e in
comunione. Tutti gli altri che non rifiutano di entrare alla festa dello stare insieme e alla gioia del ritorno
del “figlio prodigo”, della “pecora smarrita” (cf. Lc 15). Pasqua, dunque, come vittoria del Dio
dell'amore sull'individualismo e come festa della vita in comunione, che ricomincia.
Ma non c'è comunione se non si accettano LIMITI. Se uno non accetta limiti al suo potere (poter fare ciò
che vuole) e al suo avere (avere tutto ciò che desidera), non conoscerà mai la gioia della comunione, ma
solo il travaglio della competizione, l'effimero gusto del sorpasso, e alla fine, l'angoscia della solitudine.
Rifiutando il senso del limite, non si costruisce comunione, ma si fa soltanto oppressione, distruzione
degli altri, e, alla fine, anche di se stessi; si finisce con non accettare nemmeno se stessi. Mentre l'amore
chiede di far spazio all'altro come fratello, alla carità vera che si fa solidarietà.
In quanto creature, del resto, IL LIMITE È CONGENITO. Si nasce come il sole, si splende a mezzogiorno
(se nubi non ci sono) e poi si tramonta per entrare in un'altra vita.
Se non si coglie il valore del tramonto e della notte, si vive tutta un'esistenza nella paura del dolore, del
fallimento, della sconfitta, della vecchiaia, della morte; e non si gusta il dono della vita terrena,
ricevuto entro i necessari limiti che permettono anche l'esistenza degli altri e la gioia dello stare
insieme. Uno stare-insieme, una comunione, una festa che, per dono del Padre, saranno perfette e
durature dopo la morte quando entreremo nella sua casa, cioè nell'eterno; e però già qui nel tempo si
possono gustare come un inizio, un pegno, un anticipo, purché sappiamo accettare il sacrificio che
comportano: “Benedetto Dio (...) Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci
consola in ogni nostra tribolazione”, pregava S. Paolo (2 Cor 1,3-4).
Voler trattenere il giorno e il tramontar del sole qui a Verona, sarebbe impedire il suo sorgere a
Honolulu, nelle Hawaii. Rifiutarsi di andare in pensione a una certa età, è impedire che i giovani
trovino posto nella società. Non accettare di morire, vuoi dire impedire lo spuntare di nuove albe, nuovi
giorni, nuove creature. Se nessuno mai fosse morto, già da tempo sul grande teatro della storia sarebbe
scritto “tutto esaurito”; non ci sarebbe più posto per nuove creature. Noi ci siamo, perché le
generazioni che ci hanno preceduto hanno accolto con fede e con gioia il travaglio di vivere; hanno
caricato il peso dei tramonti, e hanno illuminato la pena e la notte del morire con il pianto e il
sorriso dei bambini che nascono. E grande consolazione è pensare che, un giorno, godremo della loro
compagnia nella casa del Padre, e di quella dei bambini che, al nostro lasciare questo mondo, potranno
ancora nascere.
Per questo, la Settimana Santa è preceduta dalla Quaresima e la Domenica di Pasqua dal Venerdì
Santo. Il prezzo dell'amore è il sacrificio, in un mondo segnato dal non amore. Seguire Gesù, infatti,
vuoi dire ACCOGLIERE LA CROCE: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda
la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). La croce è il necessario costo della vita “in
abbondanza”, della gioia della comunione; è il segno più vero dell'amore, perché nessuno ha amore più
grande di chi dà la vita per la persona amata.
Perciò il segno del cristiano è il “segno della croce”. Perché, ricordando il nostro battesimo, con le
parole ci indica la meta: la vita di comunione di tutti in Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo. E con il
gesto ci rammenta il necessario costo della comunione, il cammino per arrivarci: l'accettazione dei
limiti, del tramonto, della morte, cioè della croce, come Gesù ha fatto.
2. Peccato e riparazione
Ma la Quaresima ci parla anche di PECCATO e della necessità di RIPARAZIONE attraverso mortificazione
e penitenza.
Quando non si accettano i limiti necessari alla comunione, si intro ducono nel cuore dell'uomo e
nel mondo squilibri di ogni genere (cf. Gen 3).
Ricomporre le armonie profonde del cuore, compromesse dal peccato, non è nelle possibilità
dell'uomo, è soltanto dono di Dio in Cristo Redentore. Ma frenare e riparare gli squilibri
strutturali (umani, sociali, ecologici), introdotti nel mondo da un cuore insaziabile di guadagno
e potere, è compito dell'uomo; non può essere atteso miracolisticamente da Dio. Non porrà pezze,
Dio, al buco dell'ozono. Se semino zizzania, nascerà zizzania e non buon grano, per quante
preghiere faccia (“Non chiunque mi dice ‘Signore, Signore' entrerà nel regno dei cieli, ma colui
che fa...”: Mt 7,21).
È necessaria dunque una partecipazione nella “riparazione”: un supplemento di fatica, di sforzo,
di buona volontà, di allenamento; e, appunto, penitenza, mortificazione, digiuno la Quaresima ci
propone come cammino per una vita più piena di senso e di solidarietà, più libera dalle cose e
da noi stessi.
Che gli squilibri ci siano, dentro e fuori di noi, non ha certe bisogno di dimostrazione: offese
alla vita, crisi della famiglia, esaltazione della sensualità e irrisione della castità, disagio
giovanile, tangentopoli, emarginazione economica e conseguente miseria di masse umane
sempre più grandi che entrano in esodo, conflitti e guerre per motivi economici e culturali che
si potenziano reciprocamente, degrado ambientale (aria e acque inquinate, climi in rapido
cambiamento), degrado culturale (omologazione di tutte le culture su un'unica cultura di
massa, urbana e consumista), tendenza a “catturare” Dio stesso per metterlo a servizio dei
nostri interessi attraverso le pratiche magiche e l'affidamento ai “sacerdoti dell' occulto”.
Questi sono soltanto i titoli di un male profondo, un peccato, che dal cuore dell'uomo sale in
superficie e diventa “struttura di peccato”, cioè meccanismi sociali che compromettono la vita
anche qui nel tempo, sulla terra. Tutti mali che abbiamo il dovere di sanare CON UN SUPPLEMENTO
DI IMPEGNO , DI SFORZO ; o se preferiamo, con mortificazione, penitenza, digiuno, intesi nel loro
significato più profondo.
