9 SCHOPENHAUER letture

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9 SCHOPENHAUER letture
ARTHUR SCHOPENHAUER - ANTOLOGIA
IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE
Il fenomeno è parvenza, illusione, mentre il noumeno è una
realtà che si “nasconde” dietro l’ingannevole trama del
fenomeno:
«È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei
mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi
né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al
sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il
pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche
rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un
serpente».
(Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 3)
L'atmosfera orientalistico-metafisica nella quale la filosofia
di Schopenhauer immerge il lettore è ben diversa da quella
gnoseologico-scientifica della Ragion pura.
IL MONDO COME VOLONTA’
«In realtà sarebbe impossibile trovare il significato di
questo mondo che ci sta dinanzi come rappresentazione,
oppure comprendere il suo passaggio da semplice
rappresentazione del soggetto conoscente a qualcosa d'altro
e di più, se il filosofo stesso non fosse qualcosa di più che un
puro soggetto conoscente (una testa d'angelo alata, senza
corpo). Ma il filosofo ha la sua radice nel mondo; ci si trova
come individuo, e cioè la sua conoscenza, condizione e
fulcro del mondo come rappresentazione, è necessariamente
condizionata al corpo, le cui affezioni, come abbiam fatto
vedere, porgono all'intelletto il suo punto di partenza per
l'intuizione del mondo medesimo. Per il soggetto puramente
conoscitivo il corpo è una rappresentazione come un'altra,
un oggetto fra altri oggetti, i suoi movimenti e le sue azioni
non sono per lui, sotto questo punto di vista, nulla di diverso
dal le modificazioni di qualsiasi altro oggetto intuitivo, e gli
resterebbero altrettanto estranei e incomprensibili, se il loro
significato non gli venisse rivelato in modo del tutto
speciale. Egli vedrebbe le sue azioni seguire con la costanza
di una legge fisica i motivi che si presentano, proprio come
le modificazioni degli altri oggetti seguono le cause, gli
eccitamenti, i motivi. Però non potrebbe comprendere
l'influenza dei motivi, più che non comprenda il
collegamento degli altri effetti visibili con le loro cause.
L'essenza intima e incomprensibile delle estrinsecazioni e
delle azioni del suo corpo verrebbe da lui chiamata, come
gli piacesse, piacere, forza, qualità o carattere; senza però
che ne sapesse nulla di più positivo. Ora le cose non stanno
punto così; anzi al contrario: è l'individuo, il soggetto
conoscente, quello che dà la parola dell'enigma; e questa si
chiama volontà. Questa parola, questa sola, offre al
soggetto la chiave della propria esistenza fenomenica;
gliene rivela il significato, e gli mostra il meccanismo
interiore che anima il suo essere, il suo fare, i suoi
movimenti. Al soggetto conoscente che deve la sua
individuazione all'identità con il proprio corpo, esso corpo è
dato in due maniere affatto diverse: da un lato come
rappresentazione intuitiva dell'intelletto, come oggetto fra
oggetti, sottostante alle loro leggi; ma insieme dall'altro
lato, è dato come qualcosa di immediatamente conosciuto
da ciascuno, e che vien designato col nome di volontà. Ogni
atto reale della sua volontà è sempre infallibilmente anche
un movimento del suo corpo; il soggetto non può voler
effettivamente un atto, senza costatare che questo atto
appare come movimento del suo corpo. L'atto volitivo e
l'azione del corpo non sono due stati differenti, conosciuti in
modo
obiettivo, e collegati secondo il principio di
causalità; non stanno tra loro nella relazione di causa ed
effetto: sono, al contrario, una sola e medesima cosa che ci
è data in due maniere essenzialmente diverse: da un lato
immediatamente, dall'altro come intuizione per l'intelletto.