L'enciclica “Sollicitudo Rei Socialis” (SRS) del Papa Giovanni Paolo 11 a questo proposito
dice:
“Non è fuori luogo parlare di ‘strutture di peccato', le quali (...) si radicano nel peccato personale
e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone...” (n. 36); “tra le azioni e gli
atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le ‘strutture' che essi inducono, i
più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte ‘la brama esclusiva del profitto' e,
dall'altra, ‘la sete del potere' col proposito di imporre agli altri la propria volontà...” (n. 37).
E avverte: “Siamo tutti chiamati, anzi ‘obbligati', ad affrontare la ‘tremenda sfida' dell'ultima
decade del secondo Millennio. Anche perché i pericoli incombenti minacciano tutti” .
E la proposta concreta è questa: “tutti (...) convinti della gravità del momento presente e della
rispettiva individuale responsabilità, mettano in opera - con lo stile personale e familiare della vita,
con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col contributo alle decisioni economiche e
politiche e col proprio impegno nei piani nazionali e internazionali - le misure ispirate alla
solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri” (n. 47).
3. Uno stile di vita più razionale
Dunque, prima ancora di dare del proprio ai poveri, c'è da mettere in atto UNO STILE DI VITA
PIÙ RAZIONALE, soprattutto nelle scelte economiche e politiche. Uno stile di vita che persegua
il bene di tutti, in particolare dei più deboli, dentro cui soltanto è possibile trovare anche il
nostro vero bene e quello dei figli. Vero bene che non coincide affatto con il semplice “di più” in
guadagno e potere, ma con armonie più profonde con se stessi, gli altri, la natura e,
soprattutto, con Dio, garante del bene di tutto e tutti.
L'ultima enciclica sociale, la “Centesimus Annus” (CA), esplicita meglio questi nuovi stili
di vita, là dove dice: “E' necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale
comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta”. E
prosegue: “E necessario adoperarsi per costruire stili di vita nei quali la ricerca del vero, del
bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune, siano gli elementi
che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti (...) Alludo al fatto che anche
la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in
un altro, è sempre una scelta morale e culturale” (n. 36).
È necessario riconoscere che anche noi cristiani, come singoli e come istituzioni (parrocchie,
istituti, associazioni, ecc.), siamo immersi in una cultura che raramente si è posta questi problemi.
Siamo in qualche modo tutti figli della fiducia in quella “mano invisibile” ipotizzata da Adam
Smith nel libro “La ricchezza delle Nazioni” (1776): in economia basterebbe fare bene i propri
interessi, senza porsi il problema degli altri, perché c'è come “una mano invisibile” che fa il bene
comune. In realtà la “mano invisibile” non c'è stata, e gli squilibri sociali, interiori, ambientali e
culturali, che quella irresponsabilità ha prodotto, oggi minacciano la sopravvivenza dell'umanità. La
novità e la sfida, oggi, stanno proprio nell'introdurre in tutte le scelte economiche e politiche di base
l'attenzione al bene comune di tutta l'umanità, generazioni future incluse. Questa è la “grande opera
educativa e culturale” segnalata come “urgente e necessaria” dalla “Centesimus Annus”.
A questo punto, nasce una domanda: “Ma in concreto che cosa possiamo fare?”.
Una risposta che volesse tentare la completezza sarebbe molto lunga e complessa. Mi limito a tre
sottolineature.
A) PER
UN'ECONOMIA PIÙ RAZIONALE: ELABORAZIONE CULTURALE, COMPETENZA PROFESSIONALE,
PROGETTUALITÀ
I problemi richiamati sono certamente intricati e di difficile soluzione, anche perché travalicano
ampiamente le dimensioni locali e quotidiane. Ma ognuno può e deve fare la sua parte per
concorrere ad avviarne la soluzione.
Anzitutto ci è chiesto un impegno di RIFLESSIONE QUALIFICATA E DI ELABORAZIONE CULTURALE. E
in proposito Verona può molto.
Penso all'Università, e in special modo al valido apporto che potrebbe venire dagli studiosi
dell’affermata facoltà di Economia e Commercio e da quelli della giovane facoltà di
Giurisprudenza, programmaticamente aperta alla dimensione internazionale. Penso alle categorie
imprenditoriali dei diversi settori della nostra ricca economia e alle molteplici competenze
professionistiche, che dovrebbero avvertire questi problemi come la grande sfida del futuro, non
priva di influssi anche sull'avvenire del nostro territorio, che appella la loro creatività, il loro
coraggio, la loro fierezza di porsi alla guida di uno sviluppo più umano. Penso ai sindacati, che
proprio nella progettualità per una coniugazione dei diritti dei lavoratori con le esigenze di giustizia
e di solidarietà in Italia e nel mondo potrebbero ritrovare un protagonismo difficile ma non
effimero. Penso alle istituzioni diocesane, religiose, missionarie, in special modo ai centri, teologici
e culturali, che possono maturare riflessioni e apporti preziosi, perché collegati spesso con generose
e intelligenti esperienze vissute “sul campo”. Penso alle aggregazioni laicali di ispirazione cristiana,
così numerose tra noi, che potrebbero trovare su questi terreni un motivo di rinnovata espressione
dei loro doni, di organico impegno formativo e di esemplare testimonianza. Penso ai mezzi della
comunicazione sociale, chiamati a realizzare un'informazione libera, vera, stimolante, promovente
le molte esperienze positive esistenti a Verona e nel nostro Paese.
Come diocesi, abbiamo già organizzato a cura del Centro “G. Toniolo” due convegni di studio di
alto profilo sulle questioni attinenti l'etica e lo sviluppo economico-sociale,1 e un terzo - dedicato
alla disciplina delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale - è in programma per il prossimo
ottobre.
Proprio su questi nodi problematici e decisivi si potrebbe avviare, anche a titolo sperimentale, una
di quelle “agili forme di collegamento, dialogo e comune elaborazione”, che il Presidente della
C.E.I., Card. Camillo Ruini, ha proposto come strumenti di scambio e di arricchimento per lo
sviluppo del “progetto culturale” di cui si è trattato nel recente Convegno ecclesiale di Palermo (cf.
Intervento conclusivo, n. 6).
“Che cosa significa e comporta vivere da CRISTIANI - come singoli, come famiglia, come comunità nell'odierna società del benessere?”: questo potrebbe essere l'argomento - indubbiamente cruciale da affrontare insieme, con modestia di intenti ma anche con coraggio e con concretezza.
1
Le principali relazioni del Convegno dei 1995 "Imprenditorialità e occupazione al servizio del bene comune" sono
pubblicate nel N. 311995 della rivista "La Società", edita a Verona.
B) IL “TERZO SETTORE”
Ci sono già, peraltro, gruppi e associazioni che lavorano nelle direzioni indicate, sperimentano
iniziative e propongono percorsi di formazione e partecipazione a livello meno “alto”, ma non per
questo meno prezioso.
Mi riferisco al cosiddetto “terzo settore”, cioè a quel settore di economia alternativa che, pur non
essendo pubblica (dello Stato, del Comune, ecc.), persegue non scopi di lucro (come avviene
nell'economia dominante), ma la creazione di beni e servizi di utilità sociale, senza peraltro
chiudere il bilancio in passivo e reinvestendo gli eventuali utili per finalità socialmente apprezzabili.
Diamo qualche esempio.
a) Le “imprese non profit”
Sono, di solito, cooperative o fondazioni o enti morali che hanno come scopo primario non il
profitto, il guadagno, ma il servizio sociale; e se c'è un guadagno, lo reinvestono in un servizio più
ampio ed efficace, o in altre opere di solidarietà. Ad esempio, le Comunità Emmaus, per il recupero
delle cose usate e l'offerta di lavoro agli esclusi della società; il CTM (Cooperazione Terzo Mondo),
per un rapporto più equo con i produttori del Sud del mondo; ecc.
Il rapporto con le “imprese non profit” ci può aiutare non solo a conoscere e sostenere il servizio
sociale specifico che ognuna di esse persegue, ma a farci sanamente critici circa il nostro stesso lavoro.
Che cosa produce il nostro lavoro nel mondo? Armonie o squilibri, bene comune e male per nessuno,
o bene per pochi e male per tanti?
Giovanni Paolo II nel 1979 parlava a Puebla di “meccanismi che, a livello internazionale,
producono ricchi sempre più ricchi a spese di poveri sempre più poveri” (Documento di Puebla,
nn. 30 e 1264). Il mio lavoro è, per caso, all'interno di questi meccanismi? E se lo fosse, che cosa
posso fare? Certamente, cambiare lavoro è possibile a pochi; ma tutti possono cominciare a prendere
coscienza del problema, parlarne in sede sindacale e politica, per promuovere graduali passi di
cambiamento dei meccanismi internazionali iniqui, che rendono il lavoro dannoso per qualcuno o per
intere moltitudini.
Se il lavoro, invece, è sotto ogni aspetto positivo, si tratta soltanto di farlo bene, coscienti che quello è
il nostro primo e principale servizio verso i fratelli.
E se il lavoro è poco, e alcuni rimangono esclusi (disoccupazione), si può lavorare meno e guadagnare
anche qualcosa di meno (rinunciando all'eccesso degli straordinari, valorizzando il part-time, ecc.), nel
tentativo di far crescere le opportunità lavorative per tutti; come già si è fatto in Germania e si comincia
a fare anche in Italia pur tra non poche discussioni e difficoltà.
b) Il commercio equo e solidale
È l'offerta (attraverso intermediari non profit, es. CTM e appositi negozi) di prodotti del Sud del mondo,
pagati equamente a cooperative di produttori che si attengono a norme di solidarietà e rispetto
ambientale.
Cominciare a scegliere questi prodotti, ed entrare in contatto con i venditori (negozi o gruppi di
appoggio) impegnati a fare anche informazione e formazione offrendo appositi sussidi, vuoi dire non
solo aiutare i produttori lontani (che, pagati equamente, non saranno costretti ad emigrare in cerca di
lavori più remunerativi), ma anche introdurre sul mercato una domanda nuova, cioè la domanda di
trasparenza dei prodotti: conoscerne la storia per poter scegliere quelli dalla storia pulita, e rifiutare
quelli dalla storia iniqua di sfruttamento e degrado ambientale. E la coscienza nuova, la novità di vita
nel momento del mercato, cioè della scelta dei prodotti e dei servizi. Ogni scelta è un voto di
approvazione. Non approviamo storie inique di male per qualcuno, e alla fine, per tutti! “Esaminate
ogni cosa - ci esorta l'Apostolo Paolo - tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male”
(1 Ts 5,21-22).
Dare la preferenza ai prodotti locali è già un passo verso la trasparenza; e per i prodotti del Sud del
mondo, ricordiamo ciò che, già nel 1967, ci diceva Paolo VI nell'enciclica “Populorum Progressio”:
“Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per la nostra epoca. È egli pronto (...)
a pagare più cari i prodotti importati onde permettere una più giusta remunerazione per il
produttore?” (n. 47).
c) Le “Cooperative sociali” e la “Banca etica”
Sono cooperative senza scopo di lucro e con finalità sociali o entità economiche che consentono di
depositare i propri risparmi a un tasso di interesse di poco inferiore a quelli correnti, ma con la
garanzia di un determinato uso del capitale. Il nostro denaro non entrerà nel grande giro della
speculazione mondiale, cioè del guadagno come frutto dell'impoverimento dell'altro (compra e
vendita di masse enormi di titoli é valuta); né finanzierà la produzione e il traffico di anni, droga e
spettacoli degradanti, né sarà prestato a disperati, con tassi insopportabili; ma servirà, soprattutto, a
finanziare le attività non profit, cioè di alto contenuto sociale e ambientale. Finalmente, dunque, la.
possibilità anche di un risparmio eticamente qualificato perché socialmente orientato, in linea con ciò
che dice il Papa: “anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro (...) è sempre una
scelta morale e culturale” (CA, 36).
Il contatto con queste entità, anche se non ci porterà a trasferire tutti i nostri risparmi in esse, cosa non
sempre possibile, ci potrà aiutare a interrogarci abitualmente sull'uso del nostro capitale depositato.
Non mancano quindi le cose concrete da fare, per dare più razionalità alle nostre attività economiche, in
modo che esse non concorrano agli squilibri mondiali già in atto, ma ne siano una contestazione e
offrano una concreta alternativa. Certamente, questo comporterà una maggiore attenzione nelle scelte
concrete, anche per le istituzioni (parrocchie, istituti, ecc.). Uno sforzo maggiore, specialmente
all'inizio; ma è appunto questo lo spirito della Quaresima, è questo il primo digiuno e la singolare
penitenza da fare, sicuri di camminare così verso la Pasqua, cioè verso la gioia della comunione che
ricomincia e dà senso e pienezza alla vita.
C) I DOVERI TRIBUTARI
Nei giorni scorsi, ancora una volta Verona ha avuto l'onore delle cronache nazionali a motivo di un
fenomeno negativo e, per certi aspetti, scandalizzante: quello dell'evasione fiscale di “alto livello”.