L'azione del corpo non è che l'atto della volontà oggettivato,
cioè divenuto visibile all'intuizione. »
(Il mondo come volontà e rappresentazione,pp.39-41)
INSENSATEZZA DELLA VOLONTA’ DI VIVERE
«La volontà è sempre volontà di qualche cosa, dunque ha un
oggetto, un fine. Ora: che cosa mai vuole, a che cosa mai
tende quella volontà, che ci vien presentata come l'essenza
in sé del mondo? La domanda proviene, al pari di tante
altre, dal confondere la cosa in sé con il fenomeno. A questo
unicamente, ma non a quella, si estende il principio di
ragione, una delle cui modalità è anche la legge di
motivazione. Non si può dare una ragione se non dei soli
fenomeni come tali, di cose considerate isolatamente: non
mai però della volontà, né dell'idea che n'è l'adeguata
oggettivazione. [...] Ogni fine conseguito non fa che segnare
il punto di partenza di un nuovo fine da raggiungere, e così
all'infinito. La pianta sviluppa in via ascensionale la sua
manifestazione dalla gemma, dal tronco e dalle foglie, sino
al fiore ed al frutto: il frutto a sua volta è il principio di una
nuova gemma, di un nuovo individuo, destinato a
ripercorrere la vecchia strada; e così via, per tutta l'eternità
del tempo. Identico è il corso della via animale: la
procreazione è il suo culmine: raggiunto questo fine, la vita
del primo individuo si estingue più o meno rapidamente,
mentre un essere nuovo garantisce alla natura la
conservazione della specie e ricomincia lo stesso fenomeno.
[...] Di tal natura sono infine gli sforzi e i desideri umani,
che ci fanno brillare innanzi la loro realizzazione come
fosse il fine ultimo della volontà; ma non appena soddisfatti,
cambiano fisionomia; dimenticati, o relegati tra le
anticaglie, vengono sempre, lo si confessi o no, messi da
parte come illusioni svanite. Fortunato abbastanza colui, al
quale resti ancora da carezzare qualche desiderio, qualche
aspirazione: potrà continuare a lungo il giuoco del perpetuo
passaggio dal desiderio all'appagamento e dall'appagamento al nuovo desiderio, giuoco che lo renderà
felice se il passaggio è rapido, infelice se lento; ma se non
altro non cadrà in quella paralizzante stasi che è sorgente di
stagnante e terribile noia, di desideri vaghi, senza oggetto
preciso, e di languore mortale. In conclusione: la volontà,
quando la conoscenza la illumina, sa sempre quello che
vuole in un dato luogo e in un dato momento; ma non sa mai
quello che voglia in generale: ogni atto singolo ha un fine;
la volontà nel suo insieme non ne ha nessuno.
(Il mondo come volontà e rappresentazione, pp.201-103)
IL PESSIMISMO
Volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in
uno stato di tensione e di mancanza: ossia dolore
«Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza,
ossia da sofferenza. A questa dà fine l'appagamento;
tuttavia per un desiderio che venga appagato, ne rimangono
almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le
esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e
misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione
finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo
a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto,
questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del
volere, una volta conseguito, può dare appagamento
durevole [...] bensì rassomiglia soltanto all'elemosina, la
quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per
continuare domani il suo tormento » (Il mondo come
volontà e rappresentazione, par. 38).
CARATTERE NEGATIVO DELLA FELICITA’ UMANA
«Che ogni felicità sia di natura negativa soltanto, e non
positiva [...] ne abbiamo una prova anche in quello specchio
fedele dell'essenza del mondo e della vita che è l'arte,
soprattutto nella poesia. Ogni poesia epica o drammatica
può in ogni caso rappresentare soltanto uno sforzo,
un'aspirazione attiva, una lotta per la conquista della
felicità, e non mai la felicità stessa durevole e compiuta.
Essa conduce il suo eroe attraverso mille difficoltà e
pericoli sino alla meta: non appena questa è raggiunta,
subito lascia cadere il sipario. Null'altro, infatti, le
resterebbe, se non mostrare che la luminosa meta, nella
quale l'eroe sognava di trovare la felicità, ha beffato anche
lui, di modo che, quando l'ha raggiunta, egli non si trova
meglio di prima».
(Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 58)
L’ILLUSIONE DELL’AMORE
Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della
specie trova una sua manifestazione emblematica
nell'amore. Infatti l'amore, che «si impadronisce della metà
delle forze e dei pensieri dell'umanità più giovane», è uno
dei più forti stimoli dell'esistenza:
«non esita a penetrare, disturbando, tra gli accordi degli
uomini di stato e tra le ricerche dei dotti, è capace di
introdurre le sue letterine amorose e le ciocche dei capelli
nei portafogli ministeriali e nei manoscritti filosofici,
ordisce ogni giorno le trame più complicate e cattive,
scioglie i vincoli più stretti, conduce a sacrificare a volte la
vita o la salute, la ricchezza, il rango e la felicità, anzi priva
di coscienza l'onesto e rende traditore il fedele».
(Supplementi al "Mondo come volontà e rappresentazione",
cap. XLIV)
«Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire,
affonda sempre le sue radici nell'istinto sessuale».
«Se la passione del Petrarca fosse stata appagata, il suo
canto sarebbe ammutolito».