Ancora una volta va denunciato il vezzo diffuso di “demonizzare” la nostra realtà, anche perché,
daccapo, sono bastati pochi giorni per avere notizia che - ahimè - le malefatte denunciate sono
ampiamente diffuse su tutto il territorio nazionale. E però non possiamo passare sotto silenzio il
fenomeno che è venuto in spettacolare evidenza.
È vero che esiste un problema di coraggioso ripensamento del nostro sistema fiscale nel quadro di
un sistema economico-sociale che ha subìto così vaste trasformazioni, di semplificazione di
procedure, di più equa ripartizione dei carichi anche in un'ottica di promozione della centralità della
famiglia e dei soggetti portatori di interessi e di apporti socialmente rilevanti; ma resta vero,
anzitutto, che quello tributario È IL PRIMO DOVERE DI GIUSTIZIA E DI SOLIDARIETÀ che impegna ogni
cittadino, e in primo luogo il cristiano. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva”: è l'aureo e semplice principio stabilito dall'art. 53 della
nostra Costituzione repubblicana, che traduce un dovere morale ancor prima che giuridico.
È tempo che i cristiani affrontino più coraggiosamente e responsabilmente questa tematica sul piano
culturale, progettuale e politico; onorando però, nel frattempo, i loro doveri di concorso solidale al
bene comune senza colpevoli furbizie e senza comodi scarichi di responsabilità: per troppa gente,
delle tasse, come del riordino delle pensioni, dei rifiuti urbani, e come - è tragica analogia! - dei
nomadi, dovrebbe sempre farsi carico qualche altro...
Quando nell'anno 150 dopo Cristo il grande apologeta e martire Giustino rintuzzò le accuse
circolanti tra i pagani circa una presunta “mancanza di senso dello Stato” da parte dei cristiani
(niente di nuovo sotto il sole...), poté affermare senza timore di smentita, scrivendo all'imperatore di
Roma: “Dappertutto noi cerchiamo di pagare, primi fra tutti, i tributi e le imposte a coloro che
hanno il compito di riscuoterli, come siamo stati istruiti da Gesù. Infatti, a quel tempo, alcuni
andarono da lui per chiedergli se si dovessero pagare i tributi a Cesare. Ed Egli rispose: ‘Ditemi, di
chi è l'immagine impressa sulla moneta?'. ‘Di Cesare', dissero quelli. E di nuovo rispose loro:
‘Rendete dunque a Cesare quel che è dì Cesare e a Dio quel che è di Dio' (Mt 22,20)” (Apologia,
147).
Potremmo noi, cristiani di oggi, asserire altrettanto? E non potrebbe essere proposito forte, segno di
vera conversione quaresimale quello di adempiere con rigore e trasparenza ai nostri doveri fiscali,
mostrandoci così cittadini leali e credibili e perciò abilitati a battersi perché giustizia e solidarietà
diventino progetto e prassi comune, contestando i tanti falsi equilibri in cui viviamo?
4. Uno stile di vita più sobrio e austero
Abbiamo parlato di razionalità e non ancora di sobrietà o austerità. Dobbiamo ora affrontare questo
tema che è connaturale alla Quaresima.
“Noi siamo tra coloro che vivono al di sopra delle possibilità del Pianeta. Quel quinto di umanità
che consuma i quattro quinti delle risorse mondiali, e intacca anche l'eredità delle generazioni
future e ne compromette il futuro”: così cominciava l'Appello di Pentecoste” (1994), firmato da
Caritas Italiana, Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI) ed altre entità ecclesiali e
sociali. E terminava con la proposta concreta di una PASTORALE DELL'AUSTERITÀ.
L'appello non era una novità. Già nel Concilio Vaticano II era risonato in forma drammatica l'invito
allo spirito di povertà: “Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la
maggior parte si dicono cristiani, godono di una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono
prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorte di miseria. Lo spirito
di povertà e di amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo” (GS, 88). Lo “spirito di
povertà per amore” proposto, dunque, come “gloria” della Chiesa; cioè, non come qualcosa che dà
tristezza, ma senso, gioia e identità profonda: “segno della Chiesa di Cristo”.
A trent' anni dal Concilio, come stiamo vivendo lo spirito di povertà? È nata una “pastorale della
sobrietà”, o siamo stati travolti anche noi, come singoli e comunità, dal vortice del consumismo?
I reiterati APPELLI ECCLESIALI di questi ultimi anni all’austerità fanno purtroppo propendere per la
seconda ipotesi. Ne ricordo alcuni.
A) La Nota pastorale dell'Episcopato italiano su “Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza” (4
ottobre 1994, festa di S. Francesco) dice:
“Il nostro tempo è caratterizzato da un consumo alimentare che spesso giunge allo spreco e da una
corsa sovente sfrenata verso spese voluttuarie e, insieme, da diffuse e gravi forme di povertà, o
addirittura di miseria materiale, culturale, morale e spirituale. In particolare, il divario tra Nord e
Sud del mondo presenta abitualmente una diversità di condizioni economiche e sociali veramente
spaventosa (...).
In questo contesto, il problema del digiuno e dell'astinenza si collega, a suo modo, con il problema
della giustizia sociale e della solidale condivisione dei beni su scala nazionale e mondiale. È in
questione allora la responsabilità di tutti e di ciascuno: anche la singola persona è sollecitata ad
assumere uno stile di vita improntato ad una maggiore sobrietà e talvolta anche all'austerità, e
nello stesso tempo capace di risvegliare una forte sensibilità per gesti generosi verso coloro che
vivono nell'indigenza e nella miseria. Il grido dei poveri che muoiono di fame non può essere inteso
come un semplice invito ad un qualche gesto di carità; è piuttosto un urlo disperato che reclama
giustizia ed esige che i gesti religiosi del digiuno e dell'astinenza diventino il segno trasparente di
un più ampio impegno di giustizia e di solidarietà: ‘Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il
suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come
un torrente perenne' (Am 5,23-24)” (n. 10).
L'impegno per dare razionalità a lavoro, consumi ed investimenti, proposto sopra, ci sembra in linea
con questo appello a “diritto e giustizia” del profeta Amos; ma lo è anche e soprattutto L'IMPEGNO
PER STILI DI VITA PIÙ SOBRI.
B) Stili di vita sobri che sono un bene non solo per gli altri (i poveri di oggi e di domani), ma, in
primo luogo, PER CHI LI PRATICA. In questo senso è interessante quanto dice la Lettera alle famiglie
del Nord Est, pubblicata nel 1994 dalle Commissioni della Conferenza Episcopale Triveneta per la
pastorale sociale e per la pastorale familiare e intitolata: “La famiglia nella società del benessere”2:
“il benessere materiale è importante ma da solo non dà la felicità perché la vita è assai più ricca di
promesse di quelle che l'agiatezza materiale può soddisfare (...).
Stiamo forse per comprendere uno dei paradossi del benessere: il fatto cioè che esso porta
l'abbondanza, ma anche fa intravvedere quante sono le opportunità che potremmo cogliere e che
mai potremo vivere, anche se fossimo i più ricchi della terra. Come è cresciuta l'abbondanza così è
anche cresciuto il senso del limite, della privazione e la percezione della rinuncia. Molto nella
palese insoddisfazione che oggi circonda le nostre vite trova qui la sua spiegazione.
Non dovremmo allora fermarci, chiederci ciò che realmente vogliamo e scegliere le esperienze che
realmente contano per noi, sapendo che non possiamo volere tutto, né vivere molte vite? (cf. Mt
6,19; Lc 12,33) (...) Pensiamo perciò che sia giusto esprimere una predilezione per stili di vita
basati sulla sobrietà.
Sobria è la vita di chi sa accontentarsi, di chi sa scoprire come spesso il meglio coincide con il
meno. Soprattutto sobria è la vita di chi ha scoperto il proprio limite e dunque, sapendo di dover
operare delle scelte, si indirizza all'essenziale, curando la fraternità, la solidarietà e la vita
spirituale (cf. CEI: ETC, 39)” (seconda parte, n. l).
Si potrebbe aggiungere: la sobrietà così intesa non è forse il modo di adempiere in positivo
quell'ultimo comandamento del Decalogo “Non desiderare la roba d'altri”, di cui purtroppo sempre
più raramente si parla? Esso infatti - come ci ricorda il Catechismo degli adulti (n. 890) - non
soltanto “proibisce l'invidia e la cupidigia dei beni altrui, da cui derivano furti, rapine, frodi,
ingiustizie e violenze” ma “educa alla povertà del cuore e ai desideri dello Spirito”.
C) La sobrietà è una necessità per poter vivere la carità fraterna, cioè la gioia della comunione,
dell'armonia universale, che è l'unica vera gioia che può durare e diventare eterna. È quanto già si
dice nel nostro “Progetto Pastorale Diocesano 1995-97”; mi sia consentito di riportare un passo
della mia relazione: “La povertà messa in positivo, vista come virtù, può essere chiamata dai
cristiani sobrietà: e in questo senso non è un ‘optional', è esigenza che scaturisce dalla carità.
È il presupposto per vivere la carità, riscoprendo il rapporto tra noi e il servizio verso i poveri; è
l'esito di una carità presa sul serio; è il segno di una novità che cresce e trasforma mentalità e
costume; è la garanzia di un'autentica, concreta libertà; è la prova che è possibile cambiare la vita
e così, a poco a poco, cambiare le cose.
Tutto questo dev 'essere però tradotto in proposte concrete, in scelte piccole e semplici, ma
quotidiane e precise; chiede di ripensare le nostre cose, i nostri bilanci familiari, i nostri progetti,
le nostre sicurezze, lo stile delle nostre case, l'uso del nostro tempo, i sogni sui nostri figli; ci
interroga sul senso del nostro essere figli di un Dio che ci è Padre e che, sapendo ciò di cui
abbiamo bisogno, è pronto, se siamo capaci di relativizzare tutto facendolo strumento di carità, a
renderci in soprappiù (cf. Mt 5,32-34)” (prima parte, pp. 47-48; ma è utile rileggere tutto il
paragrafo concernente questo tema).
5. Proposte concrete di sobrietà
Siamo arrivati al cuore del nostro discorso sulla sobrietà.
Quali “proposte concrete” e quali “scelte piccole e semplici” per la Quaresima 1996?
2
La Lettera è disponibile presso la Caritas diocesana, dove è anche possibile avere il testo di un mio intervento su "Il
Vangelo della carità tra povertà e benessere" e di un intervento di mons. Giovanni Nervo intitolato "Dalla sobrietà alla
solidarietà".
“QUARESIMA STORICA”
Qui dobbiamo chiarire subito un punto: ci sono cose che possiamo fare in Quaresima in quanto
tempo forte di penitenza, ma non per smetterle poi nel tempo pasquale; non cioè per tornare subito
dopo al consumismo amorale e distruttivo che caratterizza le nostre società del benessere. Nel
tempo forte della Quaresima, la fatica degli inizi: inizio di nuovi stili di vita, che poi però ci
sforzeremo di continuare, per dare più senso e possibilità alla vita di tutti i giorni e di tutti i popoli. I
nostri missionari, dal Sud del mondo, frustrato da debolezze secolari ma anche impoverito da
politiche ed economie irresponsabili, ci chiedono da tempo una “Quaresima storica”. Cioè, non 40
giorni di sobrietà, ma almeno 40 anni di condotta responsabile e austera, intenta a riparare i danni
già provocati agli equilibri sociali, ecologici ed interiori, da una condotta tutta ali' insegna di quella
supposta “mano invisibile”, che dovrebbe fare il bene di tutti, ma che in realtà non esiste.
Per riparare e frenare le devastanti conseguenze di un galoppante “effetto serra” che squilibra il
clima ed innalza il livello dei mari, gruppi di scienziati e di esperti ci chiedono addirittura di ridurre
del 50% i nostri consumi energetici entro i prossimi 10 anni.
E allora da dove cominciare? Quali proposte concrete?
Potrei fare qui un lungo elenco di comportamenti più in sintonia con il bene di tutto e tutti. Ad
esempio, nella stagione fredda, in casa una maglia in più e due gradi in meno di temperatura; e in
strada più bicicletta e mezzi pubblici e meno automobile. Sarebbero tutti modi per ridurre il
consumo energetico. Anche a livello comunitario, potremmo dire: celebrazioni di Prime Comunioni
e Matrimoni più sobrie, non più con spese di 2 o 20 milioni rispettivamente soltanto per la festa,
pranzi, regali ecc. (sono le medie nazionali). Ma non mi sembra il caso di ripetere qui elenchi di
comportamenti e consigli, che già altri hanno elaborato con maggiore competenza della mia e ai
quali rimando in appendice (v. pag. 21). Mi limito a segnalare sussidi e iniziative, già in atto, che
vanno in questa direzione ed è bene conoscere e, se del caso, valorizzare.