CRITICA DELL’OTTIMISMO
«Se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli
ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche,
attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli
schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi
tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per
nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo
facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino,
certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte
sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso
Dante la materia del suo Inferno, se non da questo mondo
reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono.
Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie,
si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto
perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa
siffatta»
(Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 59)
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO COSMICO (la religione
cristiana, l’hegelismo)
«A diciassette anni, ancora privo di ogni cultura, fui colpito
dalla miseria della vita così profondamente come Buddha
nella sua gioventù, quando vide per la prima volta la
malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte. La verità che del
mondo mi parlava chiaro e tondo ebbe presto il sopravvento
sui dogmi ebraici che mi erano stati inculcati; e la mia
conclusione fu che questo mondo non poteva essere l'opera
di un ente assolutamente buono».
«Se un Dio ha creato questo mondo, io non vorrei essere
Dio; l'estrema miseria del mondo mi strazierebbe il cuore».
«Verrà un tempo in cui la dottrina di un Dio come creatore
sarà considerata in metafisica, come ora, in astronomia, si
considera la dottrina degli epicicli».
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO SOCIALE Aristotele,
Rousseau, Feuerbach, Marx)
«Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva, che
attende solo il momento propizio per scatenarsi e infuriare
contro gli altri» (Parerga, n, 114).
«Nel suo libro Des Races humaines, Gobineau ha definito
l'uomo come l'animal méchant, par excellence [l'animale
cattivo per eccellenza], e questo è stato male accolto dagli
uomini [...] egli però ha ragione: l'uomo è, infatti, l'unico
animale che faccia soffrire gli altri al solo scopo di far
soffrire. Gli altri animali lo fanno unicamente per
soddisfare la loro fame o nel furore della lotta» (ivi).
«Come l'uomo si comporti con l'uomo, è mostrato, ad
esempio, dalla schiavitù dei negri [...] Ma non v'è bisogno
di andare così lontani: entrare nelle filande o in altre
fabbriche all'età di cinque anni, e d'allora in poi sedervi
prima per dieci, poi per dodici, infine per quattordici ore al
giorno, ed eseguire lo stesso lavoro meccanico, significa
pagar caro il piacere di respirare. Eppure questo è il
destino di milioni, e molti altri milioni ne hanno uno
analogo» (ivi).
IL RIFIUTO DELL’OTTIMISMO STORICO
«Mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene
qualcosa di diverso, la filosofia si sforza di innalzarci alla
concezione che in ogni tempo fu, è e sarà sempre la stessa
cosa».
(Supplementi al "Mondo come volontà e rappresentazione",
cap. XXXVIII)
LA LIBERAZIONE: L’ASCESI
«Con la soppressione della volontà, vengono anche
soppressi tutti quei fenomeni e quel perenne premere e
spingere senza posa, per tutti i gradi dell'oggettività, nel
quale e mediante il quale il mondo consiste. [...] Non più
volontà: non più rappresentazione, non più mondo. Davanti
a noi non resta invero che il nulla. Ma quel che si ribella
contro codesto dissolvimento nel nulla, la nostra natura, è
anch'essa nient'altro che la volontà di vivere. Volontà di
vivere siamo noi stessi, volontà di vivere è il nostro mondo.
L'aver noi tanto orrore del nulla, non è se non la
manifestazione del come avidamente vogliamo la vita, e
niente siamo se non questa volontà, e niente conosciamo se
non lei. Allora, in luogo dell'incessante, agitato impulso; in
luogo del perenne passare dal desiderio al timore e dalla
gioia al dolore; in luogo della speranza mai appagata e mai
spenta, ond'è formato il sogno di vita di ogni uomo ancor
volente, ci appare quella pace che sta più in alto di tutta la
ragione, quell'assoluta quiete dell'animo pari alla calma del
mare, quel profondo riposo, incrollabile fiducia e letizia, il
cui semplice riflesso nel volto, come l'hanno rappresentato
Raffaello e Correggio, è un completo e certo Vangelo. La
conoscenza sola è rimasta, la volontà è svanita e con la
volontà vediamo dissolversi il mondo, e soltanto il vacuo
nulla (il Nirvana dei buddisti) rimanere innanzi a noi. [...]
Quel che rimane dopo la soppressione completa della
volontà è certamente, per tutti quelli che della volontà
ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui
la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata, questo nostro
universo tanto reale, con tutti i suoi e le sue vie lattee,
questo, propriamente questo, è il nulla».
(Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 71)