SUSSIDI ED ESPERIENZE IN ATTO
In ambito cattolico, ci sono i sussidi della “Campagna Ecclesiale Contro la fame”, in particolare le
sei schede elaborate in occasione dell'enciclica “Sollicitudo Rei Socialis”, dal titolo: “Contro la
fame cambia la vita, nella solidarietà” (motto citato anche da Giovanni Paolo II nel n. 59
dell'enciclica missionaria “Redemptoris Missio”)3.
Anche la Caritas Italiana, quella veronese e le ACLI hanno elaborato sussidi in questo ambito; si
può in particolare segnalare un'iniziativa che non si è limitata a fornire sussidi scritti, ma ha dato
inizio a un'organizzazione di famiglie impegnate in “nuovi stili di vita”. È l'Operazione bilanci di
giustizia”, lanciata dagli aderenti all'Appello “Beati i Costruttori di Pace”, nel settembre 1993,
proprio qui a Verona4. Già in quaranta città italiane sono presenti piccoli gruppi di famiglie che
periodicamente si riuniscono per verificare i loro bilanci e programmare spostamenti in direzione di
razionalità e solidarietà, facendo tesoro delle esperienze degli altri gruppi mediante il collegamento
con una segreteria nazionale. Anche a Verona è operante un gruppo, con il quale si può prender
contatto attraverso il Centro missionario diocesano.
Per la formazione di ragazzi, adolescenti e giovani sono poi a disposizione sussidi adeguati presso i
Centri pastorali diocesani.
Tra le iniziative diocesane ricordo inoltre l'impegno a offrire 1' I %o del proprio reddito, quale
segno di giustizia, di restituzione, di fraternità, proposto a tutti, non esclusi i sacerdoti e i religiosi e
le religiose, che portano il corrispettivo all'altare nella Messa Crismale del Giovedì Santo con gesto
particolarmente significativo; e le “adozioni a distanza”, espressione di uno stile di vita familiare
orientato verso scelte di giustizia e carità (sono già oltre 1600 quelle attivate attraverso la Caritas
veronese).
3
Le schede sono reperibili presso l'Editrice Missionaria Italiana (E.M.I.-Bologna) e il Centro
missionario diocesano.
4
Il sussidio illustrativo è disponibile presso il Centro missionario diocesano.
I GRUPPI PARROCCHIALI
A questo punto il discorso va fatto a parrocchie, associazioni, istituti, movimenti, perché è ben
difficile che questo impegno di austerità sia portato avanti da singoli o famiglie in forma isolata.
La povertà volontaria o sobrietà di vita non può sussistere se non è sorretta da una “povertà di
spirito”, cioè dalla coscienza dei propri limiti e della necessità degli altri, del sostegno del gruppo,
per poter continuare nell'impegno assunto. Siamo troppo esposti alla corrosione prodotta dalla
mentalità dominante, consumista e arrivista, per poter resistere a lungo in solitudine. Soprattutto le
famiglie hanno necessità di aggregarsi, perché difficilmente i figli seguiranno i genitori se non
vedranno la sobrietà di questi condivisa e praticata anche da altre famiglie e coetanei amici.
Il primo passo da fare in parrocchia, e potrebbe essere l'impegno per la Quaresima 1996, è LA
COSTITUZIONE DI UN PICCOLO GRUPPO (due, tre famiglie o sei, sette persone) che comincia a riunirsi
e interrogarsi su queste tematiche. Della promozione dell'iniziativa potrebbe farsi carico la Caritas
parrocchiale, rivolgendosi in particolare alle persone già sensibili a queste tematiche. Può darsi che
in parrocchia già esista un gruppetto che lavora in questa ottica; si tratta di accoglierlo ed investirlo
di responsabilità parrocchiali di sensibilizzazione. E bene che l'intero Consiglio pastorale tratti del
problema, per valutare e programmare insieme.
Il primo lavoro del gruppo è uno scambio di esperienze e una ricerca sul territorio di quelle realtà
umane che già vivono la sobrietà. Da esse, infatti, si possono imparare nuovi o “vecchi” stili di vita.
In primo luogo i poveri, costretti alla sobrietà. Poi gli anziani, che conservano abitudini o ricordi di
un passato in cui l'austerità era una prassi sociale di massa (dallo spegnere la luce quando si esce da
una stanza, al riutilizzo dei cibi non consumati, ecc.). Anche le comunità religiose, che hanno fatto
il voto di povertà, dovrebbero essere modelli da prendere in considerazione. Sarà bene che, per
crescere in consapevolezza e competenza, il gruppo prenda contatto con tutti i movimenti,
associazioni ed istituzioni locali che già lavorano in questo campo e possono segnalare preziose
esperienze.
La competenza dei singoli membri del gruppo cresce anche leggendo libri e partecipando ad
incontri e convegni specifici, o seguendo la stampa specializzata. Gradatamente si potrebbe
costituire un piccolo centro di documentazione soprattutto nelle parrocchie meglio organizzate.
Nella misura in cui il gruppo matura in consapevolezza, competenza ed esperienza, la Caritas
parrocchiale passerà a proporre questo impegno a tutta la comunità, programmando con il Consiglio
pastorale iniziative concrete, come conferenze, giornate di studio, vendita dei prodotti del
“commercio equo e solidale”, ecc. Le stesse attività economiche parrocchiali potrebbero forse
diventare più sobrie e razionali.
UN LAVORO UNITARIO DAL BASSO
Non c'è da farsi illusioni: l'esperienza dice che mobilitare su queste tematiche, che vanno
decisamente contro la mentalità consumista dominante, è cosa molto ardua, e le risposte, agli inizi,
sono deludenti. Ma tutto il male non viene per nuocere: proprio queste difficoltà spingono a
lavorare uniti, a promuovere, anche in parrocchie vicine, gruppi analoghi, per poter poi
programmare insieme iniziative inter-parrocchiali.
Fondamentali sarebbero corsi di formazione per l'USO CRITICO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE
SOCIALE, soprattutto della TELEVISIONE, che è il primo fattore di diffusione della mentalità
consumista e arrivista dominante nella nostra società del benessere. Si potrebbero anche proporre
lunghi periodi di “digiuno televisivo”, opportunamente motivati e sostenuti da valide proposte
alternative per l'uso del tempo libero nel segno della formazione, della cultura, della comunione e
del servizio.
Non aspettiamoci dunque che le iniziative ci piovano dall'alto (dalla diocesi, dal vicariato); soltanto
dalla costituzione di gruppi di base e dalle loro esperienze potrà nascere poi una struttura ed
organizzazione vicariale e diocesana, che coordina e potenzia.
6. Una politica ispirata dalla sobrietà e orientata alla sobrietà
Ho lasciato per ultimo un argomento dì fondamentale importanza per l'avvento di un mondo più
fraterno e solidale: LA POLITICA. Ma volutamente per ultimo; perché a poco servirebbe mandare al
potere uomini e partiti animati da propositi di solidarietà e pace universali, se poi alla base
continuano gli sprechi e i falsi ideali di benessere materiale, sempre in aumento. Se non si toccano
questi ideali e comportamenti di base, possiamo affidare le istituzioni a tutti gli esperti o gli
“illuminati” che vogliamo, ma anche loro non saranno mai in grado di dare un decisivo apporto alla
soluzione dei problemi che affliggono il Pianeta; e se tentassero di farlo, li detronizzeremmo ben
presto come traditori delle nostre inconfessate attese.
È prioritario quindi un cambiamento di mentalità, di cultura di base, di stili di vita; ma è anche vero
il contrario: lasciando a se stessa la politica, i. cambiamenti di base saranno sempre fenomeni di
esigue minoranze,,che non incideranno mai sui grandi processi mondiali. Ci vuole coerenza in tutto.
È contraddittorio coltivare preoccupazioni etiche (cioè di bene comune) sul lavoro, sul mercato e
nel risparmio, e poi orientare le proprie scelte politiche soltanto in base alla promessa che noi del
Nord staremo meglio. C'è da interrogarsi seriamente su uomini e forze politiche che non ci dicono
niente sui problemi mondiali, sugli squilibri già in atto, sul futuro del Pianeta, ma promettono di
assicurare, soltanto qui, un futuro immediato più ricco.
È necessario allora RIAPPROPRIARCI DELLA POLITICA, ponendo noi traguardi concreti di questo tipo a
uomini e partiti, dando fiducia a quelli che si impegnano a perseguirli INSIEME AGLI ALTRI
INTERVENTI, tanto sottolineati nel Convegno ecclesiale di Palermo, relativi alla difesa e promozione
della vita, della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, della libertà educativa e
della comunicazione, del pluralismo e della sussidiarietà, della solidarietà sociale, ecc., e
controllando poi come di fatto hanno agito durante il mandato elettorale, per riconfermare o no la
fiducia alle prossime elezioni. Anche per questo cammino forse non arriveremo a posizioni efficaci
di maggioranza; ma è una questione di coerenza e un avvio a una politica diversa, più controllata e
partecipata dalla base; un nuovo stile di vita anche in politica.
La speranza di un'incidenza effettiva sui fenomeni sociali ci viene, in ogni caso, da un'antica
esperienza della comunità cristiana: il valore e la lenta, ma sicura, efficacia della testimonianza. LA
TENACE TESTIMONIANZA DEI PRIMI CRISTIANI HA PORTATO GRANDI CAMBIAMENTI NELLA SOCIETÀ,
PAGANA. Ricordiamo che il divertimento di massa di quei tempi era il circo, dove i gladiatori
combattevano, e gli spettatori decidevano della vita o della morte dei vinti. Qualcosa è cambiato! E
perché qualcosa non può cambiare, anche oggi, nella cultura di massa? Se una vivace minoranza
rimane fedele agli impegni assunti e dà la testimonianza (non triste e lamentosa, ma gioiosa,
entusiasta) di nuovi stili di vita, si crea la premessa politica dei cambiamenti di massa; perché quella
testimonianza produce un alone di simpatia attorno alle novità. Anche se in pochi seguiranno
l'esempio, perché sono cose impegnative, matura una nuova cultura di base. La gente dice: “Io non
ci riesco, ma sarebbe bello”. È sufficiente questa opinione pubblica, questo consenso di base, per
stimolare chi ha le responsabilità istituzionali, affinché, mediante interventi legislativi, estenda
all'intero corpo sociale indirizzi che prima erano soltanto di pochi. Occorrono cioè i testimoni, i
profeti, che anticipano i tempi e li fanno maturare. E chi più del cristiano, che medita e si prepara
alla celebrazione della Pasqua del suo Signore, è motivato e abilitato a questa testimonianza?
“Figlioli - ci dice l' apostolo Giovanni -- non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e
nella verità” (1 Gv 3,18).
7. Una rinnovata spiritualità
Concludo con l'appello a RINNOVARE UNA PROFONDA SPIRITUALITÀ E UN'INTENSA VITA
SACRAMENTALE, che proprio nella Quaresima trovano il loro “tempo propizio”. Non è possibile
reggere a lungo nel cammino controcorrente, se non c'è un fuoco interiore che ci riscalda.
Riporto le parole conclusive del già citato “Appello di Pentecoste” del “Comitato Ecclesiale Contro
la Fame”, ricordando che lo stesso Spirito Santo che animava i primi cristiani è anche nei nostri
cuori:
“Come credenti, sia 'singoli che gruppi, ravviviamo la nostra spiritualità. Sul mare agitato della
storia, soffia da sempre lo Spirito del Signore,- basta alzare le vele, e si può sperimentarne la forza.
Le nostre vele sono la preghiera, il silenzio, la meditazione; una spiritualità profonda, che non
dobbiamo trascurare nella foga di remare. Ma, attenti, la barca va messa in mare; bisogna
rischiare!”.
Riscopriamo dunque la spiritualità di S. Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia, che, in tempi non
migliori dei nostri, ha saputo ridare fascino e valore a povertà e mitezza, proclamandole addirittura
fonte di letizia. Rinnoviamo la splendida testimonianza dei moderni santi e beati veronesi - non
ultimo mons. Daniele Comboni, che il Papa proclamerà beato il prossimo 17 marzo - i quali hanno
intrecciato con l'amore bruciante per Dio l'austerità di vita e la concreta passione per l'annuncio del
Vangelo della carità nel servizio ai poveri, ai sofferenti, agli esclusi.
Lasciamoci ancora provocare dalla forte parola del nostro Patrono San Zeno sulla virtù cristiana
della “giustizia”, da lui intesa in un senso pregnante, che la radica nella parola di Dio e la vede
compiuta nella pietà verso l' altro: “Coloro che non hanno letto le Sacre Scritture o, dopo averle
lette, le hanno ritenute senza valore (...), giudicano stolta questa virtù e la deridono considerandola
inutile, perché potendo godere dei beni del mondo e non curandosene, si rende infelice da sé (...).
Ma che c'importa che cosa dicono?
Come afferma un nostro insigne personaggio, Dio sa che i pensieri dei sapienti sono stolti. Ci
lascino la nostra stoltezza, si tengano la loro sapienza, della quale - a dire il vero - vedo che sono
seguaci quasi tutti i cristiani, che pensano sia perfetta giustizia conservare i propri beni, non
cercare quelli altrui, trascurando il comando della vera sapienza che è espresso con queste parole:
Se vuoi essere perfetto, va' e vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri e prendi la tua croce e vieni e
seguimi. Intorno a questo argomento non so che cosa uno potrebbe dire di più; tuttavia so una cosa
sola: che non c'è nessuno di noi che ad ogni istante non si dia da fare per avere più di quello che
ha. Quando si impegna così, senza dubbio si schiera dalla parte dell'avarizia, che della giustizia è
nemica. Proprio per questo avviene che i granai di pochi individui siano pieni di frumento, mentre
il ventre di moltissimi è vuoto. Per questo le misure (fraudolente) rendono i prezzi peggiori della
carestia: di qui la frode, lo spergiuro, le rapine, le liti, le guerre. Ogni giorno si cerca il guadagno
a prezzo di gemiti altrui, e la confisca si chiama abilità, e l'appetito dei beni degli altri - con il
pretesto della propria difesa e della sollecitudine - viene stimolato con astutissimi argomenti,
affinché uno, indifeso o innocente, perda a nonna di legge ciò che gli appartiene. Ciò è peggio di
ogni violenza, perché ciò che si toglie con la forza può essere talvolta recuperato, ma ciò che si
toglie con i cavilli legali non può esserlo. Si vanti pure chi vuole una tale giustizia, ma tuttavia
sappia che è più misero del misero colui che si arricchisce della miseria altrui. Forse si potrebbe
stimare giusto chi antepone l'interesse del patrimonio alla pietà?” (I Discorsi, libro secondo,
Discorso 1 “Sulla giustizia”, 4,14-5,17).
La Quaresima conduce al tempo pasquale, che si concluderà con la Pentecoste: mentre rendiamo
grazie a Dio perché, nonostante le nostre pochezze, suscita nella nostra Chiesa veronese tante
disponibilità generose, tante testimonianze suggestive, tante iniziative intelligenti ed efficaci,
ANTICIPIAMO FIN D'ORA CON RINNOVATA FIDUCIA LA PREGHIERA LITURGICA DI QUEL GIORNO: “Vieni
Santo Spirito, e infondi nell'intimo dei cuori il fuoco del tuo amore!”. “Manda il tuo Spirito,
Signore, e rinnova la faccia della terra!”.
Verona, 21 febbraio 1996
Mercoledì delle Ceneri
+ ATTILIO NICORA
Vescovo di Verona
Appendice
Al termine della citata Lettera alle famiglie del Nord-Est vengono offerte indicazioni concrete, che potrebbero essere
proposte durante l'itinerario quaresimale:
La sobrietà. Per le singole persone e famiglie:
- riservare nella vita familiare uno spazio di tempo sufficiente per il dialogo di coppia, per il dialogo tra genitori
e figli, in modo da acquisire l'abitudine a riflettere sul dono della vita, sulle occasioni di testimonianza cristiana
che la quotidianità mette a disposizione e che spesso passano inosservate per la frettolosità dei ritmi
giornalieri;
- non occupare tutto il tempo per la produzione, i consumi e la dimensione materiale della vita;
- programmarsi e dare un giusto spazio alla coppia, alla famiglia, alla cultura, alla socialità, alla vita spirituale,
alla vita comunitaria;
- prevedere un tempo settimanale da dedicare agli altri;
- programmare in modo intelligente l'uso della televisione e dei mezzi di divertimento;
- mangiare in modo equilibrato, vestire con dignità, ma senza lusso, eliminare i “capricci”, fare vacanze
finalizzate al recupero delle forze, delle dimensioni umane, della cultura, della spiritualità, della famiglia,
senza “sballi” o spese pazze;
- in occasione delle celebrazioni dei sacramenti fare feste sobrie e possibilmente comunitarie.
Tutto questo in funzione della crescita personale, della testimonianza cristiana e della solidarietà con il genere umano a
partire dalle persone e dai popoli più poveri. La sobrietà intesa non solo come esercizio ascetico ma finalizzata allo
sviluppo di tutto l'uomo e alla solidarietà universale è segno di maturità e di grande civiltà.
La solidarietà. Orientamenti possibili:
- qualificare la famiglia come comunità di carità curando la conoscenza delle situazioni, i progetti di intervento,
le energie e i mezzi per attuarli utilizzando anche una percentuale delle proprie entrate;
- - creare reti di solidarietà tra famiglie, nel caseggiato, nel quartiere, per aiutarci sia nella vita quotidiana come
nei momenti di emergenza. Qualcuno parla di una “banca del tempo disponibile” da gestire in modo
comunitario;
- aprire la propria famiglia all'accoglienza, all'affidamento educativo, all'adozione... sostenere economicamente e
psicologicamente le famiglie che fanno queste scelte;
- affittare gli appartamenti sfitti a prezzo equo, tenendo conto dei poveri, senza discriminazioni di razza;
- investire le risorse in attività produttive socialmente utili e fare il proprio dovere nel lavoro per qualificare i
servizi;
- pagare le tasse, evitare speculazioni e strozzinaggi, avere alta professionalità;
- gratuitamente mettere a disposizione di chi ha bisogno le proprie professionalità dando vita a una sorta di
“volontariato professionale”;
- favorire la partecipazione dei poveri alla vita della comunità in atteggiamento di ascolto, accoglienza,
partecipazione, servizio per orientare la politica e le strutture a dare una risposta stabile ai loro problemi;
- impegnarsi per la solidarietà tra i popoli e le etnie con una azione di promozione e di autosviluppo;
- non scaricare sulle generazioni future i costi del nostro consumismo;
- operare per la pace universale e per la salvaguardia del creato;
- in questo periodo di crisi evitare l'egoismo e la corsa alla sola salvaguardia di se stessi e della propria famiglia,
anche a scapito degli altri;
- non occuparsi del sociale solo per il proprio tornaconto.
Operando una vera e continua conversione le nostre famiglie e le nostre comunità cristiane possono diventare modello
di riferimento per la società civile, alla quale i credenti e le loro famiglie possono offrire un aiuto decisivo per metterla
in grado di creare una rete di solidarietà istituzionale, uno stato sociale che sia promozionale e non solo assistenziale.